Scarica Diritto della previdenza sociale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DELLA PREVIDENZA SOCIALE (Persiani – D’Onghia) DALLA PREVIDENZA SOCIALE ALLA SICUREZZA SOCIALE La tutela previdenziale dei lavoratori e dei soggetti economicamente deboli è un’attuazione dei principi costituzionali: la Costituzione, ispirata all’idea politica della sicurezza sociale, introduce una nuova concezione di tutela previdenziale e assistenziale secondo cui esse sono espressione della solidarietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la collettività. A differenza del sistema corporativo dunque, la tutela previdenziale e assistenziale non è più solo limitata ai lavoratori o ai datori di lavoro ma viene estesa a tutti i cittadini. I principi costituzionali non hanno però impedito l’ambiguità della legislazione ordinaria, ciò almeno per due ragioni: da una parte perché è mancato un organico disegno di riforma e dall’altra per esigenze di politica economica condizionate a loro volta dalla scarsezza di risorse pubbliche disponibili. Inoltre le scelte prese dal legislatore in ambito di sicurezza sociale, spesso non sono altro che una scelta politica che tiene conto del mutare del contesto sociale/ economico/ demografico. Il modello Bismark viene applicato nell’ordinamento tedesco perché si vuole prevenire il socialismo e sedare le proteste, esso si concentra su disoccupazione e teoricamente pensione. Il modello Bismarck, o anche sistema di assicurazione sanitaria e sociale, è basato sul principio assicurativo che garantisce al lavoratore e alla sua famiglia la prestazione in base ai contributi versati. Il modello Beveridge è successivo e viene introdotto nel 1942 in Inghilterra: esso si concentra sulla “liberazione dal bisogno” per promuovere il progresso sociale, interviene in tutti i momenti critici, prevede un sistema sanitario universale e gratuito, è centrale l’intervento dello Stato. EVOLUZIONE 1. RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (STATO LIBERALE) Le trasformazioni sociali ed economiche portate dalla rivoluzione industriale evidenziano il problema delle persone che si trovano in stato di bisogno: è più difficile far ricorso alla tradizionale solidarietà familiare ma al tempo stesso gli interventi di beneficienza pubblica e privata si rivelano inadeguati, l’eliminazione delle corporazioni fa sì che venga meno ogni forma di solidarietà professionale. Gli strumenti che vengono utilizzati per arginare il problema sono comunque pensati per soddisfare l’interesse non dell’indigente ma quello pubblico di evitare che l’eccessiva povertà portasse a insurrezioni contro l’ordine costituito. La prima forma di previdenza sociale viene, in questo contesto, determinata dalla spontanea iniziativa dei lavoratori: nascono infatti le società di mutuo soccorso che consistevano in associazioni volontarie di lavoratori che con i loro contributi provvedevano a realizzare la solidarietà tra gli associati. Le società di mutuo soccorso erogavano prestazioni a coloro che si trovavano in condizione di bisogno a causa di malattia, infortunio o invalidità, nonché pensioni per gli associati che avessero raggiunto un’età che li rendeva inabili a un lavoro proficuo e erogazioni una tantum ai familiari degli associati defunti. Lo schema che caratterizza queste associazioni è quello assicurativo: gli assicurati, in vista dei rischi a cui è esposto e con lo scopo di eliminare o ridurre una prevedibile situazione di bisogno, si impegnano a ripartire le conseguenze dannose dell’evento temuto e prevedono l’erogazione di prestazioni finanziate con i contributi versati da ognuno. La legge 3818/1886 (rinnovata solo nel 2012) riconosce le società di mutuo soccorso ma ormai il fenomeno è in declino: alle società di mutuo soccorso potevano iscriversi solo i lavoratori meglio retribuiti (per i quali era possibile sostenere l’onere economico della contribuzione), 1 iniziarono e emergere le difficoltà economiche e i difetti intrinseci del sistema (ad esempio l’incapacità di garantire effettivamente i soci da alcuni rischi come la vecchiaia). A questo declino contribuì anche il regime fascista, che mal vedeva questa forma di associazionismo parasindacale (temeva che da esse potesse nascere una rivendicazione dei diritti dei lavoratori). In tema di infortuni l’ordinamento rifletteva il mondo del lavoro preindustriale che era caratterizzato da un numero inferiore di infortuni: il Codice civile del 1865 prevedeva che l’infortunato dovesse dimostrare il nesso di causalità tra evento e danno (onere della prova del nesso di causalità) nonché provare la colpa dell’imprenditore. Il risarcimento era escluso se l’evento dannoso si fosse determinato per imprudenza dell’operaio nonché per caso fortuito o forza maggiore (le cause più tipiche degli infortuni). La l 80/1898 viene ritenuta l’atto di nascita della previdenza sociale, in quanto essa rende obbligatoria per i datori di lavoro del settore industriale l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro a loro carico. Con la legge 80 si prevede dunque un’assicurazione privata che segue il modello dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile. Un aspetto rilevante di questa legge è la tutela estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore e colpa non grave del lavoratore (quindi anche fuori dai soli casi di colpa del datore di lavoro). La legge 80 accoglie dunque la teoria del rischio professionale fondata sul meccanismo per cui si accolla il danno chi trae maggiori vantaggi dall’attività economica in relazione alla quale si è prodotto il danno (cd colpa oggettiva dell’industria) e il premio assicurativo che si versa alla compagnia di assicurazione diventa uno dei costi programmati dell’impresa. Al lavoratore infortunato spetta però un indennizzo forfettario e non un risarcimento integrale del danno perché si tiene conto comunque dell’interesse delle aziende. Sempre nel 1898 viene approvata la prima legge in materia pensionistica che istituisce la Cassa nazionale per la vecchiaia e l’invalidità degli operai dell’industria. L’assicurazione presso la Cassa è inizialmente volontaria ma negli anni successivi diventerà obbligatoria (1919) e si prevede un intervento finanziario da parte del datore di lavoro. Lo Stato sostituisce con un soggetto unitario il pluralismo delle società di mutuo soccorso. Nel 1917 viene introdotta l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria e in quegli anni la legislazione infortunistica viene migliorata, il sistema rimane però fedele al modello assicurativo (cd modello Bismark): il sistema è a carico delle categorie interessate e l’intervento dello Stato è assente o molto limitato. 2. PERIODO CORPORATIVO (STATO FASCISTA) In questo periodo si accentua il carattere pubblicistico della tutela previdenziale: nata come volontaria, essa passa ad essere dapprima obbligatoria e poi necessaria (cioè opera ex lege indipendentemente da eventuali inadempimenti). Essa resta però limitata ai lavoratori subordinati. La tutela viene in questo periodo affidata ad enti pubblici appositamente istituiti (INFPS e INFAIL) ma il ruolo dello Stato è residuale: esso ha un ruolo di coordinamento della disciplina ma l’onere finanziario ricade sulle categorie interessate (solidarietà corporativa tra lavoratori e datori di lavoro). Il fine della tutela previdenziale resta il mantenimento dell’ordine pubblico e non la liberazione dal bisogno. Nel 1927 viene emanata la Carta del lavoro di cui si ricorda in particolare la disposizione XXVI: La previdenza è un'alta manifestazione del principio di collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d'opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa. Lo Stato, mediante gli organi corporativi e le associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare, quanto è più possibile, il sistema e gli istituti della previdenza. Vengono previste nuove forme di tutela che vanno ad estenderla anche a rischi non connessi allo svolgimento di un’attività lavorativa. Tra i nuovi rischi protetti vi è la malattia: nel 1927 nasce l’assicurazione obbligatoria per la tubercolosi, nel 1929 per le malattie professionali, nel 1943 per le malattie comuni. 2 tra previdenza e assistenza, due componenti separate ma complementari del sistema di sicurezza sociale (v. sent cost 31/1986 alla diapositiva 18) b) concezione universalista (Persiani) attraverso la valorizzazione di altri articoli della Costituzione (artt 2, 3 comma 2 e 32 cost influenza del rapporto Beveridge) si legge il sistema previdenziale come servizio pubblico unitario e universale realizzato dallo Stato a protezione di tutti i cittadini (lavoratori e non) nell’assolvimento del compito, costituzionalmente attribuitogli dalle disposizioni richiamate, di assicurare a tutti la liberazione dal bisogno il modello ispirato a schemi di tipo mutualistico-assicurativo risulta superato dall’assetto costituzionale, previdenza e assistenza devono essere ricondotte ad un’unità di fondamento e funzione (liberare i cittadini dal bisogno) c) norma aperta (Cimelli) non impone uno specifico modello di protezione sociale (v sent cost 31/1986 alla diapositiva 20 la Costituzione esclude che il legislatore futuro delinei altre figure svincolate dalla logica meramente mutualistico- assicurativa ma gli lascia anche ampia libertà nell’attuazione delle finalità perseguire dall’art 38 cost) in assemblea costituente si decide di eliminare un inciso che avrebbe previsto per il legislatore la possibilità di adottare altri modelli mutualistico-assicurativi e si preferisce lasciarlo libero esempi di attuazione di questa libertà : cure sanitarie transitate dal modello previdenziale-mutualistico (riservate ai lavoratori) a quello assistenziale (per tutti), stessa cosa per il trattamento di invalidità civile. Art 117 cost (come novellato nel 2001) prevede o competenza esclusiva dello Stato per la materia della previdenza sociale, per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale o competenza concorrente nelle materie di tutela della salute, di tutela e sicurezza del lavoro, di previdenza complementare e integrativa (si ampliano le competenze delle Regioni) o competenza esclusiva delle Regioni nelle materie non espressamente elencate quindi anche per la materia dell’assistenza sociale (nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali stabiliti dallo Stato). Art 118 comma 4 cost (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà) ribadisce che i privati possono operare nei campi della previdenza e dell’assistenza realizzando interesse di carattere generale. La legislazione ordinaria successiva segue le linee guida dettate dalla Costituzione. L’ambiguità costituzionale (vedi diverse interpretazioni dell’art 38) è stata accentuata da quella del legislatore ordinario che non ha sempre fatto scelte coerenti allo stesso modello. Si registrano tuttavia alcune costanti nello sviluppo del sistema previdenziale italiano nel dopo Costituzione: una progressiva espansione soggettiva del sistema di tutela obbligatoria (dal lavoro subordinato agli autonomi e più recentemente ai parasubordinati) e l’adozione del criterio della ripartizione per la gestione delle risorse finanziarie del sistema previdenziale obbligatorio. Il criterio di ripartizione sostituisce il criterio della capitalizzazione, in cui i contributi versati vanno a formare un capitale gestito dall’ente previdenziale che lo investe e i cui tassi di rendimento fanno aumentare il capitale di partenza (dopo la guerra c’è una forte inflazione e le risorse accantonate in precedenza vengono fortemente ridotte dunque il legislatore è costretto a cambiare sistema). Col criterio di ripartizione invece i contributi versati oggi vanno a finanziare il capitale che si corrisponde oggi secondo il criterio di 5 solidarietà intergenerazionale, perciò oggi il capitale è immune alle inflazioni ma non dà garanzie poiché risente delle variazioni contingenti come la riduzione dei contribuenti o l’allungamento della vita media. Questa scelta irreversibile spinge a formare fondi di previdenza complementari gestiti secondo criteri di capitalizzazione: la previdenza complementare in Italia però non è mai decollata anche perché chi ne avrà più bisogno non ha comunque le risorse per accantonare capitale oggi, chi ha le risorse per usufruirne è chi ne avrà meno bisogno. Un altro elemento costante è un gruppo di interventi che hanno realizzato l’idea della sicurezza sociale come servizio pubblico, in particolare si ricordano 3 interventi tra gli anni 60 e 70: ①una prima forma di tutela a carattere universale rivolta al cittadino in quanto tale e slegata dalla contribuzione cioè la pensione sociale (ora assegno sociale gestito dal GIAS, affiancata successivamente alla pensione di cittadinanza) istituita con la l. 335/1995 per cittadini indigenti con più di 65 anni (ora 67 anni) ②tutela degli invalidi civili (l. 118/1971) garantita ai cittadini a fronte della riduzione permanente della capacità lavorativa almeno pari al 74% ③istituzione del SSN (l. 833/1978) come servizio pubblico in attuazione dell’art 32 cost il cui carico grava su tutta la collettività, la modalità di finanziamento del SSN sono però cambiate nel corso degli anni. Negli anni 90 però, date le mutate condizioni economiche, si cerca di riformare la materia per contenere la spesa e per adeguare le prestazioni alle situazioni concrete. A partire dalla metà degli anni 90 sono state adottate misure di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale tra cui nuove misure di sostegno del reddito in favore di tutti i cittadini con carichi di famiglia (l 448/1998 prevede l’assegno per il terzo figlio e l’assegno di maternità), legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, d lgs 147/2017 (REI o reddito di inclusione per contrastare la povertà, carattere quasi universale, si compone di due parti: beneficio economico e progetto personalizzato di attivazione di inclusione sociale) e l n 26/2019 (reddito di cittadinanza che segue la logica del cd “universalismo selettivo” cioè si rivolge a soggetti che possiedono determinati requisiti di natura economica e che seguono i parametri di condizionalità, nello specifico è subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte di tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare che siano disoccupati e non impegnati in un corso di studi + adesione a un percorso di accompagnamento all’inserimento nel mondo del lavoro). L’ordinamento previdenziale a seguito della crisi economica è stato interessato a partire dal 2011 da interventi su due assi principali: da una parte sulle discipline del pensionamento e dall’altra sulla materia degli ammortizzatori sociali. La legge Fornero e Jobs Act sono i due principali interventi in materia. La giurisprudenza costituzionale ha un ruolo fondamentale, dà ordine e coerenza al corpus normativo della previdenza sociale, bilancia gli interessi in gioco. In più occasioni ha previsto un ampliamento soggettivo della tutela previdenziale nonché un’omogeneizzazione dei trattamenti previdenziali per superare le disarmonie esistenti. Non sempre però la Corte procede con criteri di giudizio coerenti perché molte volte le decisioni vengono adattate alla realtà (es vincoli di bilancio). A partire dagli anni 90 infatti i giudici costituzionali avvertono il problema crescente della difficoltà di reperire risorse finanziarie e in vista della incerta tenuta finanziaria del sistema restringono in qualche modo la tutela (ad esempio usando il criterio di ragionevolezza in modo arbitrario): si parla in questo caso di solidarietà intergenerazionale. Le fonti sovranazionali, internazionali e comunitarie, hanno un impatto sul sistema di sicurezza sociale italiano. Tra le fonti internazionali si ricordano soprattutto le Convenzioni OIL: di particolare rilievo la Convenzione 102/1952 sulla norma minima di sicurezza sociale (prevede un sistema elementare per renderlo accessibile anche ai Paesi meno sviluppati) e la Convenzione 118/1962 sulla parità di trattamento tra cittadini e stranieri in materia di sicurezza sociale. Tra le fonti di diritto europeo si ricordano invece i Trattati, i regolamenti, la CDFUE e la giurisprudenza della CGE. Sin dal Trattato di Roma (art 51, oggi art 48 TFUE) la sicurezza sociale è 6 stata presa in considerazione dall’UE ma solo come strumento funzionale a rendere possibile e concretamente praticabile la libera circolazione dei lavoratori. Questo nesso è sempre stato sottolineato anche dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo che si è occupata della materia in diverse sentenze. Tra i testi base si ricordano anche il regolamento 1408/1971 e il regolamento 883/2004 (sostituisce il primo ed entra in vigore il 1 maggio 2010) che hanno istituito un sistema di coordinamento tra i regimi nazionali di previdenza sociale. Il regolamento 883/2004 è caratterizzato da due principi base: 1. principio dell’unicità della legislazione applicabile (o principio di territorialità) il lavoratore migrante è assoggettato ad una sola gestione previdenziale per evitare la doppia contribuzione: essa è quella dello Stato membro in cui è occupato (lex loci laboris) indipendentemente dalla sua residenza o dalla sede legale dell’impresa 2. principio della totalizzazione dei periodi assicurativi maturati dal lavoratore migrante nei diversi Stati membri (obbligo per le istituzioni competenti di prendere in considerazione i vari periodi senza discriminazione rispetto ai lavoratori non migranti e conseguente cumulo di tutti i periodi) e regola della cd liquidazione pro-rata delle prestazioni (=il lavoratore riceverà la prestazione previdenziale da ciascuno Stato membro in proporzione al periodo in cui ha lavorato nello Stato). La CDFUE prevede all’art 34 (Sicurezza sociale e assistenza sociale) e alcuni interpreti leggono in questo articolo il fondamento di un welfare universalistico: 1. L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali. 2. Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. 3. