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Diritto della previdenza sociale, Sbobinature di Diritto della Previdenza Sociale

Sbobine delle lezioni di diritto della previdenza sociale. Contenenti riferimenti ad articoli e sentenze utili. Se l'esame è sostenuto con la professoressa Aimo queste dispense sono più che sufficienti per prendere un bel voto. (io ho preso 28)

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

Caricato il 26/02/2021

camilla-deplano
camilla-deplano 🇮🇹

4.5

(27)

7 documenti

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Scarica Diritto della previdenza sociale e più Sbobinature in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE Proff. Mariapaola Aimo LEZIONE 1 INTRODUTTIVA 29/9 La previdenza sociale è garantita dalla Costituzione. il sistema previdenziale italiano ha un’eccessiva legislazione e in perenne aggiornamento.  sistema di fonti labirintico. L’inserimento dei diritti previdenziali tra i valori della costituzione ha implicato un accrescimento di un ruolo attivo della Corte costituzionale  circa 1/5 del contenzioso davanti alla corte riguarda questioni previdenziali. L’intero sistema previdenziale è attualizzato dagli interventi della corte. L’assistenza sociale  comprende tutte quelle forme di protezione generalizzata, destinata a tutti i cittadini in stato di bisogno. Forme di protezione sotto forma di servizi pubblici finanziati dalle finanze pubbliche.  esempio: sistema sanitario nazionale  forma di protezione generalizzata a carico della fiscalità generale. Previdenza sociale  comprende tutte quelle forme di protezione che vengono garantite ai lavoratori attraverso servizi pubblici, i quali sono finanziati dallo Stato e dai contributi delle categorie interessate (datori e lavoratori)  esempio: le pensioni  è lo stesso lavoratore che paga i contributi e di cui poi godrà. Sicurezza sociale  espressione che viene utilizzata nei documenti internazionali (CEDU) o molti documenti dell’UE. È un’espressione che esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno  che viene vista come una indispensabile per un godimento effettivo dei diritti civili e politici questa idea di sicurezza sociale viene accolta dal nostro ordinamento MA in modo ambiguo a causa della costituzione del ’48  questo accoglimento ambiguo del concetto di sicurezza sociale, il quale non appare nella nostra Costituzione come espressione semantica, porta l’influsso di programmi politici di quel tempo  esempio: rapporto Beveridge dell’Inghilterra del ’40. Assicurazione sociale  spesso viene usato come sinonimo di previdenza sociale  scambiando il mezzo con il fine  le assicurazioni sociali sono gli strumenti attraverso i quali la previdenza sociale ha trovato ingresso e realizzazione nel nostro ordinamento. Alle assicurazioni sociali il nostro Codice civile dedica l’ART 1886 c.c.  le assicurazioni sociali  “LeLe assicurazioni sociali sono disciplinate dalle leggi speciali. In mancanza si applicano le norme del presente capo” capo dedicato al contratto di assicurazione, il quale viene definito all’ART 1882 c.c.  “LeL'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore, verso il pagamento di un, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”  le assicurazioni sociali si distinguono dalle assicurazioni base ma se non ci sono leggi speciali che disciplinano la materia si applica l’art. 1882 c.c. Questa matrice assicurativa rimane ancora valida nel nostro sistema previdenziale. RAPPORTO ISTAT 2016: questo rapporto si apre con una definizione di protezione sociale che viene comunemente data dal sistema europeo delle statistiche integrate sulle protezione sociale  il sistema europeo definisce la protezione sociale come: “Lequell’insieme di interventi erogati da organismi pubblici e privati finalizzati a proteggere gli individui e i nuclei familiari da un insieme definito di rischi o a sollevarli da alcuni bisogni  rischi e bisogni che poi vengono elencati  1 malattia, invalidità, vecchiaia, superstiti (la situazione di bisogno che si viene a verificare qualora venga a mancare il lavoratore di una famiglia o il pensionato all’interno di una famiglia e quindi la famiglia si ritrova in una situazione di bisogno) famiglia, figli, disoccupazione, abitazione o altre esclusioni sociali  elenco di rischi e bisogni rispetto ai quali la protezione sociale e un elenco di bisogni rispetto ai quali la protezione sociale fornisce sostegno. Le spese per la protezione sociale  costi che vengono sostenuti per finanziare le misure e gli interventi  prestazioni sociali  nella figura le colonne che vediamo in blu sono i costi per finanziare le prestazioni sociali  nell’UE i costi sono in media circa il 27,7% del PIL  La maggior parte dei paesi supera la media  in Francia, Danimarca, Finlandia, Grecia superano la media mentre è molto più bassa in altri paesi  Lituania, Estonia, Lettonia, Romania, i quali hanno una spesa sociale intorno al 14%. Se si considera l’importo medio pro capite (segmenti verde lime)  sono molto diversificati nei vari paesi dell’Ue.  Danimarca, Svezia, Paesi Bassi, Finlandia spendono per prestazioni sociali importi compresi tra i 14k e gli 11k annui a differenza di paesi come Lettonia, Estonia, Romania, Lituania, Polonia che spendono cifre tra i 1.600 e i 1800 euro annui. La media europea è pari a 7.000 (rappresentanti dai pallini rosa). In Italia abbiamo valori in linea con l’UE sia per quanto riguarda la spesa in rapporto al PIL sia per la spesa pro capite. Grafico 2: Focalizza l’attenzione ad alcuni paesi europei  la spesa pro-capite per protezione sociale è cresciuta costantemente in tutti i paesi fino al 2007/2008 dal 2007/2008 vi sono delle differenze perché i diversi paesi hanno affrontato i diversi tipi di welfare  i diversi paesi dell’unione hanno affrontato diversamente lo shock della crisi. La Danimarca e la Germania e i Paesi Bassi hanno avuto un incremento della spesa per prestazioni sociali tendenzialmente uniforme fino al 2007/2008 poi la crescita rallenta. Regno Unito e Svezia hanno reagito in maniera diversa allo shock della crisi perché hanno contenuto la spesa sociale perché troviamo un decremento della spesa nel 2008/2009 mentre poi continua a crescere negli anni successivi. L’Italia pur avendo fortemente ridotto la dinamica di crescita della spesa sociale, però ha mantenuto una tendenza positiva anche se con incrementi molto modesti. Questo grafico ci fa vedere come i sistemi di welfare hanno reagito in maniera diversa alla crisi. Grafico 3: Spesa per prestazioni sociali per tipo di rischio/bisogno in alcuni paesi UE  il grafico ci dà un’idea della spesa in base al tipo di rischio e al tipo di bisogno. In termini di composizioni della spesa la parte più cospicua è dedicata alla vecchiaia  in Grecia e nel nostro paese è pari a circa al 50% mentre in Irlanda, Germania viene spesa per prevenire le malattie. Si parla spesso di un’anomalia dell’Italia che destinerebbe 2 l’industrializzazione risale a circa metà Ottocento. Anche se, è importante ricordare che questa fase è anticipata da esperienze importanti come quella delle società di mutuo soccorso. Prendendo come spartiacque l’approvazione della nostra Costituzione possiamo dividere il nostro esame in due periodi:  Dall’unità d’Italia alla Repubblica  questo periodo può essere a sua volta suddiviso in due sottofasi: 1. Fase liberale o fase della legislazione sociale che parte con l’unità d’Italia nel 1861 e arriva fino agli anni che hanno segnato l’avvento del fascismo (anni ’20). 2. Fase fascista o corporativa   Dalla Costituzione ad oggi Dall’unità d’Italia alla Repubblica Dall’unità d’Italia alla Repubblica: la fase liberale L’atto di nascita della previdenza sociale è segnato dall’approvazione della legge 80/1898  la legge rese obbligatoria per i datori di lavoro del settore industriale l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, a carico dei datori di lavoro. la legge 80/1898 viene approvata dopo un dibattito che è durato decenni e rappresenta una prima risposta dello Stato al conflitto sociale  prima dell’approvazione della legge 80 le regole in tema di infortuni sul lavoro riflettevano il contesto socioeconomico dell’epoca, quindi un contesto che era caratterizzato da botteghe artigianali, officine in cui gli infortuni non erano presenti perché il contesto non era quello delle grandi fabbriche, le quali iniziano a comparire a cavallo tra l’800 e il ‘900. Fabbriche in cui si trovano concentrati uomini, macchinari in cui gli infortuni erano molto comuni  contesto molto diverso. Prima dell’approvazione, secondo il codice civile allora vigente (del 1865): in caso di infortunio sul lavoro spettava all’operaio infortunato dimostrare il nesso di causalità tra l’evento e il danno, inoltre l’operaio doveva anche provare la colpa dell’imprenditore e inoltre il diritto al risarcimento era escluso se l’evento dannoso si fosse determinato per imprudenza dell’operaio o ancora si fosse determinato per caso fortuito o per forza maggiore  l’imprudenza, il caso fortuito e la forza maggiore sono le cause più tipiche degli infortuni. Il lavoratore nel caso in cui fosse riuscito a provare tutto quello che era a suo carico in ogni caso l’operaio rischiava anche in caso di vittoria di non ottenere un risarcimento nel caso in cui il datore di lavoro fosse insolvente  ciò che c’era prima della legge 80 non era certamente efficace dal punto di vista della tutela del lavoratore rispetto agli infortuni. Che cosa introduce la legge 80? Legge 80  il modello che segue questa legge è quello dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile  assicurazione legata alle tecniche e ai meccanismi che sono propri dell’assicurazione privata. Inoltre, la tutela non viene limitata agli infortuni che sono determinati da colpa del datore di lavoro, come era nel Codice civile del 1865  la tutela viene estesa anche in caso di infortuni determinati da causa maggiore o caso fortuito o anche da colpa non grave del lavoratore  in tutti questi casi l’indennizzità non viene più meno come prima. La legge 80 accoglie la teoria del rischio professionale, la quale è fondata su un meccanismo in base al quale si accolla il danno chi trae il maggior vantaggi dall’attività economica, in relazione alla quale si è prodotto il danno  Nel momento in cui un datore di lavoro del settore manifatturiero trae vantaggio dall’attività allora deve anche accollarsi la responsabilità del caso in cui la sua attività produca dei danni in capo ai suoi difendenti  colpa oggettiva dell’industria. Il premio assicurativo che i datori di lavoro versavano alle compagnie assicurative diventava un normale costo programmato dell’impresa, esattamente come il costo delle riparazioni dei macchinari o altri costi programmati dell’impresa. Queste innovazioni, certamente molto rilevanti, erano in parte stemperate per il fatto che al lavoratore infortunato spettava un indennizzo forfettario  non avrebbe ricevuto un risarcimento integrale del danno subito.  soluzione compromissoria che teneva conto in misura prevalente degli interessi delle aziende. 5 DIGRESSIONE Evoluzione dell’evoluzione normativa in Europa a partire dall’ultimo quarto di secolo dell’800  ci fa capire che tra le prime esigenze assicurative degli ordinamenti europei spiccano gli infortuni e in seguito le malattie  non è una coincidenza perché queste sono conseguenze evidenti dell’industrializzazione di quel periodo. Ordinamento tedesco e italiano  ritorna il primato dell’ordinamento tedesco in particolar modo con l’introduzione dell’assicurazione contro le malattie introdotta nel 1883, quella contro gli infortuni nel 1885 e quella pensionistica introdotta nel 1889. Le date tra parentesi segnano la nascita di assicurazioni di tipo volontario mentre le altre indicano la nascita dell’assicurazione obbligatoria. Il 1898, oltre a essere rilevante per l’emanazione della legge 80, è importante anche perché viene approvata la prima legge in materia pensionistica che istituisce la cassa nazionale per vecchiaia e invalidità per gli operai dell’industria  una cassa che è un antenato dell’attuale INPS. Questa cassa inizialmente gestisce un’assicurazione solo volontaria e non obbligatorio, MA è comunque rilevante perché a partire dal 1898, con l’introduzione appunto di questa cassa, si sostituisce al pluralismo delle SMS un soggetto unitario anche se questa riforma interessava solo i lavoratori dell’industria. La cassa nazionale per vecchiaia e invalidità subirà una trasformazione negli anni successivi perché l’assicurazione diventerà obbligatoria nel 1919 e per la prima volta verrà previsto un intervento significativo dal punto di vista finanziario da parte dello Stato  quindi le risorse di questa cassa nazionale potranno avvalersi anche di un finanziamento statale. La legislazione antinfortunistica introdotta alla fine dell’800 viene migliorata nei primi anni del ‘900, viene istituita nel 1917 l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria  si amplia la tutela dei lavoratori MA il sistema rimane fedele al modello assicurativo  modello bismarchiano, perché il fondamento di queste forme di protezione è l’autoprotezione  il finanziamento di queste forme di assicurazione è prevalentemente, se non esclusivamente, a carico delle persone interessate  l’intervento dello stato, laddove presente, è ancora molto limitato. Dall’unità d’Italia alla repubblica: fase fascista o corporativa (1922-1943) Questa è una fase importante per l’evoluzione della legislazione previdenziale del nostro paese, durante questa fase avvengono novità molto rilevanti: in quel periodo si ha un riordino del sistema complessivo delle assicurazioni sociali e nuovi rischi che non erano coperti prima vengono coperti e quindi il sistema si completa  in primis la malattia  nel 1927 segna la nascita dell’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, nel 1929 nasce l’assicurazione in caso di malattia professionale e nel 1943 nasce l’assicurazione contro la malattia 6 comune  diversi aspetti legati alla malattia vengono disciplinati e quei rischi vengono assicurati proprio durante il ventennio fascista. Inoltre, è molto significativa la c.d. carta del lavoro del 1927, la quale rappresenta il testo costituzionale dal punto di vista del lavoro, dell’economia ecc. del regima fascista. Essa contiene tutta una serie di principi generali fondamentali del regime fascista anche se la carta rimarrà per parecchi anni priva di valore cogente. La disposizione XXVI della carta del lavoro  “Lela previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore e il prestatore d’opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e unificare, quanto è possibile, il sistema e gli istituti di previdenza. ”  lo Stato avrà un ruolo di coordinamento e unificazione del sistema mentre il compito di realizzare la tutela, quindi soprattutto il compito di finanziare, resta in capo ai soggetti interessati. Vengono creati i grandi enti previdenziali con lo scopro di razionalizzare il sistema e centralizzarlo  questi grandi enti sono rigidamente accentrati e rigidamente controllati dallo Stato e rappresentano gli antenati dell’INPS e dell’INAIL  nascono l’INFPS e l’INFAIL  la F sta per fascista. Nel 1935 viene riordinata l’assicurazione contro gli infortuni e la malattia professionale. Un riordino importante si avrà anche in tema di pensioni, sia di invalidità sia di vecchiaia. La fase fascista dunque è importante perché va a riordinare e a riformare ampliano anche il campo di azione le assicurazioni che erano nate precedentemente, inoltre va anche a coprire nuovi rischi come la mattia. Il Codice civile del 1942 è il medesimo che ancora oggi abbia, sebbene ampiamente riformato. Il codice del ’42 afferma principi fondamentali in materia previdenziale, i quali tuttora connotano il nostro ordinamento. In particolare, facciamo riferimento agli artt. 2115, 2116, 2117 e 2123 c.c.  tutte disposizioni che fanno emergere come il sistema rimanga fedele al modello assicurativo  quindi la tutela rimane solo per i lavoratori subordinati e inoltre si accoglie il principio della proporzionalità tra ciò che si è versato (contribuzione) e ciò che si riceverà (prestazione sociale) con un intervento da parte dello stato ancora molto limitato. Art. 2115  contribuzioni  “LeSalvo diverse disposizioni della legge, l' imprenditore e il prestatore di lavoro contribuiscono in parti eguali alle istituzioni di previdenza e di assistenza. L'imprenditore è responsabile del versamento del contributo , anche per la parte che è a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. È nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all'assistenza”  si fissa il principio della ripartizione dell’obbligo contributivo tra datori di lavoro e lavoratori. Il datore di lavoro finge da sostituito di imposta, quindi è lui responsabile del versamento della contribuzione sia della parte che è a suo carico sia della parte eventualmente a carico del lavoratore. Art. 2116  prestazioni  “LeLe prestazioni indicate nell'articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l' imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali. Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l'imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro.”  questo articolo prevede il principio della automaticità delle prestazioni previdenziali ed è un principio centrale del nostro ordinamento  il lavoratore ha diritto alla prestazione sociale anche se il datore di lavoro è inadempiente all’obbligo contributivo, vedremo che non è così semplice e in realtà ci sono diversi limiti che operano. È un principio che contrasta con le regole generali di molti contratti, in primis quello di assicurazione, cioè la sinallagmicità. 7 LEZIONE 3 6/10 SULL’ART 38… L’espressione sicurezza sociale non compare nella nostra costituzione  quel concetto però viene accolto in modo implicito dal costituente  l’espressione compariva nella relazione elaborata, prima dell’approvazione della costituzione, dalla Commissione D’Aragona,  i lavori di questa commissione non ebbero un seguito legislativo MA sono interessanti perché quella commissione proponeva modifiche radicali dell’assetto della previdenza allora vigente  già in quegli anni proponeva l’obiettivo di assicurare un reddito minimo e un’assistenza sanitaria completa a tutti coloro che ne avessero bisogno  sono obiettivi molto avanguardisti per l’epoca perché vennero realizzati nel nostro paese molti anni dopo  negli anni ’70 per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e pochi anni fa per quanto riguarda il reddito minimo (oggi reddito di cittadinanza). Le letture dell’art 38 cost. La costituente non delinea un modello organizzativo specifico di sicurezza sociale, questa ambiguità di fondo ha permesso lo sviluppo di letture diversificate del testo dell’Art 38 Cost. Non ci si deve stupire che ci siano divergenze interpretative su questo articolo questo perché l’articolo 38 e tutta la costituzione interviene su una realtà previdenziale che era già consolidata nelle sue linee e nelle sue strutture principali. Questa realtà consolidata non poteva essere cambiata semplicemente grazie ad una legge anche se di rango costituzionale. L’assetto normativo in ambito previdenziale in epoca precostituzionale, risultante dei vari interventi che si erano succeduti in almeno 50 anni di storia, non poteva rimanere invariato dopo l’approvazione della Costituzione. Non tutti sono d’accordo sul tipo di impatto che quelle norme costituzionali hanno avuto sul sistema allora esistente di previdenza sociale e da qui le varie letture dell’Art 38 Cost:  Concezione dualista  in dottrina si fa risalire al giurista Alibrandi. Secondo questa concezione bisogna sottolineare la differenza tra i primi due commi. I quali si pongono in continuità con il sistema precostituzionale, cioè un sistema in cui vi sono due componenti di sicurezza sociale: l’assistenza sociale, di cui parla al primo comma, e la previdenza sociale, di cui parla al secondo comma  queste due componenti sono separate ma complementari, le quali perseguono finalità diverse. Anche questa lettura dualista cerca di accogliere le istanze riformiste della Costituzione MA in questa lettura prevale la volontà di non fare venire meno una tradizione lunga 50 anni in materia previdenziale sottolineando appunto le due componenti sperate benché complementari del sistema di sicurezza: previdenza e assistenza. Sentenza della Corte costituzionale n. 31/1986  sottolinea proprio questo aspetto dualista del sistema  “LeL’Art. 38 nel riferirsi all’idea di sicurezza sociale, ipotizza soltanto due modelli tipici della medesima: l’uno fondato sul principio di solidarietà (primo comma), l’altro suscettibile di essere realizzato, e storicamente realizzato anche nella fase successiva alla Carte Costituzionale, mediante gli strumenti mutualistico-assicurativi (secondo comma)”  Concezione universalista  in dottrina si fa risalire al giurista Persiani.  In questo caso abbiamo chiaramente l’influsso del rapporto Beveridge, poiché in questo caso i fautori della cultura universalista valorizzano alcuni articoli della Costituzione (Art. 2, Art. 3 comma 2, Art. 32) e attraverso questa lettura combinata accolgono una nuova idea progressista di sicurezza sociale  in questo caso prevale la volontà di attribuire un fondamento nuovo alla previdenza sociale che vada al di la della tradizionale matrice assicurativa.  uno stacco dalla lettura dualista in cui invece prevaleva la volontà di non abbandonare il sistema precedente. In che senso quindi attribuire un fondamento nuovo? Deve essere orientato alla liberazione di tutti dal bisogno e lo Stato deve farsi carico, in primo luogo economicamente, di questo compito di liberazione dal bisogno che la costituzione gli ha attribuito. Da questo punto di vista il sistema di sicurezza sociale va letto come servizio pubblico unitario e universale  rivolto a tutti i cittadini, lavoratori e non, in virtù del compito che lo Stato deve assolvere di liberazione dal bisogno. 10 Secondo questa concezione il modello ispirato a schemi di tipo mutualistico-assicurativo risulta superato dall’assetto costituzionale perché la previdenza e l’assistenza rispondono ad una finalità comune, hanno un fondamento comune e le tutele devono essere garantite mediante l’intervento pubblico. Questa concezione non significa che non debbano esservi differenze tra le tutele, innanzitutto perché le risorse sono limitate e inoltre c’è l’esigenza di differenziare le situazioni poiché vi sono soggetti che con il loro lavoro hanno contribuito al benessere della società  anche questa concezione universalista ammette che vi siano trattamenti preferenziali per chi contribuisce attivamente alla crescita della collettività.  Concezione che definisce l’Art 38 Cost “norma aperta”  proprio perché non impone un modello specifico di protezione sociale. In dottrina si fa risali al professor Cinelli.  secondo questa lettura l’Art. 38 è una norma aperta  non impone al legislatore un modello specifico di protezione sociale  questa concezione è stata chiarita ed è stata fatta propria dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 31/1986  “Leil secondo comma dell’Art. 38, mentre implicitamente rinvia ai criteri di assistenza mutualistica, in vigore al momento dell’emanazione della Costituzione non solo non esclude che il legislatore futuro delinei altre figure svincolate dalla logica meramente mutualistico-assicurativa, ma lascia allo stesso legislatore ampia libertà nell’attuazione delle finalità perseguite con l’emanazione dell’articolo in esame.”  