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Diritto della Previdenza Sociale, Dispense di Diritto della Previdenza Sociale

Diritto della previdenza sociale

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 22/06/2020

.Marti.
.Marti. 🇮🇹

4.4

(56)

17 documenti

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Scarica Diritto della Previdenza Sociale e più Dispense in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE Il programma si divide in due parti: Parte 1 a) Origini ed evoluzione storica della previdenza sociale in Italia b) La sicurezza sociale nella Costituzione c) Le fonti d) rapporto giuridico previdenziale (i soggetti del rapporto, i contenuti della tutela e le modalità attraverso cui quei contenuti vengono garantiti) e) rapporto contributivo Parte 2 – La tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali – La tutela della salute e della maternità/paternità – La tutela contro la disoccupazione – La tutela per invalidità, vecchiaia e superstiti: le pensioni – La previdenza complementare Nel nostro ordinamento i Diritti previdenziali sono sanciti dalla costituzione e sono diritti fondamentali. [Art. 38 Costituzione]: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo stato. L’assistenza privata è libera. [Art. 32 Costituzione]: La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. [Art. 3 (II comma)]: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del paese. [Art.2 Costituzione]: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Questo progetto costituzionale ha avuto ampio svolgimento dalla legislazione dall’approvazione della nostra costituzione, anche se l’evoluzione della normativa in materia previdenziale non sempre è risultata coerente, organica. Spesso il legislatore ha fornito soluzione con l’obiettivo di risolvere situazioni contingenti con poco respiro sistematico. Il sistema delle fonti nell’ordinamento previdenziale viene descritto come un labirinto, con eccessi di legislazione e in stato di perenne modifica. Il fatto che i diritti previdenziali siano inseriti in costituzione implica il progressivo accrescimento del ruolo attivo della corte costituzionale. Il diritto previdenziale è stato anche scritto da sentenze della consulta. Ruolo esercitato con estrema frequenza (1 sentenza su 5 pronunciata dalla corte costituzionale riguarda questioni previdenziali). Questo comporta che la corte costituzionale rappresenti un fattore importante di dinamismo del sistema previdenziale. Concetti chiave della previdenza sociale  Assistenza Sociale  Si rivolge verso tutti i cittadini e viene finanziata dalle tasse.  Previdenza Sociale (in forma primitiva assicurazione sociale)  Riguarda solo i lavoratori e il finanziamento delle prestazioni previdenziali arriva grazie alla cooperazione dei soggetti che poi sono destinati di quelle prestazioni attraverso il versamento di contributi.  Sicurezza Sociale  Questo concetto non lo ritroviamo in costituzione. Espressione utilizzata nei documenti internazionali e comunitari. Esprime l’esigenza della c.d. “libertà o liberazione dal bisogno” dei cittadini, condizione indispensabile per il godimento degli altri diritti (civili e politici). Viene accolta dal nostro ordinamento costituzionale, ma in modo ambiguo.  Assicurazione Sociale  Spesso viene usata come sinonimo di Previdenza Sociale, anche se impropriamente perché l’Assicurazione è il mezzo attraverso cui la Previdenza Sociale viene realizzata. Alle “Assicurazioni Sociali” il nostro codice civile dedica un articolo: [Art. 1886 Codice Civile] Le assicurazioni sociali sono disciplinate dalle leggi speciali. In mancanza si applicano le norme del presente capo. [Art. 1882 Codice Civile] L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Questo è il contratto di assicurazione, ed è lo strumento attraverso cui la previdenza sociale ha trovato storicamente concreta realizzazione. Le prime forme di tutela sociale, ad esempio tutela contro gli infortuni sul lavoro, vengono realizzate tramite i contratti di assicurazione. Gli elementi strutturali di questo contratto sono:  il rischio (la prestazione economica è collegata al verificarsi di un evento che deve essere futuro, incerto e aleatorio); la sinallagmaticità (a prestazioni corrispettive, nel momento in cui non sono adempiente non posso pretendere l’adempimento); La mutualità (il fatto che l’onere finanziario è a carico delle categorie interessate). Queste caratteristiche erano presenti nelle prime forme di assicurazione sociale. Nel corso degli anni sono intervenuti diversi aggiustamenti e molti scostamenti. Esempio la caratteristica di sinallagmaticità nella previdenza sociale non viene applicato, salvo alcuni casi. Nel momento in cui si ha un rapporto di lavoro subordinato, e il datore di lavoro non adempie al versamento dei contributi, questo non significa che il lavoratore non ha diritto a quella prestazione. Stesso discorso per la mutualità in quanto è vero che il finanziamento della previdenza sociale è anche un finanziamento che arriva dallo Stato, e quindi tramite la leva fiscale. E’ anche vero che la matrice assicurativa è rimasta, le riforme che ci sono state in materia di tutela della disoccupazione si muovono in quella direzione, andando a riutilizzare criteri assicurativi. (PARTE I) L’Ordinamento Previdenziale – Evoluzione Storica I primi passi dell’ordinamento sociale sono connessi alla nascita e ai primi passi dello stato sociale (stato in cui i pubblici poteri promuovono il benessere dei propri cittadini attraverso una serie di interventi nelle attività economico sociale e protezione sociale). Il fine dello stato sociale è anche quello della liberazione dal bisogno dei propri cittadini. Lo stato sociale abbandona la c.d. prospettiva liberale. Lo stato democratico assume su di se come compito primario la regola della distribuzione. E’ lo stato sociale che fa sorgere i diritti sociali a valori fondamentali, ed è in questo contesto che nasce e si sviluppa il diritto della previdenza sociale. L’obiettivo è sempre quello di eliminare le disparità sociali nell’ottica di pieno ed effettivo godimento dei diritti. In questa prima fase i diritti sociali non venivano garantiti attraverso una loro costituzionalizzazione (che avverrà in seguito). Queste forme di tutela vengono garantite da leggi ordinarie e in particolar modo nel ventennio ’80-’90 dell’ottocento nasce il modello c.d. Bismarkiano, a cui si contrapporrà il modello Beveridggiano. [Art. 2115 codice civile] – Principio di ripartizione dell’obbligo contributivo tra datori e prestatori di lavoro. Salvo diverse disposizioni della legge, l’imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza. L’imprenditore è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte che è a carico del prestatore di lavoro […] Il responsabile di tutto il versamento contributivo è dunque il datore di lavoro, non solo per la sua parte ma anche per quella del lavoratore (prelevato dalla sua busta paga). [Art. 2116 codice civile] – Principio della c.d. automaticità delle prestazioni previdenziali Le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro. [Art. 2117 codice civile] – Principio del vincolo di destinazione dei fondi volontari di previdenza I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituito, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro. Tutte queste disposizione hanno in comune il fatto che il modello assicurativo rimane molto forte. Tutela rivolta ai lavoratori subordinati in primis e principio di proporzionalità tra ciò che si versa di contributi e prestazioni previdenziali. Questo in estrema sintesi è lo stato dell’arte prima della promulgazione della Costituzione repubblicana, la quale segna una svolta, perché il nostro ordinamento costituzionale sancisce i diritti previdenziali come diritti fondamentali e dunque li valorizza in molte disposizioni costituzionali. Tutto questo ci fa dire che la protezione sociale non è solo un interesse del singolo soggetto bisognoso che trova risposta nell’ordinamento, ma è un dovere della collettività. Il lavoratore viene tutelato al di la di qualsiasi sua scelta personale. Viene tutelato il lavoratore perché questo corrisponde ad un interesse pubblico, di tutta la società. Il soddisfacimento dell’interesse pubblico collettivo è il fine, e il soddisfacimento dell’interesse singolo è il mezzo. Questo è importate perché molte scelte dell’ordinamento previdenziale vengono anche comprese solo se si ha in mente questa impostazione. L’articolo 38 Costituzione, insieme agli articoli 4, 32, 36 e 37 Costituzione, incarnano il nucleo forte dello stato sociale. Potremmo dividere l’articolo 38 in 2 parti ideali:  Prima parte  I commi I, II e III enunciano alcuni diritti attribuiti ai singoli Seconda parte  I commi IV e V in cui il costituente delinea l’assetto organizzativo del sistema della sicurezza sociale (sistema di stampo pluralistico). L’importanza delle disposizione costituzionali in questa materia è stato motivo della analoga importanza della giurisprudenza costituzionale che ha contribuito a rendere dinamico tutto il sistema previdenziale. Non è sempre facile trovare delle linee coerenti nella legislazione previdenziale (ordine e coerenza da sempre mancano nella previdenza sociale italiana). In qualche modo la corte costituzionale ha cercato di dare a quel sistema quell’ordine e coerenza che gli mancano, anche se le decisioni possono essere una variabile dipendente dai vincoli di bilancio, e questo non aiuta alla coerenza e linearità. L’obiettivo della corte costituzionale di eliminare le disparità è evidente, quindi il suo ruolo è fondamentale. Questione di legittimità costituzionale Una questione di legittimità costituzionale non può essere proposta dal singolo, ma deve essere sollevata tramite un giudice remittente o anche detto giudice a quo. Il giudice a quo per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale davanti alla consulta, deve ritenere in anzitutto la questione rilevante e non infondata, il giudice a sua volta emetterà un'ordinanza di remissione con cui nel sottoporre la questione alla corte costituzionale sospende anche il giudizio in corso. Che cosa fa nell'ordinanza di remissione? Il giudice a quo individua le cosiddette disposizioni censurate, cioè le disposizione che portino il sospetto di incostituzionalità e le disposizioni violate. L'esito all'ordinanza di remissione si apre in giudizio davanti alla corte costituzionale. Come si conclude il giudizio di legittimità costituzionale? Si può concludere con tre tipologie di sentenze: – sentenza di accoglimento, l'ipotesi è che la Corte pronunci una sentenza di accoglimento e che dichiari illegittimità costituzionale della/e disposizione/i censurate. La disposizione viene eliminata e mai più applicata; – sentenza di rigetto, la corte costituzionale dichiara infondata la questione e rigetta la dichiarazione di incostituzionalità. Questo non significa che quella disposizione abbia ricevuto un “bollino” di conformità alla costituzione, perché spesso si presentano questioni di costituzionalità sulle stesse disposizioni. Però l’effetto della sentenza si ha sul giudice a quo, che sarà vincolato ad usare in giudizio quella disposizione, ma può succedere che quella stessa disposizione possa essere oggetto di una ulteriore richiesta; – sentenze interpretative, si hanno quando la Corte accoglie o rigetta la questione, ma la corte attribuisce alla disposizione una certa interpretazione/significato: • sentenze interpretative di accoglimento, quando la corte dichiara l'illegittimità costituzionale di un testo, se e di quanto a quel testo si dia un certo significato, questo significa che viene dichiarato incostituzionale solo un certo significato, cioè quello interpretato dalla corte; • sentenza interpretativa di rigetto, qui la corte dà un'interpretazione della disposizione diversa da quella data dal giudice a quo, e dichiara quella interpretazione (interpretazione che dà la consulta) come esente da vizi di costituzionalità, in sostanza salva il testo della legge e propone quella dell'interpretazione che considera conforme a Costituzione. [Art. 38 Costituzione]: Prima parte L'articolo 38 della Cost si compone di più commi, i quali come abbiamo detto alcuni enunciano alcuni diritti attribuiti ai singoli e altri sono invece di stampo pluralistico: I Comma: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Questo primo comma ci rimanda all’idea dell’assistenza. Liberazione dal bisogno. La nostra costituzione sta seguendo il modello Beveridge, modello della tutela universale. II Comma: I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Questo secondo comma ci rimanda all’idea della previdenza. Il legislatore elenca in maniera specifica tutti gli eventi che considera meritevoli di tutela. Situazioni in cui la prestazione lavorativa deve necessariamente interrompersi perché sopravvengono eventi che non dipendono dalla volontà del lavoratore. L’obiettivo è quello di proteggere il lavoratore dalla mancanza di reddito (momentaneo o diventato impossibile). Questa lista di eventi meritevoli di protezione è una lista tassativa oppure no? La domanda conseguente è “mancano degli eventi che comunque generano situazioni di bisogno e che il nostro ordinamento prende in considerazione?”. Manca la genitorialità, l’insolvenza del datore di lavoro e l’evento della morte. Il discorso qui è che non è tanto lo specifico rischio, ma il bisogno che vi è dietro al verificarsi di quell’evento. E’ il bisogno che è protetto costituzionalmente. III Comma: Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. [Art. 38 Costituzione]: Seconda parte IV Comma: Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo stato. Da un lato c’è la chiara enunciazione del compito fondamentale dello stato di realizzare la tutela previdenziale. Ritornando alla disposizione n°26 della Carta del Lavoro del 1927 in cui il compito dello Stato era di coordinare e unificare il sistema. Il legislatore costituente ci dice che lo Stato deve provvedere alla tutela previdenziale, proprio perché persegue un interesse collettivo, interesse pubblico, e di conseguenza è in prima linea anche sotto il profilo finanziario. Ben diversa la situazione del periodo corporativo. V Comma: L’assistenza privata è libera. Il sistema è pluralista perché accanto agli enti pubblici lo stato prevede anche l’intervento degli enti privati. Il legislatore ha incentivato in maniera significativa l’adozione del c.d. secondo pilastro della previdenza, quello volontario complementare. Hanno l’obiettivo di cooperare alla realizzazione di un sistema più complesso di previdenza. In questa disposizione non troviamo utilizzata l’espressione “Sicurezza Sociale”. In realtà compariva nella relazione della c.d. commissione d’Aragona che lavorò prima dell’approvazione della costituzione e che presentava un progetto molto diverso da quello realizzato nella nostra carta costituzionale e che si avvicinava di più al modello Beveridgiano, modello che non venne però accolto. Le letture del modello organizzativo dell'art 38 della Cost. Il modello organizzativo accolto dal nostro Articolo 38 Costituzione è per unanime opinione non così evidente. Grazie alla formulazione dei suoi vari commi si ritiene che il modello della sicurezza sociale sia stato accolto, ma di questa disposizione sono state date interpretazioni diverse. Le letture sono principalmente tre: 1. Una lettura dualista che si fa risalire in dottrina a Alibrandi; Una lettura universalista che si fa risalire a Persiani; Una lettura più moderna che vede nell’articolo 38 una norma aperta che non sposa un modello specifico di protezione sociale e che si fa risalire a Cinelli. Lettura dualista Si fonda in prima battuta sul testo dell’articolo 38 e in particolare sui primi due commi i quali confermano la struttura tradizionale che già c’era prima della promulgazione della costituzione. Una struttura binaria che sposava la separazione tra previdenza e assistenza. Questa concezione conferma la divisione, ma vi è anche complementarità tra le due componenti del sistema che insieme danno vita al sistema di sicurezza sociale. La corte costituzionale nella sentenza n°31/1986 ha riconosciuto la concezione dualista come compatibile con il dettato costituzionale. L’articolo 38 ci consegna i due modelli tradizionali, l’uno solidaristico e l’altro mutualistico assicurativo, l’uno rivolto ai cittadini e l’altro rivolto ai lavoratori. Quindi prima lettura dell’articolo 38 in continuità con il passato ma anche valorizzando la complementarità di queste due componenti del sistema. Lettura universalista Valorizzando altri articoli della costituzione. Ritenendo che l’articolo 38 non possa essere letto da solo ma debba essere letto insieme ad altre disposizione costituzionale, in particolar modo il dovere di solidarietà dell’articolo 2, il principio di uguaglianza sostanziale dell’articolo 3 II Comma e il diritto della salute dell’articolo 32. Se si leggono queste disposizioni combinato con l’articolo 38 allora secondo l’interpretazione universalista la costituzione ci consegna uno schema diverso, perché il nostro ordinamento costituzionale secondo questa concezione impone al legislatore di realizzare un servizio pubblico unitario e universale rivolto alla tutela di tutti i cittadini. Questa lettura universalista ha l’obiettivo di liberare il cittadino dallo stato di bisogno come premessa per il progresso sociale. Secondo questa concezione la lettura dualista è superata dall’assetto costituzionale che emerge dalla nostra carta costituzionale. Nella nostra costituzione tutte queste disposizione messe insieme accolgono un modello di sicurezza sociale che almeno in astratto è caratterizzato dall’ampiezza della tutela, fornito attraverso l’intervento pubblico e a carattere universale. E’ chiaro che previdenza e assistenza hanno una funzione comune ma in considerazione del fatto che le risorse pubbliche sono limitate è chiaro che anche la concezione universalista legittima delle differenze, e quindi legittima la situazione per cui il lavoratore a differenza del cittadino potrà avere un cittadino preferenziale. Lettura aperta Mette in rilievo il fatto che in verità l’articolo 38 volutamente non ci impone uno specifico modello di protezione sociale, lasciando una certa elasticità al sistema. Non esclude che siano lecite altre scelte in futuro, legate alle modifiche sul piano economico e sociale che intervengono nel corso degli anni. Lezione del 08/03/2017 Riepilogo della lettura universalista, dualista e aperta dell'art 38 della Cost. In una prima lettura l’articolo 38 subisce l’influsso del piano Beveridge, lettura secondo la quale la nostra costituzione avrebbe accolto l’idea di un diritto alla sicurezza sociale, di un sistema orientato alla liberazione dal bisogno, che richiede che lo Stato si faccia carico anche finanziariamente di quel compito (UNIVERSALISTA). L’adesione a un fondo di previdenza complementare, e il raggiungimento dei requisiti sottoscritti, dà diritto alla liquidazione di una pensione aggiuntiva. Possono aderire alle forme pensionistiche complementari: • i lavoratori dipendenti del settore privato e del settore pubblico (anche assunti con le tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo n. 276/2003); • i collaboratori; • i lavoratori autonomi; • i liberi professionisti; • i soci di cooperativa; • i soggetti fiscalmente a carico, soggetti rispetto ai quali il percettore del reddito fruisce delle deduzioni o detrazioni previste dalla normativa fiscale vigente. I soggetti che non percepiscono reddito da lavoro possono invece aderire solo a fondi aperti o PIP. Per avere informazioni circa la situazione previdenziale e avviare un’analisi e una successiva valutazione della copertura previdenziale individuale, i soggetti interessati possono rivolgersi ad un espero di diritto del lavoro, come il Consulente del Lavoro, o ad un patronato. E’ obbligatorio aderire a un fondo di previdenza complementare? No, ai sensi dell’articolo 1 decreto legislativo. n. 252/2005, l’adesione è libera e volontaria. Sono previste forme di vigilanza sui fondi di previdenza complementare? Sì, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP), dotata di personalità giuridica di diritto pubblico, ha la funzione di autorizzare e vigilare le forme pensionistiche complementari. Il suo ruolo è quello di perseguire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, nonché la sana e prudente gestione delle forme pensionistiche complementari. Quali sono gli obblighi per il datore di lavoro in caso di scelta, da parte di un lavoratore, di aderire ad un fondo di previdenza complementare? Ha l’obbligo di versare periodicamente (a seconda della tipologia del fondo) la quota accantonata a titolo di Tfr al fondo scelto dal lavoratore. Nel caso in cui il lavoratore non aderisca alla previdenza complementare, nelle aziende con almeno 50 dipendenti, il datore di lavoro conferirà la quota al Fondo Tesoreria, istituito presso la tesoreria dello Stato, gestito dall’Inps. Che cosa è il FondInps? È un fondo istituito presso l’Inps in cui confluiscono i versamenti di coloro che non hanno espresso alcuna adesione, e non esprimono una scelta relativamente alla destinazione del Tfr, per i quali non è individuabile alcuna forma pensionistica collettiva di riferimento. Come vengono investite le risorse a disposizione dei fondi di previdenza complementare? La gestione delle risorse dei fondi è affidata agli organi del fondo stesso che provvedono ad investirle in attività finanziarie (sottoscrizione di azioni o quote di società immobiliari, azioni o quote con diritto di voto, convenzioni con società di gestione del risparmio, eccetera). Pensione sociale Un altro elemento rilevante riguarda un gruppo di interventi legislativi che hanno subito l’influsso del modello universalista. Negli anni ’60-’70 vi è stato il culmine delle scelte in quella direzione grazie in particolar modo a tre interventi normativi. Il più risalente riguarda la prima forma di tutela economica di carattere universale che è stata introdotta nel nostro ordinamento, la c.d. pensione sociale istituita nel 1969 con la legge n°153 (assegno Sociale dal 1995) che per la prima volta ha creato una prestazione puramente assistenziale. Questa è del tutto slegata dalla contribuzione. Spetta in determinate condizioni a