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Diritto della sicurezza Sociale esame completo, Appunti di Diritto Della Sicurezza Sociale

Esame del prof. Costantini di diritto della sicurezza sociale

Tipologia: Appunti

2019/2020
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Caricato il 28/12/2020

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Scarica Diritto della sicurezza Sociale esame completo e più Appunti in PDF di Diritto Della Sicurezza Sociale solo su Docsity! CAPITOLO 1 ORIGINI ED EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE La tutela previdenziale rappresenta un elemento costitutivo del nostro ordinamento sociale. Il sistema previdenziale alle volte può presentare alcune ambiguità: gli obbiettivi della tutela previdenziale non sono mai costanti, ma sono stati e continuano ad essere ricondotti alla realizzazione di interessi pubblici generali. Inoltre, tutte le forme di tutela sono state istituite subito prima e durante l’ordinamento corporativo, laddove tali forme costituivano espressione di una solidarietà limitata ai datori di lavoro e ai lavoratori, dunque limitata ai lavoratori subordinati riconducendosi al modello delle assicurazioni private. Infatti, tra contributi e prestazioni previdenziali intercorreva una relazione di corrispettività; il mancato versamento escludeva il diritto alle prestazioni. La costituzione repubblicana considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la collettività. Dopo l’entrata in vigore della costituzione è mancato un disegno per una riforma organica; la più recente legislazione risulta sempre più ispirata ai principi costituzionali. La rivoluzione industriale pose in evidenza il problema di quanti si venivano a trovare in condizioni di bisogno. I bassi livelli salariali resero impossibile continuare a far ricorso alla tradizionale solidarietà familiare rendendo inadeguati gli interventi della beneficenza pubblica e privata. Attraverso la spontanea iniziativa dei lavoratori, ebbero inizio le società di mutuo soccorso, associazioni volontarie di lavoratori che realizzarono la solidarietà tra gli associati provvedendo, con i loro contribuiti, ad erogare prestazioni ai bisognosi (malattia, infortunio, invalidità) o addirittura una pensione. Lo schema è sostanzialmente quello dell’assicurazione. Gli associati, si impegnavano a ripartire tra loro le conseguenze economiche dannose derivanti dal verificarsi dell’evento temuto, erogando prestazioni finanziate con i contributi versati da ognuno. Alle mutue si potevano iscrivere soltanto i lavoratori meglio retribuiti. Con l’aumentare degli infortuni sul lavoro, la legge n. 80/1898 rese obbligatoria, per i datori, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, segnando così l’inizio della previdenza sociale italiana. L’assicurazione era estesa anche agli infortuni determinati da caso fortuito, forza maggiore o, addirittura, da colpa non grave del lavoratore. Questo fu il primo intervento statale a tutela dei lavoratori bisognosi. Nello stesso periodo venne istituita la Cassa nazionale di previdenza per la vecchiaia e l’invalidità degli operai (d.lgs. n. 350/1898) che diverrà anch’essa obbligatoria. Si accentua, ben presto, il carattere pubblicistico della tutela previdenziale. Essa, nata volontaria, diventa dapprima obbligatoria per poi divenire necessaria, cioè che opera ex lege e prescindendo da eventuali inadempimenti. Inoltre, la tutela previdenziale, viene man mano affidata esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti. In ogni caso la tutela resta essenzialmente limitata ai 1 lavoratori subordinati. All’originaria concezione del rischio professionale che giustificò e ispirò i primi interventi legislativi, si venne affiancando una concezione più ampia: quella della solidarietà corporativa, ispirata alla realizzazione dell’interesse pubblico della economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale. Il compito di realizzare la tutela previdenziale resta attribuito essenzialmente agli stessi interessati, mentre il fine pubblico continua ad avere ad oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico. L’ulteriore evoluzione della previdenza sociale avviene con l’affermarsi (nel dopoguerra) della sicurezza sociale, che esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno per godere a pieno dei diritti civili e politici. La libertà dal bisogno deve essere garantita da tutta la collettività organizzata nello Stato. Nella varietà dei modi di attuazione si possono individuare due