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Tra le fonti sovranazionali ve n’è anche una di soft law che è il Pilastro sociale europeo o Social Pillar adottato nel 2017: tra i principi in esso contenuti vi è anche la “protezione e inclusione sociale”. Tale fonte però non è vincolante per gli Stati UE e comunque non indica le fonti economiche da cui attingere per perseguire tali principi: esso ha dunque prettamente un valore simbolico. IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE PRINCIPI ALLA BASE DEL SISTEMA PREVIDENZIALE A lungo è prevalsa l’idea secondo cui le prestazioni previdenziali sarebbero il corrispettivo dei contributi versati (secondo la concezione assicurativa), questo principio di corrispettività viene però meno dal momento in cui la prestazione viene vista come interesse pubblico della collettività. L’inesistenza di una corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali è confermata dal principio dell’automaticità delle prestazioni (art 2116 cc), secondo cui le prestazioni sono dovute anche in caso di inadempimento del datore di lavoro. Inizialmente questo principio era previsto solo in caso di infortunio o malattia professionale, oggi è invece esteso parzialmente anche all’invalidità, alla vecchiaia e ai superstiti. Quando questo principio sia applicato solo parzialmente, scatta l’obbligo per l’ente previdenziale di 7 anticumulo (l n 243/2004). Il Casellario è responsabile anche della redazione dell’estratto conto contributivo che riporta la storia contributiva del soggetto. [Vedi video sulla storia dell’INPS] CASSE DI PREVIDENZA DEI LIBERI PROFESSIONISTI Sono enti previdenziali privatizzati che godono di autonoma normativa e sono regolati da proprie fonti regolamentari. Sono tenuti ad assicurare l’equilibrio finanziario delle rispettive gestioni, assicurando la solidità dei bilanci per un arco temporale di 50 anni. INAIL L’INAIL provvede all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Esso ha competenza generale, tanto nel settore privato che pubblico: sono infatti previste poche eccezioni come nel caso dell’ordine dei giornalisti (INPGI), dei dirigenti/ impiegati tecnici e amministrativi di aziende agricole e forestali (ENPAIA), degli sportivi (enti assicuratori scelti dalle Federazioni). Sono tutelati dall’INAIL anche volontari di protezione civile e volontari/aderenti ad associazioni di promozione sociale (tutelati mediante polizze assicurative private). Tale monopolio è stato ritenuto legale dalla CGE in quanto l’ente non svolge attività d’impresa. È strutturato in linea di massima come l’INPS (ha una struttura centrale e si articola in sedi periferiche) ed è soggetto alla vigilanza del Ministero del lavoro. L’INAIL ha il compito di procedere agli accertamenti e ad ogni altra prestazione medico-legale (cura e riabilitazione) sui lavoratori infortunati o che hanno contratto una malattia professionale. Ha compiti di prevenzioni e sicurezza negli ambienti di lavoro (ex ISPESL). Gli originari compiti di assistenza sanitaria sono invece oggi svolti dal SSN. IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE Il sistema giuridico della previdenza sociale viene inteso oggi come l’insieme dei vari rapporti intercorrenti tra i soggetti che partecipano alla tutela previdenziale: Stato, enti previdenziali, datori di lavoro o committenti e soggetti protetti. 1. RAPPORTO STRUMENTALE ENTI PUBBLICI STRUMENTALI È il rapporto tra Stato e ente previdenziale. L’attività degli enti pubblici è un servizio pubblico volto a soddisfare sia interessi individuali che collettivi. Lo Stato interviene indirettamente nel sistema previdenziale attraverso gli enti previdenziali: gli enti previdenziali possono dunque essere considerati come enti pubblici strumentali, in quanto fungono da strumenti per la realizzazione di fini esclusivi dello Stato e sono vincolati nella loro attività dal perseguimento dell’interesse pubblico. Lo Stato istituisce gli enti previdenziali, ne determina l’ordinamento, ne prevede e ne nomina gli organi, stabilisce l’indirizzo della loro attività precisandone modi e limiti, li controlla: l’ente previdenziale è dunque un mero esecutore (in questo contesto ha perso di rilevanza la rappresentanza delle categorie produttive negli organi degli enti previdenziali). Il carattere di strumentalità non viene meno neanche negli enti previdenziali privatizzati: la privatizzazione infatti riguarda solo la gestione delle risorse, mentre gli interessi perseguiti restano pubblici. INTERVENTO FINANZIARIO DELLO STATO Lo Stato concorre al reperimento dei mezzi finanziari da destinare al perseguimento del suo fine (art 3 comma 2 cost): ciò avviene attraverso contribuzione diretta dello Stato e attraverso l’imposizione dell’obbligo contributivo a determinati soggetti. L’intervento finanziario dello Stato viene dapprima previsto nel secondo dopoguerra per far fronte alle 10 esigenze contingenti, poi venne previsto per i lavoratori autonomi in mancanza dei mezzi necessari. Parte della dottrina concepiva l’intervento dello Stato come corrispettivo (da cui discendono vantaggi anche per lo Stato, tra cui il fatto di non dover provvedere con l’assistenza sociale), secondo altri poteva essere un tributo (anche se lo Stato non paga tributi): entrambe le concezioni risultano errate. L’intervento finanziario dello Stato è ancora più significativo in ambito di assistenza sociale (ad esempio il finanziamento alla GIAS che è costituito da finanziamento statale determinato dalle varie leggi finanziarie e solo in caso di integrazione salariale straordinaria o trattamenti speciali di disoccupazione da finanziamenti del datore di lavoro). L’intervento a carico della finanza statale si realizza ①in via ordinaria attraverso trasferimenti di bilancio agli enti previdenziali (innanzitutto lo Stato finanzia la GIAS) ②in via straordinaria attraverso anticipazioni di tesoreria, per far fronte a esigenze più o meno impreviste. 2. RAPPORTO CONTRIBUTIVO È il rapporto tra l’ente previdenziale e il soggetto obbligato alla contribuzione: il sistema di finanziamento della previdenza sociale in Italia è misto e dunque, oltre all’apporto dello Stato, è richiesto un contributo a carico delle categorie interessate. SOGGETTI OBBLIGATI ALLA CONTRIBUZIONE Sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali ①i datori di lavoro dei soggetti protetti ②per alcune forme di previdenza i lavoratori subordinati stessi ③i lavoratori autonomi e i liberi professionisti ④artigiani/ commercianti/ coltivatori diretti. È possibile che talune forme di previdenza prevedano la contribuzione di datori di lavoro diversi da quelli dei soggetti protetti (es contributo di solidarietà) o la contribuzione di lavoratori dipendenti che non beneficeranno della prestazione. Vi sono casi poi in cui l’obbligo ricade sui soci della cooperativa o della società che assume il lavoratore (es nella somministrazione di lavoro dove è prevista solidarietà tra utilizzatore e datore di lavoro). Nei rapporti di lavoro subordinato l’obbligazione è in linea di massima ripartita tra datore e lavoratore (art 2115 cc) ma responsabile dell’adempimento, anche per la parte a carico del lavoratore è il datore (con diritto di rivalsa mediante trattenuta della quota dovuta dal lavoratore sulla retribuzione). Solo in alcuni casi (es assicurazione contro infortuni e malattie professionali) i contributi sono a esclusivo carico del datore. OBBLIGO CONTRIBUTIVO DEI LIBERI PROFESSIONISTI Il soggetto che esercita più attività autonome assoggettate a diverse forme di contribuzione deve essere iscritto nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale dedica prevalentemente la sua opera professionale (cd doppia contribuzione ex l 662/1996). Sono però esclusi dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata coloro che svolgono attività il cui esercizio è subordinato all’iscrizione in albi professionali o chi è comunque obbligato a contribuire alle casse di previdenza professionale (l 111/2011). La Corte costituzionale conferma questa disciplina e ribadisce che l’obbligo di doppia contribuzione è la regola. L’INPS in merito ha avviato una campagna di contrasto all’evasione contributiva, l’Operazione Poseidone, concentrata sui soggetti che risultavano non iscritti ad alcuna gestione previdenziale, pur avendo dichiarato redditi professionali ai fini IRPEF. Secondo l’INPS se un soggetto esercita per professione abituale, anche non esclusiva, attività di lavoro autonomo che non richiede l’iscrizione all’albo professionale o attività di lavoro autonomo il cui esercizio è subordinato all’iscrizione all’albo professionale ma non soggetta al versamento contributivo all’ente di categoria, ha l’obbligo di iscrizione presso la gestione separata. Molti contribuenti non accettano l’interpretazione dell’INPS e continuano a opporsi, senza però contestare la doppia contribuzione ma contestando invece l’esistenza dei loro requisiti di iscrivibilità. 11 La Cassazione si esprime poi in merito alla questione dell’obbligo contributivo per il professionista pensionato che continua a esercitare l’attività autonoma: i soggetti che esercitano una professione abituale, anche non in forma esclusiva, vincolata dall’iscrizione all’albo e non soggetta a contribuzione previdenziale che consenta l’istituzione di una posizione previdenziale ad una cassa previdenziale complementare, devono iscriversi obbligatoriamente alla gestione separata INPS. Ciò in virtù della vocazione universalistica della gestione separata che è rivolta (dal punto di vista soggettivo) a tutti i lavoratori autonomi privi di tutela previdenziale e (dal punto di vista oggettivo) a tutti i redditi non assoggettati altrimenti ad alcuna contribuzione previdenziale. TIPLOGIE DI CONTRIBUTI a. Contributi classicamente assicurativi che hanno valore di corrispettività e vanno ad alimentare i conti individuali b. Contributi di solidarietà che non vanno ad alimentare conti individuali ma fondi di sostegno con varie finalità (es in agricoltura) c. Contributi di rivalsa cioè richiesti a soggetti estranei al rapporto di lavoro (partecipazione minima del cliente al finanziamento delle casse per determinati ordini professionali es avvocati). d. Contributi virtuali che cioè hanno effetto ma non sono realmente versati e si dividono in Contributi fiscalizzati per effetto della disciplina della fiscalizzazione degli oneri sociali e degli sgravi contributivi, parte degli oneri previdenziali gravanti su datori e lavoratori (operanti perlopiù nel Mezzogiorno) viene assunta dallo Stato Contributi figurativi che intervengono in presenza di determinati eventi che sospendono o interrompono il rapporto di lavoro, ma che danno ugualmente diritto all’accredito del lavoratore da parte però dello Stato. FUNZIONE PREVIDENZIALE E OBIETTIVI DI POLITICA ECONOMICA Il tradizionale sistema di finanziamento della previdenza sociale è stato modificato in parte con provvedimenti legislativi che hanno previsto la fiscalizzazione degli oneri sociali (introdotti per la prima volta nel 1977) e gli sgravi contributivi. La fiscalizzazione degli oneri sociali esonera i datori di lavoro e talvolta i lavoratori dall’obbligo del versamento di una parte di alcuni o di alcuni contributi previdenziali, con conseguente assunzione dell’onere corrispondente da parte dello Stato. In tema di sgravi contributivi, la legge di stabilità del 2015 ha previsto un esonero per un triennio in caso di assunzioni di lavoratori che nei 6 mesi precedenti fossero privi di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Successivamente gli sgravi avrebbero avuto portata inferiore: nel 2016 solo per un biennio e entro un tetto massimo inferiore, nel 2017 il legislatore ha previsto un esonero non generalizzato ma prevede degli sgravi in relazione all’assunzione di diverse categorie tra cui i giovani. Previsto anche il bonus sud per le imprese situate nel Mezzogiorno. Il cd decreto Dignità del luglio 2018 ha nuovamente disciplinato lo sgravio volto ad agevolare l’occupazione giovanile: triennale fruibile a partire dal 1 gennaio 2019, nella misura del 50% dei contributi previdenziali entro il massimale pari a 3000 euro su base annua, per le assunzioni effettuate nel biennio 2019 e 2020 di soggetti under 35 che non siano mai stati assunti a tempo indeterminato (anche per rapporti di lavoro domestico). Tali interventi vengono previsti come reazione alla recessione economica o per agevolare determinati settori di produzione/ determinati territori (in particolare il Mezzogiorno). Essi non contribuiscono a realizzare la sicurezza sociale ma perseguono finalità di politica economica: mediante la riduzione del costo del lavoro si incrementano la competitività delle imprese e i livelli occupazionali. Il godimento di tali strumenti è però subordinato alla 12 triennio 2019-2021) consente il recupero ai fini pensionistici dei buchi contributivi tra un lavoro e l’altro per un massimo di 5 anni ma solo a chi non è già titolare di pensione o ha maturato anzianità contributiva prima del 31 dicembre 1995. DETERMINAZIONE DELL’OBBLIGO CONTRIBUTIVO L’art 23 Cost prevede che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”: è proprio la legge che quindi stabilisce l’obbligo contributivo e ne prevede l’ammontare. I criteri utilizzati per l’ammontare del contributo non sono però sempre costanti: a volte sono determinati in misura fissa, altre in misura proporzionale alla retribuzione imponibile o per gli autonomi al reddito professionale. 1. RETRIBUZIONE ASSOGGETTABILE A CONTRIBUZIONE Per determinare l’importo dei contributi previdenziali è necessario individuare la base a cui applicare l’aliquota contributiva: si parla dunque di retribuzione pensionabile, in caso di lavoratori subordinati, e di reddito pensionabile, in caso di lavoratori autonomi o liberi professionisti. La nozione di retribuzione è variata nel corso del tempo: l’art 12 della legge 153/1969 ①si scosta dalla disciplina precedente e fa coincidere la nozione di retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale ②sostituisce la nozione di retribuzione assoggettabile, prima intesa come compenso dell’opera prestata, con “tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro, in denaro o in natura, in dipendenza del rapporto di lavoro” (=viene assoggettata a contribuzione previdenziale non solo il corrispettivo oggettivo del lavoro prestato, ma anche qualsiasi prestazione erogata al soggetto che sia conseguenza necessaria o effetto naturale dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: interpretazione estensiva della giurisprudenza). Unico limite in questa nozione sono le voci espressamente escluse: rimborsi spese, diarie e trasferte, indennità di anzianità (ora TFR) e altri. Tra il 1969 e il 1997 vi sono nuove modifiche giurisprudenziali (lettura come “durante il rapporto di lavoro”). Tra le varie modifiche imposte dal legislatore (interpretazione autentica): Altre esclusioni ex lege: ad esempio emolumenti per mense o trasporti collettivi, spese sostenute per asili nido, circoli ricreativi, borse di studio, soggiorni estivi dei figli dei dipendenti… Inclusioni ex lege: ad esempio le somme erogate al lavoratore a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro Alla contrattazione collettiva il legislatore attribuisce il potere di incidere sulla base imponibile nel caso di somme la cui corresponsione non è certa. La CC prevede che una parte del salario di produttività possa essere esclusa dalla base imponibile per evitare che l’aumento di produttività porti subito ad aumentare il costo contributivo per il datore di lavoro (esclusi quindi i premi legati alla produttività aziendale). Il d lgs 314/1997 unifica le nozioni di retribuzione imponibile ai fini previdenziali e fiscali: esso rinvia all’art 49 del TU delle imposte sul reddito (TUIR) che definisce il reddito da lavoro ai fini del prelievo fiscale (“Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro”) e all’art 51 TUIR che stabilisce i criteri per quantificare le 15 retribuzioni in natura. La nozione di retribuzione imponibile ai fini previdenziali risulta dunque a maglie molto larghe e onnicomprensiva: è costituita da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, in relazione al rapporto di lavoro. Dall’imposizione contributiva restano escluse alcune voci che hanno però natura retributiva: TFR (prima era indennità di anzianità), erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro in occasione di festività o ricorrenze, pasti consumati nelle mense aziendali e indennità sostitutive, servizio di trasporto collettivo, mance percepite dai croupiers. Sono invece incluse le integrazioni delle prestazioni previdenziali economiche previste dai cc in capo ai datori di lavoro in caso di assenza dal lavoro per malattia/infortunio/gravidanza/puerperio, i compensi corrisposti in sostituzione dei riposi di conguaglio non goduti, l’indennità di caropane/ di contingenza/ di mancato preavviso. Nel 1996 questa disciplina viene estesa anche ai regimi esclusivi e a quelli sostitutivi, oltre a quello generale presso l’INPS. La giurisprudenza si è poi domandata se potessero essere assoggettabili a contribuzione obbligatoria anche le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione: una sentenza della Cassazione del 2014 (n. 9180) ha ritenuto che tali somme non devono essere automaticamente considerate come esenti da contribuzione perché a tal fine occorre verificar anche l’inesistenza di nesso di corrispettività e se risulti un titolo autonomo diverso e distinto dal rapporto di lavoro. Tale sentenza tiene infatti conto della regola secondo cui è incluso nel concetto di retribuzione imponibile tutto ciò che il lavoratore riceve in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro. Inoltre tale sentenza sottolinea l’assoluta indisponibilità da parte dell’autonomia privata dei profili contributivi che l’ordinamento collega al rapporto di lavoro. Il limite massimo di retribuzione, oltre cui viene meno l’obbligo contributivo, viene chiamato massimale. Il massimale non era previsto dalla legge 153/1969 e viene introdotto solo nel 1995 (l 335/1995), limitatamente ai lavoratori che iniziano la loro attività lavorativa dopo il 1 gennaio 1996 e ai lavoratori che optano per la liquidazione della pensione di vecchiaia con il sistema contributivo. Il massimale viene rivalutato ogni anno. La soglia retributiva minima su cui la contribuzione va calcolata è invece definita minimale. Il punto di riferimento per individuarlo è normalmente il CCN (o altri accordi se prevedono un regime più favorevole): il cd minimale contrattuale viene previsto per la prima volta con la l 389/1989. 