qualsiasi persona con quelle caratteristiche, anche se non ha mai contribuito. Questa prestazione spetta ai cittadini ultra sessantacinquenni con caratteristiche di reddito particolarmente critiche ed erogata dal fondo sociale e oggi erogata dalla c.d. GIAS dell’INPS (Gestione degli Interventi Assistenziali e di Sostegno) ed è ad esclusivo carico dello stato (circa 450€ mensili). Rappresenta il primo e unico in sostanza forma di prestazione economica di carattere universale completamente slegata dalla contribuzione. Invalidità civile Un secondo intervento legislativo che va in questa direzione riguarda la tutela degli invalidi civili. La legge n°118 del 1971 ha previsto il diritto ad una indennità economica a favore di tutti i cittadini che presentano una riduzione permanente della capacità lavorativa almeno pari al 74%. E’ un discorso diverso dalla pensione di invalidità o di inabilità che spetta ai lavoratori che hanno subito una certa riduzione della capacità di lavoro. L’invalidità civile è una invalidità che spetta a qualunque cittadino anche che non abbia mai lavorato nemmeno un giorno ma che abbia quelle caratteristiche. E’ una prestazione assistenziale, completamente slegata dalla contribuzione e completamente a carico dello stato. Servizio Sanitario Nazionale (SSN) Il terzo intervento è quello più importante ed è l’istituzione del servizio sanitario nazionale (SSN) con la legge n°833/1978 come servizio pubblico in attuazione dell’articolo 32 Costituzione. La prestazione il cui carico grava completamente sullo Stato. Le modalità di finanziamento non sono rimaste tali. Continua ad essere ottenuto in via principale grazie alla leva fiscale, grazie ai contributi obbligatori in carico a tutti i cittadini in proporzione del reddito, indipendentemente dell’utilizzazione che quei cittadini facciano del servizio stesso, però adesso a questo sistema principale di finanziamento di affianca il sistema del ticket che prevede il versamento di somma di denaro ogni volta che il cittadino fruisce della prestazione sanitaria. La gratuità del servizio non è più pura come lo era al momento in cui il servizio è stato istituito. Questi tre interventi sono un esempio evidente di scelta del legislatore ordinario ve vanno verso una lettura solidarista e universalista dei compiti dello Stato nell’ambito dell’ordinamento previdenziale. La legge n° 449 del 1998 (assegno familiare con figli a carico e reddito relativamente basso) Vi sono altre misure di contrasto alla povertà ed esclusione sociale che via via hanno trovato realizzazione nel nostro ordinamento. Una legge importante è stata la legge n°449/1998 che ha introdotto misure nuove di sostegno al reddito di cittadini con specifici carichi di famiglia in situazione di disagio economico particolare. Ad esempio l’assegno per il terzo figlio o assegno per i nuclei familiari numerosi che spetta a cittadini italiani e comunitari che abbiano almeno 3 figli minori e che non abbiano risorse economiche superiori ad una certa somma (si parla di poche centinaia di euro per mensilità) a carico dell’INPS. La legge n° 328 del 2000 sul reddito minimo di inserimento e il reddito di ultima istanza La legge n°328/2000 ha riformato il sistema assistenziale. Ha introdotto l’esperimento del c.d. reddito minimo di inserimento diretto a soggetti che si trovassero in situazione di marginalità sociale e impossibilitati al mantenimento proprio e dei figli. Questo esperimento è durato qualche anno in quanto successivamente una legge finanziaria ha archiviato questo esperimento nel 2004 per sostituirlo con un altro esperimento, il reddito di ultima istanza con caratteristiche molto simile. Attualmente non c’è più nulla di tutto questo. La lacuna del nostro ordinamento Questo per sottolineare la lacuna del nostro ordinamento che è quella di un sostegno economico che sia sganciato dal fatto di aver lavorato. Il reddito minimo di cittadinanza ha come obiettivo di sostenere il reddito di persone che non abbiano lavoro, a prescindere che non l’abbiano mai avuto o meno, nel nostro ordinamento manca (unico paese europeo insieme alla Grecia e Ungheria). E’ sganciato da qualsiasi condizione, diversi sono invece istituti quali reddito minimo garantito e reddito minimo di inserimento che vengono erogati in presenza di condizioni specifiche, ad esempio reddito di un certo tipo o che il soggetto beneficiario percorra una serie di step relativi alla sua formazione. Nel nostro paese vi è un dibattito sull’introduzione di queste riforme. Gli interrogativi sono legati al nostro tessuto culturale, economico, sociale: Come conciliare il reddito minimo nel nostro paese con la presenza massiccia di lavoro nero? Le strutture burocratiche amministrative del nostro paese sono in grado di gestire l’erogazione di una misura di questo tipo? In presenza di condizione di disoccupazione grave con oggi esistente, una introduzione di un reddito di questo tipo determinerebbe una deviazione funzionale di questo strumento? La lotta alla povertà: REI (Reddito di inclusione) E’ in discussione in parlamento un disegno di legge delega in tema di contrasto alla povertà e sarà approvato nel corso del 2017. Questo delega il governo a introdurre il c.d. REI (Reddito di inclusione) che rappresenta una misura unitaria contro la povertà assoluta, che si compone di un beneficio economico e di alcuni servizi alla persona. Ci sono delle prospettive di miglioramento di lotta alla povertà e contro l’esclusione sociale nel nostro ordinamento giuridico. Non si tratta comunque di un reddito universale. Le scelte del legislatore dinnanzi alla crisi economica I problemi principali che si è trovato ad affrontare il legislatore nel cuore della crisi economico finanziaria iniziata del 2007 è stata quella di cercare di garantire la tenuta dell’ordinamento previdenziale di fronte alla crisi. Il legislatore previdenziale è intervenuto principalmente su due fronti: Sulla disciplina del pensionamento Sulle discipline degli ammortizzatori sociali. Le scelte che sono state fatte in materia pensionistica sono state quelle di risparmio dei costi, a partire dalla riforma Fornero del 2011 (aumentato in maniera significativa l’età pensionabile e rivisto il sistema pensionistico introducendo incentivi al posticipo del pensionamento). Queste scelte di politica pensionistica dalla riforma “Monti – Fornero” sono state contraddette dalle ultime legislazioni pensionistiche. Al contempo vi sono stati interventi che si sono mossi nel’ottica più solidale, introducendo contribuzioni di solidarietà per le pensioni più elevate e introducendo meccanismi più improntati al valore della solidarietà. In merito agli ammortizzatori sociali i primi interventi alla crisi sono stati di natura emergenziale. Mai come negli anni 2008/2009/2010 sono stati utilizzati nel nostro paese i c.d. ammortizzatori sociali in deroga, quindi prestazioni economiche erogate in deroga alle regole specifiche che regolavano quella materia. Anche aziende che non ne avrebbero avuto diritto sono stati compresi nella tutela. L'intervento emergenziale è stato quello di un utilizzo molto significativo degli ammortizzatori sociali in deroga. Un primo tentativo di riordino del sistema è avvenuto con la riforma Fornero nel 2012 che ha cercato di coordinare le politiche degli ammortizzatori sociali, introdotto la c.d. ASPI (Assicurazione Sociale Per l’Impiego), istituito i c.d. Fondi di Solidarietà Bilaterale con l’obiettivo di andare a coprire lavoratori e aziende in caso di disoccupazione non coperte dalla cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Lezione del 14/03/2017 Competenze in materia previdenziale tra stato e regioni La consistenza dell'assetto Stato e regioni L’assetto vigente risulta tale a seguito della riforma costituzionale n°3 del 2001 (Titolo V parte II). Ha ridisegnato il sistema del riparto di competenze, anche incidendo sul piano previdenziale. Lo stato ha mantenuto la competenza legislativa esclusiva in materia di previdenza sociale, nonché per la c.d. determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, garantiti in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Gran parte della materia che ci interessa è di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Non tutto in quanto le regioni hanno competenza legislativa concorrente in 3 materie rilevanti: Tutela della salute; Tutela e sicurezza sul luogo del lavoro; Previdenza complementare. Le regioni che hanno competenza legislativa in tutte le materie non sono espressamente elencate all’articolo 117 della Costituzione. Dunque per quanto ci riguarda hanno competenza legislativa in materia di assistenza sociale. Questa ripartizione comporta differenti competenze a seconda della materia di cui si sta parlando. Concetto di delegificazione Altro aspetto che vale sottolineare è quello del rapporto fra la fonte primaria (la legge) e la fonte secondaria (il regolamento). La nostra costituzione non impone vincolo particolari sotto questo profilo, ma l’ordinamento previdenziale viene regolamentato attraverso fonti primarie. Ciò non toglie però che anche le norme di secondo livello abbiano rilevanza nella nostra materia, in considerazione di una serie di situazioni. Abbiamo un regime generale che fa capo all’INPS, che è l’ente che assicura tutti i lavoratori subordinati sia del settore privato che di quello pubblico (INPDAP dal 01/01/2012 è confluito dentro l’INPS) e assicura anche le gestioni speciali dei lavoratori autonomi. Esistono anche regimi chiamati speciali (ce n’erano molti di più in passato, molti di questi via via soppressi), ne sono rimasti alcuni. Fondi speciali che possono essere sia in alcuni casi completamente sostitutivi del regime generale, sia in alcuni casi fondi integrativi del regime generale (i lavoratori versano contributi sia al fondo speciale sia a quello generale). Riguardano particolari categoria di lavoratori privati, ad esempio sostituisce il regime generale obbligatorio il c.d. “Fondo VOLO” che riguarda i dipendenti delle aziende di navigazione aerea. Ordinamento su Base Associativa (ordinamento di mestiere) Questo ordinamento è affidato a enti che oggi sono privatizzati ma che originariamente erano enti pubblici. Nel 1994 questi enti pubblici sono stati trasformati in soggetti di diritto privato, che però esercitano funzioni pubbliche e che gestiscono regimi di mestiere (previdenza di mestiere). Classicamente appartengono a questa categoria tutte le casse di previdenza delle varie professioni liberali (forense, dottori commercialisti, ingegneri e architetti) che sostituisce il regime generale su base istituzionale. Esistono inoltre l’INPGI (giornalismo), l’ENASARCO (agenti di commercio), ENPAIA (dirigenti e impiegati dell’agricoltura). Nel 1994, quando vi è stata compiuta questa operazione di privatizzazione di questi enti, lo è stato fatto soprattutto perché le stesse categorie assicurate da questi enti hanno sollecitato questa trasformazione in primis per sfuggire ad alcuni vincoli di natura pubblica che dovevano rispettare, soprattutto con riferimento all’investimento delle risorse accantonate grazie alle contribuzioni versate. Si è creata una situazione particolare, questi enti sono privatizzati ma esercitano funzioni pubbliche realizzano la tutela previdenziale obbligatoria di alcune categorie di lavoratori. Allo stesso tempo è un po’ difficile collocare questi enti: da un lato è difficile parlare di previdenza pubblica gestita da soggetti privati, allo stesso tempo di previdenza privata perché si parla di una previdenza obbligatoria. Dunque vi è un ordinamento istituzionale completato da questo ordinamento associativo di mestiere. Tutti questi enti sono amministrati secondo il c.d. sistema duale, cioè vi sono organi di governo che sono di nomina ministeriale e poi organi di indirizzo di vigilanza. In questi ultimi è garantita la partecipazione paritetica delle parti sociali (quindi rappresentati dei lavoratori e dei datori di lavoro). Tutti questi enti, vuoi pubblici vuoi privatizzati, in quanto enti strumentali incaricati di svolgere un compito dello stato sono soggetti al controllo ministeriale. Con questo assetto organizzativo che è organizzato per categorie di lavoratori si intreccia un altro assetto organizzativo che è in sostanza intercategoriale, cioè la tutela controllo gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita INAIL, che quindi assicura tutte le varie categorie. Anche in relazione all’INAIL l’attuale quadro normativo è il frutto di un processo di centralizzazione. Nel 2010 sono state attribuite all’INAIL le funzioni di altri due enti, vale a dire l’ISPLES (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) e IPSEMA (istituto di previdenza per il settore marittimo). Assicura un rischio solo, l’infortunio e le malattie professionali. Gli enti fondamentali per l'erogazione delle prestazioni previdenziali e assistenziali In generale l’organizzazione amministrativa della materia previdenziale nel nostro paese ha conosciuto un progressivo processo di razionalizzazione e centralizzazione. Questo processo è iniziato a metà degli anni ’70 e proseguito negli anni successivi. Oggi risultano come enti necessari 4 soggetti di enti: INPS INAIL Casse nazionali di previdenza e assistenza dei liberi professionisti INPGI, ENASARCO e ENPAIA Con gli ultimi tagli della manovra Monti sono stati soppressi l’ENPALS (lavoratori dello spettacolo) e INPDAP (lavoratori pubblico impiego). Questi enti fanno parte di una rete più ampia in quanto uno dei decreti legislativi del Jobs Act (decreto n°150/2015) ha istituito la rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro. Si parla di servizi per il lavoro, in primis politiche attive per il lavoro. Questa rete nazionale mette in comunicazione tanti soggetti che operano su tanti versanti diversi. AMPAL è nata il 01/01/2016 e il suo ruolo è quello di coordinare questi vari enti: INPS – gestisce i c.d. incentivi alle assunzioni, dunque ha un ruolo fondamentale nell’ambito di questa rete in relazione a questo specifico aspetto, nonché in relazione alle misure di sostegno al reddito. INAIL – rileva i reinserimenti lavorativi con disabilità da lavoro. Strutture regionali Le agenzie del lavoro e quelle autorizzate all’intermediazione Istituto Nazionale Della previdenza sociale – INPS INPS - Enti previdenziali - A che cosa provvede: Tutela per invalidità, vecchiaia e morte Tutela per disoccupazione involontaria e tubercolosi Erogazione dell’assegno sociale Erogazione dell’assegno per il nucleo familiare Integrazioni salariali e indennità di mobilità Prestazioni economiche di malattia e maternità Pagamento, tramite il Fondo di garanzia, del TFR e delle ultime 3 mensilità di retribuzione in caso di insolvenza del datore Le categorie coperte dall'INPS Il regime delle assicurazioni gestito dall’INPS viene definito generale. Si copre dal punto di vista dell’ambito soggettivo un numero di soggetti e varietà di categorie molto ampia. La percentuale di lavoratori italiani assicurati presso l’INPS supera il 95%: Lavoratori subordinati privati Dipendenti pubblici Determinate categorie di lavoratori autonomi Liberi professionisti [guardare elenco su slide] Altri Le diverse gestioni dell'INPS e le rispettive funzioni L’INPS è stato ristrutturato e razionalizzato a più riprese nel corso degli anni. Nel 1989 sono state create alcune gestioni accorpando in ciascuna gestione diverse funzioni, gestioni dotate di autonomia patrimoniale: Fondo pensioni lavoratori dipendenti  in cui confluiscono i contributi per l’assicurazione generale (IVS – Invalidità Vecchiaia e Superstiti) e che eroga prestazioni pensionistiche ai lavoratori dipendenti; Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori  competente a erogare prestazioni contro la disoccupazione involontaria, le prestazioni economiche di malattie e maternità, gli assegni familiari e anche istituito il fondo di garanzia in caso di insolvenza. Tutte prestazioni accomunate dal fatto di essere temporanee (anno un inizio ed una fine); Gestione ex INPDAP  si occupa di erogare tutte le prestazioni a favore dei dipendenti pubblici; Tre gestioni speciali per i piccoli imprenditori  agricoltori, commercianti e artigiani. C.d. quarta gestione (o gestione separata)  dal 1995 assicura i lavoratori co.co.co., i lavoratori autonomi occasionali, i lavoratori liberi professionisti privi di una propria cassa di previdenza; GIAS (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno)  eroga le prestazioni di natura assistenziale. E’ diversa dalle altre perché non arrivano contributi dai soggetti interessati perché è a totale carico dello stato. L'INPS: Un gigante a livello europero L’INPS rappresenta un vero e proprio gigante. A livello europeo è il maggior ente di previdenza. Assomma su di se una complessità unica a livello europeo (negli altri stati l’organizzazione non è accentrata ma è regionale). Queste molteplici attività e questo essere presente in maniera centralizzata è una specificità che ci distingue dagli altri paesi europei. Per questa sua natura particolare l’INPS è costituita da organi sia a livello centrale (il presidente, il consiglio di amministrazione, il consiglio di indirizzo e vigilanza, il collegio dei sindaci, il direttore generale) che periferico (sedi regionali, provinciali, zonali). In quanto ente Strumentale è soggetto alla vigilanza del ministero del lavoro. Un altro compito importante dell’INPS è quello di gestire il c.d. “Casellario centrale delle prestazioni previdenziali attive”. Serve per controllare sia la storia contributiva di ciascuno, sia ciò che ciascuno riceve dall’INPS. E’ una sorta di anagrafiche generale delle posizioni assicurative di tutti i lavoratori ed è alimentata dalle informazioni che provengono da tutti gli istituti di previdenziali obbligatori. Grazie a questa anagrafe si produce anche il c.d. “Estratto conto contributivo” che è una sorta di prospetto informativo che riporta la storia contributiva di ciascuno. Istituto Nazionale Assicurazioni Contro Gli Inforntuni Sul Lavoro - INAIL INAIL - Enti previdenziali - Provvede all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Ha ormai una competenza generale, sia nel lavoro pubblico che in quello privato. Tutela un numero di soggetti molto elevato e ha il compito tra l’altro di effettuare accertamenti di natura sanitaria. Ha anche compiti di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. Anche l’INAIL ha una organizzazione corrispondente all’INPS (struttura centrale e periferica) ed è soggetto alla vigilanza del Ministero del Lavoro. I soggetti beneficiari delle prestazioni L’altra parte del rapporto giuridico previdenziale, ovvero i Soggetti Beneficiari delle prestazioni. Una delle costanti dell’evoluzione post costituzionale della legislazione in materia previdenziale ha riguardato l’estensione della sfera soggettiva di tutela, che quindi ha riguardato la questione dei soggetti protetti che via via nel corso degli anni sono aumentati, arrivando a tutelare categoria di soggetti nuovi e numericamente rilevanti. A seconda della categoria di soggetti di cui si tratta, la sfera soggettiva di tutela cambia (esempio la sfera di tutela della malattia comune è a 360°, la sfera di tutela in caso di malattie professionale è invece una tutela di natura previdenziale e condizionata al fatto di essere lavoratori, anche se la copertura è risultata molto ampliata nel corso degli anni). Squilibri contributivi Ultimo aspetto riguarda una contraddizione, un aspetto che riguarda i soggetti protetti e che ha determinato differenziazioni di tutela in parte ingiustificate, ovvero la differenza di costo del sistema previdenziale (i contributi versati cambiano a seconda che il soggetto che versa sia un soggetto subordinato o un lavoratore autonomo). Nell’ambito della categoria del lavoratore subordinato vi è però una differenza di costo su cui si è molto discusso, cioè la differenza di costo previdenziale del lavoratore subordinato dal lavoratore para subordinato. Nel 1995, quando sono venuti in rilievo dal punto di vista previdenziale i co.co.co. e istituita la gestione separata, la percentuale di contribuzione che doveva essere versata contro il rischio IVS era pari al 10%, contro il 33% della retribuzione che si versa per assicurare contro gli stessi rischi un lavoratore subordinato. Un differenziale alto porta in presenza di imprese deboli ad estendere l’area dei rapporti di lavoro di questo tipo (nell’ambito dei c.d. co.co.co. esistono soggetti che davvero sono autonomi ma soggetti che tanto autonomi non sono). Se il lavoratore para subordinato costa 10% di contributi anziché 33% è probabile che un datore di lavoro sia incentivato a stipulare con quel lavoratore un contratto di quel tipo. I fenomeni elusivi vengono incentivati da un differenziale di costo così alto. Sia per questo motivo e sia per il fatto che se contribuisco con il 10% e il mio regime di calcolo pensionistico è di natura contributiva e quindi ciò che io andrò a percepire come prestazione previdenziale sarà il frutto di ciò che ho versato, le due considerazioni hanno determinato discussioni sulla necessità di riequilibrare questa differenza, per evitare elusioni e per creare un montante contributivo di questi soggetti tale da sperare in una prestazione previdenziale adeguata. A regime ci sarà una equiparazione del costo che si raggiungerà nel 2018. Lavoratori Parasubordinati (co co co) Il lavoro parasubordinato è un tipo di professione lavorativa che si trova a metà strada tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo; presenta infatti sia caratteristiche dell'una che dell'altra forma professionale. E' dunque definito lavoro parasubordinato una prestazione tra un collaboratore che presta servizio presso un commitente, anche se non è direttamente dipendente di quest'ultimo. I contratti co co co sono contratti di collaborazione coordinata continua, significa che ti assumono come collaboratore e non come dipendente, sono forme di cosiddetto lavoro precario introdotto nel nostro paese con la riforma Biagi. Le caratteristiche di questo contratto sono: – lavori in regola, ma non sei assunto/a come un dipendente – lavori solo quando ne hanno la necessità i datori di lavoro – non hai ferie retribuite – i contributi sono versati in minima parte e con la gestione separata all'INPS – puoi essere lasciato/a da