questa lettura di norma aperta, la quale viene poi adottata in dottrina dal professore Cinelli, viene spiegata molto bene da questa sentenza, durante la quale la Corte costituzionale richiama quanto accadde in sede di Assemblea costituente  “LeLa commissione per la Costituzione propose una formulazione per l’Art. 38 che espressamente faceva riferimento al principio mutualistico e che se fosse stata accolta avrebbe vincolato il legislatore a non discostarsi da quel principio. Il secondo comma dell’articolo infatti era stato formulato in maniera seguente <<I lavoratori, in ragione del lavoro che prestano, hanno diritto a che siano preveduti… >>  ci fu dunque una soppressione di quell’inciso in aula infatti nell’Art. 38 quell’inciso non lo troviamo  quella soppressione venne motivata così “LeAbbiamo creduto di sopprimere questa parte in quanto essa avrebbe supposto che la legislazione in materia di previdenza e assicurazione sociale domani dovesse orientarsi in un determinato senso, verso il quale attualmente è diretta e indirizzata e ciò avrebbe fatto supporre un riferimento a quei criteri di assistenza mutualistica che oggi sono in vigore. Noi preferiamo, invece, che il legislatore futuro abbia una libertà più ampia e che possa adottare criteri che gli appariranno più adatti alla situazione e più efficaci”  questa pronuncia dell’Assemblea Costituente spiega bene la lettura di norma aperta  il fatto che in assemblea costituente si sia deciso di eliminare un inciso che avrebbe vincolato il legislatore futuro ad adottare schemi mutualistico-assicurativi conferma la volontà della Costituzione di lasciare libero il legislatore futuro di adottare i modelli più consoni. Questa lettura parte dal presupposto che un bisogno non è necessariamente previdenziale o assistenziale, è l’ordinamento che sceglie quale forma di tutela garantire in risposta ad un bisogno. Esempio di transito di un bisogno da una tutela ad un altro: 1. Le cure sanitarie  la tutela della salute è transitata dal versante previdenziale, perché storicamente le cure sanitarie sono state organizzate in forma mutualistica nei confronti dei lavoratori, al versante assistenziale nel corso degli anni ’70 con la nascita e lo sviluppo del servizio sanitario nazionale, con il quale abbiamo una tutela dalla malattia nei confronti di tutti i cittadini. 2. Il trattamento di invalidità civile  questa prestazione nasce come prestazione previdenziale, garantita nei confronti dei lavoratori, MA viene poi ridisciplinata negli anni ’70 in senso assistenziale. …Dalla costituzione ad oggi: il legislatore post-costituzionale Secondo gli studiosi di questa materia sono impossibili ricostruzioni esaustive dell’ordinamento previdenziale perché se si prova a tracciare il percorso della legislazione sulla previdenza sociale dalla Costituzione ad oggi la sensazione che si ha è quella di un labirinto, perché l’evoluzione della legislazione è: asistematica, irrazionale e talvolta con eccessi di legislazione. 11 Quella che abbiamo definito un’ambiguità del legislatore costituente, la quale ha poi portato alle varie letture ed interpretazioni, è stata con il tempo accentuata dall’ambiguità del legislatore ordinario, il quale nel corso degli anni non ha manifestato delle scelte evidenti a favore dell’una o dell’altra lettura poiché a seconda dei casi ha fatto scelte di tipo più solidaristico e altre volte scelte più di tipo universalistico. Spesso queste scelte sono state adottate perché il legislatore doveva rispondere alla situazione contingente, questo atteggiamento ondivago ha creato una difficoltà a aderire ad un modello piuttosto che ad un altro, questo si sposa perfettamente con la concezione dell’Art. 38 come norma aperta. Fino alla fine degli anni ’50 il sistema previdenziale italiano era restato largamente modellato sull’impianto definito durante la fase fascista. Negli anni successivi si avvia una fase rapida di tipo espansivo sotto la spinta di quelle grandi trasformazioni economico-sociale, politiche ecc. di quegli anni, il 68 italiano segna un punto di svolta anche per il welfare state italiano. In quegli anni viene introdotta la Cassa integrazione guadagni  segna un cambiamento nella traiettoria del nostro sistema previdenziale. Da queste scelte prenderà avvio un sistema previdenziale costruito sulla centralità delle tutele pensionistiche e su un vasto insieme di prestazioni che saranno articolate su base categoriale  rivolte a categorie di lavoratori che presentano determinate caratteristiche. In quegli anni non attecchisce nel nostro paese quella prospettiva di universalizzazione dei diritti sociali di prestazione di cui era portavoce la concezione universalista. Certamente si ha la copertura di bisogni importanti MA al di fuori di alcuni settori rimane la centralità delle tutele pensionistiche.  Vi sono dei settori (la scuola, il settore della sanità) in cui lo Stato sociale si espande alla fine degli anni ’70  al di fuori di quei settori le logiche rimangono prevalentemente particolariste e categoriali  rivolte a categorie di lavoratori  il nostro welfare rimane un welfare di tipo occupazionale, il quale ha il suo centro nella figura del lavoratore. Un secondo momento di svolta coincide con un momento di crisi del nostro paese all’inizio degli anni ’90. In quegli anni si sente fortemente l’esigenza di riformare un sistema di welfare che è da tempo squilibrato ed inefficiente però non si rintraccia, nelle riforme degli anni ’90 e degli anni successivi, una ratio coerente ed univoca. Si mantiene questa struttura originaria assicurativa, uno schema che è fortemente centrato sulla posizione del lavoratore. Le innovazioni che sono state introdotte nel corso del tempo hanno permesso progressivamente un allontanamento da questa originaria logica di scambio, perché nel corso degli anni vi è una riconversione parziale del nostro sistema in un’ottica di tipo più solidaristico. Nonostante la mancanza di linearità e sistematicità negli interventi post costituzionali possiamo comunque rintracciare delle costanti nello sviluppo del nostro sistema previdenziale, tra cui: 1. Progressivamente il sistema soggettivo di tutela obbligatoria si espande, nel senso che originariamente la tutela previdenziale è rivolta ai lavoratori subordinati ma via via la tutela si espande verso categorie di lavoratori che originariamente erano esclusi dalle forme di tutela previdenziale (lavoratori autonomi). A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 vengono inclusi nella tutela obbligatoria previdenziali categorie sottoprotette del lavoro autonomi (agricoltori, artigiani, commercianti)  ci sono proprio alcune casse particolari, alcune partizioni dell’INPS destinatarie dei contribuiti di queste categorie. Più di recente, a partire dalla metà degli anni ’90 la previsione di una tutela obbligatoria previdenziale nei confronti di un’altra categoria importante di lavoratori autonomi  lavoratori coordinati e continuativi CO.CO.CO.  Queste categorie di lavoratori parasubordinati vengono ricomprese nella previdenza, dovranno versare i contribuiti ad una nuova gestione. Soggetti rispetto ai quali originariamente non era prevista una forma di tutela obbligatoria dal punto di vista previdenziale vengono incluse. Questa progressiva espansione dal punto di vista soggettivo del sistema di tutela obbligatoria è una costante. 2. L’adozione del c.d. criterio di ripartizione per la gestione delle risorse finanziarie del sistema previdenziale obbligatorio. Aspetto fondamentale perché nel secondo dopoguerra il legislatore sostituisce il precedente sistema di gestione delle risorse finanziare, denominato di capitalizzazione, con un sistema nuovo  criterio di ripartizione. In un sistema di gestione a capitalizzazione i contributi che vengono 12 sostegno al reddito, prima attraverso interventi normativi caratterizzati dall’emergenza  ammortizzatori sociali in deroga, misure temporanee che stanziano anche somme ingenti per venire in contro a situazioni emergenziali dovute alla crisi dell’occupazione che in quegli anni è stata particolarmente dura, e poi attraverso vere e proprie riforme in materia di ammortizzatori sociali. Legge Fornero e poi Jobs Act del 2014 a cui seguiranno i decreti delegati i quali andranno ad operare sugli ammortizzatori sociali legati alla perdita del posto di lavoro e sia in relazione agli ammortizzatori sociali alla necessità di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro  la cassa integrazione guadagni. L’evoluzione legislativa post-costituzionale Il sistema previdenziale italiano resta ancorato ad una concezione di tipo assicurativo che mette al centro del sistema protettivo il soggetto che lavoro con la conseguenza che vengono messi da parte i bisogni dei soggetti che non sono assicurati e quindi di chi non lavora. Il criterio in base alla quale si è inclusi o esclusi dal sistema di protezione sociale è lo status lavorativo  questo criterio mostra ormai molti limiti soprattutto perché ci sono molti fattori (globalizzazione, esternalizzazione, tecnologia ecc.) che renderanno il lavoro disponibile sempre minore negli anni a venire  la domanda è se un sistema di welfare come il nostro, il quale ha una matrice occupazionale ed opera secondo un modello assicurativo, può reggere il colpo di tutto ciò che sta avvenendo? Il grande tema è la necessità che il sistema di sicurezza sociale dia nuove risposte a nuovi bisogni molto diversificati, inoltre un altro grande tema è il compito dello Stato di redistribuire le risorse verso chi è rimasto senza reddito per garantire a tutti un’esistenza dignitosa e la pace sociale. Competenze legislative stato/ragioni Art. 117 cost. Riforma costituzionale avvenuta nel 2001  prima della riforma federalista attuata con la legge costituzionale n. 3 del 2001 l’Art. 117 cost.  prevedeva la competenza legislativa delle regioni soltanto in materia di beneficienza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera  nel 2001 viene modificato il titolo V, part II Art 117  “LeLa potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie […] Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; [..], tutela e sicurezza del lavoro; […] tutela della salute; […]; previdenza complementare e integrativa; […]. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. […].” La suddivisione dunque è la seguente: 4. lo Stato mantiene la competenza di legiferare in maniera esclusiva in materia di previdenza sociale e per determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, i quali devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale 5. Alle Regioni viene attribuita una competenza legislativa concorrente a quella dello stato in tema di tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro e di previdenza complementare e integrativa, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato. È chiaro che vi sia un’innovazione  decentramento delle competenze legislative benché sempre nel rispetto di principi fondamentali fissati dallo Stato. L’Art. 117 Cost. nuovo stabilisce inoltre che l Regioni hanno competenze legislative in tutte le materie non espressamente elencante.  stesso discorso vale dunque per l’assistenza sociale. La disciplina dell’UE 15 Sin dall’approvazione nel 1957 del Trattato originario, c.d. Trattato di Roma, la sicurezza sociale è stata presa in considerazione dall’ordinamento europea soltanto in quanto funzionale a rendere possibile e concretamente realizzabile la libera circolazione dei lavoratori  una delle quattro libertà fondamentali dell’Unione Europea. Questo significa che l’unione Europa di occupa di sicurezza sociale soltanto laddove possa giocare un ruolo per agevolare la libera circolazione dei lavoratori all’interno dei lavoratori.  questo nesso è sempre stato sottolineato dalla Corte di Giustizia, la quale ha molte volte affermato che se i lavoratori, come conseguenza del loro esercizio di libera circolazione, dovessero essere privati dei vantaggi previdenziali che le loro leggi nazionali garantiscono, o dovrebbero trovarsi in una situazione sfavorevole dal punto di vista giuridico allora sarebbero dissuasi dall’esercitare il diritto alla libera circolazione.  il nesso è che l’Unione deve esercitare il compito di rendere possibile, anche dal punto di vista dei vantaggi previdenziali, la libera circolazione dei lavoratori, i quali non devono essere dissuasi dall’esercitare un loro diritto da eventuali situazioni concrete che dovessero svantaggiarli per il fatto di aver esercitato la libera circolazione. Questo significa che ogni stato membro gode di un’autonomia ampia nel legiferare in tema di previdenza sociale  ogni stato decide quali sono le scelte più opportune in tema previdenziale ma l’Art 51 del Trattato di Roma, oggi Art. 48 TFUE  Costituisce il fondamento giuridico per adottare tutte quelle misure che sono necessarie per istaurare la libera circolazione dei lavoratori. In particola modo l’Art. 48 TFUE  “LeIl Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l'instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti dipendenti e autonomi e ai loro aventi diritto: a) il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni sia per il calcolo di queste; b) il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri. Qualora un membro del Consiglio dichiari che un progetto di atto legislativo di cui al primo comma lede aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, i costi o la struttura finanziaria, oppure ne altera l'equilibrio finanziario, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Previa discussione ed entro quattro mesi da tale sospensione, il Consiglio europeo: a) rinvia il progetto al Consiglio, il che pone fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria, oppure b) non agisce o chiede alla Commissione di presentare una nuova proposta; in tal caso l'atto inizialmente proposto si considera non adottato. L’Art. 48 TFUE ci dice, dunque, che il consiglio deliberando secondo una determinata procedura, adotta in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l’istaurazione della libera circolazione dei lavoratori  questa disposizione del trattato ha costituito il fondamento giuridico per tutti quei provvedimenti normativi dell’Unione Europea che hanno avuto questo obiettivo. Vi sono molti testi importanti in materia tra cui: 6. Il regolamento n. 408/1971  negli anni è stato ripetutamente modificato nel 2004 è stato sostituito 7. Il regolamento 883/2004  sostitutivo del primo, entrato in vigore il 1° maggio 2010  attualmente in vigore. Grazie a questi regolamenti e ad altri è stato istituito un sistema di coordinamento tra i regimi nazionali di previdenza sociale  abbiamo tanti regimi nazionali che sono “Lesovrani” poiché hanno autonomia nel decidere in tema di previdenza sociale più opportuni per il proprio paese MA questi regimi devono essere necessariamente coordinati fra loro per poter agevolare, o almeno non ostacolare, la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. Due principi fondamentali del regolamento 883/2004 sono: 16 1. Principio dell’unicità della legislazione applicabile  secondo questo principio il lavoratore migrante sarà assoggettato ad una sola gestione previdenziale  questo per evitare una doppia contribuzione: una dello Stato di residenza e una dello Stato in cui il lavoratore è occupato. Il regolamento prevede che sia solamente assoggettato alla legislazione dello Stato membro in cui è occupato a prescindere dalla residenza del lavoratore o dello Stato in cui ha sede l’impresa  per questo si parla di principio di territorialità  lex loci laboris. 2. Principio della totalizzazione dei periodi assicurativi  i periodi assicurati, nel caso di un lavoratore migrante, verranno maturati in più di uno Stato membro. Viene stabilito l’obbligo per le istituzioni previdenziali competenti di prendere in considerazione i vari periodi contributivi (assicurativi) senza discriminare il lavoratore migrante rispetto al lavoratore non migrante  l’istituzione previdenziale dovrà prendere in considerazione tutti i periodi contributivi relativi all’attività prestata dal soggetto in vari stati membri e dovrà conseguentemente cumulare tutti questi periodi  questo vorrà dire che la prestazione a cui questo soggetto (lavoratore migrante) avrà diritto (pensione ecc.) verrà liquidata secondo un sistema di pro-ratizzazione  il lavoratore non riceverà l’intera prestazione previdenziale dall’istituzione competente in un solo stato membro ma riceverà da ciascuno stato una prestazione in proporzione al periodo che il lavoratore abbia effettivamente trascorso in quello Stato membro  l’onere della prestazione è ripartito tra tutti gli stati in cui il lavoratore si è recato a lavorare  c.d. liquidazione pro-rata delle prestazioni. La carta dei diritti fondamentali dell’UE È stata approvata nel 2000 a Nizza e in seguito del trattato di Lisbona del 2009 è stata dotata della stessa forza giuridica dei Trattati. Art. 34  sicurezza sociale e assistenza sociale  “LeL'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali.” Al terzo comma dell’Art. 34 molti commentatori leggono il fondamento giuridico di un welfare universalistico. Nel 2010 il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione con cui invitava gli stati membri, i quali fossero sforniti allora di strumenti contro la povertà e l’esclusione sociale, a provvedere in tal senso  questo monito era rivolto a pochi paesi, tra cui il nostro. Questa risoluzione si faceva forte della disposizione di cui all’Art. 34. Un ruolo negli ultimi mesi viene giocato dall’Unione sul versante dell’assistenza finanziaria  nel maggio del 2020 è stato approvato un regolamento 672/2020 (Sure), il quale istituisce uno strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza dettato dal COVID-19. Questo regolamento fissa le condizioni e le procedure per consentire all’Unione per fornire assistenza finanziaria ad uno stato membro che subisca gravi perturbazioni economiche, dovute all’epidemia COVID, per consentire il finanziamento di regimi di riduzione dell’orario lavorativo, o di misure analoghe, che mirino a proteggere i lavoratori dipendenti e autonomi, quindi mirino a ridurre l’incidenza della disoccupazione e della perdita di reddito, nonché per finanziarie misure di carattere sanitario in particolare nel luogo di lavoro. LEZIONE 5 IL SISTEMA GIURIDICO PREVIDENZIALE 17 Vi è stato un processo di progressivo sfoltimento e razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa iniziato a metà anni ‘70 proseguito sino ad oggi, il quale ha condotto alla soppressione o all’incorporazione di numerosi enti, in esito a questo processo possiamo individuare gli enti previdenziali necessari:  INPS  con il decreto salva Italia è stato accorpato anche l’ENPALS (ente nazionale di previdenza per i lavoratori dello spettacolo)  INAIL  sono state attribuite le funzioni di due enti: ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro) e l’IPSEMA (Istituto di previdenza per il settore marittimo).  Le casse nazionali di previdenza e assistenza dei liberi professionisti  ENPGI, ENASARCO e ENPAIA D. lgs. 150/2015: la rete nazione dei servizi per le politiche del lavoro I principali enti previdenziali che abbiamo citato fanno parte della c.d. rete nazionale per le politiche del lavoro è stata creata nel 2015 attraverso il decreto legislativo 150, il quale ha dato vita di un nuovo quadro istituzionale per i servizi del lavoro, all’interno del quale un nuovo fondamentale è svolto da un nuovo ente denominato ANPAL (istituita dal 1° gennaio 2016). Sia l’INPS sia l’INAIL fanno parte di questa rete nazionale, nell’ambito di questo più ampio programma gestito dall’ANPAL che comprende una serie di servizi sulle politiche del lavoro, vi è anche un ruolo degli enti previdenziali. Gli enti previdenziali: l’INPS L’INPS nel 2018 ha celebrato il 120° anniversario, infatti l’INPS ha mosso i suoi primi passi nel 1898 quando è stata istituita la cassa istituzionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia per gli operai  si trattava di un’assicurazione volontaria, la quale veniva anche integrata da contribuiti statale e che poi diventerà obbligatoria una ventina di anni dopo. Il regime generale della nostra previdenza fa capo all’INPS, la quale gestisce la quasi totalità della previdenza italiana  circa il 98% degli occupati ha la sua posizione previdenziale gestita dall’INPS, la quale rappresenta uno degli enti previdenziali più grandi e complessi d’Europa. Qualche dato numerico (pre-pandemia):  Quasi 23 milioni di lavoratori assicurati;  1.5 milioni di aziende iscritte;  Più di 18 milioni di beneficiari di trattamenti pensionistici;  2.6 milioni di beneficiari di trattamento di invalidità civile;  4.8 milioni di beneficiare di prestazioni a sostegno del reddito. L’INPS provvede ad assicurare tutela al verificarsi di moltissimi eventi tra cui:  La tutela per invalidità vecchiaia e morte (IVS);  La tutela per la disoccupazione involontaria e tubercolosi;  Le integrazioni salariali e indennità di mobilità (cassa integrazione);  Le prestazioni di natura economica nei confronti della malattia, maternità e genitorialità;  Il pagamento, tramite il fondo di garanzia, del TFR e delle ultime 3 mensilità di retribuzione in caso di insolvenza del datore di lavoro;  L’erogazione dell’assegno sociale oltre all’invalidità civile;  L’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare. Il regime delle assicurazioni gestito dall’INPS è definito generale perché riguarda un numero di soggetti molto elevati, i quali sono anche via. Tra i soggetti troviamo: 20  I lavoratori subordinati privati  I dipendenti pubblici  Determinate categorie di lavoratori autonomi  Liberi professionisti privi di un proprio regime previdenziale La l. n. 88/1989 ha ridisegnato l’INPS a cui poi sono seguite altre leggi che via via hanno razionalizzato l’INPS. In ragione di questa legge le varie competenze che fanno capo all’INPS sono state accorpate in gestioni interne, ogni gestione è dotata di una propria autonomia economico patrimoniale, questo significa che si manifesta come “Leimpermeabile” rispetto alle altre gestioni. Tra le diverse gestioni le principali sono:  Il fondo pensioni lavoratori dipendenti  si occupa dell’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e morte, quindi eroga le pensioni di invalidità, di vecchiaia, ecc.  La gestione prestazioni temporanee ai lavoratori  questa gestione si occupa dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria, oggi eroga la NASPI, le integrazioni salariali di sostegno al reddito, insieme ad altre prestazioni importanti come le prestazioni economiche di malattia, maternità e genitorialità e il fondo di garanzia per la tutela dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro;  La gestione ex INPDAP  Eroga tutte le prestazioni a favore dei dipendenti pubblici;  Le tre gestioni speciali per i piccoli imprenditori  Agricoli, artigiani e commercianti. Sono state istituite a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 introducendo in maniera significativa la categoria del lavoratore autonomo piccolo imprenditore all’interno della tutela garantita dall’INPS;  La c.d. quarta gestione o gestione separata  si è aggiunta alle tre gestioni speciali nel 1995 per i CO.CO.CO, i lavoratori autonomi occasionali e per i liberi professionisti che sono privi di una propria cassa di previdenza ed assistenza;  La GIAS (gestione degli interventi assistenziali e di sostegno)  si occupa di tutte le prestazioni di natura assistenziale, quindi a totale carico dello Stato  un esempio: il reddito di cittadinanza.  