Scarica diritto della previdenza sociale e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Diritto della previdenza sociale 19/10/18 Il sistema previdenziale è in continuo cambiamento, sia a causa di fattori interni (come la politica) sia di fattori esterni (come l’Unione Europea o eventi internazionali). Cosa studia il diritto della previdenza sociale? Qual è la distinzione con il diritto del lavoro? Diritto del lavoro è una disciplina giuridica in senso ampio che si occupa di studiare la disciplina del lavoro subordinato. Il diritto del lavoro, in senso ampio, contiene al suo interno anche il lavoro autonomo, dunque si parla anche di lavoro umano e come viene organizzato a seguito dell’avvento delle macchine. Elemento legato al vincolo di subordinazione che lega il lavoratore subordinato (o prestatore di lavoro subordinato) e il datore di lavoro. Dunque il diritto del lavoro si occupa di studiare, in via generale, questo rapporto e tutto ciò che attiene a questo rapporto. Ci sono anche spazi per il lavoro autonomo, anche se non vi è alcuna subordinazione, perché il lavoratore autonomo lavora per sé. Bisogna capire cosa c’è. Tutto ruota intorno al lavoro. Tutele anche per i parenti: la tratteremo. Diritto del lavoro in senso stretto, che studia l’insieme di diritti e obblighi a capo del lavoratore subordinato e del datore di lavoro. Diritti e obblighi che discendono da questo vincolo di subordinazione. Abbiamo anche il diritto sindacale: Disciplina giuridica che si occupa del lavoratore all’interno della collettività. In un momento collettivo all’interno di un‘organizzazione che lo rappresenta, il sindacato. Questo tipo di diritto studia il momento collettivo. La disciplina studia cos’è un sindacato, le regole che lo governano, le prerogative che lo stato riconosce ai sindacati e quali sono i mezzi di lotta. Il diritto sindacale ha una sua autonomia. Non ne parleremo, parleremo solo del contratto collettivo, poiché viene impiegato anche in alcune forme di tutela nel diritto previdenziale italiano. Diritto della previdenza sociale (lavoro in senso lato). Il soggetto è il lavoratore subordinato nel momento preciso in cui si trova nello stato di bisogno. Il diritto della previdenza sociale studia quali sono queste dinamiche di bisogno e qual è la tutela previdenziale. Stato di bisogno è una condizione nella quale il lavoratore non può lavorare quindi gli viene riconosciuta una tutela previdenziale che discende dal fatto che è/era un lavoratore subordinato. Questo è un tassello fondamentale per poter distinguere la previdenza dall’assistenza: la prima parla di lavoro umano e subordinato in una situazione di bisogno. Nell’assistenza non c’è un lavoratore subordinato, ma un cittadino, che si trova sempre in una condizione di bisogno, ossia è un soggetto che non viene tutelato per un’attività lavorativa che sta svolgendo, ma che viene tutelato per il suo essere cittadino. (Il fattore dell’essere cittadino incide molto sull’assistenza). La previdenza è materia strettamente nazionale. A livello europeo esiste un regolamento, ma non una previdenza europea. Materia nazionale e nella quale l’intervento dello stato ha un ruolo fondamentale perché queste situazioni di bisogno nelle quale incorre il soggetto tutelato comportano l’intervento dello stato nel momento in cui questo sistema non riesce ad autofinanziarsi. Di base la tutela previdenziale è una materia nazionale ed è al 99% una tutela di tipo economico. Excursus storico Non si può dire che la previdenza nasce in un certo momento, ma che in un certo momento storico comincia a presentarsi la necessità di una legislazione sociale a tutela dei lavoratori. Quando parliamo della nascita del diritto previdenziale parliamo della nascita di una legislazione sociale, un intervento dello stato volto a fornire una tutela a soggetti lavoratori in situazione di bisogno. Diritto del lavoro in senso stresso e diritto della previdenza sociale sono nati nello stesso momento (inizialmente non c’era questa distinzione, ma la prima legislazione sociale ). Si colloca questo momento quando nasce anche il diritto del lavoro. Diritto del lavoro e della previdenza sociale sono nati nello stesso momento, poi nel corso dei decenni si sono diversificate le materie. Siamo in Inghilterra durante la rivoluzione industriale con l’ascesa della questione sociale. Inghilterra del ‘700 (in Italia quasi 100 anni dopo). Nasce nel momento in cui abbiamo la nascita del lavoratore subordinato con la nascita delle macchine, delle fabbriche e degli opifici. La popolazione inizia a spostarsi verso le città e le fabbriche dove: le condizioni di lavoro degradanti, lavoro delle mezze forze. Queste condizioni di lavoro che provocavano infortuni di lavoro, il più delle volte mortali. Infortunio che generava la prima nota di condizione di bisogno del soggetto che non può più lavorare temporaneamente o definitivamente (in caso di morte) e questo ricadeva sul nucleo familiare e comincia a delinearsi una situazione che crea i primi moti di lavoratori stessi che cominciano a chiedere migliori condizioni di lavoro e capiscono che se uniti possono avere maggior peso. Ecco che lo stato interviene per la prima volta attraverso lo strumento della legislazione sociale. Davanti alle prime forme d’intervento lo stato vuole evitare l’insoddisfazione del ceto sociale per evitare l’insurrezione pubblica ma non gli interessa il lavoratore in sé (diritto comune romano: sullo stesso piano. La legislazione non nasce con l’intento di tutelare il lavoratore ma con l’idea di evitare che l’insoddisfazione di quel ceto possa andare a compromettere l’ordine). Dunque non nasce con un fine solidaristico ma nasce con l’obiettivo di limitare forme di associazionismo e malcontento che possano andare ad incidere sull’ordine dato. Finalità: mantenere l’ordine pubblico. Questo è il primo elemento. Le prime forme di legislazione sociale vogliono limitare il malcontento, per evitare la sovversione e la riunione dei lavoratori nei sindacati, i quali nascono proprio in quel periodo, durante la rivoluzione industriale, in cui i lavoratori si uniscono e si coalizzano contro i datori di lavoro. Il sindacato ambisce ad avere una sua influenza politica. Infatti, in Inghilterra, il sindacato ha generato il partito dei lavoratori. Questo è il contesto storico. Previdenza: tratta di situazioni di bisogno in soggetti che prestano un’attività lavorativa in questo caso stiamo parlando di contesti di fabbriche. Il primo elemento sulla nascita della previdenza sociale è dato dalla condizione del momento storico nell’Inghilterra del 1700. Altro fenomeno che ha inciso in maniera significativa sull’evoluzione della previdenza è la nascita delle assicurazioni sociali (l’istituto dell’assicurazione era nato in Italia diversi decenni prima nel 1400-1500) riproposto nell’ambito del sistema industriale. Anche la Germania ha conosciuto una sua rivoluzione industriale di qualche anno precedente a quella italiana. Nasce nel contesto tedesco perché ad un certo punto una serie di studiosi hanno ritenuto di poter ovviare alle conseguenze derivanti dagli infortuni sul lavoro. I fattori che hanno determinato lo sviluppo di questo fenomeno furono di carattere economico-tecnico e l’avvio degli studi del calcolo attuariale. Lo studio statistico. Il premio viene calcolato su base statistica. Cosa centra lo studio statistico con l’assicurazione sociale? Qualsiasi contratto di assicurazione prevede che io soggetto mi assicuro con un altro soggetto, gli verso il premio, in maniera tale che se mi capita un determinato evento questo soggetto al quale ho versato il premio mi dà un contributo di tipo economico. Come viene calcolato il premio che devo versare al soggetto? Viene calcolato su base statistica. Meccanismo applicato anche allo svolgimento dell’attività lavorativa. Nel 1883 questi fattori portarono il cancelliere Bismarck ad avviare la prima forma di assicurazione sociale. Quali sono le caratteristiche di questo strumento? L’assicurazione funzionava che c’era un soggetto pubblico il quale riceveva un premio dai datori di lavoro che si assicuravano e che a seguito di determinati eventi in contesto sfavorevole (es infortunio, un famigliare che lavora muore, cc) l’assicurazione erogasse al lavoratore o famiglia un’indennità, un compenso. Il datore pagando l’assicurazione si spoglia di tutte le conseguenze che si possono verificare da quell’evento. Perché si spoglia? Perché da un punto di vista giuridico il datore di lavoro si occupa di gestire le conseguenze degli eventi che attengono il lavoratore, ma con lo strumento dell’assicurazione, lui si spoglia della responsabilità poiché interviene l’ente assicuratore. E’ un modello gestito dal pubblico nel quale io contribuisco al sistema (attraverso un contributo previdenziale) e al verificarsi della situazione il sistema della tutela. Meccanismo nel quale c’è il datore di lavoro ma è anche un meccanismo nel quale il lavoratore stesso può assicurarsi. Schema che funziona. Non si parla più di assicurazione ma, in alcuni casi, si parla di premio. Però l’esperienza dell’assicurazione sociale è un’esperienza fondamentale perché individua qual è lo strumento che verrà impiegato per sviluppare il sistema giuridico previdenziale. Stiamo parlando di due eventi (rivoluzione industriale e assicurazione sociale) che sono arrivati in parametri diversi nel sistema italiano. I due elementi cardine che avviano la previdenza sono stati la rivoluzione sociale in Inghilterra e la conseguente legislazione sociale e la nascita delle assicurazioni sociali in Germania. Ogni sistema nazionale si è evoluto secondo proprie linee guida, e così in Italia. L’evoluzione del diritto previdenziale in Italia. Da un punto di vista storico, l’evoluzione industriale avviene con circa cent’anni di ritardo rispetto al caso inglese. La prima legislazione sociale in Italia risale a fine ‘800. Anche il meccanismo delle assicurazioni sociali verrà ripreso in termini diversi rispetto all’esperienza tedesca di Bismark. Punti di contatto: mantenere l’ordine pubblico; ma vi sono anche punti di conflittualità rispetto agli altri ordinamenti (inglese, tedesco). Da noi vi era già una forma di auto-protezione: era presente un sistema per proteggersi al verificarsi di determinati eventi. Sistemi riconducibili alle società di mutuo-soccorso: io lavoratore verso una parte dei miei introiti a degli organismi associativi per essere assicurato se mi capita un evento che mi impedisce di continuare l’attività lavorativa. Associazioni volontarie dei lavoratori, private, funzionavano senza gestione pubblica, nacque in Art.2115 (obbligo contributivo) Il primo afferma il principio cardine della ripartizione tra il datore di lavoro e il lavoratore dell’obbligo contributivo (legato all’obbligo del contributo previdenziale che deve essere dato all’organo previdenziale. Spetta al datore, ma anche al lavoratore in certe gestioni). Art. 2116 (automaticità delle prestazioni) Il secondo afferma il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali (permette al lavoratore subordinato di avere diritto alla prestazione previdenziale anche quando il datore di lavoro non ha versato i contributi). Es. richiesta della disoccupazione: l’ente previdenziale fa un controllo se sono stati versati i contributi previdenziali che foraggiano quella forma di tutela. Se il datore di lavoro non li ha versati e quindi, da un punto di vista formale, il lavoratore si troverebbe senza tutela, perché gli manca la contribuzione, in virtù del principio dell’automaticità delle prestazioni, al lavoratore viene lo stesso erogata questa forma di previdenza. Sarà poi l’ente previdenziale che dovrà rivalersi sul datore di lavoro inadempiente. Quindi è un principio fondamentale perché permette al lavoratore (subordinato) di essere tutelato ugualmente anche se il datore non ha versato i contributi ma l’ente previdenziale poi chiederà al datore di lavoro perché non li ha versati e si aprirà un procedimento giudiziario. Per quanto riguarda il lavoratore autonomo, se non ha versato i contributi l’INPS non lo copre, poiché è autonomo, quindi doveva versarli lui. Norma che ha avuto un’estensione ad altri ambiti. Anche in questo frangente si comincia a percepire la differente forma di tutela tra il lavoratore subordinato e chi non lo è. Questa forma di tutela è circoscritta nel diritto previdenziale ma nel diritto del lavoro è sproporzionata. In quest’ultimo, il lavoratore subordinato ha delle tutele che non sono previste al lavoratore autonomo. Ecco perché il soggetto in età da lavoro è più propenso al lavoro subordinato che al lavoro autonomo. Il periodo corporativo quindi si conclude con l’istituzione delle leggi nel codice civile e con un sistema previdenziale che prevede la creazione di enti previdenziali statali, l’ampliamento delle tutele previdenziali verso altri eventi. Es. 1943: istituzione cassa integrazione guadagni finalizzata a dare un contributo economico a quei lavoratori che sono sospesi dall’attività lavorativa. Prima legislazione legata alla cassa integrazione guadagni. Tutte le forme di tutela trovano origine dagli anni 20 agli anni 40 del 1900. Su queste forma di tutela cala dall’alto la Costituzione. Il periodo si conclude con l’istituzione della Costituzione nel 1948. La Costituzione 1948: Nell’assemblea costituente si apre un dibattito sull’impostazione da dare alla forma della previdenza e dell’assistenza. I costituenti si trovano a dover decidere quale approccio dare in base all’importante esperienza fascista, che non viene rinnegata, in quanto alcune norme recuperano ciò che aveva di positivo l’ordinamento precedente ( es. organizzazione sindacale). Compromesso tra le varie anime all’interno dell’assemblea costituente, Es. modello di Welfare: art. 38 della Costituzione. Il problema è sposare uno dei modelli di welfare già presenti o adottarne uno nuovo. Il primo modello già presente è il modello bismarckiano. Modello che si basava sull’assicurazione sociale pura (gestione pubblica (in Germania) / gestione privata (in Italia)). C’era una diretta corrispondenza tra oneri versati dal datore e prestazioni erogate dai lavoratori. Più contributi venivano versati dai datori, più il contributo era elevato, più le prestazioni economiche che venivano erogate andavano a garantire lo stesso tenore di vita ai lavoratori. Tutto viene agganciato alla corrispondenza: se versi poco avrai poco, se versi molto avrai molto. Serviva per avere un equilibrio, promozione di un mantenimento del tenore di vita anche nel momento in cui il soggetto lavoratore subordinato non lavora più (situazione temporanea o definitiva). Pensato per le categorie forti di lavoratori e vede lo stato in una posizione di gestione. Tale modello opera secondo un principio di capitalizzazione: le risorse accantonate sono le risorse che vengono erogate ai lavoratori che sono in una condizione di bisogno. Io, ente previdenziale, accumulo risorse, le faccio fruttare ed esse mi permettono di erogare delle prestazioni economiche di un certo importo che mi permettono di mantenere lo stesso tenore di vita. Principio che presuppone una gestione finanziaria oculata da parte degli enti previdenziali che devono incamerare delle risorse date dai lavoratori e che gli verranno erogate come prestazioni economiche. Riassumendo: modello categoriale o corporativo. Legato alla categoria dei lavoratori. Modello oneroso (si richiede un contributo al datore e al lavoratore). È proporzionale: chi versa di meno ha di meno, chi versa di più ha un’erogazione maggiore. Solidarietà limitata o categoriale. A questo modello si oppone l’altro modello di welfare, che è il seguente: Modello beveridgiano (lord Beveridg), 1942 teorizza un modello di welfare applicato nella Gran Bretagna di quei anni. Modelli opposto al precedente (che era chiuso e riservato alle categorie più protette). Nasce come un modello universale, qui ad essere tutelato non è solo il lavoratore, ma il cittadino attraverso un servizio pubblico e finanziato dalla fiscalità generale su prestazioni universali. Cittadini in determinate condizioni. Modello gratuito nel momento in cui il finanziamento viene dalla fiscalità generale. Da una tutela minima uniforme a tutti i soggetti. Il sevizio è pubblico che impone il contributo della fiscalità generale e si basa secondo il modello della ripartizione (il soggetto che gestisce le risorse le accumula e le eroga al soggetto nell’immediato. Non viene accantonato, ma immediatamente ridistribuito). L’erogazione di queste misure non può avvenire in modo selettivo ma secondo regole valevoli per tutti. Ciò genera che le prestazioni devono essere erogate secondo la forma del tenore di vita. La prestazione legata a questo modello di welfare non fa mantenere lo stesso tenore di vita, non si avvicina neanche al mantenimento dello stesso tenore di vita, ma permette a più persone di poterne fruire. Quindi, prestazioni minime, essendo finanziate dalla fiscalità generale ed essendo legate a regole di ridistribuzione uniformi per tutti, significa più prestazioni per tutti. Questo modello trova espressione massima in Gran Bretagna con l’istituzione del servizio sanitario nazionale. Riassumendo: modello universale e gratuito nella misura in cui il finanziamento viene esclusivamente dalla fiscalità generale, quindi dal gettito fiscale, non dà una tutela consistente ma minima e uniforme per tutti i soggetti. Il servizio è gestito totalmente dal pubblico e impone la fiscalità generale e la solidarietà è generale e non categoriale o settoriale come nel modello di Bismark. In più ricorda che questo modello fornisce un’assicurazione minima, quindi se il cittadino vuole una tutela maggiore deve rivolgersi al privato, fornirgli a tempo debito le risorse necessarie e poi, quando avrà bisogno, potrà rivolgersi a lui. Il modello Beveridge è presente nel sistema svedese. RICORDA: nel modello Beveridge vi è una tutela minima uniforme per tutti, dunque se il soggetto desidera avvicinarsi al tenore di vita che aveva mentre prestava l’attività lavorativa, dovrà in qualche modo rivolgere la propria attenzione verso iniziative di auto-protezione privata. I due modelli si differenziano anche per la ripartizione, tipica del modello Beveridgiano (il primo era un sistema a capitalizzazione): si tratta di un sistema di finanziamento del sistema previdenziale italiano. Il soggetto che gestisce le risorse, accumula le risorse finanziarie e le eroga in tempo reale a chi è in una situazione di bisogno. Non c’è un accantonamento ma il sistema a ripartizione significa: quanto prendo lo spendo immediatamente per darlo a chi ha bisogno, senza accantonarlo, perché viene immediatamente redistribuito. Dunque durante l’assemblea costituente bisognava fare una scelta, tenendo conto dei due modelli pre-esistenti. Si è optato per il sistema della ripartizione, dunque al modello di Beveridge. Si è fatta una scelta dal quale non si poteva tornare indietro. Il tutto è riassunto nell’articolo 38 della nostra Costituzione. 23/10/18 EPOCA REPUBBLICANA L’articolo 38 rappresenta l’unica norma nel testo costituzionale con un contenuto riferibile alla previdenza sociale. ‘Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera. ’ Anche i primi articoli della Carta Costituzionale hanno delle previsioni che hanno incidenza sul sistema della previdenza sociale: articolo 3 comma 2/ articolo 2. Art. 3 comma 2: eguaglianza sostanziale Lo stato dovrebbe garantire rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale. Ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese. L’articolo formalizza l’eguaglianza non solo formale ma anche sostanziale. Attraverso un intervento diretto dello stato che si deve fare promotore di uguaglianza. Art. 2 Ha eguale importanza anche l’articolo 2: principio di solidarietà (politica, economica e sociale) che non aveva ancora trovato spazio all’interno del nostro ordinamento. Art. 38 (del 1948) Articolo fondamentale come strumento per comprendere il contenuto dell’articolo 38. È uno strumento perché la formulazione dell’articolo 38 è apparsa poco chiara poiché tale articolo, distinto in 5 commi, dovrebbe fornire agli interpreti una chiara opzione verso un modello di sicurezza sociale e dare gli input per capire come questo modello dev’essere realizzato dallo stato. Quadro entro il quale muoversi. Norme che dovrebbero essere programmatiche e dovrebbero indirizzare l’attività del legislatore dello stato. La formulazione non è chiara e ha suscitato un ampio dibattito, arrivato alla formulazione di 3 teorie sul modello welfare ipotizzato dall’assemblea costituente. L’articolo 38 si colloca in un regime già pre-esistente al sistema giuridico, il sistema aveva una sua vita ed evoluzione ma era agganciato a principi diversi: prima il regime prevedeva una dicotomia abbastanza netta tra la previdenza e l’assistenza. La previdenza garantiva una tutela ai lavoratori in determinate situazioni di bisogno (infortuni, vecchiaia, invalidità, disoccupazione) però era netta la differenza tra previdenza e assistenza, la quale aveva i suoi connotati, dove il soggetto tutelato era bisognoso e aveva bisogno di un finanziamento pubblico. Assetto che prevedeva una previdenza cresciuta negli anni e le forme assistenziali che si erano organizzate secondo un determinato assetto. Su questo impianto viene calato l’articolo 38. Dunque per prima cosa bisognava capire se l’articolo 38 riprendeva il modello pre-esistente o se c’era stata una rottura con l’assetto precedente. La prima teoria si pone in una sorta di linea di continuità con il passato: teoria dualistica. Teoria dualistica : semplice, ci sono due parti (assistenziale/previdenziale) distinte e la norma è rivolta ai cittadini e lavoratori in situazioni di lavoro diverse e la tutela passa dalla minima in assistenza ed è più ampia per la tutela previdenziale, è più ampia perché il soggetto tutelato è il lavoratore . Si basa su un principio e sembra essere confermata quella dicotomia tra previdenza e assistenza. Sembrerebbe che il modello di welfare avvalorato nella costituzione sia ancora legato a una distinzione netta tra il profilo previdenziale e il profilo assistenziale. Le basi si comprendono leggendo il testo della norma. C’è già una distinzione del tipo di tutela fornita. Nel primo comma abbiamo un soggetto ben definito: il cittadino che è in una condizione di bisogno poiché è inabile al lavoro ed è sprovvisto dei mezzi necessari per vivere (minimo per vivere) . Questo soggetto ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Il primo comma dunque ci dice chi è il soggetto e le condizioni del soggetto per poter appellarsi a tale articolo e si lega al terzo comma. Secondo la teoria dualistica, nel primo e terzo comma, vi è l’ambito dell’assistenza sociale. Contrapposto però al secondo comma, il quale dice che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione. Il secondo comma a sua volta può essere agganciato al quarto comma, il quale dice che ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi istituiti predisposti o integrati dallo Stato. Il quarto comma inserisce un elemento fondamentale: cosa deve fare lo stato. L’intervento dello stato è forte, questa definizione se messa a confronto con quella norma della carta del lavoro del 1927, che diceva che lo stato doveva avviare un’attività di coordinamento, è forte perché implica un intervento diretto in questo caso dello stato per quanto attiene alla predisposizione sia degli organi che degli istituti, quindi alla regolazione che attiene alla erogazione delle prestazioni previdenziali e assistenziali. Se un interprete si ferma al profilo di questa teoria dualistica pensa che tale articolo è in linea di continuità con la precedente idea di intervento dello stato. Se però si fa una lettura letterale sembra che le due facce, dell’assistenza e della previdenza, siano distinte tra loro. Da un lato c’è il cittadino in uno stato di bisogno, dall’altro c’è un lavoratore in stato di bisogno. Teoria semplice e schematica. TEORIA SUPERATA. Teoria unitaria : contrapposta alla teoria dualistica, formulata da Mattia Persiani alla fine degli anni 60, dice che l’articolo 38 va letto con una visione unitaria, afferma che l’idea che ha ispirato il legislatore costituente non è stata quella di diversificare la dicotomia tra previdenza e assistenza ma l’intento è unitario ed è l’idea di dare una sicurezza sociale. È un’idea politica secondo la quale il compito dello stato è, in generale, quello della liberazione dei cittadini dallo stato di bisogno. La norma non è distinta in due fatti specie ma è unitaria. C’è un’idea di base che ha ispirato e che include assistenza e previdenza. Lo stato deve promuovere la liberazione dei cittadini dallo stato di bisogno perché lo stato di bisogno rappresenta un ostacolo che impediscono l’eguaglianza sostanziale come diceva l’art. 3 comma 2. È una teoria che va a chiamare l’articolo 3 comma 2 che è una delle norme più importanti del nostro ordinamento. A questa idea unitaria si contrappone il fatto che i lavoratori hanno una tutela maggiore rispetto ai cittadini. L’idea di fondo è quella di vedere la norma rispetto a un principio unitario di sicurezza sociale. Lo stato deve intervenire pesantemente ma non si può omettere che i lavoratori godono di una tutela previdenziale più intensa perché i lavoratori contribuiscono al benessere della quotidianità, dunque è giusto che siano più tutelati rispetto al cittadino in una situazione di bisogno. È una norma che non può essere vista scorporata in due parti perché sia la previdenza che l’assistenza rispondono allo stesso obiettivo cioè la liberazione dal bisogno, il quale è il filo conduttore che ci fa dire che questa norma va letta in maniera compatta. Idea di sicurezza sociale unica (non scorporata tra cittadini e lavoratori). Tesi basata su un principio di bisogno della tutela. Vi è poi una serie di corollari: le prestazioni previdenziali erogate dallo stato a un soggetto lavoratore per l’esecuzione di un obbligo specifico della liberazione dello stato di bisogno, dunque il servizio previdenziale, è un servizio pubblico, quindi vi sono delle conseguenze su quale caratterizzazione dare ai contributi previdenziali e alle prestazioni previdenziali. Il servizio è pubblico, la tutela è diversificata. TEORIA CHE 3. Razionalizzazione amministrativa che passa attraverso un primo potenziamento organizzativo che è l’INPS (anche per i lavoratori autonomi), prima di quell’epoca c’erano più enti, poi vi fu l’idea di polarizzare in pochi enti previdenziali. L’altro ente su cui era polarizzata la tutela era l’INPDAP. L’INPS comincia a crescere come ente previdenziale perché inizia a gestire le forme della tutela previdenziale dei lavoratori autonomi che prima erano sotto altri enti. Inizia dunque a concretizzarsi la polarizzazione tra il mondo del lavoro privato e autonomo (INPS) e il lavoro pubblico (INPDAP). Comincia a farsi largo il principio secondo il quale occorre procedere ad un’oculatezza per quanto riguarda le risorse finanziarie pubbliche. Inizia a maturare l’idea di attuare politiche di risparmio. Questa massima espressione della linea è rappresentato dalla riforma pensionistica del 1995, detta Dini. 24/10/18 Riprendendo il discorso di ieri: Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, lo stato italiano prese la decisione di adottare come modalità di finanziamento degli enti pubblici previdenziali a favore del sistema a ripartizione (utilizzare immediatamente le risorse raccolte attraverso il contributo previdenziale). Scelta allora inevitabile anche a causa della svalutazione della moneta. Nel nostro ordinamento vige da allora la scelta di utilizzare lo strumento della gestione a ripartizione per quanto riguarda le risorse finanziarie. Lo strumento a ripartizione permette la tutela della gestione finanziaria di utilizzare immediatamente le risorse che vengono accantonate e raccolte attraverso i contributi previdenziali. Si distingue dalla capitalizzazione, dato invece dall’accumulo delle risorse, dalla gestione delle risorse e dalla possibilità di erogazione delle risorse ai soggetti che le hanno versate. Scelta che allora era inevitabile e irreversibile. Ad oggi è ancora presente il criterio a ripartizione, basato anche sul principio di solidarietà tra le generazioni, cioè chi è in una condizione di bisogno ha diritto a una prestazione previdenziale alla quale concorrono dal punto di vista finanziario coloro i quali sono ad oggi soggetti attivi. I soggetti che sono attivi adesso, quando saranno soggetti passivi saranno sostenuti dal punto di vista economico da quei soggetti che allora saranno soggetti attivi. Quindi chi lavora, dal punto di vista finanziario, oggi contribuisce al sistema economico. Criterio che abbiamo ereditato da quel momento storico ed esso accompagna tutto ciò che attiene alla gestione finanziaria. Presuppone che i soggetti attivi siano tanti in modo che l’ente previdenziale possa avere una maggiore disponibilità di risorse, data dai versamenti dei contribuenti. Più i lavoratori sono attivi, più ci sono versamenti dei contributi previdenziali, che sono agganciati allo svolgimento dell’attività lavorativa, più questo permette agli enti previdenziali di avere risorse. Ecco perché è molto importante il profilo legato alla crescita dell’occupazione perché quest’ultima garantisce la sostenibilità delle prestazioni previdenziali. Dall’altra parte se si riduce l’occupazione, l’ente previdenziale non avrà a disposizione le risorse da erogare ai soggetti passivi che hanno diritto alle prestazioni previdenziali. Questo sistema è ancora oggi in uso per il funzionamento della macchina del periodo previdenziale. La crisi della metà degli anni ’70 ha iniziato a far vedere quali sono le sfide il sistema previdenziale avrebbe dovuto affrontare. Presa di coscienza non immediata, l’impatto si è registrato negli anni a venire. E le esigenze sono state quelle di livellare il più possibile i trattamenti previdenziali, di evitare trattamenti troppo differenziati (perequazione tra i trattamenti). Quindi, la prima linea di tendenza che si registra e confermata negli anni 90 è quella della perequazione tra i trattamenti, ossia di ridurre le differenza tra settori e categorie di lavoratori. Il secondo input è stato quello di un’embrionale forma di razionalizzazione amministrativa con un primo potenziamento dell’INPS. Quando parlo del lavoro privato parlo di un lavoratore subordinato che ha un vincolo di subordinazione con un datore di lavoro che non è la pubblica amministrazione. Quando parlo di lavoro pubblico mi riferisco a quel lavoratore subordinato che ha come datore di lavoro una pubblica amministrazione. Fino a qualche anni fa per il pubblico c’era l’ente previdenziale INPDAP, che gestiva le forme di tutela previdenziale per il lavoratore pubblico. Quando parliamo di pubblico impiego si parla di una considerevole fetta di lavoratori. Dai primi anni 90 il lavoratore pubblico si è avvicinato al privato. Qualche anno fa c’è stata anche l’eliminazione dell’INPDAP ed è rimasta solo l’INPS, che racchiude sia il pubblico che il privato. (I lavoratori privati sono i lavoratori autonomi?) Da metà anni ’90 idea di risparmio: Si comincia a maturare anche l’idea che le risorse finanziare pubbliche per portare avanti il sistema previdenziale sono destinate a ridursi e quindi sono necessarie politiche di risparmio per mantenere un equilibrio finanziario. Questo trova espressione nella prima grande riforma delle pensioni Dini del 1995, emanata con legge n.335. Evoluzione del sistema previdenziale: il più importante per noi è quello legato al sistema pensionistico perché prende una fetta consistente di lavoratori e perché la riforma pensionistica ha un’incidenza profonda sull’equilibrio finanziario dell’ente previdenziale. (L.335/1995) Rif. Dini: in primis è necessario sottolineare che nella previdenza sociale il focus viene fatto sull’evoluzione del sistema pensionistico, essa è preponderante per la previdenza sociale. La riforma delle pensioni è alla base del sistema previdenziale e inoltre la tutela delle pensioni è la più costosa rispetto ad altre, in più è legata a un momento certo: la vecchiaia, gli altri eventi hanno un certo grado di incertezza (es. maternità, infortuni). L’impatto di una riforma di questo genere dunque è diverso rispetto alle altre forme di tutela. Nel 1995 ci troviamo di fronte a un intervento fondamentale in cui inizia a intravedersi l’intento dello stato di porre qualche limite al sistema pensionistico: alla metà degli anni ‘90 comincia a maturare l’idea che bisogna fare delle scelte, spesso non scelte dagli elettori, per cercare di mantenere l’equilibrio del sistema. Dunque con la riforma Dini fu fatto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni (contributivo), che si sostituì alla riforma precedente del 1969- Brodolini. L’applicazione di questo nuovo sistema di calcolo avviene attraverso uno schema più blando che permette ai lavoratori di mantenere ancora il vecchio regime e poter ancora fruire del vecchio sistema di calcolo. (Di lì a qualche anno ci fu una riforma delle pensioni più incisiva caratterizzata da sacrifici immediati e molto pesanti sulla popolazione attiva). La riforma Dini inizia a maturare l’idea che l’equilibrio finanziario doveva essere garantito da un apporto dello stato. Si inizia a intuire il problema che il meccanismo, per avere un minimo di tenuta, ha necessità o di aumentare la popolazione attiva o di trovare degli strumenti che permettano di evitare un esborso troppo considerevole da parte dello stato. Dunque bisognava prendere una voce e destinarla a tale indirizzo. Nuovo metodo di calcolo delle pensioni che comincia a introdurre un meccanismo di flessibilità per l’accesso al pensionamento. C’è una flessibilità nel mondo del lavoro e nel sistema previdenziale, termine introdotto nel ’95 e presente ancora oggi. Si inizia a pensare a un accesso flessibile: dunque legato alla volontà del soggetto di rimanere al lavoro oltre a una certa soglia. Con la riforma Dini vi è una prima regolamentazione del sistema della previdenza integrativo-complementare, che è il secondo pilastro del sistema previdenziale. 