un momento all'altro a casa. Lezione del 15/03/2017 Segno restrittivo Rapporto Giuridico Previdenziale = I beneficiari delle prestazioni previdenziali sono titolari di un diritto soggettivo perfetto alle prestazione previdenziali. Questo diritto non impedisce al legislatore di intervenire anche emanando provvedimento di segno restrittivo, questo in ragione dal fatto che le risorse finanziarie disponibili sono limitate e l’ente ha il dovere di non sei in uno stato di bisogno). Lo stato sta dando risposte diverse a ciò che ritiene adeguato come prestazione, diverse e molto contraddittorie. Le risposte del legislatore sul tema dell'adeguatezza delle prestazioni Il legislatore ha dato risposte importati, talvolta anche contraddittorie, quando è andato a disciplinare diversi istituti con l’obiettivo di assicurare l’effettività e l’adeguatezza delle prestazioni previdenziali. Meccanismi volti a rendere adeguata la prestazione. Arriviamo alla risposta sulla adeguatezza della prestazione data dalla corte costituzionale. Non è stata monolitica nelle sue posizioni, ma anzi ha dimostrato incertezze. Nelle sue sentenze viene in rilievo in maniera evidente una sorta di doppia anima del sistema, di duplicità di finalità e quindi di contemporaneo perseguimento di finalità solidaristiche ma anche di finalità assicurative. Convivono sentenze in cui l’anima solidaristica sembra prevalere, ad esempio una sentenza del 1974 in cui la corte costituzionale ha sottolineato la natura tipicamente pubblicistica delle assicurazioni sociali, distinguendola nettamente dalle assicurazioni private. Molte altre sono le sentenze della corte costituzione in cui si accoglie la concezione mutualistica assicurativa del sistema previdenziale e vi sono molte sentenze in cui le pensioni vengono definite come retribuzione differita, e dunque il criterio guida è quello di proporzionalità tra lavoro svolto e prestazione previdenziale. Siamo nel pieno del criterio assicurativo, necessità di mantenere il tenore retributivo e dunque leggere la pensione come retribuzione differita. I tetti pensionistici Vi sono soluzioni intermedie che hanno cercato di rendere complementari le due funzioni che sono in particolar modo evidenti in una sentenza della corte costituzionale, ovvero la n°173 del 1986 che era stata sollevata con riferimento ad alcune norme che vietavano di prendere in considerazione per quantificare la pensione quote di retribuzione che eccedessero un certo limite (si parlava di tetti pensionistici). Se non si tiene conto di quella porzione di retribuzione si viene meno al principio di proporzionalità della pensione rispetto alla retribuzione che si è ricevuto e rispetto alla quale si sono versati i contributi, e dunque si ritenevano violati gli articoli 36 e 38 costituzione. La corte dice che il trattamento di quiescenza, così come la retribuzione di cui lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto. Il principio solidaristo deve convinvere con quello della proporzionalità assicurativo Il principio solidaristico e quello della proporzionalità più assicurativo sono due principi che devono in qualche modo concorrere tra di loro e spetta al legislatore determinare le modalità del concorso (quindi i tempi, i modi e le misure della prestazione nel rispetto di tutti i limiti che la costituzione impone, la ragionevolezza, la razionalità, i vincoli di bilancio). Le prestazioni pensionistiche vanno rivalutate e adattate in base al costo della vita Il principio di adeguatezza richiede che presupponga la necessità di rivalutare periodicamente le prestazioni, in particolar modo le prestazioni pensionistiche, che dunque devono tener conto del fatto che se il costo della vita varia la pensione liquidata oggi non sarà uguale alla pensione versata fra 10 anni. Lezione del 20/03/2017 Modalità di finanziamento del sistema previdenziale Finanziamenti ordinari e straordinari del sistema previdenziale Il sistema di finanziamento del sistema previdenziale è di natura mista. Da un lato abbiamo una parte del finanziamento garantita dallo stato, dall’altra una parte importante del finanziamento garantito dalle categoria che versano i contributi (datori di lavoro e lavoratori). Come interviene lo stato: interviene in via ordinaria, attraverso trasferimenti di bilancio che lo stato effettua a favore degli enti previdenziali. Somme stanziate nelle leggi finanziarie e destinate al finanziamento della previdenza sociale. Lo stato finanza soprattutto una gestione in particolare, cioè la gestione c.d. GIAS (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno). Sono a carico di questa gestione tutte le prestazioni di natura più assistenziale solidaristico (assegno sociale, una parte delle pensioni, tutte le spese riconducibili alla c.d. fiscalizzazione degli oneri sociali, vale a dire la contribuzione che non viene versata. Ancora sgravi contributivi di vario tipo). Interviene in via straordinaria, e garantito sempre dallo stato nel momento in cui vi siano esigenze impreviste che si rendano necessarie per coprire il divario tra le entrate contributive che arrivano via via grazie ai versamenti contabili e le spese per le prestazioni. Il nostro sistema è un sistema a ripartizione, quindi ciò che entra come versamento contributivo serve a pagare ciò che esce come prestazioni previdenziali, e quindi qualora ci sia una differenza tra ciò che entra e ciò che esce e ciò non sia già stato previsto con un intervento in via ordinaria, lo stato in via straordinaria copre questo divario attraverso anticipazione di tesoreria. Centrale è il versamento delle categorie interessate che si realizza attraverso il versamento dei c.d. contributi obbligatori. I soggetti che versano i contributi sono di norma i datori di lavoro, ma in relazione al finanziamento di alcune forme di assicurazione anche i lavoratori che poi saranno beneficiari di quelle prestazioni. Modalità di finanziamento in base al tipo di rapporto di lavoro La situazione può cambiare a seconda del tipo di rapporto di lavoro di cui si sta parlando e anche del tipo di assicurazione al cui finanziamento si sta contribuendo: Rapporto di lavoro subordinato i lavoratori concorreranno in parte al finanziamento di alcune voci assicurate (ad esempio IVS) I Lavoratori autonomi saranno loro stessi responsabili del versamento Concorso dei clienti che in minima parte versano contributi al fine di finanziare determinate forme di assicurazione che garantiscono prestazioni ai lavoratori autonomi Lavoro parasubordinato. Qui il lavoratore contribuisce in parte al finanziamento della propria previdenza in determinati ambiti in concorrenza con i propri committenti (datori di lavoro). Cosa ci dice l'articolo 2115 della Cost. [Articolo 2115 codice civile] = Salvo diverse disposizioni della legge, l’imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza. L’imprenditore è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte che è a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. E’ nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza. Prestazioni a carico del datore di lavoro Il codice civile 2115 ci dice che in linea di massima nel rapporto di lavoro subordinato l’obbligazione è ripartita tra lavoratore e datore di lavoro, ma anche che il responsabile dell’adempimento anche per la parte a carico del lavoratore è il datore di lavoro (il datore di lavoro trattiene dalla retribuzione del dipendente una quota volta a finanziare determinate voci assicurative ed è lo stesso datore di lavoro che è responsabile del versamento per intero). Vi sono casi, ad esempio l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in cui obbligati alla contribuzione sono solo i datori di lavoro nel rapporto di lavoro subordinato (se il rapporto di lavoro autonomo sono gli stessi lavoratori). Natura assicurativa, anima solidaristica, principio dell'automaticità delle prestazioni Prima questione in relazione alla natura dei contributi previdenziali. Sotto questo profilo si sono confrontate diverse letture nel corso degli anni. Una prima lettura vede la natura dei contributi previdenziali come assicurativa, ovvero legge i contributi previdenziali come premi assicurativi da versare per finanziare la prestazione. Questa concezione assicurativa ancorata al passato si scontra con l’anima solidaristica del nostro sistema giuridico previdenziale e anche con il principio dell’automaticità delle prestazioni. Concezione di stampo retributivo e concezione tributarista Una ulteriore lettura data in relazione alla natura dei contributi previdenziali è una concezione di stampo retributivo. Secondo questa concezione i contributi altro non sarebbero che una parte di retribuzione accantonata per garantirsi i bisogni futuri, le varie prestazioni da ricevere in situazione di bisogno. Anche questa si scontra con il sistema complessivo che ha fatto nascere la concezione tributarista. Secondo questa concezione i contributi previdenziali non si differenziano dai versamenti di natura fiscale. Si tratterebbe di tributi imposti dalla legge a favore di un ente pubblico previdenziale affiche quell’ente realizzi un interesse di natura pubblica. Questa concezione tributarista si lega alla funzione dei contributi previdenziali che è quella di garantire agli enti previdenziali i mezzi finanziari necessari a realizzare i compiti che lo stato ha loro attribuito per adempiere ai compiti costituzionalmente imposti, in primis dall’articolo 38 costituzione. La Valenza Tributaria Questo aspetto è rilevante perché i contributi sono finalizzati innanzitutto a realizzare un interesse di ordine generale, prima ancora che a realizzare l’interesse puntuale del singolo che ha diritto alla prestazione. Questa funzione è collegata al carattere obbligatorio dei contributi. E’ per questo motivo che i contributi assumono valenza tributaria, e quindi la volontà di realizzare un interesse pubblico e generale. Il rapporto contributivo Rapporto contributivo = Il rapporto contributivo ha ad oggetto l’obbligazione contributiva (il versamento della contribuzione) ma ha anche alcuni obblighi accessori. E’ quel rapporto che mette in collegamento l’ente previdenziale con il soggetto che è tenuto alla contribuzione che non sempre coincide con il soggetto beneficiario. Non bisogna pensare ne al datore di lavoro e basta, ne al lavoratore e basta in quanto a seconda della tipologia di rapporto di lavoro e a seconda di tipologia di assicurazione di cui stiamo parlando le cose cambiano. Condizioni che portano al sorgere della contribuzione obbligatoria La contribuzione è obbligatoria e l’obbligo di pagare i contributi sorge per legis immediatamente al verificarsi delle condizioni stabilite dalla legge (condizioni di assicurabilità), in particolar modo sorge quando: viene concluso un contratto di lavoro subordinato; nel caso di rapporto di lavoro autonomo sorge non appena inizia l’attività lavorativa autonoma; per le libere professioni l’iscrizione ad un albo professionale fa scattare l’obbligo contributivo, ma in alcuni casi l’obbligo contributivo scatta solo al raggiungimento di una certa soglia di reddito. Dunque se il reddito è molto basso si possono anche non versare i contributi, il che significa che non si maturano i diritti conseguenti. L'estinzione del rapporto contributivo L’obbligo contributivo si estingue: nel momento in cui vengono meno le condizioni di assicurabilità, ovvero il rapporto di lavoro si estingue (il lavoratore si dimette o viene licenziato o il lavoratore autonomo cessa la sua attività lavorativa) anche per prescrizione. Si prescrive in 5 anni. Il sostituto d'imposta Esistono degli obblighi accessori in capo alle parti, obblighi determinati dalla legge e che sono diversi a seconda che si tratti del soggetto tenuto alla contribuzione ovvero dell’ente previdenziale. Con riferimento al soggetto tenuto alla contribuzione vi è una attività molto rilevante da fare in relazione alla denuncia che il datore di lavoro deve effettuare in relazione ai suoi dipendenti, alle retribuzioni che i suoi dipendenti ricevono, alla specificazione delle attività che eseguono. Grazie a tutta questa mole di informazioni che il soggetto tenuto alla contribuzione, in particolar modo il datore di lavoro nel rapporto di lavoro subordinato, deve dare all’ente previdenziale in modo tale che questo sia in grado di calcolare il quantum della obbligazione contributiva. Il datore di lavoro deve agire come c.d. sostituto d’imposta. Altro suo obbligo importate è quello di trattenere la quota dalla retribuzione se esiste l’obbligo di versamento anche in carico al lavoratore e di versarla. Anche l’ente previdenziale ha obblighi di tipo accessorio, deve occuparsi della corretta amministrazione dei versamenti. In particolar modo deve verificare la regolarità dell’afflusso dei versamenti stessi e quindi controllare che chi è obbligato a versare i contributi lo faccia e in caso contrario agire per obbligare a farlo. Il DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) Un altro aspetto importante è che la regolarità contributiva viene attestata da un documento, il c.d. DURC oppure DURC Online (Documento Unico di Regolarità Contributiva). Il DURC è un certificato che attesta la regolarità contributiva di una impresa, non solo nei confronti dell’INPS ma anche dell’INAIL e nei confronti delle c.d. “Casse Edili” che sono delle casse previdenziali relative al settore dell’edilizia. Le imprese possono richiedere una certificazione unica ad uno degli enti (INPS o INAIL o alle CASS EDILI) anziché tre certificati. Da parecchio tempo la regolarità contributiva, e quindi la certificazione rilasciata è necessaria per tutta una serie di aspetti che alle imprese interessano. Ad esempio per poter partecipare a gare di appalto di opere e servizi e forniture. Questa procedura ha realizzato una maggiore regolarità. Nel 2015 le entrate contributive sono salite del 12% ma l’economia era più o meno cresciuta dell’1% e la crescita occupazionale del 1%. Rapporto tra l'ammontare dell'assicurazione e il rischio del lavoro svolto Solo una tipologia di contributo presenta la caratteristica di essere determinata anche in relazione al rischio connesso al singolo rapporto di lavoro, ovvero il contributo che finanzia Nel 1997 la materia viene risistemata con il D.lgs. n°314/1997 che ha provveduto ad unificare la nozione di retribuzione imponibile a fini fiscali e quella di retribuzione imponibile a fini previdenziali, introducendo una nozione unitaria di reddito rilevante ad entrambi i fini. Il decreto n°314/1997 ha stabilito che per calcolare i contributi previdenziali si applica il TUIR (Testo Unico delle Imposte sul Reddito) del 1986 che è stato modificato nel 1997. Il TUIR prevede che “il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e valori in genere, a qualunque titolo percepito nel periodo d’imposta, in relazione al rapporto di lavoro”. Ha l’obiettivo di rendere imponibile tutto ciò che il lavoratore riceve in relazione al rapporto di lavoro. Stesso schema precedente ma riordinato, perché anche qui abbiamo come unico correttivo la tecnica delle esclusioni “ex lege”. Esclusioni che si differenziano perché alcune esclusioni sono comuni ad entrambe le sotto nozioni, quindi sia al reddito rilevante ai fini fiscali che quello ai fini previdenziali, mentre invece altre esclusioni riguardano solo la nozione di reddito rilevante ai fini previdenziali, ad esempio tutti i servizi e i beni generali (esempio la mensa, trasporto, servizi per i figli, alloggio). E poi ci sono esclusioni che riguardano solo la retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Ad esempio il trattamento di fine rapporto non va a comporre l’imponibile ai fini previdenziali, anche le varie indennità che si ricevono a seguito di transazione o di giudizio a titolo di risarcimento del danno. Anche il salario di produttività, le ultime leggi finanziarie hanno spinto in questa direzione, cercando di aumentare la possibilità di rendere la quota di salario di produttività esente dal imposizione a fini previdenziali. Conseguenze in caso di omessa contribuzione. Omessa contribuzione Le inadempienze in materia contributiva comportano conseguenze di vario tipo. Sanzioni Civili = si impone al soggetto inadempiente di versare i contributi evasi e di pagare gli interessi legali e rivalutazione oltre ad una somma aggiuntiva. Molte condotte omissive che sino agli anni ’80 erano sanzionate penalmente sono state depenalizzate. Da molto tempo vengono solo sanzionate a livello amministrativo attraverso erogazione di sanzioni di natura pecuniaria. Grazie a questo progressivo sfoltimento della rilevanza penale delle omissioni contributive, le sanzioni penali in materia contributiva sono molto ridotte e si riferiscono a ipotesi di evasione contributiva molto rilevante da punto di vista economico e si richiedono anche determinate condizioni, ad esempio il dolo specifico. Un’altra ipotesi rimasta che negli ultimi anni è stata ammorbidita è l’ipotesi in cui il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta, trattenga dalla busta paga la quota dovuta dal lavoratore e poi non lo versi. La legge prevede una certa soglia, circa 10.000€ superata la quale scatta la sanzione penale. In ogni caso si prevede la possibilità di versare il dovuto entro un certo termine e di accordarsi con l’ente previdenziale. Altro discorso è quello della perdita di agevolazioni. Nel momento in cui il soggetto non è regolare dal punto di vista contributivo non può godere di agevolazioni, sgravi, accesso a gare di appalto. Lezione del 21/03/2017 Strumenti che l’ordinamento ha introdotto per garantire l’effettività e l’adeguatezza della tutela previdenziale. I limiti della automaticità delle prestazioni previdenziali [Articolo 2116 c.c. I Comma] - Prestazioni Le prestazioni indicate nell’articolo 2114 (di previdenza e assistenza) sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali. Vi è un allontanamento dai principi assicurativi, in primis dal principio di sinallagmaticità. Io non verso ma ciò nonostante la prestazione viene erogata. Questo principio fondamentale conosce alcuni limiti, innanzi tutto un limite di natura soggettiva. Questo principio nasce con riferimento esclusivamente al tema della materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, ma poi è stato esteso a tutte le forme di tutela. E’ rimasta la particolarità in base alla quale ne può godere solo il lavoratore subordinato e non quello autonomo. Nel momento in cui la figura del soggetto che è obbligato al versamento coincide con quello del soggetto che ha diritto alla prestazione si genera una sorta di esigenza di auto responsabilità che non giustificherebbe l’operatività di questo principio in relazione alla figura del lavoro autonomo. Si pone però la questione di figure diverse dal lavoro autonomo da qualificate come tale, vale a dire i collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co) che hanno natura di lavoratore autonomo ma hanno caratteristiche particolari di prestazione. Anche in relazione al versamento contributivo dei co.co.co. c’è dissociazione tra chi è tenuto al versamento e chi poi è beneficiario della prestazione, perché alla gestione separata si versano contributi che in parte sono a carico del committente e in parte sono a carico del co.co.co., ma obbligato al versamento è il committente esattamente come avviene per il lavoro subordinato. La gestione separata dei contributi: lavoratori co co co La situazione del co.co.co. è particolare, perché da un lato è un lavoratore che comunque va qualificato come lavoratore autonomo ma dall’altro vi è una dissociazione tra soggetto obbligato e soggetto protetto simile a quella prevista per il lavoro subordinato. Questi lavoratori sono obbligatoriamente iscritti dal 1° gennaio 1996 alla gestione separata, ma la contribuzione a questa gestione separata presso l’INPS è posta a carico del committente per 2/3 e per 1/3 dal lavoratore co.co.co., ma l’obbligo versamento è compito esclusivo del committente, quindi vi è sostanzialmente una similitudine con il lavoratore subordinato. Nonostante questa analogia l’INPS ha una posizione di chiusura. Ritiene che non possa operare questo principio. La giurisprudenza ha tentato di percorrere una strada diversa e allargare lì operatività di questo principio anche a queste figure, ma la situazione ancora aperta in quanto vi sono posizioni giurisprudenziali differenti. Indennità per maternità e paternità per i lavoratori co co co L’erogazione delle indennità di maternità e paternità in favore dei lavoratori e delle lavoratrici iscritte alla gestione separata sono subordinate all’accredito effettivo di almeno tre mensilità di contribuzione nell’anno precedente l’inizio del periodo indennizzabile. Questo vuol dire che se la lavoratrice partorisce oggi, marzo 2017, deve avere almeno dal marzo 2016 al marzo 2017 versato tre mensilità di contribuzione, altrimenti non ha diritto all’assegno di maternità. L’Articolo 64 del testo unico in tema di paternità e maternità ci dice = “I lavoratori e le lavoratrici iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritti ad altre forme obbligatorie, hanno diritto all'indennità di maternità anche in caso di mancato versamento alla gestione dei relativi contributi previdenziali da parte del committente.” Questo significa che nei confronti di questa specifica situazione opera il principio di automaticità delle prestazioni. In questo caso il legislatore è intervenuto con una norma specifica ad hoc che rende applicabile alle lavoratrici iscritte alla gestione separata il principio di automaticità delle prestazioni ai fini del godimento dell'assegno di maternità. Chiaramente solo nei confronti dei soggetti Co.Co.Co. che hanno la somiglianza con i lavoratori subordinati. I contributi sono soggetti a prescrizione L’altra limitazione al principio di operatività delle prestazioni previdenziali che viene in rilievo è un limite di natura temporale. Il meccanismo dell’automaticità delle prestazioni previdenziali in relazione all’assicurazione IVS (Invalidità Vecchiaia e Superstiti) opera per i contributi effettivamente non versati ma che non siano ancora prescritti. Il termine di prescrizione è quinquennale dal 1995, in precedenza decennale. Strumenti in caso di omissione delle contribuzione. Principio della irrecivibilità dei contributi prescritti In