principi fondamentali: a) il sempre più decisivo intervento dello stato, che assume tra i suoi fini la realizzazione della tutela previdenziale; b) la progressiva estensione di questa a nuove situazioni di bisogno e categorie di soggetti, anche oltre l’ambito del lavoro subordinato. L’idea della sicurezza sociale è stata accolta anche dal nostro ordinamento per effetto dell’accoglimento della nostra costituzione (art. 3.2 cost), in cui lo stato ha come compito la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economia e sociale del paese. Un’importante passaggio della sicurezza sociale si rinviene nell’art. 38 della costituzione: 1) ogni cittadino inabile al lavoro, ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale; 2) i lavoratori hanno diritto a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria; 3) gli inabili e minorati hanno diritto all’educazione ed all’avviamento professionale; 4) ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo stato; 5) l’assistenza privata è libera. L’intervento dello stato, secondo la costituzione, non può essere limitato alla costituzione degli istituti, ma deve tendere all’effettiva realizzazione della tutela dei soggetti protetti. Tutti i cittadini, in caso di bisogno, hanno diritto ai mezzi necessari per vivere. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita quando si verificano determinati eventi generatori di bisogno. La previdenza sociale si estende a tutte le categorie di lavoratori, in quanto la repubblica, secondo l’art. 35.1 tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (2060 c.c.). La tutela previdenziale è estesa a tutti i lavoratori italiani anche all’estero. Le prestazioni previdenziali devono essere adeguate alle esigenze di vita della famiglia del lavoratore (art. 36 e 38 cost). I principi costituzionali, hanno trovato riscontro nella legislazione ordinaria, però, l’evoluzione di quest’ultima, non è stata uniforme, mancando un disegno completo e razionale o in ragione dei condizionamenti economici determinati dalle strutture della nostra società. Le disposizioni costituzionali forniscono un criterio per l’interpretazione della legislazione vigente dal quale non si può prescindere, influendo sull’ordinamento della previdenza sociale. Il legislatore ha predisposto negli ultimi anni, interventi a favore dei soggetti dotati di risorse economiche 2 principio della solidarietà. Con la L. 243/2004 sono stati introdotti nuovi elementi di razionalizzazione, il legislatore ha delegato il Governo a emanare norme aventi forza di legge, per liberalizzare l’età pensionabile, modificando però la disciplina della pensione di anzianità; questo perchè l’onere derivante dall’erogazione delle pensioni di anzianità incide in modo determinate nella formazione del deficit dei bilanci delle gestioni pensionistiche. Nel 2011 un ulteriore intervento, riducendo coincidenza della spesa previdenziale sul PIL. Dal 1° Gennaio 2012, sono stati introdotti i seguenti criteri: a) equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e le clausole derogative per le categorie più deboli; b) flessibilità nell’accesso ai trattamenti con la prosecuzione della vita lavorativa; c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazione delle speranze di vita. L’ultimo dei provvedimenti è stata la cd. Quota 100 del 2019. A livello internazionale vanno ricordate due convenzioni: la convenzione n. 102/1952 (ratificata con L. 741/1956) sulla norma minima di sicurezza sociale che rende accessibile al sistema anche i paesi meno sviluppati; e la Convenzione n. 118/1962 (ratificata con L. 657/1966) sulla parità di trattamento dei cittadini e degli stranieri in materia di sicurezza sociale. I principi base su cui è incentrato l’ordinamento europeo, sono: a) la territorialità del regime previdenziale; b) la totalizzazione dei periodi assicurativi. CAPITOLO 2 IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE La realizzazione della tutela previdenziale è compito dello Stato. L’erogazione delle prestazioni previdenziali è affidata agli enti “previdenziali”, i quali reperiscono i mezzi necessari per la realizzazione del loro fine istituzionale, come ad es. la contribuzione obbligatoria posta a carico dei soggetti protetti. I soggetti per la realizzazione della tutela previdenziale sono: lo Stato, gli enti previdenziali, i soggetti tenuti al pagamento dei contributi e i soggetti protetti. Il “sistema giuridico della previdenza sociale” dev’essere inteso come l’insieme dei vari rapporti intercorrenti tra i