1° PILASTRO: Previdenza pubblica obbligatoria 2° PILASTRO: Previdenza privata-complementare Da metà degli anni 90 si inizia a discutere della possibilità di avviare un sistema integrativo- complementare, perché si inizia a dire: si è introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni, dunque, dal 1 Gennaio 1996, i lavoratori di oggi avranno, un domani, un apporto del ricevimento della pensione più basso rispetto alla pensione calcolata dal sistema precedente. A questi si applica un sistema di calcolo contributivo: basato sul contributo versato. Sistema di calcolo che non garantisce una pensione alta come il sistema precedente, anzi si abbassava rispetto a quelle ottenute da altri fino a quel momento. Si aprono degli scenari” inquietanti”. Negli anni 2000 l’elemento su quale opera principalmente il legislatore è l’età pensionabile. I tecnici del governo fanno dei conti sull’età di accesso alla pensione. Dati che dicono che tutta la generazione del baby-boom da lì a qualche anno potevano andare in pensione, dunque soggetti non più attivi ma passivi. Calcoli legati all’andamento demografico e all’età media di vita genera di andare a toccare l’età di accesso alla pensione (2004-08 tramite leggi sull’età pensionabile, importante perché tema su cui si gioca per evitare un appesantimento finanziario). Si inizia nel 2004 fino al 2008/2009. Bisogna comprendere come tutte queste voci iniziano ad avere rilievo in questo periodo. In quegli anni sono state fatte tante leggi contenenti disposizioni sull’aumento dell’età pensionabile, era inevitabile, perché con l’età pensionabile si può giocare per evitare un appesantimento del sistema previdenziale. Dunque l’età media fu incrementata di diversi anni. Le prospettive danno un risultato pietoso e dunque un aumento dell’età pensionabile: ogni governo che ci provava ad aumentarla dopo qualche mese falliva. Nel 2009-10 si comincia a parlare anche della tutela previdenziale della disoccupazione e 2010/2011 il sistema previdenziale si evolve per la tutela della disoccupazione e per la temporanea sospensione del rapporto di lavoro. Perché in quegli anni? Crisi, recessione: impatto devastante sull’occupazione, ciò genera un problema per la tutela previdenziale per i disoccupati e coloro che erano in sospensione del rapporto di lavoro. Il problema generò una necessità di fare delle leggi. La tutela previdenziale cerca di andare a coprire quelle situazioni di bisogno di quei soggetti che non ne avrebbero diritto. Perché la tutela della cassa integrazione nasce come tutela settoriale. Tra il 2010-11 subentra la cassa integrazione in deroga, che ha avuto necessità di un grande finanziamento pubblico. Significa che la crisi ha colpito dei settori che non erano coperti dalla cassa integrazione, altri sì, ma chi non lo era doveva essere garantito anche oltre i limiti della legge. Essendo un settore pubblico non avevano versato un contributo per la cassa integrazione, legislatore compito di tutelarlo lo stesso. 2011-12 dal punto di vista della riforma pensionistica abbiamo la riforma Monti-Fornero, (governo Berlusconi) che fa parte del decreto “Salva Italia”. Riforma chiara che ha semplificato lo studio del diritto pensionistico perché pone come fine ultimo quello di non finire nel declino. Pensionamento: 15% del PIL. Buona parte delle risorse dello stato vanno nell’ente previdenziale. Razionalizzazione profonda del sistema pensionistico dal 1 gennaio 2012 del metodo di calcolo contributivo per tutti (no 3 soglie di applicazione come con Dini-lo vedremo), razionalizzazione degli enti e della gestione all’interno dell’ente (es. fusione già presente tra INPDAP e INPS) ma fu fatta una maggiore razionalizzazione all’interno dell’ente. La riforma Fornero voleva creare razionalizzazione e armonizzazione. Dunque si lavora sulla struttura amministrativa, sul metodo di calcolo e sull’età pensionabile, che divenne più alta e il meccanismo automatico statistico la fa salire di più perché la speranza di vita aumenta. Con il governo Monti si fecero altre riforme: nel 2012 abbiamo una riforma nel mercato del lavoro all’interno della quale viene toccata la disciplina della disoccupazione e della cassa integrazione guadagni. Le altre tutele previdenziali sono per lo più consolidate e non creano grandi problematiche. Ad oggi le più toccate e ancora molto discusse sono la disoccupazione e il pensionamento. Fonti del diritto previdenziale 1° tipologia = fonti Costituzione e leggi costituzionali (Art.38/Art.3 comma 2/Art.2 e Art.32) 2° tipologia = Legislazione ordinaria: decreti legge e decreti legislativi (Dini e salva Italia, jobs act, legge di stabilità) 3° tipologia = Fonti secondarie: regolamenti, atti normativi, che sono atti normativi ma non legislativi. 4° tipologia = Giustizia costituzionale: attività svolta dalla corte costituzionale, importante negli ultimi dieci anni in contrasto con il legislatore e con la disciplina legislativa. Le sue Sentenze note (previdenza) in cui è stata dichiarata come non valida quella presa dal legislatore. Blocco dell’adeguamento automatico delle pensioni, il Governo Monti introdusse una norma che bloccava la rivalutazione automatica per assegni (pensioni) di importo superiore a una certa soglia. Misura temporanea per bloccare la rivalutazione degli importi. Promosso un giudizio dalla corte costituzionale che ha dato ragione ai pensionati e questo ha avuto una conseguenza fondamentale perché l’ente previdenziale ha dovuto ridare i soldi che, con le previsioni, aveva detratto. La legislazione regionale che tuttavia non ha una valenza nel diritto previdenziale perché la materia di previdenza è sotto la potestà legislativa esclusiva dello stato. 29/10/18 Fonti internazionali ed europee: Regolano e introducono principi nel sistema di sicurezza sociale nazionale interno all’ordinamento italiano. Dalla venuta della costituzione, il mondo della previdenza sociale si è sviluppato in maniera consistente, mentre quello assistenziale ha un’evoluzione molto più contenuta che si conclude con l’emanazione della legge del 2000. Una parte delle misure che sono state prese dal legislatore e che sono poi state formalizzate attraverso degli interventi di legge sono stati in parte dovute alla presenza di una serie di disposizioni che hanno la loro origine nell’ordinamento internazionale. Tra le fonti esterne al sistema nazionale distinguiamo tra: a. fonti internazionali (ordinamento internazionale) b. fonti europee (ordinamento europeo) A. Si parla dell’ambito internazionale perché si vuole cercare di ragionare sull’esistenza di previsioni sulla sicurezza sociale che possano avere un’applicazione generalizzata a buona parte del mondo. L’idea che possano esserci dei principi generali validi a livello mondiale. L’adesione alle organizzazioni internazionali è facoltativa. All’interno dell’ONU(organizzazione delle nazioni unite), Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo , elaborata nel 1948, contiene principi generali e una disposizione (art.22) che riconosce ad ogni cittadino il diritto alla sicurezza sociale: ogni individuo in quanto membro della società ha diritto alla sicurezza sociale (in Italia si usa il termine “previdenza sociale”, ma il termine “sicurezza sociale” è stato utilizzato a livello internazionale. Quindi l’art. 22 enuncia la regola per cui ciascun individuo ha diritti economici e sociali indispensabili alla dignità e al libero sviluppo della sua personalità (art.23 li specifica: diritto al lavoro, alla scelta del lavoro, diritto all’eguale retribuzione, a fondare dei sindacati, remunerazione equa). La dichiarazione rappresenta una carta programmatica rivolta alle nazioni facenti parte delle ONU. Nella maggior parte delle organizzazioni internazionali però non esistono degli strumenti volti a garantire che queste affermazioni si traducano in diritti riconosciuti agli individui di ogni paese (disfunzione della dichiarazione). Questa accezione emerge anche nell’ambito di un’altra organizzazione internazionale dell’OIL (organizzazione internazionale del lavoro). Organizzazione specifica per le problematiche del lavoro. È stata creata nel 1919, dopo la prima guerra mondiale, con sede a Ginevra e sulla carta ha un compito di indirizzo, regolamentazione e assistenza tecnica per i paesi che decidono di aderirvi. Nello statuto dell’OIL, troviamo la finalità: l’organizzazione serve a migliorare le condizioni lavorative e sociali e lo sviluppo di un ordine economico mondiale. Ha una propria struttura: un’Assemblea Generale (chiamata Conferenza internazionale, organo deliberativo), un Consiglio di amministrazione e un Ufficio internazionale del lavoro (B.I.T). La Conferenza riunisce i rappresentanti dei paesi membri e i rappresentanti dei lavoratori e delle organizzazioni datoriali. La conferenza funziona come un organo tripartito in cui vi sono i rappresentanti delle associazioni datoriali (associazioni che rappresentano l’interesse dei datori di lavoro e delle imprese) e i rappresentanti dei Quindi, prima o si era tutti d’accordo o la legge non passava (unanimità), spesso lo stato membro metteva un veto e non passava. Con la maggioranza qualificata si è agevolata la legislazione nell’ambito dell’approvazione. Nel 1986 si apre lo spiraglio per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, con la previsione della maggioranza qualificata, a partire dal 1989 ci sarà una corposa produzione di direttive europee per quanto riguarda le regole minime per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. La dimensione sociale si apre in questo specifico settore è significativo, quando parliamo di tutela della salute dei lavoratori parliamo di un settore che non è solo lavorativo ma si apre anche alla salute (ambiente di lavoro/ sicurezza nei luoghi di lavoro). A partire da questa apertura si è registrato un ampliamento dei settori di intervento. Dunque, a partire dal 1992, con il trattato di Maastricht, si è registrata una propensione più ampia nei confronti delle problematiche legate al lavoro e dal 1992 la regola della maggioranza qualificata si è estesa anche ad altre materie (non più solo salute e sicurezza ma anche altre materie) e da qui si crea la dimensione sociale dell’UE, cioè un interessamento dell’UE delle condizioni dei lavoratori dell’UE, e questo interessamento sfocia nella previsione di una direttiva (legislazione secondaria o derivata). Tutto ciò non era innovativo, in quanto già nel 1968 era stato emanato un regolamento che disciplinava la libertà di circolazione dei lavoratori. Il focus sul lavoratore subordinato comincia da una prima disciplina nel ’68 che si pone la creazione di un mercato comune con l’obiettivo della circolazione. Nel ’86 abbiamo un ampliamento del campo di intervento. A partire dal ’92 lo spazio di intervento cresce. L’altro elemento che si registra negli ultimi anni è la Carta di Nizza 2000, carta dei diritti fondamentali del cittadino europeo. Racchiude ed elenca una serie di diritti riconosciuti ai cittadini dell’UE. Nel momento in cui fu elaborata aveva valenza politica e non formale. Solamente nel 2007 con il Trattato di Lisbona è entrata a far parte del diritto primario dell’Unione. Quindi, la Carta di Nizza ha lo stesso valore giuridico del Trattato dell’UE e del Trattato sull’UE. Avere lo stesso valore giuridico significa che i diritti in essa riconosciuti (politici, sociali, economici) devono essere garantiti a tutti i cittadini dell’UE, su tutto il territorio dell’UE. All’interno della carta ci sono delle previsioni rilevanti per il riconoscimento dei diritti sociali. Per fare un quadro di come si articola il sistema delle fonti europee abbiamo le norme dei trattati, (TFUE) con la Carta di Nizza (con lo stesso valore giuridico) e un gradino sotto c’è la legislazione derivata o secondaria con regolamenti e direttive. Il titolo decimo del trattato (politica sociale) identifica quali sono le competenze dell’UE nell’occupazione e politica sociale. Cioè in quale materia l’UE può deliberare e attraverso quali strumenti. L’UE non può ancora dire nulla sulla politica estera, esistono materie diverse legate all’area economica. Quindi nel Trattato ci sono i settori di intervento, e all’interno del settore ci sono le singole materie sulla quale l’UE può dire qualcosa, quando dice qualcosa lo fa attraverso questi due strumenti, oppure l’UE può dire qualcosa attraverso un intervento più soft, ossia con iniziative volte a favorire la cooperazione tra stati. Quindi su determinati ambiti l’UE non ha una legislazione ma stimola gli stati membri a cooperare e coordinarsi tra loro. Quando l’UE fa questo tipo di intervento (soft law) tratta di un insieme di iniziative legate all’idea che in certi ambiti l’unione deve stimolare gli stati a coordinarsi e ad armonizzare senza intervenire con regole legislative ma fornendo comunque degli input. Così avviene anche nell’ambito della politica sociale, per mezzo delle strategie europee: politica europea. Stimola gli stati stessi ad arrivare a determinati standard. Nel campo della politica sociale adesso vi è in atto la strategia Europa 2020, elaborata nel 2007, in cui tutti i paesi dovrebbero raggiugere determinati livelli occupazionali. Problema: quando in realtà l’UE stimola troppo i paesi. Ci sono casi in cui l’UE dà una maggiore puntura a certi stati rispetto che ad altri. Ambito della politica europea molto delicato. 30/10/18 L’ordinamento comunitario europeo ci restituisce due tipologie di atti normativi, quello riconducibile al diritto primario dei trattati (TFUE, TUE, Carta di Nizza dal 2007) e quelli riconducibili al diritto derivato o secondario (regolamenti e direttive europee). Ora occorre verificare se la materia della sicurezza sociale trova spazio all’interno dei trattati e nel diritto derivato. Aspetto importante perché il diritto dell’Ue influenza il diritto interno nel momento in cui la legislazione europea entra all’interno della disciplina legislativa degli stati membri. TRATTATO: Partiamo dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea: Titolo IX e Titolo X sull’articolazione interna del trattato sul funzionamento europeo. Il titolo IX (è un’articolazione interna) si chiama “occupazione” e racchiude i principi fondamentali che l’unione europea e gli stati membri si sono dati per quanto riguarda l’elaborazione di strategie per favorire l’occupazione, previsioni dettagliate che stabiliscono la procedura attraverso la quale vengono elaborate le strategie europee per l’occupazione: elaborate da: parlamento, commissione, consiglio europeo e consiglio. Il titolo X si chiama “politica sociale” e al suo interno sono indicate le materie e i settori che richiamano alla dimensione sociale dell’unione nella quale l’unione europea può dire qualcosa, dettare delle regole. Sono anche indicati gli strumenti che l’UE può impiegare per deliberare in questi settori e le procedure. Tale titolo si apre con un’affermazione importante: l’unione e gli stati membri, tenuti presenti i diritti fondamentali, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, una protezione sociale adeguata e il dialogo sociale. L’incipit racchiude gli obiettivi che l’UE si è data, nell’ambito della politica sociale, obiettivi che essa realizza insieme agli stati membri. Posti questi obiettivi, si dà conto ai settori di intervento nei quali l’UE può legiferare o comunque può organizzare delle forme di intervento, con la finalità di raggiungere questi macro-obiettivi. L’indicazione è significativa perché in questi settori l’unione sostiene e completa l’azione degli stati membri, ciò significa che da un lato l’UE deve avviare degli interventi e dall’altro devono essere completati. (Parole chiavi: sostegno e completamento). Settori di intervento spiegati nell’art. 153 del trattato sul funzionamento dell’UE nel titolo X. L’intervento comporta un’azione di recepimento dello stato membro o comunque che in questi ambiti ci sia una legislazione di tipo comunitario. a) la sicurezza e la salute dei lavoratori; b) condizioni di lavoro; c) sicurezza sociale e protezione sociale dei lavoratori; d) protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro; e) informazione e consultazione dei lavoratori; f) rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro g) condizioni di impiego dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio dell'Unione; h) integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro i) parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro; j) lotta contro l'esclusione sociale; k) modernizzazione dei regimi di protezione sociale L’intervento può avvenire in due forme, o attraverso un sistema di cooperazione tra stati membri (forma di intervento nella quale l’Ue favorisce lo scambio di informazioni tra i singoli stati membri). Azione di soft law. Un altro approccio, di hard law, ci dice che nei settori indicati possano essere applicate delle direttive che dovrebbero indicare delle prescrizioni minime applicabili in ciascuno stato membro. Sembrerebbe quindi che sulla carta che nell’ambito della sicurezza sociale, l’Unione possa applicare o un sistema di soft law o uno di hard law, sennonché alla fine dell’art.153 si dice che per alcuni settori, tra cui la sicurezza sociale, vale ancora la regola dell’unanimità. Nella maggior parte dei casi la procedura amministrativa impiegata per stimolare l’intervento dell’UE è la procedura ordinaria a maggioranza qualificata. Quando il trattato dice che c’è un’eccezione, il consiglio europeo delibera con una procedura speciale che richiede l’unanimità. Aver fissato il requisito fa sì che un qualsiasi intervento sia già complicato da organizzare. L’altro settore dove è richiesto il requisito dell’unanimità è quello legato alle condizioni di lavoro dei cittadini dei paesi extracomunitari. UNANIMITA’: necessaria l’approvazione di tutti i membri: o si è tutti d’accordo o l’Ue non interviene. Procedura ordinaria: maggioranza qualificata Procedura speciale: unanimità Alla fine dell’articolo 153 si dice quando questo sistema non trova applicazione: non può compromettere la facoltà dei singoli stati membri di definire i principi fondamentali in materia di sicurezza sociale e le decisioni dell’Ue non possono influire sensibilmente sull’equilibrio finanziario degli stati stessi. Quindi, tutto ciò che si può decidere (a procedura ordinaria o speciale) comunque non può minare il principio cardine secondo il quale, in materia di sicurezza sociale, gli stati membri sono liberi di definire i principi fondamentali e le disposizioni dell’unione non possono incidere sensibilmente sull’equilibrio finanziario degli stati stessi. È una sorta di norma a chiusura che dice che comunque l’ambito della sicurezza sociale è un ambito che resta affidato alla legislazione dei singoli stati membri. L’assetto risulta tra le materie nelle quali è possibile un intervento dell’UE attraverso la cooperazione tra gli stati o a un intervento diretto per mezzo delle direttive ma occorre superare lo scoglio di una procedura amministrativa speciale per l’approvazione degli atti e comunque il principio fondamentale dei sistemi di sicurezza sociale non può essere compromesso perché rimangono in capo ai singoli stati membri, né tantomeno le misure possono avere un’incidenza troppo importante sulle risorse finanziarie dello stato, sull’equilibrio finanziario dello stato. Questa previsione ci fa dire che esiste sulla carta una competenza dell’UE in materia di sicurezza sociale ma comunque questa competenza arriva sino ai principi fondamentali perché quei principi fondamentali devono essere stabiliti dai singoli stati membri. Quindi la sicurezza sociale non è toccata in maniera sensibile dall’intervento dell’UE. Ad oggi, si parla di un intervento normativo specifico in materia di sicurezza sociale. Quando si parla di contratti di lavoro e arriviamo al profilo della sicurezza sociale dobbiamo fare un passo indietro perché per quanto il trattato delinei una competenza dell’UE, dal punto di vista dell’hard law, non vi è una legislazione comunitaria consistente. Abbiamo comunque il dato che gli obiettivi dell’UE sono: Promozione dell’occupazione: + occupazione + posti di lavoro + contributi previdenziali Miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro Protezione sociale adeguata. CARTA DI NIZZA: Previsioni che hanno ai fini della sicurezza sociale: Altro atto che ci interessa è la Carta di Nizza del 2000, con lo stesso valore di trattato solo a partire dal 2007 con il trattato di Lisbona. Indica una serie di diritti che devono essere riconosciuti ai cittadini dell’Ue e non all’interno del territorio europeo. Tra questi ve ne sono alcuni che in realtà sono richiamati alle tutele previdenziali e al sistema giuridico previdenziale: Art.23 parità tra uomo e donna, che deve essere assicurata in tutti i campi compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. È uno dei cavalli di battaglia dell’UE. La parità tra uomo e donna rivela alcune differenze, il principio tra uomo e donna viene chiamato in causa e nello specifico in materia di differenze di età di accesso ai trattamenti pensionistici. Art.25 diritti degli anziani a condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale. Art.26 inserimento delle persone con disabilità per cui l’Unione rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure tese all’inserimento sociale, a garantire l’autonomia e la partecipazione alla vita della comunità. Art.33 protezione della famiglia. Vita famigliare e vita professionale. È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio. Art.34 sicurezza e assistenza sociale. L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Seconda parte dell’Art. 34: Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alla legislazione e prassi nazionali. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Art.35 protezione della salute. Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Passaggio successivo: cosa c’è nel diritto secondario? Ci sono regolamenti e direttive che concorrono a completare il sistema del diritto della sicurezza sociale. La parte dedicata al lavoro è molto densa di atti secondari, lo è meno la parte dedicata alla sicurezza sociale. Sono solo due ambiti nel quale troviamo una legislazione derivata: a) previdenza complementare (ci sono un paio di direttive legate ai fondi pensioni che ha come sua motivazione il fatto che si tratta di uno strumento finanziario che l’Unione ha ritenuto di dover regolare). b) coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (c’è un regolamento europeo, reg.883/2004, che vuole eliminare dei dubbi per quanto riguarda l’applicazione del sistema di sicurezza sociale a quei soggetti che circolano nell’Unione. In questo regolamento non c’è un regime previdenziale europeo, si sta cominciando a parlare della possibilità di riconoscere un trattamento di disoccupazione europea. Non c’è una previdenza europea perché è lasciata ai singoli stati membri. Tra il ’68 e il ’71 c’era il regolamento sulla libertà di circolazione dei lavoratori nell’unione e c’era la necessità di dettare delle regole a riguardo. Stabilire delle regole significa incentivare il lavoratore a circolare. Già dagli anni ’70 c’era il fondo unico europeo che serviva per favorire la libera circolazione. Questo regolamento ha la finalità di agevolare la libertà di circolazione che fin dalla fine degli anni ’60 costituisce uno dei trend della CEE. Se non ci fosse questo regolamento ci potrebbero essere delle situazioni di svantaggio perché il c’è un accordo la regola generale dice che i contributi restano nello stato italiano. Cosa si può fare? Quando raggiungerà nel suo paese l’età pensionabile italiana potrà richiedere la pensione italiana nel suo paese. Ciò che vuole fare il regolamento è quello di dirti che quei contributi non andranno persi. Esempio: lavoratore etiope che ha lavorato 5 anni in Italia e ha versato contributi, torna in Etiopia, deve aspettare di raggiungere i 66 anni e 9 mesi per poter chiedere all’ente italiano la liquidazione della pensione. Prima della legge Bossi-Fini/2002, in realtà c’era la possibilità di trattenere la liquidazione e questo verrà considerato in incentivo a favorire il ritorno dell’immigrato al paese di origine. C’era una regola secondo la quale i contributi che avevi versato ti venivano restituiti in una quota significativa, nel momento in cui rientravi nel paese di origine. Con la legge Bossi-Fini, hai diritto alle prestazioni ma c’è l’obbligo di maturare i requisiti italiani. UE: HARD LAW= REGOLAMENTO Il regolamento è in corso di aggiornamento. C’è già una proposta di modifica per quanto riguarda i trattamenti di disoccupazione (creare un regime a sé per la disoccupazione), le prestazioni di assistenza (di lungo periodo) e tutti i criteri da applicare in caso di distacco del lavoro negli stati membri . Le tre prospettive che porteranno a una modifica del regolamento andranno verso una rivisitazione degli aspetti sopra indicati. All’interno di queste lavorazioni ci sono alcuni elementi che possono essere ricondotti al sistema della sicurezza sociale: uno è quello legato agli orientamenti per l’occupazione, dunque le indicazioni che l’Europa dà ai singoli stati membri nel contesto delle strategia Europa 2020: strategia complessa avviata un paio di anni fa e che si pone come obiettivo certi livelli di occupazione entro il 2020, periodicamente questa strategia viene rivitalizzata attraverso la lavorazione di specifici orientamenti destinati ai singoli paesi dell’Unione: quindi è un aggiornamento periodico per capire come sta andando la situazione dell’occupazione. Attività in cui l’Europa cerca di stimolare i singoli stati membri. All’interno degli orientamenti abbiamo la previsione di un orientamento finalizzato allo stimolo dell’inclusione sociale, alla lotta contro la povertà (gli Stati membri sono coinvolti nella promozione delle riforme) e promozione delle pari opportunità. Qual è l’input che viene dalle istituzioni europee? Sono gli orientamenti per gli stati: ciascuno stato ha ricevuto un “remind” per gli obiettivi nell’ambito della strategia Europa 2020. Uno di questi orientamenti dice che gli stati membri dovrebbero ammodernare i regimi di protezione sociale. L’UE non può fare nulla di più incisivo, può solo cercare di invitare gli stati a promuovere le riforme. Può dare uno stimolo. Lo stimolo che viene negli ultimi anni passa anche attraverso i regimi di protezione sociale per fornire una protezione efficace ed efficiente a ogni momenti della vita di un individuo, promuovendo la parità tra uomo donna e diminuendo le diseguaglianze. Ci sono una serie di strumenti in linea con il principio di inclusione: servizi per attivare il lavoro, servizi per il sostegno al reddito e l’obiettivo sarebbe quello di concepire regimi di protezione sociale in modo da facilitare la presa in carico di tutti gli avanti diritto e sostenere la protezione del capitale umano. L’Unione qualcosa la dice. Progressivamente è maturata una coscienza sociale anche all’interno dell’Unione stessa e arriva però fino agli orientamenti e alle stimolazioni, perché tutto comunque resta in mano agli stati membri. In più si dice che in un contesto di più longevità gli stati membri dovrebbero attrezzarsi per i sistemi pensionistici, secondo le previsioni sul cambiamento demografico e sulla maggiore longevità. Occorre organizzarsi per garantire la sostenibilità del sistema e l’adeguatezza (prestazioni adeguate). Gli stati membri dovrebbero migliorare i sistemi di assistenza sanitaria e di assistenza a lungo termine salvaguardandone la sostenibilità. Input e sunto del Documento del 2012: libro bianco delle pensioni 2012, il libro bianco non contiene atti normativi e legislativi, è una sorta di documento che riassume il più delle volte i termini di un’accezione che è stata portata a conoscenza di un gruppo di persone, quindi parliamo di un documento programmatico. Nell’estate del 2012 l’UE ha deciso di dare il suo contributo alla discussione in tema di sistemi pensionistici all’interno dell’UE con questo regolamento, ossia con un’agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili. L’UE ha considerato degli elementi riguardanti la demografia e la longevità. Le previsioni di lungo periodo hanno notato che ci sarebbero dei problemi nei sistemi pensionistici futuri dati da queste due variabili in aumento. (Se la popolazione cresce di età e diventa passiva dev’essere integrata dalla lavorazione attiva dei lavoratori). La Commissione individua queste problematiche e il libro bianco cadde a fagiolo, tra i suggerimenti c’era quello di aumentare l’età pensionabile, limitare i pensionamenti anticipati, equiparare l’età pensionabile tra uomo e donna e sostenere la previdenza complementare. Nell’ultima parte vi sono delle tabelle con le riforme delle pensioni in tutti i paesi dell’UE. 05/11/18 Sistema giuridico della previdenza sociale Com’è strutturato da un punto di vista giuridico? Schema articolato su tre soggetti e due tipologie di rapporti. I soggetti sono tre gruppi di soggetti con al loro interno un’ampia articolazione. È un rapporto complesso perché abbiamo a che fare con due rapporti giuridici. Il primo rapporto giuridico è quello che si instaura