materia previdenziale, in deroga al diritto comune, non opera l’articolo 2937 C.C. vale a dire quella norma codicistica che prevede che si possa rinunciare agli effetti della prescrizione da parte del soggetto che avrebbe interesse a farla valere. Anche se l'azienda volesse non potrebbe regolarizzare i contributi arretrati, una volta ricorsa la prescrizione, versandoli in ritardo. Non potrebbe neanche volendo avvalersi del principio di rinunciare alla prescrizione perché nel diritto previdenziale vige il principio del c.d. della irricevibilità dei contributi prescritti. Non è prevista per l’azienda la possibilità di sanare attraverso un versamento semplice ritardato della prescrizione questa situazione, rinunciando a fare valere la prescrizione. Anni '60 e '70: Il meccanismo delle “marchette” e la prescrizione decennale dei contributi Vi sono una serie di strumenti che possono ovviare alla situazione. Via via il problema della prescrizione dei contributi non versati con il passare degli anni, grazie alla informatizzazione e a tutti gli strumenti innovativi che ci fornisce la tecnologia, è andato diminuendo. Negli anni ’60 e ’70 vigeva un meccanismo di versamento dei contributi in taluni casi molto inadeguato. Venivano incollati come delle sorte di marche da bollo i contributi su schede fornite dall'INPS, dunque le irregolarità erano molto frequenti e i lavoratori si accorgevano delle irregolarità quando era troppo tardi, quando era già decorso il termine prescrizionale di 10 anni. Le varianti e relative soluzioni alle omissioni contributive contributive Per ovviare a questi problemi si era stabilito l'obbligo dell'INPS di inviare o comunicare ai lavoratori il c.d. “Estratto Conto Contributivo”, emesso dal “casellario centrale delle posizioni previdenziali attive” (già studiato alle pagine precedenti), al fine di consentire ai lavoratori di controllare costantemente la propria situazione, denunciare eventuali omissioni contributive, anche come dovere di collaborazione con l'ente previdenziale stesso e prevedendo analoghi compiti informativi in capo al datore di lavoro, quindi obbligare costantemente a fornire informazioni in modo da permettere ai lavoratori di controllare la propria situazione contributiva. La giurisprudenza aveva riconosciuto la responsabilità degli enti previdenziali sia nel caso in cui avessero comunicato in maniera inadeguata la situazione contributiva ai lavoratori e sia qualora non avessero reagito in maniera adeguata alle denunce presentate dai lavoratori in caso di irregolarità. Procedure concorsuali e nuovo termine di prescrizone Un altro strumento era inoltre rappresentato dal fatto che in taluni casi, e cioè qualora il datore di lavoro inadempiente fossero sottoposti a procedure concorsuali (ad esempio fallimento, amministrazione straordinaria, concordato preventivo) in tal caso la situazione è diversa in quanto il limite della prescrizione quinquennale non opera. Il principio di automaticità delle prestazioni, anche se la prescrizione è decorsa, opera. La legge aveva anche stabilito che nel momento in cui il lavoratore denunci l'omissione contributiva, perché ne è venuto a conoscenza in qualche modo, allora il termine di prescrizione si interrompe e inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione. Il rimedio surrogatorio del lavoratore al versamento della quota contributiva L'ordinamento, accanto a questi correttivi per evitare di arrivare alla situazione in cui la prescrizione è decorsa e il principio non opera, ha anche dei rimedi surrogatori. Cioè che cosa succede se comunque la prescrizione decorre e il principio non opera? Vi sono due strade che possono essere percorse, la prima la indica il secondo comma dell’articolo 2116 del codice civile. [Articolo 2116 c.c. II Comma] = Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro. Il lavoratore può agire per chiedere il risarcimento subito a causa dell’omessa contribuzione. L'ordinamento ha introdotto anche un rimedio surrogatorio specifico per la situazione, e cioè il rimedio della c.d. rendita vitalizia, disciplinato dalla legge n°1338/1962 in cui l’articolo 13 disciplina questo rimedio che consiste nella possibilità per il lavoratore di chiedere al giudice la costituzione della rendita vitalizia. Il lavoratore chiederà alla autorità giudiziaria di condannare il datore di lavoro inadempiente di versare una somma di denaro, non limitata alla quota di contribuzione omessa, ma calcolata sulla base di tabelle stilate a livello ministeriale. Versamento di questa quota che comporta la regolarizzazione della posizione assicurativa. La questione è un po' complessa poiché spesso queste questioni di inadempienza contributiva sono legate a casi di aziende che non esistono più, quindi spesso ci si trova di fronte all’impossibilità concreta di condannare questi soggetti al risarcimento di queste somme. La legge stessa prevede la possibilità per il lavoratore di sostituirsi al datore di lavoro e di versare in prima persona questa somma di denaro. Seguendo una certa procedura in quanto dovrà chiedere prima al datore di lavoro inadempiente di versare la quota, ma a fronte di una inerzia del datore di lavoro inadempiente potrà versarla lui, fatto salvo il diritto del lavoratore a chiedere il risarcimento del danno. L'unica condizione che la legge pone è la prova scritta della sussistenza di quel rapporto di lavoro nel periodo controverso. Il rimedio surrogatorio per i lavoratori co co co situazione. Il governo con il d.l. n°65/2015 prevede che per il biennio 2012/2013 la perequazione venga riconosciuta nella misura del: 40% per le pensioni che sono superiori a 3 volte il trattamento minimo e inferiori a 4 volte; 20% per le pensioni che si collocano tra le 4 e le 5 volte; 10% per le pensioni inferiori a 6 volte. tutto ciò che si colloca oltre non avranno rivalutazione. All’interno del decreto legge vi è un riconoscimento di una parziale rivalutazione che ha previsto “una tantum” che avrebbe dovuto compensare il sacrificio subito, prevedendo un meccanismo che avrebbe dovuto tamponare la situazione in previsione della sentenza della Corte Costituzionale. Secondo molti giudici di merito che si sono trovati a dover decidere in giudizio situazioni che erano stato sottoposte loro in merito alla legittimità dell’operazione del blocco, questi hanno nuovamente rinviato alla corte costituzionale la palla. Il primo invio risale al gennaio 2016 da parte del tribunale di Palermo che hanno nuovamente chiesto alla corte costituzionale se il regime introdotto dal d.l. n°65/2015 per rispondere alla sentenza n°70/2015 sia adeguata ai parametri costituzionali oppure no. Ricongiunzione e totalizzazione. Istituti della ricongiunzione e della totalizzazione: differenze Terza misura di garanzia dell'adeguatezza ed effettività della prestazione. Sono due strumenti diversi accumunati dal fatto di reagire in maniera diversa ad una situazione uguale. Il nostro sistema previdenziale ha una struttura pluralistica, messo in rilievo quando abbiamo parlato degli enti previdenziali. Abbiamo individuato oltre al regime generale dell’INPS altri regimi, sia su base istituzionale sia su base associativa, e poi ricordato che all’interno dell’INPS ci siano tante gestioni diverse, ciascuna delle quali impermeabile rispetto alle altre. La situazione del lavoratore che abbia contribuito presso diverse gestioni o diversi enti Ogni forma previdenziale è pensata come autosufficiente, impermeabile rispetto alle altre. Questo determina che nel momento in cui si la c.d. mobilità professionale, cioè uno dei possibili transiti da lavoratore autonomo a subordinato ecc.., allora la posizione del lavoratore che ha contribuito presso diverse gestioni o diversi enti, questa posizione si fraziona perché gli enti o le gestioni non si parlano e il rischio è quello che il lavoratore non maturi in nessuno dei fondi presso cui ha contribuito il requisito contributivo minimo per accedere alle prestazioni, in primis quelle pensionistiche quindi quelle che determinano la necessità di avere una certa anzianità contributiva per godere delle prestazioni. La domanda che l'ordinamento si è posto è se in mancanza di strumenti e meccanismi che colleghino le diverse gestioni e che quindi consentano che questo frazionamento venga ricomposto, ci si chiede se la garanzia costituzionale di prestazioni adeguate che troviamo scritta all’articolo 38 II comma Costituzione sia rispettata. In questo caso abbiamo le c.d. anzianità contributive pluri-regime. Vi sono fondamentalmente due meccanismi che fungono da riunificazione per permettere il come cumulo dei contributi frammentati. A seconda che il cumulo sia materiale o virtuale, lo strumento cambia: – quando i singoli rapporti contributivi che il soggetto ha versato vengo trasferiti materialmente, quindi si spostano da un regime ad un altro in modo tale che nel regime di confluenza finale si assommi la totalità dei versamenti, in questo caso abbiamo la ricongiunzione materiale dei fondi; – se il trasferimento dei contributi non è materiale ma virtuale allora ricadiamo nella seconda ipotesi, cioè quella della totalizzazione dei periodi contributivi, grazie alla quale i periodi di assicurazione ai fini pensionistici che il lavoratore ha maturato nei vari regimi presso cui ha versato, vengono considerati in maniera unitaria e quindi totalizzati. Tutti i contributi rimangono nel fondo presso cui sono stati versati, con la differenza che poi alla fine quando si tratterà di fare un conteggio, dovrò tenere conto di tutti i versamenti. Il lavoratore può scegliere, la totalizzazione è completamente gratuita, la ricongiunzione no. Vi sono delle situazioni in cui il lavoratore può avere interesse ad optare la ricongiunzione, ad esempio il regime o delle condizioni di pensionamento oppure della misura della prestazione è più favorevole alla ricongiunzione. Duplice funzione della ricongiunzione La funzione della ricongiunzione è duplice, perché come la totalizzazione ha l'obiettivo di ricomporre la frammentazione ma persegue un obiettivo di secondo livello che è quello della massimizzazione dei rendimenti. Dietro alla scelta della ricongiunzione c'è un interesse economico nella misura della prestazione. Legge n°29/1979: modalità del trattamento del lavoratore La ricongiunzione è stata disciplinata con la Legge n°29/1979 che ha previsto che la ricongiunzione, qualora il lavoratore la chieda, comporta il trasferimento materiale effettivo dei contributi da una gestione all’altra e determina l’obbligo del regime di confluenza finale di trattare il lavoratore come se avesse contribuito presso quella gestione per tutto il periodo considerato. Il fatto che il suo cumulo derivi da una ricongiunzione è irrilevante, il lavoratore deve essere trattato come se non si fosse mai spostato da quel regime. Il trasferimento materiale comporta un costo. Le condizioni della ricongiunzione sono cambiate. Prima dell’entrata in vigore della legge n°122/2010 il trasferimento era gratuito se il lavoratore chiedeva di accentrare tutti i suoi contributi presso il regime generale gestito dall'INPS. Era invece oneroso al contrario, quindi se invece un soggetto voleva accentrare tutti i suoi contributi presso un regime speciale, allora vi era un certo onere da versare. Con l’entrata in vigore della legge n°122/2010 anche la ricongiunzione che prima era gratuita è diventata onerosa. Oggi la ricongiunzione è sostanzialmente quasi sempre onerosa. Lezione del 27/03/2017 Ricapitolando: definizione strumento della ricongiunzione e strumento della totalizzazione Ricongiunzione = strumento che il legislatore aveva individuato per ricomporre l’anzianità contributive in caso di versamenti di contributi da parte di lavoratori con carriere frammentate presso regimi diversi. La principale difficoltà era la sua onerosità, cioè il fatto che il meccanismo fosse in molti casi oneroso. Nel 2010 il legislatore decide di rendere sempre onerosa la ricongiunzione, anche se la situazione in cui si richiede è di accentramento presso il regime generale . L'istituto del cumulo contributivo o del cumulo a domanda Il legislatore con la legge di stabilità del 2013 rivede la scelta di rendere la ricongiunzione sempre onerosa e in sostanza ritorna la situazione pre-2010. Sempre con la stessa legge viene introdotto un nuovo istituto non oneroso (cumulo contributivo o cumulo a domanda). Questo istituto è importante perché permette di mettere insieme tutte le contribuzioni versate. Diventa importante perché i limiti originari del cumulo (esempio che si potesse ottenere solo la pensione di vecchiaia e non di anzianità, il fatto che un libero professionista non potesse far computare i contributi versati nella cassa della libera professione). Questi limiti superati con la legge di stabilità 2017. Agli storici strumenti della ricongiunzione e della totalizzazione ne è stato aggiunto uno nuovo che, da ultimo, è stato ulteriormente valorizzato facendo venire meno l’interesse alla totalizzazione. Totalizzazione = A differenza della Ricongiunzione non determina il trasferimento materiale da un regime all’altro dei contributi versati. Si fa al momento del pensionamento un conteggio di tutto ciò che è stato versato nelle varie gestioni e si avrà la liquidazione di una pensione unica da parte dell’INPS, ma composta di tanti spezzoni (se i regimi sono 3 ci saranno 3 spezzoni a carico dei 3 regimi). Lo strumento della totalizzazione ha faticato a trovare disciplina nel nostro ordinamento. Nel corso degli anni, a partire dalla fine degli anni ’60, si sono incrociate diverse disposizioni che hanno riguardato categorie specifiche di lavoratori ai quali era concesso utilizzare questo strumento. Una vera e propria generalizzazione è avvenuta solo con il d.lgs n°42/2006 che è ancora oggi la disciplina vigente in materia di totalizzazione. In sostanza può essere richiesta da tutte le categorie di lavoratori (dipendenti, autonomi, iscritti alla gestione separata, liberi professionisti). Mediante lo strumento della totalizzazione si può conseguire non solo la pensione di vecchiaia, ma anche quella di inabilità, la pensione indiretta ai superstiti (figli, moglie o marito) anche se contribuito per 15 anni con un regime solo. L'eliminazione del limite sul versamento contributivo Un elemento che è cambiato nel corso degli anni è quello rispetto al vincolo presente nel 2006 che fissava una anzianità contributiva minima presso le singole gestione al di sotto della quale i versamenti finivano per essere a fondo perduto. Inizialmente questo periodo minimo di anzianità contributiva nella singola gestione assicurativa era fissato in 5 anni (se versavo in una singola gestione contributi per meno di 5 anni li perdevo). Era un vincolo fortissimo, nel 2007 abbassata a 3 anni finché con la riforma delle pensioni introdotta dal governo Monti è stato eliminato questo vincolo. Oggi, a prescindere dall’anzianità contributiva che si matura nella singola gestione, i versamenti contributivi anche di un mese possono essere totalizzati. Limite importante che è venuto meno. La duplice funzione della totalizzazione Inizialmente la totalizzazione veniva assicurata solo a soggetti che non avessero maturato i requisiti minimi per l’ottenimento del pensionamento in una delle varie gestioni in cui avevano contribuito. Importante passo avanti è stato quello di ritenere che la totalizzazione non dovesse solo servire a questo, ma anche al fine di migliorare il rendimento della prestazione e quindi ai fini della possibilità, a prescindere dalle singole situazioni, di accumulare o ricomporre tutti i frammenti con l’obiettivo di massimizzare la prestazione (PARTE II) Studio delle principali componenti del sistema Tre macro temi: la tutela in caso di disoccupazione; la tutela in caso di infortunio sul lavoro e malattie professionali; Pensioni sia pubbliche che integrative. Il JOBS – ACT CHE COS'E' JOBS ACT = In questi mesi si sta parlando molto del Jobs Act e della riforma del lavoro. Se vi state domandando che cos'è il Jobs Act, ve lo spieghiamo in breve. Il Jobs Act è la legge che delega il governo Renzi ad apportare delle riforme nel mondo del lavoro attraverso dei decreti attuativi. Le riforme previste con il Jobs Act coinvolgono temi come lavoro, welfare, pensioni e ammortizzatori sociali. Con il Jobs Act, infatti, sono previste novità nei contratti (che saranno rivisti, riordinati e in alcuni casi prevederanno il demansionamento per i dipendenti), cambiamenti nelle modalità di gestione di alcune tipologie di licenziamenti, riforma degli ammortizzatori sociali (cassa integrazione e trattamento di disoccupazione), e semplificazione dell'applicazione dei contratti di solidarietà. JOBS ACT, COSA PREVEDE? = Venerdì 20 febbraio 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato i primi 2 decreti attuativi del Jobs Act, che introducono il contratto e tempo indeterminato a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori sociali. A partire da marzo 2015, quindi, le aziende potranno assumere con i nuovi contratti a tempo indeterminato Ecco un riassunto delle misure principali previste dai primi decreti attuativi del Jobs Act CONTRATTI STABILI = Sono promossi i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, rendendoli più convenienti per le aziende rispetto ad altri tipi di contratto, in termini di oneri diretti ed indiretti. LICENZIAMENTI E REINTEGRO = Per i nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato con tutele crescenti, il reintegro è previsto solo nel caso di licenziameno discriminatorio e disciplinare se il lavoratore riesce a dimostrare che il motivo apportato dall'azienda per il licenziamento disciplinare non sussiste. Nel caso di licenziamento disciplinare motivato o di licenziamento per motivi economici il reintegro viene sostituito dal solo indennizzo in denaro, che sarà crescente con l'anzianità del dipendente nell'azienda. TRATTAMENTO DI DISOCCUPAZIONE = La durata del trattamento di disoccupazione sarà rapportato alla "storia contributiva" del disoccupato. Vengono introdotte la Naspi, che sostituisce Aspi e mini-Aspi, e la Dis-Coll, indennità di disoccupazione prevista per i collaboratori. in forma telematica al portale nazionale delle politiche del lavoro. Da quel momento hanno origine tutta una serie di attività che vengono rese da questa rete. Contestualmente il lavoratore potrà richiedere il trattamento economico di disoccupazione se possiede i requisiti (NASPI). La tutela diramata contro la disoccupazione su due strade ... Vanno avanti due strade: la richiesta e l'ottenimento del sussidi, in presenza dei requisiti; il patto di servizio personalizzato che il disoccupato stipula con i centri per l'impiego presso cui si presenta e contiene la determinazione di tutti gli atti di ricerca attiva che il lavoratore si impegna a portare avanti, oltre alla dichiarazione di disponibilità a partecipare a iniziative di miglioramento delle competenze, riqualificazione professionale, oltre il vincolo ad accettare le c.d. offerte congrue di lavoro. Requisiti dell'offerta congrua al lavoratore Nel momento in cui il lavoratore rifiutasse un’offerta definita congrua perde il sussidio di disoccupazione. La congruità dell'offerta deve tenere conto di tutta una serie di parametri: coerenza con le competenze ed esperienze professionali del lavoratore; distanza spazio temporale dalla residenza del soggetto; durata della disoccupazione; ammontare retribuzione proposta. Tenendo conto di tutti questi fattori, un’offerta che sarà considerata congrua e se si rifiuta potrà condurre alla perdita dello stato di disoccupato e conseguentemente alla perdita del sussidio. L'assegno individuo di ricollocazione Cosa succede se il lavoratore, nonostante il rispetto del patto di servizio personalizzato, non trova lavoro? Trascorsi 4 mesi dalla registrazione al portale senza aver trovato lavoro ai disoccupati che percepiscono la NASPI è riconosciuto un servizio nuovo, vale a dire l'assegno individuo di ricollocazione che è disciplinato dall'articolo 23 del d.lgs n°150/2015. Nonostante si chiami assegno in realtà non si tratta di una somma di denaro versata al lavoratore ma è un voucher che il lavoratore riceve, che può spendere nei successivi 6 mesi sia presso i centri per l'impiego pubblici ma anche presso servizi privati per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro. Si tratta di una somma di denaro variabile, come se fosse una dote elargita al lavoratore al quale i si rivolge a uno di questi centri, e se questo collocherà utilmente in un posto di lavoro quel lavoratore gli verrà consegnato da lavoratore il voucher e potrà riscuoterlo a copertura di questo servizio fornito ma solo in caso di successo. L'ANPAL ha individuato le modalità operative, l'ammontare dell'assegno e soprattutto le condizioni di pagabilità. In taluni casi una parte del voucher viene comunque riscosso, purché si dimostri di avere attivato tutta una serie di iniziative ma che comunque non hanno avuto successo. Esempio un criterio stabilito è che il valore del voucher viene completamente versato se l'assunzione è a tempo indeterminato mentre se è a tempo determinato ma comunque superiore a sei mesi il valore del voucher viene pagato la metà. Ancora se il contratto a tempo determinato è inferiore a 6 mesi ma il soggetto risiede nel mezzogiorno viene comunque pagato il voucher per la metà. Quali sono gli strumenti che l'ordinamento adotta contro la disoccupazione? erogazione di beni e servizi = sono le varie iniziativa di qualificazione e riqualificazione, i vari servizi di collocamento, tra cui l’assegno individuale di ricollocazione ma anche sgravi e incentivi fiscali e contributivi che vengono introdotti con l'obiettivo di incentivare le assunzioni, soprattutto a tempo indeterminato ma anche di determinate categorie di lavoratori, come i giovani, i NEET, i disabili meritevoli di protezione particolare. prestazioni previdenziali economiche, le c.d. indennità economiche o ammortizzatori sociali. Prestazioni previdenziali economiche. Cassa integrazione ordinaria e straordinaria Se il rapporto di lavoro viene sospeso completamente o viene ridotto l'orario di lavoro entra in gioco una indennità, in presenza di determinate circostanze, che sostenta il lavoratore che si vede ridotta la retribuzione oppure si vede impossibilitato a lavorare. Stiamo