2. ALIQUOTA CONTRIBUTIVA L'aliquota contributiva è la percentuale da applicare alla retribuzione annua percepita o al reddito professionale e serve a determinare la quota di contributi previdenziali che devono essere versati agli enti previdenziali. L’aliquota può essere in alcuni casi fissata e modificata con decreto del PdR su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Nell’assicurazione contro gli infortuni poi l’aliquota (qui chiamata “tariffa dei premi di assicurazione”) è deliberata dal cda dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e approvata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Il potere dell’autorità governativa di modificare le aliquote è stato peraltro generalizzato nel 1995. In tutti questi casi l’art 23 cost non è violato in quanto l’obbligo è stabilito dalla legge, sebbene l’ammontare venga delegato ad altre autorità. 3. OBBLIGHI ACCESSORI 16 Ai soggetti tenuti al pagamento dei contributi, la legge impone obblighi accessori allo scopo di fornire agli enti previdenziali gli elementi necessari per accertare l’esistenza dell’obbligo e per determinare l’ammontare dei contributi dovuti. Mensilmente ad esempio il datore di lavoro è obbligato a denunciare le informazioni retributive e contributive relative a ciascun lavoratore nonché a specificarne le attività lavorative eseguite, avvalendosi della dichiarazione Uniemens. Il datore di lavoro deve inoltre istituire e tenere il Libro Unico del Lavoro (LUL) in cui indica ad esempio il numero di lavoratori occupati e l’ammontare delle loro retribuzioni. Il datore di lavoro deve anche agire come sostituto, quindi trattenere la quota dovuta dal lavoratore e versarla per intero, oltre alla sua quota. A questi obblighi accessori fanno riscontro particolari poteri di ispezione e di controllo degli enti previdenziali e il potere di accertare direttamente l’esistenza nonché l’ammontare dell’obbligo contributivo in caso di omessa denuncia. I poteri di ispezione e controllo sono esercitati dagli ispettori di vigilanza degli enti secondo le procedure disposte dal d lgs 124/2004. Nel 2015 è stato istituito l’Ispettorato Nazionale del Lavoro Unico (INL) finalizzato a integrare i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro, dell’INPS e dell’INAIL. Oggi l’ente previdenziale gode di strumenti che lo aiutano in tale compito: ad esempio il documento unico di regolarità contributiva online (DURC) è un certificato unico che attesta la regolarità contributiva di un’azienda per quanto riguarda gli obblighi imposti (condiziona diversi aspetti tra cui la possibilità di accedere a degli sgravi o di partecipare a contratti pubblici). OBBLIGAZIONE CONTRIBUTIVA NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI ITALIANI ALL’ESTERO Per molto tempo si è usato il sistema basato su convenzioni internazionali che prevedevano la condizione di reciprocità: in questi casi si estendeva agli stranieri il regime previdenziale previsto per i lavoratori nazionali. Per lungo tempo è mancata la tutela previdenziale al cittadino italiano all’estero: la tutela esempio condizionata dall’esistenza di una convenzione internazionale o dalla volontà del datore di lavoro, si poteva ricevere tutela pensionistica solo chiedendo il riscatto per i periodi non coperti da assicurazioni sociali riconosciute dalla legislazione italiana. Con l’istituzione del SSN si percepisce la necessità di tutelare i lavoratori italiani all’estero e si prevede una legislazione successiva volta tutelarli in ambito di salute. La Corte costituzionale con una sentenza additiva stabilisce che la tutela previdenziale debba essere estesa anche ai lavoratori italiani che lavorino all’estero in Paesi con cui non vi siano delle convenzioni internazionali: la legge 398/1987 rende effettivo questo principio prevedendo la loro iscrizione alle gestioni previdenziali italiane (obbligo di iscrizione previsto per le assicurazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti, tubercolosi, disoccupazione involontaria, infortuni sul lavoro e malattie professionali, malattia e maternità). Il legislatore ha previsto che la contribuzione previdenziale in questi casi debba essere commisurata a una retribuzione convenzionale determinata sulla base di un accertamento annuo del valore medio delle retribuzioni sindacali italiane, svolto dal Ministero del Lavoro. Una maggiore tutela si è avuta con l’istituzione della CE poi UE: tra i Paesi aderenti viene sancito il principio della libera circolazione della manodopera e i lavoratori provenienti da altri Paesi membri vengono trattati al pari di quelli nazionali. Un importante intervento in questo senso è stato quello della CGE che tra le altre decisioni ha sancito il diritto alle medesime prestazioni per tutti i cittadini comunitari e il diritto dei familiari alla prestazione anche se risiedono in un altro Paese. In attuazione dei regolamenti 883/2004 e 987/2009 si applica tra i Paesi membri il principio di territorialità della legislazione applicabile, anche se sono ammesse deroghe temporanee a tale principio. 17 l’utilizzazione di lavoro irregolare nella misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, sia l’esistenza di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di sicurezza sul lavoro. Il provvedimento può essere revocato se il datore di lavoro provvede a regolarizzare i lavoratori, se ripristina le condizioni di lavoro in caso ci fossero violazioni della disciplina della sicurezza sul lavoro e se paga una somma aggiuntiva rispetto a quella comminata per la violazione. Il legislatore affronta la questione del lavoro sommerso cercando di prevedere anche un incentivo all’emersione: con la l 266/2002 consente ai datori di lavoro di presentare una dichiarazione di emersione con cui si impegnano per il futuro a erogare retribuzioni non inferiori rispetto a quelle previste dai CCN. I datori possono anche chiedere un concordato tributario e previdenziale per regolarizzare gli inadempimenti fiscali e previdenziali: per i 3 anni successivi così si applica un regime contributivo di favore. Vengono poi previste altre speciali procedure di regolarizzazione: mediante la stipula di contratti di lavoro subordinato (che applicano un accordo sindacale) che duri almeno 24 mesi e prevedendo una riduzione dell’obbligazione contributiva pari a un terzo di quanto dovuto nonché l’estinzione dei reati connessi all’evasione contributiva. Le procedure di emersione vengono anche previste per sanare la permanenza illegale sul territorio nazionale del cittadino extracomunitario: si parla in questo caso di sanatorie per gli extracomunitari. Nel 2020 ad esempio è stata prevista per far fronte alla pandemia: il datore di lavoro può presentare istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con un lavoratore extracomunitario presente sul territorio nazionale o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare tuttora in corso con cittadini italiani o stranieri. Il datore deve inoltre pagare 500 euro e un contributo forfettario per le somme dovute a titolo retributivo, contributivo e fiscale. Tale procedura comporta anche la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi a suo carico se riguardano i lavoratori coinvolti. Sempre nella logica di far emergere le irregolarità vi è un obbligo per le imprese di rilasciare la certificazione che attesta il regolare versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché dei premi assicurativi in caso di partecipazione ad appalti pubblici o per accedere a benefici e sovvenzioni comunitarie o ad altre forme di benefici normativi e contributivi. Tale certificazione è chiamata DURC o documento unico di regolarità contributiva qualora attesti la regolarità degli adempimenti contributivi nei confronti di INPS, INAIL e Cassa edile. 3. RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE (o rapporto erogativo) È il rapporto che intercorre tra ente previdenziale e soggetti protetti che hanno diritto alle prestazioni previdenziali. Questo è il rapporto su cui si incardina tutto il sistema giuridico previdenziale e attraverso cui si realizza la tutela previdenziale: tutti gli altri rapporti si collocano intorno a questa relazione essenziale. FATTISPECIE COMPLESSA La dottrina tradizionale riteneva che tale rapporto si sarebbe costituito simultaneamente a quello contributivo oppure che fosse una diretta conseguenza dello svolgimento di un’attività lavorativa o dell’iscrizione a un albo o dell’esistenza di un rapporto familiare. Questa concezione del rapporto giuridico previdenziale come rapporto unitario e complesso che comprende anche quello contributivo non è però accettabile: alle condizioni anzidette sorge solo il diritto dell’ente previdenziale ai contributi, l’obbligo per l’ente di erogare le prestazioni non sorge invece fino a quando non si verifichino gli eventi dai quali deriva per i soggetti protetti una situazione di bisogno (e in alcuni casi se sussistono anche i requisiti di contribuzione/ di assicurazione/ di età richiesti). Il rapporto giuridico 20 previdenziale è dunque una fattispecie complessa a formazione successiva: complessa perché costituita da almeno due elementi (il soggetto vive del proprio lavoro o di quello di un familiare e si sono verificati gli eventi che la legge reputa generatori di bisogno) e a formazione successiva perché tali elementi non vengono ad esistenza contemporaneamente. La fattispecie è ancora più complessa nei casi in cui non trova applicazione il principio di automaticità delle prestazioni: qui infatti la fattispecie si completa solo in presenza di ulteriori elementi (normalmente il versamento di un determinato numero di contributi previdenziali entro un certo periodo di tempo). Elemento della fattispecie complessa è anche l’adempimento degli obblighi a carico dell’ente previdenziale, che rientrano nei cd rapporti preliminari: l’ente deve infatti cooperare all’adempimento degli obblighi imposti ai lavoratori, principalmente soddisfacendo esigenze tecnico-amministrative che non attengono ancora alla realizzazione della tutela previdenziale. Esso deve ad esempio provvedere a iscrivere negli elenchi e a inviare a ciascun lavoratore un estratto conto contenente l’indicazione della retribuzione denunciata dal datore di lavoro. A tal fine viene istituito il Casellario centrale delle posizioni previdenziali attive presso l’INPS per la conservazione e la gestione dei dati relativi ai lavoratori iscritti ad ogni regime previdenziale obbligatorio generale e speciale: tra i suoi compiti vi è quello di emettere l’estratto conto contributivo che riporta i dati pensionistici relativi all’intera vita del soggetto interessato. Nei rapporti preliminari rientrano anche obblighi posti a carico del datore di lavoro, quale ad esempio quello di consegna al lavoratore di una copia della denuncia nominativa presentata all’INPS, contenente l’indicazione delle retribuzioni individuali corrisposte nonché di tutti i dati necessari per controllare la corretta applicazione delle norme previdenziali e assistenziali. ATTO DI AMMISSIONE AL GODIMENTO DELLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Il solo verificarsi dell’evento previsto ex lege e l’adempimento dell’onere di presentare la domanda delle prestazioni non sono sufficienti a far sorgere un diritto al godimento delle prestazioni previdenziali: danno infatti luogo solo a un diritto all’ammissione a tale godimento. L’atto di ammissione è un provvedimento dell’ente previdenziale che accerta l’esistenza di tutte le condizioni richieste ex lege e ammette che il richiedente al godimento delle prestazioni previdenziali: esso ha dunque efficacia costitutiva. Se l’ente previdenziale non emette tale provvedimento, l’avente diritto può esperire i procedimenti amministrativi previsti e se li esaurisce può rivolgersi al giudice ordinario (il giudice emetterà sentenza con efficacia costitutiva con cui condanna l’ente a erogare le prestazioni). Il provvedimento può presentarsi con modalità differenziate: 1. Forma determinata con modalità ben precise sia per l’attività di accertamento che per l’atto costitutivo: è questo il metodo previsto per l’assicurazione obbligatoria dei lavoratori subordinati per l’invalidità (possibili visite di accertamento e atto che si manifesta con la consegna di un certificato di pensione al beneficiario) 2. Forma indeterminata dell’attività di accertamento e/o dell’atto costitutivo: l’ammissione può cioè essere dedotta anche da fatti concludenti e consiste nel fatto materiale dell’erogazione delle prestazioni 3. Il provvedimento di ammissione può essere anche delegato a terzi in alcuni casi (ad esempio all’ASL dopo che i medici convenzionati hanno accertato il diritto alle prestazioni). SOGGETTI PROTETTI La tutela previdenziale, prevista inizialmente solo per lavoratori subordinati, è stata via via estesa in senso soggettivo anche a lavoratori autonomi e parasubordinati oltre che a 21 soggetti non lavoratori. Si evidenzia in generale una tendenza verso un’universalizzazione delle tutele: sono ormai estese a tutti i lavoratori, pur con delle differenze, le tutele in materia di salute (previste anche per i non lavoratori), invalidità/vecchiaia/superstiti (in teoria dai 14 anni ma in pratica la Corte cost non riconosce limite di età) e infortuni/malattie professionali. L’estensione delle tutele avviene talvolta con l’equiparazione ai lavoratori subordinati e altre volte con l’istituzione di nuovi regimi previdenziali. o Per quanto riguarda i lavoratori flessibili (part time, contratto a tempo determinato, somministrazione di lavoro, apprendistato) e i lavoratori della gig economy (es riders), si cerca di adattare la tutela alle peculiarità dei singoli contratti di lavoro. o La tutela previdenziale si estende ai familiari partecipanti alle imprese familiari indicati nell’art 230 bis cc e ai familiari dei lavoratori che traggono unico sostentamento dal lavoro del capofamiglia (in particolare non si hanno dubbi sulla tutela superstiti e sul diritto alla salute). Tra le prestazioni dovute ai familiari sono ricomprese quelle dovute ai coniugi e quelle ormai comparate dovute nell’ambito di unione civile o convivenza di fatto (2016). o I soci lavoratori vengono tendenzialmente equiparati ai lavoratori dipendenti anche sotto il profilo contributivo e assistenziale (Cass 2019 e 2020). o I lavoratori stranieri (intesi come cittadini extracomunitari), se lavorano in Italia e vi soggiornano regolarmente, hanno diritto al versamento dei contributi previdenziali e hanno diritto alle stesse prestazioni pensionistiche previste per i lavoratori italiani: i diritti previdenziali infatti sono direttamente connessi allo status di lavoratore, a prescindere dalla nazionalità. I principi regolanti la materia sono quello di territorialità e di parità di trattamento, tuttavia tale regime prevede due eccezioni che sono ①il caso degli stranieri titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale (d lgs 286/1998: si applicano solo alcune forme di previdenza e i contributi che devono comunque essere versati all’INPS dal datore ma che non spettano loro, quali assegno per il nucleo familiare e assicurazione contro la disoccupazione involontaria, vengono destinati a interventi di carattere socio- assistenziale a favore dei lavoratori stranieri) ②il caso del lavoratore straniero che decide di cessare l’attività lavorativa in Italia (non può chiedere la liquidazione e dunque la restituzione dei contributi versati però conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati di cui potrà godere a partire dal 65° anno di età, indipendentemente dall’esistenza di convenzione tra i due Paesi). Per i lavoratori extracomunitari irregolari il datore è tenuto al pagamento della retribuzione e al versamento della contribuzione previdenziale e delle trattenute fiscali (Cass 2010). o I lavoratori italiani all’estero sono coperti dalla tutela previdenziale prevista per chi lavora in Italia (art 35 cost e legge 398/1987). DIRITTO ALLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Quando viene a compimento la fattispecie prevista dalla legge, i soggetti protetti sono titolari di un diritto soggettivo perfetto alle prestazioni previdenziali. Tale diritto riceve dall’ordinamento una doppia protezione consistente nella tutela ordinaria (=ci si può rivolgere al giudice) e in una tutela costituzionale (il legislatore non può far venire meno una prestazione previdenziale già prevista, egli ha però discrezionalità nell’individuazione del quantum). Da tale diritto discendono un obbligo per l’ente previdenziale ma anche un obbligo per lo Stato di integrare le risorse necessarie a finanziare le prestazioni (l’ente 22 corrispondenti prestazioni previdenziali, il legislatore non può non tenere conto delle contribuzioni e deve applicare il principio di proporzionalità) v. La concezione di rischio risulta oggi superata, anche grazie ai principi costituzionali: in particolare l’art 38 cost individua la solidarietà generale come fondamento della tutela previdenziale. La ratio è dunque la liberazione dal bisogno e non più il risarcimento del danno. Il bisogno è stato originariamente inteso come stato di carenza conseguente in maniera presuntiva al verificarsi di un evento protetto dall’ordinamento (es disoccupazione), a partire dagli anni 80 però si è fatto largo un concetto di bisogno verificato sul caso concreto e dunque si dà rilievo al bisogno reale (anche perché la crisi aveva ridotto le risorse finanziarie per finanziare la previdenza sociale). Al fine di verificare il bisogno reale viene considerato il reddito a disposizione della famiglia del richiedente (ISEE). La Corte costituzionale avalla questo criterio: nelle sentenze ove si afferma la legittimità delle regole anticumulo (ad es tra reddito da lavoro e pensione) e di discipline che prevedono limiti di reddito per l’accesso a determinate prestazioni, ritiene che il bisogno prevalga come fondamento del sistema previdenziale. Un altro elemento da considerare è che il legislatore ha progressivamente esteso la tutela previdenziale oltre gli eventi già previsti ex art 38 comma 2 cost (es morte, carico di famiglia…): il legislatore si fa interprete di nuovi bisogni sociali. Questo fa capire che nell’ordinamento non è l’evento in sé che gode della garanzia costituzionale, ma la situazione di bisogno che consegue al suo verificarsi. Nel nostro sistema giuridico previdenziale il concetto di rischio non può però dirsi sostituito da quello di bisogno: la tutela non è estesa a qualsiasi situazione di bisogno (ma solo a quelle derivanti dal verificarsi di determinati eventi). o PRESTAZIONE “ADEGUATA” La prestazione adeguata ex art 38 comma 2 cost è un concetto discusso: 1) Per la DOTTRINA Secondo la concezione universalista i mezzi adeguati dovrebbero coincidere con il minimo essenziale alle esigenze di vita, apprezzato secondo schemi astratti e validi per tutti Secondo la concezione dualista invoca il principio di uguaglianza e tende a far coincidere l’adeguatezza con il tenore retributivo e di vita raggiunto Entrambe queste impostazioni contengono una contraddizione di fondo: il 38 comma 2, espressione del principio di solidarietà e criterio attuativo delle istanze di parità sostanziale (artt 2 e 3 cost), non può richiedere che l’adeguatezza coincida con la conservazione del tenore di vita raggiunto. Lo stesso rilievo costituzionale del lavoro (art 4 cost) richiede però che, ad esempio in relazione alle pensioni, i pensionati vengano trattati secondo il merito maturato da cittadini attivi (quindi appoggerebbe la visione dualista). La soluzione più giusta sarebbe quindi una via di mezzo tra i due estremi individuati dalla dottrina. 