tra l’ente previdenziale e il soggetto tenuto al pagamento dei contributi che origina un rapporto legato a un’obbligazione contributiva. Ci sono obblighi reciproci che sono legati all’obbligazione del versamento dei contributi che si concretizza in uno spostamento di risorse economiche, passaggio di ingenti. L’altro rapporto è quello che lega l’ente previdenziale al soggetto protetto destinatario della prestazione previdenziale. Il vincolo è legato ad un’obbligazione previdenziale. Anche in questo rapporto c’è un passaggio di risorse, ma non solo, perché le prestazioni previdenziali possono anche essere prestazioni non in denaro. In un sistema assicurativo puro, metà dei contributi previdenziali andrebbero a coprire tutte le prestazioni previdenziali erogate. In alcune tutele questo non avviene e quindi deve intervenire lo stato attraverso un passaggio di risorse. Inoltre, con il superamento della concezione assicurativa, riportato nell’art.38 e secondo la teoria di Persiani, è lo stato che deve occuparsi della liberazione del bisogno da parte dei cittadini, attraverso l’organizzazione del sistema previdenziale. La base è assicurativa, ma è lo stato che deve favorire l’ingresso e lo sviluppo e quindi lo stato ha una posizione importante all’interno di questo sistema. Impianto che rimane ma che deve essere considerato superato, poiché si è inserito lo stato. Le caratteristiche tra i vari rapporti Visione di Persiani: è convinto che in questo sistema giuridico complesso, il rapporto più importante è quello che lega l’ente previdenziale con il soggetto tenuto al pagamento dei contributi (il datore). Secondo lui è questo che dà il taglio al rapporto generale, mentre risulta in secondo piano il rapporto che lega l’ente previdenziale con il soggetto assicurato. Chi è l’ente previdenziale? È un sistema di previdenza pubblica, dunque l’ente previdenziale è un soggetto pubblico e questa forma di previdenza è obbligatoria, ecco perché si chiama sistema generale della previdenza obbligatoria. Il sistema pubblico obbligatorio si contrappone al sistema privato volontario complementare/ integrativo. C’è la struttura del soggetto pubblico, forma di tutela previdenziale obbligatoria. Dall’altra parte c’è la previdenza privata che fa riferimento a soggetti privati sulla base di forme di tutela non obbligatorie, ma facoltative o volontarie, e si collocano nel contesto della previdenza complementare integrativa (con sue regole e che non attiene al sistema pubblico). INPS: Sugli enti previdenziali c’è L’INPS, ente che deve gestire buona parte delle tutele previdenziali. È un regime generale. Buona parte delle tutele previdenziali, in più è un sistema che si riferisce tendenzialmente a tutti i lavoratori subordinati, quindi copre tutta l’area del lavoro subordinato, privato e pubblico, l’area del lavoro non subordinato (autonomo e para-subordinato) e copre anche parte del lavoro dei liberi professionisti. “Coprire” significa che quel flusso (contributo previdenziali da una parte ed erogazione delle prestazioni dall’altra) avrà come soggetti interessati i lavoratori del pubblico, del privato, gli autonomi e parte dei liberi professionisti. L’area è coperta dall’attività di questo macro-ente (L’INPS). È un ente articolato che ha ricevuto da parte delle risorse umane anche il personale dell’INPDAP, il quale ad oggi non esiste più ed è stato inglobato dentro all’INPS. L’organizzazione amministrativa dell’ente è centrale e periferica. Ha una struttura organizzativa formata da un presidente, che rappresenta l’INPS sulla scena politica, il CIV (consiglio di indirizzo e vigilanza), collegio dei sindaci, il direttore generale + appositi comitati per ciascuna delle gestioni amministrate e sito web. Il presidente rappresenta l’INPS sulla scena politica, poi concretamente le operazioni operative sono affidate a un manager, il direttore generale. Poi ci sono delle sotto-organizzazioni amministrative che si occupano dell’INPS. Personale INPS (avvocati, medici...) Una parte della regolamentazione interna. Assetto dato in relazione alle tutele previdenziali. Gestioni/ articolazioni interne dell’INPS: Quella più rilevante riguarda il privato e gestisce l’assicurazione generale obbligatoria (A.G.O o I.V.S) che copre invalidità, vecchiaia, superstiti nel privato. Articolazione interna alla quale giungono i contributi previdenziali e che è competente a erogare i trattamenti legati a quella forma di tutela. Prendono il nome di gestioni/ fondo, perché è un agglomerato di risorse finanziarie. Altra voce: gestione delle prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti: contributi per la disoccupazione, contributi per gli assegni familiari, salariali, gestione che provvede all’erogazione delle prestazioni. Piccola cassaforte interna all’ente. Poi esistono 3 gestioni “autonome”: si rivolgono agli agricoltori, agli artigiani e ai commercianti. (Sono i destinatari). Flusso che arriva all’interno dell’area tratta l’erogazione a soggetti che rispondono ai requisiti e dunque hanno diritto alle prestazioni. La quarta gestione riunisce i lavoratori para-subordinati (dunque non sono subordinati) e i lavoratori autonomi che non possono essere implicati in quelli sopra- indicati. Si chiama separata, dunque non c’è una comunicabilità economica tra la gestione separata e le altre. C’è una gestione speciale che si chiama ex-INPDAP e si occupa delle tutele dei lavoratori di pubblico impiego C’è una gestione ex-ENPALS e si occupa delle tutele previdenziali dei lavoratori dello spettacolo. GIAS: si occupa degli interventi assistenziali , tutto ciò che non è previdenza, ma legato all’area dell’assistenza. Importante perché ha una seconda accezione, ossia sostiene le gestioni previdenziali. Significa che quando lo stato ha la necessità di immettere risorse perché una delle gestioni dell’INPS ha delle problematiche di bilancio, lo fa attraverso la GIAS, dunque inserisce le risorse alla GIAS ed esse vanno a sostenere le altre gestioni. La GIAS, gestione di interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, prima si chiamava fondo sociale. Parte più residuale: fondi speciali di previdenza (integrativi o sostitutivi) = prima della razionalizzazione tra il 2008 e il 2012, l’INPS era più scarna perché vi erano diverse gestioni (INPDAP, ENPALS), ma all’interno dell’INPS c’erano dei sistemi speciali per alcune categorie di lavoratori forti, con gestioni proprie. Con lavoratori forti s’intende quei lavoratori di aziende prima statali poi privatizzate. I lavoratori di queste aziende avevano fondi speciali di previdenza, non erano iscritti all’INPS ma avevano i fondi speciali di previdenza, erano virtualmente nell’INPS, ma si occupavano solo di certe categorie di lavoratori. I contributi venivano versati a questi fondi, e questi fondi erano competenti a erogare le prestazioni. Ad un certo punto è mancato l’equilibrio finanziario in buona parte dei fondi speciali. L’entità delle prestazioni erogate era maggiore, dunque lo stato dava una mano, erano sempre in disavanzo. La razionalizzazione ha fatto scomparire dei fondi (e che finissero nella prima gestione obbligatoria). Qual era il problema di questi fondi? Perché c’era il disavanzo? Le regole delle forme di tutela previdenziale e gli stessi importi erano regole loro. A fronte di un versamento di contributi previdenziali avevano pensioni altissime anche avendo meno requisiti di quelli standard. Questo sistema è caduto. Pochissimi fondi sostitutivi e sono rimasti dei fondi di previdenza integrativa (dunque determinati lavoratori hanno sia la prima gestione che questi fondi previdenziali aggiuntivi, che danno delle prestazioni aggiuntive a fronte di un versamento di contributi aggiuntivi). Struttura dell’INPS: fondi bilaterali di solidarietà. Fondo pensionistico complementare (Fondinps): attiene al sistema della previdenza complementare/ integrativa agganciato al TFR. In via d’estinzione. INAIL : che si occupa di un’unica forma di previdenza sociale, che è quella legata agli infortuni sul lavoro e malattie professionali: è un ente diverso, più piccolo e circoscritto ma particolare perché qui noi troviamo anche l’erogazione di prestazioni mediche. Al suo interno troviamo, oltre agli uffici amministrativi, anche gli ambulatori e dei centri specializzati che si occupano di coprire determinate esigenze degli infortunati INAIL. Razionalizzazione: molti istituti autonomi legati al sistema di prevenzione si sono legati alla famiglia dell’INAIL. Poi vi sono altri due soggetti: quelli legati alla contribuzione e i soggetti protetti. Vige il principio della territorialità. Devono essere assicurati nel nostro paese, salvo alcune eccezioni per i lavoratori che non svolgono prevalentemente l’attività lavorativa in Italia e seguono le regole del regolamento del 2004. La regola generale è quella per i lavoratori che prestano attività lavorativa in Italia. Regole legate al sistema previdenziale. Contributivi e erogazione delle prestazioni. Compiti: Come si stabilisce l’entità del contributo previdenziale? Quest’importo viene stabilito attraverso un’operazione che vede una base di calcolo e un’aliquota (aliquota, cioè una percentuale, sulla retribuzione imponibile corrisposta al lavoratore nel periodo di paga considerato) da applicare alla base. L’aliquota può variare in base a diversi fattori. Nel caso del lavoratore subordinato, la base è costituita dalla retribuzione del lavoratore. Per il lavoratore autonomo, la base è il reddito. Per il lavoratore parasubordinato è il compenso che riceve dal committente. Su questa base bisogna applicare un’aliquota espressa in percentuale, decisa dallo stato attraverso una legge. Abbiamo anche l’eccezione del rischio per quanto riguarda l’INAIL, e il contributo prende il nome di premio assicurativo. Il livello di pericolosità influisce sul premio. Esistono diverse aliquote differenziate per diverse tutele previdenziali, per settori. Ciascuna della aliquote individua un contributo previdenziale che deve essere versato dal datore di lavoro, anche dall’effettiva erogazione (es. disoccupazione, cassa integrazione guadagni, maternità). Nel caso del lavoratore autonomo e del libero professionista le aliquote sono più ridotte. Tutto funziona attraverso il meccanismo dell’aliquota contributiva che genera i contributi obbligatori, ma esistono altre tipologie di contributi. Quali sono le tipologie di contributi previdenziali? I principali sono quelli obbligatori che vengono calcolati considerando le varie aliquote contributive. Esistono anche: -contributi figurativi: che si considerano accreditati senza che vi sia un reale versamento da parte del lavoratore e del datore di lavoro. Vengono conteggiati in quei periodi in cui non è stata svolta alcuna attività lavorativa, es. la lavoratrice in gravidanza, disoccupazione, cassa integrazione. Generalmente è fatto automaticamente, in alcuni casi bisogna chiederlo. -contributi volontari: che volontariamente il lavoratore può continuare a versare anche se ha terminato l’attività lavorativa. Ma è estremamente oneroso. -contributi da riscatto: sono quelli che un soggetto può decidere volontariamente di versare per riscattare alcuni periodi riconosciuti validi per ottenere alcune tutele (anni universitari, ricerca, formazione, anni di laurea). La retribuzione è stabilita dai contratti collettivi che vengono applicati al rapporto di lavoro. Il contratto collettivo è una fonte atipica del diritto del lavoro. Non esiste un solo contratto collettivo, ma differenti. Contratto collettivo nazionale di lavoro - CCNL. Esistono i contratti collettivi aziendali e territoriali. Nel nostro sistema non esiste la previsione di un salario minimo. Prima del 1969 per la retribuzione ai fini contributivi è valido tutto ciò che il lavoratore riceve in denaro o in natura per compenso dell'opera prestata (criterio della corrispettività). In dipendenza del rapporto di lavoro. La legge del ’69 elencava anche una serie di voci che erano escluse da questo conteggio (rimborsi spese, Tfr, indennità di cassa, diaria, ecc). A questa definizione ne è seguita un’altra, che è quella attualmente in vigore, nel d.lgs. n. 314/1997 con effetto dal 1998 si ha l’equiparazione tra reddito imponibile a fini fiscali e retribuzione assoggettabile a contribuzione (criterio oggettivo). Si prende il reddito da lavoratore dipendente, da questa macro voce vengono esclusi alcuni elementi nell’art.51 e si sottraggono gli elementi tassativamente indicati nella legge del ’69. Esistono anche delle soglie massimali e minimali per i contributi previdenziali. Nel momento in cui si ha la somma che il datore di lavoro deve versare all’INPS che deve essere versato entro la scadenza. Rapporto d’erogazione delle prestazioni Secondo rapporto giuridico di erogazione delle prestazioni. Che lega l’ente previdenziale al soggetto protetto. Ora ad essere erogate sono le prestazioni e il soggetto obbligato non è più il datore di lavoro, ma l’ente previdenziale. Ci sono degli atti preliminari, degli adempimenti preliminari all’adempimento alla creazione del rapporto giuridico (es. di atti preliminari: -iscrizione dei lavoratori negli appositi elenchi -invio agli stessi di estratti conto). Il rapporto si costituisce al momento del verificarsi dell’evento protetto. A questo segue l’atto di ammissione, che consiste nell’accertamento della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per il diritto alle prestazioni previdenziali e nell’ammissione del richiedente al godimento delle prestazioni (es. avvio del certificato di pensione). Percorso del rapporto. Possono avvenire delle modificazioni (perché possono modificare il rapporto giuridico): variazioni attività lavorativa, totalizzazione (stesso istituto che troviamo nel regolamento europeo e che permette di considerare periodi contributivi non coincidenti al fine di ottenere una prestazione previdenziale. Istituto non oneroso), ricongiunzione (c’è il passaggio dei contributi, istituto oneroso). L’estinzione del rapporto che viene meno nei casi di morte del soggetto assicurato. Venir meno dei presupposti. Quali sono i soggetti protetti? -lavoratori subordinati che operano nel territorio italiano indipendentemente dalla nazionalità o all’estero (ma non tutte le forme di tutela sono estese a tutti i lavoratori subordinati – es. prestazioni di disoccupazione) -liberi professionisti -soci delle cooperative di lavoro -coltivatori diretti -commercianti -artigiani -casalinghe -chi ha intrattenuto rapporti di lavoro di fatto -lavoratori autonomi -lavoratori parasubordinati -sportivi professionisti -familiari del lavoratore assicurato -membri dell’impresa familiare -anche non lavoratori per alcuni tipi di tutela: parlamentari -esclusa la tutela previdenziale del c.d. volontariato Requisiti soggettivi per l’ammissione alla tutela Non rilevano: -età (salvo età per l’ammissione al lavoro; requisito per il pensionamento) -genere (salvo che per il pensionamento) -nazionalità (salvo casi specifici) -residenza Rilevano: -qualifica del lavoratore -mansioni (limitatamente allo svolgimento di lavori usuranti) -caratteristiche dimensionali impresa -tipo di attività -regime giuridico del rapporto di lavoro Quali sono le prestazioni? Si dividono in: Prestazioni economiche (erogazione di denaro): -indennità temporanee -pensioni o rendite (a vita) -somme corrisposte una tantum Funzione: soddisfazione dell’interesse del soggetto protetto. Soddisfazione dell’interesse pubblico generale all’eliminazione di determinate situazioni di bisogno. Prestazioni sanitarie (nell’ambito degli infortuni e delle malattie professionali): -assistenza medico chirurgica -prestazioni ambulatoriali -ricovero in casa di cura -somministrazione di medicinali -fornitura di protesi Funzione: soddisfazione del bisogno di cure e reintegrazione delle energie di lavoro dei soggetti protetti (interesse pubblico generale). L’automaticità delle prestazioni previdenziali. Principio fermo nel campo del lavoro subordinato e che continua ad esse esteso per via solo interpretativa anche nell’ambito del lavoro parasubordinato. Principio contenuto all’interno dell’art. 2116 cod. civ. “Le prestazioni previste nei vari regimi sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti agli enti di previdenza e di assistenza”. Il principio opera nei limiti della PRESCRIZIONE dei contributi. L’oggetto del rapporto previdenziale è lo stato di bisogno dell’individuo determinato dal verificarsi degli eventi contemplati dal sistema previdenziale (art. 38 Cost. comma 2). Tradizionalmente si afferma che l’oggetto del rapporto previdenziale è costituito dai rischi idonei a menomare o a sopprimere del tutto la capacità lavorativa e di guadagno. 6/11/18 L’obbligazione contributiva è quella che si instaura nel momento in cui un soggetto è tenuto al versamento di contributi previdenziali all’ente di riferimento. I contributi previdenziali vengono versati principalmente dai datori di lavoro sia per i lavoratori dipendenti che per loro stessi . Per i datori di lavoro l’obbligo del versamento dei contributi previdenziali sorge nel momento dell’assunzione del lavoratore. Per quanto riguarda i liberi professionisti e il versamento alle loro casse specifiche alcune di esse richiedono che il professionista abbia raggiunto una certa soglia di reddito prima di dover cominciare a versare i contributi previdenziali. CI sono anche alcune tutele previdenziali che hanno carattere settoriale (l’INAIL per esempio). L’obbligazione contributiva è interessata da tutta una serie di fenomeni: Sorgere dell’obbligazione Estinzione dell’obbligazione (determinata nel caso del datore di lavoro dal venir meno del rapporto di lavoro subordinato con il dipendente, nel caso del lavoro autonomo e del libero professionista dalla cessazione dell’esercizio della professione) Sottoposta al regime della prescrizione: istituto civilistico secondo il quale un istituto viene meno nel momento in cui non lo si esercita per un certo periodo di tempo. In questo caso 5 anni (Se un datore di lavoro non versa i contributi per 5 anni e l’INPS se ne accorge dopo non può fare nulla perché quei contributi si sono prescritti, l’obbligo è venuto meno). L’adempimento dell’obbligazione contributiva deve essere effettuato con certe cadenze temporali stabilite dall’istituto, generalmente avviene a cadenza mensile. Se lo fa con ritardo possono essere applicate delle sanzioni di tipo amministrativo, così come se c’è un’omissione o evade i contributi. Come fa l’ente previdenziale a sapere, nel caso del datore di lavoro, che il soggetto ha instaurato un rapporto di lavoro subordinato? Ci deve essere un flusso di informazioni. Il rapporto di lavoro ha bisogno di essere formalizzato e questa formalizzazione ad oggi è molto semplice, avviene attraverso il sistema della comunicazione obbligatoria. Dunque, al momento della assunzione di un lavoratore subordinato, il datore di lavoro è tenuto per legge a fare una comunicazione, che deve essere fatta attraverso una procedura telematica. È obbligatoria quindi per l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato (standard, atipici, flessibili) c’è bisogno di una comunicazione che va al Ministero del lavoro. Questa stessa e unica comunicazione, che deve riportare una serie di dati, viene portata a conoscenza del Ministero del lavoro e automaticamente dell’INPS e dell’INAIL. Prima di questa implementazione del sistema informatico era necessario fare gli accessi fisici agli uffici dell’INPS e dell’INAIL, poi si è deciso di fare questa comunicazione unica (semplificazione). Si accende la posizione della matricola INPS e INAIL. Contestualmente a questa comunicazione, il datore di lavoro deve annotare l’avvio del rapporto di lavoro subordinato in un documento, nel libro unico del lavoro. Questo Nella generalità dei regimi il contributo è tendenzialmente indipendente dall’entità e dalla natura del rischio: ovvero noi abbiamo il contributo previdenziale che si ricava applicando alla base (retribuzione, reddito compenso) questa percentuale e si ottiene il contributo (la somma che il soggetto è obbligato a versare all’ente previdenziale). Questo è il meccanismo standard. BASE + ALIQUOTA = IMPORTO CHE È IL CONTRIBUTO PREVIDENZIALE. In un regime particolare, l’entità di questo contributo è influenzata anche dal concetto di rischio e lo specifico ambito in cui ci troviamo questa accezione è quello della tutela INAIL. Il contributo, in questa maniera, prende il nome di premio assicurativo. Premio INAIL: forma di tutela previdenziale agganciata ancora più diretta allo schema assicurativo. È il contributo previdenziale della tutela INAIL, la quale è legata agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, dunque è legata al concetto del rischio professionale e al concetto della probabilità dell’infortunio della malattia professionale, l’entità del premio è influenzata dal concetto di rischio. Il livello di pericolosità influenza l’importo del premio. I premi dell’INAIL sono determinati in base alla pericolosità dell’attività avviata dal datore di lavoro. Più il datore di lavoro ha un’azienda con un tasso di pericolosità elevata, più paga. Negli altri regimi il contributo si identifica con l’applicazione di aliquote sulla base del calcolo retribuzione, reddito, compenso. Cosa c’è nella base di calcolo? Cosa sono le aliquote e come funzionano? Non esiste solo una aliquota ma sono tantissime, diversificate per il tipo di tutela previdenziale (tutela per la maternità, tutela per la disoccupazione, cassa integrazione, ecc…). Abbiamo tantissime aliquote e sono diverse perché ci sono degli elementi che permettono di identificare aliquote diverse. Ogni settore produttivo ha il suo sistema di aliquote diversificato per il suo sistema di tutela. Poi ci possono essere dei casi particolari nei quali l’aliquota è pari a 0, o è ridotta, o è diversa in base alle mansioni dei lavoratori. Insomma, da elementi che influenzano il sistema delle aliquote. Aliquota legata alla qualifica + legata alle tutele. Es. su una retribuzione di 1000€ c’è il 33% di aliquota, la quale rappresenta il contributo previdenziale che il datore di lavoro deve versare per il suo operaio al fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’INPS (che rappresenta un costo per il datore di lavoro). L’aliquota del 33% è dimezzata negli apprendisti. A volte le aliquote variano al numero di dipendenti. Nelle piccole imprese l’aliquota per l’apprendista è 5,84%. Dunque, egli non solo sarà pagato meno, ma pagherà 1/5 del contributo previdenziale che paga per il non apprendista, però egli dev’essere formato, dunque deve acquisire una qualifica professionale. Per il fondo dipendenti, l’aliquota degli apprendisti è molto bassa, ma dal terzo anno in poi il tipo di contratto deve cambiare, dovrebbe diventare un contratto a tempo indeterminato, non può restare apprendista per sempre. NASPI: contributo per la disoccupazione, versato dal datore di lavoro mensilmente: se parliamo di un lavoratore a tempo indeterminato è dell’1,61% se è a tempo determinato è il 3% della retribuzione . Anche il tipo di contratto influisce sull’importo dell’aliquota. FG: fondo di fine rapporto, solo per operai: 0,20% sulla retribuzione. RICORDA L’ALIQUOTA DEL 33% E BASTA. Contributi previdenziali e assistenziali INPS-ALIQUOTE IN VIGORE DALL’1 Gennaio 2017 (L.92/2012- L. 232/2016)- aliquote nettizzate. A seconda del settore merceologico e dalla grandezza dell’impresa ci sono aliquote diverse. La stragrande maggioranza sono agganciate allo schema del 33%: invalidità, vecchiaia, superstiti, fondo pensione lavoratori dipendenti; 1,61% disoccupazione, 0,5% maternità. Ciascuna di queste aliquote individua un contributo previdenziale che deve essere versato dal datore di lavoro. Va versato a prescindere poi dall’effettiva erogazione della prestazione, es. cassa integrazione guadagni: il datore di lavoro può pagarlo per 40 anni senza mai beneficiarne, idem per la disoccupazione. È tenuto a versarli per il rapporto di lavoro. I (invalidità) V (vecchiaia) S (superstiti) è quella più sostanziosa perché il raggiungimento di una certa età anagrafica colpisce tutti i soggetti, quindi a livello di probabilità sono molto più elevate e dunque c’è bisogno di un’aliquota più sostanziosa perché deve contribuire al sistema, mentre le altre sono più contenute poiché legate a eventi incerti. Per il libero professionista le aliquote sono diverse e generalmente più ridotte, anche se dal 2009/2010 c’è stato un generale ritocco in rialzo, perché negli anni passati gli artigiani versavano pochissimo (tipo 14/15% di aliquota), adesso c’è stato un innalzamento, quindi si chiedono più contributi previdenziali. Periodicamente lo Stato può intervenire nel sistema delle aliquote per aiutare e promuovere l’impiego di fasce deboli, per promuovere zone sfavorite, etc... quindi il meccanismo dell’aliquota può servire al fine di promuovere (Es: casi di sgravi contributivi tramite riduzione delle aliquote). Sgravio contributivo 2015: con decreti del jobs act, valevole per tutte le assunzioni, era di più di 8.000€ all’anno per tre anni di contributi previdenziali per incentivare la stipulazione di contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Per favorire l’occupazione si può lavorare su quello che lo Stato chiede per il lavoratore subordinato, non si può lavorare sulla retribuzione, perché quella è vincolata dai contratti collettivi e possono essere ridotte solo in casi eccezionali. Ma si può lavorare sul costo che il lavoratore rappresenta per il datore di lavoro. A partire dall’1° Gennaio 2019 ci sarà un altro incentivo rivolto all’assunzione di giovani inoccupati (NEET, non lavorano, non studiano, non sono impegnati in esperienze di tirocinio). I contributi versati sono l’elemento fondamentale per la posizione del lavoratore, perché la pensione sarà calcolata sui contributi versati. Tutto funziona con il meccanismo dell’aliquota contributiva che genera i contributi obbligatori. Esistono altre tipologie di contributi. Alla domanda “quali sono le tipologie di contributi previdenziali?” 1. Contributi obbligatori: sono quelli principali che vengono calcolati applicando le varie aliquote contributive che sono diversificate per settore, tipo di attività, numero di dipendenti, mansioni, etc.. Sulla retribuzione. 2. Contributi figurativi (altra tipologia di contributi obbligatori) : sono contributi che vengono accreditati e si considerano come versati senza che però ci sia un versamento concreto né da parte del lavoratore che dal datore di lavoro. Sono una sorta di finzione che vengono accreditati quando ci sono dei periodi nei quali non è stata svolta alcuna attività lavorativa. Es. la lavoratrice in gravidanza: astensione obbligatoria: 5 mesi, in cui il datore non la fa lavorare, congedo obbligatorio. In quei 5 mesi il lavoratore non percepisce la retribuzione ma il trattamento di maternità e il datore di lavoro non deve versare i contributi, ma quei 5 mesi sono coperti da contribuzione figurativa: considerati dallo Stato come lavorati anche se non c’è stato lavoro. Es. Uguale per la disoccupazione: nei 6 mesi di disoccupazione riceve la NASPI, non lavora, ma per lo Stato quei 6 mesi si considerano lavorati, sono coperti da contribuzione figurativa, compaiono allo stato come lavorati. Sono periodi limitati e sono solo quelli: servizio militare, malattie, infortunio, gravidanza, disoccupazione, cassa integrazione. Generalmente è automatico, ma non sempre. 3. Contributi volontari: che il lavoratore può continuare a versare anche se ha terminato l’attività lavorativa. Il lavoratore ha cessato l’attività lavorativa e non ha ancora maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, e gli mancano due anni, può decidere di versare i contributi volontari per coprire lui stesso questo periodo di tempo (non lo fa quasi mai perché gli importi che gli vengono proposti sono spaventosi). 3. Contributi da riscatto: contributi che un soggetto può versare volontariamente per riscattare dei periodi di tempo riconosciuti dalla legge come periodi validi ai fini del raggiungimento di certe tutele. Es. riscatto degli anni dell’università, anni di un dottorato, anni di lavoro all’estero, etc… Però una volta l’ente previdenziale chiedeva al soggetto un importo consistente ma abbastanza simbolico per avere il riscatto, e venivano considerati come anni di lavoro, in un sistema in cui si considerava l’anzianità contributiva era vantaggioso, poi è cambiato e ad oggi al soggetto viene applicato il sistema delle aliquote vigenti in quel momento del lavoro. Dunque, se è un lavoratore dipendente e chiede all’INPS di riscattare quegli anni, l’INPS chiede al lavoratore le aliquote per quegli anni (il 33% se è un dipendente) e li deve versare il lavoratore, cifre spropositate per riscattare gli anni di laurea, non è più così conveniente, o meglio non lo è per l’età anagrafica ma lo è per l’anzianità contributiva. In ogni caso la maggior parte delle volte è meglio lasciar perdere questo tipo di riscatto e magari investire in un una tutela previdenziale integrativa. 