parlano delle integrazioni salariali, Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) o Cassa Integrazioni Guadagni Straordinaria (CIGS). Indennità di disoccupazione e indennità di mobilità Se invece la disoccupazione consegue alla cessazione del rapporto di lavoro, allora entravano in gioco una serie di indennità, la principale indennità di disoccupazione ma vi erano accanto ad essa altre prestazioni minori, ad esempio indennità per requisiti ridotti, indennità per i lavoratori edili e altre prestazioni minori. Se la disoccupazione conseguiva ad una cessazione del rapporto ma in virtù di un licenziamento collettivo, allora entrava in campo l’indennità di mobilità. Le imprese che potevano far godere i propri ex dipendenti di questa prestazione coincidevano con quelle imprese che potevano godere dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria. Il fatto che non tutti i lavoratori subordinati potessero godere di queste prestazioni, perché le integrazioni salariali e le indennità di mobilità potevano essere richieste solo da aziende che rientravano in certi settori o con un certo organico, ciò determinava ampie zone di scopertura. Arriviamo dunque all’ultimo strumento, vale a dire gli ammortizzatori sociali in deroga. L'obiettivo del legislatore è stato proprio quello di estendere le misure di sostegno a categorie di lavoratori non coperti da queste indennità, creando questa categoria. Nel tempo è risultata ampliata la platea di soggetti beneficiari di queste prestazioni di sostegno al reddito. Ma nonostante questo ampliamento sono sempre esistiti e tuttora esistono criteri selettivi di accesso a determinate prestazioni, criteri selettivi di tipo dimensionale (grandi e piccole imprese), criteri selettivi di tipo settoriale (distinzione tra diversi settori, industria, commercio, agricoltura), per tipologia di contratto (la tutela della disoccupazione nei confronti di un lavoratore subordinato è diversa da quella di un lavoratore autonomo e anche parasubordinato). Nel caso della tutela contro la disoccupazione è una logica prevalentemente di tipo assicurativo secondo cui l’evento disoccupazione è un rischio contro il quale i soggetti interessati si devono proteggere. Gli ammortizzatori sociali in deroga L’istituto degli ammortizzatori sociali in deroga vuole ovviare queste questioni, ai problemi che scaturiscono dalla natura selettiva delle forme di sostegno, e attraverso questo strumento l’ordinamento previdenziale italiano ha fornito una prima risposta alla crisi del 2008. Nel 2008 quando la crisi finanziaria si fa violenta, l'ordinamento risponde con un uso massiccio degli ammortizzatori sociali in deroga, non solo per coprire i lavoratori scoperti da sempre da queste forme di tutela ma anche per allungare la durata di ammortizzatori sociali tradizionali a soggetti che avrebbero finito di poterne godere ma che vengono rimessi in circolo grazie a leggi in deroga. Il principale problema degli ammortizzatori sociali in deroga è il fatto che ponga in evidenza forti carenze sul piano della equità. Alcuni possono accedervi ed altri no, alcuni godono di un trattamento in misura maggiore altri minore, alcuni per un breve periodo altri per un lungo periodo. Non garantiscono equità perché sono anche gestiti sull'onda dell'emergenza, della necessità di rispondere a esigenze di situazioni emergenziali e a esigenze oggettive di grandi difficoltà. Che cosa succede con la legge Fornero … In considerazione dell'uso massiccio che venne fatto negli anni 2008-2009-2010 di questi ammortizzatori sociali in deroga, viene in evidenza sempre di più che il sistema così non può reggere. La Legge Fornero all'articolo 1 I comma lettera C si poneva di “rendere più efficiente, coerente ed equo l'assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive, in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell'occupabilità delle persone”. Introduce una sorta di riforma degli ammortizzatori sociali. Questa proposta di riforma articolata su due pilastri principali: le tutele che devono essere assicurate in costanza di rapporto di lavoro, quando appunto il rapporto di lavoro si sospende oppure l'orario di lavoro si riduce. Ai tradizionali strumenti della cassa di integrazione ordinaria e straordinaria si affianca uno strumento nuovo, i c.d. fondi di solidarietà che hanno l'obiettivo di portare al graduale azzeramento degli ammortizzatori sociali in deroga perché sono proprio rivolti a tutelare i lavoratori che non sono coperti dalle integrazioni salariali. Rappresenta una sorta di binario parallelo che copre i soggetti che non hanno i requisiti per godere dei trattamenti di integrazione salariale. sostegno in caso di perdita del posto di lavoro. Alla molteplicità delle indennità che erano previste prima (indennità di disoccupazione, indennità delle prestazioni minori, indennità di mobilità) si sostituisce un’indennità principale chiamata ASPI (Assicurazione Sociale per l'Impiego) che sostituisce a partire dal 1° gennaio 2013 l'indennità di disoccupazione ordinaria e altre prestazioni minori e a partire dal 1° gennaio 2017 avrebbe dovuto sostituire l'indennità di mobilità. I decreti dopo la legge Fornero che in continuità hanno ridisciplinato le prestazioni previdenziali I principi e criteri direttivi in costanza del rapporto di lavoro sono: volontà di non autorizzare integrazioni salariali in caso di cessazione di attività aziendale; semplificazione delle procedure burocratiche; accesso alla cassa integrazione solo dopo aver esaurito la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro; ripesamento degli oneri contributivi per finanziare la cassa integrazione, da un lato una complessiva riduzione degli oneri, e dall'altro una loro rimodulazione in funzione dell'utilizzo effettivo delle stesse integrazioni. Dunque una maggiore attenzione rivolta al fatto che più un'azienda utilizza le integrazioni salariali e chiede l'aiuto della cassa integrazione e più sarà tenuto a contribuire. I principi e criteri direttivi in caso di sostegno in caso di disoccupazione: di rimodulare l'ASPI appena introdotta dalla Legge Fornero, con la specifica finalità di collegare la durata del trattamento alla storia contributiva del lavoratore; Una spinta verso l'universalizzazione nel campo di applicazione dell'ASPI e dunque anche una presa in considerazione della figura dei Co.Co.Co.; introdurre dopo il godimento dell'ASPI una prestazione ulteriore per soggetti in una situazione di particolare disagio economico, detta ASLI. Questi criteri direttivi vengo recepiti attraverso alcuni decreti legislativi, i quali hanno subito diverse modifiche nei mesi successivi, e sono state introdotte due strade sulla base dei due pilastri precedenti perché la riforma del Jobs Act si pone in continuità con la Riforma della Legge Fornero. Dunque gli strumenti delle integrazioni salariali e dei fondi di solidarietà oggi sono disciplinati da un decreto legislativo unico (decreto legislativo n°148/2015), mentre gli strumenti di NASPI, DISCOL e ASDI, cioè gli strumenti in caso di perdita del posto di lavoro, sono disciplinati nel decreto n°22/2015. La legge delega n° 183/2014 del Governo Renzi (Jobs Act) Su queste basi interviene, in continuità con questi principi, la legge delega n°183/2014 e a cascata i decreti attuativi di quella legge delega. La legge delega n°183/2014 - persegue una serie di finalità che sono anzitutto quello di assicurare in caso di disoccupazione involontaria tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori; razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale; favorire il coinvolgimento attivo dei soggetti disoccupati nell'ottica della condizionalità e del workfare (modello alternativo al classico welfare state,di natura puramente assistenziale, che consiste piuttosto in politiche di welfare attivo finalizzate ad evitare gli effetti disincentivanti sull'offerta di lavoro che il welfare classico ha di solito prodotto, collegando il trattamento previdenziale allo svolgimento di un'attività di lavoro). Obiettivi che affrontano entrambi i pilastri, quello del sostegno in caso di sospensione del rapporto di lavoro (quindi l'integrazione salariale) e sia del sostegno in caso di cessazione del rapporto lavorativo, ma anche le politiche attive del lavoro. Più nello specifico l'oggetto della delega è espressamente individuato nel riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, pur tenendo conto delle peculiarità nei diversi settori produttivi, quindi un compito impegnativo di cui viene gravato il governo. Questo sulla base di principi e criteri direttivi che sono diversi a seconda che il governo si trovi a ri- disciplinare gli strumenti di tutela in costanza di lavoro, e dunque le integrazioni salariali, oppure si trovi a ri-disciplinare gli strumenti di sostegno in caso di cessazione del rapporto, e quindi di vera e propria disoccupazione (indennità salariali). Un po' di storia: la nascita delle integrazioni salariali Cassa Integrazione Guadagni = è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento non dalla legge ma dalla contrattazione collettiva del settore industriale durante la seconda guerra mondiale perché gli eventi bellici avevano determinato una discontinuità nella produzione industriale e di conseguenza una sospensione o riduzione del lavoro, in particolari periodi o anni di quel periodo, e dunque gli operai del settore industriale hanno ricevuto una prima forma di trattamento di integrazione salariale grazie alla contrattazione collettiva. imprese che operavano solo nel settore industriale. Via via si è ampliato questo requisito e diverse altre realtà produttive sono state incluse nel novero di quelle attività che esercitate dal datore di lavoro potevano dare accesso al trattamento di integrazione salariale, vale a dire le grandi imprese commerciali, le imprese artigiane che fossero sottoposte all'influsso gestionale prevalente di un’impresa che abbia fatto ricorso all'integrazione salariale. Ad esempio se la FIAT a Torino chiede un intervento massiccio dell'integrazione salariale, tutto l'indotto FIAT si blocca. Se non vi fosse questo allargamento, i lavoratori che sono dipendenti delle varie imprese che lavorano solo per FIAT non avrebbero tutela. Se un’impresa lavora in effetti in grande prevalenza per FIAT, sia dunque sottoposta all'influsso gestionale prevalente di un’impresa che ha chiesto l’intervento della cassa integrazione viene inclusa nelle imprese che a loro volta possono chiedere l'intervento della cassa integrazione straordinaria. La Legge Fornero ha innovato su questo fronte allargando il numero e il novero delle imprese che possono richiedere l'intervento sia quello ordinario che quello straordinario, perché ha stabilito che molti settori diversi dai classici potessero aprire le porte a questa richiesta. Ad esempio il settore commerciale con più di 50 dipendenti, le agenzie di viaggio e di turismo con più di 50 dipendenti, le attività di vigilanza con più di 15 dipendenti, le imprese del trasporto aereo. Dunque tutta una serie di realtà considerate bisognose e colpite da necessità di riorganizzazione o da crisi che sono state per questi motivi ricomprese nella sfera di applicazione oggettiva delle integrazioni salariali. Nonostante tutti questi ampliamenti l'accesso rimane selettivo, anche se molto più ampio che in passato. Se un lavoratore non ha l'anzianità lavorativa richiesta e non è dipendente di un impresa che rientra in questo campo di applicazione oggettiva non avrà diritto all'integrazione salariale ancora oggi. Le fasi per la richiesta della cassa integrazione La procedura affinché la cassa integrazione possa essere operativa nei confronti di un'azienda, si articola in due fasi: fase sindacale, l'impresa deve comunicare preventivamente alle rappresentanze sindacali d'azienda l'apertura di un procedimento di questo tipo e, se le rappresentanze sindacali di azienda lo richiedono, effettuare un esame congiunto con le stesse; fase amministrativa della procedura, si svolge a livello locale se l'intervento richiesto sia di tipo ordinario, mentre si svolge a livello nazionale, presso il Ministero del Lavoro, se l'intervento richiesto sia di tipo straordinario. La domanda di integrazione salariale di regola viene accolta ma vi è comunque una procedura abbastanza lenta e farraginosa che cambia a seconda che l'intervento richiesto sia di tipo ordinario o straordinario e che poi culmina con un provvedimento amministrativo che concede o rifiuta il trattamento stesso. Durata dell'integrazioni salariali (ordinarie e straordinarie) e divieto di cumulo L’obiettivo del legislatore è quello di contenere nel tempo i trattamenti di integrazione salariale. Questo è stato fatto limitando la durata della prestazione pur restando la questione della durata uno dei punti dolenti della disciplina. L’integrazione salariale ordinaria può essere concessa per un periodo massimo di 3 mesi continuativi che possono essere prorogati di trimestre in trimestre sino a un massimo di 12 mesi. L’integrazione salariale straordinaria ha una durata più lunga e che varia a seconda delle causa che l’hanno provocata. Il periodo classico di durata è di 2 anni e sino ad un massimo di 4. E’ previsto un limite anche cumulativo degli interventi di integrazione ordinaria e straordinaria, salvo deroghe l’impresa che ha già fruito di un trattamento di integrazione salariale ordinaria dovrà rispettare, nel momento in cui chieda un intervento dell’integrazione straordinaria, anche un limite cumulativo tra i due e i tre anni, questo per evitare che le imprese prima utilizzo uno strumento e poi l’altro. Le modalità di finanziamento per le integrazioni salariali Un discorso collegato all’obiettivo di contenere il trattamento di integrazione salariale e contenere l’uso che le imprese facciano di questo strumento è legato alla modalità di finanziamento della cassa integrazione. Progressivamente è aumentato il carico sulle imprese con la finalità di finanziare gli interventi di cassa. La cassa integrazione ordinaria è finanziata da un contributo a carico delle imprese e calcolato in percentuale rispetto alle retribuzioni che le imprese versano ai propri dipendenti, mentre la cassa integrazione straordinaria è posta sia a carico del bilancio dello stato sia a carico delle imprese e dei stessi lavoratori, 2/3 a carico del datore e 1/3 a carico del lavoratore. In ogni caso è previsto sia per il finanziamento della cassa ordinaria che di quella straordinaria un contributo c.d. addizionale a carico delle imprese che in concreto utilizzino quello strumento, e calcolato in base all’effettivo utilizzo del trattamento stesso ed è crescente nel tempo. Tanto più un impresa utilizza le integrazioni salariali, tanto maggiore è il contributo addizionale che deve versare. Calcolo della prestazione di integrazione salariale La prestazione è calcolata sulla base dell’80% della retribuzione del lavoratore per le ore di lavoro non prestate. L’80% non è reale perché è calmierato da un tetto, da un massimale che viene rivalutato ogni anno e che non può essere superato. I massimali sono due e variano a seconda della retribuzione. Vi è un massimale che è applicabile alle retribuzioni che non superino la soglia di 2.100€ ed un massimale che invece è applicabile alle retribuzioni maggiori. Anche questo è una modalità che il legislatore ha perseguito per contenere la spesa dell’integrazioni salariali. Alla prestazione economica si aggiunge l’accredito di contribuzione figurativa per il periodo di godimento, quindi non si avrà un buco contributivo durante il periodo di sospensione o riduzione del lavoro ma si avrà un accredito figurativo a carico della fiscalità generale che coprirà il periodo. Ammortizzatori Sociali in Deroga XXI secolo: La nascita degli ammortizzatori sociali in deroga Gli ammortizzatori sociali in deroga sono uno strumento che il legislatore ha utilizzato per risolvere il problema dei criteri selettivi di accesso all’integrazioni salariali. Non tutte le imprese sono coperte dall’intervento dell’integrazione salariale. All’inizio del XXI secolo sono diventate sempre più comuni le disposizioni contenute per lo più nelle leggi finanziarie che affidavano direttamente alla discrezionalità della scelta dei ministeri del lavoro e dell’economia la possibilità di concedere attraverso propri decreti trattamenti in deroga alla normativa vigente, a fronte di situazioni particolarmente delicate caratterizzate da eccedenze di personale o da crisi di vario tipo. In presenza di situazioni di riduzione delle attività produttiva importanti vi erano una concertazione a livello ministeriale e potevano essere concessi trattamenti derogativi. Le caratteristiche di questi trattamenti in deroga, erano innanzitutto finanziati completamente dallo stato, non vi era alcuna contribuzione delle imprese o dai lavoratori e le risorse che lo stato ha utilizzato in questi anni per finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga sono davvero ingenti proprio con l’obiettivo di estendere a soggetti scoperti le misure di sostegno al reddito. Il quadro che si è andato formando era quanto più caotico, frammentato, iniquo, scoordinato possibile. Questi strumenti hanno permesso al sistema di reggere e a tutte le persone di avere un sostentamento economico. I fondi di solidarietà bilaterale L’idea che prese piede nel periodo subito precedente all’approvazione della legge Fornero fu quella di istituire i c.d. fondi di solidarietà bilaterale. In sostanza la legge Fornero prima e i decreti attuativi del Jobs Act poi stabiliscono l’istituzione di questi fondi sulla base di accordi collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale nei vari settori. La caratteristica di quesiti fondi risiede nel fatto che il loro finanziamento è completamente a carico delle parti interessati, datore di lavoro e lavoratori, fondamento mutualistico puro, non c’è intervento dello stato. Con il passare degli anni sono stati conclusi diversi contratti collettivi che hanno istituito questi fondi di solidarietà bilaterale. La loro istituzione è obbligatoria per dare copertura ai lavoratori dipendenti di imprese con organico sopra i 5 dipendenti. Questi fondi hanno coperto queste situazioni che prima non erano coperte se non con l’intervento di ammortizzatori sociali in deroga. FIS: Fondo di Integrazione Salariale residuale Il legislatore ha fissato una soglia temporale entro la quale le parti sociali avrebbero dovuto istituire i fondi di solidarietà bilaterale. In molto settori questi fondi sono stati istituiti, ma la legislazione ha previsto che nei settori, in cui non fosse stato, entro il termine previsto, costituito un fondo bilaterale vi era comunque la copertura garantita presso il c.d. Fondo di Integrazione Salariale (FIS) istituito presso l’INPS, una sorta di fondo di solidarietà residuale che va a coprire le situazioni che non hanno alle spalle un proprio fondo di solidarietà bilaterale. La singola azienda che appartenga ad un settore che non ha dato l’avvio ad un fondo di solidarietà bilaterale avrà comunque l’obbligo di contribuire al c.d. FIS residuale istituito presso l’INPS, in questo modo tutti i lavoratori di imprese con organico sotto i 5 dipendenti avranno un forma di tutela in caso di riduzione dell’orario o sospensione del rapporto di lavoro. Tutti questi strumenti sono volti a fornire tutela a situazioni di mancato lavoro in costanza del rapporto di lavoro, in situazioni in cui i lavoratori non hanno perso il lavoro ma sono in una sorta di sospensione del rapporto. I pilastri del sistema previdenziale che coprono questo rischio sono due, oltre a questo vi è anche la necessità di sostenere finanziariamente i lavoratori che perdono il posto di lavoro. La nostra Costituzione all’articolo 38 II comma parla di disoccupazione e qualifica questo evento aggiungendo l’aggettivo involontaria. Significa determinata dal datore di lavoro e non dal lavoratore, quindi dovrebbe coprire tutte le situazioni per le quali il rapporto cessa per volontà del datore di lavoro. Diritto alle prestazioni di disoccupazione in caso dimissioni Dunque questo istituto non si avrebbe nel momento in cui il rapporto di lavoro cessi per dimissioni. Le dimissioni per giusta causa? La legge n°448/1998 ha escluso il diritto alle prestazioni di disoccupazioni in caso di dimissioni, ma non ha specificato nulla nel caso di dimissione per giusta causa, quindi nelle ipotesi di mobbing, trasferimento di impresa, mancata retribuzione. Queste ipotesi legittimano il lavoratore a dimettersi per giusta causa. E’ importante per il lavoratore qualificare la dimissione per giusta causa perché cambia non deve dare il preavviso e ha diritto a ricevere il corrispondente del preavviso. E’ intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n°269/2002. La corte ci dice che quella disposizione che parla solo di dimissioni, senza qualificarle, deve essere interpretata nel senso che non include le dimissioni per giusta causa le quali sono imputabili al datore di lavoro e quindi non rientrano in quella disposizioni. La disposizione censurata non può essere interpretata come tale da impedire che un lavoratore dimessosi per giusta causa possa beneficiare della prestazione. Nel decreto attuativo del Jobs Act n°22/2015 all’articolo 3, questa posizione della corte costituzionale è diventata legge. [Articolo 3] - Requisiti La NASpI è riconosciuta anche ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dall'articolo 1, comma 40, della legge n. 92 del 2012. Calcolo del costo contributivo (contribuzione ordinaria e maggiorata) per le prestazioni di disoccupazione Il finanziamento delle prestazioni di disoccupazione è a carico dei soli datori di lavoro e non dei lavoratori. La contribuzione che le aziende devono versare è duplice e cambiata nel corso del tempo. Si distingue tra una contribuzione ordinaria e una contribuzione maggiorata. L’ordinaria è parti all’1,3% della retribuzione imponibile di ciascun lavoratore assunto a tempo indeterminato. In aggiunta a questa contribuzione ordinaria e prevista una maggiorazione contributiva che viene versata solo in presenza di assunzioni a termine, pari all’1,4% della retribuzione imponibile. Questo versamento aggiuntivo è escluso per la presenza di alcune tipologie di contratto a termine, per esempio i lavoratori stagionali e anche i