soggetti che comunque partecipano alla realizzazione della tutela previdenziale. Tra i vari rapporti, ce n’è uno sul quale si incardina tutto il sistema: il rapporto intercorrente tra l’istituto e i soggetti aventi diritto alle prestazioni. Tale rapporto può essere definito come “rapporto giuridico previdenziale”. Secondo la dottrina tradizionale, il rapporto giuridico previdenziale avrebbe struttura analoga a quello del contratto di assicurazione; ma in questa concezione restano esclusi i rapporti con lo Stato. La dottrina tradizionale affermava che il rapporto giuridico previdenziale sarebbe un rapporto unitario, a ragione della relazione di sinallagmaticità tra l’obbligazione contributiva e quella di erogare le prestazioni previdenziali. Per sinallagma si intende quella intercorrente tra le obbligazioni derivanti dai contratti a prestazioni corrispettive, nei quali le parti realizzano i propri interessi subordinandoli reciprocamente. Dovrebbe essere escluso che nel sistema giuridico previdenziale l’obbligazione di versare i contributi e quella di erogare prestazioni previdenziali possano configurarsi come obbligazioni corrispettive, in quanto 5 ambedue le obbligazioni sono imposte unicamente e immediatamente per la soddisfazione di un interesse pubblico. L’inesistenza di una corrispettività è confermata dal “principio di automaticità delle prestazioni”, inoltre, le prestazioni previdenziali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi (art. 2116 c.c.). quest’ultimo elemento conferma ulteriormente che manca nelle assicurazioni sociali la corrispettività caratteristiche delle assicurazioni private. Quando il principio dell’automaticità delle prestazioni torva attuazione soltanto parziale, sussiste l’obbligo dell’ente previdenziale di impedire la decorrenza della prescrizione. Tale obbligo sussiste nei confronti del lavoratore che abbia denunciato l’omissione contributiva. Ove i contributi non possano essere più versati per intervenuta prescrizione, il lavoratore interessato, può richiedere al competente istituto previdenziale che vengano considerati come versati i contributi omessi e prescritti. È stato a lungo ritenuto, che nel sistema giuridico della previdenza, troverebbe ancora attuazione il principio mutualistico. Se intesa nel suo significato più rigoroso, la mutualità si realizza con l’impegno assunto da più soggetti, in vista di un rischio comune, con lo scopo di eliminare determinate situazioni di bisogno. Ne deriva che la struttura mutualistica non appare idonea a realizzare il fine della previdenza sociale, posto che, ad esso corrisponde ormai un interesse pubblico, che deve essere immediatamente e necessariamente realizzato, rispetto al quale gli interessi privati finiscono per essere necessariamente e non volontariamente subordinati. Nel sistema della previdenza, la solidarietà si realizza in base a quanti sono in grado di lavorare e quanti dall’altrui lavoro traggono un’utilità. Questa solidarietà non può essere espressa da una struttura mutualistica, che realizza la solidarietà limitata sia quantitativamente che qualitativamente. Si realizza quindi, la cd. Solidarietà nazionale attraverso la realizzazione della tutela previdenziale anche con diretti interventi finanziari, che rappresentano la partecipazione generale di tutta la collettività. Si può ritenere che l’attività degli enti previdenziali siano un “servizio pubblico”. L’attività degli enti previdenziali è diretta alla realizzazione di interessi pubblici e individuali. Gli interessi individuali assumono giuridica rilevanza, solo perchè è attraverso la loro tutela che trova soddisfacimento l’interesse pubblico. Le prestazioni previdenziali trovano il loro scopo nell’interesse pubblico alla loro erogazione, indipendentemente da ogni interesse patrimoniale. Il rapporto intercorrente tra lo Stato e gli enti previdenziali si trova in una relazione di strumentalità rispetto al rapporto giuridico previdenziale, in quanto costituisce un mezzo al fine della realizzazione della tutela previdenziale. Gli enti che si trovano con lo Stato in una relazione corrispondente, ossia, quando l’attività dell’ente pubblico è posta per intero al servizio dello Stato, sono detti “enti pubblici strumentali”, in quanto, fungono da strumenti per la realizzazione di fini fondamentali dello stato. Quando non vi è coincidenza fra gli interessi dello stato e quelli dell’ente pubblico, quest’ultimo gode di una certa autonomia. Gli enti strumentali, invece, sono vincolati al perseguimento dell’interesse