7/11/18 Il rapporto contributivo è quel rapporto che definisce l’entità della contribuzione previdenziale a carico del soggetto obbligato. Il contributo previdenziale viene calcolato attraverso un’operazione che consiste nell’applicare delle aliquote percentuali, che sono stabilite dalla legge, e che vengono applicate su una base di calcolo che varia a seconda del soggetto e del rapporto. Esistono diversi tipi di contributi previdenziali. Quelli più importanti sono i contributi obbligatori, i quali sono legati alla forma di tutela previdenziale obbligatoria. Esistono anche altri contributi che aiutano a formare la posizione contributiva del soggetto interessato. Essi sono: Contributi figurativi : contributi fittizi, che vengono considerati come versati a fronte di situazioni in cui non c’è stato uno svolgimento dell’attività lavorativa. Quindi sono collegati per lo più a ipotesi di sospensione della prestazione lavorativa e con conseguente riconoscimento di una forma di tutela previdenziale. Contributi volontari : sono quelli in cui il soggetto è protetto e può decidere di versare al fine di conseguire un trattamento pensionistico più elevato. Contributi da riscatto : sono quelli che possono essere accreditati attraverso il riconoscimento in forma onerosa e attraverso essi si riscattano periodi di non lavoro (per studio, sospensione...) non accompagnate da altre forma di tutela, che attraverso l’istituto del riscatto devono considerarsi come periodi di lavoro. Le aliquote che generano i contributi obbligatori vanno applicate su una base di calcolo, elemento che determina l’entità del contributo previdenziale. Per quanto riguarda il rapporto contributivo che vede come soggetti obbligati i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e i lavoratori parasubordinati, la base di calcolo è rappresentata dal reddito. Nei parasubordinati, è rappresentata dal compenso che il soggetto chiede al committente (nell’ambito di una collaborazione coordinata continuativa). Sul reddito non ci sono particolari problematiche. Il lavoratore autonomo o parasubordinato sa che c’è un’aliquota fissata dalla legge che deve essere applicata al suo reddito. Invece, è più complicato il calcolo del contributo previdenziale per il rapporto contributivo che ha quel soggetto obbligato datore di lavoro a favore del lavoratore subordinato. La base in questo caso è rappresentata dalla retribuzione, che costituisce, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, il corrispettivo che viene erogato, generalmente in forma monetaria, dal datore di lavoro al lavoratore a fronte dello svolgimento dell’attività lavorativa. La retribuzione è stabilita dai contratti collettivi applicati al rapporto di lavoro. Il contratto collettivo (stipulato tra datori di lavoro e sindacati) è una fonte atipica (perché è un atto stipulato tra soggetti privati) del diritto del lavoro perché al suo interno ci sono delle disposizioni che trovano applicazioni, al pari della legge ma non ha valore di legge. Dunque, non è una fonte giuridica, perché viene stipulato tra due soggetti che non sono soggetti pubblici. La particolarità è che non esiste un solo contratto collettivo ma esistono vari contratti collettivi (circa 140), con tanti livelli di contrattazione e tanti settori. Es. CCNL (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro), che viene stipulato tra i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni che rappresentano i datori di lavoro e trova applicazione in varie categorie di lavoratori: Genere (salvo che per il pensionamento) Nazionalità (salvo per casi specifici) Residenza (è importante per la tutela assistenziale, ma non per quella previdenziale) Importanti: Qualifica del lavoratore Mansioni (limitatamente allo svolgimento di lavori usuranti) Caratteristiche dimensionali impresa Tipo di attività Regime giuridico del rapporto di lavoro Quali sono le prestazioni previdenziali? Si dividono in 2 categorie: 1. Economiche : sono prestazioni generalmente in denaro, però esistono 3 diverse tipologie. La funzione è quella di dare una tutela economica al soggetto privato in condizione di bisogno in cui non riesce a svolgere un’attività lavorativa e di soddisfare i bisogni pubblici di eliminare le situazioni di bisogno. Possono essere distinte in 3 tipologie: Indennità temporanea Pensioni o rendite (indennità non temporanea, a vita) Somme corrisposte una tantum (es. NASPI a un disoccupato che avvia un lavoro autonomo, o nella tutela degli infortuni e superstiti) 2. Sanitarie : tutte gratuite. (IVS: tutela privilegiata per l’infortunio e la vecchiaia, collegato con il sistema sanitario, ad hoc). La funzione è quella di soddisfare il bisogno di cure e la reintegrazione delle energie di lavoro dei soggetti protetti (interesse pubblico generale). Vengono erogate anche quando il datore di lavoro del lavoratore subordinato non ha versato i contributi (art.2116 cod.civ), secondo il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali. Questo principio sta cominciando ad essere esteso anche ai lavoratori parasubordinati. Il principio opera nei limiti della prescrizione dei contributi. Le prestazioni sanitarie si distinguono in: Assistenza medico chirurgica Prestazioni ambulatoriali Ricoveri in casa di cura Somministrazione di medicinali Fornitura di protesi L’oggetto del rapporto previdenziale è lo stato di bisogno dell’individuo determinato dal verificarsi degli eventi contemplati dal sistema previdenziale (art.38 co.2). Questi eventi sono collegati: direttamente, con lo svolgimento della prestazione lavorativa, o indirettamente. I rischi professionali direttamente connessi all’attività di lavoro del soggetto assicurata e che riguardano non solo gli eventi che colpiscono la sola persona fisica del lavoratore, ma qualunque evento che incida negativamente sull’attività professionale del lavoratore stesso, sono: Infortunio sul lavoro Malattia professionale Disoccupazione involontaria Riduzione o sospensione dell’attività lavorativa Cassa integrazione guadagni Gli eventi connessi indirettamente sono quegli eventi che possono colpire la persona umana indipendentemente dall’attività professionale, ma rendono impossibile o difficile lo svolgimento di un’attività lavorativa. Essi sono: Carico familiare (numerosità delle persone a carico) Malattia generica/comune Gravidanza e puerperio Tubercolosi Inabilità e invalidità Vecchiaia Anzianità (intesa come gli anni di lavoro) Morte (che comporta di una difficoltà dei familiari che fruivano del reddito dato dall’attività lavorativa). Possibile domanda d’esame: sistema di gestione di risorse nell’ambito del sistema previdenziale. Quali sono le due formule dell’equilibrio tra entrate e uscite: sistema capitalizzazione e sistema ripartizione (slide 36 del primo fascicolo). 12/11/18 Fino a qui si sono trattati gli aspetti generali ora si analizzano tutte le singole tutele. TUTELA PREVIDENZIALE PER L'INVALIDITÀ, LA VECCHIAIA E I SUPERSTITI (IVS) Questa forma di tutela previdenziale rappresenta la manifestazione più importante e più ampia del nostro sistema. Risale ai primi del 900, all’inizio aveva un ristretto numero di destinatari (operai industriali) poi si è estesa progressivamente anche ad altri (impiegati in agricoltura) e poi anche verso il lavoro autonomo e alla fine al lavoro parasubordinato (con la Costituzione, a metà degli anni ’90). È la forma più consistente, espressione compiuto della tutela dello Stato nei confronti di chi presta attività lavorativa. È la più importante sia dal punto di vista economico che dal punto di vista finanziario. Dà origine a un flusso di risorse in entrata e in uscita superiore alle altre forme di tutela previdenziale. Siamo in un sistema pubblico. Le tutele IVS, per la famiglia, per gli infortuni, malattie professionali, malattie comuni rientrano tutte nel sistema previdenziale pubblico e obbligatorio. Pubblica perché è imposta dalla legge e la legge la regola, obbligatoria perché la legge obbliga a contribuire al versamento previdenziale attraverso il versamento dei contributi previdenziali obbligatori. Quando si parla di tutela previdenziale in generale solitamente ci si riferisce a questa tutela perché è quella che ha un campo di estensione più vasto delle altre. La tutela IVS si può trovare definita anche come: primo pilastro del sistema previdenziale (pubblico). Il secondo pilastro è la previdenza complementare e integrativa (privata), il terzo è rappresentato da forme pensionistiche individuali. Quelle del primo e seconde sono collettive, quelle del terzo sono individuali (ad esempio i piani pensionistici individuali). La previdenza pubblica obbligatoria ha un’estensione che non è settoriale (come ad esempio quella per gli infortuni) ma è applicata a tutta l’area del lavoro umano (tranne pochissimi eccezioni come può essere il caso del lavoro volontario). È un sistema previdenziale non assistenziale, solo erogazioni economiche. Prevede l’individuazione di tre eventi, tre eventi che generano situazioni di bisogno e a sua volta danno origine all’erogazione delle prestazioni economiche: 1. Invalidità al lavoro 2. Vecchiaia 3. Lo stato di essere superstite Quando ad esempio parliamo di vecchiaia parliamo del raggiungimento di una certa età anagrafica che viene chiamata ETA’ PENSIONABILE ed è fissata dalla legge. La prestazione corrispondente è la pensione di vecchiaia. Quando parliamo di pensione parliamo di una prestazione che ha una durata illimitata, quando parliamo di assegno parliamo di una prestazione che ha una durata definita. Quando parliamo di vecchiaia parliamo anche di anzianità, che è legata agli anni di lavoro e all’anzianità di lavoro, non all’età anagrafica. Il trattamento che era riconosciuto è la pensione di anzianità. Il termine invalidità racchiude due categorie: l’invalidità e l’inabilità. Stiamo parlando di un sistema di tutela previdenziale non assistenziale, una tutela che prevede il versamento di contributi, lo svolgimento di un’attività lavorativa e una situazione di bisogno. Non è da confondere con il sistema dell’invalidità civile che è una tutela di tipo assistenziale che viene riconosciuta al cittadino non per il lavoratore. L’invalidità è la riduzione della capacità di lavoro a meno di 1/3 a causa di un’infermità o di un difetto fisico o mentale, è una situazione che genera l’impossibilità del lavoratore di continuare l’attività lavorativa. Le prestazioni legate a questa formula sono l’ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITA’ e L’ASSEGNO PRIVILEGIATO DI INVALIDITA’ (“privilegiato” se l’invalidità dipende da causa di servizio o è legata allo svolgimento dell’attività lavorativa). L’inabilità è l’assoluta permanente incapacità di svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa di un’infermità o di un difetto fisico o mentale. Questo soggetto ha il diritto ad ottenere la PENSIONE ORDINARIA DI INABILITA’ (e quella PRIVILEGIATA in alcuni casi) Ultimo evento legato alla tutela IVS è quello legato alla morte del lavoratore. Questa genera una condizione di bisogno nelle persone che fruivano dei redditi del lavoratore che sopravvivono al soggetto. Lo Stato riconosce ai superstiti dell’assicurato determinati trattamenti previdenziali (PENSIONE DI REVERSIBILITA’, PENSIONE INDIRETTA, PENSIONE PRIVILEGIATA INDIRETTA, INDENNITA’ DI MORTE). Esiste un’altra forma di tutela che è la tutela nel rapporto di lavoro. Nel caso dell’invalidità per esempio esistono forme di tutela nel rapporto di lavoro per quelle persone le cui capacità di lavorare si sono ridotte e non completamente venute meno. L’invalido potrà essere soggetto di un sistema di accompagnamento al lavoro che è legato ad un istituto chiamato avviamento al lavoro o collocamento obbligatorio . Questo trattamento viene utilizzato anche per le persone disabili. Il concetto di disabilità viene definito dalla legge. Questo soggetto ottiene una tutela anche per ottenere una prestazione lavorativa (collocamento obbligatorio). Obbligatorio perché è un obbligo a carico dei datori di lavoro che se hanno almeno 15 dipendenti ne devono obbligatoriamente avere almeno uno disabile → tutele di accesso (lo Stato aiuta a trovare il posto giusto e l’uomo giusto per il posto giusto). Un disabile ben collocato ha lo stesso rendimento di un altro lavoratore. Lo stesso termine “disabile” indica qualcuno che non è abile a fare qualcosa ma è abile a fare qualcos’altro. La legge individua dei percorsi speciali, come ad esempio il passaggio in strutture come le cooperative sociali o le organizzazioni, per facilitare i requisiti d’ingresso. ORGANIZZAZIONE Il sistema è agganciato all’ente previdenziale INPS. La generalità dei lavoratori dipendenti del settore privato è iscritta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) , ci sono alcune categorie di lavoratori dipendenti che hanno dei fondi integrativi o dei fondi sostitutivi (che sostituiscono l’iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria). Poi ci sono le gestioni speciali per gli autonomi come artigiani, commercianti e coltivatori diretti Quarta gestione o gestione separata dell’INPS→ alla quale sono necessariamente iscritti coloro che esercitano un’attività di lavoro autonomo che non rientra nelle 3 gestioni, i cococo, i lavoratori a progetto, i venditori porta a porta, gli autonomi occasionali e gli associati in partecipazione (sono tutte categorie di lavoratori non subordinati). Ci sono le casse professionali che si occupano della tutela previdenziale IVS dei lavoratori autonomi liberi professionisti. Ciascuna di queste strutture è competente a erogare queste forme di tutela previdenziale. Tutela pensionistica. Riforme del sistema pensionistico. *Nelle slide si trovano le leggi di riforma ma vanno guardate a grandi linee perché non farà domande a riguardo* D.lgs. n. 503/1992 Riforma Amato • innalzamento dell’età pensionabile: da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini • elevazione dell’anzianità contributiva richiesta per la pensione: da 15 a 20 anni di contributi • cambiamento del meccanismo di rivalutazione dei trattamenti pensionistici: l’adeguamento è annuale e avviene in base alle variazioni dell’indice ISTAT del prezzi al consumo L. n. 335/1995 Riforma Dini • viene modificato il sistema di calcolo delle pensioni: dal sistema retributivo si passa al sistema contributivo • età pensionabile: il requisito anagrafico diventa flessibile (età di pensionamento varia in base alla anzianità contributiva) • si prevede la progressiva soppressione delle pensioni anticipate (cd. di anzianità) e la loro sostituzione con l’unica prestazione di vecchiaia contributiva • previdenza complementare L. n. 449/1997 Riforma Prodi • Sono elevati i requisiti di età per conseguire la pensione di anzianità • aumento onere contributivo per i lavoratori autonomi Semplificazione, armonizzazione, economicità nel funzionamento delle gestioni previdenziali. -> È la parte meno criticata perché il meccanismo in precedenza era veramente molto complesso (cosa dovuta anche alla stratificazione di numerose normative l’una sull’altra). Per quanto riguarda l’economicità questa è passata attraverso una razionalizzazione del sistema (molto costoso) proprio dal punto di vista dell’organizzazione. Es: IMPDAP che finisce all’interno dell’INPS. Applicazione dal 1/01/2012, entra in vigore subito, non come in passato dopo degli anni. L’entrata in vigore dà certezza al sistema ma crea anche DISFUNZIONI nel sistema stesso perché cambiare l’età di accesso alla pensione a partire dal 1/01/2012 crea difficoltà per quei lavoratori che avevano sottoscritto tra il settembre e il dicembre del 2011 degli accordi di estinzione del rapporto di lavoro . La crisi economica ha portato a diversi licenziamenti proprio tra il settembre e il dicembre del 2011 (collettivi, cioè rivolti a una collettività di lavoratori e che prevedono una certa procedura di legge che prevede il coinvolgimento dei sindacati e la stipulazione di un accordo). I sindacati con le organizzazioni di lavoro, nel ridurre il personale, avevano scelto i dipendenti che sarebbero andati in pensione nel giro di pochi mesi (c’erano stati anche incentivi al prepensionamento). L’INPS non aveva un’idea chiara di quanti accordi di mobilità (licenziamenti) fossero stati stipulati ma comunica comunque un numero al Ministro che fa una deroga prevedendo che per i lavoratori che li avevano sottoscritti avrebbero continuato a valere i vecchi requisiti. Il numero dei lavoratori che erano stati licenziati in vista di un pensionamento molto vicino nel tempo si rivelò considerevolmente più alto della stima che l’INPS aveva dato al Ministro. Per un numero molto esiguo di questi erano già state trovate le risorse ma tutti gli altri esodati (vengono chiamati così) si trovarono in una condizione di difficoltà poiché senza lavoro e senza pensione. Per cercare di chiudere la partita degli esodati il Governo ha dovuto cercare risorse per tutto il 2012, tutto il 2013 e buona parte del 2014. Questo è stato il grosso problema dell’entrata in vigore della legge Fornero. DA RICORDARE: Elementi sui quali incide la riforma Monti Fornero. 1. Sistema di calcolo della pensione, del rateo: viene introdotto un generalizzato calcolo contributivo 2. Applicato il meccanismo di adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita in maniera secca 3. Aumentata progressivamente l’età pensionabile con una convergenza per ridurre le differenze di genere tra l’accesso uomo- donna (nel privato, nel pubblico questa distinzione non c’era già più). Il 2019 è l’anno in cui diventano tutti uguali. 4. Introduzione di meccanismi di flessibilità nell’età di accesso alla pensione: si utilizzano degli strumenti per cercare di favorire la permanenza a lavoro. 5. Eliminato il complicato sistema delle quote (sulla carta, ma c’è ancora la possibilità per alcuni lavoratori di andare in pensione con le quote) no pensione di anzianità ma pensione di vecchiaia anticipata 6. Modificato il sistema delle decorrenze La modifica più rilevante introdotta dalla riforma Monti Fornero: SISTEMA CALCOLO DELLE PENSIONI (lavoratori subordinati pubblici e privati) È importantissimo perché dal punto di vista dell’ente previdenziale l’importo stabilisce qual è il peso finanziario che l’ente stesso deve sopportare per la platea di soggetti che vanno in pensione. Il calcolo è fondamentale dal punto di vista delle uscite del sistema previdenziale ma anche dal punto di vista del soggetto destinatario del rateo (importo). Nel momento in cui si identifica l’importo della pensione questo importo viene cristallizzato per il destinatario. Ci sono dei meccanismi che permettono l’adeguamento dell’importo all’inflazione e al costo della vita ma si tratta di adeguamenti minimi. I sistemi di calcolo sono 2: Retributivo→ ha come base la retribuzione. Fa riferimento alla retribuzione e all’anzianità. Contributivo→ ha come base i contributi versati durante tutta la vita lavorativa. Fino al 95 il sistema di calcolo era per tutti retributivo. Garantiva un rateo tale da mantenere lo stesso tenore di vita. Nel 1995 il ministro Dini decide di introdurre il calcolo contributivo che avrà un impatto rilevante sul rateo della pensione. Per permettere a questa riforma di passare si utilizza uno stratagemma: introduco il calcolo contributivo con però un passaggio molto graduale Non è invece stato un passaggio graduale quello introdotto con la Monti-Fornero (si passa al sistema di calcolo contributivo dal 1/01/2012 per TUTTI). 13/11/18 A partire dal 1 gennaio 2012, il sistema di calcolo contributivo sostituisce completamente quello retributivo. Il sistema di calcolo contributivo calcola il rateo della pensione in base ai contributi previdenziali versati dal lavoratore. Il sistema prevede una quota di contribuzione (montante individuale contributivo) che si ottiene applicando alla base imponibile l’aliquota percentuale, l’aliquota di computo relativa alla tutela IVS. Questa somma virtuale deve poi essere moltiplicata per un coefficiente stabilito dalla legge: il coefficiente di trasformazione. I coefficienti hanno avuto varie trasformazioni durante gli anni, l’ultimo risale a qualche mese fa (per il triennio 2016-18 eravamo arrivati a 70 anni, probabilmente per il prossimo triennio si arriverà anche a 71). La determinazione si basa su stime fatte dall’ente statistico. Nel prossimo aggiornamento (2021) l’aggiornamento varrà solo per 2 anni perché è stato deciso che in futuro i coefficienti di trasformazione verrà aggiornato ogni 2 anni. Il tasso di sostituzione per coloro la cui pensione verrà calcolata interamente con il metodo contributivo sarà intorno al 60/65% quindi non paragonabile alla retribuzione percepita durante il periodo lavorativo. Questa prospettiva genera, ha generato e sta generando la necessità di guardarsi introno dal punto di visto della previdenza integrativa perché la previdenza pubblica risulterà, in futuro, insufficiente a mantenere lo stesso tenore di vita condotto in precedenza. LE PRESTAZIONI La prestazione delle pensioni è sempre stata articolata in pensione di anzianità e in pensione di vecchiaia, che hanno requisiti differenti di accesso. Due tipologie di prestazioni previdenziali: 1. Pensione di anzianità→ legata all’anzianità di servizio (numero anni di lavoro, contributiva) 2. Pensione di vecchiaia→ legata all’anzianità anagrafica Anche per quanto riguarda la pensione di vecchiaia c’è sempre bisogno di un minimo di anzianità assicurativa. Il raggiungimento di una certa anzianità anagrafica non basta. Nel sistema previdenziale gli anni di lavoro sono sempre rilevanti. Nel 2011 con il decreto Salva Italia si è deciso di sostituire la pensione per anzianità con la pensione di vecchiaia anticipata. Ad oggi sulla carta noi troviamo la pensione di vecchiaia ordinaria e la pensione di vecchiaia anticipata. -durante il godimento dell’indennità non spetta contribuzione figurativa. -il trattamento cessa in caso di decesso del titolare e non è reversibile ai superstiti. Non è una pensione, non subisce gli aggiustamenti del regime pensionistico. APE VOLONTARIO I destinatari sono tutti i destinatari tutti i lavoratori che hanno compiuto 63 anni di età e si trovano a non più di tre anni e 7 mesi dal pensionamento di vecchiaia nel regime obbligatorio. Il prestito viene concesso da una banca. Il prestito viene restituito con una decurtazione dalla pensione. Per ricevere l’APE sociale? Il soggetto fa domanda, è un sussidio pubblico quindi è previsto uno stanziamento di risorse e finite quelle non è più possibile utilizzare questo strumento. Se risulta destinatario di questa misura smetterà di svolgere una di queste attività e riceverà dall’INPS un’indennità che gli permetterà di coprire fino a quando non soddisferà il requisito anagrafico o contributivo per ottenere la pensione di vecchiaia ordinaria. 14/11/18 La decorrenza della pensione Momento di accesso alla pensione a partire dal quale l’ente previdenziale deve erogare al soggetto in possesso dei requisiti il rateo di pensione. Il sistema della decorrenza ha subito dei cambiamenti. Fino al 2012 è stato utilizzato come meccanismo che faceva spostare in avanti il momento in cui l’ente previdenziale era obbligato a erogare il trattamento economico. In origine la legge prevedeva un sistema di finestre di uscita per l’accesso alla pensione. Meccanismo secondo il quale non si può andare in pensione in qualunque momento dell’anno ma occorre attendere l’apertura di questa finestra d’uscita. Sistema introdotto con la riforma Dini, 1995 valeva solo per la pensione d’anzianità ed erano previste quattro finestre. Nel momento in cui il soggetto maturava i requisiti previsti dalla legge per la pensione di anzianità (requisito anagrafico contributivo), non poteva andare immediatamente in pensione, ma doveva aspettare l’apertura della finestra di uscita. Questo significava che il soggetto doveva continuare l’attività lavorativa fino all’apertura della finestra. Questo meccanismo permetteva all’ente previdenziale di sapere a partire da quale momento doveva cominciare a erogare i trattamenti pensionistici (il soggetto risultava penalizzato dall’attesa). Riforma Maroni 2004 ha riformato questo sistema originario delle finestre in senso punitivo, riducendo il numero delle finestre da quattro a due e viene esteso anche alla pensione di vecchiaia. Con il Protocollo sul welfare/2007 del governo Prodi, si ritorna al sistema 4 finestre, per tutte le pensioni. (Es. il soggetto matura i requisiti il 1° marzo 2007, può avere la pensione solo il 1° gennaio 2008, quindi in quei mesi deve continuare a lavorare. Per i lavoratori parasubordinati, aumenta di 3 mesi, quindi non il 1° gennaio ma il 1° aprile 2008). Con la manovra economica del 2010 si decide di introdurre l’unica finestra mobile. La decorrenza della pensione non era fissa, ma era MOBILE (dipendeva dalla data di maturazione dei requisiti pensionistici). L’importo viene calcolato in base al sistema di calcolo applicato al soggetto. Una volta raggiunti i requisiti il lavoratore poteva ricevere il trattamento pensionistico 12 mesi dopo. Se il lavoratore dipendente maturava i requisiti il 1° marzo 2011, poteva ricevere il trattamento solo il 1° marzo 2012 (12 mesi dopo). Per i lavoratori autonomi il tempo di attesa è di 18 mesi. A partire dal 2012, con la riforma Monti Fornero, c’è un restringimento dei requisiti ma chi matura i requisiti, otterrà il trattamento pensionistico dal 1 giorno del mese successivo (ovviamente previa domanda). Es. se matura il 5 marzo 2013, lo otterrà il 1° aprile 2013. La prestazione viene erogata mensilmente, indicativamente entro il 15 del mese. Ai pensionati viene riconosciuta la 13esima mensilità. Recap: 4 finestre -> 2 finestre -> 4 finestre -> finestra mobile (12/18 mesi di attesa) -> decorrenza a partire dal mese successivo. IL RATEO -la misura dell’importo della pensione -PER AREA SUBORDINATA Sul rateo intervengono degli istituti. Dà conto di un importo che viene riconosciuto fino alla morte. L’importo potrebbe non essere particolarmente significativo quindi la legge riconosce da tempo istituti finalizzati a adeguare questo importo rendendolo tale da garantire al soggetto la possibilità di soddisfare i suoi bisogni primari. Gli istituti operano sull’importo della pensione di vecchiaia e di anzianità. Tra questi istituti i più comuni sono: A) Integramento della pensione Aggiustamento della pensione, fino al raggiungimento della soglia minima vitale -stabilita per legge- (507,46 euro/mese, soglia aggiornata annualmente) e un trattamento minimo al di sotto del quale, se il soggetto ha soddisfatto tutti i requisiti può ottenere un integramento. Entra nel concetto di integrazione quello di limite reddituale fissato dalla legge. Qual è l’inghippo? Questo istituto si applica solo ai trattamenti calcolati con sistema retributivo o misto. Per le pensioni liquidate esclusivamente con sistema contributivo la riforma del 1995 ha stabilito la NON applicazione delle disposizioni sull’integrazione del trattamento minimo. I limiti reddituali sono individuali (6896,46 euro/anno minimo – 13mila euro/anno massimo, aggiornati annualmente) o coniugali. Se il reddito è sotto l’importo minimo, l’integrazione è totale. Altrimenti si ha un’integrazione parziale proporzionale. Il diritto all’integrazione al minimo sorge in presenza di: -rateo importo inferiore al minimo vitale -requisito reddituale. Mancato superamento di determinati limiti di reddito annualmente aggiornati riferiti al pensionato personalmente/redditi coniugali se il titolare del trattamento è coniugato Per il 2018 il trattamento minimo è 507,46 euro al mese. Il problema è che questo sistema si applica solo alle pensioni erogate con il sistema misto o retributivo. Per le pensioni liquidate esclusivamente con sistema contributivo la riforma del 1995 ha stabilito la NON applicazione. I limiti di reddito che consentono l’integrazione totale sono: €6.596,46 personali, €19.789,38 cumulati (LIMITI MINIMI) Non spetta alcuna integrazione se si supera il limite di €13.192,92, con redditi propri, e il limite di €26.385,84 con redditi cumulati (LIMITI MASSIMI). L’integrazione spetta in misura ridotta e proporzionale (parziale integrazione) se il pensionato possiede redditi, personali o cumulati con il coniuge, compresi tra il limite minimo (totale integrazione) e il limite massimo (oltre il quale l’integrazione è esclusa). B) Maggiorazione sociale dei trattamenti minimi Strumento che si applicato a fronte di determinate soglie di reddito (famigliare o personale). Erogato mensilmente. Le soglie sono legate all’età. Da 60 a 64 anni (25 euro) Da 65 a 69 anni (82 euro) Da 70 anni (136 euro) C) Perequazione automatica Meccanismo di rivalutazione applicabile a tutti i trattamenti pensionistici attraverso il quale l’importo delle pensioni viene adeguato all’aumento del costo delle vita quando si verificano determinati fenomeni macroeconomici (inflazione, aumento livelli salariali). Meccanismo automatico, a fine anno in base alla variazione del costo della vita accertata dall’Istat. È minimo, ma rimane nel tempo. È uno strumento su cui il governo ha lavorato molto perché comporta un appesantimento delle risorse dell’ente previdenziale. Negli ultimi anni il governo ha cercato di limitare l’applicazione di questo istituto. È stato fatto diverse volte e diverse volte ci si è rivolti alla corte costituzionale. La sentenza più nota è quella n. 70/2015 perché si basa sull’ultimo episodio di limitazione alla perequazione automatica con la riforma Fornero. Il governo aveva optato nel 2012 Monti/Fornero per introdurre un blocco biennale alla perequazione automatica con l’intento di mantenere le risorse all’interno dell’ente previdenziale. Ma il blocco doveva essere subordinato all’individuazione di una soglia, capire quali pensioni venivano bloccate o meno. La soglia individuata era tre volte il trattamento minimo. Questo meccanismo è stato poi riconfermato nella legge di stabilità del 2014 per il biennio 2014-16. Dichiarato incostituzionale. Nella sentenza si dà conto che in precedenza c’erano già stati dei blocchi della rivalutazione automatica che erano passati sotto giudizio della corte costituzionale. C’era un pregresso nel quale la corte costituzionale aveva dichiarato illegittimi questi blocchi. La soglia era troppo bassa. Nel 2015 la Corte ribalta il suo orientamento attraverso un’argomentazione che dice come la soglia riconosciuta per il blocco coinvolgeva un’ampissima platea di destinatari. Mentre negli anni precedenti, i blocchi si erano mossi per importi complessivi fino a 5 volte il trattamento minimo, nel 2012 la scelta invece era stata quella di individuare una soglia bassa, che ha avuto come conseguenza il blocco di moltissime pensioni per 2 anni. Risultato: obbligo dell’ente previdenziale a rimediare. Tra il 2015 e il 2016 quindi, tutti quei pensionati hanno ricevuto un conguaglio dell’importo che non avevano ricevuto in precedenza. Il blocco del 2012 è confermato con la Legge di stabilità/2014 per il biennio 2014/2015, con una modalità diversa, con un blocco a fasce. Le pensioni sotto i 3 volte l’importo minimo prendono il 100% del trattamento. Le pensioni tra i 3 e 4 volte prendono solo il 95% dell’importo. Quelle sopra le 5 volte, la prendono ma in misura ridotta. La Corte si è abbattuta anche su un altro trattamento introdotto con la riforma Monti-Fornero. Il trattamento di solidarietà ( contributo di perequazione ) che si concretizza in un prelievo forzoso dello stato sulle pensioni. A decorrere dal 1°agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 -per tutte le tipologie di trattamenti pensionistici i cui importi complessivi superavano i 90.000 euro lordi annui -applicazione della trattenuta in via preventiva e conguagliata a conclusione dell’anno di riferimento Il contributo di perequazione era pari al: -5% della parte eccedente l’importo di 90.000 euro e fino a 150.000 euro -al 10% per la parte eccedente 150.000 euro fino a 200.000 euro -15% per la parte eccedente l’importo di 200.000 euro Con sentenza n. 116/2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della disposizione (restituzione). La sentenza è piuttosto articolata, uno degli elementi sui quali si focalizza la Corte, è che questo prelievo assume le vesti di un prelievo tributario (funziona come una tassa) mentre in realtà le tasse sono per tutti i cittadini e non solo per una stretta cerchia di destinatari e devono essere fissate secondo un principio di proporzionalità. L’illegittimità ha comportato che l’INPS ha dovuto restituire gli importi. Nel 2013, il governo ci ha riprovato e ha creato il contributo di solidarietà per le pensioni d’oro, con la legge di Bilancio, recuperando gli errori che erano stati evidenziati e ristrutturandolo prendendo una soglia che è quattordici volte il trattamento minimo INPS. L’aspetto che è riuscito a passare alla Corte costituzionale è che il Governo ha indicato nel dettaglio qual era la finalità delle somme recuperate dal prelievo forzoso. Le somme avrebbero finanziato gli interventi legati ai poveri esodati. (La sentenza n. 173/2016 spiega le motivazioni che hanno indotto la Corte a renderlo legittimo.) SI può dire sostanzialmente concluso l’argomento della tutela della vecchiaia nell’ambito del lavoro subordinato. SISTEMA PENSIONISTICO NELL’AREA NON SUBORDINATA (lavoro autonomo, liberi professionisti) Tutela previdenziale della vecchiaia 1.Lavoratori AUTONOMI: agricoli, artigiani, commercianti 2.Lavoratori PARASUBORDINATI 3.Liberi PROFESSIONISTI 1. -Tre gestioni speciali presso l’Inps -Applicazione del sistema contributivo di calcolo delle pensioni -L’acquisizione del diritto alla pensione di vecchiaia non è subordinata alla cessazione dell’attività lavorativa in atto poi un requisito medico-legale (Invalidità che comporta la riduzione della capacità di lavoro in occupazioni confacenti alle attitudini (quindi invalidità specifica e non generica come nell’invalidità civile) dell’assicurato a meno di un terzo (invalidità almeno 67%). I soggetti che non possono vantare il requisito contributivi devono rivolgersi al più povero sistema dell’invalidità civile. 