25 2) Il LEGISLATORE ha offerto nel corso degli anni un’ampia varietà di soluzioni, anche a causa dell’oscillazione delle finanze. In numerosi casi ha garantito la tendenziale conservazione del reddito (ad esempio quando ha previsto che le pensioni fossero calcolate con criterio retributivo). In altri casi si è indirettamente pronunciato sulla prestazione adeguata e sul suo significato fissando vari parametri concreti (nel caso ad esempio della fissazione degli importi massimi del trattamento di integrazione salariale). Ha risolto nel corso degli anni in modo non univoco la questione della cumulabilità tra retribuzione e pensione, oscillando tra concezione assicurativa (garantendo il cumulo senza limiti) e concezione solidaristica (ponendo quindi dei limiti alla cumulabilità). Ha creato diversi istituti per assicurare effettività ed adeguatezza alle prestazioni previdenziali, tra cui principalmente: automaticità delle prestazioni e rimedi surrogatori, perequazione automatica, totalizzazione e ricongiunzione, contribuzione volontaria e figurativa. 3) La CORTE COSTITUZIONALE (in materia di pensioni) mostra incertezze e oscillazioni quando affronta la materia della garanzia dell’adeguatezza della prestazione previdenziale. La Corte manifesta la doppia anima del sistema vigente (solidaristico/assicurativa= trattamento uguale per tutti/conservazione del tenore di vita conseguito): in alcune sentenze prevale il carattere pubblicistico dell’assicurazione sociale (es sent 160/1974 la Corte sottolinea che le assicurazioni sociali si differenziano da quelle private per la loro natura pubblicistica e il legislatore non deve seguire i criteri o le regole delle assicurazioni private), mentre in altre (soprattutto negli ani 80) la Corte accoglie la concezione mutualistica del sistema previdenziale utilizzando come principio guida quello di proporzionalità tra contributi versati e prestazione a cui si ha diritto. In altri casi la giurisprudenza costituzionale adotta soluzioni intermedie che sottolineano come queste due anime debbano convivere. La Corte tenta di individuare in quale punto tra i due estremi deve attestarsi la garanzia costituzionale e da questo punto di vista è tutt’oggi rilevante la sent cost 173/1986 (norma impugnata che vietava di prendere in considerazione per il calcolo della pensione le quote di retribuzione che eccedevano una certa soglia la Corte verifica se la mancata proporzione oltre una certa soglia determini una violazione degli artt 36 e 38 cost la pensione al pari della retribuzione, di cui è prolungamento ai fini previdenziali, deve essere proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato + deve essere costantemente assicurata in relazione al potere d’acquisto della moneta la Corte afferma che è il legislatore che sceglie i tempi e i modi per attuare tali principi entro i confini della ragionevolezza). Nelle decisioni della Corte costituzionale vi sono alcune costanti: Il principio solidaristico e quello di proporzionalità della prestazione previdenziale rispetto al trattamento retributivo goduto durante la vita attiva devono concorrere tra loro (doppia anima del sistema) È rimessa alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni previdenziali (nel rispetto dei limiti di razionalità e ragionevolezza, e quindi degli equilibri di bilancio) 26 Il principio di adeguatezza presuppone la necessità di rivalutare periodicamente la prestazione (col variare del potere di acquisto della moneta). TUTELA DELL’INTERESSE CONTRIBUTIVO L’ordinamento predispone, a garanzia dell’interesse protetto, alcune discipline con l’obiettivo di rafforzare il grado di effettività della tutela, tra cui principalmente: 1. PRINCIPIO DELL’AUTOMATICITÀ DELLE PRESTAZIONI L’art 2116 comma 1 cc prevede che le prestazioni di previdenza e di assistenza “sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e assistenza”. Il principio dell’automaticità delle prestazioni soffre però di importanti limitazioni A. di ordine soggettivo: originariamente introdotto con riferimento all’assicurazione contro infortuni e malattie professionali (1935), il principio è stato progressivamente esteso a tutte le forme di tutela ma riguarda il solo lavoro subordinato e non quello autonomo. Il legislatore ha però esteso il principio di automaticità alle cococo in relazione alle indennità di maternità. Per il congedo parentale non è stato previsto esplicitamente tale diritto e serve il versamento effettivo dei 3 mesi di contributi nei 12 mesi precedenti. La giurisprudenza ha però previsto un’estensione (Trib Bergamo 2014 VEDI SENTENZE MOODLE). B. di ordine temporale: in relazione all’assicurazione per la tutela di invalidità, vecchiaia e superstiti il meccanismo opera solo se la contribuzione omessa sia ancora suscettibile di recupero da parte dell’ente previdenziale, cioè per i soli contributi non versati che non siano ancora prescritti (termine quinquennale). In materia previdenziale infatti vige il principio della irricevibilità dei contributi prescritti: in deroga al diritto comune (art 2937 cc) è esclusa la possibilità di effettuare versamenti, a regolarizzazione dei contributi arretrati, una volta che questi siano prescritti. Vi sono però correttivi tra cui: obbligo per l’INPS di far conoscere ad ogni lavoratore il cd estratto conto contributivo consentendogli un controllo costante e la possibilità di denunciare l’omissione contributiva responsabilità sussidiaria dell’ente previdenziale in caso di comunicazioni errate o omessa vigilanza o mancata attivazione a seguito di denuncia nel caso in cui il datore di lavoro inadempiente sia sottoposto a procedure concorsuali, il limite della prescrizione non opera 2. PRINCIPIO DELLA PEREQUAZIONE AUTOMATICA L’obbiettivo della perequazione automatica è quello di garantire nel tempo l’effettività della tutela previdenziale in relazione al quantum (art 38 cost). La perequazione automatica viene introdotta in forma generalizzata nel 1969 in relazione ad alcune prestazioni pensionistiche dei dipendenti privati. Tale meccanismo dà luogo a incrementi significativi delle pensioni minime ed effetti distorsive per quelle superiori. Negli anni successivi viene estesa ed aggiornata sino a creare un regime generale (l n 41/78). A causa dell’inflazione registrata in quegli anni, tale sistema appare però iniquo: è vantaggioso per le pensioni basse, ininfluente per quelle intermedie e svantaggioso per quelle di importo più elevato. In questi anni si cerca dunque di risolvere il problema di equità ma anche di contenere gli oneri derivanti dall’applicazione della perequazione automatica. Con la l 730/83 si prevede il sistema a scaglioni cioè si prevede un incremento percentualizzato per fasce di importi di pensione. Con la legge di riforma del 1992 si limita la perequazione (soprattutto oltre a un certo importo di pensione). 27 queste normative il cd principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile (garantisce tutela al lavoratore anche oltre la norma, si adatta all’evoluzione tecnologica e supera la naturale obsolescenza normativa). Dall’art 2087 cc discende la possibilità di riconoscere una responsabilità del datore di lavoro anche per il solo fatto di non aver predisposto le misure di sicurezza, indipendentemente dal concreto verificarsi di un infortunio. Norma più recente è poi l’art 9 dello Statuto dei lavoratori che sancisce il diritto di controllare mediante proprie rappresentanze l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali (dimensione collettiva a differenza dell’art 2087 cc che ha un’impostazione individualistica). L’innovazione arriva però dall’Europa: la direttiva quadro 89/931 attuata con il d lgs 626/1994 (oggi sostituito con il TU sulla sicurezza del lavoro del 2008 n.81). La nuova disciplina occupa di tutela preventiva e predispone tutele anche a carattere collettivo, si occupa del settore privato (con la sola esclusione dei lavoratori domestici) e del settore pubblico, viene ribadito il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile (art 15 lettera c del TU), spicca l’obbligo di valutazione dei rischi (art 2 lettera q del TU: previsto l’obbligo di redazione del DVR o documento di valutazione dei rischi in cui si indicano i criteri seguiti per la valutazione, le misure di prevenzione e protezione adottate, il programma di misure che si ritiene di introdurre per migliorare i livelli di sicurezza garantiti al lavoratore). Il datore si avvale del servizio SPP (servizio di prevenzione e protezione) interno o esterno all’azienda, del medico competente (svolge gli accertamente preventivi e periodici sui lavoratori funzionali a formulare il giudizio di idoneità alla mansione tra le altre cose), del RLS (rappresentanate dei lavoratori per la sicurezza designato o eletto dai lavoratori per ogni attività produttiva; rilievo centrale perché devono essere consultati preventivamente e poi in maniera costante sulla valutazione dei rischi, ricevono le informazioni e la documentazione necessaria rispetto alla valutazione dei rischi e alle misure di protezione e prevenzione che vengono poi disposte, possono promuovere l’individuazione sulle misure di protezione, fanno ricorso alle autorità competenti nel caso in cui ritengano che le misure adottate non siano idonee…). In capo ai singoli lavoratori sono posti obblighi di cooperazione con riferimenti alle misure di protezione (art 20 TU), gli sono però accordati anche nuovi diritti (es diritto di allontanarsi dal luogo di lavoro in caso di pericolo senza subire pregiudizi, ha un obbligo di formazione e informazione che diventa diritto all’informazione e alla formazione). Tra il 2007 e il 2008, anche su spinta degli eventi della Tyssen, si vara una riforma riguardante le norme di prevenzione (l delega 123/2007 e TU sulla sicurezza del lavoro del 2008): cambiano le norme sul campo di applicazione sia soggettivo che oggettivo (si amplia l’ambito di applicazione in entrambi i casi), vengono modificate le disposizioni sugli obblighi connessi ai cd contratti di appalto interni (si dà loro rilevanza perché più dell’80% degli infortuni avviene nell’ambito degli appalti; art 26 comma 3 TU: il documento unico di valutazione dei rischi da interferenza o DUVI da allegarsi al contratto di appalto deve indicare le misure che si intendono adottare per ridurre i rischi da interferenze, nei singoli contratti di appalto o subappalto devono essere indicati i costi delle misure per eliminare i rischi da interferenza e tali costi non possono essere ribassati nella negoziazione per aggiudicarsi l’appalto), vengono raffrozate le norme che prevedono sanzioni per contrastare i rischi (rafforzato il potere di sanzione degli ispettori che possono anche sospendere l’attività e impedire all’azienda di parteciapre a gare pubbliche d’appalto). ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO EVOLUZIONE NORMATIVA 1. La l 80/1898 introduce per la prima volta una tutela contro gli infortuni sul lavoro. Essa impone ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai. Si tratta di una vera e propria assicurazione per la responsabilità civile che può essere stipulata anche con assicuratori privati. La tutela viene estesa agli infortuni derivanti da caso fortuito, forza maggiore o colpa non grave del lavoratore: l’infortunato non deve più provare quindi l’infortunio sia derivato da colpa del datore di lavoro. 2. Il decreto luogotenenziale 1450/1917 estende la tutela ai lavoratori dell’agricoltura. 30 3. Il regio decreto 928/1929 affianca la tutela contro le malattie professionali (che al tempo erano solo 6 nel 1943 vengono aggiunte le malattie legate all’amianto). 4. Il regio decreto 264/1933 affida la gestione dell’assicurazione all’IN(F)AIL, erede della preesistente Cassa nazionale infortuni. Viene così esclusa la possibilità per i datori di lavoro di assicurarsi presso compagnie private o di far ricorso a mutue assicuratrici. 5. Con il TU 1765/1935 la disciplina sugli infortuni e quella sulle malattie professionali viene unificata. Nel 1935 viene anche introdotto e generalizzato il principio di automaticità delle prestazioni (prima valeva solo per i lavoratori dell’agricoltura). Sempre nel 1935 si inizia a dare importanza anche alle prestazioni sanitarie oltre che economiche. 6. Il TU 1124/1965 raccoglie tutta la materia ed è tutt’ora il testo di riferimento, in particolare per quanto riguarda le prestazioni economiche. 7. La tutela sanitaria è assicurata dalla l n 833/1978 e succ mod, istitutiva del SSN. 8. Il d lgs n 38/2000 innova il TU del 1965. 9. La legge di bilancio del 2019 introduce delle novità in tema di tariffe per premi e contributi INAIL La tutela oggi riconosciuta in caso di infortunio è la più intensa ed efficace tra le tutele previdenziali: qui trova piena applicazione il principio di automaticità delle prestazioni (non sono richiesti ulteriori requisiti contributivi o di età/anzianità) e non sono previsti limiti temporali per l’erogazione delle prestazioni (sono erogate per tutta la durata dell’inabilità). Ciò è dovuto alla considerazione che l’ordinamento ha di questa tutela: chi si trova in condizione di bisogno a causa del proprio lavoro merita una tutela maggiore. Peraltro si è assistito a un progressivo ampliamento della tutela antinfortunistica: la Corte costituzionale (sent 7234/1986) e la Cassazione (sent 221/1986 e 100/1991) concordano sull’esistenza di una presunzione di pericolosità del lavoro, anche in assenza di un rischio effettivo e concreto, onde le limitazioni che inerivano all’attività o alla pericolosità del lavoro sono ormai cadute. La Corte costituzionale (sent 179/1988) amplia anche la tutela fuori dai casi previsti dalle tabelle di malattie professionali, purchè si tratti di malattie delle quali sia provata la causa di lavoro. AMBITO DI APPLICAZIONE L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro è delimitata dall’art 1 TU che prevede due criteri: 1. ATTIVIT À PERICOLOSE La tutela per gli infortuni sul lavoro trova ormai applicazione in tutti i settori produttivi. Nonostante questa estensione soggettiva essa viene però applicata solo ai lavoratori la cui attività comporti una più intensa esposizione al rischio d’infortunio. Il requisito dell’esposizione al rischio non è invece richiesto per i lavoratori addetti ai servizi familiari e domestici nonché per gli sportivi professionisti. La legge fa riferimento alla pericolosità derivante sia dall’attività svolta, sia dall’ambiente in cui l’attività si svolge e individua dunque come pericolose: A. Le lavorazioni per cui si fa ricorso a macchine automatiche, lavorazioni in cui si fa ricorso ad apparecchi a pressione oppure a macchine che funzionano in virtù di energia elettrica o termica. Non basta che il macchinario sia conforme alla normativa UE per escludere l’erogazione della prestazione. La pericolosità dell’attività sussiste per gli addetti (cioè per chi usa le macchine o per chi è in senso tecnico complementare/ sussidiario a chi usa le macchine) ma anche per quelli che svolgono la loro attività nel luogo in cui opera la macchina (è il cd rischio ambientale). B. Lavorazioni espressamente considerate pericolose ex lege sulla base di dati oggettivi (28 lavorazioni tra cui edilizia, trasporto…). L’elenco fornito dal legislatore è tassativo ma sono assimilabili alle lavorazioni espressamente indicate, tutte quelle svolte nello stesso ambiente e che sono ad esse complementari o sussidiarie in senso tecnico. 31 C. Tutte le attività agricole sono ritenute attività pericolose, per questo la legge individua quali sono le attività agricole. La legge accoglie una nozione ampia di attività agricola, ben più ampia di quella codicistica, perché vuole ampliare il regime contributivo di favore a più attività possibile. Sono infatti ricomprese in tale nozione tutte le attività dirette alla coltivazione di fondi, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame ed attività connesse, anche se i lavori siano eseguiti con uso di macchine e non per conto e nell’interesse dell’azienda conduttrice del fondo. Sono altresì comprese le lavorazioni connesse, complementari ed accessorie dirette alla trasformazione od all'alimentazione dei prodotti agricoli, quando siano eseguite sul fondo dell'azienda agricola, o nell'interesse e per conto di una azienda agricola. Sono infine considerate tali anche le lavorazioni alle quali si estende la tutela contro gli infortuni dell’industria quando siano svolte da un imprenditore agricolo ovvero siano svolte per conto e nell’interesse di aziende agricole e forestali. 