pubblico statuale. Ugualmente, gli enti previdenziali privatizzati, debbono soddisfare, oltre l’interesse 6 individuale degli associati, anche il fine pubblico della tutela previdenziale secondo l’art. 38 cost. Lo stato interviene, in attuazione dell’art. 3.2 cost e 38.4 cost., per rendere effettivo il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. L’intervento finanziario dello Stato è stato determinato dalla necessità di provvedere ad esigenze contingenti, come quelle derivanti dalla notevole e improvvisa svalutazione della moneta che si verificò nell’immediato dopoguerra. Qualunque sia la natura giuridica del contributo previdenziale imposto ai singoli, il contributo dello stato non può ne può assumere la stessa qualificazione, in quanto lo Stato, parlandosi di tributi, non paga tributi. Il contributo finanziario dello Stato ha valore di premio e di incoraggiamento, inoltre, l’intervento finanziario dello Stato alla realizzazione della tutela previdenziale avviene in esecuzione di un preciso dovere imposto dalla Costituzione. Dal 1 gennaio 1989 è stato soppresso il fondo sociale, sostituito, sempre nell’ambito dell’INPS dalla “gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali” (GIAS). A questa gestione fanno carico le erogazioni delle prestazioni già affidate al fondo sociale, l’integrazione dell’assegno ordinario di invalidità, gli oneri derivanti dalle agevolazioni contributive disposte per legge, i trattamenti speciali di disoccupazione. La gestione è finanziata dallo Stato. CAPITOLO 3 IL RAPPORTO CONTRIBUTIVO Il reperimento dei mezzi necessari al raggiungimento dei fini istituzionali avviene, di regola, mediante l’imposizione dell’obbligo del pagamento dei contributi previdenziali ad alcune categorie di cittadini. Tenuti al pagamento dei contributi previdenziali sono i datori di lavoro dei soggetti protetti, ma anche i lavoratori subordinati sono tenuti al pagamento dei contributi. Responsabile dell’adempimento dell’obbligo contributivo è il datore di lavoro, che ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore. Per la tutela a favore dei lavoratori autonomi e liberi professionisti, sono gli stessi soggetti protetti che contribuiscono. Anche le società cooperative e le società, anche di fatto, sono tenute al pagamento dei contributi per i loro soci, e anche nel contratto di somministrazione di lavoro è prevista una solidarietà tra l’utilizzatore e il somministratore per l’adempimento dell’obbligazione previdenziale. Dal 1° gennaio 1996 è stata estesa l’area dei soggetti protetti, ricomprendendovi i lavoratori parasubordinati; è stata istituita una “gestione separata” presso l’INPS, estendendo l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti. Per il 2019 le aliquote contributive, per i soggetti privi di altra copertura previdenziali obbligatoria, sono pari a: 33% per i soggetti non titolari di partita IVA; 25% per i soggetti titolari di partita iva; 24% per tutti gli altri soggetti. La fiscalizzazione degli sgravi contributivi e degli oneri sociali, sono limitati alle imprese industriali che utilizzano lavoratori nel mezzogiorno. Il godimento degli sgravi contributivi sia quello dei benefici della fiscalizzazione, sono stati condizionati alla c.d. “clausola sociale”, cioè all’erogazione ai dipendenti di un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai CCNL del settore. 7 principio stabilendo che i lavoratori italiani all’estero, sono obbligatoriamente iscritti alle gestioni previdenziali italiane. Le misure della contribuzione sono commisurate alla retribuzione convenzionale e non alla retribuzione percepita all’estero. Con i paesi convenzionati, vi è un principio di territorialità, i lavoratori devono essere assoggettati alla legislazione previdenziale dello stato contraente dove viene esercitata l’attività lavorativa. Quando obbligato al versamento contributivo è il datore di lavoro, egli è responsabile anche per la quota che ala legge pone a carico del lavoratore (disposizione dell’art. 2115 c.c.). Il datore, ha diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore, trattenendo l’importo sulla retribuzione. L’omessa o irregolare contribuzione previdenziale può dar luogo ad una responsabilità penale e dà sempre luogo ad una responsabilità civile e amministrativa del datore. Il d.lgs 8/2016 ha depenalizzato numerose ipotesi di reato in materia di previdenza obbligatoria. La sanzione amministrativa, prevede nel caso di omesso versamento, l’addebito di somme aggiuntive, che maturano in