lavoratori assunti per motivi sostitutivi. In tutti gli altri casi il lavoratore che viene assunto a termine può comportare come costo contributivo per finanziare le prestazioni di disoccupazione un contributo pari al 2,7% (1,3% + 1,4%). Il legislatore in una logica di incentivo alla stabilizzazione dei rapporti a termine ha previsto che vengano restituite in parte queste contribuzioni addizionali nel momento in cui il contratto a termine venga trasformato in un contratto a tempo indeterminato. “Tassa sul licenziamento” E’ previsto un’ulteriore forma di finanziamento dell’ASPI che viene chiamato “tassa sul licenziamento” che prevede l’obbligo per il datore di lavoro di versare una contribuzione specifica nel caso in cui licenzi un proprio dipendente. Questo contributo non vi è nel caso di dimissione. Soggetti protetti e non: NASPI E DIS - COLL I soggetti protetti sono cambiati nel corso degli anni. In linea di massima sono destinatari di questa prestazione tutti i lavoratori subordinati, senza distinzione di qualifica, che abbiano i requisiti determinati dalla legge. Originariamente una classica categoria di lavoratori che venivano esclusi dalla possibilità di vedersi erogare una prestazione di disoccupazione erano gli apprendisti. Questa categoria già nel 2009 è stata ricompresa in via temporanea ed oggi vengono coperti in pieno e in via Requisiti di accesso alla DIS - COLL Con il decreto legislativo attuativo del Jobs Act che ha disciplinato la NASPI viene prevista la c.d. “DIS-COLL.” I destinatari della DIS-COLL sono: Soggetti Co.Co.Co. che hanno involontariamente perso la propria occupazione e che però devono essere iscritti in via esclusiva alla gestione separata; Non possono essere pensionati; Devono essere privi di partita IVA. Si tratta quindi di quei co.co.co che, attraverso questo tipo di occupazione, hanno il principale se non unica forma di sostentamento. La legge fissa alcuni requisisti contributivi (congiunti) per poter accedere la prestazione: Devono aver maturato almeno 3 mesi di contribuzione nell’anno precedente la disoccupazione Almeno 1 mese di contribuzione nell’anno della disoccupazione. Questa indennità viene corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione che sono stati accreditati nell’anno precedente. In ogni caso, al massimo verrà erogata per 6 mesi. Una caratteristica negativa della DIS-COLL riguarda il fatto che non è previsto l’accredito della contribuzione figurativa. Il co.co.co. avrà una prestazione nella misura vagamente simile rispetto alla propria contribuzione, alla NASPI, ma rispetto alla NASPI non vi sarà accredito di configurazione figurativa. ASDI – Assegno di disoccupazione Funzione e soggetti aventi diritto Forma di tutela importate perché rappresenta una innovazione per il nostro ordinamento. E' una forma di tutela di natura assistenziale, non vi è alcuna contribuzione versata per finanziare l'ASDI che è interamente finanziata dalla fiscalità generale. L’obiettivo dell'ASDI è quello di fornire un sostegno al reddito a coloro che abbiano esaurito i sussidi di disoccupazione senza trovare lavoro e versino in condizioni di disagio economico. Si tratta di un istituto sperimentale, la cui sperimentazione è stata prorogata sino al 2019. La caratteristica negativa che ha fatto dubitare della natura assistenziale di questa misura è collegata ai soggetti destinatari di questo istituto: sono destinatari i soggetti che hanno già beneficiario della NASPI, che hanno già esaurito il tempo a loro concesso di erogazione della NASPI, ma si trovano ancora senza occupazione. Non spetta ad esempio al soggetto disoccupato che non ha mai lavorato e non può quindi usufruire della NASPI e di conseguenza neanche dell'ASDI; stesso discorso per il Co.Co.Co. che ha diritto alla DIS-COLL e non alla NASPI, si tratta quindi di una platea già selezionata. il Decreto ministeriale ottobre 2015 specificò i criteri che determinano la condizione economica di bisogno. In linea di massima l'ASDI viene concessa in presenza di un minore all'interno del nucleo familiare oppure quando il soggetto richiedente ha un’età superiore a 55 anni. Questo assegno di disoccupazione viene erogato mensilmente per un periodo massimo di 6 mesi e la misura dell'ASDI è parametrata al 75% dell’ultima indennità NASPI. Tutela contro gli infortuni e malattie professionali Misure di prevenzione economiche e delle malattie professionali. La prestazione di lavoro deve essere svolta in condizioni tale da preservare la salute del lavoratore stesso. Si usa dire che il lavoratore è creditore non soltanto della retribuzione ma anche creditore di sicurezza sul posto di lavoro. Il fondamento dell'obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro va cercato nell'art. 2087 C.C “l'imprenditore è tenuto ad adottare le misure che la norma secondo la particolarità del lavoro l'esperienza e la tecnica risultino necessarie per tutelare la personalità morale e l'integrità fisica dei lavoratori”. Questa previsione codicistica ha trovato svolgimento negli anni subito successivi all'entrata in vigore della Costituizione, “50”, attraverso una fittissima normativa di carattere regolamentare (DPR 55 e 56). Sulla base di questi DPR, in giurisprudenza si afferma il “principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile”. In forza di questo principio e in considerazione del fatto che le indicazioni normative in materia di sicurezza sono in rapida obsolescenza e anche a fronte dell'impossibilità per il legislatore di codificare tutti i fattori di rischio (che possono cambiare nel tempo), il datore di lavoro è tenuto ad apprestare tutte le cautele consentite dalla evoluzione della tecnica a tutela della salute dei lavoratori. Non è sufficiente che il datore di lavoro rispetti tutti i precetti e le normative poste dalla Legge in materia di sicurezza, ma il datore di lavoro è tenuto ad agire utilizzando tutte le cautele che via via sono consentite dall’evoluzione delle tecniche preventive e di sicurezza. Artico 2087 del c.c. e art 9 dello Statuto dei Lavoratori a confronto Con l'art. 2087 del Codice Civile, la responsabilità contrattuale del datore di lavoro, può essere fatta valere per il solo fatto della mancata predisposizione delle misure di sicurezza a prescindere dal verificarsi di un danno. Storicamente l'articolo 2087 ha avuto la funzione di essere il fondamento normativo delle richieste di risarcimento del danno alla salute già verificati ai lavoratori. In un secondo momento dunque viene valorizzata anche la funzione preventiva di questo articolo. Si tratta di una disposizione codicistica ad impianto individualistico, anche se è evidente che il problema della salute e sicurezza sul lavoro ha caratteristiche e dimensioni collettive. Quest'attenzione alla dimensione a livello collettivo, trascurata dall'art 2087 è contenuta in un altra disposizione lavoristca, l'art 9 dello Statuto dei Lavoratori: prevede e riconosce ai lavoratori il diritto di controllare attraverso il proprio rappresentante l'applicazione delle norme per la prevenzione e gli infortuni e malattie professionali. In origine i principali fondamenti normativi in materia di salute e sicurezza, oltre all'art 41 della Costituzione, l'art. 2087 e l'art. 9 dello Satuto dei Lavoratori. Le direttive europee in ambito di sicurezza del lavoro: dgl. n° 626/1994 prima e dgl. n° 81/2008 poi ... A metà anni ’90 il quadro si arricchisce in maniera significativa in merito alla prevenzione, salute e sicurezza. In quel periodo il nostro ordinamento come tutti gli altri stati membri dell'Unione Europea, ha dovuto recepire una serie di direttive in materia di salute e sicurezza sul lavoro che erano state approvate a partire dal 1989, quando viene scritta la direttiva madre 391/89, da cui derivano una serie di direttive figlie, approvate dal legislatore europeo e poi recepite e attuate dagli ordinamenti interni, le quali si occupano di disciplinare aspetti specifici o a fronte di rischi specifici o di categorie specifiche di lavoratori. D.Legislativo n°626/1994 – recepisce la direttiva madre 391/89 e segna la storia in materia di salute e sicurezza; è il primo Testo Unico in questa materia. Viene modificato parecchie volte negli anni successivi Il D. Legislativo 81/2008 Testo Unico sulla Salute e Sicurezza del Lavoro (oggi vigente) – abroga il d.lgs 626/1994. Il d.lgs 626 prima e l'81 poi, raccolgono e sistemano organicamente la funzione preventiva che le normative in materia di salute e sicurezza devono assolvere, in linea con l'art. 2087 del C.C. E anche la considerazione dalla tutela come un problema di carattere collettivo, come si desume dall'art. 9 dello Statuto dei Lavoratori. Sia i 626 che il 81 hanno un campo di applicazione generale e riguardano sia il settore privato (con l'esclusione dei servizi domestici e familiari) che le pubbliche amministrazioni; si tratta di regole applicabili a 360°. Il “principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile” Il “principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile”, viene accolto sin dalle origini e quindi dal d.lgs 626/1994 e trova accoglimento in una disposizione che impone al datore di lavoro di adottare le misure necessarie per la salute e la sicurezza dei lavoratori e in particolare gli impone di aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fine della salute e sicurezza ovvero anche in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione. Quindi un continuo obbligo di aggiornamento. Obblighi del datore di lavoro Quali sono gli obblighi del datore di lavoro: Procedere alla valutazione dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori. All'esito di questa valutazione deve essere redatto un documento di valutazione dei rischi che contiene tre tipologie di indicazioni: Criteri seguiti per la valutazione dei rischi. Misure di prevenzione e protezione che sono state adottate per prevenire e proteggere i lavoratori. Programma delle misure che si ritengono opportune per migliorare i livelli di sicurezza. I datori di lavoro nell'assolvimento di quest'obbligo, si avvalgono di diverse figure: SPP – Servizio di prevenzione e protezione Può essere organizzato all’interno dell’impresa dallo stesso datore di lavoro, oppure nelle realtà più piccole il datore di lavoro si può rivolgere all’esterno. Medico Competente – A cui l decreti 626 prima ed il testo Unico dell'81 poi, attribuisce molti compiti tra cui quello di effettuare gli accertamenti preventivi e periodici sui lavoratori per formulare il giudizio di idoneità dei lavoratori, alle mansioni specifiche. RLS – Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza – eletto dai lavoratori o designato in tutte le aziende e unità produttive. Hanno un rilievo centrale: consultati preventivamente e periodicamente per la valutazione dei rischi, ricevendo le informazioni e la documentazione necessaria, promuovono l’individuazione e attuazione delle misure di prevenzione e di protezione, obbligo di fare ricorso alle autorità competenti se ritengono che le misure e mezzi di prevenzione e di protezione impiegati, non siano idonei a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Enfatizzano l’obiettivo l’asse della tutela sulla prevenzione dei rischi della salute dei lavoratori. Obblighi dei lavoratori Previsto in capo ai lavoratori una serie di obblighi di collaborazione di cooperazione ai fini di un miglioramento delle misure di sicurezza: osservare le disposizioni e le istruzioni impartite, utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze, i mezzi di trasporto e i dispositivi di sicurezza e dunque i dispositivi di protezione (DPI), non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o controllo, non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di competenza, partecipare a programmi di formazione, sottoporsi ai controlli sanitari, esporre l'apposita tessera di riconoscimento in caso di appalto e subappalto. Oltre a questi obblighi dei lavoratori sovra-elencati ve ne sono altri nuovi, che la Legge 626 prima e il T.U. Dell'81 poi, hanno riconosciuto ai lavoratori: NEW – diritto di allontanarsi dal posto di lavoro senza seguire pregiudizio, in caso di pericolo grave immediato che non può essere evitato, NEW – diritto di informazione e formazione sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. La formazione rappresenta un aspetto molto importante, sia relativa al posto di lavoro e alle mansioni specifiche al momento dell'assunzione che in caso di trasferimento, mutamento delle mansioni o ancora introduzione di nuove attrezzature, macchinari, modalità di organizzazione del lavoro, cambio di orari. Si tratta di diritti scritti sulla carta, la loro effettiva applicazione è un'altra cosa.. però se si verificasse l'infortunio e il datore di lavoro non riuscisse a dimostrare di avere assolto a tutti i suoi obblighi di formazione, subirebbe delle pesanti sanzioni. Come è nato il Testo Unico del 2008... Il D.Lgs attua la Legge Delega n°123 del 2007. Questa legge del 2007 è stata approvata dopo la drammatica vicenda che ha coinvolto la “Thissenkrupp”. In considerazione della spinta psicologica di quella vicenda il Governo e il Parlamento vararono tra il 2007 e il 2008, una riforma nuova in materia di prevenzione. Nonostante vi sia continuità tra il Decreto 626 e il T.U. 81, il legislatore impone una nuova linea regolativa per cercare di affrontare alcuni nuovi fattori di rischio che prima non esistevano e altri che vi erano già ma che hanno manifestato un'importanza crescente (ad esempio i lavori flessibili, non standard rischi maggiori di infortuni collegati a queste attività lavorative; numero crescente di lavoratori extra comunicati che non conoscono la lingua; vicende di frammentazione dell’impresa con decentramenti produttivi; appalti e sub appalti di opere). NB: differenze appalti interni ed esterni: Appalto interno – Ad esempio esternalizzare la produzione degli involucri a lavoratori assunti da un terzo soggetto esterno, ma dentro la propria azienda. Appalto esterno – Ad esempio esternalizzare la produzione degli involucri a lavoratori assunti da un terzo soggetto esterno, ma fuori dalla propria azienda. L'inquadramento settoriale è molto importante. ES: se si fabbricano mattoni, il premio assicurativo varia di molto a seconda che si tratti di un impresa che operi nel settore industriale (58 x 1000) o artigianale (105 x 1000). IL RISCHIO MEDIO NAZIONALE – All’interno del settore si andrà a distinguere l'attività a cui sono addetti i vari gruppi di lavoratori assicurati. A seconda delle varie lavorazioni e attività il premio subisce una variazione. Si usa il criterio del “rischio medio nazionale”; cioè la cifra data dagli oneri che ha sostenuto l’INAIL, dalle rendite che ha versato per infortuni e malattie professionali che accorsi nel triennio, a persone addette ad una certa lavorazione. Questa somma la si rapporta all'ammontare complessivo delle contribuzioni erogate al complesso di quei lavoratori addetti a quella lavorazione. Questo rapporto fra questi due dati, è il rischio medio nazionale e in base a questo, l’INAIL calcola (a seconda della categoria alla quale i soggetti sono addetti) il premio. La classificazione è molto rilevante. ES: se un'azienda di idraulica ha 15 dipendenti che fanno l'idraulico e 2 l'impiegati amministrativi, se commette l'errore di classificarli tutti allo stesso modo, pagherà per quei due impiegati amministrativi, un premio infinitamente più alto di quanto doveva pagare, rispetto all'attività che quegli impiegati amministravi svolgono (il rapporto tra amministrativi e idraulici è circa 1 a 20..). Altro elemento rilevante riguarda le attività sussidiarie. Es un azienda che costruisce viti come attività principale ma ha anche l'attività sussidiaria di costruire le scatole contenenti le viti. L'attività sussidiaria viene assorbita dall’attività principale, quindi i soggetti che costruiscono le scatole e svolgono un'attività molto meno pericolosa di quelli che costruiscono le viti, i datori di lavoro pagano esattamente lo stesso tipo di premio. In alcuni casi quindi soprattutto in aziende grandi, esternalizzare le attività sussidiarie è anche collegata alla volontà di risparmiare sui costi assicurativi. IL RISCHIO SPECIFICO AZIENDALE – Si verifica non soltanto quello che avviene in quel settore e nella lavorazione specifica in questione (ad il rischio dell'idraulico), ma anche la situazione specifica dell’azienda (andamento infortunistico aziendale). Si parla di rischio specifico aziendale, il quale a seconda del numero degli infortuni avvenuti in una determinata azienda, può essere superiore o inferiore al rischio medio nazionale. Il rischio specifico aziendale è dato dal rapporto tra gli oneri (ciò che è stato versato) e le retribuzioni. In questo caso avviene il fenomeno dell’oscillazione del premio, cioè se l’azienda ha un andamento infortunistico favorevole, quindi inferiore al rischio medio nazionale, il premio scende e viceversa. ADOZIONE DELLE MISURE OBBLIGATORIE DI PREVENZIONE – Se sono totalmente adempiente alle misure posso avere una riduzione del premio. In caso contrario avrò una oscillazione verso l’alto. OSCILLAZIONE PER PREVENZIONE - Riduzione del premio per le aziende che eseguono interventi di miglioramento e innovazione dei livelli di sicurezza, non limitandosi ad adempiere alle prescrizioni minime obbligatorie. In questi casi hanno una riduzione significativa del premio Campo di applicazione della tutela degli infortuni e malattie professionali. Il campo di applicazione della tutela è esplicitato nel T.U. 1124 del 1965. L’ambito di operatività della tutela è cambiato molto nel corso degli anni, subendo un ampliamento della tutela dal punto di vista soggettivo. Questa forma di assicurazione nasce con l’obiettivo di tutelare i settori di attività più pericolosi (ad es le attività manuali del settore industriale). Questa assicurazione obbligatoria comporta costi che gravano al datore di lavoro, dunque si voleva non gravare troppo la nascente industria di costi assicurativi, corrispondenti al versamento dei premi. Nel corso degli anni il legislatore e la giurisprudenza e la Corte Costituzionale, hanno ampliato in maniera significativa sia le attività/lavorazioni protette, sia le categorie di persone/lavoratori protette e anche il tipo di lesioni indennizzabili (esempio il danno biologico). Sul fronte oggettivo riguardante le attività protette, su quello soggettivo, in relazione ai soggetti protetti ed infine sul fronte della lesione indennizzabile, sia ha un ampliamento significativo nel corso degli anni. Le attività protette – il campo di applicazione dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, viene definito dall'art. 1 del T.U. 1124 del 1965 che individua il primo criterio selettivo. In questo articolo, vengono indicate le lavorazioni considerate pericolose; cioè le lavorazioni con macchine automatiche (non mosse da chi le usa oppure a pressione, che funzionano in virtù di energia elettrica o termica). Tutti i soggetti che sono addetti alla lavorazione con macchine automatiche, si considera che svolgono una attività pericolosa; non solo coloro che le utilizzano ma tutti i soggetti occupati nell’ambiente in cui quella macchina opera (in questo specifico caso di parla di rischio ambientale). Sempre il T.U. 1124 del 1965 considera pericolose tutte le lavorazioni agricole per natura. Questa Legge in ultimo elenca 28 lavorazioni considerate espressamente pericolose sulla base dell'esperienza e dati statistici (edilizia, meccanica, attività di trasporto, scavi, attività che comportano l'utilizzo di strumenti da taglio, lavorazioni che comportano l'utilizzo di agenti nocivi, ecc…). Risulta quindi difficile trovare in concreto attività che non rientrino nelle lavorazioni pericolose, anche perché la giurisprudenza ha interpretato in maniera estensiva questi criteri. Con riferimento alla pericolosità la Corte Costituzionale ha chiarito l'oggetto della tutela assicurativa disposta dal T.U. 1124 del 1965. Si tratta della sentenza 100 del 1991 che ha ribadito una sentenza analoga di qualche anno precedente. “Oggetto posto dalla tutela assicurativa, non è la pericolosità dell'attività considerata concretamente misurabile, bensì l'attività per se-stessa, perché connotata dall'impiego di apparecchi radiologici e sostanze radioattive che comportano l'esposizione radiazioni ionizzanti”. Alla Corte in sostanza, non interessa la misurazione concreta della pericolosità di quella macchina, ma (interessa all'INAIL) che quella attività sia pericolosa. “Ciò che importa è la possibilità in generale di conseguenze lesive derivanti dall'uso di apparecchiature radiologiche, attestata dalle prestazioni erogate dall'INAIL a medici radiologi, mentre è irrilevante la misura del rischio concretamente inerente all'impiego di un determinato apparecchio”. Campo della tutela contro gli infortuni: i criteri selettivi Questa forma di assicurazione ha un campo di applicazione che è diventato via via più ampio sebbene utilizzi comunque dei criteri selettivi. Il primo criterio selettivo riguarda le lavorazioni pericolose, i soggetti addetti alle lavorazioni pericolose o che lavorino nel contesto ambientale dove si svolge una lavorazione pericolosa, sono lo stesso soggetti alla protezione. Il secondo criterio selettivo riguarda i soggetti assicurati che sono coloro che operano come addetti alle macchine o negli ambienti dove si svolgono le lavorazioni ritenute pericolose. Chi sono i soggetti meritevoli di tutela? La questione che bisogna porsi è se rileva la qualificazione giuridica del rapporto e quindi soprattutto se i soggetti per essere tutelati devono essere soggetti titolari di un rapporto di lavoro subordinato. La risposta è no! La tutela si allarga a Co.Co.Co., lavoratori autonomi, soggetti non lavoratori: studenti impegnati in un'attività pratica o soggetti impegnati in attività di stage, detenuti che lavorano in carcere, famigliari e parenti che svolgono un attività lavorativa anche senza retribuzione. Questo elenco è presente nell'art. 4 del T.U. 1124 del 1965. già nel 1965 questa platea era molto ampia e, via via si è ulteriormente allargata, ad esempio con il Dlgs. 38/2000 la tutela è stata estesa ai lavoratori parasubordinati (Co.Co.Co.),con il Dlgs. 276 del 2003 o Legge Biagi, anche i lavoratori a progetto sono stati ricompresi