16/11/18 Riprendiamo il sistema di invalidità e inabilità. Sistema disciplinato dalla legge 222 del 1984, la quale individua quattro tipologie di prestazioni economiche. Quattro prestazioni riconosciute a chi può vantare un’anzianità contributiva che si può identificare nell’iscrizione ad un fondo di previdenza da almeno 5 anni, e da almeno 5 anni di contribuzione, di cui almeno 3 precedenti alla domanda dell’assegno. A questo requisito contributivo si aggiunge un requisito medico legale di inabilità o invalidità. Requisito confermato da una percentuale (nell’inabilità abbiamo il 100% di inabilità, invalidità almeno 65%). Ovviamente al requisito contributivo si associa un requisito medico - legale che è la situazione/lo stato di invalidità (riduzione della capacità di svolgere un’attività lavorativa specifica a causa di un’infermità o di un difetto fisico o mentale) o lo stato di inabilità (assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività). Requisito medico -legale: requisito che viene individuato in una percentuale (inabilità 100%, invalidità pari almeno al 67% - soglia necessaria per avere accesso a questo regime di tutele-). Alla tutela economica si associa una tutela legata al rapporto di lavoro, in particolare il regime del collocamento obbligatorio: il soggetto, che è un invalido al lavoro (invalidità pari almeno al 33%) può accedere al sistema di collocamento obbligatorio. Quindi c’è una soglia inferiore di invalidità che permette al soggetto di poter fruire di un sistema estremamente vantaggioso di accesso al mondo del lavoro. La prestazione economica la troviamo solamente quando si raggiunge la soglia richiesta per l’assegno di invalidità e per la pensione di inabilità. Occorre distinguere tra tutela del rapporto o nell’accesso al lavoro e tutela economica riconosciuta quando l’invalidità raggiunge una soglia ritenuta dalla legge tale da consentire l’erogazione di una misura di carattere economico. L’assegno di invalidità si trasforma automaticamente in assegno di vecchiaia nel momento in cui si soddisfano i requisiti anagrafici , c’è incumulabilità con le rendite previste dagli infortuni sul lavoro e malattie professionali (il soggetto non può avere due trattamenti per lo stesso evento legato all’infermità). L’importo dell’assegno viene calcolato in base al sistema di calcolo (se nel calcolo contributivo viene preso come coefficiente 57 anni se ne ha meno). Se il soggetto ha un invalidità e un’età di 50 anni viene preso come coefficiente per la determinazione dell’importo il coefficiente dei 57 anni. L’assegno di invalidità permette una limitata possibilità di svolgere un’attività ulteriore perché si tratta di una riduzione della capacità lavorativa. Mentre nel caso dell’inabilità, il soggetto non può svolgere alcuna attività lavorativa, né in forma autonoma, né in forma subordinata. Non può godere dei trattamenti di disoccupazione. Questo perché l’importo dell’assegno di inabilità è più alto rispetto a quello di invalidità. La misura della pensione viene determinata prendendo l’importo dell’assegno più la maggiorazione quindi la pensione di inabilità è un trattamento che dal punto di vista economico è più elevato rispetto all’assegno di invalidità. È una prestazione senza limiti di durata quindi l’invalido con invalidità al 100% che ha la possibilità di accedere a questo trattamento ce l’ha per sempre, se l’inabile raggiunge l’età pensionabile può richiedere la conversione della pensione di inabilità in pensione di vecchiaia, non è una trasformazione automatica, deve fare domanda (se gli conviene economicamente). L’INPS è l’ente previdenziale deputato a riconoscere questi trattamenti nelle varie gestioni poiché è un trattamento che vale anche per gli autonomi, è sempre l’INPS che lo eroga e che si occupa di operare l’eventuale revisione del trattamento che può essere o a richiesta del soggetto oppure per iniziativa dell’ente previdenziale stesso. Se l’ente previdenziale decide di operare un controllo e dal controllo emerge che il soggetto ha riacquistato l’invalidità o ha un grado di invalidità inferiore questo determina una revisione del trattamento economico (finalizzato a situazioni di bisogno reale). Oltre a queste due formule esistono le versioni privilegiate di assegno e di pensione di invalidità. Sono tipi di trattamento che sono legati alla finalità di servizio, si ritrovano generalmente nell’ambito del pubblico impiego (pubblica amministrazione) e dove c’è riconoscimento di queste formule privilegiate non c’è il riconoscimento della rendita INAIL o comunque dei trattamenti legati agli infortuni e alle malattie professionali. Quando parliamo di finalità di servizio parliamo di un sistema che è paragonabile a quello dell’INAIL nel quale l’invalidità o l’inabilità dipende da una causa legata allo svolgimento concreto del rapporto di lavoro. Terza tipologia di prestazione che troviamo sempre nell’ambito dei trattamenti di invalidità e inabilità è l’assegno di accompagnamento: prestazione sostanzialmente aggiuntiva che viene riconosciuta ai pensionati di inabilità che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e non sono in grado di compiere gli atti quotidiani della vita senza l’aiuto di un’assistenza continua. È una prestazione che viene riconosciuta a fronte di una situazione particolare del soggetto titolare della pensione di invalidità: non poter svolgere le normali occupazioni quotidiane autonomamente. L’accompagnamento è un assegno mensile non reversibile (questo trattamento non viene riconosciuto agli eredi in caso di morte del soggetto). L’accompagnamento non è dovuto in caso di ricovero in istituti di cura o di assistenza a carico dello Stato poiché viene meno la situazione di bisogno. È incompatibile con l’assegno mensile INAIL per assistenza personale poiché nel sistema della tutela infortuni c’è una prestazione analoga (assegno per assistenza personale continuativa) ed è ridotto per coloro che fruiscono di un analoga prestazione erogata da altre forme di previdenza obbligatoria o assistenza sociale. L’accompagnamento può essere riconosciuto ove non ci siano altre formule analoghe. Il sistema delle prestazioni legate alle condizioni di invalidità e inabilità al lavoro presenta molti punti di contatto con il sistema della tutela INAIL poiché si tratta di sistemi che sono strutturati su grossomodo le medesime prestazioni anche se cambiano i requisiti di accesso e le modalità di calcolo di queste prestazioni. Questo sistema si affianca a un altro sistema di invalidità abbastanza noto che è il così detto sistema dell’invalidità civile. La situazione di bisogno di un soggetto che a causa di una menomazione, di un difetto fisico o psichico non riesce a prestare un’attività lavorativa trova tre regimi differenti di tutela: 1. La tutela INAIL: ha presupposti particolari perché è presuppone che ci sia un collegamento tra questa menomazione/ questo difetto e l’aver svolto un’attività lavorativa. È una forma di tutela che è collegata alla prestazione lavorativa. Quando il lavoro non è la causa di questa menomazione ci si può orientare sul sistema dell’invalidità al lavoro o dell’invalidità civile. 2. Sistema dell’invalidità al lavoro: legato alla tutela IVS, tutela di carattere previdenziale che presuppone un requisito contributivo (i due requisiti contributivi concorrenti) e ovviamente la menomazione dell’integrità psicofisica o un difetto fisico o psichico. 3. Il sistema dell’invalidità civile è un sistema di tipo assistenziale a carattere grosso modo universalistico. Costruita dal punto di vista delle prestazioni sulla falsa riga dell’invalidità al lavoro. La differenza fondamentale tra invalidità al lavoro e invalidità civile è che la prima è una tutela di carattere previdenziale quindi presuppone un’anzianità contributiva minima mentre il sistema dell’invalidità civile non presuppone nessun requisito contributivo essendo un sistema di carattere assistenziale, L’invalidità civile è un regime di carattere più generale. L’invalidità civile è disciplinata da una legge del 1971 e si rivolge a quei soggetti sprovvisti di reddito, menomati nella propria integrità psicofisica, privi di un’anzianità contributiva o con un’anzianità contribuiva minima da non poter consentire l’accesso al sistema di invalidità al lavoro. Per quanto riguarda la menomazione psicofisica, la legge del 1971 identifica gli invalidi civili come soggetti affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici. Minorazioni fisiche e psichiche. Il grado di invalidità è 1/3. Soglia del 74% per poter accedere alle prestazioni economiche. Valutazione legata alla generica incapacità di svolgere un’attività. All’accertamento medico segue l’accertamento economico. La prima soglia il riconoscimento della qualifica di invalido civile. Se si è invalido civile si ha diritto a delle prestazioni non economiche come le prestazioni protesiche. Se si ha un’invalidità pari al 45% si può accedere al collocamento obbligatorio, quindi al sistema agevolato di ingresso al lavoro. Per poter arrivare alla prestazione economica bisogna avere un’invalidità pari almeno al 74%, questa è sempre subordinata all’accertamento dello stato di bisogno economico. Anche la valutazione dell’invalidità è diversa, infatti mentre nell’invalidità al lavoro si parla di una riduzione della propria capacità al lavoro specifica (la propria professionalità) le cause dell’invalidità civile si parla di una riduzione della capacità generica di lavoro. Il sistema dell’invalidità civile viene gestito da vari soggetti ad esempio l’ente previdenziale, poi è un sistema affidato in parte alle competenze regionali sia per quanto riguarda la valutazione medica che viene fatta dalle apposite commissioni istituite presso l’ASL o presso l’INPS. All’accertamento medico segue l’accertamento economico. Nel caso dell’invalidità civile se la valutazione medica dà come esito un’invalidità pari al almeno il 74% allora si apre la seconda valutazione, ovvero quella amministrativa che verifica che il soggetto si trovi in una situazione di bisogno economico. I problemi più rilevanti sull’invalidità civile sono quelli legati al campo di applicazione poiché si parla di una tutela assistenziale. È una forma di tutela che viene riconosciuta ai cittadini italiani, ai cittadini comunitari, ai cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti ma con un permesso di soggiorno di lungo periodo (titolo amministrativo che permette la presenza dello straniero sul suolo italiano a tempo indeterminato, sino a qualche anno fa si chiamava carta di soggiorno). Rimane in una posizione più dubbia il riconoscimento di questa prestazione agli stranieri extracomunitari con regolare permesso di soggiorno ordinario (quindi a scadenza). Questo dubbio sul riconoscimento ha dato adito ad un contenzioso molto consistente che ha visto da una parte l’INPS che da alcuni anni ha sposato una linea di mancato riconoscimento agli stranieri regolari delle prestazioni assistenziali, prima fra tutte gli assegni di invalidità civili. Dall’altra parte la giurisprudenza ha spesso riconosciuto questi trattamenti anche a questi soggetti (a seguito di un contenzioso), esiste anche una sentenza della Corte di Cassazione dei primi di Ottobre del 2018 che ha decretato il riconoscimento anche agli stranieri di questo trattamento, anche se solamente in possesso di un permesso di soggiorno regolare e non di lungo periodo. Non c’è ancora stata una modifica legislativa ufficiale che permetta il riconoscimento di queste forme a questi soggetti. È un tema caldo poiché il sistema dell’invalidità civile è un sistema che viene finanziato dalla fiscalità generale quindi non presuppone il versamento di contributi previdenziali ma è finanziato da risorse che passano direttamente dallo Stato. Per quanto riguarda le tipologie di trattamenti questi vengono riconosciuti anche a tra categorie di invalidi speciali che sono i ciechi, i sordi e sordociechi, titolari anche di alcune agevolazioni per quanto riguarda il collocamento obbligatorio. Prestazioni invalidità civile grossomodo le stesse del sistema dell’invalidità al lavoro: -assegno di invalidità civile, -pensione di inabilità civile, -indennità di accompagnamento, -indennità per i minori. Il raggiungimento di una determinata età comporta la trasformazione dell’istituto di invalidità civile in un istituto legato al raggiungimento di un’età anagrafica con condizione di bisogno. POSSIBILE DOMANDA ALL’ESAME: che differenza c’è tra il sistema di invalidità al lavoro e il sistema di invalidità civile? Tutela ai superstiti Torniamo al sistema previdenziale. Particolarità è che si tratta di prestazioni che hanno come destinatari i famigliari di un soggetto titolare di pensione o di un lavoratore assicurato deceduto. Prestazioni riconosciute: a) Pensione di reversibilità b) Pensione indiretta c) Pensione privilegiata indiretta d) Indennità di morte Le prime tre sono trattamenti economici duraturi nel tempo, senza scadenza temporale. L’indennità di morte è un trattamento una tantum. L’indennità di morte è un trattamento che viene erogato dall’INPS in una somma una tantum ai superstiti di un soggetto deceduto che non era titolare di pensione, non era un soggetto assicurato che aveva già maturato i diritti di pensione ma era un soggetto assicurato. Va a compensare una situazione di bisogno in cui il soggetto non aveva ancora raggiunto l’età pensionabile ma era un lavoratore. L’INPS a richiesta riconosce in questi casi ai superstiti una somma (idealmente una sorta di rimborso dei contributi versati dal lavoratore). In questo caso spetta ai coniugi o ai figli una somma che ammonta a 45 volte l’ammontare dei contributi versati dal soggetto che lavorava a condizione che nei 5 anni precedenti la morte sia stato accreditato almeno 1/15 dei contributi necessari per la pensione di vecchiaia. Questo è il trattamento più esiguo poiché la somma viene erogata soltanto una volta a favore di questi soggetti. lasciarlo nell’azienda e in quel caso se l’azienda ha meno di 50 dipendenti rimane là manse ne ha di può deve essere accantonato in un fondo gestito dall’INPS di previdenza complementare. L’idea è stata quella di incentivare il soggetto a destinare il proprio TFR ad un fondo di previdenza complementare. Il passo successivo è che molto spesso i fondi di previdenza complementare sono attivati dalle organizzazioni sindacali tramite il contratto collettivo, quindi per settore. Anche i fondi istituiti dai contratti collettivi sono fondi gestiti da SIM, il sindacato lo crea solamente, non lo gestisce. Esiste un sistema di vigilanza (COBI) a tutela dei fondi pensione. Il fondo accantona risorse, le investe, le fa fruttare e ad un certo punto i soggetti che hanno aderito a questi fondi avranno diritto alle prestazioni che sono vecchiaia, inabilità, invalidità, in alcuni casi l’infortunio. Le situazioni di bisogno sono le stesse del regime pubblico obbligatorio. C’è una legge che dica che per avere diritto alla pensione integrativa di vecchiaia bisogna aver maturato i requisiti previsti dal sistema obbligatorio. La disciplina è a metà strada tra la vecchia disciplina del TFR e la disciplina del fondo pensioni. Le regole che governano questo sistema sono molto complesse. Il sistema è molto vario e altamente concorrenziale. È uno strumento che può garantire un ritorno in forma di prestazione adeguato. 20/11/18 Tutela della malattia La malattia è un evento morboso che può colpire il lavoratore e procurargli una temporanea impossibilità di svolgere l’attività di lavoro. Tutela della malattia del lavoratore subordinato (Il lavoratore autonomo non riceve un’assistenza da parte del sistema pubblico. Può riceverla se ha attivato un’assicurazione contro la malattia, o un’altra forma previdenziale che copra l’evento della malattia). La malattia produce un’incapacità per il lavoratore, quindi il soggetto è impossibilitato a prestare l’attività lavorativa e di conseguenza è impossibilitato a produrre il reddito nella forma della retribuzione e ovviamente questa situazione di bisogno viene tutelata dall’ordinamento in primo luogo attraverso il riconoscimento di una tutela di carattere previdenziale economico. Lo stato di malattia, tuttavia, ha un’incidenza anche sul rapporto di lavoro, poiché il lavoratore si trova in una condizione fisica che gli impedisce di prestare l’attività lavorativa. C’è una tutela previdenziale però c’è anche una tutela nell’ambito del rapporto di lavoro, perché questa impossibilità genera ovviamente un disagio per il datore di lavoro e per evitare che questo disagio possa essere penalizzante per il lavoratore stesso, ecco che allora il diritto del lavoro ha ideato e previsto anche una tutela del rapporto di lavoro. La tutela della malattia dunque si concretizza su due fronti: 1.Tutela nel rapporto che comporta il diritto del lavoratore di assentarsi senza perdere il rapporto di lavoro. Questo si concretizza in un divieto di licenziamento durante il periodo di malattia. Il datore di lavoro a fronte di una sospensione dell’attività per malattia non può recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro subordinato. Il licenziamento, se fatto durante questo periodo, è nullo. Questo divieto conosce un limite temporale rappresentato dal periodo di comporto della m alattia , dopo il quale il datore può licenziare. Questo periodo è stabilito dai contratti collettivi (fonti del diritto del lavoro, contratti sottoscritti tra sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro). Quindi è un periodo nel quale permane questo divieto di licenziamento. È un periodo molto lungo, indicativamente su 365 giorni il comporto arriva ai 300/320 giorni, e può essere un comporto stabilito per singolo evento morboso oppure per sommatoria di più eventi morbosi. Quindi il comporto può essere individuato come relativo ad una singola malattia oppure come la somma di tutti gli eventi morbosi dell’anno. Oltre a questo divieto di licenziamento fondamentale perché permette al lavoratore subordinato di potersi assentare con la sicurezza di mantenere il posto di lavoro, ovviamente la malattia genera anche la sospensione del rapporto di lavoro. Il lavoratore che ha una malattia, uno stato di inidoneità temporanea certificato, ha diritto ad assentarsi dalla prestazione lavorativa, di vedere la prestazione temporaneamente sospesa. Quindi sospensione e mantenimento del posto di lavoro perché appunto il divieto di licenziamento comporta il mantenimento del posto di lavoro. Questa sospensione genera un’interruzione temporanea della prestazione lavorativa e degli obblighi del lavoratore e nel momento in cui la malattia verrà meno il lavoratore avrà diritto a rientrare nello stesso posto con le stesse mansioni che aveva prima dell’evento morboso. Questa è la tutela nel rapporto: quella che si concretizza nella sospensione e nel mantenimento del rapporto di lavoro subordinato. 2.Tutela economica sostegno economico che sostituisca, entro certi limiti, la retribuzione del lavoratore. Una tutela economica, perché la sospensione genera ovviamente il venir meno dell’obbligo del datore di lavoro di versare la retribuzione al lavoratore: manca l’attività lavorativa e manca il corrispettivo compenso, il salario. La tutela previdenziale si muove lungo l’idea di dare un sostegno economico che sostituisca la retribuzione del lavoratore. La sostituisca ma entro certi limiti perché si tratta sempre di risorse pubbliche una tutela previdenziale pubblica che viene sì finanziata attraverso i contributi di malattia previsti per il lavoratore subordinato, però comunque si tratta di un’erogazione che assume la forma di un’indennità. Quindi il lavoratore non percepisce dallo Stato tutta la retribuzione, ma ne percepisce una parte, una parte che è stata ritenuta adeguata a soddisfare tutte le sue esigenze durante questa temporanea sospensione. Quando si parla di malattia occorre avere riguardo all’evento che ha generato questa inidoneità, questa impossibilità di prestazione, perché l’evento influenza il tipo di tutela che viene riconosciuta al lavoratore. Se la malattia non ha un’origine professionale, si parla di malattia comune. Se la malattia ha un’origine professionale, scatta una tutela diversa (tutela Inail, chiamata infortuni sul lavoro e malattie professionali). Questo contesto è legato ad un altro profilo importante, che è quello della sicurezza nei luoghi di lavoro. a. Tutela della malattia comune del lavoratore subordinato La tutela della malattia comune, dal punto di vista delle fonti, è legata sicuramente all’art.38 della Costituzione, che appunto identifica il diritto al lavoratore a ricevere una tutela economica dallo Stato, ma logicamente quando parliamo di questi eventi si fa riferimento anche all’art. 32 della Costituzione che riconosce il diritto alla salute. Fin dagli anni ’30 oggetto di tutela, che però passava attraverso lo strumento della contrattazione collettiva (casse mutue), poi sostituito dello stato. Quindi in origine l’attenzione veniva soprattutto nell’ambito delle organizzazioni sindacali del lavoro privato, al di fuori di un intervento dello stato. La contrattazione collettiva di epoca corporativa in particolare prevedeva soprattutto nell’ambito delle categorie dei lavoratori più forti la costituzione di appositi strumenti, le tasse mutue, che venivano finanziati dai lavoratori e dai datori di lavoro e che erogavano delle prestazioni previdenziali nel momento in cui gli iscritti alla cassa mutua si trovavano in una condizione di temporanea infermità e quindi di temporanea sospensione della prestazione lavorativa. Lo strumento delle casse mutue, che in realtà è rimasto ed esistono ancora questi strumenti particolari (penso, per esempio, alla cassa mutua edile nell’ambito dell’edilizia) sono stati poi sostituiti dall’intervento dello Stato, che ad un certo punto ha ritenuto di dover organizzare lui stesso, attraverso la tutela previdenziale e l’ente previdenziale, di farsi in qualche modo promotore della liberazione dallo stato di bisogno del lavoratore in malattia. Il sistema delle casse mutue, legato alla contrattazione collettiva, c’è ancora in alcuni casi, con prestazioni spesso integrative rispetto a quelle statali, ma è un sistema che è stato superato dalla creazione di un sistema previdenziale pubblico per la tutela della malattia. All’inizio vi era anche un ente previdenziale, l’INAM che si occupava proprio della tutela della malattia e inseguito è confluita dentro all’INPS che anche oggi si occupa della tutela economica della malattia comune. Destinatari della tutela previdenziale: -operai dell'industria, dell'artigianato e dell'agricoltura - operai e impiegati del settore terziario e dei servizi salariati del credito, delle assicurazioni e dei servizi tributari appaltati soci di cooperative che prestino attività lavorativa apprendisti Sono tutti destinatari di un’indennità giornaliera a carico dell’ente previdenziale INPS (c.d. malattia indennizzabile Inps). Rimangono fuori da questo contesto le categorie degli impiegati. Per gli impiegati nel settore dell’industria il trattamento economico durante la sospensione del rapporto di lavoro per malattia è interamente a carico del datore di lavoro (c.d. malattia non indennizzabile dall’Inps). Per stabilire il trattamento economico occorre fare riferimento ai contratti collettivi. Lavoratori con anzianità di servizio inferiore a 10 anni: 100% retribuzione il 1°mese, 50% per i due mesi successivi. Lavoratori con anzianità superiore a 10 anni: 100% per i primi 2 mesi, 50% per i due mesi successivi. L’indennità viene erogata dal quarto giorno di malattia, per un massimo di 180 giorni all’anno. Il periodo di carenza di 3 giorni è a carico del datore di lavoro (v. contrattazione collettiva nazionale o aziendale). Dal 4°giorno al 20°giorno di malattia l’indennità dell’Inps è pari, per la maggior parte delle categorie, al 50% della retribuzione media globale giornaliera. Dal 21°giorno al 180°giorno (o ricaduta), l’indennità è pari al 66,66%. Spesso il datore di lavoro integra l’indennità per garantire al lavoratore lo stesso reddito. TUTELA PER LA MALATTIA COMUNE PER GLI IMPIEGATI: Rimangono fuori da questo contesto le categorie degli impiegati perché tradizionalmente la tutela dell’impiegato era una tutela lasciata al datore di lavoro. Quindi mentre per gli operai il datore di lavoro versa il contributo previdenziale (l’Aliquota della malattia applicata sulla retribuzione imponibile), per gli impiegati è il datore di lavoro stesso che è tenuto ad erogare un trattamento sostitutivo della retribuzione. È rimasta questa storica differenza, per gli impiegati nel settore dell’industria il trattamento economico è interamente a carico del datore di lavoro e prende il nome di malattia non indennizzabile dall’INPS. Nel caso degli impiegati tutta la materia è lasciata ai contratti collettivi, all’interno dei quali sono stabilite tutte le regole legate appunto all’entità del trattamento economico, al periodo di comporto. Generalmente nel caso degli impiegati, quindi della malattia non indennizzabile, i lavoratori che hanno un’anzianità di servizio inferiore a 10 anni ricevono il 100% della retribuzione il primo mese ed il 50% nei mesi successivi, mentre i lavoratori che hanno un’anzianità di servizio superiore a 10 anni ricevono il 100% della retribuzione i primi due mesi ed il 50% nei mesi successivi. Quindi quando si tratta di un lavoratore identificato come categoria impiegato, il sistema è affidato sostanzialmente ai contratti collettivi che prevedono l’obbligo di erogare questa indennità. TUTELA PER LA MALATTIA COMUNE DEI LAVORATORI OPERAI: Se invece si tratta di categorie operaie, allora questa indennità fa capo all’ente previdenziale. Questa indennità che viene erogata dall’INPS viene erogata a partire, secondo la previsione di legge, dal 4° giorno di malattia per un massimo di 180 giorni all’anno. la tutela economica è una tutela che ha una durata ben definita: al di fuori di questa soglia lo Stato non è più tenuto ad erogare il trattamento di malattia. I primi 3 giorni di questo periodo di carenza sono a carico del datore di lavoro. Il lavoratore operaio dell’industria al quale viene certificata una malattia con una prognosi di 7 giorni sa che l’INPS gli erogherà l’indennità a partire dal quarto giorno fino al settimo. I primi tre giorno sono a carico del datore di lavoro. Questo ovviamente rileva soprattutto nell’ambito dei soggetti che devono redigere le buste paghe, perché il consulente deve sapere che i primi 3 giorni sono a carico del datore di lavoro e il resto a carico dell’INPS. Il fatto che il periodo di carenza dei primi 3 giorni sia a carico del datore di lavoro è stabilito all’interno dei contratti collettivi. La malattia è uno di quegli istituti ampiamente coperti da una regolamentazione di carattere collettivo. All’interno del contratto collettivo c’è una parte relativa alla disciplina del rapporto di malattia dove ci sono tutte le regole applicabili a quel settore. I contratti collettivi sono numerosi, non esiste un unico contratto collettivo ma ce ne sono tanti: 440 circa, per 6 categorie, solo i nazionali, poi ci sono tutti quelli aziendali. Quindi i primi 3 giorni sono a carico del datore di lavoro, dal quarto giorno parte l’indennità INPS. L’indennità dell’INPS è pari, per la maggior parte delle categorie, al 50 % della retribuzione media giornaliera fino al 20° giorno; dal 21° al 180° giorno si passa a circa poco meno del 67% della retribuzione. Questo ovviamente è l’apporto dell’Ente previdenziale, il quale arriva fino a dare queste somme. Poi il datore di lavoro può essere comunque tenuto ad erogare una quota integrativa se c’è scritto nel contratto collettivo quindi se nel contratto collettivo aziendale è previsto che per i primi 60 giorni il datore di lavoro comunque integra e arriva fino al 90% ecco che allora alla quota pubblica, l’indennità INPS, si aggiunge appunto la quota prevista a carico del datore di lavoro. Quindi è il contratto collettivo lo strumento che ad oggi è stato individuato come strumento per cercare in qualche modo di ampliare la tutela economica per quanto attiene alla malattia comune. Però non esiste solo un contratto collettivo, quindi ci saranno alcune categorie per le quali è prevista questa forma di integrazione e altre no. Generalmente sono i contratti collettivi aziendali che stabiliscono l’insieme dei benefici aggiuntivi a carico del lavoratore dell’azienda pagati da datore di lavoro. Il livello aziendale è il livello nel quale trova espressione questa esigenza di fornire più diritti e più tutele soprattutto dal punto di vista economico al lavoratore stesso e non solo, perché a livello aziendale possono essere previsti anche il riconoscimento della tutela della salute aggiuntiva al lavoratore subordinato. Molto comune nelle aziende degli operandi o dell’artigianato, la previsione da contratto collettivo attraverso la aula il lavoratore ha una tutela sanitaria integrativa rispetto a quella pubblica. Viene realizzata attraverso l’assicurazione di una polizza salute. Quelle più note sono quelle ad esempio della UNISALUTE, quindi significa che certe categorie il numero di giorni di astensione dall’attività lavorativa. Quindi il certificato viene trasmesso per via telematica all’INPS e l’attestato di malattia viene dato al datore di lavoro, anche qui esistono metodi di trasmissione per vie telematiche, fatte dal medico stesso. Esiste quindi una procedura di comunicazione. Questo sistema, il sistema della certificazione ma soprattutto quello sul controllo della malattia, è un sistema che è applicabile al lavoro privato perché nell’ambito del lavoro presso le pubbliche amministrazioni il sistema del controllo della malattia è leggermente più stringente: da qualche anno a questa parte esiste un apparato di controllo sullo stato di malattia del lavoratore pubblico che è più severo rispetto al controllo sul lavoratore privato. È stato il ministro Brunetta nel 2009 ad ideare questo meccanismo di controllo sulle assenze per malattie del lavoratore pubblico. Per adesso a noi interessa il sistema privato. Basti sapere che nel settore pubblico il controllo sulla malattia è più intenso. Il controllo quando avviene? C’è una certificazione, c’è un soggetto medico che attesta lo stato di malattia. A fronte di questo stato di malattia può essere effettuato un controllo sullo stato di salute del lavoratore il controllo può avvenire o su richiesta del datore di lavoro oppure a discrezione dell’ente previdenziale, logicamente l’ente previdenziale è quello che paga ed eroga l’indennità. Il controllo logicamente non può essere fatto da soggetti pagati dal datore di lavoro. Deve essere un controllo, in base alle norme dello statuto dei lavoratori del ’70, può essere richiesto dal datore di lavoro, ma deve essere effettuato dai medici dell’INPS o dell’ASL, soggetti imparziali ed è un controllo che viene effettuato entro quelle che vengono chiamate fasce di reperibilità. Quindi diciamo che la malattia comune il profilo è tutela previdenziale, quando prevista, importo dell’indennità, paga l’Indennità, certificazione, quindi status e sistema del controllo. Questi sono gli argomenti legati al sistema della malattia generica quindi il lavoratore ammalato del settore privato deve rimanere a casa a disposizione per eventuali controlli effettuati dai medici dell’INPS, tra le 10/12 e le 17/19: queste si chiamano fasce di reperibilità, comprese le domeniche e i giorni festivi. Quindi se la prognosi è lunga vuol dire che durante questo periodo di astensione tutelata il lavoratore deve trovarsi nel domicilio che ha indicato all’atto della certificazione perché può incorrere in un controllo. Può capitare che questo soggetto non sia al domicilio eletto. Qui bisogna valutare quale sia causa dell'assenza dal domicilio, nel caso di assenza alla visita di controllo non giustificata, dove