Altre… A livello internazionale l’INPS non solo rappresenta il maggiore ente di previdenza europeo ma soprattutto è l’unico in Europa ad accorpare su di sé una estrema complessità di funzioni e di servizi. Queste molteplici funzionalità dell’INPS costituiscono la differenza fondamentale tra il nostro paese e la maggioranza dei paesi europei, i quali sono caratterizzati dal fatto di avere più istituti che sono incaricati di diverse funzioni. Questa tabella ci indica, per aree di intervento, i servizi erogati da enti simili all’INPS in Francia, in Germania ed in Inghilterra e ci fa vedere come l’INPS nell’ambito della sicurezza sociale presenta un insieme di servizi erogati molto complesso. 21 Per quanto riguarda la struttura dell’INPS, analoga alla struttura dell’INAIL, ha organi sia a livello centrale che periferico. L’amministrazione centrale è importante e ha diversi organi quali: il Presidente, il consiglio di amministrazione, il consiglio di indirizzo e vigilanza, il collegio dei sindaci, il direttore generale ecc. per ciascuna delle gestioni amministrate dall’INPS, a livello centrale vi sono dei comitati che coordinano e gestiscono i compiti della gestione stessa. Mentre a livello territoriale vi sono sedi regionali, provinciali. Va sottolineato un aspetto  l’Inps tra i suoi compiti ha anche quello di gestire il c.d. casellario centrale delle posizioni previdenziali attive, istituito dalla l. n. 243/2004, si tratta di un’anagrafe generale delle posizioni assicurative di tutti i lavoratori. Una delle sue funzioni è quella di produrre il c.d. estratto conto contributivo, il quale è un prospetto informativo che riporta la storia contributiva del soggetto e che va consultato per rendersi conto di eventuali problemi, omissioni ecc. Gli enti previdenziali: L’INAIL L’Inail provvede all’assicurazione in caso di infortunio sul lavoro e in caso di malattia professionale. L’Inail ha una competenza quasi generale perché compre la quasi totalità dei lavoratori nel settore privato e pubblico sia subordinati che autonomi, salvo pochissime eccezioni  i giornalisti vedono tutelati dall’INGIP anche i propri diritti in tema di infortuni e malattie professionali. Oltre a erogare le prestazioni di natura economica, l’INAIL ha anche il compito di svolgere tutti gli accertamenti sui lavoratori infortunati oppure che abbiano contratto una malattia professionali. Ha acquisito le competenze dell’ISPELS quindi ha anche un ruolo di ricerca, di sviluppo, di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro. Ha una struttura che ricalca quella dell’INPS  sia organi a livello centrale che a livello decentrato e come l’INPS è soggetto alla vigilanza del Ministero del lavoro. I soggetti del rapporto giuridico previdenziale/rapporto erogativo: i soggetti protetti/beneficiari Ci sono alcune costanti, pur nel disordine, nell’evoluzione del sistema previdenziale italiano, tra queste abbiamo parlato della progressiva estensione dal punto di vista soggettivo della tutela, la quale si è via via diffusa oltre i confini originari del lavoro subordinato. Non può essere fatto un elenco esaustivo di tutti i soggetti protetti perché per essere precisa bisognerebbe tenere conto dei differenti campi di applicazione soggettiva delle diverse forme di tutela  in base alla forma di tutela di cui stiamo parlando cambia la sfera di applicazione soggettiva, possiamo però fare qualche considerazione di carattere generale sui soggetti protetti: abbiamo dei casi in cui la tutela è universale come per esempio la tutela della salute  sia a soggetti lavoratori che non. Degli esami dell’estensione della tutela sono rappresentati dalla (IVS) tutela per invalidità, vecchia e superstiti (le pensioni) e la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali (IMP) tutele che inizialmente erano previste solo per i lavoratori subordinati e che poi via via vengono estese a figure diverse dal lavoratore subordinato come il lavoratore autonomo e il lavoratore parasubordinato. In alcuni casi, inoltre in questo tipo di tutela confluiscono anche soggetti che non sono lavoratori  quando vi siano ragioni sostanziali che reclamano lo stesso tipo di tutela  i tirocinanti, i lavoratori che svolgono attività di sperimentazione e ricerca. Un altro esempio di estensione della tutela previdenziale al di fuori dei soggetti lavoratori è la tutela destinata ai c. d. superstiti  nel caso di decesso del lavoratore o del pensionato vi è una tutela che si estende ai familiari dello stesso in presenza di alcuni requisiti. Un altro esempio di estensione soggettiva delle tutele è stato fornito di recente durante questi mesi di emergenza sanitaria che hanno visto la tutela di sostegno al reddito, tipicamente destinata ai lavoratori subordinata, estesa anche a diverse categorie di lavoratori autonomi, in presenza di determinate condizioni e secondo modalità differenti. In generale vi è una estensione dal punto di vista soggettivo della tutela previdenziale di categorie inizialmente non previste. 22 costituzionale l’ha avallata come la progressiva scarsità di mezzi economici a disposizione, scarsità che comporta la necessità di ridurre l’impregno finanziario pubblico e dunque individuare dei criteri per la misura della prestazione. Il nostro legislatore ha progressivamente esteso la tutela previdenziale ad elementi ulteriori rispetto a quelli elencati nella Costituzione all’Art. 38 comma 2.  l’evento morte non era citato e ciò nonostante il nostro ordinamento prevede la tutela dei superstiti ecc. il legislatore si fa interprete di nuovi bisogni sociali al di là di ciò che esiste già nella Costituzione  questo ci fa affermare che nel nostro ordinamento a godere della garanzia costituzionale non sia l’evento in sé, come nominato dal legislatore costituente, ma sia la situazione di bisogno che consegue al verificarsi di quell’evento. Una volta che il legislatore ordinario, con il passare degli anni, individua come socialmente rilevante uno stato bisogno che viene indotto da un certo evento, anche se quell’evento precedentemente non era protetto dall’ordinamento previdenziale, allora quella forma di protezione stabilita dal legislatore allora resta acquista e di conseguenza anche sottratta dai ripensamenti del legislatore ordinario. Nel nostro sistema della previdenza sociale il concetto di rischio non è stato completamente sostituito dal concetto di bisogno, lo sarebbe se oggi la tutela previdenziale fosse stesa a qualsiasi situazione di bisogno MA non lo è  la nostra tutela previdenziale copre le situazioni di bisogno che derivino dal verificarsi di determinati eventi rispetto al quale vi è una forma di assicurazione (disoccupazione, vecchiaia, malattia, insolvenza ecc.). Esiste ancora un concetto di rischio rilevante per la previdenza. La funzione indennitaria di eliminazione di un danno della prestazione sociale emerge nella giurisprudenza della Corte costituzionale in tutte quelle sentenze che sottolineano il principio, ancora oggi vivo nel nostro ordinamento, della corrispettività tra contributi versati e misura della prestazione stessa  emblematica è un’affermazione della Corte della sentenza n. 173/1886  “Per quanto i contributi servano per finalità che trascendono gli interessi di coloro che li versano e abbiano dunque carattere generale, essi danno sempre vita al diritto del lavoratore a conseguire le corrispondenti prestazioni previdenziali, il che significa il che legislatore non può violare il principio di proporzionalità che sorregge il sistema pensionistico e non tenere conto effettivamente delle contribuzioni dei prestatori d’opera”  la consulta sottolinea la necessità di applicare un principio di proporzionalità tra contributi versati e misura della prestazione  aspetto che nel nostro ordinamento esiste. La prestazione adeguata ex Art. 38 comma 2 Cost.: la dottrina Ai sensi dell’art. 8 comma 2 cost. i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e invalidità  qual è il concetto di adeguatezza di cui parla la norma costituzionale? Vi sono varie risposte a questa domanda che hanno dato gli studiosi, la bipartizione tra concezione universalista e concezione dualista si riflette sulle varie risposte:  Concezione universalista  i mezzi adeguati di cui ci parla l’articolo 38 dovrebbero coincidere con il minimo essenziale all’esigenza di vita dei singoli, un minimo che deve essere valutato secondo schemi astratti che siano uguali per tutti;  Concezione dualista  richiama il principio di uguaglianza e tende a fare coincidere il concetto di adeguatezza con il tenore retributivo raggiunto dal singolo durante la vita lavorativa. Entrambe queste impostazioni sono fondamentalmente contradditorie  contro la concezione dualista si potrebbe dire che essendo l’Art. 38 comma 2 espressione del principio di solidarietà ed essendo attuativo delle istanze costituzionali di uguaglianza sostanziale allora l’articolo non può richiedere che l’adeguatezza della prestazione coincida con la conservazione del tenore di vita del singolo, altrimenti sarebbe contrario alla logica solidaristica e redistributiva della nostra costituzione, perché la derogazione di una prestazione previdenziale che sia corrispondente o comunque commisurata alla retribuzione del singolo lavoratore, in qualche modo travalichi la garanzia costituzionale  è un obiettivo di secondo grado che va al di là di ciò che 25 impone la Costituzione ed inoltre è i contrasto con la logica solidarista e redistributiva in un ottica di limitatezza delle risorse finanziarie. Anche la tesi universalista può essere criticata  l’Art. 4 richiede, in tema di pensioni, che i lavoratori pensionati vengano trattati secondo ciò che hanno maturato attraverso i contributi durante la loro vita attiva quindi non tener conto delle differenze che esistono tra un soggetto che ha lavorato e un soggetto che non ha lavorato sarebbe in contrasto con il rilievo costituzionale che viene dato al lavoro. È, dunque, nata la necessitò di trovare un compromesso tra queste due concezioni, compromesso che individui qual è la prestazione adeguata e che sia a metà strada tra il minimo essenziale uguale per tutti, invocato dalla tesi universalista, e il tenore di vita raggiunto, invocato dalla tesi dualista.  un compromesso che è stato trovato dalla giurisprudenza. La prestazione adeguata ex Art. 38 comma 2 Cost.: il legislatore Prima di soffermarci su cosa ha deciso la Corte costituzionale soffermiamoci su cosa ha deciso il legislatore sul concetto di adeguatezza  il legislatore ordinario nel corso degli anni ha fornito soluzioni molto varie a questa domanda. In alcuni casi il legislatore ha cercato di garantire ai soggetti protetti la tendenziale conservazione del reddito  pensiamo alle pensioni calcolate secondo il metodo retributivo (oggi il metodo di calcolo utilizzato per le pensioni è il metodo contributivo), in questo caso il legislatore ha voluto assicurare prestazioni economico che si possono considerare eccedenti rispetto all’obbligo costituzionale proprio perché garantivano un tendenziale conservazione del reddito. In altri casi il legislatore ha fissato dei parametri concreti che ci dicono qualcosa su ciò che intende per prestazione adeguata  il legislatore determina gli importi massimi del trattamento di integrazione salariale (gli integramenti della cassa integrazione che possono essere erogati ai lavoratori)  esempio: a secondo della retribuzione del lavoratore in cassa integrazione, se essa supera o no una certa soglia allora si avrà un importa massimo di prestazione.  in tal caso il lavoratore ha diritto ad un’indennità che sia pari all’80% della retribuzione persa entro un massimale. Altri esempi di soluzioni molto diversificate: il legislatore con il passare degli anni ha affrontato in maniera molto diversa una questione molto spinosa  quella della cumulabilità della retribuzione e la pensione e lo ha fatto in maniera molto diversificata  se adottiamo un criterio strettamente assicurativo allora il cumulo dovrebbe essere garantito senza limiti, se invece seguiamo un’impostazione di tipo universalistico allora sarebbe quantomeno da ragionare la disciplina relativa al cumulo se non da escludere perché il bisogno viene già soddisfatto falla retribuzione e quindi non c’è bisogno di una pensione  il fatto che il legislatore nel corso degli anni abbia risolto in maniera diversificata questa questione, proponendo in certi periodi storici anche un divieto di cumulo tra retribuzione e pensione, ci fa dedurre che abbia privilegiato di volta in volta esigenze diverse come può essere un’esigenza di contenimento della spesa sociale oppure esigenze di giustizia retributiva. Il legislatore nel corso degli anni ha individuato diversi strumenti volti a garantire l’adeguatezza della prestazione previdenziale tra cui principalmente:  Automaticità delle prestazioni e rimedi surrogati;  Perequazione automatica  principio di adeguamento al variare del costo della vita della prestazione previdenziale  insiste sull’adeguatezza economica di una prestazione in considerazione del fatto che il costo della vita muta e non rimane fermo;  Totalizzazione e ricongiunzione  quando si rende necessario a causa del fatto che il lavoratore ha versato contributi presso casse o gestioni diverse e quindi necessiti di ricondurre ad unità o trasferire contributi per avere una prestazione adeguata;  Contribuzione volontaria e figurativa  meccanismi che si collocano nel discorso più ampio del finanziamento della previdenza sociale e quindi che vadano ad aiutare e a rafforzare la tutela in determinati casi prevedendo, in alcuni casi, il versamento di contributi volontari oppure l’accreditamento figurativo dei contributi. 26 Queste sono tutte discipline attraverso le quali il legislatore ordinario, nel momento in cui le ha istituite, ci dice qualcosa sull’adeguatezza delle prestazioni  ci da delle soluzioni per garantire l’adeguatezza delle prestazioni. La prestazione adeguata: la Corte costituzionale La Corte ha cercato un compromesso tra le due posizioni estreme proposte dalla dottrina, in particolar modo la giurisprudenza costituzionale ha dato delle risposte interessanti pronunciandosi in materia di pensioni.  si tratta di una giurisprudenza molto variegata, nella quale gli stessi giudici della Corte hanno prese diverse posizioni  non abbiamo risposte univoche, vi è una certa difficoltà nell’individuare con chiarezza la posizione della Corte. Questo perché l’ambiguità del costituente e del legislatore ordinario si riflettono sulla posizione della Corte, proprio perché nel nostro sistema di sicurezza sociale convivono due anime  una solidaristica e una assicurativa. Secondo un orientamento recente dovrebbe prevalere nel nostro ordinamento l’anima solidaristica e redistributiva  sentenza 160/1974 con cui la consulta sottolinea in maniera molto chiara la natura pubblicistica delle assicurazioni sociali, una natura che va nettamente distinta dalle assicurazioni private  la consulta ammette che lo stato ha mantenuto come criterio tecnico organizzativo la forma assicurativa però la corte afferma che questa scelta non comporta che si debba sottostare alle regole e ai criteri propri delle assicurazioni private  sottolinea il carattere pubblicistico dell’assicurazione sociale e dunque la collocazione costituzionale della previdenza entro quella cornice in cui prevale l’anima solidaristica. Negli anni ’80 e in sentenze più recenti la Corte ha accolto la concezione mutualistica del sistema previdenziale e lo ha fatto utilizzando come criterio quello di proporzionalità tra il lavoro svolto (contributi versati) e la prestazione previdenziale a cui si ha diritto  ad esempio la Corte ha affermato che i mezzi adeguati alle esigenze di vita non sono solo quelli che “Lesoddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche quelli che siano idonei a realizzare esigenze relative al tenore di vita conseguito del lavoratore in rapporto al reddito e alla posizione sociale raggiunta nella categoria di appartenenza per affetto del lavoro svolto.”  qui chiaramente si utilizza come principio guida il criterio di proporzionalità  lega la misura della pensione alla misura della retribuzione. Tutte queste sentenze che affermano il principio di proporzionalità accolgono una concezione mutualistico assicurativa del sistema previdenziale. Vi sono anche soluzioni intermedie della giurisprudenza che sottolineano come queste due anime debbano convivere. La domanda alla quale la giurisprudenza cerca di rispondere è quella di andare a individuare in quale punto, tra i due estremi, la garanzia costituzionale si deve attestare per essere in linea con l’obbligo che lo Stato ha ne confronti dei soggetti protetti.  in questo caso è fondamentale la sentenza n. 173/1986  la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevata riguardava una norma che per quantificare il trattamento pensionistico vietava di prendere in considerazione le quote di retribuzione che eccedevano una certa soglia  norme che definivano i tetti pensionistici, secondo cui tutto ciò che si collocava al di sopra di un tetto molto elevato non veniva preso in considerazione come contributo utile per calcolare la pensione. Alla corte viene chiesto di verificare se questa mancata proporzione tra la retribuzione e la pensione determinasse una violazione degli articoli 36 e 38 della Costituzione. La Corte si pronuncia con una sentenza molto articolata. Innanzitutto, chiarisce due aspetti: 1. “LeIl trattamento di quiescenza (la pensione) al pari della retribuzione, di cui lo Stato di pensionamento costituisce un prolungamento a fini previdenziali, deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.”  principio di proporzionalità 2. “Lela proporzionalità e l’adeguatezza devono sussistere non solo al momento del pensionamento ma anche devono essere costantemente assicurati in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta.”  necessità di adeguare la misura della prestazione al variare del costo della vita Fatte queste premesse la Corte ci dice: “LeL’attuazione di questi principi non comporta la necessaria e integrale coincidenza tra la pensione e l’ultima retribuzione, ne comporta un costante adeguamento al mutevole potere 27 vedere la situazione del nostro paese tra il 1995 e oggi. Il blu scuro rappresenta il peso dei contributi sociali e l’azzurro il peso del finanziamento statale. Fino al 2011 abbiamo un ruolo nei contributi sociali maggiore ma dal 2012 la situazione si capovolge e persiste fino ad oggi anche se negli ultimi tre anni vi è stata una crescita della riscossione di contributi. Nel 2019 il finanziamento prevalente è ancora arrivato sotto forma di trasferimento delle amministrazioni pubbliche che superano il 50%, mentre i contributi sociali rappresentano circa il 40%. Natura e funzioni dei contributi previdenziali Che cosa sono i contributi previdenziali? Diverse impostazioni si sono succedete nel tempo per dare una risposta a questa domanda:  Concezione assicurativa  per lungo tempo i contributi sono stata considerati premi assicurativi, ma questa concezione assicurativa si scontra con il principio dell’automaticità delle prestazioni assistenziali e con l’anima solidaristica del nostro sistema giuridico previdenziale;  Concezione retributiva  questa concezione leggeva i contributi previdenziali come quote di retribuzione accantonata per futuri bisogni, sottolineava dunque la natura di salario previdenziale. Anche questa è una concezione che contrasta con il nostro ordinamento;  Concezione tributaria  la concezione prevalente è questa che sottolinea la natura di tributi che riveste il contributo previdenziale. Un tributo imposto dalla legge a favore di un ente previdenziale pubblico per realizzare un interesse pubblico. Questo significa che i contributi sono finalizzati prima di tutto ad assolvere un interesse pubblico generale e solo secondariamente sono finalizzati all’interesse mutuale del singolo soggetto destinatario della prestazione sociale. RAPPORTO CONTRIBUTIVO Il rapporto contributivo ha ad oggetto:  L’obbligazione contributiva  il versamento del contributo stesso  Alcuni obblighi accessori Il rapporto contributivo: l’obbligo contributivo Questo rapporto lega l’ente previdenziale e il soggetto obbligato, il qual può o meno coincidere con il soggetto beneficiario  nell’assicurazione in caso di infortunio o di contrazione della malattia professionale il soggetto tenuto alla contribuzione è il datore di lavoro mentre il soggetto beneficiario è il lavoratore stesso, il quale non è coinvolto nel rapporto contributivo in questo caso. Il principio fondamentale della contribuzione sociale è il suo carattere obbligatorio  si tratta di un obbligo, che sorge in maniera automatica al verificarsi delle condizioni di assicurabilità stabilite dalla legge, al verificarsi delle quali sorge l’obbligo contributivo. Le condizioni di assicurabilità sono differenti in base al rapporto di cui si parla: 30  Se siamo nell’ambito del lavoro subordinato allora le condizioni di assicurabilità sarà la conclusione del contratto;  Se siamo nell’ambito del lavoro autonomo la condizione di assicurabilità è lo svolgimento di un’attività autonoma;  Se siamo nell’ambito del lavoro dei liberi professionisti allora condizione di assicurabilità sarà l’iscrizione di uno specifico albo professionale  quest’obbligo scatta soltanto se si raggiunge una certa soglia di reddito. Problema  versamento delle contribuzioni in casse o gestioni diverse  questa situazione di frammentazione dei versamenti contributivi determina la necessità di riunificare questi versamenti contributivi. L’obbligo contributivo si estingue:  Per il venire meno delle condizioni di assicurabilità;  Per prescrizione  dal 1996 la prescrizione dei contributi previdenziali è per lo più quinquennale. L’obbligazione contributiva secondo la nostra costituzione deve essere imposta con legge secondo l’Art. 23 Cost. L’ammontare delle contribuzioni, diversificata a seconda dei casi, spesso non è stabilito dalla legge ma da delibere degli enti previdenziali in varie forme come il decreto ministeriale  questo non significa che vi sia una violazione del principio della riserva di legge poiché vi è una sorta di delega del legislatore all’ente previdenziale, il quale attraverso una normazione secondaria delibera degli aspetti secondari della contribuzione. Spesso abbia criteri diversi di determinazione della contribuzione:  L’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali fa un po’ caso a sé  i contributi dovuto all’INAIL sono determinati anche in relazione al rischio che varia a seconda delle singole lavorazioni a cui sono addetti i lavoratori assicurati  determinazione in base al rischio;  In tutte le altre assicurazioni sociali abbia una determinazione dell’importo dei contributi dovuto che fa riferimento ad altri elementi che non sono in rapporto con il rischio come la retribuzione percepita, il reddito d’impresa, la qualifica del lavoratore ecc. I contributi possono essere determinati:  In misura fissa alla retribuzione imponibile;  In misura percentuale alla retribuzione imponibile o al reddito professionale. Abbiamo diverse aliquote che vengono inglobate in un’aliquota unica a che poi vengono ripartite. Il rapporto contributivo: gli obblighi accessori Gli obblighi accessori determinano, insieme all’obbligazione principale, l’oggetto del rapporto contributivo. Gli obblighi accessori sono diversi a seconda del soggetto del rapporto contributivo. Per quanto riguardo il soggetto tenuto all’obbligazione, obbligato al versamento contributivo, dobbiamo sottolineare che il datore di lavoro (soggetto tenuto al versamento anche per quanto riguarda la quota del lavoratore) deve denunciare quali lavoratori assume, quali retribuzioni corrisponde a quei lavoratori e specificare quali attività lavorative essi svolgono  questo perché l’obbligazione contributiva cambia in base ad una serie di paramenti, i quali devono essere messi a conoscenza dell’ente previdenziale da parte del soggetto che provvede alla contribuzione. Il datore di lavoro agisce come sostituto di imposta  trattiene la quota dovuta dal lavoratore, nel caso anch’egli contribuisca al finanziamento, e versa oltre alla sua quota anche quella a carico del lavoratore  versa per interno la contribuzione. 