2. SOGGETTI PROTETTI A. LAVORATORI SUBORDINATI - La tutela è limitata ai lavoratori che svolgono in modo permanente o avventizio opera manuale retribuita (qualunque sia la forma di retribuzione) alle dipendenze e sotto la direzione altrui. Non basta dunque lo svolgimento dell’attività pericolosa o l’esposizione al rischio ambientale, l’attività deve avere determinate caratteristiche: I. Lavoro permanente o avventizio Questa espressione sottolinea che è irrilevante la continuità del rapporto di lavoro. Il lavoratore avventizio non può essere inteso come lavoratore occasionale (è il lavoro svolto senza vincolo giuridico perciò manca in questo caso il requisito della subordinazione). II. Requisito della manualità La concezione secondo cui l’attività pericolosa è quella che impegna fisicamente il lavoratore, è anacronistica: oggi si preferisce fare riferimento al tipo di mansioni effettivamente svolte e non alla categoria a cui appartiene il lavoratore. Il concetto di pericolosità viene però rivisto dalla Corte cost (sent 100/1991 su un medico radiologo che non aveva pagato il premio assicurativo): si distacca dalla tradizionale logica assicurativa e afferma che oggetto della tutela assicurativa non è la concreta pericolosità dell’attività considerata singolarmente ma l’attività per se stessa (l’attività è pericolosa per le sue caratteristiche generali, non perché si valuta come tale nel caso concreto). III. Retribuzione IV. Attività svolta alle dipendenze e sotto la direzione altrui La tutela prevista per i lavoratori subordinati viene estesa ad altre categorie (apprendisti, sportivi, dirigenti, lavoratori agili… Corte cost: l’elenco delle persone assicurate è solo esemplificativo) B. PERSONE DIVERSE DAI LAVORATORI SUBORDINATI - Il legislatore rende irrilevante la qualificazione giuridica del rapporto: la tutela è prevista non solo per i lavoratori subordinati ma anche per soci di cooperative, artigiani, insegnanti e alunni impegnati in esercitazioni pratiche, familiari che collaborano nell’impresa familiare, altri soggetti a cui il legislatore ha ampliato la tutela tra cui, sportivi professionisti e dilettanti, lavoratori occasionali (Libretto Famiglia o PrestO), lavoratori casalinghi… . La tutela infortunistica è stata estesa anche ai lavoratori parasubordinati (co co co) col d lgs 38/2000 (se addetti ad attività pericolose o se si avvalgono non in via occasionale di veicoli a motore personalmente condotti). Un esempio recente di ampliamento è la legge 128/2019 sui riders o ciclofattorini (obbligo assicurativo per le imprese di delivery). 32 nesso di causalità. Non è interruzione una “breve sosta che non alteri le condizioni di rischio per l’assicurato” (ad es la sosta al bar: C Cost 1/2005), come già prima ribadito dalla giurisprudenza. 3) Deviazioni la deviazione del tutto indipendente dal lavoro o non necessitata (= non dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti) interrompe il nesso di causalità. Ci si occupa in particolare delle deviazioni “per accompagnare i figli a scuola” (circolare INAIL 62/2014) e in questo caso la deviazione si ritiene necessitata. Le esigenze di tutela della famiglia del lavoratore e i tragitti che vengono percorsi a questo scopo sono dunque tutelati. 4) Mezzo di trasporto il mezzo di trasporto privato garantisce indennizzabilità solo se necessitato: questo significa che l’infortunio in itinere viene indennizzato solo se l’uso del mezzo privato è necessario, cioè quando usare altri mezzi è impossibile o renderebbe più difficoltoso raggiungere il posto di lavoro. Per la giurisprudenza consolidata il mezzo di trasporto ordinario è il mezzo pubblico. La necessità può essere anche riferita ad esigenze di tutela della vita familiare del soggetto. Nella sent Cass 995/2007 (INAIL nega indennizzo perché sul tragitto ci sono mezzi pubblici anche se ci impiegano più tempo, la lavoratrice adduce le esigenze familiari come scusante dato che doveva partire molto presto al mattino) la Cassazione specifica che deve essere tutelato il diritto del lavoratore a un legame con la comunità familiare ma non sempre è riconosciuta la necessità del mezzo privato (il risparmio di tempo è una mera comodità personale, non una necessità). La sent Cass 13776/2008 riconosce la necessità del mezzo privato in particolari casi, ad esempio qualora non possa essere valutata a priori la compatibilità degli orari di lavoro con quelli dei mezzi pubblici. Durante l’emergenza sanitaria l’utilizzo del mezzo privato è necessitato (circolare INAIL 22 del 2020). La legge 221/2015 o Collegato ambientale integra la norma con l’inciso: “L’uso del velocipede, come definito ai sensi dell’art 50 d lgs 285/1992 e succ mod deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato”. Già la Cassazione (sent 7313/2016) interpretava così l’art 12 ma riteneva il caso indennizzabile solo se l’infortunio si fosse verificato su un percorso protetto come una pista ciclabile. L’infortunio in itinere non è indennizzabile in caso di rischio elettivo (qui inteso in senso più ampio come comportamenti contrari a norme di legge o di comune prudenza, seppur non abnormi) o dolo. L’infortunio in itinere è finanziato con la contribuzione del datore di lavoro, anche se egli non può prevenire il rischio. b) CAUSA VIOLENTA La causa violenta è una causa esterna, efficiente e rapida (a differenza di quella della malattia professionale che è lenta). La violenza e la repentinità devono caratterizzare il fatto lesivo e non necessariamente le conseguenze di tale fatto. La giurisprudenza si è più volte occupata dell’infortunio subito dal lavoratore a seguito di infarto. La sent Cass 26231/2009 (lavoratore deceduto per arresto cardiaco mentre svolgeva un servizio di vigilanza presso il giudice di pace, i familiari ricorrono perché affermano che era sottoposto a continuo stress/ aveva subito minacce/ faceva troppo caldo, l’INAIL sottolineava che era già affetto da tachicardia e che non c’è nesso di causalità, il giudice di secondo grado dà torto ai familiari e sottolinea che serva provare un nesso causale) si occupa di questa questione: la Cassazione non nega che l’infarto, anche dato da pregressa malattia, sia qualificabile come infortunio ma occorre 35 che sia stato causato da uno sforzo eccedente la normale adattabilità e tollerabilità (nel caso concreto manca la prova dell’evento anormale o abnorme). La causa violenta non è solo la causa traumatica, una giurisprudenza consolidata riconosce che tra le altre ipotesi vi è anche la causa virulenta come l’infezione da COVID. La circolare INAIL n 13/2020 si occupa di un profilo problematico che non era sorto in occasione di altre cause virulente e cioè l’indimostrabilità dell’origine del contagio: l’INAIL distingue tra lavoratori esposti a un elevato rischio sanitario e non, prevedendo solo nel primo caso una presunzione semplice di contagio sul luogo di lavoro con annessa inversione dell’obbligo della prova (la presunzione che si prevede è semplice quindi è ammessa la prova contraria). Sono riconosciuti come infortunio COVID-19 anche i casi in cui il contagio avviene in itinere (con deroga alla regola generale e mezzo privato inteso come necessitato). L’efficienza della causa violenta non esclude di per sé la possibilità che la lesione sia dovuta anche a fattori preesistenti o sopravvenuti, detti concause, che possono incidere sia sulla lesione che sull’inabilità. Le concause possono essere di diversi tipi: 1) Concause preesistenti di lesione l’infortunio produce lesioni più gravi di quelle che avrebbe dovuto a causa di condizioni morbose preesistenti 2) Concause preesistenti di inabilità l’inabilità derivante dall’infortunio si aggiunge a un’altra inabilità già esistente, di carattere professionale (si sommano le due inabilità e si stabilisce una rendita che tenga conto di entrambe) o extra-professionale (la riduzione di attitudine al lavoro va rapportata alla condizione di inabilità di partenza) 3) Concause sopravvenute di lesione o inabilità una lesione o un’inabilità successiva si somma a quella causata da infortunio (la rendita da inabilità viene maggiorata solo se l’aggravamento deriva da infortunio). c) LESIONE L’infortunio è rilevante per la tutela previdenziale solo quando da esso ne derivi un particolare tipo di lesione: secondo l’art 210 TU l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro assoluta o parziale ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. Per effetto dell’integrazione operata dall’art 13 d lgs 38/2000 si comprende anche il caso in cui sia derivato dall’infortunio un danno biologico. 1) MORTE 2) INABILITÀ AL LAVORO L’inabilità in generale deve essere intesa come eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa: essa deve dunque essere valutata in relazione all’inabilità al lavoro che deriva dall’infortunio. Deve considerarsi come inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio la quale tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro (IPA). Deve considerarsi come inabilità permanente parziale la conseguenza di un infortunio, la quale diminuisca in misura non inferiore al 10 % e per tutta la vita l’attitudine al lavoro (IPP). La permanenza dell’inabilità non deve sempre corrispondere a “tutta la vita”: la valutazione che viene fatta deve infatti prevedere almeno che l’inabilità abbia una persistenza ragionevolmente durevole. L’inabilità può anche mutare nel tempo. Le due inabilità non devono riferirsi all’attività svolta dal lavoratore in concreto ma deve essere un’inabilità riferita a qualsiasi lavoro proficuo. Sotto questo profilo c’è stata un’evoluzione: inizialmente il riferimento a un’attività generica conduceva a soluzioni poco eque ma nel 2000 si inizia a considerare anche la capacità lavorativa specifica nella valutazione del grado di menomazione (cioè si valuta ancora in via generica ma si tiene anche conto del caso specifico). Il lavoratore può 36 esperire un ricorso per le inabilità micro-permanenti cioè sotto soglia (quelle non indennizzate dall’INAIL). Deve invece considerarsi come inabilità temporanea assoluta (ITA) la conseguenza di un infortunio che impedisca totalmente e di fatto per un determinato periodo di tempo di attendere al lavoro. In questo caso deve essere valutata l’inabilità a svolgere l’attività specifica, cioè il lavoro che effettivamente egli svolge. 3) DANNO BIOLOGICO In materia di danno biologico si sottolinea un’evoluzione della disciplina. Inizialmente viene prevista una forma di tutela per il lavoratore infortunato che tiene conto solo del danno patrimoniale subìto a seguito dell’infortunio (=si vuole indennizzare il lavoratore solo per il fatto che non percepisce stipendio). La disciplina prevista per questa tutela esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile. L’art 10 TU ammette però un’eccezione nel caso in cui del fatto da cui deriva l’infortunio sia responsabile il datore di lavoro o un suo dipendente che poi abbia subito condanna penale. La responsabilità civile in caso di infortunio viene quindi prevista solo in caso di commissione di reato e in questo specifico caso il lavoratore infortunato può pretendere il danno patrimoniale differenziale, cioè un indennizzo che eccede dalla copertura assicurativa. L’esonero dalla responsabilità civile è stato più volte posto al vaglio della Corte costituzionale. Per molto tempo essa ammette la legittimità di questa esclusione in quanto non contrasta con gli artt 3 (al lavoratore viene riconosciuta una tutela che non è riconosciuta agli altri cittadini quindi è lecito che vi siano dei limiti) e 38 cost (al lavoratore vengono garantiti i mezzi adeguati alle sue esigenze di vita attraverso la prestazione previdenziale e non attraverso il risarcimento del danno). La Corte inoltre ritiene che tale disciplina debba essere mantenuta anche perché il lavoratore ha un beneficio immediato dall’indennizzo, benché esso sia una soddisfazione parziale (la parzialità viene compensata dalla prontezza e sicurezza dell’indennizzo, nonché dal fatto che non si debba promuovere un giudizio). La Corte tuttavia interviene sulla materia e, pur ribadendo la disciplina anzidetta, prevede che la regola dell’esonero si riferisca solo al danno di natura patrimoniale: per i danni non economici può sussistere la responsabilità civile del datore di lavoro. La Corte costituzionale negli anni successivi ha più volte auspicato una riforma della disciplina e un ampliamento della copertura assicurativa obbligatoria. Con il d lgs 38/2000 si ha questa riforma. L’art 13 introduce e definisce il danno biologico: “In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come la lesione all'integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona”. L’art 13 prevede come indennizzabile il danno biologico consistente in menomazioni superiori al 6%. A seguito di questa nuova disciplina ci si chiede se ci si limiti a prevedere solo un indennizzo parziale da parte dell’INAIL o se si possa richiedere anche un ristoro integrale secondo le regole del diritto comune. La giurisprudenza via via ammette delle aperture: ad esempio in caso di danno che esula ab origine dalla copertura INAIL o di danno biologico sotto il 6%, il lavoratore può agire per la responsabilità civile e cioè per avere un integrale ristoro. [In caso di infortunio da COVID la responsabilità civile del datore è ipotizzabile solo in caso di violazione di legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche.] In tutti i casi in cui è prevista responsabilità civile, l’accertamento va fatto seguendo le regole del giudizio civile. Inoltre, per evitare un ingiusto arricchimento del danneggiato, 37 proprietari/ mezzadri/ affittuari e relativi familiari, della retribuzione giornaliera minima determinata per i lavoratori d’industria). b) RENDITA DA INABILIT À PERMANENTE Se ci si riferisce a eventi antecedenti il 25 luglio 2000, in caso di inabilità permanente il soggetto protetto ha diritto a una rendita con decorrenza dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea assoluta. La rendita è rapportata alla retribuzione (la base è la retribuzione annua effettiva corrisposta al soggetto protetto durante l’anno precedente oppure se non si può calcolare così si guarda al modo previsto ex lege) entro un massimale e un minimale previsti con decreto ministeriale. Se l’inabilità permanente è parziale (compresa tra 11% e 64%) la rendita è variabile e rapportata alla retribuzione e alla gravità del danno. Se l’inabilità permanente è assoluta (compresa tra il 65% e il 100%) la rendita è pari all’intera retribuzione già goduta, entro un massimale fissato con decreto ministeriale. Ove richiesta un’assistenza continua per inabile al 100%, è dovuto anche uno speciale assegno non cumulabile con quello erogato ai pensionati di inabilità (cd assegno assistenza continuativa). Nel settore agricolo il calcolo è di nuovo differenziato a seconda che il lavoratore fosse addetto a macchine mosse da agente inanimato (si usa il calcolo previsto per l’industria) o no (il calcolo viene calcolato come l’indennità giornaliera). Dopo il primo decennio di erogazione, se la rendita è superiore al 10% e inferiore al 16% nell’industria o inferiore al 20% in agricoltura, il soggetto può chiedere riscatto. Su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’INAIL, la rendita deve essere oggetto di revisione in caso di alterazione dell’attitudine al lavoro o in seguito ad alterazioni fisiche del titolare, purchè se si tratta di peggioramento sia derivato dall’infortunio che ha dato luogo alla rendita. La revisione può avvenire solo entro 10 anni dalla costituzione della rendita per infortunio o entro 15 anni dalla costituzione della rendita per malattia (dopo c’è presunzione assoluta che non cambiano gli effetti). La rettifica invece funge da strumento correttivo a un vizio originario non connesso a modificazioni sopravvenute. L’INAIL, accertato l’errore, procede a rettificarlo con effetto ex nunc. La rettifica decade dopo 10 anni da comunicazione del provvedimento di attribuzione/ erogazione/ ricalcolo della prestazione (tranne nei casi di dolo o colpa grave dell’incaricato). c) INDENNIZZO PER DANNO BIOLOGICO Se ci si riferisce a eventi successivi il 25 luglio 2000, l’indennizzo per danno biologico sostituisce la rendita per inabilità permanente. Il danno biologico dà luogo a un indennizzo erogato sotto forma di capitale per danni fino al 15% (salvo menomazioni di grado pari o inferiore al 6% per i quali opera una franchigia) e per i danni ulteriori sotto forma di rendita determinata in base ad apposite tabelle. Quando la menomazione consegunete a danno biologico sia pari o superiore al 16%, l’indennizzo è erogato in rendita in base alla tabella dei coefficienti (tiene conto della menomazione, della retribuzione, del tipo di attività lavorativa svolta, della ricollocabilità del soggetto). Al finanziamento dell’indennizzo si fa fronte con un addizionale dei premi e dei contributi assicurativi. Dal 2016 gli importi relativi all’indennizzo vengono rivalutati annualmente su proposta del presidente INAIL e sulla base di dati ISTAT (rivalutazione automatica). Dal 2019 tale rivalutazione è subordinata all’attuazione della revisione della tariffa dei premi per l’assicurazione contro gli infotuni e le malattie professionali. d) RENDITA AI SUPERSTITI 40 In caso di morte causata da infortunio sul lavoro o malattia professionale, la rendita viene corrisposta ai superstiti. Tale rendita viene ragguagliata al 100% della retribuzione annua, effettiva o convenzionale, goduta dal defunto. I superstiti che ne beneficiano possono essere il coniuge (nella misura del 50% fino a morte o nuovo matrimonio, se si sposa invece è pari a 3 annualità di rendita), l’unito civilmente (dal 2016), i figli (nella misura del 20% fino a 18 anni o se a carico fino a 21 anni e non oltre i 26, nelle misura del 40% se orfani di entrambi i genitori), soggetti equiparati ai figli (discendenti viventi a carico del defunto se orfani di ambedue i genitori o se inabili al lavoro). In mancanza di questi soggetti la rendita spetta agli ascendenti (20% se erano a carico del defunto), ai fratelli (20% se a suo carico e conviventi, se non superano i limiti d’età fissati per i figli). Nel 2019 è stata modificata la disciplina della vivenza a carico e si è introdotta la soglia di reddito quale limite per poter beneficiare della rendita per genitori e fratelli (criterio basato sul reddito netto medio delle famiglie italiane periodicamente aggiornato dall’ISTAT). In ogni caso la somma complessiva delle rendite ai superstiti non può superare l’importo dell’intera retribuzione percepita dal soggetto protetto (altrimenti si riduce proporzionalmente). La legge prevede inoltre l’erogazione al coniuge o in mancanza ai figli anche di un assegno funerario una tantum. FINANZIAMENTO DELLA TUTELA I mezzi finanziari necessari per l’erogazione delle prestazioni previdenziali economiche sono reperiti interamente per via contributiva. La contribuzione è totalmente a carico del datore di lavoro nel caso dei lavoratori dipendenti (deroga alla generale regola dell’ordinamento previdenziale che prevede che siano parzialmente anche a carico del lavoratore). Se il lavoratore è parasubordinato si prevede invece che egli sia tenuto a versare 1/3 della contribuzione, mentre i restanti 2/3 restano a carico del committente. Nel caso del lavoro autonomo è lo stesso lavoratore che versa la contribuzione, stessa cosa per chi si occupa di lavoro esclusivamente casalingo. I premi assicurativi sono dovuti in proporzione alla retribuzione, secondo le percentuali stabilite dalla tariffa dei premi approvata con decreto del Ministro del tesoro e su delibera del Consiglio di amministrazione dell’INAIL. Le percentuali stabilite dalla tariffa dei premi variano a seconda della gravità del rischio dell’attività considerata (criteri assicurativi). Per calcolare tali premi si usa una combinazione di 5 fattori (art 3 d lgs 38/2000): 1. Settore di attività (inquadramento settoriale): sono previsti 4 macro settori cioè l’industria, l’artigianato, il terziario e altre attività (enti pubblici, credito e assicurazioni…). 