non c’è una giustificazione valida per l’ente previdenziale il lavoratore perde il diritto all’indennità per i primi 10 giorni. In caso di assenza alla seconda visita e generalmente il trend dell’ente previdenziale è che se c’è una prima assenza poi si torna, In caso di assenza alla seconda visita perde il 50% dell’indennità e in caso di assenza ad una terza visita perde il 100% dell’indennità. Per quanto riguarda il settore pubblico le fasce di reperibilità sono più ampie, essendo un sistema un po’ più restrittivo dal punto di vista del controllo. Può esserci però una giustificazione: necessità di eseguire visite generiche urgenti, accertamenti specialistici, che non possono essere effettuati in orari diversi previa comunicazione obbligatoria al datore di lavoro, poiché il datore di lavoro può chiedere il controllo della malattia, è suo diritto, anche se il datore di lavoro che chiede il controllo della malattia è tenuto a pagare una sorta di contributo all’ente previdenziale, perché il controllo del medico costa all’Ente previdenziale. Le INPS hanno un budget per le visite di controllo che generalmente esauriscono intorno a Settembre/Ottobre, quindi raramente a Novembre/Dicembre le INPS mandano il controllo del medico, poiché non hanno più i soldi per farlo: i medici sono sì impiegati INPS, ma prendono una percentuale sulle visite. L’ente previdenziale può optare per impiegare questo budget per i controlli, il datore di lavoro può chiederlo ma deve comunque pagarlo Seppure in minima parte. Quando parliamo di controllo sulla malattia parliamo di un ambito legato al rapporto di lavoro, c’è tutta una disciplina legata alla compatibilità con le ferie del lavoratore: le ferie sono l’istituto deputato a reintegrare le energie psicofisiche del lavoratore. La malattia durante il periodo di ferie fa interrompere il decorso delle ferie. Quindi il lavoratore che ha preso una settimana di ferie e il secondo giorno è in malattia, certifica la malattia, prognosi di 3 giorno: quei tre giorno non sono ferie ma sono malattia. Anche qui questo ovviamente dà origine a tutta una serie di problematiche legate alla compatibilità alla sospensione della malattia ed esiste una giurisprudenza sterminata sulla compatibilità ferie/malattia. Rispetto al periodo di comporto adesso c’è tutto un problema legato alle malattie croniche, quelle malattia in cui appunto si sfora il periodo di comporto, una problematica legata al mantenimento del rapporto di lavoro. Una malattia che può durare oltre il periodo di comporto in realtà limita il datore di lavoro per la possibilità di licenziare il lavoratore. Il tema della malattia oggi ha subito un processo di forte attenzione soprattutto legato anche al rientro in azienda dopo una malattia di lungo durata, come può essere una malattia cronica, con il reinserimento in azienda con magari delle mansioni diverse, quindi ci sono tutte quelle problematiche legate alla gestione concreta del rapporto di lavoro. All’INPS rileva solamente che il lavoratore ha per la malattia 180 giorni di indennità, e se controlla deve trovare il lavoratore a domicilio, per il resto non rileva nulla. Il sistema, dal punto di vista del contenzioso, è più orientato al contenzioso tra il lavoratore e il datore di lavoro, legato a tutte queste dinamiche. C’è tutta una giurisprudenza appunto riguardo al licenziamento del datore di lavoro oltre il periodo di comporto, una serie di problematiche sotto quel profilo. Questo è quanto riguarda la malattia generica, siamo in un contesto in cui il lavoratore subordinato a fronte del versamento dei contributi previdenziali per la malattia gode di questa forma di tutela, sospensione e indennità. Molto più articolato e complicato è il sistema legato agli infortuni sul lavoro e malattie professionale. TUTELA PER L'INVALIDITÀ’ E L'INABILITÀ’ DA RISCHIO PROFESSIONALE Il sistema della tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è la prima forma di tutela previdenziale. Nel 1898 con la Legge n°80 si ebbe a previsione di una prima assicurazione sociale in Italia obbligatoria per gli infortuni sul lavoro nel settore dell’industria. Nel 1898 fu introdotto quindi l’obbligo per il datore di lavoro di assicurarsi. All’inizio erano enti e assicurazioni privati, ma vi era l’obbligatorietà a fronte del verificarsi di un infortunio dei propri dei dipendenti, dei propri lavoratori subordinati. Poi progressivamente questa tutela è stata estesa oltre l’industria al settore dell’agricoltura, è stato creato un ente previdenziale pubblico presso il quale accedere a questa assicurazione e poi, con l’assicurazione del ‘29 è stata estesa alle malattie professionali. Quindi si tratta della prima forma concreta di tutela previdenziale nel nostro paese, a fronte appunto di un evento di bisogno legato agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. SISTEMA DEGLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI La materia oggi ha ovviamente subito tutta una serie di modifiche rispetto alla legge del 1898, si è approdati ad un testo unico, il 1124 del 1965, che contiene tutte le regole legate al sistema degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nella tutela previdenziale applicabile nel settore industriale e nel settore agricolo. Quindi nel 1975 si è creato questo macro contenitore normativo che oggi contiene tutto ciò che attiene questa forma di tutela previdenziale. A fianco di questo testo unico troviamo oggi un’altra importante fonte: il D.lgs. n.38/2000 Questo decreto legislativo è stato importante perché attraverso questo intervento del legislatore si è andati in qualche modo a modificare la parte della tutela più datata, quella legata al tipo di danno da indennizzare al lavoratore colpito da infortunio o da malattia professionale, perché ovviamente questa forma di tutela è una tutela che viene generata sempre attraverso le schema contributivo-previdenziali, situazione di bisogno/prestazione erogata, ma uno degli elementi fondamentali di questa questione è legata al tipo di danno, di compromissione dello stato di salute del lavoratore che lo Stato ritiene meritevole di dover indennizzare, quindi il profilo del danno al soggetto, lavoratore. Attraverso questo decreto legislativo n.38 del 2000 è stato esteso il sistema dei danni, un sistema molto complicato: danni patrimoniale, danni non patrimoniali, etc… Il danno è legato sostanzialmente al tipo di indennizzo economico che si vuole riconoscere al lavoratore che subisce un infortunio sul lavoro o contrae una malattia professionale. Il decreto ha quindi ridimensionato il sistema dei danni. Ha esteso l’obbligo di assicurarsi di determinate categorie che prima del 2000 che prima non erano tutelate: i dirigenti e i lavoratori parasubordinati. Rispetto ai dirigenti, stiamo parlando di coloro i quali rivestono una qualifica medio-alta all’interno dell’impresa. Altro risultato del D.lgs.38/2000 è l’introduzione di una specifica categoria di infortuni: l’infortunio in itinere che oggi rappresenta l’elemento forse più interessante legato al profilo degli infortuni sul lavoro. È una forma di tutela che chiamerei privilegiata, sia dal punto di vista delle prestazioni economiche sia dal punto di vista della durata. È una tutela privilegiata perché ovviamente parte dall’idea che incorre in un infortunio perché sta svolgendo una certa attività lavorativa deve ricevere una tutela privilegiata. Domanda: Legata all’attività lavorativa o anche esterna? Entrambe Lo scopo di offrire una tutela privilegiata in considerazione dell’origine lavorativa dell’evento. Questo fa sì che questo sistema sia molto più articolato rispetto a quello che abbiamo visto primo per le malattie generiche. La tutela della malattia generica semplicemente una sospensione dell’attività lavorativa, qui si vuole dare al lavoratore una tutela in più perché la malattia cha ha contratto o l’infortunio in cui è incorso è legato appunto al lavoro, al fatto di aver impiegato la propria forza e le proprie energie e da quel lavoro ne è arrivato un infortunio o una malattia. Quindi una tutela privilegiata. È una tutela molto articolata che presenta molti ambiti di approfondimento. Parleremo del sistema della sicurezza del lavoro in particolare dello stress lavoro correlato, l’ultima frontiera dei rischi sul luogo del lavoro, perché ovviamente si basa sulla valutazione del rischio: più un’attività lavorativa è rischiosa, vi sono elementi presunti o non presunti che fanno sì che un’attività lavorativa sia più rischiosa di un'altra, più il premio assicurativo sarà alto e più il datore di lavoro dovrà organizzarsi sotto il profilo della sicurezza per evitare che ci siano degli infortuni. Quindi questo è l’ambito nel quale viene organizzata questa forma di tutela. Ci sono tanti settori di approfondimento: il settore della sicurezza, c’è il settore legato a tutto un insieme di malattia legata all’impiego dell’amianto. Anche questa è materia più o meno direttamente legata al sistema degli infortuni sul lavoro e malattie professionali perché nel nostro sistema produttivo è stata ampliamente utilizzato questo minerale, l’amianto e quindi l’impiego di questa sostanza, del quale si è scoperta la pericolosità dopo dei decenni a portato che esiste un filone di malattie professionali legate all’impiego dell’amianto. I numeri sono così elevati che si è dovuto realizzare un fondo specifico per l’amianto e c’è un contenzioso aperto da 30 anni con le aziende che producevano amianto, la più famosa era l’azienda eternit. È una forma di tutela che si basa su prestazioni economiche erogate dall’INAIL e su prestazioni sanitarie, è una delle poche tutele previdenziali dove troviamo anche un profilo legato al ripristino della condizione fisica del lavoratore prestazioni sanitarie che possono essere prestazioni di pronto soccorso, prestazioni mediche generiche, fornitura di protesi, di ausili, cure riabilitative e termali. Tutto questo sistema di prestazioni sanitarie rientra nella grande famiglia delle prestazioni INAIL a fronte di infortuni sul lavoro e malattie professionale. Domanda sul fatto che lo stress da lavoro possa provocare sintomi come il mal di schiena… Lo stress lavoro correlato è sicuramente una delle ultime frontiere legate ai rischi sul luogo di lavoro. Bisogna capire quando è effettivamente stress lavoro correlato e quando no lo è. Vi è tutta una serie di indagini che si possono dare diagnosi di un soggetto che è affetto da stress lavoro correlato. Poi c’è tutto un discorso legato allo stress lavoro correlato per le professioni sanitarie che è abbastanza importante e approfondiremo. Quali sono i capisaldi sui quali si basa la tutela INAIL sugli infortuni e le malattie professionali? Il fondamento della tutela è il principio del rischio professionale, per il solo fatto di esercitare un’attività economica per mezzo dei lavoratori, il datore di lavoro è chiamato a rispondere dei danni legati all’integrità fisica del lavoratore per ragione di lavoro. Attraverso lo strumento dell’assicurazione INAIL il datore di lavoro però non ne risponde direttamente ma la responsabilità viene traslata sull’ente previdenziale INAIL. Il datore di lavoro stipula e si assicura per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, versa i premi all’istituto assicuratore e qualora si verifica una situazione della menomazione dell’integrità psicofisica del lavoratore ecco che la responsabilità ricade sull’ente previdenziale. La tutela si basa ovviamente su un nesso causale tra infortunio e svolgimento del lavoro e un nesso tra malattia e svolgimento del lavoro. È questo il nesso difficile da cogliere: ci deve essere un collegamento tra l’attività lavorativa e l’infortunio/la malattia. L’operatività della tutela è garantita dal trasferimento del rischio professionale dal datore di lavoro all’istituto assicuratore che al verificarsi dell’evento protetto interviene garantendo al lavoratore appositi indennizzi per il danno patito . C’è una conseguenza di questo regime, ed il fatto che la responsabilità viene trasferita all’Ente previdenziale e l’Ente non ristora tutti i danni patiti dal lavoratore. Non c’è un ristoro integrale delle conseguenze patite dal lavoratore, ma un ristoro parziale nella forma dell’indennizzo. Se il lavoratore ambisce ad ottenere il ristoro totale dei danni patiti, oltre ciò che gli viene erogato dall’INAIL deve avvalersi degli ordinari strumenti che gli vengono dati dal diritto privato, dal sistema della responsabilità civile. Il ristoro dell’INAIL è un ristoro parziale poiché l’indennizzo non è un ristoro di Questa definizione è una definizione che si concentra su tre aspetti: la causa violenta, l'occasione di lavoro, le conseguenze. Se ci sono questi tre elementi, allora ci si trova di fronte ad un infortunio sul lavoro. Poi bisogna capire se ovviamente questo infortunio dà origine ad un indennizzo a carico dell'INAIL, perché l'indennizzo viene erogato solo quando l'infortunio raggiunge determinate conseguenze. Una volta che si è dentro al campo di applicazione lavorazione pericolosa, ci si trova in una di queste condizioni (infortunio avvenuto per causa violenta, in occasione di lavoro, con queste conseguenze), bisogna poi capire se queste conseguenze sono tali, da un punto di vista percentuale, per originare l'indennizzo. Cosa si intende per evento lesivo dell'infortunio? L’INFORTUNIO LESIVO: L'evento lesivo viene definito come un qualcosa che va a colpire l'integrità psicofisica del lavoratore. Quindi una menomazione dell'integrità psicofisica, subita dal lavoratore, suscettibile di una valutazione medico legale. L’infortunio lesivo, per essere in qualche modo assistito da una tutela INAIL, deve essere valutato. Valutato attraverso un sistema di percentuali. La valutazione medico-legale è quella che viene fatta dal cosiddetto danno biologico, che sono le conseguenze della menomazione dell'integrità psicofisica. Quindi il danno biologico, proprio il termine, fa capire che ad oggi si va in qualche modo ad indennizzare un danno diretto alla salute del lavoratore, un danno che però deve essere misurato attraverso una valutazione medico legale. Bisogna in qualche modo misurare qual è stata quella menomazione dell'integrità psicofisica che è stata conseguenza di questo evento lesivo. Una menomazione che può ridurre l’attitudine del soggetto a lavorare, una riduzione quindi, o anche una totale inabilitazione nei casi più gravi. Quali sono le conseguenze rilevanti per l'assicurazione? LE CONSEGUENZE: Le conseguenze rilevanti per l’INPS sono la morte del lavoratore, l'inabilità al lavoro che può essere o inabilità temporanea e assoluta, oppure, un’inabilità permanente che può essere assoluta o parziale. Distinguiamo meglio questi due tipi di inabilità: -L’inabilità temporanea e assoluta si verifica nel caso in cui ci sia una impossibilità del lavoratore di prestare temporaneamente la propria capacità lavorativa, però deve essere temporanea e assoluta, quindi astensione dal lavoro per più di 3 giorni, ma sanabile. Quindi è una conseguenza che invade l’integrità psicofisica del lavoratore, che ha portato il lavoratore per almeno 3 giorni ad essere impossibilitato a prestare l'attività lavorativa, quindi temporanea. L’inabilità è assoluta perché il lavoratore, in quel momento, non può fare nient'altro, a causa di un danno all’integrità psicofisica, ma che comunque è sanabile. -Nel caso dell’inabilità permanente, parliamo di una inabilità al lavoro permanente, quindi un danno permanente che può essere o assoluto, quando il lavoratore non ha più sostanzialmente la possibilità di lavorare, poiché l'infortunio ha tolto completamente e per sempre l’attitudine psicofisica del soggetto a svolgere l'attività lavorativa, oppure, può essere un’inabilità permanente ma parziale, quindi quando la sua attività lavorativa è stata ridotta per sempre, ma egli è comunque in grado di svolgere un’attività lavorativa. Quindi una situazione temporanea rileva solamente se la situazione è assoluta, cioè che ha coinvolto un’astensione per più di 3 giorni (già qua c'è una soglia per l'applicazione della tutela), l'inabilità permanente può essere sia assoluta che parziale. Quindi il discrimine è rappresentato dal fatto che questa menomazione sia sanabile o no. Se è sanabile ovviamente in meno di 3 giorni, la tutela non c'è. Se è più di 3 giorni, c'è la tutela. Se non è sanabile è differente a seconda che la situazione sia assoluta, e quindi privi il soggetto di qualsiasi attitudine a svolgere l'attività per sempre. Ovviamente queste conseguenze danno origine ad indennizzi diversi, misure economiche diverse nel caso della temporanea e nell'assoluta. LE CAUSA VIOLENTA DELL’INFORTUNIO: Quindi l'evento lesivo è la menomazione, che ha queste conseguenze. C'è anche l'altro elemento che è la causa violenta. Avviene quando, un fatto esterno agisce rapidamente sulla persona e ne costituisca un caso di causa-effetto con la lesione (causa efficiente e rapida). Ovviamente l'INAIL ha un orientamento abbastanza consolidato per capire che cosa sia la causa violenta. Attenzione: la causa violenta si rileva nel l'infortunio ma non nella malattia professionale; nella malattia non abbiamo una causa violenta, ma una causa lenta. Nell' infortunio, invece, abbiamo un evento traumatico, quindi un fatto esterno che agisca rapidamente sulla persona e costituisca un caso di causa effetto. È una causa efficiente e rapida che genera la menomazione. Le cause violente più comuni sono quelle che si manifestano attraverso un evento traumatico, ma può essere causa violenta anche quella che produce effetti patologici differenti. Nelle slide è riportato l'esempio classico, che c'è in tutti i manuali: si spacca una finestra in azienda, c'è un abbassamento termico, l'abbassamento termico procura una polmonite al lavoratore . Questo è un infortunio, non è una malattia professionale, perché è stato generato sostanzialmente da un fatto esterno che agisce rapidamente, la malattia professionale invece dà proprio l'idea di qualcosa di lento e progressivo. Quindi ci deve essere una causa-effetto ma non è detto che l'effetto sia immediato : può essere anche leggermente differito, però rileva la causa. Uno dei problemi più difficili da risolvere quando si tratta della causa dell'infortunio è quello della possibilità che esistano delle concause della menomazione dell'integrità psicofisica, questa è la cosa più difficile da valutare. Cioè una causa violenta può non essere l'unica determinazione o può non essere esclusiva nella determinazione dell'evento, cioè possono concorrere altre concause. Per esempio, nel caso della polmonite magari il soggetto è un soggetto che già aveva una patologia ai bronchi e che quindi questa causa violenta ha portato poi alla menomazione. Quindi le problematiche più rilevanti nel caso della causa violenta sono quelle della presenza o meno di concause. E qui l’INAIL, parlando della valutazione medica, generalmente valuta l'entità della concausa. Di base sono abbastanza irrilevanti, cioè: soprattutto negli ultimi anni l'ottica è quella sostanzialmente di vedere riconosciuta in maniera più ampia la tutela INAIL. Però è problematica la questione della concausa. Quindi questo è l'elemento sul quale qualche volta si trovano degli orientamenti un po' difformi. Cioè la presenza di qualcosa, di una condizione morbosa già preesistente, che può aver aggravato la menomazione dell'integrità psicofisica: allora magari si potrebbe andare a vedere se quella concausa abbia un'origine professionale o meno. Questo rileva per quanto riguarda la causa violenta. L’OCCASIONE DI LAVORO NELL’INFORTUNIO: Altro problema è quello dell'occasione di lavoro. Gli elementi che compongono l'infortunio sul lavoro o sulle vie del lavoro sono l'evento lesivo, quindi la menomazione con le sue conseguenze, una causa violenta e l'occasione di lavoro. L'occasione è il legame tra il lavoro e l'infortunio. Anche qui ovviamente il regime è molto diverso dalla malattia professionale. L'occasione di lavoro, secondo la giurisprudenza piuttosto consolidata, è quell’infortunio avvenuto durante l’espletamento dell'attività lavorativa e anche quello accaduto in circostanze ad esso connesso, come ad esempio le pause per la consumazione dei pasti. Quindi l'occasione di lavoro viene considerata come sostanzialmente qualsiasi collegamento con lo svolgimento dell'attività lavorativa, ma anche, secondo la giurisprudenza, viene considerata occasione di lavoro il momento in cui il soggetto non lavora ma si trova all'interno dell'azienda e sta, per esempio, consumando il pasto. Se ad esempio in questo caso il soggetto scivola in mensa e si fa male, quello è un infortunio da occasione di lavoro. Quindi qui non ci sono particolari problematiche. INFORTUNIO IN ITERI Invece un po' più complicato è capire cosa si intende per infortunio sulle vie del lavoro, infortunio in itinere (sono sinonimi). Nel 2000 il legislatore ha deciso di estendere la tutela anche a quegli infortuni occorsi da soggetti assicurati durante il percorso casa/lavoro. Appunto per questo, viene chiamato un infortunio sulle vie del lavoro. In realtà oggi è un'ipotesi abbastanza frequente quella di infortunio sulle vie del lavoro. Però, la definizione di infortunio in itinere è una definizione che dal 2000 ad oggi è stata ampliamente rimaneggiata. Perché all'inizio, L’INAIL ha posto alcune restrizioni in merito al riconoscere quando si tratti di un infortunio sulle vie del lavoro, poiché è un genere di infortunio dove in realtà quel legame con il lavoro è molto sfumato. Quindi è lo stesso legislatore che ha deciso di considerare l'infortunio sul lavoro, sia quello in occasione di lavoro (quindi nello svolgimento dell'attività lavorativa, con le cause collegate ad essa) ma anche l'infortunio che può colpire il soggetto mentre va a lavoro. Però ci sono mille cose che succedono mentre un soggetto va a lavoro. E questo ovviamente ha generato tutta una serie di quesiti posti all’INAIL. Inizialmente l’INAIL aveva aderito ad un’interpretazione abbastanza restrittiva, e si indicava che il percorso sulle vie per andare al lavoro fosse il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione al luogo di lavoro. La definizione di questo tragitto era una definizione abbastanza standard, non era previsto che questo tragitto potesse essere fatto con il mezzo privato, quindi veniva indennizzato solo se il tragitto veniva compiuto a piedi o con un mezzo pubblico e non erano previste eccezioni. Veniva considerato infortunio in itinere anche quello occorso durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore avesse due rapporti di lavoro, e anche durante un normale percorso di andata e ritorno dal luogo di un lavoro a quello di una eventuale consumazione dei pasti, qualora fosse previsto un servizio di mensa aziendale. Quindi un lavoratore che, non avendo la mensa, decideva di andare a pranzare al bar di fronte, veniva tutelato anche nel tragitto dall’azienda al luogo abituale di consumazione dei pasti. Ovviamente all'infuori dell'azienda è difficile porre dei limiti al percorso, perché possono accadere svariate cose. Quindi ad un certo punto L’INAIL, stanca di avere un contenzioso sull’infortunio in itinere, ha deciso di dare delle spiegazioni, dei chiarimenti, e ha stabilito che: l'infortunio in itinere avvenuto durante l'interruzione del percorso o la deviazione dello stesso, per cause indipendenti dal lavoro, non necessitate, quello è un infortunio non indennizzabile. Allora il problema che ci si è posto è rispetto a quali sono le cause necessitate o non necessitate. Perché se invece l'infortunio avviene nel momento in cui il lavoratore non è nel normale percorso di andata e ritorno, ma fa una deviazione, ma quella deviazione la deve comunque fare, cade, inciampa, ha un infortunio, quell’infortunio viene considerato indennizzabile. Quindi ad un certo punto si è posto il problema se le deviazioni siano ammesse o meno, quando sono ammesse, quando sono coperte da tutela INAIL e quando sono dovute ad una necessità. Quali sono le necessità? Le deviazioni dovute a una necessità sono Cause di forza maggiore, esigenze legate ad esigenze essenziali ed improrogabili, all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. Si è aperto quindi un catalogo di situazioni enorme. Il lavoratore che si ferma a comprare le sigarette: quella non è una causa necessitata. La lavoratrice che accompagna il minore a scuola: quella viene considerata una causa necessitata. Ma ci sono voluti anni perché si formalizzare questa forma di distinzione. La causa necessitata quindi è dovuta a causa di forza maggiore. Ad esempio: io devo fare una deviazione dalla mia via normale perché devo andare in ospedale a fare un prelievo del sangue, non so se quella è una causa necessitata. Devo andare in ospedale, invece, per andare a nutrire mia madre che è ricoverata e non ho altri strumenti in famiglia: quella è una causa necessitata. Oppure l’adempimento di obblighi penalmente rilevanti: se faccio una deviazione perché devo andare in tribunale a depositare un atto o perché devo andare a prestare una testimonianza, quella è una causa necessitata. Però si evince che poi tutto si fa sul caso concreto. Quindi L’INAIL attraverso questo chiarimento con le circolari ha in qualche modo dato il contenuto nel caso dell’interruzione o la deviazione, con tutto il catalogo. È uscito tempo fa questo chiarimento legato anche alle problematiche sulla sosta del lavoratore: il lavoratore che dal normale percorso casa-lavoro sosta e si infortuna. Cosa succede? È indennizzabile? Dipende dal tipo di sosta, se una sosta breve o lunga e dal perché si è fermato. Quindi da qui tutta una serie di previsioni. Poi si è ragionato anche sulla questione del “normale percorso”: cosa vuol dire normale percorso? È il percorso più breve? Sì, ma se il percorso più breve è anche quello che il lavoratore dimostra che non può fare perché è più trafficato, allora il percorso può essere quello più agevole e in questo senso più breve. Quindi quando si parla del normale percorso per l’INAIL si intende il più breve, però se il percorso più breve viene dimostrato essere troppo trafficato, allora si sceglie un'alternativa più lunga ma più veloce, allora viene comunque ritenuto anche questo come il normale percorso di andata e ritorno casa-lavoro. Quindi ci si è interrogati sul discorso del percorso di andata/ritorno, sulla questione della deviazione e dell’interruzione e anche sulla questione del mezzo. In origine infatti, valeva andare a piedi o con i mezzi pubblici, oppure con il mezzo privato solo se necessario. Quindi l’INAIL ha ragionato su quale fosse la necessità legata al prendere il mezzo privato. Il mezzo privato era consentito quando non vi erano mezzi pubblici che potevano portare a lavoro o la distanza a piedi era troppo lunga. Il range era di un chilometro. Se il luogo di lavoro distava più di un chilometro, allora si prendeva il mezzo pubblico, e se non c’era il mezzo pubblico si poteva prendere il mezzo privato. Ovviamente queste previsioni sono previsioni che sono emerse al seguito di infortuni per il quale un lavoratore aveva chiesto all’INAIL un indennizzo che l'INAIL aveva negato e quindi aveva aperto un contenzioso con l’Ente. Quindi c’è stata la problematica legata a tutti questi elementi. E allora cosa succede? In origine veniva negata l’indennità; adesso, dopo una sentenza della Corte Costituzionale, l’INAIL dice: “Se tu mi provi, attraverso un accertamento medico, che quella patologia è legata allo svolgimento dell'attività lavorativa, il rimborso lo hai.” Quindi sistema tabellare, è un sistema che comunque trova un correttivo poiché può essere tutelata un’altra forma morbosa anche se riferibile alle lavorazioni non previste, o anche all’infuori del limite di tempo previsto per l’indennità. In questo caso, ovviamente, è il lavoratore che deve provare all’ente previdenziale questo collegamento, e se esiste, un rimborso c'è. (Quindi se lavoratore contrae una patologia dell’anca o della schiena, un difetto visivo, per quel difetto visivo quella lavorazione che lui fa non c'è, però lui ritiene, sulla base ovviamente di un parere medico legale, che sia preferibile alla sua attività lavorativa, può comunque richiedere un indennizzo, però in quel caso di deve provarlo e deve convincere l’Ente previdenziale che c'è sostanzialmente questo collegamento). Quindi il sistema tabellare è un sistema che funziona attraverso l’accertamento medico legale. Oltre il sistema tabellare ovviamente subentra un regime nel quale il soggetto, se vuole la tutela, deve provarlo. Deve sostanzialmente convincere che quella malattia non tabellata e che non trova in quella tabella corrispondenza sulla lavorazione, oppure, ha un periodo d’indennizzabilità inferiore rispetto a quello che ha avuto su di lui, risulti comunque rientrate nella categoria della malattia professionale. Il sistema di presunzione dà comunque la possibilità al lavoratore, per le malattie non tabellate, di provare questo collegamento attraverso una documentazione. Quindi: causa lenta e progressiva, collegamento tra la malattia, l’evento morboso, e l’attività lavorativa, agganciato al sistema delle tabelle, superabile dal lavoratore stesso. Sono riportati 3 esempi di quelle che vengono chiamate tecnopatie. Attenzione: ce ne sono tantissime e per alcune non c'è un periodo massimo di indennizzabilità. Quindi per alcune tecnopatie legate a certe lavorazioni, non è previsto il periodo massimo. Per esempio, tutte quelle legate a l'utilizzo dell’asbesto e dell’amianto non sono agganciate ad un periodo massimo di indennizzabilità. LA TUTELA DEI LAVORATORI VITTIME DELL’AMIANTO Il tema della tutela dei lavoratori vittime dell’asbesto e dell’amianto nel nostro Paese è molto sentito perché il sistema produttivo italiano ha visto negli anni ‘70/‘80 un largo impiego di questo materiale minerale perché addirittura veniva lavorato in determinate aziende. Questo ovviamente ha dato origine a tutta una serie di problematiche legate a tutte le malattie causate dall'utilizzo dell’asbesto e dell’amianto e questo ha generato tutto un filone legato a questo tipo di malattie professionali. Adesso l’utilizzo dell’asbesto e dell’amianto, da metà degli anni ‘90, è vietato, però tutte le aziende che comunque hanno a che fare soprattutto con la rimozione di queste sostanze, devono pagare una premio INAIL aggiuntivo. Esiste una tutela INAIL superiore per i lavoratori che vengono comunque in contatto con questa sostanza. C'è un fondo appositamente studiato per le vittime dell’asbesto e dell’amianto che dà origine a dei trattamenti e delle prestazioni economiche aggiuntive rispetto a quelli dell'INAIL. Quindi c'è un sistema di tutela economica più forte a favore di coloro i quali riescono ovviamente a rientrare nella difficile e complicata categoria dei lavoratori vittime dell’amianto. Perché complicato? Perché sostanzialmente l’amianto è un minerale che è stato ampiamente utilizzato (basti pensare che buona parte delle coperture dei treni e dei vagoni ferroviari una volta era fatta di amianto) e quindi nel nostro Paese c'erano delle officine dove appunto venivano assemblati i vagoni ferroviari; oppure lo stesso amianto veniva prodotto sotto l'eternit, la famosa azienda. Quindi era un problema molto sentito in Italia perché in realtà l’amianto era un materiale estremamente duttile perché è un materiale resistente, isolante (basti pensare che tre quarti dell'impianto fognario di Bologna è fatto di eternit). Il discorso è che l’eternit, se ingerito non fa niente, è inalato che può procurare, nel 3% dei casi, delle malattie dell’apparato respiratorio mortali: carcinoma, etc. Ad un certo punto attraverso alcuni studi ci si è resi conto