31 Per quanto riguarda l’ente previdenziale, il quale in questo caso è destinatario del versamento, non si limiterà a ricevere la contribuzione ma gioca un ruolo attivo  deve occuparsi della corretta amministrazione dei versamenti, verificare il regolare afflusso dei versamenti, controllare che chi è obbligato al versamento rispetti quest’obbligo e agire, nel caso in cui ci sia una violazione dell’obbligo, con le c.d. azioni di recupero per obbligare al versamento chi non lo abbia fatto. Oggi questa operazione di controllo l’ente previdenziale la fa con diverse agevolazioni grazie alla digitalizzazione. Dal 2015 la c.d. regolarità contributiva è attestata dal c.d. documento unico di regolarità contributiva online (DURC online)  si tratta di un certificato unico che attesta la regolarità contributiva di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi  le imprese per vedersi certificata la propria regolarità contributiva effettuano un'unica richiesta di rilascio di questo documento ad uno degli enti competenti (INPS, INAIL ecc.) anziché richiedere a tutti gli enti un certificato di regolarità. Le aziende sono interessate ad avere questo documento perché è necessario per tutta una serie di agevolazioni in situazioni fondamentali per le aziende  erogazione di sovvenzione, sgravi contributi e altri vantaggi economici  la prima condizione per avere questo tipo di vantaggi è avere una regolarità contributiva accertata dal DURC, il quale è necessario anche per tutte le procedure di appalto di opere e servizi pubblici. L’ente previdenziale per poter regolare l’afflusso dei versamenti gode anche di particolari poteri di ispezione e di accertamento diretto nel caso vi siano situazioni di irregolarità  questo grazie anche all’approvazione del d.lgs. n. 124/2004, il quale ha riformato il tema e razionalizzato i doveri degli enti previdenziali in materia contributiva. Le tipologie dei contributi previdenziali Dobbiamo distinguere le varie tipologie di contributi che esistono nel nostro ordinamento:  Contributi classicamente assicurativi  si tratta di versamenti che vanno ad alimentare, seppur virtualmente, conti assicurativi individuali, come ad esempio i contributi pensionistici, i quali hanno un valore di corrispettività  il regime di calcolo delle pensioni è un regime contributivo e quindi i versamenti che ciascuno di noi effettua sono i contributi che hanno valore di corrispettività  più si versano contributi più sarà alta la pensione;  Contributi di solidarietà  non alimentano conti individuali MA alimentano fondi di sostegno che perseguono finalità varie e perseguono anche un’ottica redistributiva  ad esempio i datori di lavoro dell’industria contribuiscono, attraverso il versamento di contributi di solidarietà, al miglioramento della tutela della malattia dei lavoratori dell’agricoltura, settore più debole rispetto al settore industriale.  questo è un esempio di come ci siano contributi che non vanno ad alimentare conti assicurativi individuali MA che rispondono ad una prospettiva più solidaristica di sostegno di altri fondi più deboli;  Contributi di rivalsa  sono richiesti a soggetti estranei al rapporto di lavoro come ad esempio i liberi professionisti, i quali essendo lavoratori autonomi dovrebbero versare autonomamente i propri contributi MA hanno un diritto di rivalsa nei confronti dei propri clienti  applicano alle loro parcelle una quota aggiuntiva diretta a contribuire al finanziamento delle loro casse previdenziali;  Contributi virtuali  contributi che hanno un effetto MA che non sono realmente versati dai soggetti che sarebbero tenuti al versamento stesso, i contributi virtuali possono essere distinti in due sottogruppi: 1. I contributi fiscalizzati  determinano una situazione molto particolare in relazione alla quale lo Stato assume su di sé una parte degli oneri previdenziali, i quali normalmente graverebbero sui datori di lavoro o sui lavoratori, per effetto di una disciplina denominata “Lefiscalizzazione degli oneri sociali” o degli sgravi contributivi lo scopo di queste discipline non è quello di realizzare la logica della sicurezza sociale (della liberazione dal bisogno, solidarietà o redistribuzione) MA una logica di perseguimento di una finalità di politica economica con 32 Complementare all’istituto della contribuzione volontaria è la contribuzione da riscatto  anche in questo caso l’ordinamento prevede che si possano coprire alcuni periodi, espressamente previsti dalla legge, rispetto ai quali non esiste un obbligo assicurativo, a proprie spese  il classico esempio è quello di riscattare il corso legale di laurea  questo periodo è possibile riscattarlo a fini previdenziali  la legge 26/2019 ha previsto che il periodo del corso legale di laura si possa riscattare a costi agevolati, questo ha determinato un boom di richieste di riscatto. La retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale Per determinare in concreto la misura della contribuzione dovuta dobbiamo individuare, nella maggioranza dei casi, il parametro da prendere come riferimento  la retribuzione che dobbiamo prendere come base per operare la percentuale prevista dalla legge di contribuzione  se ad esempio la legge prevede che debba essere versato il 10% della retribuzione per finanziare una certa forma di assicurare, allora chiaramente dobbiamo individuare qual è la retribuzione. Questo parametro viene denominato retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale. Ovviamente più è alta la base imponibile e quindi più è ampio il concetto di retribuzione imponibile a fini previdenziali più la contribuzione inciderà al costo complessivo di quella figura lavorativa  il costo del soggetto X sarà maggiore, ai fini previdenziali, nella misura in cui ordinamento scelga una concezione di retribuzione imponibile a fini previdenziali molto ampia e viceversa. La nozione di retribuzione imponibile a fini previdenziali risulta dall’Art. 12 della l.n. 153/69  legge che ha riformato la disciplina pensionistica del nostro ordinamento. Ai sensi dell’Art 12 è retribuzione imponibile tutto ciò che il lavoratore riceve dal suo datore di lavoro, in denaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro  la giurisprudenza ha fin da subito interpretato in maniera estensiva questa definizione, in particolare “Lein dipendenza del rapporto di lavoro”, salvo l’unico limite previsto dalla legge di una serie di voci della retribuzione che venivano espressamente escluse  si trattava di un elenco tassativo nel quale erano contenuti i rimborsi spese, le indennità di trasferta, l’indennità di anzianità e altri  queste voci venivano escluse dalla nozione di retribuzione imponibile a fini previdenziali. Negli anni successivi al ‘69, in poco meno di un ventennio, fino al ‘97 la giurisprudenza ha continuato ad interpretare in maniera estensiva la nozione leggendo la formula “Lein dipendenza del rapporto di lavoro” come sinonimo della formula “Ledurante il rapporto di lavoro” anche in ragione di una connessione indiretta e occasionale con il rapporto di lavoro. Il legislatore per arginare questa interpretazione estensiva ha emanato via via alcune disposizioni di interpretazione autentica della Art. 12 della l.n. 53/69 e ha individuato una serie di compensi ed emolumenti che dovevano essere esclusi dal concetto di retribuzione imponibile a fini previdenziali come gli emolumenti per la mensa, per il trasporto, varie spese sostenute dai lavoratori legati alla famiglia e altri. Altre volte il legislatore ha ritenuto necessario includere espressamente alcuni compensi come ad esempio le somme erogate al lavoratore in sede di transazione o in seguito a sentenze dell’autorità giudiziaria. Inoltre il legislatore ha attribuito ai contratti collettivi la possibilità di andare ad incidere sul concetto di retribuzione imponibile a fini previdenziali, in relazione a quella parte di retribuzione legata alla retribuzione aziendale  cercando di evitare che le maggiorazioni dovute all’aumento di produttività andassero ad aumentare eccessivamente il costo del lavoro  si diede la possibilità di individuare una porzione del salario di produttività come non rientrante nella base imponibile. Nel ’97 il legislatore cerca di razionalizzare la materia e approva il decreto legislativo 314/1997, il quale unifica la nozione di retribuzione imponibile a fini previdenziali e quella a fini fiscali  andando a costruire una nozione unitaria di reddito che sia rilevante sia a fini fiscali che contributivi  si stabilisce che per calcolare i contributi previdenziali si applicherà il TUIR cioè il Testo unico delle imposte sul reddito del 1986, il quale prevede che il reddito da lavoro dipendente sia costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo siano percepiti nel periodo di imposta, in relazione al rapporto di lavoro  anche qui abbiamo una nozione molto ampia. Viene riproposta la tecnica delle esclusioni come correttivo a questa nozione 35 onnicomprensiva di retribuzione rilevante a fini fiscali e contributivi  queste esclusioni sono in parte uguali per entrambe le finalità, come ad esempio i servizi e i beni in generale che possono essere garantiti ai lavoratori come il servizio mensa, i trasporti (fringe benefit) mentre invece vi sono alcune esclusioni che sono tipiche o dell’una o dell’altra finalità  ci sono alcune esclusioni che riguardano la sola retribuzione imponibile a fini previdenziali come il TFR, gli incentivi all’esodo, i proventi che derivano da situazioni in cui il lavoratore viene risarcito da un danno, il salario di produttività e altre. Responsabilità per omessa contribuzioni Conseguenze che possono risultare a carico del soggetto dovuto alla contribuzione qualora non vi adempia  l’inadempimento può comportare conseguenze di vario tipo:  Sanzioni civili  il soggetto inadempiente, oltre a versare i contributi che non ha versato in precedenza, sarà tenuto a pagarne gli interessi legali oltre a somme aggiuntive a livello sanzionatorio;  Sanzioni amministrative  molte condotte omissive che originariamente erano sanzionate a livello penale sono state depenalizzate agli inizi degli anni’80 a sanzioni amministrative per lo più attraverso sanzioni pecuniarie;  Sanzioni penali  per condotte più gravi come il caso di evasioni contributive quantitativamente rilevanti e il caso in cui il soggetto tenuto alla contribuzione non versi le somme nonostante le abbia trattenute sulla retribuzione del suo dipendente oltre una certa soglia;  Perdita di agevolazioni  gli sgravi contributivi vengono persi, viene negato l’accesso agli appalti di opere e servizi pubblici ecc. Misure a garanzia dell’effettività e dell’adeguatezza della tutela Vi sono diverse misure che l’ordinamento predispone per garantire una effettività della tutela previdenziale ai lavoratori destinatari della stessa, ci soffermeremo su tre di questi: 1. Il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali e i rimedi surrogatori; 2. Il principio di perequazione automatica delle prestazioni  meccanismi di adeguamento delle prestazioni previdenziali al variare del costo della vita; 3. Strumento della ricongiunzione e totalizzazione dei periodi contributivi. Principio dell’automaticità delle prestazioni e rimedi surrogatori Principio introdotto alla fine degli anni ’30 in relazione ad alcune forme di assicurazione sociale e poi nel 1942, con l’affermazione del nostro Codice civile, è stato affermato da una disposizione di carattere generale  l’Art. 2116 c.c. il cui primo comma stabilisce che le prestazioni di previdenza e assistenza “Lesono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza”  le prestazioni non vengono erogate in funzione dei contributi previdenziali versati, a differenza di quanto invece avviene nelle assicurazioni private, bensì opera il meccanismo dell’automaticità delle prestazioni previdenziali  questo principio cardine del nostro sistema previdenziali prevede alcune importanti limitazioni: - Di ordine soggettivo  tutte le forme di tutela previdenziali riguardano il solo lavoro subordinato e non il lavoro autonomo, perché questo principio trova fondamento nel fatto che nell’ambito del lavoro subordinato l’obbligazione di pagamento della contribuzione è posta a carico del datore di lavoro, il quale funge da sostituto di imposta, di conseguenza qualora il datore di lavoro sia inadempiente, il suo inadempimento non può essere fatto decadere sul prestatore. Si è sempre ritenuto che se l’obbligazione contributiva è a carico di un soggetto diverso dal beneficiario della prestazione allora il lavoratore non potrà subire le conseguenze di un inadempimento di un terzo. Al lavoratore non si applica perché nell’ambito del lavoro autonomo l’obbligazione contributiva è posta a carico del medesimo soggetto che ha svolto l’attività e che beneficerà della prestazione, di conseguenza nel caso risulti inadempiuta l’obbligazione gli effetti dell’inadempimento ricadono sullo stesso soggetto inadempiente. Questa distinzione non ci aiuta a risolvere il problema che riguarda le fattispecie in cui pur trattandosi di lavoro 36 autonomo l’obbligazione contributiva non è posta dalla legge a carico del prestatore  le ipotesi dei lavoratori CO.CO.CO. i quali sono delle figure ibride  pur rimanendo dei lavoratori autonomi abbiamo una forte somiglianza con il caso descritto per il lavoratore subordinato poiché non c’è corrispondenza tra il titolare dell’obbligazione contributiva e il prestatore  contribuzione alla gestione separata è posta a carico del committente per i 2/3 e a carico del collaboratore per il terzo rimanente, ma l’obbligo del versamento è compito esclusivo del committente  forte similitudine tra il meccanismo che caratterizza la contribuzione previdenziale nel rapporto subordinato e quella che caratterizza la contribuzione previdenziale nel caso delle CO.CO.CO. Dobbiamo ricordarci che il principio di automaticità delle prestazioni non è soltanto rilevante per le prestazioni pensionistiche MA è anche rilevante per tutte quelle prestazioni economiche il cui diritto è condizionato dalla presenza di versamenti contributivi precedenti  per esempio l’assegno di maternità è una prestazione che ha come condizione per potervi accedere quella di avere accumulato (per i lavoratori CO.CO.CO) almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di maternità  su questo tema il legislatore è intervenuto in favore dei CO.CO.CO perché nel 2015 ha modificato una disposizione del Testo unico in materia di maternità e paternità  l’Art. 64 prevede “LeI lavoratori e le lavoratrici iscritte alla gestione separata e non iscritte ad altre forme obbligatorie, hanno diritto all’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento alla gestione dei relativi contributi previdenziali da parte del committente”  il legislatore ha esteso espressamente, a questa categoria di lavoratori, l’operatività del principio di automaticità delle prestazioni in relazione alle indennità di maternità. Teniamo conto che per quanto riguarda l’indennità di diritto al congedo parentale non vi è stata un’estensione esplicita del legislatore quindi si potrebbe sostenere che per i lavoratori CO.CO.CO continua ad essere riconosciuto questo diritto soltanto nel caso in cui sussista il versamento effettivo di almeno tre mensilità nel dodici precedenti. Queste disposizioni del 2015 che hanno introdotto l’Art. 64 ter. al Testo Unico per la maternità e per la paternità si applicano in favore delle lavoratrici e dei lavoratori parasubordinati in quanti costoro non sono responsabili dell’obbligazione contributiva che è in capo al committente ed è proprio per questo che questa norma non è applicabile in favore dei lavoratori iscritti alla gestione separata che sono responsabili dell’adempimento contributivo come i liberi professionisti iscritti alla gestione separata. Un altro intervento del legislatore vi è stato nel 2010 con la legge 183/2010 ha esteso ai committenti la disciplina sanzionatoria in materia di versamenti contributivi, in particolar modo il legislatore ha stabilito che l’omesso versamento delle ritenute operate dal committente sui compensi dei lavoratori CO.CO.CO configura un’ipotesi di reato così come prevista dalla legge  quindi dal punto di vista sanzionatorio la figura del committente è stata equiparata alla figura del datore di lavoro. Un operazione importante di estensione di questo principio alle figure dei CO.CO.CO è stata svolta negli ultimi anni dalla giurisprudenza  a fare da apri pista è stata una sentenza del tribunale di Bergamo del 2013  ha capovolto l’interpretazione dell’INPS  sentenza che è stata ribaltata dalla Corte d’Appello di Brescia l’anno successivo ha dato il via ad una giurisprudenza di merito alquanto nutrita che ha visto contrapporsi posizioni diversificate anche e la giurisprudenza maggioritaria sembra orientata a favore dell’operatività del principio di automaticità delle prestazione in favore dei CO.CO.CO. - Di ordine temporale  con riferimento all’assicurazione a tutela dell’invalidità e dei superstiti il principio dell’automaticità delle prestazioni opera per i contributi che non siano stati versati ma che non si siano ancora prescritti e soltanto per questi  il termine di prescrizione dal 1995 è passato, nella grande maggioranza dei casi, dai 10 ai 5 anni. Nella materia previdenziale vice il principio della irricevibilità dei contributi prescritti  in deroga al diritto comune, rispetto al quale ai sensi dell’Art. 2937 c.c. vi è la possibilità di rinunciare agli effetti della prescrizione da parte di chi avrebbe interessa di farla valere, questa possibilità è esclusa nell’ambito previdenziale  non è possibile effettuare versamenti contributivi, per regolarizzare inadempimenti, una volta che quell’obbligo contributivo è prescritto. Rispetto a questa importante limitazione ordinamento ha individuato alcuni correttivi, i principali sono: 37 bloccare completamente la rivalutazione per pensioni che superano i 1500 euro mensili  introdotto dall’Art. 24 comma 25 del decreto-legge 201/2011 (Decreto Salva Italia) convertito poi in l.n. 214/2011.  “Le«inin considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, co. 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 %” Una limitazione così gravosa ha determinato la rimessione di una questione di costituzionalità nuova di fronte alla Corte costituzionale, la quale con Sentenza n.70/2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’Art.24 comma 25 del Decreto Salva Italia  la Corte costituzionale afferma che questa disposizione è irragionevole, irrazionale e non è proporzionale inoltre contesta al legislatore di non aver operato di un bilanciamento corretto degli interessi in gioco, che è necessario svolgere quando si è di fronte all’esigenza di un risparmio di spesa. La Corte sottolinea che la disposizione che ha azzerato il meccanismo perequativo richiama soltanto genericamente la situazione finanziaria contingente e non emerge la prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti che sono oggetto di bilanciamento  l’intervento è fortemente incisivo ma dalla legge che lo ha introdotto non emerge una giustificazione che vada a comprovare la necessità di fare prevalere l’esigenza finanziaria sulle aspettative dei singoli soggettivi  “LeL’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultato dunque intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale fondati su inequivocabili parametri costituzionali, e cioè la proporzionalità del trattamento di quiescenza inteso quale retribuzione differita e l’adeguatezza di cui all’Art.38 comma 2 della Costituzione”  con questa frase finale la Corte sintetizza il suo pensiero e dichiara l’illegittimità costituzionale dell’Art.24 comma 25. Nel frattempo, però la legge di stabilità del 2014 aveva superato il blocco biennale del 2012 e 2013 e aveva ridisciplinato la materia e aveva previsto una rivalutazione piena, per il triennio 2014/2015/2016 e poi queste disposizioni erano state procrastinate anche per il biennio 2017/2018, per le pensioni di importo fino a tre volte il trattamento minimo e poi la rivalutazione era stata prevista in maniera gradualmente discendente per i trattamenti di importo superiore  95% per pensioni pari a tre e quattro volte il trattamento minimo, per arrivare ad un minimo del 45% della rivalutazione per le pensioni superiori a sei volte il trattamento minimo. Quindi il blocco introdotto nel 2011 era stato rivisto nel 2014 MA la perequazione non era stata totalmente ripristinata. In risposta alla pronuncia di illegittimità della Corte costituzionale il Governo emana il decreto-legge n. 65/2015 il quale prevede che per il biennio 2012/2013 era necessario prevedere una rivalutazione nella misura del 40% per i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo, pari al 20% per i trattamenti pensionistici superiori a quattro volte il trattamento minimo, per il 10% per le pensioni superiori a cinque volte il trattamento e veniva totalmente azzerata la rivalutazione per le pensioni superiori a sei volte. A fronte di una risposta di questo tipo ci si è chiesti se sia stato rispettato il dettato della sentenza 70/2015  molti giudici hanno ritenuto che la soluzione del Governo non fosse aderente ai principi della sentenza della Corte  venne rimessa una nuova questione alla Corte costituzionale decisa con la sentenza 250/2017 la quale ha rigettato la questione. La Corte motivando il rigetto della questione afferma che non si tratta di una mera riproduzione del Decreto Salva Italia, è una disciplina nuova e diversa, si riconosce in misura proporzionale e decrescente una rivalutazione per le pensioni comprese tra quattro e sei volte il trattamento minimo e dunque secondo la Corte costituzionale non vi è stata una violazione del dettato costituzionale della sentenza 70/2015.  “LeNella costante interazione tra i principi costituzionali racchiusi negli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione si devono rinvenire i limiti alle misure di contenimento della spesa, che in notevoli contesti economici hanno inciso sui trattamenti pensionistici. L’individuazione di un equilibrio tra i valori coinvolti, di cui agli articoli precedentemente enunciati, determina la non irragionevolezza delle disposizioni censurate”  40 la Corte mette in rilievo che nel decreto-legge 65/2015 il legislatore non ha violato i principi nella sua opera di bilanciamento di esigenze contrapposte. Il meccanismo di perequazione è stato rivisto per il triennio 2019/2020/2021 e poi con la legge di bilancio per il 2020 nel dicembre scorso per il biennio 2020/2021 con una disciplina molto simile  la nuova disciplina riconosce la perequazione sulla base di sei fasce che hanno aliquote decrescenti  per il biennio 2020/2021 si ha una perequazione totale per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo e via via si decresce  il 97% per le pensioni tra quattro e cinque volte il trattamento minimo, il 77% per le pensioni tra cinque e sei e via di seguito. Si prevede per le pensioni superiori a nove volte il trattamento minimo una perequazione pari al 40%  quindi di fatto la rivalutazione è piena per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo, decresce via via ma comunque è garantita fino al 40% per le pensioni fino a nove volte il trattamento minimo. LEZIONE 10 Principio di ricongiunzione e totalizzazione Questa ulteriori misura di garanzia in realtà è un insieme di misure di garanzia predisposte dall’ordinamento  facciamo riferimento alla ricongiunzione, alla totalizzazione, il cumulo  meccanismo che trovano ragione d’essere nella struttura pluralistica del nostro regime previdenziale  ogni forma previdenziale è pensata come autosufficiente e “Leimpermeabile” alle altre  nel caso in cui vi siano situazioni di mobilità professionale (transito da lavoro subordinato a lavoro autonomo o viceversa ecc.) la posizione dei lavoratori, che hanno contribuito presso diverse gestioni o presso diverse casse previdenziali, si fraziona in funzione dell’autosufficienza della singole gestioni e casse previdenziali, con il rischio di non maturare in nessun fondo il requisito contributivo minimo per accedere a determinate prestazione a formazione progressiva come le prestazioni pensionistiche. Domanda  La garanzia costituzionale, che impone di individuare mezze adeguati di tutela, viene rispettata se mancano nell’ordinamento sistemi di collegamento tra diverse gestioni, fondi o casse che possono consentire di ricomporre queste anzianità contributive chiamate pluriregime? Ovviamente la risposta è negativa, in mancanza di meccanismi che possano ricomporre in unità questo frazionamento la garanzia costituzionale di adeguatezza della prestazione non sarebbe rispettata. Questi meccanismi hanno come obiettivo quello di riunificare i vari spezzoni per permettere il cumulo degli stessi. I meccanismi sono: Il meccanismo di ricongiunzione permette che i singoli versamenti contribuitivi vengano materialmente trasferiti da un regime ad un altro, c.d. di confluenza finale, con l’obiettivo di essere fatti valere interamente nel regime di confluenza finale.  prevede un cumulo materiale dei versamenti contributivi  i contributi materialmente si spostano da uno o più regimi ad un regime di confluenza finale che sarà il regime che verserà la prestazione finale. È un meccanismo che persegue due obiettivi 1. Ricomporre le anzianità contributive che il lavoratore ha maturato regimi diversi  come gli altri due meccanismi; 2. Massimizzare i rendimenti  avere una prestazione più elevata e quindi avere un rendimento massimo. La ricongiunzione è stata disciplinata con la l.n. 29/1979, la quale poi è stata più volte modificata, essa non prevede solo il computo cumulativo dei vari periodi assicurativi MA prevede proprio il trasferimento effettivo dei contributi da una gestione ad un'altra, quindi di fatto si realizza una concentrazione dei contributi in un unico regime di confluenza finale  in linea con l’obiettivo di massimizzazione dei rendimenti sarà il regime più favorevole cioè quello che offre prestazioni finali più favorevoli. Questo trasferimento effettivo dei contributi permette che tutto il periodo assicurativo riunificato possa essere considerato come svolto presso il regime di confluenza finale, quindi il trattamento pensionistico finale sarà calcolata nel suo complesso secondo quel regime, come se il soggetto avesse sempre contribuito presso quella gestione. 41 Il punto debole della ricongiunzione è che il trasferimento molto spesso comporta un costo per chi lo compie, l’onerosità è un ostacolo all’utilizzo della ricongiunzione. In questa materia è intervenuta nel 1999 la Corte costituzionale con la sentenza 61/99 la quale ha dato l’avvio a tutta l’evoluzione normativa in maniera di totalizzazione. La sentenza 61/99 è una sentenza interpretativa di accoglimento della Corte, con cui la Corte censura l’assenza di un meccanismo di ricomposizione che sia gratuito alternativo alla ricongiunzione, proprio in relazione all’onerosità di tale meccanismo. La Corte asserisce che un meccanismo alternativo gratuito è costituzionalmente necessario. In quel caso era stato posto sotto esame della consulta gli articoli 1, 2 della l.n. 45/90 che prevedevano alcune disposizioni per la ricongiunzione dei periodi assicurativi valide per i liberi professionisti. Queste norme non prevedevano un’alternativa alla ricongiunzione onerosa in favore del lavoratore assicurato che non avesse maturato un diritto ad un trattamento pensionistico in una delle gestioni in cui aveva versato i contributi. La ricongiunzione onerosa era l’unica alternativa possibile. Nella sentenza 61/99 la Corte afferma “LeIl principio della totalizzazione dei periodi assicurativi consente al soggetto - in possesso dei requisiti dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva in virtù di una fictio iuris, potendosi a tal fine sommare i periodi di iscrizione a diverse gestioni - di percepire da ciascun ente previdenziale, in base al criterio del pro-rata, una quota della prestazione proporzionata al periodo di iscrizione, calcolata applicando le norme in vigore per l’ente medesimo. Il riconoscimento ai liberi professionisti del diritto alla totalizzazione non comporta l’impropria estensione di norme previdenziali destinate a consentire la ricongiunzione in ipotesi non comparabili con quelle in esame. D’altro canto, l’accoglimento della questione entro i limiti di seguito specificati è imposto dall’esigenza di neutralizzare, con l’introduzione del diritto alla totalizzazione (per il caso in cui essa rappresentasse l’unica possibilità di accesso alla prestazione pensionistica), elementi di irrazionalità ed iniquità che la disciplina impugnata evidenzia, La ricongiunzione così come disciplinata dalle disposizioni censurate può rimanere nell’ordinamento senza vulnerare i princìpi costituzionali invocati dai rimettenti solo se ridotta a mera opzione - più vantaggiosa, ma anche più costosa per l’assicurato - alternativa alla totalizzazione dei periodi assicurativi, il ricorso alla quale il legislatore deve rendere sempre possibile fino a quando in una delle gestioni dove è iscritto l’interessato non abbia maturato i requisiti di età e di anzianità contributiva, e dal momento che l’onere di ricongiunzione potrebbe risultare talmente elevato da precludere l’esercizio del diritto di cui agli artt. 1 e 2 della legge n. 45 del 1990.” Vi sono state delle oscillazioni nella legislazione per quanto riguarda il carattere oneroso della ricongiunzione  fino ad un certo punto, indicativamente fino al 2010, il trasferimento dei contributi non era oneroso nel caso in cui il soggetto richiedesse l’accentramento dei contributi presso il regime generale, quindi da regimi speciali al regime generale, mentre nel caso contrario il trasferimento era sempre oneroso. Nel 2010 con una riforma legislativa anche la ricongiunzione presso il regime generale diventa oneroso con l’approvazione della l.n. 122/2010. Dobbiamo ricordare che la legge di stabilità per 2013 ha in parte ripristinato la gratuità, in particolare per i lavoratori dipendenti che richiedevano una ricongiunzione individuando come regime di confluenza finale il regime generale. La stessa legge di stabilità per il 2013 ha introdotto il meccanismo del cumulo, il quale permette di riunificare le contribuzioni versate senza oneri infatti si chiama cumulo gratuito a domanda. Originariamente vi erano importanti limitazioni al cumulo, ad esempio era possibile richiederlo per ottenere la pensione di vecchiaia, i contributi versati presso le casse dei liberi professionisti non potevano essere cumulati ecc. questi limiti verranno superati con la legge di bilancio per il 2017 ed effettivamente in alcuni casi l’istituto del cumulo può essere più vantaggioso per i lavoratori soprattutto dal punto di vista del calcolo del trattamento pensionistico.  ad esempio: attraverso il cumulo è possibile sommare i periodi accreditati nelle diverse gestioni mantenendo le regole di calcolo previste in ciascuna gestione. Nella totalizzazione invece il calcolo viene effettuato tramite il solo sistema contributivo. 42 finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”  Obbligo fondamentale. All’esito di questa valutazione il datore di lavoro ha l’obbligo di redigere il c.d. documento di valutazione dei rischi (D.V.R.) che conterrà tutta una serie di indicazioni come i criteri che sono stati seguiti nella valutazione, le misure di prevenzione e protezione che sono state adottate e anche il programma di misure che si ritiene di introdurre per migliorare nel tempo i livelli di protezione. Nell’assolvere tutta un insieme di obblighi posti in capo al datore di lavoro, quest’ultimo si avvale di una serie di figure come ad esempio: servizio di protezione e prevenzione (SPP)  servizio organizzato, in genere, all’interno dell’impresa dal datore di lavoro oppure il datore di lavoro può decidere di rivolgersi ad un SPP esterno all’impresa. Un'altra figura è quella del medico competente a cui il legislatore ha attribuito compiti fondamentali come quello di effettuare accertamenti preventivi e periodici sui lavoratori, volti a formulare il giudizio di idoneità della mansione. Vi è poi il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), eletto in tutte le unità produttive  i rappresentanti nell’ottica del T.U.S.L e del decreti legge hanno un rilievo centrale  sono consultati in maniera costante sulla valutazione dei rischi, ricevono le informazioni e la documentazione necessaria rispetto alla valutazione dei rischi, loro stessi possono promuovere l’individuazione delle misure di prevenzione, l’RLS deve fare ricorso alle autorità competenti nel caso in cui ritenga che le misure di prevenzione e protezione non siano idonee a garantire la sicurezza e la salute. In capo ai singoli lavoratori sono posti una serie di obblighi di cooperazione per il migliore funzionamento possibile delle norme di sicurezza  Art. 20 comma 1 del T.U.S.L. il quale afferma “LeOgni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.” a questo primo comma seguono una serie di indicazioni specifiche tra cui troviamo “Leb) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva e individuale; c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e le miscele pericolose, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza; d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro; i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.” Il decreto 626/94 e il testo unico garantiscono nuovi diritti in capo al lavoratore tra cui il diritto di allontanarsi dal posto di lavoro senza subire pregiudizio in caso di pericolo grave, immediato o che non può essere evitato, diritto di fromazione e informazione  con riferimento alla formazione il lavoratore ha diritto a ricevere una formazione adeguata con particolare riferimento alla propria postazione di lavoro e alle proprie mansioni. Questo è stato l’impianto già presente nel decreto 626/94 che è stato poi confermato nel testo unico MA vi sono state prima delle riforme che hanno indotto il legislatore a riformare la materia sia in ragione dei preoccupanti dati statistici relativi agli infortuni sul lavoro soprattutto relative alle morti sul luogo di lavoro (morti bianche) e in relazione ad alcuni episodi tragici successi relativi alla vicenda ThyssenKrupp nel dicembre del 2007  sull’onda di questa drammatica vicenda il legislatore ha avuto la spinta tra il 2007/2008 per varare una riforma legislativa delle norme di prevenzione  con la legge delega 123/2007 e con il decreto legislativo 81/2008 (T.U.S.L.) viene impostata una nuova linea regolativa che ha l’obiettivo sia di affrontare e tentare di 45 risolvere fenomeni nuovi (Decentramenti produttivi, appalti interni, crescente lavoro nero, flessibilizzazione del lavoro) e sia affrontare fenomeni preesistenti che sono peggiorati. Quanto alle innovazioni possiamo dire che dal 2008 cambiano le norme sul campo di applicazione della tutela sia soggettivo che oggettivo  il campo di applicazione viene ampliato, quindi più lavoratori vengono raggiunti dalla tutela. In secondo luogo, vengono modificate le disposizioni sugli obblighi connessi ai contratti di appalto interni (contratti di opere e servizi che vengono svolti all’interno delle aziende che commissionano questi appalti)  questi ultimi sono così importanti perché più dell’80% degli incidenti mortali avvengono nell’ambito degli appalti di opere, in particolar modo nell’ambito dei subappalti  si parla di rischi da interferenze nelle lavorazioni  Art. 26 comma 3 impone un obbligo di cooperazione e coordinamento al datore di lavoro in caso di appalto interno  obbligo di elaborare un documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI), questo documenti deve indicare le misure che si intende adottare per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze nelle lavorazioni. Questo documento viene allegato al contratto di appalto e deve essere aggiornato nel corso dell’appalto. L’Art. 26 al comma 5 T.U.S.L. afferma che nei singoli contratti di appalto e subappalto devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i costi delle misure adottate per eliminare o ridurre i rischi derivanti dalle interferenze, inoltre questi costi non sono soggetti a ribasso. Su questo tema torna il comma 6 affermando che nella stessa predisposizione delle gare di appalto gli enti aggiudicatori devono valutare che il valore economico dell’appalto sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza  attenzione peculiare posta rispetto ai costi della sicurezza. Attraverso queste disposizioni si dovrebbe garantire la esatta individuazione dei costi della sicurezza e anche la valutazione adeguata della loro congruità all’oggetto dell’appalto  questo perché si vuole evitare che vengano negoziate questi oneri ed evitare il rischio che l’appaltatore per aggiudicarsi l’appalto effettui dei ribassi eccessivi che poi obbligherebbero l’impresa a riduzioni di spesa consistenti per eseguire l’appalto. La terza e ultima osservazione sulle innovazioni introdotte nel biennio 2007/2008 è il fatto che vengano rafforzate le norme sanzionatorie per contrastare tutti questi rischi legati in particolar modo al lavoro irregolare e altri.  l’Art. 14 del T.U.S.L. amplia il potere sanzionatorio degli ispettori prevedendo che nel caso di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza gli ispettori possano adottare provvedimenti di sospensioni dell’attività imprenditoriale, al quale si può accompagnare un provvedimento che impedisce all’azienda di partecipare a gare pubbliche di appalto per il periodo di sospensione dell’attività imprenditoriale. Più in generale in quel biennio si imposta una linea di rafforzamento del sistema sanzionatorio anche attraverso un aumento significativo delle pene detentive e pecuniarie in funzione deterrente per i livelli ancora troppo alti di mancato rispetto delle norme. Nel 2009 il quadro sanzionatorio venne attenuato. La stessa assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e la malattia professionale svolge, in maniera indiretta, un ruolo di prevenzione generale. Tutti i contributi assicurativi dovuti dai soggetti all’INAIL sono calcolati anche in ragione degli infortuni che si sono verificati nel periodo precedente, sia nel settore produttivo di appartenenza del soggetto tenuto alla contribuzione sia nella specifica azienda. Inoltre, il sistema prevede dei meccanismi premiali  i contributi vengono ridotti per le imprese che attuano programmi di tutela della salute previsti dalla legge. Nonostante l’apparato complesso e sofisticato di misure di prevenzione le statistiche sugli infortuni sul lavoro sono comunque alta e preoccupanti. Soffermiamoci su questi dati prodotti dalla Relazione annuale del 2019 dal Presidente dell’INAIL. 46 Questa tabella ci fornisce i dati delle denunce di infortunio nel periodo tra il 2015 e il 2019, dato sostanzialmente stabile negli ultimi cinque anni. Nel 2019 abbiamo avuto quasi 645 mila denunce di infortunio, di cui più dell’80% in occasione di lavoro e più del 15% in itinere. Gli infortuni in occasione di lavoro avvengono in azienda o al di fuori dell’azienda, l’infortunio in itinere avviene nel tragitto casa-lavoro o lavoro-luogo di consultazione dei pasti, o tra due sedi di lavoro  tutti questi tragitti comportano, in alcune condizioni, una tutela nel caso avvenga un infortunio. Questa tabella invece ci fornisce i dati sugli infortuni accertati dall’INAIL e indennizzati perché ricorrono tutte le condizioni che la legge prevede per l’indennizzabilità dell’infortunio. Il valore totale è poco superiore a 405 mila casi in relazione alle 645 mila denunce, di cui circa il 19% avviene fuori dall’azienda. Circa l’80% avviene nel settore dell’industria e dei servizi. In questa tabella invece ci dà il dato delle denunce di infortunio 47 Nel confronto tra uomini e donne notiamo che vi è un aumento sia per la componente femminile che maschile. Questi dati devono essere confrontati con le denunce da contagio COVID-19 presentate in questi mesi. Fino al 31 luglio 2020 sono stati denunciati più di 51 mila contagi da COVID-19 sul lavoro, di cui più del 71% sono denunce di lavoratrici donne e poco più del 28% di lavoratori uomini. In questo grafico vengono riportati i dati sulle denunce dei casi mortali fino al 31 luglio per COVID-19. In totale ci sono state 276 denunce, di cui più dell’83% di lavoratori uomini e più del 16% di lavoratrici donne. LEZIONE 12 ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI Origini ed evoluzione 50 La prima assicurazione sociale è stata un’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nata nel 1898 con la legge n. 80 nella fase liberale della previdenza sociale. La storia dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è scandita da alcuni interventi fondamentali, ne individuiamo principalmente otto: 1. L.n. 80/1898  ha reso obbligatoria l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro solo per i datori di lavoro del settore industriale per i soli operai. Si trattava di una vera e propria assicurazione per la responsabilità civile del datore di lavoro, la quale poteva essere stipulata con qualsiasi assicurata secondo una libera scelta del datore di lavoro, così è stato per più di trent’anni. La nascita di questa forma di assicurazione fu fondamentale nell’evoluzione del nostro ordinamento previdenziale perché aveva una vera e propria funzione sociale poiché era obbligatoria e perché non limitava la tutela degli infortuni da quelli determinati da colpa del datore di lavoro MA estendeva la tutela agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o anche colpa non grave del lavoratore  questo fu il cambiamento radicale che avvenne nel 1898. Si delineava una responsabilità oggettiva dell’industria. 2. Decreto legislativo n. 1450/1917  ampliamento della tutela che viene estesa anche ai lavoratori agricoli. 3. Nel 1929 alla tutela contro gli infortuni sul lavoro si affianca la tutela contro le malattie professionale. Nel 1929 le malattie tutela erano solo 6, via via con il passare del tempo il numero delle malattie verrà ampliato. Nel 1943 verranno considerate come malattie professionali asbestosi e la silicosi. 4. Nel 1933 la gestione dell’assicurazione viene affidata ad un ente pubblico, dopo più di trent’anni in cui il datore di lavoro sceglieva l’assicuratore presso cui assicurarsi. All’epoca l’ente pubblico presso cui bisognava obbligatoriamente rivolgersi si chiamava INFAIL  la F fascista si perse poi con il venir meno del periodo corporativo. 5. Testo Unico n. 1765/1935 attraverso il quale viene unificata la disciplina sugli infortuni sul lavoro e quella delle malattie professionale. Questo testo inoltre è importante perché viene introdotto e generalizzata il principio dell’automaticità delle prestazioni in riferimento a queste due tutele. Dal 1917 questo principio vigeva solo per i lavoratori dell’agricoltura. Un'altra ragione per cui questo provvedimento è importante è che da quel momento si inizierà a dare importanze anche alle prestazioni sanitarie e non solo alle prestazioni economiche perchè l’obiettivo da allora in poi sarà quello di recuperare le capacità di lavoro dell’infortunato. 6. Testo unico 1124/1965  provvedimento più importante fino a questo punto, passata la fase fascista e approvata la Costituzione. il testo unico è tutt’ora vigente e attraverso di esso è stata sistemata tutta la disciplinata, il Testo Unico ha raccolto tutte le norme risistemandole e modificandole. Il testo unico affida all’INAIL il monopolio sostanziale della gestione dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali per quanto riguarda la tutela economica. 7. L.n. 833/1978  Istituisce il Servizio Sanitario Nazionale  La tutela sanitaria in caso di infortuni è assicurata dal SSN salvo alcune residue prestazioni sanitario che fanno ancora capo all’INAIL. 8. Decreto legislativo 38/2000  ha introdotto nel testo unico diverse innovazioni, alcune delle quali fondamentali. Si riscontra in questa disciplina una insolita continuità sia logica, metodologia che tecnica tra la legge delle origini e le norme oggi vigenti contenute nel testo unico. Certamente questa materia, a differenza delle altre, ha subito una evoluzione legislativa meno intensa delle altre e in ogni caso le modifiche si sono rivelate più omogenee, con un disegno legislativo più chiaro rispetto alle ambiguità che ritroviamo nelle altre forme di assicurazione. Finanziamento della tutela Le due peculiarità fondamentali del finanziamento di questa assicurazione sono: 51 1. I mezzi finanziari per erogare le prestazioni di natura economica vengono reperiti interamente per via contributiva. 2. I premi assicurativi (contributi dovuti) nel caso del rapporto di lavoro subordinato sono totalmente a carico del datore di lavoro  deroga all’ordinamento previdenziale, il quale prevede una contribuzione parzialmente a carico del lavoratore e parzialmente del datore di lavoro. nel caso in cui il soggetto protetto sia un lavoratore parasubordinato allora egli sarà tenuto al versamento di 1/3 della contribuzione mentre i restanti 2/3 saranno a carico del datore di lavoro committente. Nel caso del lavoro autonomo si tratterà di una contribuzione versata dallo stesso lavoratore autonomo, come anche nel caso dei soggetti che si occupano di attività di cura della famiglia (casalinghi). Per quanto riguarda invece, il finanziamento delle prestazioni di natura sanitaria erogata della SSN, abbiamo un’imputazione degli oneri di finanziamento in capo alle regioni. I premi assicurativi sono dovuti in proporzione alle retribuzioni, inoltre visto che i rischi sono molto differenziati in relazione alle diverse attività lavorative che vengono svolte, anche i contributi variano in maniera notevole  i costi di copertura contro i rischi che un datore deve sopportare per un commesso o per un addetto ad uno scavo sono diversi  Abbiamo una specificità della tutela in caso di infortuni. Nel momento in cui si deve determinare la tariffa del premio, la legge prevede che si debbano combinare tra loro diversi parametri, individuati dall’ Art.3 del decreto legislativo 38/2000. Nel 2019 sono state introdotte e hanno trovato applicazione le nuove tariffe dei premi, aggiornate dopo circa 20 anni, per essere adeguate ai cambiamenti che sono avvenuti nel mondo del lavoro. questo aggiornamento ha comportato che alcune voci di tariffa sono state eliminate, alcune accorpate e alcune sono state istituite e quindi sono nuove voci (sviluppo di software, consegna di merce su veicoli a due ruote su strade urbane ecc.). questo aggiornamento ha determinato un abbattimento importante dei tassi medi di tariffa e questo ha comportato meno risorse per l’INAIL. I fattori sono: 1. Inquadramento settoriale  le aziende, nell’ambito della tutela Inail, sono ricondotte a 4 macrosettori: a. Industria; b. Artigianato; c. Terziario  attività commerciali; d. Altre attività  enti pubblici, enti locali, assicurazioni ecc. È molto rilevante l’inquadramento settoriale  l’appartenenza ad un settore piuttosto che un altro determina una diversa tariffa; 2. Tipologia di attività a cui sono addetti i vari gruppi di lavoratori assicurabili  classificazione che viene fatta in base al criterio del rischio medio nazionale  ogni attività ha un proprio rischio medio nazionale dato dal rapporto di: a. I costi che l’INAIL ha sostenuto per gli infortuni e le malattie personali occorse alle persone addette ad una certa lavorazione; b. L’ammontare complessivo delle retribuzioni erogate al complesso dei lavoratori addetti a quella lavorazione. 