2. Tipologia di attività a cui sono addetti i lavoratori: si usa il criterio del rischio medio nazionale secondo cui ogni attività ha un proprio rischio medio nazionale dato da un rapporto tra due misure: oneri che ha sostenuto l’INAIL per infortuni o malattie professionali per le persone addette a una certa lavorazione e retribuzioni che il complesso dei lavoratori addetti a quella lavorazione ha ricevuto. 3. Andamento infortunistico aziendale o rischio specifico aziendale: rapporto tra oneri versati dall’INAIL ai lavoratori infortunati nell’azienda e le retribuzioni versate. Nel caso di contagio da COVID, l’INAIL ha precisato che tali contagi non incidono sull’oscillazione del tasso medio e non comportano dunque maggiori oneri per le imprese. 4. Adozione delle misure obbligatorie di prevenzione da parte dell’azienda: riduzione del premio se l’azienda ha adottato tutte le misure (logica premiale). 5. Oscillazione per prevenzione : per le aziende che hanno adottato interventi volti a migliorare le condizioni di sicurezza e salute sul lavoro ci sarà una riduzione del premio (logica premiale) 41 Questo sistema di calcolo dei premi segue una logica assicurativa (il rischio viene ripartito tra tutti i datori di lavoro che ad esso sono esposti) e realizza una solidarietà limitata al gruppo di datori di lavoro che svolgono attività di analoga pericolosità (non c’è solidarietà generale ma limitata a un gruppo determinato). La legge di bilancio del 2019 svolge una revisione delle tariffe dei premi e prevede in particolare una riduzione dei tassi medi: in questo modo le aziende hanno risparmiato ma l’INAIL ha visto una minore entrata. Nel settore agricolo i contributi venivano determinati in rigore all’estensione dei terreni, alla specie di coltivazione, alla manodopera necessaria, al rischio di infortunio (e all’imposta erariale se si trattava di fondi rustici). Dal 1973 la contribuzione viene invece calcolata in misura percentuale alle retribuzioni imponibili o in misura di una quota capitaria annua. Se poi il disavanzo della gestione supera il 10%rispetto all’esercizio precedente, è obbligatoria la variazione dei contributi. La contribuzione è comunque deficitaria ed è stato previsto un contributo a carico dei lavoratori dipendenti e autonomi oltre che dello Stato. Dopo il 1994 tali contributi vengono riscossi dall’INAIL secondo le modalità previste per la riscossione dei contributi per l’assicurazione per invalidità/ vecchiaia/ superstiti. Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie, il carico ricade sulle Regioni. ADEMPIMENTI DEL DATORE DI LAVORO E DEL LAVORATORE INFORTUNIO Il datore di lavoro dopo il d lgs 151/2015 non è più tenuto all’obbligo di inviare il certificato medico all’INAIL (se l’infortunato/ il pronto soccorso/ il medico certificatore non avevano già provveduto): oggi è infatti il medico certificatore che deve trasmettere in via telematica all’INAIL. Sarà poi l’INAIL a denunciare alle autorità di pubblica sicurezza gli infortuni, se questi sono mortali o con prognosi superiore ai 30 gg. I datori di lavoro non devono neanche più tenere un registro degli infortuni. MALATTIA PROFESSIONALE Il lavoratore invece deve dare manifestazione della malattia entro 15 gg dalla sua manifestazione: egli comunica al datore di lavoro che poi denuncerà all’INAIL in via telematica. TUTELA PER INVALIDITÀ, VECCHIAIA E SUPERSTITI EVOLUZIONE NORMATIVA La prima legge in materia pensionistica è la l. 350/1898 che istituisce la Cassa nazionale per vecchiaia e invalidità per gli operai dell’industria. Con la Cassa si sostituisce il pluralismo delle società di mutuo soccorso. Inizialmente questa assicurazione era volontaria ed era finanziata principalmente dai contributi degli iscritti. Essa erogava agli iscritti che avessero più di 60 o 65 anni una rendita vitalizia ed eventualmente erogava annualità vitalizie agli inabili. L’obbligatorietà della tutela viene imposta dal d. lgs. 603/1919 che istituisce la Cassa nazionale assicurazioni sociali ed estende la tutela anche ad altri settori (impiegati). A partire dal 1919 il finanziamento diventa più articolato e coinvolge anche lo Stato. L’assicurazione copre la vecchiaia, l’invalidità e la morte prevedendo prestazioni sia economiche (proporzionate ai contributi versati) che sanitarie. I rdl 1827/1935 e 636/1939 innovano la materia. Fondamentale sarà la Costituzione che prevede la liberazione dal bisogno per tutti i cittadini. La fondamentale legge n 153/1969 istituisce la pensione retributiva (prima era di tipo contributivo): essa prevede un sistema di calcolo retributivo delle pensioni e sancisce il principio dell’automaticità delle 42 Secondo il sistema contributivo ① si determina il cd montante contributivo individuale, cioè la somma dei singoli importi annuali di contribuzione accantonati e degli importi delle relative rivalutazioni periodiche ② si ottiene l’importo annuo della pensione, moltiplicando il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione determinato ex lege (il coefficiente di trasformazione varia in funzione dell’età di pensionamento: l’importo della pensione varia in relazione alla probabile residua durata della vita). 3. MINIMI E MASSIMI DI PENSIONE In vigenza del sistema di calcolo retributivo, si era fissato un ammontare minimo della pensione che potesse realizzare la garanzia costituzionale dell’art 38 cost (mezzi adeguati alle esigenze di vita). La pensione minima viene introdotta con la l 218/1952 per soggetti in particolari condizioni di indigenza e poi viene allargata a tutti i pensionati. Tale previsione viene anche estesa alle forme di tutela previdenziale non gestite dal regime generale e prende il nome di integrazione al minimo: tale integrazione non viene però erogata onde manchi la situazione di bisogno (cioè dove il soggetto ha garanzia che provengono da redditi propri). Con l’introduzione del sistema contributivo, viene abolita l’integrazione al minimo ma si prevede che, in caso di importo irrisorio, la pensione venga integrata dall’assegno per il nucleo familiare. Le esigenze di solidarietà che avevano portato a prevedere una pensione minima, avrebbero anche dovuto determinare la previsione di una pensione massima. Il nostro sistema però prevede al massimo dei massimali di contribuzione e di retribuzione pensionabile. Il legislatore ha talvolta previsto, per esigenze di contenimento della spesa, un blocco o una mitigazione dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni oppure ha imposto trattenute sulle pensioni di importo più elevato (cd contributo di solidarietà). Nel 2011, ad esempio, era stato previsto un contributo di solidarietà alle cd pensioni d’oro: si prevedeva una trattenuta del 15% se il loro importo superava i 200.000,00 euro. Tale previsione è stata però ritenuta illegittima dalla Corte costituzionale: è considerabile un vero e proprio prelievo di natura tributaria. Successivamente però la Corte salva un altro contributo di solidarietà (dal 6 al 18% per il triennio 2014- 2016 per le pensioni superiori da 14 a 30 volte il trattamento minimo annuo INPS): è una misura una tantum, proporzionale e causata dalla crisi del sistema previdenziale. La legge di stabilità del 2019 introduce un nuovo contributo di solidarietà a scaglioni sulle pensioni superiori a 100.000 euro lordi annui (riduzione dal 15 al 40% per il quinquennio 2019-2023). 4. EVENTO PROTETTO Le varie forme di pensione sono distinte in base all’evento protetto (vecchiaia, pensione anticipata, invalidità e inabilità, superstiti). Esse sono identiche con riferimento alla natura e alla funzione: tutte contengono un diritto soggettivo pubblico e sono finanziate mediante contribuzione indistinta, tutte hanno come obiettivo la liberazione dal bisogno. La distinzione basata sull’evento protetto è un’eredità del sistema assicurativo-mutualistico. 5. CUMULO DELLE PENSIONI In origine il divieto di cumulo valeva sempre per i trattamenti previdenziali erogati nell’ambito dello stesso regime, mentre in tutti gli altri casi si tendeva ad ammetterlo. Con la riforma del 1995, viene sancito il divieto di cumulo tra le pensioni di invalidità/ le pensioni di reversibilità/ l’assegno ordinario di invalidità a carico del regime generale dell’INPS e la rendita vitalizia liquidata dall’INAIL, qualora i due tipo di prestazione riguardassero lo stesso infortunio sul lavoro o la stessa malattia professionale. Nel 2000 il divieto viene mitigato: il cumulo tra reversibilità erogata dall’INPS e la rendita erogata dall’INAIL è possibile qualora all’evento consegua il decesso. 45 La disciplina di cumulo tra pensioni e retribuzioni ha subito diverse variazioni, a seconda delle esigenze che il legislatore ritiene prevalenti. In un primo tempo viene previsto il divieto di cumulo totale tra pensioni di vecchiaia e invalidità con la retribuzione o altri redditi (1968), poi il divieto diventa parziale (1969): il divieto di cumulo tra pensione e retribuzione è limitato alla parte eccedente i trattamenti minimi. Nel 2000 il divieto di cumulo viene revocato. In tema interviene più volte la Corte costituzionale che afferma la legittimità della diminuzione del trattamento pensionistico, qualora sussista un’altra fonte di reddito che la giustifichi. Nel 2009 viene prevista la totale cumulabilità, con alcune eccezioni: resta il divieto di cumulo tra retribuzione e pensione di inabilità, tra retribuzione e pensione privilegiata ordinaria (non paragonabile alla pensione di anzianità per la Corte cost), tra pensione quota 100 (fino a che non si raggiunge il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia) e redditi di lavoro autonomo occasionale sopra i 5mila euro annui. 6. FINANZIAMENTO Il finanziamento delle pensioni ivs avviene attraverso una contribuzione posta a carico di datori di lavoro e lavoratori. Fino al secondo dopoguerra era prevista una ripartizione in parti eque ma oggi è richiesta una contribuzione maggiore al datore di lavoro. Anche lo Stato è però chiamato a provvedere al finanziamento della tutela ivs. 7. INDEBITO PENSIONISTICO L’indebito pensionistico si ha quando per un periodo la pensione viene erroneamente calcolata e il beneficiario riceve un importo superiore a quello che gli sarebbe spettato. In ambito previdenziale, a differenza del diritto comune, è prevista l’irripetibilità delle prestazioni pensionistiche indebitamente erogate. Fermo restando la regola dell’irripetibilità, l’INPS può comunque procedere al recupero dell’indebito qualora vi sia stato dolo dell’interessato. PRESTAZIONI PENSIONISTICHE PER LA VECCHIAIA Prima del 2011 la tutela previdenziale per la vecchiaia era articolata su tre tipologie di prestazione distinte in base ai requisiti di accesso: la pensione di anzianità (versamento di 40 anni contributi), la pensione di vecchiaia (60 anni di età per le donne e 65 per gli uomini, anzianità contributiva di 20 o 5 anni) e la pensione di vecchiaia anticipata (raggiungimento di una quota data dalla somma tra età anagrafica e almeno 35 anni di contributi). In tale sistema erano anche previste le cd finestre mobili che consistevano nella previsione di un periodo tra il momento della maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi utili per il diritto alla pensione e la decorrenza effettiva della pensione. Con la riforma delle pensioni del 2011 viene esteso a tutti i lavoratori il sistema di calcolo contributivo e viene soppressa la pensione di anzianità. I. PENSIONE DI VECCHIAIA Il diritto alla pensione di vecchiaia è, come in passato, condizionato al raggiungimento dell’età pensionabile e al possesso del requisito contributivo, nonché alla cessazione del rapporto di lavoro. Il requisito anagrafico varia per effetto del meccanismo “speranza di vita” (dato ricavato dalle statistiche ISTAT) e dal 2019 è pari a 67 anni per lavoratori uomini o donne, privati o pubblici (parificazione). Viene comunque introdotta una fascia di flessibilità per l’accesso alla pensione sino a 70 anni (con incentivo per l’accesso al pensionamento più tardi possibile). Il requisito contributivo minimo richiesti è pari a 20 anni. Per i soggetti la cui pensione è regolata solo con metodo contributivo è richiesto un requisito ulteriore: la pensione maturata con i contributi deve essere almeno 1,5 volte l’assegno sociale, a meno che il lavoratore non abbia 70 anni e abbia versato contribuzione effettiva per almeno 5 anni. 46 La pensione non viene erogata d’ufficio: l’avente diritto deve presentare la domanda. La pensione decorre, in via generale, dal mese successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, se il beneficiario lo richiede, dal mese successivo alla domanda. Il pagamento della pensione avviene in rate mensili (il primo giorno del mese non festivo). In aggiunta alla rata mensile, nel mese di dicembre viene anche corrisposta la tredicesima e, per i pensionati meno abbienti col almeno 64 anni, nel mese di luglio viene erogata la quattordicesima. Possono essere previste eventuali trattenute relative a quote associative sindacali e in questi casi l’ente deve informare i soggetti interessati. Il pagamento del trattamento previdenziale viene sospeso in caso di sentenza passata in giudicato di condanna a pena detentiva per reato di particolare allarme sociale (dal 2019). Colui che raggiunge i requisiti per la pensione può comunque richiedere di continuare a lavorare (cd trattenimento in servizio) fino al raggiungimento dei 70 anni ma non è un diritto e il datore di lavoro può rifiutare. II. PENSIONE DI ANZIANITÀ La pensione di anzianità è stata per lungo tempo prevista per i lavori logoranti ed è una peculiarità del nostro ordinamento. È stata vista con sfavore per molto tempo ed è infatti stata abolita. Era richiesto solo un requisito contributivo: erano richiesti 35 anni di contributi effettivi (=conseguiti in costanza di rapporto o al verificarsi di eventi equiparabili alla costanza di rapporto es maternità, non conta la contribuzione figurativa es disoccupazione). Questo unico requisito era comunque difficile da conseguire. Si scoprì negli anni 80 che coloro che avevano goduto di questa pensione erano gli impiegati e non gli operai (perché per i primi era più facile raggiungere il requisito): poiché le pensioni erano calcolate anche col metodo retributivo e gli impiegati a fine carriera vedevano il loro stipendio salire con il passare degli anni, ciò portava a una eccessiva gravosità per il sistema. In alcuni periodi venne bloccata la possibilità di accedervi. Per questi motivi viene previsto anche il requisito anagrafico: fino al 2007 cresce fino a 57 anni, dal 2009 entra in vigore il sistema delle quote (età anagrafica + contribuzione tenendo fermo il criterio contributivo a 35 anni), negli anni successivi la quota sale (quindi salgono i requisiti richiesti). Se si possedeva un requisito contributivo elevato (40 anni) si poteva comunque accedervi. III. PENSIONE ANTICIPATA Essa si consegue, a prescindere dall’età, se si è in possesso di una anzianità contributiva elevata: dal 2018 è necessaria un’anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini, di 41 anni e 10 mesi per le donne. La pensione anticipata può anche essere conseguita se di possiede una combinazione di anzianità contributiva ed età pari almeno a 20 anni di contribuzione effettiva e 64 anni di età (cd pensione anticipata contributiva). La seconda opzione è però riservata ai soggetti che abbiano iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e solo ai casi in cui la pensione spettante non risulti essere inferiore a un determinato importo (pari a 2,8 volte l’assegno sociale). La caratteristica generale di questo istituto è dunque l’elevata anzianità contributiva a prescindere dall’età anagrafica. TRATTAMENTI PENSIONISTICI ANTICIPATI I. OPZIONE DONNA Misura sperimentale già esistente (introdotta dalla riforma Maroni nel 2004) e ripresa dalla riforma Fornero (ancora oggi è attiva). Consente il pensionamento anticipato in presenza di determinati requisiti: le lavoratrici devono avere 58 anni se subordinate o 59 anni se autonome e devono aver maturato 35 anni di contributi entro il 31 dicembre 2018. Il calcolo della pensione è interamente contributivo (mediamente la decurtazione della pensione è del 20-30% se si passa dal sistema misto 47 L’attribuzione delle prestazioni per invalidità o inabilità non è definitiva: la legge infatti prende in considerazione la possibilità di recupero parziale o totale della capacità e dunque la revisione dello stato di invalidità o inabilità su richiesta dell’INPS. L’INPS può anche adottare un provvedimento di revoca o di sospensione: il secondo caso è previsto qualora l’interessato si rifiuti di sottostare agli accertamenti sanitari senza giustificato motivo. PENSIONE AI SUPERSTITI Si distingue tra pensione di reversibilità se la persona deceduta era già pensionata e di pensione indiretta se invece era ancora attiva. I familiari possono godere di pensione indiretta solo se il deceduto aveva accumulato almeno 15 anni di contributi oppure se era assicurato da almeno 5 anni, di cui almeno 3 versati nel quinquennio precedente la morte. In mancanza di tali requisiti, essi hanno diritto a un’indennità una tantum se si trovano nelle condizioni di reddito previste per l’erogazione dell’assegno sociale. La pensione ai superstiti spetta a: 1. CONIUGE Originariamente la pensione ai superstiti spettava solo al coniuge femminile, al coniuge maschile spettava solo se era un soggetto disabile: oggi invece il diritto è previsto per il coniuge sia uomo che donna. La pensione spetta anche al coniuge separato per colpa o con addebito e anche divorziato, purché non si risposi. In passato erano richiesti dei requisiti (es più di 10 di anni di matrimonio, meno di 20 anni di differenza d’età, il coniuge non doveva superare i 70 anni al momento del matrimonio) che avevano come obiettivo lo scoraggiare i matrimoni di convenienza: la Corte costituzionale (sent 174/2016) ritiene illegittime tali riduzioni, in quanto contrastanti con l’evoluzione dei costumi sociali. 