nel novero dei soggetti assicurati ed i prestatori di lavoro accessorio, i lavoratori a voucher, gli sportivi dilettanti e professionisti. Sia sotto il profilo oggettivo delle lavorazioni pericolose, sia soggettivo, dei soggetti assicurati, abbiamo criteri selettivi molto ampi. Ciò nonostante Il meccanismo fondato sul rischio rimane, non possiamo dire oggi, che tutti i soggetti che prestano attività lavorativa oppure svolgono un'attività non definibile dal punto di vista giuridico come effettivamente lavorativa sono assicurati. Di fatto le categorie di soggetti esclusi sono pochissime (ad esempio le rammendatrici, coloro che assemblano manualmente piccoli oggetti come le biro e figure molto residuali che svolgono attività di segretariato ma senza alcun pc, fax o macchinario; si tratta di soggetti che non rientrano nel novero delle attività pericolose e, per questo motivo non hanno copertura assicurativa INAIL). Infortunio indenizzabile In relazione al campo di applicazione della tutela, l'Articolo 2 T.U. 1124/1965 rappresenta una disposizione importante perché fornisce la definizione di infortunio indennizzabile. [Art. 2]: “L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio, avvenuti per causa violenta, in occasione di lavoro, da cui sia derivata una lesione”: La morte, Inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, Inabilità temporanea assoluta che abbia una durata che comporti l’astensione dal lavoro per almeno tre giorni, O un danno biologico, ovvero lesione (art.13, d.lgs 38/2000). La causa violenta: fattori determinanti La causa violenta è un requisito che viene richiesto dalla Legge, in quanto l'infortunio deve essere derivato da una causa efficiente e rapida, concentrata nel tempo, proprio per distinguerla dalla causa lenta che caratterizza le malattie professionali. La classica causa violenta connessa agli infortuni è l'evento traumatico. Ad esempio la rottura di un macchinario che determina la lesione al soggetto; la caduta del soggetto nell'ambiente di lavoro. La causa violenta però può essere anche quella che ha una causa scatenante iniziale di natura violenta, però ha effetti patologici differiti nel tempo. Ad esempio in un azienda che con prodotti chimici, la rottura di una fialetta, è possibile che il soggetto che maneggiava quel materiale si manifesti più in là nel tempo; la polmonite da perfrigerazione, alcuni ambienti di lavoro sono surriscaldati a causa della necessità della specifica lavorazione, quando vi è un improvviso abbassamento termico determinato da una rottura di un vetro o di una porta, si può determinare una polmonite che si manifesterà come effetto patologico differito. E' molto facile quindi individuare la causa violenta quanto l'effetto patologico è immediato, ma in presenza di un effetto patologico differito, non è detto che alla base non vi sia una causa patologica violenta. La giurisprudenza definisce quindi la causa violenta come una azione rapida, efficiente e concentrata nel tempo, che in linea di massima agisce dall'esterno verso l'organismo del lavoratore. Infortunio indenizzabile a causa di infarto Proprio in considerazione di questa comune natura di forza che agisce dall'esterno verso l'organismo del lavoratore, si è molto discusso in giurisprudenza in riferimento alla causa violenta, di una particolare fattispecie, cioè gli infortuni avvenuti a seguito di infarto. In molte occasioni l’INAIL ha rifiutato l'indennità (agli eredi in caso di morte dell'infortunato) ritenendo che l'infortunio non dovesse essere indennizzato a causa della mancanza della causa violenta. L'INAIL parte dal presupposto che per una morte dovuta ad infarto, perché questa lesione sia ritenuta infortunio e per questo indennizzata, non basta che il soggetto sia morto o abbia avuto l'infarto durante l'orario di lavoro, è necessario la prova di un nesso causale tra l'evento morte e l'attività lavorativa che quel soggetto stava svolgendo. Un semplice collegamento spaziale- temporale dell'evento della lesione con il rapporto di lavoro non è sufficiente, anche perché spesso I soggetti che subiscono lesioni gravi o muoiono a seguito di un infarto sono soggetti già malati. La giurisprudenza njuion esclude che anche un soggetto già malato possa avere una lesione che sia ascrivibile alla categoria dell'infortunio, ma ritiene la prova di un elemento che in qualche modo giustifichi la stessa indennizzabilità, ossia una causa violenta di una fattispecie specifica. Infortunio “In occasione da lavoro”: definizione Tra i vari elementi che compongono la definizione di infortunio, quello della causa violenta e forse quello meno dibattuto, sorvolando l'ipotesi dell'infortunio legato all'infarto e altre ipotesi specifiche. L'elemento che ha maggiormente dato luogo a discussioni è legato all'espressione “in occasione di lavoro”. Una prima particolarità da sottolineare è che la legge non ritiene che l'infortunio accada o sia accaduto “a causa di lavoro”, ma utilizza un espressione diversa “in occasione di lavoro”. Se il legislatore avesse usato l'espressione “a causa di lavoro” la possibilità di indennizzabilità dell'infortunio sarebbe stata minore. Quando il legislatore ha dovuto sottolineare che il nesso di causalità richiesta sia un nesso diretto, lo ha fatto espressamente (ad esempio in riferimento alle malattie professionali, il legislatore ha utilizzato espressamente a causa di lavoro). Nel corso degli anni vi è stato un ampissimo dibattito su cosa bisogna intendere per “in occasione di lavoro”. Si realizza occasione di lavoro tutte le volte in cui lo svolgimento di un'attività lavorativa costituisce l'occasione del lavoro, pur non essendo necessariamente la causa diretta. Il nesso eziologico può essere anche indiretto. Ad esempio il soggetto che nel luogo di lavoro si infortuna cadendo dalle scale mentre sta andando in bagno o in mensa; in questi casi il lavoratore non sta svolgendo le sue specifiche mansioni lavorative specifiche, però si trova lì per un motivo ben determinato, quindi lo svolgimento dell'attività lavorativa costituisce “l'occasione dell'infortunio” sebbene non ne costituisca la causa diretta. bisogno certificato in base al quale il lavoratore dovevafare uno spuntino per necessità connesse allo stato di salute · Lavoratore che per esibizionismo è saltato a terra da una piattaforma aerea provocandosi delle fratture. L’esclusione è stata determinata in base alla inesistenza di necessità di lavoro o di urgenza che avrebbero potuto giustificare il salto. Al contrario è stato riconosciuto come infortunio l’incidente occorso ad un lavoratore al quale era stato proibito di scendere una strada scoscesa con un mezzo agricolo mentre quella facilmente percorribile era bloccata da altri mezzi. La recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 12487/2015, pur riferita ad un infortunio in itinere, ribadisce la differenza fra “comportamento necessitato” e “scelta volontaria” del lavoratore ovvero l’esposizione ad un rischio elettivo. Il lavoratore in questione ha avuto un incidente con il ciclomotore mentre si recava a prendere dei bicchieri di carta. La Corte, fra le altre motivazioni, ha rilevato l’esistenza del rischio elettivo in base all’uso non necessitato del ciclomotore data la prossimità, 500 metri, fra il luogo di lavoro e quello di prelevamento del materiale. Qualificazione dell’evento e datore di lavoro: responsabilita’ La valutazione degli eventi può avere rilevanti conseguenze per il datore di lavoro. Infatti alla qualificazione dell’evento quale infortunio per negligenza e/o imprudenza, spesso segue l’applicazione di sanzioni da parte del servizio di prevenzione delle ASL e le eventuali conseguenze penali. È il caso di un datore di lavoro al quale una ASL ha addebitato la responsabilità dell’evento, con serie conseguenze, accaduto ad un lavoratore che aveva scavalcato la recinzione di isolamento di una macchina a ciclo continuo per eliminare un intasamento. Deve essere precisato che la recinzione era munita di cancelli all’apertura dei quali la macchina si sarebbe bloccata e che fra la macchina e la recinzione non vi era spazio fisico per stazionare. Quindi il lavoratore ha impedito, con un suo atto volontario, il funzionamento del sistema di prevenzione non entrando da cancello (l’evento non ha avuto esiti mortali perché un collega del lavoratore ha aperto il cancello bloccando il macchinario). L’INAIL ha riconosciuto l’evento considerando che si è verificato per fini lavorativi anche se imprudente e negligente. Considerazioni finali In virtù dell’interposizione dell’INAIL prevista dall’art. 10 T.U., il datore di lavoro non ha alcuna legittimazione nel processo di qualificazione dell’evento, o sulla valutazione del danno, ma può solamente dare una motivata inattendibilità. Nella pratica, tolti i rari casi di rischio elettivo, si evidenzia una condizione di squilibrio che potrebbe essere sanata dall’attuazione dell’articolo 59 del T.U. sicurezza che prevede la comminazione di sanzioni amministrative anche ai lavoratori per violazione delle misure di prevenzione nell’art. 20. Infortunio in itinere Infortunio in itinere: la storia prima della sua introduzione con l'art. 12 d.lgs 38/2000 Per diversi anni la giurisprudenza ha interpretato l'espressione “Occasione di lavoro” per coprire una lacuna normativa durata quasi 40 anni relativa ad una fattispecie particolare di infortunio, vale a dire l'infortunio in itinere. Grazie alla ricca elaborazione giurisprudenziale di questa espressione progressivamente, è stato ritenuto indennizzabile, il c.d. “infortunio in itinere”. Per infortunio in itinere si intende, l'infortunio distinto da quello “in attualità di lavoro” perché occorre nel tragitto per andare al lavoro, tornare a casa oppure andare a mangiare. Infortunio in itinere dei lavoratori marittimi Il T.U. nella sua versione originaria, non si occupava di infortuni in itinere se non di una fattispecie particolare, quella dei lavoratori marittimi. Nell'art. 6 del T.U. del 1965 vi era e vi è scritto che “i lavoratori marittimi hanno diritto alle prestazioni stabilite anche se l'infortunio avviene durante il viaggio compiuto per andare a rendere in barco sulle navi vanno a prendere servizio nelle navi al servizio delle quali sono arruolati”. Questa disposizione eccezionale l'unica nel T.U. originario che si occupava dell'infortunio che avvenisse nel tragitto compiuto, veniva ritenuta tale da non poter estendere in maniera indiscriminata la tutela contro gli infortuni avvenuti nel tragitto per andare a lavoro e ritornare. Se il legislatore ha ritenuto necessario specificare che i lavoratori marittimi hanno tutela anche se l'infortunio occorre durante il viaggio, allora vuol dire che tutti gli altri non ce l’hanno. La ricerca del legislatore del nesso qualificante l'infortunio in itinere Ancora prima dell’entrata in vigore del T.U. del 1965, il legislatore aveva delegato il governo a disciplinare la fattispecie dell'infortunio in itinere ma quella delega e altre successive non aveva dato risultati. Per moltissimi anni quindi, la giurisprudenza ha sopperito a questa lacuna legislativa. Inizialmente però la giurisprudenza ammetteva che il tragitto per andare al lavoro e tornare a casa potesse essere interpretato come attività preparatoria o conclusiva dell'attività lavorativa, però andava sempre alla ricerca di qualcosa di qualificante. La giurisprudenza quindi cercava qualcosa che avesse un nesso con il lavoro e rendesse il rischio generico della strada, aggravato per il lavoratore (perché il rischio della strada grava per tutti); si riteneva che ci dovesse essere qualche elemento che facesse diventare quel rischio, aggravato per il lavoratore. Ad esempio riteneva l'infortunio in itinere indennizzabile se il tragitto percorso aveva comportato rischi diversi o maggiori dei soliti, si trattava di un tragitto di montagna, oppure in ore notturne, in condizioni meteorologiche particolari, oppure il lavoratore trasportava particolari attrezzature o aveva un mezzo di trasporto particolare. La giurisprudenza quindi andava alla ricerca di qualche elemento in più, come prova del lavoro che aveva esposto al rischio il lavoratore, non la strada, il cui rischio generico grava su tutti. Successivamente la giurisprudenza però evolve sotto questo profilo e, via via ritiene indennizzabile gli infortuni in itinere in modo più ampio, fondamentalmente sulla considerazione che il lavoratore non ha scelta, se non quella di andare a lavoro e dunque al rischio della strada. Via via quindi, la giurisprudenza ha certamente ritenuto indennizzabili gli infortuni avvenuti durante un percorso coperto a piedi oppure con i mezzi pubblici, senza più andare alla ricerca di un elemento qualificante ulteriore. La neccessità di accertamento nel caso di infortunio causato dall'uso del mezzo privato Il problema si era è invece posto in relazione agli infortuni accorsi in connessione con l’utilizzo del mezzo proprio (automobile, bicicletta ecc). In questo la giurisprudenza richiedeva che dovesse essere accertata la necessità dell’utilizzo del mezzo proprio; perché il mezzo per eccellenza per andare al lavoro è il mezzo pubblico (oppure a piedi) e di conseguenza il mezzo privato non era escluso a priori ma perché potesse essere indennizzato un infortunio occorso con l'utilizzo del mezzo privato, si doveva provare la necessità di quel mezzo. La necessità la si trovava di regola, nel momento in cui il percorso non fosse coperto da mezzi pubblici o gli orari dei mezzi pubblici fossero incompatibili con gli orari di lavoro, eventualmente anche le condizioni di disagio di utilizzo del mezzo pubblico in considerazione degli orari e dei tragitti percorsi, o dei costi sopportati. Si può quindi affermare che ancora prima che nell'ordinamento venisse introdotta una definizione espressa di infortunio in itinere, già vi fosse una tutela di questa fattispecie, grazie all'evoluzione giurisprudenziale che via via si era accumulata e che aveva progressivamente espresso la tutela e riconosciuto l'indennizzabilità anche dell'infortuni in itinere. L'introduzione della definizione di Infortunio in Itinere In questo contesto si colloca l'art. 12 d.lgs 38/2000, che introduce nel nostro ordinamento la “definizione di infortunio in itinere”. Questo art. 12 è attuativo di una Legge Delega che era stata conferita l'anno precedente al governo, per adottare una disciplina specifica in questa materia, individuando come criteri direttivi di delega quelli che il legislatore delegante definisce “I PRINCIPI GIURISPRUDENZIALI CONSOLIDATI IN QUELLA MATERIA”. Il legislatore delegato quindi deve disciplinare la materia ma fare attenzione a trasporre in legge i principi consolidati in quella materia. La definizione: “Salvo in caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro.” “Durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e qualora non sia presente il servizio mensa.” “Durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti”. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a causa di forza maggiore, esigenze essenziali improrogabili o l'adempimento di obblighi penalmente rilevanti.” L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo privato, purché necessitato.” “Restano esclusi gli infortuni prettamente cagionati dall'abuso di alcolici e psicofarmaci, ovvero dall'uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni.” “L'assicurazione non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”. Il legislatore qui cerca di fare tesoro dei principi consolidati in questa materia, seguendo le indicazioni del legislatore delegante e fa un sunto per mettere in chiaro alcuni punti. Cosa significa “il normale percorso”? Il primo elemento che viene in rilievo è il normale percorso. dove inizia e dove finisce il percorso tutelato? Una serie di questioni si erano poste in riferimento alla specifica fattispecie di infortunio avvenuto nelle pertinenze dell'abitazione (le pertinenze sono luoghi vicini ma comunque privati, di un abitazione), non soltanto l'abitazione vera e propria, ma anche l'infortunio accorso sulle scale di casa, sulla rampa del garage. Nel normale percorso coperto dall'infortunio in itinere non rientra l'abitazione e neanche le pertinenze, le scale condominiali e le strade private chiuse. Sotto questo profilo è interessante notare che dopo la decisione della Cassazione di escludere dalla copertura dell'infortunio in itinere i luoghi sopra indicati, l'INAIL ha scritto una circolare nel 2004 che ha preso come riferimento una sentenza giurisprudenziale indicando alcuni punti fermi che di fatto hanno reso irrilevante discutere circa l'inizio o la fine delle pertinenze. Nella circolare l'INAIL distingue le pertinenze dell'azienda (rilevanti per gli infortuni in attualità di lavoro; ad esempio l'infortunio nel vialetto dell'azienda), da quelle dell'abitazione. Circolare dell'INAIL del 2004 sul tema degli infortuni in itinere in specifiche pertinenze In sostanza distinguendo le pertinenze dell'abitazione e recependo le indicazioni della Cassazione, sottolineando il fatto che vi possa essere una differenza qualora i vialetti e le strade private che vengano percorse e nel cui percorso avviene l'infortunio, siano seppur di proprietà privata, aperte al traffico di chiunque, in quel caso allora invece la circolare afferma che siamo in qualcosa che si può chiamare pubblica strada. Ad esempio ove ne ricorrano le condizioni, può rientrare nella tutela l'infortunio accorso nelle strade seppur di proprietà privata sono destinate a soddisfare le esigenze di una comunità indifferenziata e sono perciò aperte al traffico di un numero indeterminato di veicoli. Cosa significa il “concetto di interruzione?” Una questione ulteriore che si è posta sempre riguardo alla definizione di infortunio in itinere data dal Decreto 38/2000, ha riguardato il concetto di interruzione, che se considerata tale e non è necessitata, fa venire meno l'indennizzabilità dell'infortunio stesso. della capacità lavorativa attitudinale, e pertanto il grado di menomazione viene valutato anche in base alle mansioni che vengono svolte. Quindi vi sarà una valutazione di riduzione maggiore della capacità lavorativa in caso di sordità per il collaudatore di strumenti musicali e una riduzione minore per la sordità parziale di un commesso. Le lesioni c.d. “lievi”, al di sotto della soglia che il legislatore ha fissato del 10%, non sono rilevanti ai fini della copertura previdenziale garantita dall’INAIL. Ciò non toglie la possibilità ai lavoratori di agire secondo le regole di diritto comune per la responsabilità imputabile al datore di lavoro se ricorrono i presupposti per la responsabilità stessa. Questo significa che il sistema previdenziale accolla quel rischio in maniera diversa, perché fa scattare la tutela indennitaria garantita dall’INAIL per le lesioni superiori a quella soglia, per le lesioni inferiori non esclude un risarcimento ma lo affida alla scelta del lavoratore se agire o meno in giudizio nei confronti del proprio datore di lavoro. Inabilità Temporanea Assoluta = sono indennizzabili dall’INAIL soltanto se sono assolute, vale a dire soltanto se impediscono totalmente per un determinato periodo di tempo al lavoratore di svolgere il suo lavoro. Il legislatore parla di inabilità temporanea perché intende che le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo, non lasciano menomazioni, e quindi il soggetto recupererà completamente la sua attitudine al lavoro e non avrà Inabilità permanente all’esito della guarigione delle lesioni riportate durante l’infortunio. L’inabilità temporanea assoluta è una inabilità specifica e rivolta al lavoro svolto, può cambiare a seconda delle mansioni specifiche del soggetto. Danno Biologico = è una lesione che nel testo originario del T.U. n°1124/1965 non era presente e che è stata aggiunta soltanto nel 2000 con l’entrata in vigore del decreto n°38/2000, che ha deciso di porre a carico dell’assicurazione anche l’indennizzo per il danno biologico. Viene definito dall’articolo 13 del decreto come “il danno alla salute, all’integrità psico-fisica”. La nascita del danno biologico Però ad un certo punto la Corte Costituzionale inizia a dire che se i danni non sono patrimoniali, ad esempio inizia a parlare di un danno che inizia a chiamare biologico, oppure danno morale o danno esistenziale, allora il discorso è diverso. Allora si fuori esce dall’esonero. Accade in quei anni che i lavoratori iniziano a chiedere ai datori di lavoro risarcimenti per voci di danno non patrimoniali secondo le regole del diritto civile. Nasce il danno biologico come creazione giurisprudenziale e ammonisce più volte il legislatore auspicando una riforma della disciplina e che prenda in mano questa situazione. Riforma che giunge nel 2000, il danno biologico viene inserito nei sistemi indennitario dell’INAIL. Art. 13. Danno biologico 1. “In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”. L’articolo 13 fissa una soglia, quindi ritiene che sia indennizzabile dall’INAIL il danno biologico superiore al 6%, sulla base di apposite tabelle pubblicate dall’INAIL stesso. Queste tabelle seguono criteri indipendenti dalla capacità di produzione di reddito dei lavoratori. Per capire il grado di menomazione si fa riferimento ad altri criteri che sono in primis graduati alla menomazione fisica, e poi in base all’età del soggetto e al genere. Danno morale e danno esistenziale Rimangono gli stessi dubbi che si erano presentati al danno patrimoniale. Inizialmente la giurisprudenza ha ritenuto il danno biologico fosse coperto solo dall’INAIL, tranne nell’ipotesi il danno biologico fosse inferiore alla soglia del 6% quindi in quel caso si può sempre pensare che il lavoratore agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno biologico inferiore a quella soglia perché non coperta dall’assicurazione. Ci sono state altre aperture della giurisprudenza, ad esempio si è iniziato a dire che è possibile per il lavoratore richiedere altre voci di danno, ad esempio morale ed esistenziale, e si è iniziato a dire che il ristoro che si ottiene dall’INAIL è soltanto un indennizzo, che il diritto al risarcimento integrale del danno alla salute, in quanto è costituzionalmente tutelato, non può essere limitato e di conseguenza la giurisprudenza ha iniziato a sostenere che il lavoratore danneggiato può sempre