3. Rischio specifico aziendale  misura l’andamento infortunistico aziendale, il quale può essere superiore o inferiore al rischio medio nazionale. Anche in questo caso il rischio medio aziendale sarà calcolato attraverso il rapporto tra: a. I costi versati dall’INAIL ai lavoratori infortunati di quell’azienda; b. Le retribuzioni versate. Così ci potrà essere una oscillazione del premio  se l’azienda ha un andamento degli infortuni favorevole, quindi il rischio medio aziendale è inferiore al rischio medio nazionale, allora il premio potrà essere ridotto. Se invece il rischio medio aziendale è superiore al rischio medio nazionale allora il premio oscillerà verso l’alto e sarà maggiore. Nel caso di infortunio da contagio COVID-19 l’INAIL ha 52 La legge ci chiede che l’infortunio sia derivato da una causa che di regola viene definita esterna, efficiente e rapida  differenza tra la causa violenta dell’infortunio e la causa della malattia professionale, la quale invece è lenta e non efficiente e rapida come per l’infortunio. Con gli aggettivi esterna, efficiente e rapida viene subito in mente un evento traumatico, MA non possiamo far coincidere l’infortunio solo con gli eventi traumatici, perché una causa violenta può essere anche quella che produce un effetto patologico differito purché la causa iniziale sia violenta.  l’infortunio a causa di una polmonite da refrigerazione (polmonite causata da un improvviso abbassamento termico)  il lavoratore in seguito ad un abbassamento improvviso delle temperature sul luogo di lavoro avrà diagnosticata una polmonite qualche giorno dopo  effetto patologico differito ma causa iniziale violenta.  stessa cosa avviene per una causa virulenta o un forte stress emotivo (in seguito ad una rapina in banca)  anche l’infortunio da COVID-19 è stato ricondotta nell’infortunio virulento. LEZIONE 13 Problema  come stabilire se l’infezione sia stata a lavoro o meno? L’INAIL ha distinto due fondamentali categorie di lavoratori nella circolare INAIL n.13/2020: - Lavoratori che sono esposti ad un elevato rischio sanitario  personale sanitario, lavoratori che si trovano a contatto con il pubblico  per questi l’INAIL riconosce una presunzione dell’origine professionale  si presume che l’occasione di lavoro ci sia e l’infezione sia stata contratta nell’ambiente lavorativo. Si tratta di una presunzione semplice che permette la prova contraria  l’Inail Può provare che il contatto sia stato effettuato in ambito familiare  inversione dell’onere della prova  è l’INAIL che deve provare che il contagio non ha origine lavorativa. - Tutti gli latri lavoratori che dovranno allegare e approvare i fatti e le circostanze dalle quali desumere che il contagio sia avvenuto nel luogo di lavoro. La giurisprudenza definisce la causa violenta come un’azione rapida ed efficiente che agisce in linea di massima dall’esterno in modo da recare un danno all’organismo del lavoratore. In particolare, la giurisprudenza si è più volte occupata dell’infortunio dovuto da un infarto domandandosi se un infortunio di questa tipologia sia o meno indennizzabile  tra le tante pronunce evidenziamo la sentenza n. 26231/2009 interessante perché spiega a quali condizioni un infortunio a seguito di un infarto è indennizzabile  i fatti vedevano un lavoratore deceduto improvvisamente a causa di un arresto cardiaco mentre svolgeva un servizio di vigilanza presso l’uscita del giudice di pace, i familiari superstiti avevano affermato che il proprio familiare nell’adempiere questo servizio di vigilanza era esposto a un continuo stress psicologico, aveva subito degli atti di intimidazione, al momento del decesso nei locali in cui si trovava vi era un caldo eccessivo, i familiare sostenevano che il decesso era da considerarsi come infortunio sul lavoro. l’INAIL aveva in prima battuta rifiutato la qualifica di infortunio, ed eccepiva che non c’era la prova del nesso causale tra l’attività lavorativa e l’evento morte e inoltre sottolineava che il lavoratore era già affetto da una cardiopatia ipertensiva. Il giudice di secondo grado dava torto ai familiari del deceduto poiché non è sufficiente che la morte si intervenuta durante l’orario di lavoro perché occorre la prova di un nesso causale e non un semplice collegamento tra i fatti. Secondo il giudice di secondo grado non rientra uno stress emotivo psicologico ricollegabile al lavoro e quindi non vi è uno stress eccessivo che possa causare un infarto e conseguentemente la morte del lavoratore, dunque si doveva ritenere che la morte fosse dovuta alla patologia del deceduto e non avesse origine professionale. I familiare del lavoratore fanno ricorso alla cassazione, il quale viene respinto con argomentazioni simili al giudice di secondo grado affermando che: “LeNon è revocabile in dubbio che infarto, anche in un soggetto già sofferente di cuore o iperteso, possa costituire infortunio sul lavoro MA la prova che tale evento, normalmente ascrivibile ad una causa naturale, sia stato causato o concausato da uno sforzo ovvero dalla necessità di vincere una resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del lavoro, il quale abbia richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità. Sulla base egli accertamenti dei giudici di primo e secondo grado manca la prova di questo evento anormale che è l’unica possibilità di ricondurre l’infarto a infortunio sul lavoro”  non è sufficiente, per qualificare 55 infortunio un decesso, il legame cronologico o topografico, è necessario che ci sia la prova di un nesso causale o concausale del decesso con l’attività lavorativa. Occasione di lavoro Che cosa significa occasione di lavoro? quale significato è stato dato nel corso del tempo dalla giurisprudenza a questa espressione? Innanzitutto, dobbiamo sottolineare che la legge non richieda che l’infortunio debba accadere a causa del lavoro, se chiedesse un nesso di causalità diretta gli eventi rispetto ai quali si ha la prestazione previdenziale sarebbero molto meno numerosi. Non è un causo che il legislatore usi l’espressione “Leoccasione di lavoro” e non “Lecausa di lavoro”, la legge quando ha voluto subordinare il diritto alla prestazione previdenziale all’esistenza di un nesso di causalità diretto lo ha fatto espressamente con la forma “Lea causa di lavoro”. Vi è stato un amplissimo dibattito giurisprudenziale sul significato da attribuire a questa espressione, possiamo dire che l’occasione di lavoro si realizza tutte le volte che lo svolgimento di un’attività lavorativa, pur non essendo la causa di retta, costituisca comunque l’occasione dell’infortunio  tutte le volte in cui l’attività lavorativa abbia determinato l’esposizione del soggetto protetto al rischio del verificarsi di un infortunio  in questo caso vi è un nesso eziologico indiretto tra evento e lavoro anche se non sta svolgendo la sua mansione. Una particolarità viene rivestita dall’infortunio in agricoltura, viste le speciali condizioni di lavoro il legislatore ritiene che l’occasione di lavoro debba essere presunta fino a prova contraria  essendo difficile separare la sfera privata e la sfera lavorativa. Quale rilievo ha la colpa del lavoratore infortunato? Il nesso tra lavoro e infortunio non è interrotto dalla colpa del lavoratore nello svolgere le sue mansioni. La legge esclude l’indennizzabilità solo se l’infortunio è determinato dal dolo del lavoratore  Art. 65 del T.U ci dice “LeL'assicurato, il quale abbia simulato un infortunio o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso, perde il diritto ad ogni prestazione, ferme rimanendo le pene stabilite dalla legge.” Vi è però una situazione non facile da definire che ha impegnato molto la nostra giurisprudenza  ipotesi di comportamento colposo del lavoratore che però non sia collegato alla esecuzione del lavoro  esempi di rischio elettivo, intendendo un rischio aggiuntivo che è stato attivato in maniera colposa dal lavoratore  esempio: stato di ubriachezza in seguito al quale vi è l’accadimento di un infortunio, o l’infortunio che avviene perché il lavoratore compie dei giochi di destrezza con gli attrezzi di lavoro. In questi casi si ritiene che venga meno l’occasione di lavoro, si interrompe questo nesso occasionale  l’onere di provare il rischio elettivo incombe sul datore di lavoro. Prendiamo in esame la sentenza della corte di cassazione n. 15047/2007, la quale conclude la vicenda processuale di un lavoratore mandato dal datore di lavoro ad un corso di perfezionamento antincendio presso la sede del corpo permanente dei vigili del fuoco e durante una pausa il lavoratore era caduto nel vano dove era collocato il discensore dei vigili del fuoco, vano al quale il lavoratore si era avvicinato per curiosità. L’INAIL aveva rifiutato la prestazione infortunistica al lavoratore, il quale aveva fatto ricorso. Il giudice di Appello aveva riconosciuto che l’incidente era avvenuto in ambiente di lavoro e durante l’orario lavorativo, perché nel periodo lavorativo va compreso il periodo della pausa, però aveva ritenuto che la caduta del lavoratore fosse la conseguenza di un rischio elettivo costituito dalla “Leincauta curiosità di volere osservare da vicino il vano in cui era allocato il discensore per i vigili, avvicinandosi tanto da perdere l’equilibrio e così cadere nello stesso. La cassazione ci ricorda che nella giurisprudenza il rischio elettivo viene configurato come limite che incide sull’occasione di lavoro escludendola, inoltre ci ricorda che il rischio elettivo si ha quando concorrono alcuni elementi  ci deve essere un atto volontario e arbitrario, nel senso di illogico e estraneo alle finalità produttive, aggiungendo che l’atto deve essere diretto a soddisfare impulsi meramente personali  la cassazione fa presente un’altra situazione esaminata in una sentenza precedente, nella quale aveva escluso la 56 sussistenza di un rischio elettivo perché in quel caso si trattava di un fattorino che andando contro le direttive aziendali aveva utilizzato un proprio ciclomotore per accelerare la consegna di cui era incaricato  in questo caso la cassazione aveva escluso il rischio elettivo perché nonostante il comportamento fosse vietato dal datore di lavoro vi era il nesso con la finalità produttiva. Per quanto riguarda il lavoratore caduto nel vano discensore, la cassazione afferma che nel caso sono presenti tutti gli elementi che la giurisprudenza ha individuato per definire il rischio elettivo, cioè: - La arbitrarietà  va inclusa anche la mera curiosità come nel caso specifico; - Estraneità del comportamento rispetto alle finalità produttive; - Creazione di un rischio ulteriore rispetto alle finalità lavorative. Grazie alla ricca elaborazione che la giurisprudenza ha elaborato sull’espressione “Leoccasione di lavoro è stato progressivamente ritenuto indennizzabile il c.d. infortunio in itinere  tipologia di infortunio che si distingue dall’infortunio in attualità di lavoro. Per infortunio in itinere si intende l’infortunio occorso nel tragitto casa - lavoro, o luogo di lavoro – luogo di somministrazione dei pasti. Il testo unico nella sua versione originaria non si occupava dell’infortunio in itinere, se non per quanto riguarda i lavoratori marittimi per i quali era riservato l’Art. 6 del T.U. questa disposizione veniva ritenuta eccezionale e confermava l’impossibilità di estendere in maniera indiscriminata la tutela anche a questa particolare tipologia di infortunio. Sin dagli anni ’60 era stata più volta delega al governo per disciplinare la materia degli infortuni in itinere MA quella delega era rimasta sempre senza esito e questa lacuna normativa si protrasse per quasi 40 anni. Nel frattempo, fino all’Art. 12 decreto legislativo n. 38/2000, a questa lacuna aveva supplito la giurisprudenza, la quale con il passare degli anni aveva ampliato la possibilità di tutela gli infortuni occorsi ai lavoratori in itinere  inizialmente si partiva dalla considerazione che per il tragitto casa – lavoro e viceversa andava considerata come attività preparatoria e conclusiva rispetto all’attività lavorativa, però si richiedeva un surplus  che fosse connesso alle esigenze lavorative e che rendesse il rischio generico della strada un rischio aggravato per il lavoratore  la giurisprudenza aveva individuato degli elementi che rendevano aggravato questo rischio come una strada di montagna, in un orario inconsueto, in un luogo inconsueto, trasportando dei particolari strumenti di lavoro, facendo uso di particolari mezzi di trasporto richiesti dal datore di lavoro  tutti questi elementi erano una prova che era il lavoro ad aver esposto il lavoratore al rischio aggravato. Via via però la giurisprudenza ha ritenuto indennizzabile l’infortunio in itinere in modo più ampio anche in presenza di eventi che erano determinati al rischio generico della strada e quindi erano solo indirettamente occasionati dal lavoro  si inizia a considerare che il lavoratore non ha scelta se non quello di sottoporsi al rischio della strada per andare e tornare dal lavoro  grazie a questo cambiamento di prospettiva, che via via la giurisprudenza accoglie, si ritenne indennizzabile l’infortunio in itinere durante un percorso di strada fatto a piedi, con mezzi pubblici mentre in relazione all’infortunio occorso in caso di utilizzo del mezzo privato la giurisprudenza ha sempre richiesto che si accertasse la necessità dell’utilizzo del mezzo di trasporto privato. Richiedendo che fosse verificata la necessità del mezzo proprio grazie alla presenza di alcuni elementi che la giurisprudenza ha sottolineato  se il tragitto era coperto dai mezzi pubblici, la compatibilità degli orari dei mezzi pubblici con gli orari di lavoro, le condizioni dei mezzi pubblici (costi, disagio), salvaguardia della libertà di scelta del luogo di abitazione, esigenze familiari del lavoratore  tanti elementi che venivano presi in esame dalla giurisprudenza pe individuare questo elementi di necessarietà dell’utilizzo del mezzo privato, necessità in assenza della quale non vi sarebbe stata indennizzabilità dell’infortunio in itinere proprio a causa della mancanza di uno degli elementi fondamentali. Nel 1999 viene data nuovamente delega al governo a disciplinare la materia degli infortuni in itinere individuando come delega proprio il recepimento degli indirizzi consolidati della giurisprudenza in questa materia. Finalmente la delega viene esercitata dal governo che approva il decreto legislativo 38/2000, il cui articolo 12 codifica l’istituto dell’infortunio in itinere tenendo conto dell’orientamento consolidato dalla giurisprudenza  “LeSalvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale 57 della strada. La cassazione ricorda che è vero che bisogna tener conto delle esigenze del singolo ma non si può gravare la collettività di spese che sono collegate a comportamenti che non rientrano nel concetto di necessità strettamente inteso. Conclude dicendo che la sentenza impugnata non merita censura perché nel caso di specie siamo in presenza di mezzi di trasporto utili, quindi esiste un’alternativa per la lavoratrice, specificando che il risparmio di 40/50 minuti configurano una mera comodità personale e di conseguenza non giustifica l’indennizzabilità dell’infortunio. In diverse occasioni la giurisprudenza è andata a precisare questo suo orientamento restrittivo accordando l’indennizzabilità, a fronte dell’utilizzo di un mezzo provato, a fronte di situazioni particolari con quella della sentenza 13776/2008  l’attività lavorativa presa in esame dalla cassazione nel 2008 era un’attività che non consentiva di stabilire a priori la compatibilità dell’orario di lavoro rispetto agli orari dei mezzi pubblici, in questo caso la scelta dell’uso del mezzo privato era accettabile perché il lavoratore doveva garantirsi la possibilità di rientrare a casa dopo il lavoro. Il fatto di avere degli orari flessibili lo esponevo al rischio di terminare il lavoro ad orari in cui non erano più presenti mezzi pubblici o in difficoltà per tornare a casa, dunque l’utilizzo del mezzo privato è necessitato. LEZIONE 14 Durante l’emergenza sanitaria L’utilizzo del mezzo privato è considerato, per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica, necessitato secondo l’INAIL, questo in considerazione del rischio elevato di contagio che può derivare dall’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici. (circolare n. 2/2020). L’Art. 12 nel 2015 è stato integrato con una precisazione relativa all’utilizzo della biciletta  il collegato ambiente (l.n. 221/2015) ha previsto che l’uso del velocipede deve “Leper i positivi riflessi ambientali intendersi sempre necessitato”  a prescindere dalla lunghezza del percorso, al tempo e ad altri elementi. Anche prima di questa integrazione vi era un’interpretazione estensiva dell’Art. 12 poiché si riteneva sempre necessitato l’utilizzo della bicicletta purché l’infortunio si fosse verificato lungo un percorso protetto (pista ciclabile)  questa precisazione viene superato con il collegato ambiente. La sentenza 7313/2016 si è occupata di questo tema. La lesione L’assicurazione contro gli infortuni professionali è da sempre considerata da un’impostazione di carattere transattivo, nel senso che l’infortunio indennizzabile è soltanto l’infortunio da cui derivi una particolare lesione  non sono indennizzabili tutte le lesioni ma soltanto quelle previste dalla legge  infatti la protezione consiste in un indennizzo che viene determinato sulla base di apposite tabelle, le quali non garantiscono un ristoro pieno all’infortunato  non è garantita l’equivalenza tra il danno subito e la prestazione economica ricevuta dall’INAIL, la quale deve anche rispettare determinati massimali. L’art. 210 del T.U. ci dice “LeL'assicurazione secondo il presente titolo comprenda tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente il lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per lo più di tre giorni.”  Inoltre, l’Art. 13 del decreto legislativo 38/2000 ha integrato un infortunio dal quale sia derivato un danno biologico. Inabilità permanente assoluta e parziale È indennizzabile l’inabilità permanente assoluta che sia conseguenza di infortunio e che tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro, l’inabilità permanente può essere anche parziale quando si tratta di un’inabilità che diminuisce, in misura non inferiore al 10%, l’attitudine al lavoro  in entrambi i casi è necessario l’elemento della permeanza, requisito che non può essere inteso in maniera troppo rigorosa  non viene richiesto un giudizio di definitività assoluta dell’inabilità, ma viene richiesta una previsione di immodificabilità per un tempo ragionevole della situazione di inabilità. 60 L’inabilità permanente assoluta e parziale non devono essere inabilità specifiche riferite al lavoro che viene concretamente svolto dal lavoratore al momento dell’infortunio MA si tratta di un’inabilità generica rispetto a qualsiasi lavoro proficuo.  Sotto questo profilo vi è stata un’evoluzione nel corso del tempo perché inizialmente il fatto di riferirsi ad un’inabilità generica comportava il verificarsi di situazioni poco eque  esempio: a seguito di un infortunio il lavoratore assicurato diveniva sordo in relazione ad un orecchio, questa sordità comportava un’inabilità in percentuale uguale sia al caso in cui il lavoratore fosse un operaio sia nel caso in cui costui fosse un collaudatore di strumenti musicali  è evidente che le due situazioni non possono essere trattate nello stesso modo. Nel 2000 il sistema viene innovato permettendo di valutare, nello stabilire il grado di menomazione, anche la capacità lavorativa attitudinale. Resta fermo il discorso per cui l’inabilità è riferita alla capacità lavorativa generica ma rileva anche la capacità lavorativa specifica. Con riguardo all’inabilità permanente parziale il legislatore stabilisce una soglia, sotto la quale non viene garantita l’indennizzabilità  la soglia è posta al 10%  le lesioni dette lievi non sono indennizzate dall’INAIL ma questo non toglie la possibilità per il lavoratore di agire civilmente per la responsabilità del datore di lavoro  si parla di danno complementare. Inabilità temporanea assoluta L’inabilità temporanea assoluta è la conseguenza di un infortunio per la quale si determina un’inabilità per un determinato periodo di tempo di attendere al lavoro. si deve trattare di un’inabilità assoluta, deve esserci una condizione fisica del soggetto che gli impedisce di lavorare. In questo caso bisogna far riferimento all’attività lavorativa specifica svolta dal soggetto e che non può svolgere a seguito dell’infortunio per un periodo. Il danno biologico L’Art. 13 del decreto legislativo 38/2000 introduce il danno biologico, definito come danno alla salute e all’integrità psicofisica, nel sistema indennitario dell’INAIL. Come si è arrivati all’Art. 13? L’obiettivo originario dell’assicurazione contro gli infortuni era quello di garantire il lavoratore dal rischio di un danno di natura patrimoniale provocato dalle condizioni di lavoro, danno che andava ad incidere sulla possibilità per il lavoratore di proseguire un’attività che era produttiva di reddito. La valutazione di questo danno si esauriva nella condizione economica, la quale consisteva nella perdita di guadagno individuale cioè nelle mancate retribuzioni a causa della mancata prestazione lavorativa, pur con la limitazione già accennate per le quali non era concesso un ristoro totale ma un indennizzo. Per questo tipo di danno il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità civile, ai sensi dell’ Art. 10 comma 1 del testo unico, secondo il quale “LeL'assicurazione a norma del presente decreto esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro.”  così sembrerebbe che il lavoratore non può pretendere altro che l’indennizzo dell’INAIL ma in realtà il comma 2 specifica che “LeNonostante l'assicurazione predetta permane la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato.”  l’esonero dalla responsabilità civile non opera quando si accerta che il danno si è verificato per un fatto che costituisce reato commesso dal datore di lavoro o da un suo sottoposto. In questi casi il lavoratore infortunato può pretendere il danno differenziale  danno patrimoniale che eccede quello coperto dall’assicurazione obbligatoria. Questo esonero dalla responsabilità civile è stato messo sotto la luce della Corte costituzionale, la quale ha ritenuto legittimo l’esonero dalla responsabilità civile, in considerazione del fatto che l’assicurazione contro gli infortuni rappresenta un benefico per i lavoratori infortunati perché il lavoratore avrà una pronta e sicura soddisfazione, benefico che compensa il diritto al risarcimento integrale. La natura indennitaria della prestazione viene compensato dalla pronta e sicura prestazione che il lavoratore ha, ed inoltre è una 61 prestazione di cui si ha diritto senza un apposito giudizio. La Corte inoltre ci dice che in ogni caso la regolare dell’esonero si riferisce slontano al danno di natura patrimoniale, mentre per i danni non economici può sussistere la responsabilità civile del datore di lavoro.  