2. PARTNER DI UNIONE CIVILE La pensione dal 2016 spetta anche al partner di unione civile ma non al convivente more uxorio. 3. FIGLI Essa spetta anche ai figli adottivi e affiliati, postumi, naturali, nati dal precedente matrimonio del coniuge, riconosciuti o dichiarati giudizialmente del coniuge. Essi hanno diritto alla pensione se minorenni oppure se figli a carico studenti under 26 o inabili. 4. NIPOTI Essa spetta anche ai nipoti minori se a carico del nonno defunto. 5. GENITORI, FRATELLI E SORELLE In mancanza dei soggetti sopra citati, essa spetta ai genitori, ai fratelli celibi e alle sorelle nubili, qualora fossero a carico del deceduto (non hanno altra pensione, i genitori hanno più di 65 anni e i fratelli/ le sorelle sono inabili al lavoro). Non hanno diritto alla pensione i superstiti che sono stati condannati con sentenza passata in giudicato per aver causato la morte del defunto. Il diritto è subordinato alla prova della vivenza a carico (tranne nel caso del coniuge e del figlio minore dove è presunta). La ripartizione della pensione in quote tra gli aventi diritto non può superare il 100% della pensione che spettava al defunto. Sulla base del reddito del beneficiario, se non vi sono figli coinvolti, si applica una riduzione della quota spettante fino al 50%. ALTRE PRESTAZIONI IVS I. PRESTAZIONI PRIVILEGIATE PER CAUSE DI SERVIZIO 50 Sono previste dall’ordinamento delle prestazioni privilegiate qualora l’invalidità o l’inabilità oppure la morte risulti in rapporto causale diretto con la finalità di servizio (=“a causa” e non “in occasione” di lavoro), a condizione che dallo stesso evento non sia derivato il diritto a una rendita INAIL o ad altri trattamenti previdenziali. La prestazione che viene erogata è definita privilegiata perché non prevede i requisiti di contribuzione e di assicurazione normalmente richiesti. La tutela ha carattere generale ed è estesa a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla pericolosità dell’attività da essi svolta. Si applica la disciplina prevista per le pensioni ivs. II. L’ASSEGNO SOCIALE E LA PENSIONE DI CITTADINANZA L’assegno sociale è previsto per tutti i cittadini (ma anche cittadini comunitari ed extracomuniatri) di età superiore ai 67 anni che si trovino in disagiate condizioni economiche (prima del 1996 era prevista la pensione sociale). Per accedervi è necessaria la residenza effettiva in Italia per almeno 10 anni continuativi. L’importo dell’assegno è ridotto in proporzione ai redditi dell’interessato e del coniuge. L’assegno ha carattere provvisorio (entro luglio si determina l’importo con riferimento al reddito dell’anno precedente dichiarato dal richiedente). Il finanziamento è interamente a carico dello Stato. Nel 2019 viene prevista con la stessa ratio la pensione di cittadinanza: essa è concessa ai nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di almeno 67 anni. Si applicano gli stessi requisiti di accesso e le regole previste per il reddito di cittadinanza. TUTELA DELLA SALUTE EVOLUZIONE NORMATIVA È stata l’ultima forma di tutela che ha trovato spazio nell’ordinamento italiano. Inizialmente infatti il bisogno di cure mediche era visto come un bisogno individuale: forte era l’influenza di chi spingeva contro a misure previdenziali in tema di salute sia per una questione finanziaria (doveva essere prevista per tutti e senza limiti quindi sarebbe stata dispendiosa) che per una questione di principio (non si accettava che i datori di lavoro dovessero coprire anche solo in parte delle situazioni totalmente indipendenti dall’attività lavorativa). Per molto tempo dunque sono bastati il finanziamento privato, la beneficienza e l’assistenza sociale. La prima forma di malattia tutelata è stata la tubercolosi nel 1927, in quanto considerata malattia sociale. Tale tutela però era limitata solo a certe categorie di lavoratori e a determinate regioni. Per la generalità dei lavoratori subordinati, si passa dalle mutue volontarie alla tutela obbligatoria solo grazie alla contrattazione collettiva corporativa. In questo periodo vengono infatti costituite le casse mutue di malattia con il contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro. La disciplina era però molto differenziata tra le diverse categorie professionali. Nel 1943 le casse mutue di malattia vengono assorbite nell’Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori, che diventerò poi l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro la malattia (INAM). Rimangono tuttavia in vigore i contratti collettivi corporativi e ciò determina il permanere di una disciplina differenziata tra categorie. Non si realizzò neanche la vera e propria unificazione organizzativa auspicata perché restarono in piedi i vari enti precedenti e ne vennero anche istituiti di nuovi (es Casse mutue per i lavoratori autonomi). Il fondamento costituzionale della tutela della salute è da ricercare negli artt 3, 32 e 38 cost: la tutela della malattia è sostituita dalla tutela della salute che comprende, oltre alla cura, anche la prevenzione e la riabilitazione. Alla luce dei principi costituzionali, il sistema mutualistico risulta inadeguato. Con lo scioglimento dell’INAM e degli altri enti gestori della tutela per malattia, viene istituito il SSN (l 833/1978). IL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE (SSN) 51 Il SSN è costituito dal complesso delle aziende (già unità) sanitarie locali, dei presidi ospedalieri e dei servizi multizonali di prevenzione. Ad esso è affidata la tutela della salute di tutta la popolazione, senza distinzioni. La tutela della salute è resa obbligatoria dal 1980. La Riforma Bindi del 1999 prevede che siano determinati i livelli essenziali di assistenza (LEA) e realizza un sistema sanitario integrato che prevede una concertazione tra Stato e Regioni. Con riguardo al primo punto vengono previsti il piano sanitario nazionale (individua ogni 3 anni gli obiettivi di cura, prevenzione e riabilitazione, nonché le linee generali di indirizzo del SSN e i LEA) e i piani sanitari regionali (organizzazione dei servizi, finanziamento, controllo e valutazione delle prestazioni sanitarie). La legge razionalizza poi la materia con la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni: la generalità delle funzioni sanitarie viene affidata alle Regioni e si va verso la via dell’autofinanziamento da parte delle stesse Regioni per il SSN del loro territorio. Con la riscrittura dell’art 117 Cost nel 2000, viene costituzionalizzata la ripartizione delle competenze già previste nel 1999. L’universalità del SSN viene negli ultimi anni erosa per due ragioni: da un lato la riforma del 2000 frammenta e indebolisce il SSN, dall’altro le politiche di austerity portano a una riduzione del finanziamento del SSN. L’organizzazione sanitaria si articolava nel 1978 in unità sanitarie locali dotate di piena autonomia e capacità ma non dotate di personalità giuridica di diritto pubblico. Tali unità vengono affidate alla gestione degli amministratori degli enti pubblici territoriali ma questa decisione si rivela ben presto essere stata infelice. Nei primi anni 90 si spinge così verso un forte decentramento, per tentare di responsabilizzare gli amministratori pubblici. Nel 1992, in particolare, il d lgs 505 trasforma le unità in aziende sanitarie locali con ambito di competenza territoriale e con personalità giuridica di diritto pubblico. Organi delle ASL sono il direttore generale, coadiuvato dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, e il collegio sindacale. Le ASL non possono indebitarsi. Si dà inoltre nuova importanza ai principali ospedali, che vengono costituiti in aziende ospedaliere dal Consiglio dei Ministri e dalle Regioni. È poi prevista l’istituzione presso ogni ASL di un dipartimento di prevenzione competente in materia di igiene degli alimenti, di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, di igiene e sanità pubblica. SOGGETTI PROTETTI La legge istitutiva del SSN dispone l’estensione della tutela a tutti i cittadini. Nel 1987 essa viene estesa ai lavoratori italiani all’estero. Nel 1999 la Corte costituzionale estende la tutela anche ai cittadini all’estero, per motivi diversi da lavoro e borse di studio. Gli stranieri sono coperti dalla tutela gratuita solo se sono regolarmente soggiornanti sul territorio italiano per motivi familiari, di asilo politico, di asilo umanitario, in attesa di adozione/affidamento/acquisto di cittadinanza (TU del 1998). Tutti gli altri stranieri sono tutelati sono per quanto riguarda il nucleo essenziale del diritto alla salute (cure urgenti o essenziali a salvaguardare la salute individuale e collettiva). NOZIONE DI MALATTIA La malattia da cui origina il diritto alla prestazione sanitaria non può essere intesa come alterazione psico- fisica del soggetto protetto, in quanto la prestazione sanitaria è dovuta anche al fine di accertare se vi è o no tale alterazione. Si ritiene dunque che l’evento protetto non sia tanto la malattia, quanto il bisogno soggettivo di cure mediche. La malattia necessita di certificazione medica che va spedita all’INPS e al datore di lavoro e che dà il via alle visite di controllo o visite fiscali (dal 2017 gestite dal polo unico INPS). Il soggetto ha delle fasce di reperibilità in cui deve trovarsi nel domicilio, esse sono differenziate tra dipendenti pubblici e privati. 52 disoccupazione involontaria) distingue il caso delle dimissioni per giusta causa dalle altre forme di dimissione (che sono conseguenza di una scelta libera del lavoratore e corrispondono a disoccupazione volontaria). La Corte costituzionale dunque risolve la questione con una sentenza interpretativa di rigetto, individuando una diversa interpretazione della norma: l’atto di dimissione se per giusta causa è da ascrivere a un altro soggetto e dunque la disoccupazione è da ritenere involontaria. L’ art 3 comma 2 d lgs 22/2015 riprende la sentenza della Corte cost e prevede che nella nozione di disoccupazione involontaria rientri anche la risoluzione consensuale, se intervenuta in sede protetta per evitare il contenzioso. FINANZIAMENTO Oltre che da un notevole contributo a carico dello Stato, la tutela in caso di disoccupazione viene finanziata da un contributo a carico dei soli datori di lavoro. La contribuzione a carico dei datori di lavoro può essere definita doppia: da una parte la contribuzione ordinaria (pari all’1,3% della retribuzione imponibile) e dall’altra una maggiorazione prevista per tutte le volte che il datore assuma un lavoratore a tempo determinato (salvo alcune eccezioni es. lavoro stagionale a termine). Viene inoltre prevista un’ulteriore contribuzione da parte del datore di lavoro, la cd tassa sul licenziamento, quando il datore procede a un licenziamento di un lavoratore a tempo indeterminato. Anche per la tutela in caso di disoccupazione vale il principio di automaticità delle prestazioni, se il soggetto soddisfa i requisiti richiesti. SOGGETTI PROTETTI I soggetti protetti sono tutti i lavoratori subordinati, senza distinzione di qualifica, in possesso dei requisiti minimi di anzianità assicurativa e contributiva. Per i lavoratori parasubordinati, in determinate condizioni, è prevista la DIS-COLL. All’indennità di disoccupazione si aggiunge l’accredito di contribuzione figurativa per il periodo di godimento della prestazione. EVOLUZIONE NORMATIVA 1. Prima della Riforma Fornero TRATTAMENTO ORDINARIO DI DISOCCUPAZIONE condizionato ①al possesso di requisiti minimi di anzianità assicurativa (2 anni di iscrizione alla Gestione del lavoratori subordinati o ad altra Gestione) e contributiva (nel biennio precedente al licenziamento sono necessarie 52 settimane di contribuzione) ②alla dichiarazione di immediata disponibilità “allo svolgimento e alla ricerca di un’attività lavorativa, secondo modalità definite con i servizi competenti” (cd condizionalità) ③alla domanda dell’interessato In mancanza dei requisiti per l’ottenimento del trattamento ordinario era prevista l’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE CON REQUISITI RIDOTTI condizionata al possesso di requisiti minimi di anzianità assicurativa (assicurato da almeno due anni) e contributiva (nell’anno precedente alla risoluzione del rapporto doveva aver lavorato almeno 78 giornate). Essa aveva come funzione quella di integrazione del reddito per soggetti occupati precariamente. TRATTAMENTI SPECIALI DI DISOCCUPAZIONE quali indennità di disoccupazione “in deroga” per lavoratori sospesi per crisi aziendali o occupazionali, trattamenti una tantum a favore dei lavoratori a progetto e altri. TRATTAMENTO DI MOBILITÀ previsto in caso di disoccupazione conseguente a un licenziamento collettivo da parte di imprese rientranti nel campo di applicazione della disciplina della CIGS. 2. Riforma Fornero Si vuole rendere “più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive in una prospettiva di universalizzazione e di rafforzamento dell’occupabilità delle persone” (art 1 comma 1 lettera c). La proposta di riforma si articola su due pilastri principali: le 55 tutele in costanza di rapporto di lavoro (CIGO, CIGS, fondi di solidarietà) e l’assicurazione sociale per l’impiego (ASpI e mini-ASpI). L’ASPI sostituisce a partire dal 1 gennaio 2013 l’indennità di disoccupazione ordinaria e l’indennità di disoccupazione speciale edile, a partire dal 1 gennaio 2017 va poi a sostituire anche l’indennità di mobilità. I requisiti richiesti sono analoghi a quelli previgenti e sono dunque ancora selettivi. La MINI-ASPI sostituisce l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e ha una disciplina completamente modificata: essa diventa uno strumento inclusivo per chi è entrato da poco nel mondo del lavoro e non riesce a maturare l’anzianità prevista per accedere all’ASPI. Per accedervi, è sufficiente che il lavoratore abbia accreditate 13 settimane di contributi nei 12 mesi precedenti l’estinzione del rapporto. La vera novità della Riforma Fornero è dunque questo nuovo strumento. 3. Jobs Act Le finalità della legge delega n 183/2014 sono assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori (logica assicurativa), razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale, favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano stati espulsi dal mercato del lavoro o beneficiari di ammortizzatori sociali. I decreti attuativi della legge delega sono il d lgs 148/2015 che prevede le integrazioni salariali e i fondi di solidarietà in costanza di rapporto, il d lgs 22/2015 che prevede invece NASPI (che assorbe sia ASpI che mini-ASpI), DISCOLL (per i lavoratori parasubordinati) e ASDI (assegno di disoccupazione sostituito in seguito dal reddito di inclusione e poi da quello di cittadinanza) in caso di perdita del posto di lavoro. DAL TRATTAMENTO ORIDNARIO ALLA NASPI 1. Prima della Riforma Fornero: TRATTAMENTO ORDINARIO Durata: dagli originari 180 giorni all’anno agli 8 mesi della l 247/2007 (12 per gli ultracinquantenni) Ammontare: dall’indennità giornaliera di 800 lire stabilita nel 1974 e rimasta tale sino al 1988, ad un ammontare calcolato in percentuale al cd salario medio di riferimento (il 7,5% nel 1988, il 15% nel 1990), fino alle modifiche della l 247/2007 (tra il 40 e il 60% della media delle ultime tre mensilità entro un importo massimo) 2. Riforma Fornero: ASPI Durata: la durata massima avrebbe dovuto aumentare gradualmente e si distinguono le durate in base all’età del destinatario. In realtà questa parte della riforma non entrerà mai del tutto in vigore: nel 2016 la disciplina doveva andare a regime ma nel frattempo interviene il Jobs Act. 3. Jobs Act: NASPI La NUOVA ASPI sostituisce e ingloba l’ASPI e la MINI ASPI (sussidio unico). Essa viene estesa a quasi tutti i lavoratori subordinati (esclusi solo i lavoratori pubblici a tempo indeterminato, gli operai agricoli, gli impiegati a part-time verticale). Essa introduce una rilevante novità con riguardo ai requisiti di contribuzione: spetta ai lavoratori che possono far valere due requisiti congiunti cioè ① almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione ②almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Altri requisiti previsti sono la dichiarazione di immediata disponibilità (DID) e lo stato di disoccupazione (dal 2019 esso permane anche se trova una nuova occupazione che produca però una retribuzione non superiore a 8.145 euro annui o un reddito non superiore a 4.800 euro annui). La domanda per la NASPI va presentata entro 68 gg dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e la prestazione decorre dall’ottavo giorno successivo a cessazione/richiesta (se presentata dopo più di 8 gg dopo). Il lavoratore può anche richiedere la liquidazione anticipata di tutto l’importo in 56 un’unica soluzione ma perde il diritto alla contribuzione figurativa e all’assegno per il nucleo familiare. Durata: essa viene corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni (quindi al massimo essa potrà durare due anni). Nella nuova disciplina si prescinde dal requisito dell’età anagrafica del lavoratore e dal suo stato di bisogno: la legge delega del 2014 effettivamente indicava di stabilire un legame stretto tra la prestazione e la storia contributiva del beneficiario (meccanismo strettamente assicurativo). Ammontare: (disciplina quasi invariata rispetto a quella della Riforma Fornero che si fondava già sul sistema contributivo-assicurativo) ①si calcola la retribuzione media mensile (RMM) secondo la formula “(retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni/ settimane di contribuzione) X 4,33” ②si calcola l’indennità mensile che è pari al 75% della RMM (salvo correttivi) con fissazione di un tetto massimo dell’importo mensile. All’indennità mensile si applica una riduzione progressiva del 3% per ogni mese di godimento successivo al terzo (cd meccanismo di décalage). Il lavoratore beneficia dell’accredito della contribuzione figurativa. LA DIS-COLL La necessità di prevedere un’indennità per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa porta ad adottare misure temporanee e sperimentali nel 2008: tali tutele avevano dei requisiti d’ingresso particolarmente stringenti. Con la DIS-COLL si preveder invece un’indennità più ampia. I destinatari sono i lavoratori coordinati e continuativi che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che siano iscritti in via esclusiva alla Gestione separata. Per loro viene anche prevista un’aliquota contributiva che va a finanziare la DIS-COLL. Nel 2017 viene estesa anche agli assegnisti e ai dottorandi di ricerca con borsa di studio. I requisiti contributivi richiesti sono ①almeno tre mesi di contribuzione nell’anno precedente la disoccupazione ②un mese di contribuzione nell’anno della disoccupazione. L’indennità viene corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione accreditati (nell’anno precedente) e in ogni caso la durata non può superare i sei mesi. Non è previsto in questo periodo l’accredito della contribuzione figurativa. INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE AGRICOLA La disciplina speciale prevista per il settore agricolo distingue tra operaio agricolo a tempo determinato (OTD) e operaio agricolo a tempo indeterminato (OTI). Per entrambi sono necessari l’iscrizione negli elenchi nominativi per i lavoratori agricoli e i requisiti contributivi (almeno 2 anni di iscrizione all’assicurazione e almeno 102 contributi giornalieri nel biennio). L’importo è pari al 30% della retribuzione per massimo 180 gg nel caso OTI e del 40% per massimo 365 gg nel caso OTD. Il trattamento viene poi corrisposto con riferimento allo stato di disoccupazione dell’anno precedente la presentazione della domanda (quindi quando lo percepisce può già aver trovato lavoro) e non è condizionato alla DID. ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE Il legislatore lo introduce nel 2015 nell’ambito del cd programma garanzia giovani. Tale strumento è riservato ai percettori della NASPI da più 4 mesi. Esso consiste in un voucher da utilizzare presso i centri per l’impiego o presso soggetti privati accreditati liberamente scelti dal beneficiario: in questo modo si consente di utilizzare un servizio di assistenza intensivo nella ricerca di lavoro. L’importo dell’assegno è graduabile e varia a seconda dell’occupabilità del soggetto. Per poter presentare domanda è necessario essere iscritti al portale unico registrazione persone in cerca di lavoro. A questo punto il soggetto si reca presso un centro per l’impiego per un colloquio, sottoscrive un 57 Il ricorso alla CIGS nei casi di crisi e riorganizzazione presuppone lo svolgimento di una procedura composta di due fasi, una sindacale e una amministrativa. Durante la fase sindacale si valuta il programma che l’azienda intende adottare, si verifica se vi sono delle alternative, si stabiliscono i criteri di scelta dei destinatari (la legge precisa solo che devono essere coerenti con le ragioni della richiesta della CIGS e comunque sono le scelte del datore possono essere sottoposte al controllo del giudice nel programma vanno comunque indicate le modalità di rotazione tra i lavoratori, è un’eccezione che non si usi questo metodo). Al termine di questa procedura le parti possono anche non raggiungere un accordo e il datore di lavoro può comunque presentare la domanda di ammissione. Nella fase amministrativa si svolge una doppia verifica dell’ammissibilità della richiesta: una a livello periferico (DTL competenti) e una a livello centrale (Ministero del Lavoro). La concessione del trattamento avviene con decreto del Ministro del lavoro adottato entro 90 gg dalla presentazione della domanda, salve eventuali sospensioni del procedimento a fini istruttori. Nei casi in cui non venga previsto il completo recupero occupazionale, il legislatore ha previsto un accordo di ricollocazione che viene stipulato alla fine della fase sindacale e che prevede un piano di ricollocazione dei lavoratori: questi soggetti possono così rivolgersi all’ANPAL entro 30gg dalla stipula e chiedere l’erogazione anticipata dell’assegno di ricollocazione. I FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALE Sono tutele riservate ai lavoratori esclusi dal campo di applicazione delle integrazioni salariali previsti dal legislatore del 2012 e poi del 2015: essi vengono previsti per le imprese che occupano più di 5 dipendenti (15 nel 2012). Essi vengono costituiti con decreto dei Ministri del lavoro e dell’economia ad iniziativa delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. I Fondi sono istituiti presso l’INPS e costituiscono gestioni separate, non hanno personalità giuridica e non possono erogare prestazioni in carenza di bilancio. La disciplina prevede tre fondi tra loro alternativi: 1. FONDI DI SOLIDARIETÀ BILATERALI Erogano l’assegno ordinario di importo non inferiore all’integrazione salariale standard e per le stesse causali che giustificherebbero il ricorso alla CIG. La prestazione non può durare meno di 13 settimane nel biennio e non può superare la durata prevista per la CIG con la stessa causale, in ogni caso non può superare i 2 anni nel quinquennio (3 se contratto di solidarietà). Tali fondi hanno un fondamento totalmente mutualistico, cioè non vi è contributo dello Stato nel loro finanziamento: sono i datori e i lavoratori che li finanziano (rispettivamente per 2/3 e 1/3). È previsto contributo addizionale a carico del datore di lavoro se viene erogato l’assegno ordinario. 2. FONDI DI SOLIDARIETÀ ALTERNATIVI Essi sono due e riguardano il settore artigianato e il settore somministrazione. 3. FONDI DI INTEGRAZIONE SALARIALE Hanno carattere residuale rispetto agli altri due: riguardano i datori di lavoro non coperti da CIG o da fondo bilaterale o alternativo. Questo tipo di fondo assicura due prestazioni: l’assegno ordinario (per le causali della CIGO e della CIGS) e l’assegno di solidarietà (in caso di riduzioni di orario previste da CCA per evitare licenziamenti plurimi o riduzione del personale). AMMORTIZZATORI SOCIALI IN DEROGA La riforma del 2015 mirava ad eliminare i trattamenti in deroga ma successivamente vengono previste diverse deroghe soprattutto in casi di crisi industriale complessa (es proroga alla durata massima della CIGS tra il 2018-2020) e nel settore dell’editoria (estensione della CIG ai casi di cessazione attività/ fallimento/ cessione ramo d’azienda). 60 La legislazione d’emergenza è stata prevista in favore dei datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica. Essa ①ha istituito la causale “emergenza COVID-19” per l’accesso al trattamento CIGO e all’assegno ordinario erogato dal FIS o dai Fondi di solidarietà ②ha previsto la cassa integrazione in deroga se i datori di lavoro non rientrano nell’ambito di applicazione dei suddetti interventi ③ha previsto il divieto di procedere a licenziamenti individuali e collettivi per ragioni economiche ④ha introdotto prestazioni una tantum destinate al sostegno dei redditi di una vasta ed eterogenea platea di lavoratori (anche autonomi). TUTELA DELLA FAMIGLIA MISURE A SOSTEGNO DELLA GENITORIALITÀ Nel 1902 viene prevista per la prima volta una prestazione economica a sostegno della maternità per le lavoratrici subordinate. La disciplina è oggi contenuta nel TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità novellato nel 2015. La ratio alla base non è solo la necessità di sopperire alla temporanea limitazione della capacità di produrre reddito: con queste misure si vuole garantire l’essenziale funzione familiare (art 37 cost). L’ambito soggettivo della tutela è stato via via ampliato: si prevede una forma più limitata di tutela anche per i lavoratori padri, viene estesa anche al lavoro autonomo/ai liberi professionisti/ ai lavoratori parasubordinati, viene prevista anche in caso di adozione o affidamento (nazionale e internazionale). 1. CONGEDO DI MATERNITÀ: congedo obbligatorio previsto per 5 mesi (2 prima della data prevista del parto e 3 dopo ma si può cambiare la divisione), non è obbligatorio per le lavoratrici autonome e per quelle iscritte alla Gestione separata che possono quindi cumulare reddito e indennità previdenziale. 2. CONGEDO DI PATERNITÀ: in caso di morte, grave infermità o abbandono della madre oppure in caso di affidamento esclusivo il padre ne ha diritto per la stessa durata del congedo di maternità (o per la restante parte se si è già usufruito di una parte di esso). 3. COGEDO PAPÀ: previsto in via sperimentale nel 2013 ed elevato a 7 gg (anche non continuativi) dalla legge di stabilità del 2020, da fruire entro 5 mesi anche non dalla nascita/ ingresso in famiglia o in Italia del figlio. È un diritto indipendente da quello della madre al congedo di maternità. 4. CONGEDO PARENTALE: congedo facoltativo previsto per entrambi i genitori fino ai 12 anni del figlio e può durare massimo 10 mesi. Per il congedo parentale non è stato prevista esplicitamente l’automaticità delle prestazioni e serve il versamento effettivo dei 3 mesi di contributi nei 12 mesi precedenti, la giurisprudenza ha però previsto un’estensione (Trib Bergamo 2014 VEDI SENTENZE MOODLE). 5. CONGEDO FACOLTATIVO PADRE: previsto per il padre, previo accordo, nel caso in cui la madre rinunci a un giorno del congedo di maternità. 6. CONGEDO PARENTALE PER LAVORATORI AUTONOMI: ha una durata di 6 mesi e può essere usato entro i primi 3 anni di vita del figlio. 7. RIPOSO PER ALLATTAMENTO: previsto solo per i lavoratori subordinati nel primo anno di vita del bambino, consiste in un permesso giornaliero di due ore. 8. CONGEDO PER MALATTIA DEL FIGLIO: può avere una durata illimitata fino ai tre anni del figlio e poi per massimo 5 gg lavorativi fino agli 8 anni. 9. TUTELE PER I PORTATORI DI HANDICAP: se il bambino è portatore di handicap grave, è previsto un congedo straordinario biennale. Il genitore (o i parenti e gli affini fino al terzo grado) hanno anche diritto a 3 gg di permesso mensile per assisterlo, a meno che la persona portatrice di handicap non sia ricoverata a tempo pieno. 61 10. PERMESSI E CONGEDI COVID-19: i permessi e i congedi vengono rafforzati. Viene previsto un congedo parentale specifico per un periodo continuato o frazionato e non superiore a 15 gg, qualora si abbiano figli di età inferiore a 12 anni o disabili. È riconosciuto il diritto alla conservazione del posto di lavoro (senza indennità o retribuzione) ai lavoratori subordinati del settore privato che abbiano figli di età compresa tra i 12 e i 16 anni. 11. INDENNITÀ: oltre ai congedi viene previsto il diritto a prestazioni economiche, indipendentemente dalla maturazione di requisiti contributivi (sono invece dipendenti dalla storia contributiva nei casi di lavoratrici domestiche, lavoratrici parasubordinate e, fuori dai casi di indennità di paternità o maternità, lavoratori iscritti alla gestione separata dell’INPS non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie). Tutte le indennità sono di norma anticipate dal datore di lavoro, salvo alcune corrisposte direttamente dall’INPS. In genere è prevista configurazione figurativa. CONGEDO PER LE VITTIME DI VIOLENZA DI GENERE Il d lgs 80/2015 prevede che le donne inserite in percorsi di protezione possono assentarsi dal lavoro per motivi legati a tale percorso, è utilizzabile da tutte le lavoratrici subordinate e (dal 2018) dalle lavoratrici domestiche. Può essere utilizzato per un massimo di 3 mesi e la lavoratrice ha diritto a un’indennità pari al 100% dell’ultimo reddito. È prevista la contribuzione figurativa. Le cococo hanno diritto alla sospensione del rapporto di lavoro ma non all’indennità. Per le lavoratrici autonome è stato previsto successivamente e hanno diritto all’indennità che è però pari all’80% dell’ultimo reddito. PREVIDENZA COMPLEMETARE La previdenza pubblica tende a tutelare in via essenziale gli interessi che sono tipici della generalità degli assistiti, al fine di far godere loro dei diritti civili e politici. Per vedersi riconosciuti livelli di protezione più elevati, è necessario ricorrere alla mutualità privata. Per mantenere il tenore di vita di cui si godeva quando si era lavoratori attivi, si prevedono dei regimi previdenziali complementari (logica assicurativa, spesso aziendali) in grado di erogare prestazioni integrative o sostitutive rispetto a quelle pubbliche. La necessità di integrare le prestazioni pubbliche è resa ancora maggiore dopo il passaggio al sistema di calcolo contributivo. L’importanza della previdenza complementare è stata anche ribadita nell’Accordo Interconfederale del 2018 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Per la Corte costituzionale esiste un collegamento strutturale e funzionale tra previdenza pubblica e previdenza complementare. EVOLUZIONE NORMATIVA La disciplina codicistica era inadeguata a disciplinare la previdenza complementare ma per lungo tempo non vi sono interventi in merito. la legge 124/1993 prevede per la prima volta una disciplina completa delle forme pensionistiche complementari. La disciplina viene nuovamente rivista nel 1995, nel 2007 e infine nel 2018 (gli ultimi due interventi attuano due direttive UE). FORME DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE 1. FONDI CHIUSI O NEGOZIALI I fondi pensione chiusi vengono istituiti da contratti o accordi sindacali, anche aziendali, che devono stabilirne anche l’ambito soggettivo e le modalità di adesione degli interessati. Qualora manchi un contratto o un accordo sindacale, l’istituzione avviene mediante accordi tra lavoratori promossi da sindacati firmatari di CCN o mediante associazioni nazionali di rappresentanza del movimento cooperativo o mediante regolamenti aziendali. L’istituzione può anche avvenire mediante accordo tra lavoratori autonomi, purché su iniziativa dei loro sindacati o delle loro associazioni almeno di rilievo regionale. 62 Per incoraggiare l’adesione alla previdenza complementare, sono previste alcune agevolazioni fiscali sui contributi (= entro certi limiti sono deducibili dal reddito). È comunque prevista la possibilità di contribuzione volontaria aggiuntiva alle forme di previdenza complementare, anche oltre il raggiungimento dell’età pensionabile (se ha almeno già un anno di contribuzione). PRESTAZIONI La previdenza complementare si realizza prevalentemente con l’erogazione di prestazioni pensionistiche. Tali prestazioni vengono determinate nell’atto costitutivo o nello statuto ma la loro erogazione è condizionata dalla presenza di requisiti minimi di età (lo stesso dell’assicurazione obbligatoria) e di contribuzione (almeno 5 anni di contribuzione). I livelli di prestazione sono determinati in base al sistema a contribuzione definita, cioè la pensione è costituita dai contributi versati durante la vita lavorativa, rivalutati annualmente sulla base di un coefficiente di capitalizzazione e dell’età al momento del pensionamento. Le prestazioni pensionistiche possono essere erogate sottoforma di rendita o, fino al 50% del montante finale accumulato, di capitale (se la rendita corrispondente ad almeno il 70% del montante è inferiore al 50% dell’assegno sociale, la prestazione può essere erogata interamente sottoforma di capitale). Nel caso dei regimi integrativi di origine sindacale, il finanziamento è a carico dei datori di lavoro e le prestazioni sono considerate come retribuzione differita in funzione previdenziale (=una quota della retribuzione viene accantonata per poi essere erogata come prestazione previdenziale complementare successivamente). In caso di morte del beneficiario, gli eredi possono godere del montante residuo. Dal 2001 non è più previsto un divieto di cumulo con i redditi da lavoro dipendente (anche se non si applica la perequazione automatica con riferimento ai redditi successivi). L’iscritto può chiedere l’anticipazione della prestazione in ipotesi particolari: ① CASI DEL TFR quali spese sanitarie connesse alla sua salute o del congiunto o dei figli e acquisto o ristrutturazione dell’abitazione dell’aderente o dei figli (se però è nel fondo da almeno 8 anni) per cui ha diritto al 75% del montante accumulato, oppure per altre esigenze (se è nel fondo da almeno 8 anni) per cui ha diritto al 30% ② CESSAZIONE DELL’ATTIVITÀ LAVORATIVA con inoccupazione per più di 48 mesi (anticipo di massimo 5 anni rispetto ai requisiti richiesti) ③RITA o rendita integrativa temporanea anticipata (misura prima sperimentale e dal 2017 strutturale) sottoforma di rendita mensile fino alla pensione di vecchiaia (è il corrispondente dell’anticipo pensionistico). TRASFERIMENTO E RISCATTO DELLA POSIZIONE PREVIDENZIALE INDIVIDUALE Nel caso di perdita dei requisiti di partecipazione al fondo di pensione, se non sono ancora maturati i requisiti richiesti per l’erogazione della prestazione, il lavoratore può chiedere un trasferimento della posizione a un’altra forma pensionistica (se sono decorsi due anni dall’iscrizione, cd portabilità) o il riscatto della sua posizione individuale. La portabilità fa sì che si trasferiscano non solo il TFR maturando, ma anche le eventuali contribuzioni che la contrattazione collettiva pone a carico del datore di lavoro. Sulla portabilità di queste contribuzioni la legge prevede che la contrattazione collettiva individui anche le modalità e i limiti del trasferimento (perché dovrebbero servire anche a finanziare il fondo e non possono essere trasferiti liberamente a un altro come succede col TFR). I lavoratori che si trasferiscono in un altro Stato UE o i lavoratori comunitari in Italia possono continuare a partecipare al fondo pensione a cui erano iscritti. 65 Il riscatto della posizione individuale può essere parziale o totale. Il riscatto parziale (del 50%) è consentito in casi di cessazione dell’attività lavorativa che comporta disoccupazione tra i 12 e i 48 mesi oppure in caso di ricorso del datore di lavoro a mobilità e CIG. Il riscatto totale è invece consentito nei casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di 1/3 oppure in caso di cessazione dell’attività lavorativa che comporti la disoccupazione per più di 48 mesi. Non è consentito il riscatto totale se mancano meno di 5 anni alla maturazione della prestazione pensionistica complementare (perché può chiedere anticipazione). Il riscatto può anche essere richiesto in caso di scioglimento del fondo pensione in caso di dissesto o di cessazione dell’attività del datore di lavoro. 66