delle conseguenze che poteva avere l'utilizzo, se inalato, di questa polvere, soprattutto perché l’eternit è una sostanza che finché è intatta non dà problemi, ma una volta che viene compromessa la struttura, quindi viene tagliata o rimossa, le polveri ovviamente possono essere inalate e quindi ci sono probabilità che possano provocare queste malattie respiratorie. Quindi c'è stato tutto un filone che non si è ancora chiuso perché hanno fatto uno studio secondo cui la maggior parte di coloro i quali potenzialmente potrebbero, ad oggi, avere queste forme di malattia, che ha un tempo di incubazione di circa vent'anni, quindi tutti quei lavoratori che hanno avuto un contatto con queste sostanze, potrebbero dimostrare questa malattia tra il 2015 al 2025. Questi sono i 10 anni nei quali potenzialmente ci sarà il picco di tutte queste problematiche. Attenzione: sono probabilità (su un 80% di lavoratori che hanno avuto contatto con queste sostanze si è stimato che solo il 25% contrae la malattia) all’interno di un sistema abbastanza complicato. Il problema è che è una malattia che può colpire i lavoratori ma anche i familiari. Perché i familiari? Perché quelli che un tempo lavoravano nell'officina, nelle ferrovie e avevano un contatto quotidiano con queste sostanze, arrivavano a casa e logicamente non avevano dei meccanismi di protezione. Quindi questo, portava al fatto che portavano a casa tutte queste sostanze in famiglia a mogli, figli: bastava dormire suuno stesso cuscino. Ovviamente adesso ci sono tutti dei meccanismi di protezione per chi maneggia queste sostanze. Prima però non c’erano e questo ha portato al verificarsi di questa patologia anche spesso nei familiari. La particolarità è che c'è una tutela aggiuntiva per i soggetti colpiti da queste patologie una tutela che prevede che non ci sia un periodo massimo di indennizzabilità. Quindi questa terza colonna (nel sistema tabellare delle malattie) non è compilata, sostanzialmente perché il periodo andrebbe da un minimo di 20 al massimo di 30 anni, ma si parla sempre di statistiche perché in realtà il grosso dei soggetti colpiti da questi eventi morbosi, sembra che si avrà in questo decennio. Quindi questo è un problema molto vicino a noi, molto italiano. Ma limitato ad alcune Regioni che hanno fatto largo uso di questo materiale come Lombardia, Piemonte, Liguria e l’Emilia Romagna solo in parte. Però anche questa è una malattia professionale. LE PRESTAZIONI DELL’INAIL Ultimo profilo, quello più complicato, è quello sulle prestazioni. Abbiamo capito qual è il campo di applicazione della tutela INAIL, proviamo ora a capire quali sono le prestazioni erogate dall’INAIL. Ovviamente vige un principio di automaticità delle prestazioni, quindi il diritto non è ancorato a nessun requisito di anzianità assicurativa minima e anche lavoratore che ha iniziato a lavorare il primo giorno del mese, se il secondo giorno incorre in un infortunio è comunque tutelato. Sorge anche se il datore di lavoro non ha adempiuto all'obbligazione. Ci sono prestazioni sanitarie che sono a carico del INA IL(cure mediche e chirurgiche a carico dell’Inail per tutta la durata dell’inabilità ed eventualmente anche dopo; Soccorsi d’urgenza; Fornitura e rimozione protesi) che sono svariate, e poi ci sono le prestazioni economiche. Le prestazioni economiche sono distinte in due grosse categorie: La prima è quella dell’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta specifica. Quindi qui si tratta di una prestazione che va a coprire l’inabilità sanabile. Una situazione nella quale il lavoratore incorso in un infortunio ha contratto una malattia professionale che prevede un tempo di astensione superiore a 3 giorni: dal quarto giorno scatta la tutela attraverso l’erogazione di questa indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta specifica. Cosa succede nei tre giorni prima? Il giorno dell’infortunio viene coperto con il 100% della retribuzione, gli altri giorni per arrivare al quarto sono coperti dal datore di lavoro. Quindi dal quarto giorno viene riconosciuta questa indennità che è pari al 60% della retribuzione fino ai primi 90 giorni, e dal novantunesimo giorno è pari al 75% della retribuzione. Quindi questo sistema è un sistema che prevede una tutela economica appunto a carico dell’Ente previdenziale a partire dal quarto giorno nel caso dell’inabilità assoluta ma sanabile. Questo sistema presuppone anche una dichiarazione dell’infortunio o della malattia professionale. Il datore di lavoro ha l'obbligo di dichiarare all’INAIL l’infortunio sul lavoro e ha l'obbligo di dichiarare all’INAIL anche il verificarsi di una malattia professionale. Quindi ci sono delle obbligazioni, delle dichiarazioni obbligatorie che devono essere rese dal datore di lavoro. Quindi indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta e specifica. Quindi questa è legata sostanzialmente ad un infortunio o una malattia che genera un’impossibilità totale di prestare per un certo periodo di tempo l'attività lavorativa. Il secondo tipo di trattamento ha un nome diverso: non si chiama più indennità giornaliera, ma rendita. La rendita dà più l'idea di una prestazione economica continuativa nel tempo. Questa prestazione va a indennizzare il lavoratore a fronte di una situazione generata dalla malattia professionale o del infortunio di una inabilità non sanabile. Quindi una compromissione della sua integrità psico-fisica che può essere nei casi più gravi assoluta e nei casi meno gravi parziale, però permanente. Quindi il fatto che ci sia comunque una menomazione permanente fa sì che il lavoratore abbia diritto ad un trattamento continuativo, nella forma della rendita. Come un trattamento diverso rispetto all’indennità giornaliera. Se il calcolo dell’indennità si basava sulla retribuzione, il calcolo della rendita è decisamente più complicato, perché il calcolo della rendita avviene sostanzialmente sulla base anche qui di un sistema di tabelle: quindi un conto sono le tabelle delle malattie professionali un conto sono le tabelle dell’indennizzo. Qui la Riforma del 2000 ha introdotto un sistema per la valutazione dell’indennizzo che tiene conto del danno biologico, cioè concretamente del danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, suscettibile di una valutazione medico legale. Cosa accadeva prima del 2000? C'era un sistema che considerava, ai fini dell’indennizzo, non il danno occorso allo stato di salute del lavoratore, ma il sistema dell’indennizzo si basava sostanzialmente su un danno di tipo patrimoniale. Cioè si considerava che all'individuo che avesse contratto la malattia professionale o fosse incorso in un infortunio sul lavoro, l’INAIL avrebbe dato un indennizzo che non era commisurato alla menomazione dell’integrità generata dall’infortunio o dalla malattia ma che teneva conto semplicemente del fatto che, in considerazione dell'evento, l’individuo non potesse più lavorare. Quindi un danno patrimoniale, l'impatto che sostanzialmente poteva avere l'evento sullo svolgimento dell'attività lavorativa. Nel 2000 si ritiene più corretto introdurre il sistema di indennizzo, che vada in qualche modo a compensare quello che il lavoratore ha perso sul piano dell'integrità psicofisica, sul piano biologico. Ovviamente il sistema del danno biologico è un sistema nel quale non si tiene in considerazione la retribuzione, perché ovviamente non è l'impatto sull’attività lavorativa ma è l'impatto sul proprio stato di salute. E quindi l’indennizzo del danno biologico avviene attraverso il sistema di tabelle che ovviamente fanno riferimento alla menomazione del lavoratore. Queste tabelle sono diverse, quindi variano gli importi a seconda dell’età del lavoratore, a seconda del sesso del lavoratore e della gravità dell’infortunio o della malattia. Quindi questa prima parte di indennizzo è un indennizzo che tiene in considerazione l'impatto che questo evento ha avuto sullo stato di salute. Il sistema del danno biologico varia a seconda che il lavoratore sia uomo o donna, perché tiene conto della longevità maschile e femminile, varia a seconda dell'età del lavoratore e in questa parte legata all’indennizzo del danno biologico non rileva la retribuzione. Quindi viene utilizzato un sistema di tabelle. Tabelle cosiddette delle menomazioni, che contengono le indicazioni delle menomazioni che variano secondo l'età del lavoratore e sono divise per uomo e donna. Però questa forma di indennizzo è una forma di indennizzo che viene riconosciuta solo a partire da una menomazione che raggiunge il 6% di disabilità. Sotto il 6% non c'è nulla. L’INAIL, le cosiddette lesioni lievi, non le indennizza. Se sotto il 6% il lavoratore volesse chiedere un risarcimento dovrebbe chiedere al datore di lavoro. Quindi dov'è che parte la tutela dell’INAIL? Parte dal 6%. Il 6% è la soglia al di sopra della quale c'è sostanzialmente un indennizzo. Tra il 6% e il 15% viene indennizato il danno biologico, oltre il 15% il legislatore ha stabilito che vada indennizzato il danno biologico, ma che vada considerata anche la componente del danno subito dal lavoratore che abbia un impatto anche sullo svolgimento della sua attività lavorativa. Dal 6% al 100% c’è il danno biologico, ma dal 16% al 100% c'è anche un ulteriore quota in più che è il danno patrimoniale , per il quale si tiene in considerazione la retribuzione. È come se le componenti legate appunto all’indennizzo del lavoratore siano componenti che tengono in considerazione ovviamente il danno patito dal lavoratore, ma il danno patito al suo stato di salute. E poi c'è una componente che subentra solo a partire dal 16% nella quale rileva anche l'aspetto delle conseguenze dal punto di vista patrimoniale, cioè come l’infortunio o la malattia abbia impattato sul fatto che il lavoratore, che svolgeva un'attività lavorativa, aveva una certa retribuzione: se parliamo di inabilità permanente assoluta, parliamo di un lavoratore che non lavora più. Quindi dal 6% al 15%, solo danno biologico sulla base di questa tabella delle menomazioni. Quello che è da ricordare è che la tabella sul danno biologico non considera la retribuzione, ma solo l'età, il sesso del lavoratore e la gravità della menomazione. Dal 16% al 100% c’è sempre la componente del danno biologico ma anche un’ulteriore componente economica che tiene in considerazione le conseguenze patrimoniali commisurate al grado della menomazione e calcolate sulla base della retribuzione. Quindi un infortunio occorso da un lavoratore di vent'anni, viene indirizzato di più rispetto ad un infortunio occorso al lavoratore di quarant'anni in relazione al danno biologico, perché la tabella decresce al crescere eccessivamente con i suoi bisogni, quindi lo stress lavoro correlato non include tutte le forme di stress, ma solamente quelle legate a ciò che viene chiesto al lavoratore. La conseguenza è che lo stress lavoro correlato è collegato all’organizzazione del lavoro, quindi a come si lavora. Poi naturalmente tutti gli studi successivi hanno individuato certe professioni più portate ad essere soggette a queste forme di stress lavoro correlato, per esempio adesso c’è una disciplina a doc che riguarda le professioni sanitarie. Si dice che le professioni sanitarie siano professioni in cui si percepisce una profonda presenza di queste forme di stress, dovute ai turni, al contatto con soggetti malati. Il datore di lavoro deve cercare dei modi per ridurre questo stress per cui devono essere analizzati i diversi fattori quali l’organizzazione dei processi del lavoro (accordi sul tempo di lavoro, autonomia, carico di lavoro), condizioni dell’ambiente di lavoro (rumori o calore eccessivi, a sostanze pericolose) sono tutti elementi che devono essere considerati. Ovviamente ci può essere un rischio più elevato tra quei soggetti a contatto con l’utenza (es. lavoratore allo sportello del cup può essere soggetto a comportamenti offensivi e può reagire). Comportamenti che possono ricondurre alla patologia di stress lavoro correlato sono le assenze per malattia, i comportamenti aggressivi e conflittuali, comunque è un rischio difficile da accogliere. Ad oggi il sistema prescrive al datore di fare questa valutazione e di agire alleviando il carico di lavoro, spiegando al lavoratore quali sono le competenze che deve avere, quali sono nel dettaglio i compiti che deve svolgere, qual è l’organizzazione del lavoro. Sono tutte operazioni che dovrebbero limitare il rischio di ricadere nello stress. L’ente previdenziale è arrivato sino a fare un manuale sullo stress lavoro correlato presente nel sito dell’inail. È difficile delineare e riconoscere lo stress e anche il datore di lavoro qualche volta si trova in difficoltà, perché se ha un medico che certifica uno stress lavoro correlato questo impatta anche su tutta l’azienda. È una patologia molto delicata che al momento viene affrontata prevalentemente attraverso azioni preventive, è emersa negli ultimi anni e nelle pubbliche amministrazioni e nel sanitario è un tema molto sentito. TUTELA DELLA FAMIGLIA La tutela della genitorialità è altro tassello del sistema delle tutele previdenziali specifiche. I requisiti che permettono l’accesso a queste forme di tutela prescindono da un anzianità contributiva. Anzianità contributiva ne abbiamo parlato fino all’invalidità, la possibilità di accedere al sistema d’invalidità al lavoro, le pensioni di vecchiaia, invalidità ai superstiti era subordinata al riconoscimento di una certa anzianità contributiva poi si parla di malattia comune, malattie professionali, infortuni sul lavoro, ma anche di tutela nell’ambito della genitorialità qui si prescinde da un qualsiasi requisito contributivo perché il requisito fondamentale è essere un lavoratore subordinato, avere sostanzialmente un rapporto di lavoro subordinato in essere o un rapporto di lavoro che può essersi appena concluso. Quindi questi sistemi di tutela previdenziale sono sistemi collegati alla stato di salute dell’individuo e quindi sono sistemi di tutela che non presuppongono un’anzianità contributiva, che invece c’è quando si deve fare ricorso alla vecchiaia, assegni d’invalidità, pensione d’invalidità e poi vedremo anche al sistema della disoccupazione quindi ritorna sostanzialmente con il requisito di anzianità. Quando invece la sfera di tutela coinvolge la persona del lavoratore in senso più stretto, quindi la salute del lavoratore, è ovvio che si deve prescindere dal fatto che questo soggetto abbia una qualsiasi anzianità a livello di conflitti, l’importante è che sia un lavoro contributivo. Quindi il discrimine è tra la tutela del lavoratore subordinato e quella del lavoratore autonomo/parasubordinato. Questo stesso approccio può essere speso nel caso del sistema della tutela alla genitorialità, perché in questo sistema l’elemento appunto fondamentale è rappresentato dal fatto che il soggetto è un lavoratore/trice subordinato e trovandosi appunto in questa condizione gode di una tutela preferenziale rispetto al lavoratore autonomo o parasubordinato. La tutela della genitorialità si compone di tutta una serie di istituti, quello più importante e corposo è legato alla tutela di un evento specifico, la maternità. Questa tutela risale agli anni 30 e rappresenta una delle prime forme di tutela previdenziale ed è una tutela che si è ovviamente accresciuta nel tempo ed è rivolta alla lavoratrice subordinata che si ritrova in una condizione di maternità. Nell’ambito della rivoluzione della legislazione c’è stato un forte impegno dell’Unione Europea, è un tema che è stato ampiamente battuto a livello comunitario e c’è una direttiva comunitaria, la direttiva sui congedi parentali che si occupa della genitorialità in generale. Quindi ad oggi la nostra legislazione è una legislazione che si rifà comunque ad una legislazione di livello europeo valevole in tutti i paesi dell’Unione Europea se pure nella forma specifica di ogni Paese. Il sistema della tutela alla maternità è risalente nel tempo, ma ha subito tutta una serie di evoluzioni a partire dalla metà degli anni 90 e queste evoluzioni ne hanno in qualche modo riguardato l’estensione anche oltre l’area del lavoro subordinato verso il lavoro parasubordinato e anche oltre l’evento della maternità in senso biologico, quindi verso forme di ingresso del minore nella famiglia attraverso gli istituti dell’adozione/affidamento. Quindi il trend evolutivo che si è registrato a partire dalla metà degli anni 90 è stato quello in qualche modo di cercare di estendere la tutela che in qualche modo è nata come esclusiva per la lavoratrice subordinata anche all’area parasubordinata, di estenderla anche oltre l’evento della maternità in senso biologico e di in qualche modo organizzarla anche come una tutela non più e non solo rivolta al madre nell’ambito della famiglia, ma anche al padre. Anche qui nel caso della tutela alla malattia ci si trova a dover approfondire due ambiti: Tutela previdenziale quindi tutela economica; Tutela nel rapporto di lavoro perché l’evento della maternità o diciamo della cura del figlio è un evento che presuppone la sospensione dell’attività lavorativa. Quindi una sospensione della prestazione di lavoro può essere posta in essere, questa sospensione può essere obbligatoria o facoltativa per il lavoratore, ma ovviamente la sospensione comporta che il datore non ha più in carico questo soggetto, non deve più versare la retribuzione e quindi subentra la tutela previdenziale di terzo in carico. Il fatto che ci sia una tutela anche nel rapporto fa sì che siano stati posti una serie di divieti negli anni per quanto attiene al licenziamento della lavoratrice in gravidanza/madre e la consacrazione di un diritto di questi soggetti. Dalla lavoratrice madre al lavoratore padre, a usufruire del mantenimento del rapporto di lavoro. Vedete come il caso della malattia è un tutela nel rapporto che si concretizza con il divieto di licenziamento entro dei limiti e il diritto del soggetto a mantenere il rapporto di lavoro per riavere la stessa posizione di prima e poi c’è la tutela previdenziale. Ovviamente sono tutele che non vanno di pari passo, la tutela previdenziale è una tutela limitata, la tutela nel rapporto viene limitata molto più avanti. Per quanto riguarda la tutela previdenziale vi ho dato l’elenco dei principali istituti legati al sistema di maternità e paternità: Il congedo di maternità; Il congedo di paternità; Il congedo parentale; I riposi giornalieri e il congedo per la malattia del figlio. Questi sono gli istituti previdenziali che danno origine a una tutela di tipo economico e anche una tutela per quanto attiene il rapporto di lavoro. Partiamo dal congedo di maternità ha assunto questo nome solamente a partire dagli anni 2000, prima si chiamava astensione obbligatoria per maternità. Quindi questo istituto come si può capire dal nome presuppone che il soggetto che fruisce di questa formula abbia diritto ad essere sospeso dall’attività lavorativa (congedo= temporanea sospensione dall'attività lavorativa). La cosa particolare è che il congedo di maternità è obbligatorio nell’ambito del lavoro subordinato, significa che la lavoratrice subordinata non può scegliere di rimanere a lavoro durante questo periodo, ma deve obbligatoriamente essere assente e l’astensione ovviamente è dettata dal fatto che è il periodo precedente e subito successivo al parto. Il congedo di maternità è di 5 mesi: 2 mesi precedenti la presunta data del parto e 3 mesi dopo, dove la lavoratrice subordinata non può lavorare e se il datore di lavoro decide per caso di adibirla al lavoro è perseguibile penalmente. Ovviamente questo istituto ha avuto una serie di modifiche, quella più rilevante è quella che è legata alla flessibilità della fruizione, comunque vincolata, che significa che la lavoratrice madre in stato di gravidanza può decidere/chiedere di ottenere questo congedo 1 mese prima del parto e 4 mesi successivi al parto (ma sempre 5 mesi totali). Questa richiesta della lavoratrice è subordinata però ad una valutazione di tipo medico, che deve valutare se questo soggetto può continuare a lavorare anche durante il settimo mese. Ovviamente si parla di data presunta del parto, poi logicamente tutti i cinque mesi si basano sulla data effettiva del parto. Sta di fatto che si tratta di 5 mesi di astensione obbligatoria per il lavoro subordinato. Quindi durante questo periodo la lavoratrice non può lavorare, il datore di lavoro non può adibirla al lavoro, mantiene ovviamente il posto di lavoro. In alcuni casi questa forma di congedo può essere anticipata prima dei 2 mesi, ecco perché si parla di un istituto estremamente flessibile, perché il congedo di maternità può essere anticipato sostanzialmente anche al momento della scoperta dello stato di gravidanza, tutto dipende dallo stato di salute della lavoratrice, dal nascituro e anche dal tipo di lavoro che si svolge. Anche qui vi deve essere una valutazione di tipo medico con una certificazione che evidenzia una gravidanza a rischio o una lavoratrice addetta ad un lavoro pericoloso per la sua salute e quella del nascituro, a fronte della presenza di queste condizioni il medico può attestare che la lavoratrice deve andare in congedo anticipatamente ed il datore non può fare nulla (e avrà comunque i 3 mesi successivi al parto). In alcuni casi la lavoratrice può chiedere, invece che l’anticipazione del congedo, l’adibizione a mansioni diverse: è una situazione delicata in quanto le mansioni sono i compiti che vengono concordati con il datore di lavoro nel contratto secondo cui è stato assunto il lavoratore. La mansione è importante in quanto da essa si determina la retribuzione, il contratto collettivo associa alla mansione, la categoria e il trattamento economico. Le mansioni per legge non possono essere modificate unilateralmente dal datore di lavoro, in quanto la modifica incide sul trattamento del lavoratore. Nell’ambito del sistema della tutela della maternità c’è una previsione specifica che dice che la lavoratrice in gravidanza può essere adibita a mansioni inferiori rispetto a quelle contrattualmente concordate, ma mantenere la stessa retribuzione. Quindi la lavoratrice può decidere insieme al datore di fare mansioni inferiori rispetto a quelle che fa abitualmente perché quelle che compie sono incompatibili con il suo stato, e questa adibizione a mansioni inferiori che sarebbe per regola generale vietata, viene considerata legittima però la lavoratrice mantiene il suo stato e ovviamente quando rientrerà a lavoro ritornerà alla mansione originaria. (Se è una mansione di livello superiore prenderà più soldi ma è una cosa estremamente rara perché solitamente queste prevedono un carico di lavoro maggiore e non inferiore). Questo rappresenta tutto un insieme di diritti che vengono riconosciuti alla lavoratrice che si trova in stato di gravidanza. Oltre al caso biologico, la legge prescrive il riconoscimento del congedo di maternità anche nel caso di affidamento(temporaneo)/adozione(definitiva). Questo istituto quindi, che determina la sospensione legittima dell’attività lavorativa, può essere ottenuto da lavoratrici o lavoratori che hanno adottato un minore per un periodo massimo di 5 mesi. Adozione nazionale fruito durante i primi 5 mesi effettivi al successivo ingresso del minore nella famiglia; Adozione internazionale si può chiedere di ottenere il congedo anticipatamente per poter raggiungere il minore nel paese d’origine. Fermo restando che può essere ottenuta nei 5 mesi successivi dall’ingresso del minore (i 5 mesi ci sono sempre). Nel caso di affidamento di minore, essendo meno complesso, i 5 mesi di congedo si riducono a 3 e possono essere fruiti entro 5 mesi dall'ingresso del minore nella famiglia. Il congedo di maternità può essere fruito in alcuni limitatissimi casi dal padre, questa opzione prende il nome di congedo di paternità è un opzione residuale e viene riconosciuta al padre in caso di morte o infermità grave della madre, in caso di abbandono del figlio da parte della madre o in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Questa forma di congedo subentra quando la lavoratrice non può fruire del congedo di maternità, nella fase successiva alla nascita e quindi la legge riconosce la possibilità anche al padre di poter ottenere questa forma di congedo obbligatorio. Attenzione non confondiamoci con il congedo papà, novità introdotta con la riforma Fornero del 2012, che è un congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente (anche dai padri affidatari/adottivi) entro il 5 mese di vita del bambino o ingresso nella famiglia ed è un congedo pari a 4 giorni di astensione obbligatoria, ne ha diritto. A questi 4 giorni può aggiungersi un giorno facoltativo che però viene decurtato dal congedo di maternità della madre. Negli anni si è stemperata l’idea del congedo esclusivo alla madre, ma si è iniziato a dare importanza al congedo papà, che all’inizio era di un giorno poi due anni fa ci fu una proposta di modifica per estenderlo a 15/20 giorni sul modello Svedese dei 30 giorni, ma non è mai passato. Si è riusciti a passare da uno a 4 giorni perché sono state le associazione dei datori di lavoratori a fare ostruzionismo, in quanto il congedo papà è pagato dai datori di lavoro (e non dall’INPS). Siamo sicuramente molto indietro ai paesi del nord Europa in cui c’è un sistema di welfare che consente maggiori riguardi anche in tema di tutela della genitorialità. Il congedo di maternità genera una sospensione, ma genera anche una tutela economica finanziata da quel famoso contributo per la maternità (vedi aliquote). Viene riconosciuta l'indennità da parte dell’INPS per tutti i casi di parto (ai fini del riconoscimento si intende parto la gravidanza portata a termine oltre il 180° giorno e quindi spetta anche se il bambino nasce morto o muore alla nascita). Se siamo prima dei 180 giorni viene considerata una perdita e rientra nella tutela della malattia. L'indennità giornaliera è pari all’80 % della retribuzione, è incompatibile con le ferie e comprende l’indennità di malattia, quindi non può esistere malattia della lavoratrice in maternità. Il periodo è coperto da contribuzione figurativa (per cui questi 5 mesi la lavoratrice percepisce dall’INPS per 80% si contano ai fini della tredicesima mensilità, delle progressioni di carriera, delle ferie e del calcolo pensionistico) quindi è come se la lavoratrice lavorasse anche se è sospesa. Molte volte i contratti collettivi prevedono che si 2. Copertura economica: Si può ricorrere alla contrattazione collettiva. I contratti collettivi di livello aziendale (sottoscritti tra datore di lavoro e sindacati dell'impresa), possono prevedere degli altri istituti o comunque prevedere l’obbligo dei datori di lavoro di sostenere economicamente il congedo parentale, integrando il 30% dell’INPS fino solitamente a un 60/80% → intervento di taglio collettivo-privatistico che integra la tutela base dello Stato. Congedi relativi a riposi giornalieri : Si parla di un istituto legato all’orario di lavoro. Un tempo era chiamato “riposo per allattamento” mentre oggi si chiama “risposo giornaliero nell'ambito della tutela alla maternità”. La lavoratrice madre ha diritto, durante il 1° anno di vita del bambino, a dei riposi giornalieri che sono di 1 o 2 ore al giorno se l’orario di lavoro è pari o superiore alle 6 ore. Ha quindi, per legge, diritto ad un orario ridotto. Può essere fruito anche dal padre se i figli sono affidati solo al padre, nel caso in cui la madre lavoratrice non se ne avvalga (ci può essere una sostituzione tra madre e padre lavoratori), se la madre non è lavoratrice dipendente (es. se la madre è autonoma e il padre dipendente quest'ultimo può chiedere il riposo giornaliero che proprio per questo non è identificato come “per l'allattamento” ma in modo più generico) e in caso di morte di morte o di grave infermità della madre. È una forma di sospensione breve valida anche per adozione e affidamento. Queste ore sono considerate, dal punto di vista retributivo, come ore di lavoro, quindi sono coperte da un’indennità del 100% (anticipata dal datore di lavoro ma pagata dell’INPS). Sono computate nell'anzianità di servizio (che serve per tutti quegli istituti legato al fatto che il lavoratore abbia una certa prestazione di lavoro continuativa che viene così chiamata -->es. alcuni contratti collettivi prevedono che dopo 5 anni ci sia più retribuzione, i tempi del congedo si contano a questi fini) ma sono esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla 13esima e sono coperti da contribuzione figurativa (ridotta). Fino al 1° anno di età del bambino c’è il divieto di licenziamento della lavoratrice (salvo rarissime eccezioni). Congedo per la malattia del figlio : Possibilità di astenersi temporaneamente dall’attività lavorativa a fronte di una malattia del figlio. Fino ai 3 anni, il congedo coincide con la durata della malattia del figlio (es. il bambino ha 10 giorni di prognosi quindi il genitore ha diritto a 10 giorni di congedo/ 100 giorni di malattia= 100 di congedo), la tutela viene elevata fino ai 6 anni in caso di affidamento o adozione perché di solito i bambini sono più grandi. Tra i 3 e gli 8 anni (dai 6 agli 8 anni per adozione o affidamento), la legge prevede 5 giorni all’anno per le malattie (100 giorni di malattia= 5 giorni di congedo). Sono computati in anzianità di servizio ma sono esclusi dalla 13esima, sono coperti da contribuzione figurativa (con dei limiti oltre il 3 anno). Non c'è un'indennità, un trattamento previdenziale, perché sono periodi di sospensione ma c'è il mantenimento del posto di lavoro. Ci sono anche tanti altri piccoli istituti minori legati per esempio alla cura del figlio con handicap. Per quanto riguarda la tutela della maternità, ci sono state 3 linee evolutive: 1. L’estensione legati ad eventi non legati alla nascita in senso biologico (adozione e affidamento). 2. Ampliamento delle tutele al padre lavoratore (congedo parentale). 