chiedere un danno differenziale, e quindi non accontentarsi del ristoro dell’indennizzo avuto dall’INAIL ma può agire anche per un eventuale danno differenziale. Prestazioni = opera il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali, anche qualora gli inadempimenti contributivi risalgono a periodi lontani del tempo superiori ai termini prescrizionali vi è una piena operatività del principio per i lavoratori subordinati. Danno differenziale L’obiettivo originario dell’assicurazione contro gli infortuni era quella di garantire al lavoratore dal rischio di un danno patrimoniale provocato dal lavoro stesso. Se un soggetto è infortunato non potrà proseguire l’attività produttiva dalla quale ricava un reddito, di conseguenza il suo stato di bisogno sarà nient’altro che il danno patrimoniale dovuto alla mancanza di un reddito. Quindi la valutazione del danno alla persona infortunata si esauriva in una dimensione economica, il mancato guadagno effettivo nel periodo di tempo in cui il lavoratore non era in grado di lavorare. Per quel tipo di danno patrimoniale il datore di lavoro veniva esonerato dalla responsabilità civile. Anche nel T.U. del 1965 questa regola non era assoluta. All’articolo 10, II e III comma, ci dice che la responsabilità civile permane a carico di coloro che abbiano riportato una condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato. In questi casi succedeva che il lavoratore potesse pretendere il c.d. “danno differenziale”, ovvero il danno sempre patrimoniale che eccede quello coperto dall’assicurazione obbligatoria. La Corte Costituzionale a partire dagli anni ’90 ha iniziato a dire che la regola dell’esonero si riferiva soltanto ai danni patrimoniali. Dunque i lavoratori, tranne ipotesi del fatto costituente reato, non potevano pretendere nient’altro e quindi dovevano accontentarsi dell’indennizzo versato dall’INAIL. Indenizzi o rendite in base ai tipi di inalibilità da infortunio o in caso di morte Le prestazioni sono diverse a seconda della tipologia di lesione che si subisce. Nell’ipotesi in cui la lesione sia la morte la prestazione è versata ai superstiti, una rendita che viene erogata pro quota agli eredi del lavoratore defunto. Se invece la lesione è l’inabilità permanente, il soggetto inabilitato avrà diritto ad una rendita che cambierà a seconda del grado di menomazione che il soggetto ha subito. Se l’inabilità è assoluta allora la rendita è pari alla retribuzione entro un certo massimale, se invece l’inabilità è parziale allora avremo a seconda dei casi una percentuale di retribuzione che verrà versata sotto forma di rendita. Se invece l’inabilità è temporanea assoluta allora il soggetto ha diritto ad una indennità giornaliera superato il c.d. “periodo di carenza”. La legge prevede che i primi tre giorni di infortunio non vengano coperti dalla legge stessa. Normalmente i contratti collettivi di lavoro prevedono a carico del datore di lavoro, il quale sopporta questo costo, la copertura anche del periodo di carenza. In ogni caso superati questi tre giorni si avrà la copertura del periodo di inabilità temporanea assoluta. L’indennità giornaliera aumenta nel caso in cui l’inabilità temporanea assoluta perduri oltre un certo periodo: Primi 90 giorni  indennità giornaliera pari al 60% della retribuzione; Oltre  indennità giornaliera sale al 75% della retribuzione. Molti contratti collettivi prevedono la copertura di ciò che manca per arrivare alla retribuzione giornaliera piena. L’INAIL può agire in rivalsa nei confronti del datore di lavoro in caso di dolo o colpa grave. Malattie Professionali Il “sistema tabellare” delle malattie professionali Nasce in un secondo momento rispetto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro, le due discipline verranno riunite soltanto nel 1935. La tutela delle malattie professionali nasce legata al c.d. “sistema tabellare”. La tutela era limitata ad una lista tassative di tecnopatie, quindi nasce legata a specifiche malattie. Nel momento in cui il lavoratore addetto a certe lavorazioni contraeva una di quelle 6 tecnopatie allora scattava la tutela. Il vantaggio di un sistema tabellare di questo tipo era il fatto che si presumesse in modo assoluto l’origine professionale delle malattie comprese nella tabella. Se il lavoratore X contraeva la malattia Y durante il lavoro e che era compresa nella tabella, si presumeva che quella malattia avesse origine professionale, anche se l’aveva manifestata dopo. Questo comportava che vi fosse un esonero di qualsiasi genere probatorio in capo al lavoratore, proprio con riferimento al nesso di causalità tra lo svolgimento dell’attività lavorativa e la malattia contratta. Il lavoratore doveva soltanto dimostrare di essere stato adibito alla lavorazione e dimostrare di essersi ammalato. Vi era un vincolo temporale perché le tabelle indicavano entro quale lasso di tempo, rispetto all’esposizione al rischio, il lavoratore di doveva ammalare. Articolo 3 T.U. 1965 - L'assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell'art. 1. (le lavorazioni pericolose). Il lavoro deve essere la causa determinante della malattia professionale, non soltanto l’occasione. Con l’evolversi della tecnica il numero delle malattie professionali tabellate è cresciuto in maniera significativa, ed è cresciuto con il crescere dei dubbi della validità di questo sistema, cioè di un sistema tabellare. La riorganizzazione del sistema tabellare giunta con il D.lgs n°38/2000 Dispositivo della sentenza n°179/1988 della Corte Costituzionale che dichiara illegittimità costituzionale dell’articolo 3 I Comma d.p.r. n°1124/1965. Nella parte in cui non prevede che l’assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nella tabella, purché si tratti di malattie di cui sia provata la causa di lavoro, e dall’altra l’illegittimità costituzionale delle norme che fissano un termine temporale massimo entro cui le malattie devono manifestarsi per poter essere indennizzate. L’inerzia che il legislatore ha dimostrato in tutti questi anni l’ha continuata a dimostrare anche negli anni successivi perché ci sono voluti ben 12 anni dalla pronuncia della sentenza n°179/1988 affinché il legislatore modificasse il testo unico d.p.r. n°1124/1965 e introducesse una disposizione che tenesse conto di quella pronuncia. Il sistema aveva bisogno di una riorganizzazione giunta con il D.lgs n°38/2000 il quale ha codificato quel risultato nell’articolo 10. Comma IV articolo 10 D. Lgs. N° 38/2000 – “Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale”. Se la malattia è tabellata il riconoscimento di indennizzabilità è automatica, se invece la malattia non rientra nelle tabelle il lavoratore potrà avere diritto all’indennità, e quindi vedersi riconosciuta la malattia, qualora provi la natura professionale della malattia portata. L’articolo 10 mette in piedi un sistema volto al progressivo riconoscimento in tabella delle malattie che si manifestano a causa del lavoro e vi è una procedura che prevede l’inserimento in elenchi di malattie con probabile o possibile origine lavorativa che vengono via via stilate. Questo registro di malattie professionali tabellate rimane un vantaggio per il lavoratore, perché se la malattia è tabellata non ho bisogno di provare nulla e bisogna solo provare di averla contratta. Nonostante l’allargamento progressivo ancora oggi vi sono malattie di cui è difficile provare l’eziologia professionale. Non ci si ferma mai sotto questo profilo. L’aumento delle denuncie professionali è un aumento collegato al crescere dell’importanza delle malattie non tabellate. Abbiamo un fenomeno per cui in genere le malattie tabellate progressivamente diminuiscono e aumentano le malattie non tabellate. Soprattutto perché con riferimento alle malattie tabellate vengono posti in essere tutta una serie di interventi di prevenzione e di adeguamento degli ambienti di lavoro che sono sempre molto mirati, e quindi più efficaci. Pensioni - Evoluzione della disciplina 1898 nasce la Cassa Nazionale e sancisce la prima forma pensionistica del nostro paese L’assetto vigente della tutela della vecchiaia è il frutto di una stratificazione normativa molto lunga, complessa e articolata. La prima legge in materia pensionistica è stata legge n°350/1898 che istituì la cassa nazionale per vecchiaia e invalidità degli operai dell’industria che però gestiva una assicurazione solo volontaria ed era finanziata grazie ai contributi degli iscritti. L’importanza di quella legge fu il fatto che sostituì al pluralismo delle società di mutuo soccorso una mutua assicuratrice unitaria. La cassa La cassa verrà ampliata negli anni successivi e diventerà obbligatoria nel 1919. Non solo gli operai ma anche gli impiegati dell’industria erano obbligati a iscriversi presso questa cassa. Contribuivano a questa cassa sia i lavoratori che i datori di lavoro e per la prima volta venne previsto il concorso finanziario dello stato. Quella cassa originaria erogava pensioni in l’introduzione del sistema di calcolo contributivo voleva ridurre il rendimento, quindi ridurre l’importo delle pensioni e soprattutto collegarlo alla contribuzione versata. Con la riforma Maroni assistiamo a un inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione attraverso l’elevazione dell’età pensionabile, qui la logica del risparmio è diversa e si decide di aumentare l’età pensionabile anche per reagire al fenomeno dell’invecchiamento demografico. Come funzionava l’elevazione dell’età pensionabile? Era un aumento un po’ particolare chiamato “scalone”perché l’aumento era consistente, di 3 anni rispetto alla disciplina previgente quindi da 57 a 60 anni ma dilazionato nel tempo. Avrebbe dovuto entrare in vigore nel 2008 ed aumentare gradualmente (nel 2010 a 61 anni per i lavoratori dipendenti ed aumentare di un altro anno nel 2014). Tutto questo non entrerà mai in vigore. Nel contempo la riforma Maroni introduce un nuovo meccanismo, un incentivo che viene chiamato “super bonus” perché l’obiettivo era quello di convincere i lavoratori del settore privato che avevano i requisiti per andare in pensione a rimanere al lavoro e a rinunciare all’accredito contributivo con il vantaggio di avere in busta paga l’equivalente della contribuzione previdenziale a cui si era rinunciato. Questo meccanismo non avrà successo. Inoltre abolisce il sistema di età flessibile introdotto dalla riforma Amato e fa tornare il sistema alla diversificazione tra donne e uomini. All’approssimarsi del 2008, l’anno in cui si sarebbe dovuto aumentare l’età pensionabile di tre anni tutto in una volta si scatenò il panico. La legge n°247/2007 la riforma del governo precedente venne congelata, venne fatta una riforma della riforma e si sostituì quel progetto di elevazione dell’età pensionabile con un progetto diverso che prevedeva una elevazione graduale dell’età pensionabile. Quindi nel 2008 veniva aumentata di 1 anno, nel 2009 di un altro anno, nel 2010 di un altro anno. La legge n°247/2007 oltre a introdurre questo nuovo sistema e rinnegare le scelte fatte dalla riforma precedente modificò il sistema delle c.d. finestre di uscita. Erano delle decorrenze temporali fissate dalla legge per conseguire la pensione. In sostanza attraverso questo sistema si aveva un innalzamento dell’età pensionabile. Su questo sistema delle finestre interverranno delle manovre economiche degli anni successivi, 2010 e 2011, che saranno imperniate su questo sistema delle finestre di uscita. Il legislatore cambiò modalità allungando a dismisura queste finestre, e dunque i lavoratori si trovarono nella situazione di dover aspettare da 12 a 18 mesi. Questo verrà definitivamente soppresso nel 2012 con il decreto “Salva Italia” del governo Monti. L'entrata in vigore della riforma Monti - Fornero Arriviamo alla riforma del governo Monti, decreto legge n°201/2011 convertito in legge n°214/2011, nota anche come “legge Monti Fornero”, ultima e vera propria riforma. Vi sono una serie di criteri che ispirano quella riforma, che sono: ricerca di una sorta di equità intergenerazionale e intragenerazionale per permettere alle generazioni di aiutarsi vicendevolmente; eliminare il più possibile i privilegi in materia pensionistica; incentivare i lavoratori a proseguire l’attività lavorativa anche dopo l’età pensionabile; adeguamento dei requisiti di accesso al variare della speranza di vita. Questo adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita non viene inventato dalla riforma Monti ma viene introdotto nell’ordinamento dalla manovre economiche che si hanno nel 2010-2011. Le regolarizzazione dell'età pensionabile tra uomini e donne In merito al discorso che il legislatore di volta in volta fa, per decidere se l’età pensionabile tra uomini e donne debba essere uguale o debba essere diversificata, osserviamo che la riforma Amato la rende uniforme, mentre la riforma Maroni invece la diversifica nuovamente, questa scelta viene bocciata dalla corte di giustizia dell’Unione Europea. Questa viene interrogata da un giudice italiano sul regime di età pensionabile differenziato tra uomini e donne vigente in particolar modo nel settore del pubblico impiego. In sostanza si inizia una procedura di infrazione nei confronti del nostro paese perché si dice che “prevedere un’età differenziata tra uomini e donne per il pensionamento nel caso del pubblico impiego rappresenta una discriminazione sulla base del sesso”. La corte di giustizia, considerando che i lavoratori pubblici rappresentano un regime speciale pensionistico che è sottoposto al divieto di discriminazioni sulla base del genere e di conseguenza prevedere una diversa età di pensionamento tra lavoratori pubblici uomini e lavoratrici pubbliche donne è una discriminazione vietata dal diritto europeo. Il nostro paese viene condannato con una sentenza pronunciata il 13 novembre del 2008 e di conseguenza deve modificare la legislazione. Questo avviene nel 2009 con una legge che dispone un innalzamento graduale dell’età pensionabile delle dipendenti pubbliche con l’obiettivo di eguagliare in prospettiva le due età pensionabili. A questo punto le lavoratrici pubbliche verranno eguagliate come età pensionabile ai lavoratori pubblici. Questo ragionamento la corte non lo fa rispetto alle lavoratrici private. Abbiamo a questo punto un problema di diritto interno e di violazione del principio di uguaglianza perché i due settori sono disciplinati in modo diverso. Accade che si prevede un innalzamento progressivo anche dell’età pensionabile delle lavoratrici private. Con le manovre economiche del 2010-2011 il legislatore va ad equiparare l’età pensionabile tra uomini e donne nel settore privato in maniera graduale. Inizia quel processo che è quasi giunto a compimento. Le principali forme di pensione Abbiamo messo in rilievo come la riforma Monti abbia generalizzato a partire dal 1° gennaio 2012 il meccanismo di calcolo di tipo contributivo, delineando per coloro che avevano mantenuto il sistema di calcolo retributivo un meccanismo pro rata. Questa modifica individua le prestazioni pensionistiche a tutela della vecchiaia in due tipologie di prestazioni: pensione di vecchiaia pensione anticipata Un’altra innovazione tra quelle più rilevanti è l’innalzamento dell’età pensionabile. Contemporaneamente sono state abolite le finestre di uscita. Un altro elemento importante di questa riforma è stato quello di stabilire una sorta di accelerazione del percorso di equiparazione nel nostro ordinamento dell’età pensionabile tra uomini e donne, oltre all’introduzione di un blocco della perequazione automatica per il biennio 2012-2013. Le principali forme di pensione sono quattro: pensione di vecchiaia pensione anticipata pensione ai superstiti pensione di invalidità e di inabilità Il nostro sistema previdenziale è pluralista, esiste una pluralità di enti previdenziali e una pluralità di regimi all’interno dello stesso ente previdenziale maggiore INPS. Concentriamo l’attenzione sul regime generale dell’invalidità vecchiaia e superstiti dei lavoratori subordinati gestito dall’INPS. Riguarda tutti i soggetti che abbiano compiuto 14 anni di età che prestino lavoro retribuito, aggiornati all’attuale età minima richiesta per il lavoro che è di 16 anni (con obbligo scolastico). Il sorgere del diritto alle prestazioni è condizionato all’esistenza di precisi e specifici requisiti di assicurazione, di contribuzione che variano a seconda del tipo di prestazione. Gli effetti di questi requisiti che limitano la possibilità di accedere alle prestazioni pensionistiche sono in qualche modo temperati da alcuni istituti quali ad esempio la contribuzione figurativa e anche la contribuzione volontaria. Strumenti che l’ordinamento introduce per ovviare a periodi o di interruzione del lavoro o di sospensione del lavoro. Inoltre abbiamo anche il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali. Ancora istituti quali la ricongiunzione, la totalizzazione, il cumulo. Pensione di Vecchiaia I requisiti per la richiesta della pensione di vecchiaia Tre tipologie di requisiti: requisito contributivo; requisito anagrafico; requisito dalla cessazione del rapporto di lavoro (una volta fatta questa richiesta il lavoratore non può più lavorare). Requisito Contributivo – Oggi la legge in materia pensionistica richiede un minimo di 20 anni di contribuzione. Viene richiesto un ulteriore requisito, nel senso che questi 20 anni di contribuzione sono sufficienti a patto che i contributi che si sono maturati durante questi venti anni diano luogo ad un importo non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Requisito Anagrafico – Requisito richiesto ai lavoratori “pensionandi” dalla riforma Monti. Oggi 2017 è richiesto un requisito minimo di 66 anni e 7 mesi per tutti i lavoratori del pubblico impiego e per i lavoratori uomini del settore privato. Oggi 2017 le lavoratrici donne del settore privato stanno raggiungendo questa soglia, siamo a 65 anni e 3 mesi. Siamo partiti nel 2012 con un meccanismo di incremento progressivo e si raggiungeranno i 67 anni e 7 mesi nel 2018. Questo requisito di età minima è connesso alla speranza di vita. A prescindere se la speranza di vita crescerà ancora o meno, nel 2021 l’età pensionabile sarà fissata in 67 anni. Pensione Anticipata (ex di Anzianità) I requisiti per accedervi Questa prestazione è figlia di una antica prestazione pensionistica che è la Pensione di Anzianità che è una tipologia di pensione tipica del nostro paese. Ha rappresentato la risposta previdenziale a lavori che sono particolarmente onerosi, particolarmente pesati e che il lavoratore non può permettersi di svolgere fino a età elevate. Aveva l’obiettivo di tutelare situazioni soprattutto di lavoratori che iniziavano l’attività lavorativa molto presto e che dunque, raggiunta una età anagrafica non particolarmente alta, erano già molto provati dal lavoro e quindi per tantissimo tempo l’unico requisito richiesto per ottenere la pensione di anzianità era un requisito di natura contributiva, non vi erano requisiti anagrafici. Questa particolarità è da tempo guardata con molto sfavore sia del fatto che fortunatamente la penosità del lavoro è stata ridotta (rispetto al secondo dopo guerra la situazione è migliorata), ma anche in considerazione del processo di invecchiamento demografico che impone la fissazione di requisiti anagrafici elevati e anche a causa della crisi finanziaria del sistema previdenziale. Per lungo tempo il requisito richiesto era un requisito di tipo contributivo fissato in 35 anni di contributi. I c.d. lavoratori precoci hanno anche un conteggio vantaggioso. Anche negli anni ’60 e ’70 era difficile raggiungere 35 anni di contributi effettivi perché anche allora vi erano carriere interrotte. Dall’analisi dell’impatto sociale che è stata fatta alla fine del secolo scorso sul pensionamento di anzianità, si era scoperto che i maggiori beneficiari non erano stati gli operai delle fabbriche ovvero coloro per i quali questo istituto era stato pensato, ma soprattutto gli impiegati legati alla grande industria. Di conseguenza la ratio di questo istituto ha iniziato a vacillare. Un altro problema legato alle pensioni di anzianità era anche il rendimento elevato di quelle pensioni perché i soggetti che avevano alle spalle una carriera contributiva di 35 anni di regola avevano anche un andamento retributivo ascendente abbastanza apprezzabile. Queste pensioni che erano calcolate secondo il metodo retributivo erano anche molto elevate e dunque rappresentavano un costo per il sistema significativo. In considerazione di tutti questi elementi di criticità di queste prestazioni pensionistiche ad un certo punto, in coincidenza con i primi anni ’90 e le prime riforme di contenimento della spesa pensionistica, viene introdotto un requisito anagrafico oltre al requisito contributivo. Il requisito anagrafico che viene fissato cambia molto di anno in anno. Nel biennio tra il 2008-2009 i 35 anni di contributi devono essere accompagnati da 58 anni di età e nel biennio 2010-2011 viene introdotto un c.d. sistema delle quote che permette di conseguire il diritto alla pensione di anzianità al raggiungimento di quote che sono date dalla somma della contribuzione più l’età anagrafica. Si parte dalla quota 95 che prevede 60 anni di età e 35 anni di contributi per poi salire ad una quota 97. Negli ultimi anni queste pensioni di anzianità non erano state eliminate ma di fatto i requisiti anagrafici erano requisiti molto vicini ai requisiti anagrafici richiesti per il pensionamento di vecchiaia. Il passaggio con la riforma Monti dalla pensione di anzianità a quella anticipata Via via questo istituto viene sostanzialmente superato per poi arrivare alla riforma Monti del 2011 in cui viene abrogato del tutto e sostituito dalla Pensione Anticipata che esiste oggi e che è complicata con requisiti di accesso molto complessi. I requisiti richiesti per il pensionamento anticipato cambiano a seconda che alla data dell’entrata in vigore della riforma Dini, cioè il 1° gennaio 1996, i soggetti interessa al pensionamento anticipato avessero già versato contributi oppure no. Partiamo dai primi. Nel triennio 2016-2017-2018 se il lavoratore ha accumulato una anzianità contributiva molto significativa, ovvero 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, ha diritto al pensionamento anticipato nel senso che non si va a vedere qual è la sua età anagrafica.