da qui inizia il dibattito sul danno biologico e psicofisico. I lavoratori grazie a questa sentenza innovativa potevano chiedere questa voce di danno secondo le regole del diritto civile. La corte negli anni successivi (anni ’90) ha più volte ammonito il legislatore auspicando una disciplina di questa materia finché arriva il decreto legislativo 38/2000, il quale ha anche l’obiettivo di restringere la sfera della responsabilità civile del datore di lavoro. Il danno biologico viene definito come la lesione all’integrità psicofisica della persona suscettibile di valutazione medico legale, con l’avvertenza che questa definizione rileva unicamente ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria in caso di infortunio e malattia professionale  prima volta che il legislatore definì il danno biologico. L’Art. 13 inoltre prevede come indennizzabile il danno biologico superiore al 6%  fissa una soglia sotto la quale il danno non è indennizzabile dall’INAIL. Si pone un problema  il danno biologico è coperto soltanto dall’INAIL o si può chiedere il danno biologico differenziale? Anche in questo caso si tratta di un sistema che garantisce in automatico una soddisfazione sicura e pronta MA è un indennizzo e non un risarcimento  inizialmente si è ritenuto che il danno biologico fosse coperto soltanto dall’INAIL ma successivamente vi sono state aperture della giurisprudenza di vario tipo  si è ritenuto che per il danno biologico che si colloca al di sotto del 6% è possibile far valere la responsabilità civile del datore di lavoro, inoltre si è ritenuto che il lavoratore danneggiato può comunque chiedere ed ottenere in giudizio il danno biologico differenziale perché non si può limitare il diritto al risarcimento del danno quando è in gioco la salute, bene tutelato dalla costituzione  si è ammesso ormai in maniera pacifica che il lavoratore può chiedere, secondo le regole del diritto civile, la somma che i tribunali civili liquidano a ristoro totale integrale de danno subito di natura non patrimoniale. Le prestazioni erogate Le prestazioni economiche consistono in un indennizzo e non un ristoro pieno. In relazione a questo tipo di assicurazione trova piena applicazione il principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali per i lavoratori subordinati  qualora il datore di lavoro abbiamo omesso il versamento contributivo all’INAIL ciò non toglie che il lavoratore infortunato abbia piena tutela. L’azione del lavoratore per conseguire la prestazione si prescrive in tre anni dal giorno dell’infortunio o dal manifestarsi della malattia. In caso di inabilità temporanea assoluta il soggetto assicurato ah diritto ad un indennità giornaliera, parametrata alla sua retribuzione, a partire dal 4° giorno successivo all’infortunio e poi per tutta la durata dell’inabilità  l’indennità giornaliera è pari circa al 60% della retribuzione, la percentuale aumenta al 75% in caso di infortuni con degenza superiore a 90 giorni MA molte volte i contratti collettivi intervengo per integrare la percentuale mancate al raggiungimento del 100% a carico del datore di lavoro, anche il periodo dei primi tre giorni di infortunio viene protetto dai contratti collettivi. Con riferimento alla lesione consistente all’inabilità permanente, assoluta o parziale, la prestazione viene garantita sottoforma di una rendita, la quale si combina di due voci: 1. Una relativa al danno biologico 2. Una relativa alla riduzione della capacità lavorativa Nel caso in cui la lesione la prestazione sarà erogata ai superstiti del lavoratore decedute  pro quota al coniuge e ai figli infra 26enni o inabili a prescindere dall’età. L’ASSICURAZIONE CONTRO LE MALATTIE PROFESSIOANALI 62 dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro"; Dichiara l'illegittimità costituzionale, in riferimento all'art. 38, comma secondo, Cost., dell'art. 211, comma primo, del detto d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui non prevede che l'assicurazione è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle concernenti malattie professionali nell'agricoltura e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro; dichiara inoltre incostituzionali le norme che fissano un termine massimo entro cui le malattie devono manifestarsi per poter essere indennizzate”  sentenza molto importante che nel 1988 determina la trasformazione del sistema e introducendo un sistema misto  in realtà bisognerà aspettare 12 anni affinché questo risultato venga codificato  soltanto nel 2000 il decreto legislativo 38 con l’Art. 10 andrà a modificare il Testo Unico precisando e rendendo diritto positivo il risultato della sentenza n.179/88, l’Art. 10 comma 4 afferma “LeFermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale, l’elenco delle malattie di cui all’articolo 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico” Dunque, il nostro sistema è un sistema misto e si compone di due parti: 1. Sistema di tipo tabellare che contiene l’elenco delle malattie e della lavorazione, soggetti a revisione periodica; 2. possibilità per il lavoratore di provare la natura professionale della malattia attraverso un sistema abbastanza complesso. Anche per le malattie professionali il diritto alla prestazione economica sorge soltanto quando la riduzione permanente della capacità lavorativa superi la soglia del 10%. Le prestazioni sono analoghe a quelle viste in relazione all’infortunio. Vediamo alcuni dati relativi alla relazione annuale dell’INAIL del 2019: I dati del 2019 indicano un aumento delle malattie professionali rispetto al 2018 di circa il 3%  si conferma l’incremento che caratterizza l’ultimo decennio, dal 2010 c’è stato un aumento del 40%, la ragione si ritiene vada ricercata sia ad una progressiva campagna di sensibilizzazione sulla tutela assicurativa per le malattie professionali  campagna che negli ultimi anni è stata particolarmente incisiva, sia agli interventi normativi 65 che hanno via via esteso l’elenco delle malattia che godono della presunzione legale e hanno reso più semplice l’accesso alla tutela. Nella tabella seguente troviamo i riconoscimenti di malattie professionali I riconoscimenti di malattie professionali seguono un iter sia amministrativo che sanitario che riconosce il nesso eziologico tra lavoro e patologia  iter che si conclude con il riconoscimento della malattia professionale o con la negazione della tecnopatia  questo iter a volte richiede dei tempi molto lunghi. Le malattie professionali riconosciute sono state circa il 37% delle denunce. I lavoratori deceduti sono stati poco più di 1000, circa il 25% in meno rispetto al 2018. Poco più di 200 in seguito a malattie legate all’amianto. LEZIONE 15 66 TUTELA IN CASO DI DISOCCUPAZIONE Tasso di disoccupazione Tra il dicembre del 2013 e il gennaio del 2014 la disoccupazione nel nostro paese ha quasi raggiunto la quota record del 13%, oggi il tasso di disoccupazione è calato ma risulta ancora alto  nel settembre 2020 il tasso di disoccupazione è pari al 9,6%, come nel 2019, nel 2018 era pari 10% e nel 2017 superava l’11%  c’è stato un calo del tasso di disoccupazione graduale. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è pari a circa il 30%, mentre tra la fine del 2014 e l’inizio del 2014 era arrivato alla quota record del 42%. Se confrontiamo questi dati con i dati precrisi comprendiamo meglio il problema  nel 2007 il nostro paese ha avuto un livello di disoccupazione inferiore al 6% e la disoccupazione giovanile pari al 20%. Un altro dato da tenere presente sono le differenze interterritoriali  nel mezzogiorno il tasso di disoccupazione è circa il triplo del nord e circa il doppio del centro. Guardando i tassi di disoccpuazione giovanile in Europa notiamo che l’Italia è nelle prime posizioni, solo la Spagna e la Grecia fanno peggio. Rispetto al tasso di disoccupazione giovanile europeo pari al 14,2% l’Italia ha un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 31% Guardando i tassi di disoccupazione generale notiamo che il nostro paese è sempre nei primi posti. Il tasso medio europeo è pari al 6,5% mentre il nostro al 9,7%. Negli ultimi anni si è parlato di un ruolo più incisivo nel mercato del lavoro perché negli ultimi anni è sempre più pressante la necessità di realizzare un insieme di politiche di sostegno dei lavoratori durante i periodi di disoccupazione. 67 1. Riordinare tutto il sistema di tutele previste in una situazione di sospensione del lavoro; 2. Sostegno nel caso in cui il lavoratore perda il posto di lavoro  la legge Fornero introduce una nuova indennità: l’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego), la quale ha la particolarità di essere una misura tendenzialmente universale e che sostituisce una serie di prestazioni prima esistenti, in particolare: l’indennità di disoccupazione ordinaria, l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e altre indennità speciali. A distanza di 5 anni, la legge Fornero previde che nel 2017 l’Aspi avrebbe sostituito anche l’indennità di mobilità. Su queste basi riforma si inserisce la legge delega 183/2014 (Jobs Act) la quale ha poi dato il via a diversi decreti attuativi in particolar modo i decreti-legge 22/2015 e 150/2015 che si occuperanno del tema degli ammortizzatori sociali. La legge delegata del 10 dicembre 2014 n. 183 L’oggetto della delega  riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociale tenendo conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi. Gli obiettivi della delega si possono riassumere in tre punti: 1. Assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori  aspetto molto importanti perché si da compito al legislatore delegato di utilizzare, soprattutto per la misura e della durata delle prestazioni di disoccupazione, un meccanismo assicurativo  chi ha contribuito di più avrà di più e viceversa; 2. Razionalizzare le integrazioni salariali  disciplina sulla cassa integrazione; 3. Favorire il coinvolgimento attivo di tutti colori che erano risultati espulsi dal mercato del lavoro e/o beneficiava di ammortizzatori sociali  politiche attive e dei meccanismi di condizionalità. Questi obiettivi li troviamo riprodotti nei decreti attuativi del 2015, i quali prevedono una serie di misure di sostegno del reddito per i lavoratori sospesi o disoccupati e riprendono i due pilastri della riforma Fornero: 1. In costanza di rapporto  le integrazioni salariali e i fondi di solidarietà  decreto legislativo 148/2015 e successive modificazioni 2. In caso di perdita del posto di lavoro  NASPI e DISCOLL  Decreto legislativo 22/2015 e successive modificazioni. TUTELA IN CASO DI COSTANZA DI LOVORO La cassa integrazione guadagni: evoluzione La cassa integrazione è stata introdotto per la prima volta dalla contrattazione collettiva settoriali, quindi in favore dei soli operai del settore industriali, durante il secondo conflitto mondiale. La legge regolamenterà la cassa integrazione nel 1945 a favore dei soli dipendenti del settore industriale. Bisognerà attendere la fine degli anni ’60 per avere un raggio di azione della cassa integrazione più ampio  la l.n. 1115/68 aggiunse all’intervento ordinario l’intervento straordinario  l’affiancamento dell’intervento straordinario fa cambiare la funzione della cassa integrazione poiché diventa uno strumento anche di politica economica  sostiene il sistema delle imprese in difficoltà oltre al reddito dei lavoratori. La l.n. 164/75 per la prima volta fornisce una disciplina organica e sistematica della materia e individua in maniera più chiara le causali  situazioni al verificarsi delle quali è possibile richiedere l’intervento della cassa integrazione. Negli anni successivi si riscontra un utilizzo del tutto improprio della cassa integrazione, la quale viene adottata in relazione a situazioni che sono prive di possibilità di risoluzione positiva e quindi di reimpiego dei lavoratori coinvolti  si fa intervenire la cassa anche se è chiaro che quel rapporto di lavoro non potrà più riprendere con le caratteristiche precedenti, inoltre si iniziano a prorogare senza limiti questi interventi della cassa integrazione. Negli anni ’90 la l.n. 223/91 cerca di reagire a questa condizione e di ricondurre alle finalità originarie l’intervento delle integrazioni salariali  vengono stabiliti diversi limiti, prima inesistenti, rispetto: alle causali, 70 alla durata, si stabilisce che per i lavoratori per i quali non è possibile ipotizzare un reimpiego non sarà previsto un trattamento di integrazione salariale ma un indennità di mobilità  i lavoratori verranno licenziati attraverso una procedura di licenziamento collettivo e percepiranno l’indennità di mobilità. Nonostante questo tentativo negli anni successivo abbiamo un sistema accentuato di deroghe, in particolar modo con riguardo alla durata dei trattamenti  si prevedono dei limiti ma poi leggi speciali deroga a questi ultimi e dunque questa logica assistenzialistica, a cui nel 1991 si era cercato di reagire, viene riproposta nei provvedimenti successivi  da qui la necessità di riformare il sistema e che poi porta alla riforma Fornero e al Jobs Act. La cassa integrazione guadagni: disciplina Le causali o cause integrabili Si distingue tra: - Intervento ordinario della cassa integrazione  è previsto al verificarsi di situazioni aziendali di tipo congiunturale che necessitano di sospensioni o riduzioni dell’orario di lavoro  queste particolari situazioni aziendali sono: 1. Situazioni dovute ad eventi transitori e non imputabili ai datori di lavoro  calamità naturali 2. Crisi temporanee di mercato - Intervento straordinario della cassa integrazione  si differenzia dal primo perché è ammesso in situazioni aziendali di tipo strutturale che causano un’eccedenza di personale, in cui le difficoltà sono comunque potenzialmente reversibili e non c’è cessazione definitiva dell’attività. La legge fa riferimento principalmente a tre situazioni: 1. Riorganizzazione aziendale; 2. La crisi aziendale; 3. Quando nell’azienda viene applicato un contratto di solidarietà  causale introdotte nel 2015. Il contratto di solidarietà è un contratto collettivo aziendale in cui le parti stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro con l’obiettivo di ripartire la quantità di lavoro disponibile tra un numero più ampio di lavoratori  vi è un calo della produzione, invece di mettere in cassa integrazione un certo numero di persone o procedere con un licenziamento collettivo, si riduce l’orario di lavoro e distribuisce tra tutti il poco lavoro presente  si parla di contratto di solidarietà difensivo. Le ipotesi di intervento straordinario sono di più lunga durata rispetto alle ipotesi di intervento ordinario. Il campo di applicazione Il campo di applicazione  criteri selettivi. Anche in questa materia ci sono state molte modifiche negli anni. Possiamo distinguere: - Campo di applicazione dal punto di vista soggettivo  quali lavoratori sono destinatari delle integrazioni salariali  il trattamento di cassa integrazione è stato per lungo tempo riservato ai soli operai dell’industria ma poi è stata ampliato, sia per quello ordinario che straordinario, anche alle altre categorie. Per essere ammesso ad un trattamento di cassa il lavoratore deve avere un’anzianità minima  deve essere alle dipende dell’impresa che chiede l’intervento di cassa almeno da 90 giorni alla data della richiesta. - Campo di applicazione dal punto di vista oggettivo  quali imprese possono beneficiare di questi interventi. In linea di massima per quanto riguarda l’intervento straordinario c’è un requisito di partenza  solo per le imprese che abbiamo occupato mediamente più di 15 lavoratori nel semestre precedente alla data della richiesta. L’intervento ordinario rimane di prerogativa del settore industriale, edilizio ed agricolo, quello straordinario si è progressivamente esteso  inizialmente era quello industriale, ma via via con il tempo sono stati ricompresi altri settori tra cui quello commerciale  la legge Fornero nel 2012 71 ha esteso alle aziende del settore commerciale con più di 50 dipendenti. Rimane comunque il carattere selettivo. Il ricorso alla cassa prevede una procedura all’interno della quale intervengo sia le parti sociali, fase sindacale, sia rappresentanti delle istituzioni legale al ministero del lavoro, fase amministrativa. L’obiettivo è di contenere l’utilizzo del trattamento di integrazione salariale attraverso: - Limiti alla durata del trattamento  sono stati sempre il punto debole nella disciplina dell’istituto perché ci sono stati spesso delle leggi speciali che hanno allungato i tempi. L’integrazione salariale ordinaria ha una durata nettamente inferiore a quella straordinaria  tre mesi continuativi, può essere eccezionalmente prorogabile a trimestri fino a un massimo di un anno. L’integrazione salariale straordinaria ha limiti più lunghi che però variano in base alla causale, arrivano più o meno a due ma che possono raggiungere anche a tre, quattro anni. Iene previsto anche un limite cumulativo degli interventi, per cui un’impresa non può utilizzare per più di due anni in un quinquennio interventi di cassa integrazione; - Disciplinando le modalità di finanziamento  sono miste e si differenziano in base alla natura ordinaria o straordinaria. La CIGO è finanziata dallo Stato e da un contributo a carico delle imprese calcolato in percentuale alle retribuzioni versate  finanziata dagli stessi fruitori degli interventi. La CIGS viene finanziata dallo Stato, dalle imprese e dai lavoratori. Per entrambi gli interventi è previsto un contributo addizionale richiesto alle imprese che in concreto ricorrono a quegli interventi; - Individuando dei limiti anche all’entità del trattamento  il trattamento d’integrazione è pari all’80% delle ore di lavoro non prestate, ci sono delle situazioni più gravi in cui si prevede una sospensione a 0 ore. È comunque previsto un massimale (tentativo di contenere il trattamento di integrazione salariale), il quale varia di poche in base al reddito e quindi alla retribuzione percepita. All’integrazione salariale si aggiunge l’accredito di contribuzione figurativa per il periodo di godimento  classico caso di contribuzione figurativa. I fondi di solidarietà bilaterale Novità introdotta nel 2012 e poi rivista nel 2015. Problema  estensione delle misure di sostengo del reddito alle categorie non incluse dalle integrazioni salariali a causa dei criteri selettive per accedervi.  con l’idea di superare il sistema degli ammortizzatori sociali in derogale, il quale per anni ha svolto il ruolo di coprire e tutelare i casi scoperti, il legislatore con la legge Fornero e poi con la riforma Renzi ha previsto una sorte di binario parallelo istituendo i fondi di solidarietà bilaterale  costituiti sulla base di contratti collettivi nazionali tra le parti sociali, hanno un fondamento totalmente mutualistico  non vi è un contributo finanziario dello Stato MA vengono finanziati esclusivamente dai datori di lavoro e dai lavoratori, i quali contribuiscono rispettivamente per 2/3 e 1/3  vi è un coinvolgimento attivo e significativo delle parti, i cui contributi esauriscono le fonti di finanziamento di questi fondi. Il legislatore prevede che le imprese che abbiano un organico maggiore di 5 dipendenti debbano obbligatoriamente istituire un fondo di solidarietà bilaterale, inizialmente la Legge Fornero aveva previsto una sogna pari a 15 dipendenti che nel 2015 viene abbassata a 5. Se vi sono settori per cui non è ancora stato istituito un fondo a livello nazionale viene istituito presso l’INPS un fondo di solidarietà (FIS) che andrà a svolgere i compiti che per gli altri settori sono svolti dai fondi di solidarietà bilaterale. Ammortizzatori sociali in deroga Nell’ordinamento sono rimasti alcuni regimi derogatori alcuni si trovano nell’alveo degli strumenti per il sostegno al reddito per affrontare l’emergenza COVID-19  La legislazione dell’emergenza prodotta a partire 72 Durata La durata per molto tempo è stata fissa a 180 gg l’anno, la quale è stata aumentata a partire dal 2005 grazie ad una disciplina che ha iniziato a diversificare la durata della prestazione in base all’età del destinatario  8 mesi al massimo che però salivano a 12 nel caso in cui il destinatario avesse più di 50 anni  disciplina della l.n. 247/2007 Ammontare Nel tempo è cambiata significativamente la percentuale di salarialo che veniva erogata  originariamente (1988) pari al 7,5% della retribuzione, nel 1990 si è passati al 15%. Con la l.n. 247/2007 arriviamo ad importi più significativi  tra il 40% e il 60% della media delle ultime tre mensilità entro un importo massimo. Possiamo dire che già negli anni precedenti la Riforma Fornero non si trattava più di un trattamento simbolico, sia nella durata che nella misura, il problema era che si trattasse di un meccanismo assicurativo con requisiti minimi non facili da maturare da parte di tutti e quindi comportava l’esclusione di molti soggetti. Le prestazioni con la Riforma Fornero Requisiti Viene introdotta una nuova prestazione  ASPI (Assicurazione Sociale per l’Impiego, che a partire dal 1° gennaio del 2013 va a sostituire l’indennità di disoccupazione ordinaria e una delle indennità speciali (indennità di disoccupazione edile). L’ASPI a partire dal 1° gennaio del 2017 avrebbe sostituito l’indennità di mobilità, legata al licenziamento collettivo di un lavoratore alle dipendenze di un’azienda che abbia i requisiti richiesti. L’ASPI presenta dei requisiti di anzianità assicurativa e contributiva del tutto analoghi da quelli richiesti dalla disciplina previgente e quindi:  Il biennio di anzianità assicurativa;  52 settimane nell’ultimo biennio di attualità contributiva. Questo comporta che molti lavoratori vengono lasciati fuori da questa forma di tutela poiché anche se è presente la MiniASpI, questa modifica l’impianto dell’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti che va a sostituire. La MiniASpI si rivolge ai lavoratori più giovani, con carriere più precarie che nel momento in cui sono all’interno di un meccanismo di rapporti di lavoro più frammentati e caratterizzati di intervalli tra un contratto di lavoro e l’altro, non riescano a maturare un’anzianità assicurativa e contributiva tale da permettere loro l’accesso all’ASpI. I requisiti di accesso alla MiniASpI sono molto più accessibili e prevedono di avere accreditate 13 settimane di contributi nei 12 mesi precedenti l’estinzione del rapporto. Durata Con la Riforma Fornero la durata del trattamento avrebbe dovuto aumentare con il tempo in maniera graduale in base all’età del destinatario (vedi tabella) . In realtà questa parte della riforma non entrerà mai del tutto in vigore perché non ci sarà il tempo di arrivare al 2016, in cui sarebbe andata a regime la disciplina perché nel frattempo viene erogato il decreto legislativo 22/2015. Ammontare 75 Il calcolo prevede l’individuazione della retribuzione media mensile (RMM), la quale si calcola attraverso una formula: Una volta calcolata l’RMM si calcola l’indennità mensile erogata al lavoratore beneficiario  pari al 75% dell’RMM, sempre con fissazione di un tetto massimo. È importante ricordare che il legislatore ha previsto un meccanismo di décalage  riduzione progressiva della percentuale dell’RMM per stimolare il lavoratore a cercare sempre più attivamente una nuova occupazione  dopo i primi tre mesi di disoccupazione l’indennità mensile diminuisce significativamente. Disciplina odierna disciplinata nel Jobs Act Requisiti La NASpI, disciplinata dagli artt. 1-14 del decreto legislativo n. 22/2015, ingloba l’ASpI e la MiniASpI  sussidio unico con rilevanti novità con riguardo ai requisiti di contribuzione e assicurazione.  