3. Parziale estensione della tutela della maternità, oltre l’area del lavoro subordinato (verso lavoro autonomo, parasubordinato e libere professioni) C'è un Testo Unico del 2001 che racchiude tutta la disciplina in tema di tutela di tutela della maternità e della famiglia. TUTELE PER LAVORATRICI AUTONOMI L’elemento più evidente nei lavori autonomi è che non c’è una sospensione obbligatoria dell’attività lavorativa. La tutela si concretizza nel diritto per la lavoratrice autonoma (che deve essere iscritta negli elenchi degli artigiani e commercianti quindi ad una di queste gestioni) ad una indennità erogata dall’INPS, per 5 mesi per un importo dell’80% del salario minimo giornaliero (importo standard). La lavoratrice deve essere iscritta agli elenchi e deve aver pagato i contributi. (Non c'è un principio di automaticità della prestazione). In alcuni casi particolari spetta anche al padre lavoratore autonomo. È stato introdotto un diritto al congedo parentale coperto 30% del salario, x un periodo di 3 mesi entro il 1° anno del bambino. Non vi è obbligo di astensione dal lavoro (questa non può essere rilevata) perché questo è l'unica fonte di guadagno per il lavoratore autonomo ma si è comunque optato per una tutela base. È una tutela valida anche in caso di adozione e affidamento. Quando si parla di lavoratrici autonome, si parla anche di lavoratrici libero professioniste. Ogni cassa di previdenza (l'ente previdenziale dei professionisti → la cassa di previdenza di avvocati o commercialisti) ha le proprie regole, ma di base gli istituti sono gli stessi. Per quanto attiene alle lavoratrici parasubordinate, sono iscritte alla 4 gestione inps e hanno diritto ad un trattamento di maternità subordinato ad un’anzianità contributiva (almeno 3 contributi mensili nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di congedo). Ricevono per 5 mesi un importo pari all’80% del reddito medio giornaliero nei 12 mesi di riferimento. Se non ha questa anzianità contributiva la lavoratrice non riceve alcunché. Esistono (sempre nel Testo Unico sulla maternità e paternità) due istituti residuali (importo più modesto), che trovano applicazione in quelle aree non coperte dagli altri regimi previdenziali (che richiedono tutta una serie di requisiti): 1. Assegno di maternità di base : Concesso dai Comuni su domanda da presentarsi entro il termine dei 6 mesi dalla nascita del bambino e viene poi erogato dall’INPS. Spetta alle donne residenti (italiane, comunitarie o extracomunitarie con regolare permesso di soggiorno di lungo periodo), che non hanno diritto a nessun altro trattamento previdenziale di maternità. In alternativa, può essere concesso al padre naturale/affidatario/adottivo. Non presuppone un’anzianità contributiva però è subordinato al non superamento di un certo valore ISEE (si avvicina ad un trattamento di carattere assistenziale). Importo di 338 euro per un massimo di 5 mesi. 2. Assegno di maternità dello Stato o assegno per lavori atipici e discontinui : spetta a madri residenti, disoccupate (da oltre 180 giorni perché in caso contrario avrebbero diritto alla tutela forte) o precarie (che hanno dei contributi discontinui). I requisiti per accedere a questa prestazione sono, in alternativa tra loro, 3 mesi di contribuzione dai 18 ai 9 mesi prima del parto o ingresso del minore nella famiglia oppure l'essere disoccupate in Cassa integrazione (e il non poter rientrare nella tutela per le lavoratrici subordinate) oppure che si sia deciso di dimettersi volontariamente dal rapporto di lavoro durante il periodo di gravidanza con almeno 3 mesi di contribuzione. Concesso ed erogato dall’INPS. Vengono applicati i valori ISEE (deve esserci una condizione di bisogno). Importo di 338 euro. La differenza rispetto a quello precedente è legata ai requisiti per l'accesso e alle modalità di concessione (è gestito tutto dall'inps). Non hanno diritto le casalinghe o le madri che non hanno mai versato contributi che però potrebbero aver diritto all'altro. TUTELA DELLA FAMIGLIA A margine di questo sistema della tutela della genitorialità, ci sono degli istituti che sono a sostegno della famiglia. Sono prestazioni finanziate dallo Stato, riconosciute a sostegno della maternità e della genitorialità, sulla base di finanziamenti annuali/biennali/triennali. Sono finanziamenti ad hoc, perché rientrano nel bilancio dello Stato. Sono quindi delle previsioni di legge che si accompagnano allo stanziamento di risorse. C’è un budget che si esaurisce, quindi “chi prima arriva meglio alloggia” e sono trattamenti erogati solo su richiesta del soggetto. Per il 2018 sono: Bonus “mamma domani” : è il cosiddetto “Premio alla nascita o all’adozione di un minore”. Importo di 800 euro, previsto per i nati a partire dal 1 gennaio 2017. Bonus baby-sitter : Voucher che può essere richiesto in alternativa al congedo parentale per l’acquisto di servizi di baby-sitting o per far fronte agli oneri dei servizi per l’infanzia pubblici o privati accreditati. Biennio 2017/2018. Erano da 600 euro/mese per un massimo di 6 mesi, da richiedere al datore di lavoro. Riconosciuto anche alle lavoratrici parasubordinate e autonome. Buono nido : riconosciuto ai nati dal 1 gennaio 2016. È un contributo di 92,12 euro al mese, subordinato all’iscrizione del minore presso un asilo nido pubblico o privato, per un totale di 1000 euro su base annua per 11 mensilità. Si fa richiesta all’INPS, se questa viene accolta bisogna presentare il certificato di pagamento delle rette di frequenza all'asilo e dopo alcuni mesi l'inps accredita l'importo. Cosa ci sarà nel 2019….? Di definitivo non c'è ancora nulla, ci sono solo tantissime voci che circolano. Ad oggi, non abbiamo una sicurezza di prolungamento di questi buoni e non si sa se ci saranno le risorse. È stato presentato il 28 novembre 2018 il Decreto legge in materia fiscale, che andrà in allegato alla legge di bilancio. Nella legge di bilancio non ci sono queste previsioni, probabilmente saranno in questo decreto fiscale, che dovrà ricostruire o confermare gli istituti. Le previsioni sono: Probabilmente verrà mantenuto il Bonus mamma-domani, che si chiamerà Bonus bebè. Sarà più ricco (960 euro per ISEE fino a 25000 euro, 1900 per chi ha un ISEE inferiore a 7000 euro) ma ci saranno due fasce di reddito di applicazione per cui la platea sarà più circoscritta. Oggi è riconosciuto a prescindere dal reddito. I fondi stanziati dovrebbero coprire il biennio 2019/20. Forse ci sarà una modifica del congedo parentale, con un innalzamento dell’indennità da 30% a 60% ma fruibile solo per 3 mesi. Estensione fino a 16 anni. Probabilmente 50 milioni di euro per voucher baby-sitter quindi una possibile estensione. Bonus terzo figlio: accedere a mutui agevolati a tasso zero per l’acquisto della prima casa / concessione gratuita per 20 anni di terreni di proprietà statale. SOSTEGNI FAMILIARI 1. Assegno per il nucleo familiare : Tutela previdenziale. Spetta alla generalità di lavoratori dipendenti e agli iscritti alla Gestione separata. Riconosciuto dall’INPS (è finanziato dall'aliquota assegni familiari) a fronte di una situazione di numerosità del nucleo familiare. L'importo è collegato al numero dei familiari e al reddito ed è un'integrazione al reddito, per chi si trova in una condizione di insufficienza economica. Se il reddito del nucleo deriva almeno per il 70% da lavoro dipendente, ecco che si può accedere a questa misura di carattere previdenziale. 2. Assegno per il nucleo familiare numeroso : Tutela di tipo assistenziale finanziata dalla fiscalità generale. Viene riconosciuta a prescindere dal tipo di lavoro e reddito per cui non deve necessariamente trattarsi di lavoratori dipendenti. Si tengono in considerazione solo numerosità nucleo (almeno 3 figli minori) e situazioni di bisogno economico (8150,11 euro ISEE). A fonte di queste condizioni, i comuni possono erogare l'assegno che è pari a 142,85 euro/mese per 13 mensilità. Oltre a queste tutele, c’è tutto quello che può essere riconosciuto in ambito aziendale. Esiste un sistema di welfare integrativo che si può concretizzare o in forme pensionistiche complementari, che attengono ai trattamenti di anzianità e vecchiaia, o in forme di sostegno alla famiglia organizzate, in qualche modo, a livello aziendale. Prendono quindi il nome di forme di welfare aziendale. Il datore di lavoro può, volontariamente o in accordo con sindacati, optare per dare un sostegno ai suoi lavoratori a sostegno della famiglia o dei figli, con lo scopo di implementare il benessere del dipendente. Es. riconoscimento borse di studio, pagamento tasse scolastiche, asilo nido aziendale, integrazioni legate al trattamento di maternità o di congedo parentale ecc. CONFRONTATE IN PARTE LE DIAPO 4/12/18 Lezione Dott. Bernucci AMMORTIZZATORI SOCIALI x sospensione attività lavorativa Sono una sorta di tutela previdenziale diversa perché va a tutelare una situazione di bisogno che non è direttamente collegata alla persona del lavoratore (come per es. vecchiaia, inabilità), ma si genera nell’ambito del contesto aziendale. Parte da una contrazione dell'attività produttiva con una conseguenza diretta nel rapporto di lavoro. A fronte di un rallentamento dell’attività produttiva, ci può essere, da parte del datore di lavoro, la decisione di sospendere temporaneamente il rapporto di lavoro. Questo comporta un venir meno della retribuzione, che viene colmato attraverso il ricorso ad una forma di tutela previdenziale che consiste in un trattamento di integrazione salariale. L’istituto ad esso collegato è la Cassa Integrazione Guadagni. Questa contrazione del rapporto lavorativo può avere anche conseguenze più negative ed arrivare fino alla cessazione del rapporto di lavoro. A fronte di questo si può ricorrere ad una tutela ad hoc che è la tutela per la disoccupazione. CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI È un istituto che ha avuto un’evoluzione molto intensa soprattutto negli ultimi anni e che nasce nel secondo dopo guerra (prima nell'ambito della contrattazione collettiva poi è stato disciplinato per legge) con l’obiettivo di fornire una tutela economica sostitutiva della retribuzione nell'ipotesi di sospensione temporanea dell'attività lavorativa. Anche se il decreto 148/2015 del Jobs Act, alcuni anni fa, ha razionalizzato l'intera materia si tratta di un tema tutt’ora in evoluzione. C'è un aliquota legata alla cassa integrazione guadagni per cui si tratta di un sistema in larga parte finanziato dalla contribuzione ordinaria. L'esigenza di riformare questo istituto non è solo contingente e legata alla crisi del 2008 ma si ritrova già a partire dal 2003 (ci fu una legge delega a cui però non seguì alcun decreto legislativo): lo squilibrio maggiore nel sistema degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto è infatti dovuto alla cassa integrazione straordinaria perché questa non ha trovato frequentemente finanziamento attraverso lavoratore), mentre per la malattia di solito è del 2,22%. Quindi l’aliquota straordinaria non è in grado di finanziare se stessa. 3. CDS (Contratti di solidarietà Difensivi e Espansivi): Sono stati introdotti nell’ordinamento nel 1984 attraverso la legge 863, nota per aver introdotto il lavoro part-time. Questa legge ha introdotto anche i contratti di solidarietà difensivi e i contratti di solidarietà espansivi (ispirandosi all'ordinamento francese). Si basano su un concetto di “lavorare meno per lavorare tutti”. I lavoratori rinunciano ad una parte del proprio orario di lavoro, attraverso un contratto collettivo aziendale, riducendo il proprio reddito temporaneamente. Nel caso dei Contratti Difensivi, per salvaguardare il livello occupazionale, per evitare esuberi e licenziamenti. Anche nel caso dei CDS sono esclusi apprendisti e dirigenti con una durata non superiore ai 24 mesi. L'i mporto della retribuzione è del 60%, alzato per alcuni anni al 80%/70% (per cercare di favorire l'utilizzo di questo istituto negli anni della crisi → prima era veramente poco usato). Nel caso dei Contratti Espansivi, per assumere personale in più (siamo 10 lavoratori, riduciamo tutti e 10 il nostro orario per assumere un 11esimo). I CDS si potevano applicare solo alle imprese soggette alla normativa CIGS e che avessero + di 15 dipendenti nel semestre precedente, nel settore industriale. Con il decreto legislativo 148/2015 i contratti di solidarietà difensivi non sono più uno strumento a parte negli ammortizzatori sociali ma diventano una delle causali di cassa integrazione straordinaria (hanno quindi una disciplina più organica all'interno del sistema). Non necessariamente sono coperti tutti i dipendenti dell'azienda ma esiste un meccanismo di rotazione che viene deciso attraverso degli accordi (es. un mese vengono sospesi 10 lavoratori, il mese dopo altri 10 ecc. ecc. per fare in modo che la riduzione dell'importo della retribuzione sia spalmata su più persone con un impatto più modesto per il singolo) → vale per tutti e 3 gli ammortizzatori sociali di cui si è detto. Dove si parla di ammortizzatori sociali? Legge 30/2003: contiene una delega specifica riguardo gli ammortizzatori sociali. Esigenza di riordinare il sistema. Non trova riscontro nel governo di allora, perché non viene emanato nessun decreto. Legge 92/2012 Fornero: Per gli anni 2013-2016, disciplina gli ammortizzatori sociali in deroga con un massimo di ulteriori 12 mesi (dopo questi mesi devono cessare perché non è un sistema finanziabile troppo a lungo → è finanziato da risorse ad hoc). All’art. 3 si trova una disciplina a favore della costituzione di fondi bilaterali di solidarietà, solamente per le imprese con più di 15 dipendenti (la maggior parte del tessuto produttivo rimane escluso). L’adesione agli enti bilaterali non è obbligatoria per i datori di lavoro, sono accordi collettivi (con esclusione della Cassa Edile che ha una disciplina particolare). Esempio: EVER, EDITER. In pratica, sono gli artigiani stessi che si organizzano per darsi una propria tutela previdenziale a fronte dell'impossibilità di accedere al sistema previdenziale legato alla cassa integrazione o ad altro, le organizzazioni che rappresentano gli artigiani (es. Confartigianato, cna) e quelle che rappresentano i sindacati si sono dati delle regole costituendo queste sorte di strutture, gli enti bilaterali, che hanno lo scopo di incamerare risorse e di redistribuirle a fronte dei casi per i quali hanno stabilito di poter intervenire: si sono organizzati per avere un aiuto economico eventuale → è un sistema mutualistico selettivo attraverso cui tentano di coprire i rischi legati all'attività produttiva. La cassa edile è l'unica supportata da normativa pubblicistica (sono gli unici obbligati per legge a iscriversi- per gli enti bilaterali questa non c'è stata fino ai decreti del Jobs Act). L'intervento Fornero si aggancia quindi a questo sistema di bilateralità ma ciò che non è razionale è che riserva questo intervento solo a imprese medio-grandi. Decreto 148/2015 del Jobs Act: IMPORTANTE. Sistema parallelo di integrazione salariale, basato sull’INPS e sui fondi bilaterali di solidarietà (Soglia dimensionale per enti bilaterali, passa da + di 15 a + di 5, introducendo l’obbligatorietà → quindi dal 2015 il datore con più di 5 dipendenti ha l'obbligo di avviare queste forme mutualistiche). C'è anche la previsione di un intervento residuale del finanziamento pubblico laddove le parti sociali non abbiano costituito dei fondi bilaterali di solidarietà. Nel finanziamento tramite contributi obbligatori viene ridotta l’aliquota dello 0,20% ma viene aumentato il contributo addizionale (quindi chi utilizza la prestazione paga di più): l'aliquota ora è minimo il 9 ma anche 12 o 15 a seconda delle settimane di intervento e soprattutto la base imponibile di quest'aliquota non è più l'integrazione salariale ma è la retribuzione persa dal lavoratore (è molto di più) → questi vengono però richiesti solo a coloro che accedono alla prestazione. Il costo per l'azienda è maggiore e quindi dovrà valutare bene prima di chiederlo. Dopo il Jobs Act…. 1. CIGO : La CIGO rimane uguale, con la differenza che viene estesa agli apprendisti (mentre sono sempre esclusi i dirigenti- lo stesso avviene per la CIDS). L'ambito di applicazione e i settori esclusi rimangono gli stessi. Situazioni aziendali (in cui rientrano gli eventi oggettivamente non evitabili) e situazioni temporanee di mercato. Durata: 13 settimane continuative, prorogabili trimestralmente fino a 52 settimane. Possibilità di chiedere un ulteriore intervento CIGO, ma devo avere almeno 52 settimane di lavoro dopo la prestazione precedente. La CIGO viene autorizzata in seguito alla richiesta amministrativa all’INPS (sede territoriale). 2. CIDS : La CIDS cambia tanto da ricomprendere i contratti di solidarietà difensivi. Viene ricompresa la causale di crisi aziendale e la causale di cessazione dell’attività viene esclusa dall’ordinamento (anche se alcuni decreti la fanno sopravvivere in anni passati). Le causali diventano tre (riorganizzazione aziendale, crisi aziendale- in cui rientrano le procedure concorsuali- e contratto di solidarietà difensiva/ non c'è più la cessazione di attività anche se alcuni decreti la fanno sopravvivere fino al 2020). Si richiedono 90 giorni di lavoro effettivo per richiedere la prestazione. La durata della prestazione passa da 36 mesi legati al solo intervento CIDS, a 24 mesi nel quinquennio mobile (5 anni precedenti dal giorno esatto in cui si fa la richiesta) legati ad un periodo ordinario + straordinario. Viene autorizzata sempre con decreto del Ministero del Lavoro. Destinatari sono gli stessi prima della riforma (più compagnie aeree e partiti e movimenti politici). In certi casi, la CIDS dà diritto all’assegno di ricollocazione, ovvero uno strumento che viene speso presso le agenzie che si occupano della formazione professionale dei lavoratori. Si tratta di una sorta di “moneta virtuale”. 3. CDS : Sistema duale parallelo basato sui fondi bilaterali di solidarietà o sul FILS che sono enti bilaterali di solidarietà costituiti presso l’INPS per quei settori che non ne hanno istituiti di propri. Cose comuni a CIGO e CIGS dopo la riforma: estensione agli apprendisti, viene introdotto un requisito di anzianità di effettivo lavoro (si richiedono almeno 90 gg di lavoro prima di poter accedere alla prestazione), i lavoratori che prestano un'attività lavorativa (evidentemente durante il periodo a zero ore) diversa perdono l'integrazione salariale per le giornate di lavoro effettuate e sono obbligati alla comunicazione preventiva per non perdere l'intera prestazione, siamo sempre all'80% della retribuzione ridotta del 5,84% nei limiti del massimale di 1111 (si tratta della retribuzione comprensiva di 13° e 14° per cui in realtà superare la soglia è piuttosto facile), la contribuzione figurativa rimane invariata. Inoltre il lavoratore che ottiene CIGO o CIDS, deve accedere ad un patto di servizio personalizzato presso il Centro per l’impiego. Questo patto è un intervento di politica attiva destinato a trovare un nuovo impiego oppure a evitare la perdita di professionalità del lavoratore (→ questo secondo è il caso della CIG perché il lavoratore si è visto ridurre di molto il suo orario di lavoro). Il centro per l’impiego costruisce il profilo lavorativo del soggetto e lo introduce in un sistema di tutela della propria professionalità attraverso corsi di formazione che dovrà svolgere durante il periodo tutelato dall'assicurazione sociale. Se il soggetto non contribuisce, perde la prestazione. Questo patto di servizio personalizzato si ha solo a fronte di una riduzione dell'orario pari o superiore al 50%. Il decreto 150 del Jobs Act è interamente dedicato alle politiche attive del lavoro che hanno assunto un ruolo fondamentale durante la crisi per il reinserimento lavorativo delle persone che avevano perso l'occupazione → si tratta di un intervento fondamentale a fronte di una crisi così lunga. 7/12/18 Breve riassunto lezione 4/12: Evoluzione istituto prima del Jobs Act, com’era costituito il sistema della cassa integrazione durante la crisi economica, dunque dell’istituto in deroga e il sistema della cassa integrazione com’è attualmente. Soffermare lo studio sul sistema attuale: cos’è la cassa integrazione guadagni in deroga, quindi capire quali sono i presupposti che hanno generato la necessità di estendere per legge e temporaneamente l’istituto della cassa integrazione a settori che non erano coperti in origine, in concomitanza con la crisi economico- finanziaria che ha interessato il nostro paese dal 2008 al 2016 circa. Poi concentrare lo studio sul sistema attuale della cassa integrazione, il quale può essere ricondotto ad uno schema abbastanza semplice: i due istituti cassa integrazione ordinaria e cassa integrazione straordinaria (CIGO e CIDS) sono soggetti a regole comuni, come ad esempio la durata massima dei due istituti (24 mesi nel quinquennio mobile), importo degli istituti, che è uguale per entrambi i sistemi (80% della retribuzione dentro al massimale) e finalità (intervenire nella sospensione dell’attività lavorativa). Quello che distingue i due istituti è invece il campo di applicazione, per cui la CIDS è destinata ad aziende con più di 15 dipendenti e nei settori elencati (industriali, vigilanza, commerciali con più di 50 addetti, trasporto aereo, ecc) dunque si applica nelle imprese medio- grandi, mentre la CIGO si applica a prescindere dal numero dei dipendenti, quindi a prescindere dall’organico delle aziende, nelle imprese industriali, manifatturieri, trasporto. Quindi l’ambito di applicazione è diverso nell’ordinaria e nella straordinaria. Diverse sono anche le causali perché l’intervento ordinario è molto frequente perché va a coprire quelle situazioni aziendali dovute a eventi transitori e situazioni temporanee di mercato, quindi l’intervento ordinario va richiesto dal datore di lavoro, che rientra nel campo di applicazione, direttamente all’INPS con una durata breve (13 settimane prolungabili fino a 52). L’intervento ordinario è meno grave. L’intervento straordinario invece, è chiesto in caso di riorganizzazione aziendale o in caso di crisi aziendale, la quale deve essere certificata con documenti contabili e finanziari più consistenti che attestano la crisi, in cui è necessario sospendere i rapporti di lavoro al fine di riorganizzare l’azienda. La CIGO ha dunque una durata più lunga (24 mesi per la riorganizzazione, 12 mesi per la crisi aziendale e 24 mesi per il contratto di solidarietà). Si distinguono per l’ambito di applicazione, per le cause integrabili, la durata dei singoli interventi e anche per la procedura che impone ai datori di lavoro di coinvolgere le rappresentanze sindacali aziendali o unitarie (RSA e RSU), ossia gruppi di lavoro all’interno delle aziende che sono in qualche modo in diretto collegamento con le organizzazioni sindacali. Poi ci sono, a lato della cassa integrazione, i fondi di solidarietà bilaterale (rivitalizzati con la Legge Fornero e con il Jobs Act) che hanno l’idea di soccorrere i settori non coperti dal sistema della Cassa Integrazione Guadagni. Quindi, tutta quell’area produttiva dove non può intervenire l’istituto della cassa integrazione ordinario e straordinario, quindi al di là del campo di applicazione, interviene il sistema dei Fondi di solidarietà, i quali nascono da una organizzazione collettiva (aziende e sindacati). La novità è che dal 2012 questo sistema è diventato obbligatorio, quindi il legislatore ha recuperato un’esperienza già consolidata dei fondi di solidarietà con gli enti bilaterali. La bilateralità è un concetto diffuso e molto radicato, però si è sempre risolta in formule nelle quali il governo e lo stato erano fuori, perché erano forme di solidarietà a iniziativa dei soggetti interessati. Qui la novità è appunto che il legislatore ha deciso di porre delle regole e queste regole sono che i datori di lavoro che hanno almeno 5 dipendenti devono iscriversi, devono agganciarsi a un fondo di solidarietà. Questi fondi sono costituiti attraverso l’accordo collettivo tra le associazioni rappresentative dei datori di lavoro e le associazioni rappresentative dei lavoratori, ma questi fondi costituiti per via privatistica sono però fondi che finiscono all’INPS, quindi istituiti presso l’INPS, però concretamente l’istituzione è un accordo collettivo. L’accordo viene ratificato con un decreto ministeriale e diventano delle gestioni dell’INPS. Poi c’è tutto un sistema molto dettagliato che attiene a quali sono tutti gli organi che sovraintendono concretamente la gestione, perché si tratta di un fondo che incamera risorse finanziarie che devono poi essere erogate in quelle situazioni, che sono le stesse per le quali c’è la cassa integrazione a favore di quei lavoratori che fan parte dei settori non coperti. Quindi questo istituto ha permesso un’estensione delle forme di tutela nelle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro, ma è un istituto che ha anche imposto dei costi non indifferenti ai datori di lavoro. Obbligo di finanziare il fondo di solidarietà, con possibilità che non sia mai necessario accedere a quei fondi. Fondi finanziati con la contribuzione. Le regole generali sono che ogni datore di lavoro con più di 5 dipendenti, e che non è soggetto alla cassa integrazione guadagni ordinaria, deve agganciarsi a un fondo di solidarietà. Ci possono essere fondi di solidarietà a cui possono agganciarsi anche delle imprese che sono oggetto alla cassa integrazione ordinaria per dare una tutela aggiuntiva ai propri lavoratori (aggregazione facoltativa). Sono istituti a gestione dell’INPS e hanno lo scopo di assicurare la tutela del reddito per le stesse cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale. Quindi erogano delle prestazioni variamente denominate, tra cui la più comune è l’assegno ordinario, che equivale all’assegno di integrazione salariale. Il sistema del fondo di solidarietà è un sistema importante perché garantisce questa estensione delle tutele che in realtà, in precedenza erano limitate agli istituti della cassa integrazione ordinaria e straordinaria o agli istituti legati ai fondi di solidarietà dove però c’era solo la facoltà del datore di lavoro di iscriversi, senza l’obbligo di legge di farlo. A fronte di questa attività il centro per l’impiego deve erogare i servizi per l’impiego al soggetto e questi servizi sono decisi dal centro stesso e sono finanziati dalla Regione. Quindi, questi centri devono contattare il lavoratore e fargli sottoscrivere un patto di servizio personalizzato (significa che questo soggetto ha un interlocutore definito all’interno del centro per l’impiego) e questo patto di servizio prevede che il centro per l’impiego gli fa frequentare die corsi di formazione, lo riqualifica, cerca in qualche modo di offrirgli e presentargli delle offerte di lavoro e il soggetto è tenuto a rispondere, ciò significa che deve frequentare i corsi di formazione, rispondere alle offerte di lavoro entro certi limiti, rispondere al telefono.. Se il soggetto si rende attivo mantiene la NASPI nei limiti previsti, ma se il soggetto non partecipa al patto di servizio (corsi di formazione, presentazione offerte di lavoro), la NASPI lentamente decade. Questo è il meccanismo della condizionalità, il quale funziona quando si ha un trattamento economico. Quando decade la NASPI e quindi, come si concretizza la condizionalità? Perdita stato di disoccupazione (il soggetto viene assunto e viene comunicato all’INPS) Inizio di un’attività lavorativa subordinata senza provvedere alle comunicazioni Inizio di un’attività lavorativa in forma autonoma o di impresa individuale senza provvedere alla comunicazione (se la intraprende in modo legittimo all’INPS viene comunicato perché tra gli enti c’è comunicazione) Raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato (in quel caso l’ente previdenziale farà venir meno il trattamento di disoccupazione e comincerà ad erogare al soggetto la pensione di vecchiaia o la pensione anticipata) Acquisizione del diritto all’assegno ordinario di invalidità, salvo il diritto del lavoratore di optare per la NASPI, cosa che comunque non fa mai perché l’assegno di invalidità è più proficuo (il soggetto non può essere titolare di più prestazioni previdenziali) Assenza ingiustificata alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti Il centro per l’impiego dovrebbe attuare tutte queste attività per il soggetto, se però non lo fa, il soggetto non viene coinvolto. Da un lato il soggetto deve farsi attivo e rispondere agli input dal centro per l’impiego, ma se gli input non ci sono il soggetto non può farci nulla. Anche il centro per l’impiego, dunque, deve essere un soggetto attivo. Il centro per l’impiego può attivarsi solo in due casi: se ci sono delle disponibilità finanziarie per attuare queste iniziative e se ci sono dei soggetti (risorse umane) in grado di organizzare queste iniziative. Ad oggi si vogliono potenziare queste strutture, che sono necessarie. Il finanziamento della NASPI è un’aliquota del 1,31% della retribuzione imponibile più un’addizionale pari al 0,30%. Per lavoratori a tempo determinato l’aliquota è più alta: 1,31% + 1,4%. Oltre a questo finanziamento ordinario esiste anche un finanziamento non ordinario che è legato all’interruzione dei rapporti di lavoro. La legge prevede che in tutti i casi di interruzione del rapporto a tempo indeterminato il datore di lavoro deve versare all’INPS una sorta di tassa pari al 41% del massimale per ogni 12 mesi di anzianità di servizio del dipendente negli ultimi 3 anni. Un datore di lavoro che decide di licenziare un lavoratore, deve pagare una sorta di contributo NASPI in più alla contribuzione ordinaria, all’atto della cessazione. Questo è un deterrente per cercare di evitare i licenziamenti. Questo è ciò che accade nell’ambito del lavoro subordinato, poi esiste una prestazione destinata ai collaboratori coordinati continuativi (COCOCO) che è la DIS-COLL DIS-COLL Nasce come misura sperimentale nel 2015, confermata nel 2016 e oggi è stata stabilizzata Beneficiari: Collaboratori coordinati continuativi iscritti alla quarta gestione INPS i quali hanno perso involontariamente la loro occupazione Assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio Requisiti: possesso dello stato di disoccupazione + 3 mesi di contribuzione Durata: Metà dei mesi di contribuzione per un massimo di 6 mesi ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE (ASDI) Beneficiari: prestazione che può essere erogata dopo la NASPI (quindi oltre le 78 settimane), se il soggetto si trova ancora in uno stato di disoccupazione, associato allo stato di bisogno economico (calcolato tramite l’ISEE). Si tratta di una prestazione di tipo assistenziale e non più di tipo previdenziale, perché risponde a uno stato di bisogno. Durata: 6 mesi Importo: 75% dell’ultima NASPI (più basso, entro il limite massimo dell’importo dell’assegno sociale) Condizionalità: Massima attenzione verso il soggetto che deve essere ricollocato. Il soggetto viene coinvolto in un progetto personalizzato con il centro per l’impiego per la sua ricollocazione, in cui vengono attuati specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro nei quali è necessaria la disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione (partecipazione obbligatoria) da parte del soggetto interessato, e all’accettazione di adeguate proposte di lavoro. Maggiore attenzione da parte del centro per l’impiego e massima attenzione da parte del soggetto che ottiene l’assegno di disoccupazione (che comunque ha una durata circoscritta). L’ASDI non deve essere confuso con ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE. Questo assegno non è una prestazione previdenziale ma è legato al sistema delle politiche attive del lavoro. È una sorta di dote virtuale che possono spendere i soggetti (con o senza NASPI) presso il Centro per l’Impiego o un’agenzia privata per il lavoro a cui devono richiede di avere un sistema di ricollocazione potenziato (trattamento di super- ricollocazione). Se l’operatore o il centro per l’impiego lo riesce a collocare entro dei tempi, riceveranno concretamente dallo stato una somma di denaro, chiamata “dote”, la quale non è più virtuale ma diventa reale e viene percepita da chi lo riesce a ricollocare. DOMANDE ESAME: ULTIMA SLIDE CAPITALIZZAZIONE E RIPARTIZIONE Come si articola il sistema giuridico della previdenza sociale? (prima slide) Quali sono e come sono strutturati gli enti previdenziali? Che cos’è il rapporto contributivo? Che cos’è l’inquadramento previdenziale dei datori di lavoro? Quali sono i soggetti del rapporto contributivo? Che cos’è la contribuzione previdenziale e come si calcola? Che cosa sono le aliquote previdenziali? Qual è la definizione di retribuzione imponibile ai fini contributivi? Quando sorge il rapporto contributivo e quando si estingue? Compreso quando ci sono modifiche? Che cos’è il rapporto giuridico di erogazione delle prestazioni? Che cos’è un contributo previdenziale e quali sono le tipologie? Che cos’è un rapporto giuridico di erogazioni delle prestazioni? Chi sono i soggetti e qual è l’oggetto di questo rapporto? Tipologie delle prestazioni previdenziali? Economiche, sanitarie. Per ognuna: Soggetto, oggetto, contributi, come si calcola la retribuzione imponibile, quando si genera, quando si estingue. Che differenza c’è tra sistema a capitalizzazione e sistema a ripartizione? Cassa Integrazione (CIGO, CIDS, CDS) Cassa integrazione in deroga Enti bilaterali