il legislatore sceglie di stabile dei requisiti che diano davvero la possibilità a più lavoratori di avere una tutela prevedendo che vengano eliminati per tutti i requisiti di anzianità amministrativa, di 2 anni di assicurazione, e di attualità contributiva, di 52 settimane nel biennio precedente, e prevedendo che il diritto a godere di questo sussidio si avrà nel momento in cui il soggetto possa far valere contemporaneamente due requisiti: 1. Anzianità assicurativa pari a 13 settimane di contributi nei 4 anni precedenti; 2. Attualità contributiva di almeno 30 gg di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti. Questo tipo di requisiti comporto un ampliamento della platea dei possibili beneficiari. Durata Il meccanismo dell’età anagrafica del lavoratore viene abbandonato. La NASpI sarà corrisposta per un numero di settimane che è pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni  la durata della prestazione dipenderà dal numero di settimane del soggetto  più si ha contribuito, maggiore sarà la durata per un massimo di 2 anni. Ammontare La disciplina è rimasta pressoché identica a quella della Riforma Fornero. La DIS-COLL È un’indennità di disoccupazione che va a fornire una risposta ad un’esigenza sentita, cioè quella di introdurre una prestazione di sostegno al reddito dei lavoratori parasubordinati che avessero perso la propria occupazione. Per lungo tempo vi è stato un accesso sperimentale, temporaneo di questi soggetti alle forme di tutela in caso di disoccupazione. La DIS-COLL prevede che siano destinatari di questa prestazione i collaboratori coordinati e continuati che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che risultino iscritti in via esclusiva alla gestione separata. Si prevedono dei requisiti contributivi: - Tre mesi di contribuzione nell’anno precedente la disoccupazione; - Un mese di contribuzione minimo nell’anno in corso. Si tratta di un’indennità che viene corrisposta secondo un meccanismo in parte simile a quello per la NASpI, pari alla metà dei mesi di contribuzione accreditati con un massimo di 6 mesi. A differenza della NASpI non è previsto l’accredito della contribuzione figurativa. 76 LEZIONE 17 LE PENSIONI L’EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA L’attuale assetto della tutela contro la vecchia e l’invalidità dei superstiti è frutto di una stratificazione normativa complessa. La prima legge in materia pensionistica risale al 1898 con la l.n.350/1898, la quale istituì la cassa nazionale per vecchiaia e invalidità per gli operai dell’industria che gestiva un’assicurazione solo volontaria e non ancora obbligatoria, l’assicurazione finanziata grazie ai contributi degli iscritti  fu una svolta importante perché grazie ad essa si istituì una mutua assicuratrice unitaria al pluralismo delle società di mutuo soccorso, le quali svolgevano un ruolo di mutualità prima della cassa nazionale. Negli anni successivi la cassa venne ampliata fino a diventare obbligatoria con il decreto legislativo 603/1919, e partire da quell’anno il finanziamento della tutela diventerà più articolato perché oltre ai contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro ci sarà anche il concorso dello Stato. La cassa erogava pensioni in proporzione ai contributi versati in caso di vecchiaia, invalidità e nel caso di morte ai superstiti. Questo sistema embrionale verrà perfezionato negli anni successivi, soprattutto nella seconda metà degli anni ’30. Con l’emanazione della Costituzione verrà sottolineato l’interesse pubblico di liberazione dallo stato di bisogno come fondamento della tutela garantita attraverso il sistema delle pensioni. Nel 1969 verrà emanata la fondamentale legge 153/1969 la quale va ricordata perché ha introdotto delle novità importanti in questa materia, tra cui: 1. Ingresso nel sistema del principio dell’automaticità delle prestazioni previdenziali; 2. Nuovo sistema di calcolo delle pensioni  sistema di calcolo retributivo, mentre prima del 1969 il sistema di calcolo era di tipo contributivo. In quegli anni si diffonde la convinzione che il sistema previdenziale pubblico di trova in una situazione di espansione e quindi di capacità illimitata di tutela  queste aspettative di progressiva espansione del sistema verranno deluse negli anni successivi e ci si troverà a dover porre rimedio ai costi del sistema complessivo. Una delle novità più rilevanti introdotte nel 1969 fu il nuovo criterio di calcolo delle pensioni. Il calcolo della pensione viene determinato in base alla media delle retribuzioni percepite dal lavoratore negli ultimi anni di lavoro  retribuzione annua pensionabile. È molto rilevante qual è il numero di anni da prendere in considerazione  il quale è cambiato nel corso degli anni  più si aumenta il numero degli anni più si attenua l’incidenza delle ultime retribuzioni su quello che poi sarà l’ammontare della pensione  di regole negli ultimi anni di lavoro la retribuzione cresce. La retribuzione annua pensionabile viene messa in rapporto all’anzianità di servizio  anzianità contributiva. Si moltiplica la RAP per la percentuale ottenuta moltiplicando gli anni di anzianità x l’aliquota di rendimento, pari al massimo al 2%  RAP x (a.c. x aliquota di rendimento)  in modo tale che per ogni anno di anzianità accresce l’importo della pensione. Questo meccanismo di tipo retributivo sposa un’impostazione in base alla quale nel momento di passaggio, da lavoratore attivo a pensionato, il risultato che si ottiene deve essere una leggera flessione economica e non un calo drastico del reddito. L’impostazione della legge del 1969 e la fiducia nella progressiva espansione del sistema negli anni successivi manifesterà qualche problema.  i primi anni ’90 segnano l’inizio di quelle che sarà un periodo di emanazione di riforme del sistema pensionistico volte a contenere la spesa sociale e in particolare la spesa per pensioni. Il primo provvedimento normativo, che segna l’avvio di questo periodo riformistico, è la Riforma Amato del decreto legislativo 503/1992, la quale introduce delle novità, tra cui: 77  Introduzione di un meccanismo di adeguamento dell’età pensionabile al fattore speranza di vita  meccanismo di revisione periodica dell’età pensionabile collegato ai rilievi statistici sulla speranza di vita;  Inizio di quello che sarà un periodo dove si perseguirà l’obiettivo di equiparare l’età pensionabile tra donne e uomini  nel 2010/2011 avverrà un’equiparazione nel settore pubblico.  il motivo per cui il legislatore si preoccupa di iniziare questo percorso di equiparazione (la Riforma Maroni avare reintrodotto la differenziazione tra uomo e donna) perché alla fine del 2008 era stata pronunciata una sentenza della corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale aveva ritenuto che un regime di età differenziato tra uomini e donne, soprattutto nel settore pubblico, fosse una violazione del divieto di discriminazione di sesso. Una delle riforme più importanti, con la Riforma Dini, in materia pensionistica è la riforma del governo Monti del decreto Salva Italia  Riforma Monti – Fornero varata con il decreto-legge 201/2011 poi convertita in l.n. 214/2011  riforma che ha fatto molto discutere e sollevato aspre critiche nel mondo sindacale e nell’opinione pubblica, i quali hanno creato la necessità di sistemare la disciplina e rivederla introducendo aggiustamenti. Le misure principali di questo sistema sono:  Elevazione dell’età pensionabile  ma che rende flessibile l’età di pensionamento e quindi in qualche modo incentiva i soggetti a scegliere un’età di pensionamento più elevata rispetto al minimo per avere anche un rendimento maggiore;  Generalizzazione del metodo contributivo di calcolo  dall’entrata in vigore della riforma tutti i contributi versati andranno ad arricchire la pensione dei lavoratori soltanto secondo il metodo contributivo;  Abrogazione della pensione di anzianità introducendo la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata;  Abolizione delle finestre d’uscita  perché già innalza l’età pensionabile;  Accelerazione del percorso di equiparazione dell’età pensionabile tra uomo e donna;  Blocco delle indicizzazioni delle pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo  blocco che poi la Corte costituzionale nel 2015 riterrà incostituzionale. Negli anni successivi la riforma Monti – Fornero abbiamo tutti una serie di provvedimenti che introducono deroghe, discipline particolari, forme di pensionamento anticipato tra cui possiamo citare una sorta di mini Riforma introdotta con la legge di Bilancio 2017, la quale introdurrà vari strumenti denominati anticipi pensionistici, che hanno ormai quasi finito la loro vigenza. Più degna di nota è la misura sperimentale, introdotta nel 2019, denominata quota 100  introdotta un po’ come strumento elettorale  ancora vigente tutt’oggi. LE PENSIONI Esistono una pluralità di enti previdenziali e una pluralità di regimi all’interno dello stesso INPS  ci concentriamo sul regime generale dell’invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) dei lavoratori subordinati. Le varie forme di pensione sono distinte in base a quale evento si intende proteggere, in particolar modo vedremo di quattro forme: 1. La pensione anticipata  dalla Riforma Monti – Fornero sostituirà la pensione di anzianità; 2. La pensione di vecchiaia; 3. La pensione di invalidità e la pensione di inabilità; 4. La pensione ai superstiti. La pensione di vecchiaia Requisiti 80 La pensione di vecchiaia ha l’obiettivo di tutelare l’evento vecchiaia, quindi un’età anagrafica avanzata nel tempo. Il requisito contributivo è pari a 20 anni di contribuzione. I contributi dei soggetti la cui pensione è regolata secondo il solo sistema contributivo devono dare luogo ad una pensione che risulti di importo non inferiore ad una certa soglia  1,5 volte l’importo dell’assegno sociale.  quindi questi soggetti, oltre ad avere il requisito contributivo dei vent’anni, hanno questo ulteriore requisito. Il requisito anagrafico varia per effetto del meccanismo speranza di vita, il quale va a vedere statisticamente il fattore di speranza di vita  dal 2012 ad oggi il requisito è cresciuto  quest’anno è pari a 67 sia per le donne che per gli uomini, sia per il settore pubblico, sia per il settore privato. Viene però introdotta una fascia di flessibilità, per la quale si permette ai lavoratori di andare in pensione tra i 67 e i 70 anni  più è elevata l’età di pensionamento più sarà elevato il coefficiente di trasformazione del meccanismo di calcolo contributivi e quindi si avrà un importo pensionistico maggiore. Un ultimo requisito che viene sempre richiesto è la cessazione del rapporto di lavoro al momento della richiesta di pensionamento, che non impedisce al lavoratore di tornare al lavoro secondo la disciplina che permette il cumulo tra reddito da lavoro e pensionamento. LEZIONE 18 La pensione di anzianità e la pensione anticipata La pensione di anzianità è stata la risposta per molto tempo a lavori gravosi, particolarmente pesanti e costituisce una peculiarità del nostro ordinamento previdenziale  pochissimi ordinamenti prevedono un istituto come questo. Per diversi motivi è una pensione che da parecchi anni, ancora prima della sua abolizione, era vista con sfavore soprattutto in considerazione del processo demografico che ormai da anni caratterizza il nostro anno e delle carenze delle risorse del sistema previdenziale. Evoluzione storica della disciplina In una prima fase, fino ai primi anni ’90, l’unico requisito richiesto per godere di questa prestazione era un requisito contributivo di 35 anni di contributi  in questo caso di poteva tener conto dei soli contributi effettivi, cioè quelli che si conseguono in costanza di rapporto o comunque in considerazione di eventi che vengono equiparati al rapporto di lavoro come ad esempio il periodo di congedo di maternità o il periodo di servizio sociale o civile, mentre invece la contribuzione figurativa, a cui si ha diritto in caso di malattia, disoccupazione, non sono considerati contributi effettivi. Non era richiesto un contributo anagrafico. Questo obiettivo ha avuto una realizzazione parziale perché raggiungere 35 anni di contributi effettivi non è così facile poiché anche in passato vi erano molte carriere interrotte, quindi situazioni in cui i lavoratori vivevano periodi di disoccupazione, inoltre alla fine degli anni ’80 si fece un indagine sull’impatto sociale di questo istituto e si scoprì che coloro che avevano maggiormente godevano di questa tutela non erano gli operai delle fabbriche per cui questo istituto era stato creato, bensì i settori impiegatizi legati alla grande industria. Inoltre, considerando che dopo 35 anni di carriera contributivo la retribuzione segue un andamento ascendente, considerano che in quel momento il calcolo delle pensioni era fatto secondo il metodo retributivo questo voleva dire una pensione anche cospicua. Nei primi anni ’90 inizia una seconda fase, in base alle problematiche riscontrate sulle pensioni di anzianità viene introdotto un requisito anagrafico nel tentativo di fare confluire le pensioni di anzianità in quelle d vecchiaia cercando di realizzare una pensione di vecchiaia anticipata. Inoltre, in certi periodi si previde dei blocchi delle pensioni di anzianità. Negli anni prima della Riforma Fornero è cresciuto il requisito anagrafico  fino al 2007 c’era stato un aumento del requisito anagrafico graduale, il quale aveva raggiunto i 57 anni, nel biennio successivo arriva a 58. 81 Nel 2009 entra in vigore il sistema delle quote si conseguiva il diritto alla pensione di anzianità se si raggiungeva una quota, la quale era data dalla somma dell’età anagrafica del soggetto e della contribuzione, tenendo fermo il requisito contributivo di 35 anni. Le quote aumentano negli anni, inizialmente era stabilita a quota 95, tale da avere almeno 35 anni di contributi e almeno 59 anni di età, poi si sale a quota a 96, tale da avere sempre 35 anni di contributi e almeno 60 anni di età, ed infine si arriva a quota 97, con requisito anagrafico a 61. Le manovre economiche che si collocano tra il 2009/2011 prevedevano lo strumento delle finestre d’uscita. Quindi possiamo dire che già prima della Riforma Fornero la pensione di anzianità era cambiata molto perché al requisito contributivo era stato aggiunto un requisito anagrafico che via via era stato aumentato fino ad arrivare a 61 anni oltre all’allungamento di fatto provocato dal sistema delle finestre d’uscita. Era comunque consentito di andare in pensione a prescindere dall’età che si possedeva se si raggiungeva un’anzianità contributiva pari a 40 anni. L’emanazione della Riforma Fornero costituisce l’inizio della terza tappa, ancora in corso, in cui viene abolita la pensione d’anzianità e viene sostituto dalla pensione anticipata, la quale si consegue a prescindere dall’età del soggetto se si è in possesso di un’anzianità contributivo importante pari 42 e 10 mesi per gli uomini e 42 anni e 10 mesi per le donne  requisito fissato nel 2018 e valido ancora oggi. In alternativa a questa anzianità contributiva elevata la legge prevede una combinazione di anzianità contributiva e età  se il soggetto ha 20 anni di contribuzione effettiva, MA escludendo QUALSIASI contribuzione figurativa (anche nel caso di congedo di genitorialità ecc.), un’età di 64 anni, ed infine i 20 anni di contributi effettivi devono dare luogo ad una pensione il cui importo risulti non inferiore ad una certa soglia, fissata a 2,8 volte la quota dell’assegno sociale  se sussistono tutti questi requisiti allora si può usufruire della pensione anticipata contributiva. I trattamenti pensionistici anticipati Dopo l’entrata in vigore della Riforma Fornero, vista la sua rigidità, il legislatore ha introdotto regimi derogatori per attenuare l’asprezza delle nuove regole ed ottenere di fatto un’anticipazione del pensionamento.  si tratta di misure sperimentali nel tempo che nella maggior parte dei casi hanno una scadenza, la quale al massimo può essere prorogata. L’”opzione donna” L’opzione donna è una misura sperimentale che era stata già introdotta con la Riforma Maroni del 2004 MA viene ripresa dalla Riforma Fornero e confermata nel 2019 con la l.n. 26/2019. Grazie all’opzione donna si può ottenere un anticipo di diversi anni rispetto ai requisiti ordinari MA ad una condizione  la donna che decide di utilizzarla accetta una pensione interamente calcolata dal sistema contributivo a prescindere dalla sua situazione. Per effetto di questo passaggio mediamente le lavoratrici subiscono una decurtazione della pensione che oscilla tra il 20% e 30% rispetto alle regole del sistema misto. Il sistema richiede il possesso di alcuni requisiti tra cui:  Le lavoratrici devono avere 58 anni se subordinate e 59 se autonome;  Avere maturato 35 anni di contributi. Per le lavoratrici che utilizzano l’opzione donna sono vigenti le finestre mobili e quindi l’assegno viene erogato dopo 1 anno dalla maturazione del requisito per le lavoratrici subordinate e dopo 18 mesi per le lavoratrici autonome. L’anticipo pensionistico (APE) Ha acconsentito, tra il maggio 2017 e il dicembre del 2019, il pensionamento anticipato a coloro che risultassero in possesso di alcuni requisiti. Inizialmente erano operativi diversi strumenti: APE volontario, APE 82 Vengono richiesti i medesi requisiti assicurativi e contributivi della pensione di invalidità. In questo caso non si deve svolgere alcuna attività lavorativa. La pensione ai superstiti Spetta ai componenti del nucleo familiari del lavoratore assicurato o pensionato che decede. Dobbiamo distinguere tra due tipi di pensione ai superati:  Pensione di reversibilità  se la persona deceduta era già pensionato;  Pensione di indiretta  se la persona, al momento del decesso, svolgeva attività lavorativa. In questo caso la legge prevede che la pensione ai superstiti scatti solo alla maturazione di determinati requisiti contributivi  è quindi necessario che il lavoratore deceduto abbia maturato almeno 15 anni di contributi o essere assicurato da almeno 5 anni e avere versato almeno 3 anni di contributi nel quinquennio precedente alla data di morte. Tra i soggetti superstiti sono riconosciuti: - Il coniuge indipendentemente se sia donna o uomo  originariamente spettava solo alla moglie o al marito se questo fosse inabile, inoltre erano previsti dei limiti, in relazione alla durata minima del matrimonio, alla differenza massima di età dei coniugi, che poi sono stati superati. In caso di divorzio la pensione spetta soltanto se all’ex coniuge spettava un assegno di mantenimento e non si sia risposato. Dall’entrata in vigore della l.n. 76/2016, anche denominata Legge Cirinnà, alla figura del coniuge è stato equiparato il partner dell’unione civile, mentre è ancora escluso dal godimento di questa prestazione il/la convivente; - Figli  qualora al momento del decesso del genitore siano minori, studenti under 26 o inabili; - Nipoti  se erano a carico del parente defunto (nonna, nonno); - Genitori  in mancanza di coniuge, figli e nipoti; - Fratelli e sorelle  in mancanza di coniuge, figli, nipoti e genitori purché fratelli e sorelle non siano sposati e siano a carico del deceduto. Le percentuali delle pensioni che spettano a queste categorie residuali (nipoti, genitori, fratelli e sorelle) sono molto basse ed in ogni caso il diritto alla pensione, per queste categorie, è subordinato alla prova della vivenza a carico  alla prova che il lavoratore deceduto provvedeva a sostenere i familiari in maniera continuativa. L’ammontare delle pensioni è variabile a seconda che sia soltanto il coniuge o ci siano anche i figli oppure se i figli siano orfani, il numero di figli  tutta una serie di fattispecie con percentuali diverse. 60% solo coniuge, 70% solo un figlio superstite, 15% per genitori, fratelli o sorelle a carico, nel caso in cui vi siano il coniuge e più figli la somma delle quote non può superare il 200% della pensione che sarebbe spettata al lavoratore. A partire dall’entrata in vigore della Riforma Dini l’importo della pensione ai superstiti è diventato condizionato dalla situazione economica del beneficiario  si può arrivare anche ad una diminuzione del 50% della pensione  questa regola non si applica se vi siano figli coinvolti. Nel 2011 il legislatore è intervenuto per stabilire che la percentuale della pensione ai superstiti era ridotta nel caso in cui il matrimonio tra il soggetto deceduto e il beneficiario era stato contratto ad un’età superiore a 70 anni per quanto riguarda il pensionato deceduto, e che la differenza d’età tra i due coniugi sia superiore a 20 anni, sempre a condizione che non vi siano figli  la legge prevede una riduzione del 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di 10  più il matrimonio era recente più la riduzione aumentava. Questo intervento normativo è stato sottoposto alla Corte costituzione, in quanto si è ravvivato un contrasto con diverse norme, la quale si è espressa nel 2016 con la sentenza n. 174/2016 ritenendo illegittimi questi tagli alla pensione. Istituto del congedo per vittime di violenza e di genere (digressione) 85 Introdotto nel nostro ordinamento nel 2015 dall’Art. 24 del decreto legislativo 80/2015, il quale prevede che le vittime di violenza di genere, inserite in percorsi di protezione, si possano assentare dal lavoro per motivi legati ai percorsi di protezione. Il congedo può essere utilizzato da tutte le lavoratrici dipendenti pubbliche, private e domestiche (inserite dal 2018), indennizzato dall’INPS per un massimo di 3 mesi anche frazionato, per svolgere dei percorsi di protezione antiviolenza certificati dai servizi sociali, dai centri antiviolenza o dalle case rifugio. Durante queste giornate di congedo la lavoratrice ha diritto a percepire un’indennità, a carico dell’INSP, pari al 100% dell’ultima retribuzione a cui si aggiunge la contribuzione figurativa. Il congedo era stato introdotto in via sperimentale per l’anno 2015 e poi è stato esteso per gli anni successivi e dura tutt’ora. Le lavoratrici parasubordinate sono contemplate ma solo per quanto riguarda il diritto ad una sospensione del rapporto di collaborazione e non per quanto riguarda il diritto all’indennità. Dal 2017 è stato previsto il diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo massimo di 3 mesi anche alle lavoratrici autonome inserite in percorsi di protezione. Le lavoratrici autonome hanno diritto a percepire un’indennità pari all’80% della retribuzione giornaliera. 86