relazione al ritardo nel versamento. Si distingue tra omissione e evasione: omissione= mancato o ritardato pagamento dei contributi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce o registrazioni obbligatorie; evasione= è connessa a registrazioni non effettuate o a denunce obbligatore omesse o non conformi al vero. Nel primo caso, l’ammontare della sanzione non può superare il 40% dei contributi omessi; nel secondo caso è pari al 60% dei contributi evasi. La somma aggiuntiva è dovuta nella misura massima del 40% anche nel caso di evasione. Sono previste sanzioni penali per il datore quando l’evasione è quantitativamente rilevante e a condizione sia qualificata come dolo specifico. Il reato si estingue in tutti i casi di avvenuta regolarizzazione dell’inadempienza contributiva. Nel caso in cui non operi l’automaticità delle prestazioni, il datore di lavoro è responsabile nei confronti del lavoratore del danno che a questo sia derivato dalla mancata o irregolare contribuzione previdenziale. Il diritto al risarcimento è riconosciuto anche ai superstiti del lavoratore. Il lavoratore può far valere le sue ragioni esercitando due azioni: una è quella del risarcimento dei danni, a fondamento dell’art. 2116 c.c.; la seconda è quella che deriva dalla lesione del diritto del lavoratore alla sua posizione contributiva. Ove quest’ultimo sia prescritto, l’azione non potrà avere altro oggetto che il risarcimento del danno. La legge prevede una liquidazione in forma specifica del danno. Il credito del lavoratore per danni conseguenti a omessa o irregolare contribuzione, gode della garanzia rappresentata dal privilegio generale sui beni mobili del datore. CAPITOLO 4 IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE La realizzazione della tutela previdenziale avviene con la costituzione del rapporto giuridico previdenziale, tra enti previdenziali e soggetti protetti. La dottrina tradizionale riteneva che il rapporto si costituiva al verificarsi delle condizioni che determinano il sorgere dell’obbligo contributivo, oppure come conseguenza allo svolgimento di un’attività lavorativa, subordinata o autonoma. Diversamente, l’obbligazione di erogare le prestazioni previdenziale non avviene fin quando non si verifichino le condizioni previste dalla legge, ovvero, una situazione di bisogno. La 10 fattispecie da cui deriva il diritto alle prestazioni previdenziale, è costituita da due elementi: il fatto che un soggetto viva del proprio lavoro; il fatto che si sia verificato un evento che la legge reputa generatore di bisogno. Nel caso in cui non operi il principio dell’automaticità delle prestazioni, sussiste un obbligo dell’ente previdenziale di cooperare al loro adempimento, provvedendo all’iscrizione negli elenchi o inviando a ciascun lavoratore un estratto conto contenente l’indicazione della retribuzione denunciata dal datore. A tal fine è stato istituito presso l’INPS il “casellario centrale delle posizioni previdenziali attive”. L’adempimento delle obbligazioni non incide sull’obbligazione contributiva, che sorge, indipendentemente dall’accertamento della sua esistenza, quando si verificano i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge. Il soggetto protetto ha diritto a che i doveri e le obbligazioni che costituiscono il contenuto dei rapporti preliminari, siano adempiuti non solo dagli enti previdenziali, ma anche da parte dei datori di lavoro. Il datore di lavoro è responsabile per la violazione del diritto del lavoratore alla periodica regolarizzazione della sua posizione contributiva. Un’ulteriore tutela della posizione contributiva è stata realizzata con la ricongiunzione, cioè, consente di cumulare le contribuzioni effettuate in regimi diversi ai fini del diritto e della misura di un’unica pensione. La posizione giuridica in cui si trova il soggetto protetto, consiste nel diritto all’ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali. La domanda delle prestazioni, non è da sola ancora sufficiente a trasformare il diritto all’ammissione in diritto al godimento delle prestazioni previdenziali. La trasformazione avviene tramite l’atto di ammissione, per effetto dell’ente previdenziale, esso consiste nell’accertamento dell’esistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge. Come chiarito dall’INPS, la domanda, anche ove possegga tutti i requisiti per essere definita una chiara manifestazione di volontà non sarà procedibile fino a quando il richiedente non abbia provveduto a trasmetterla in forma telematica. Se l’ente previdenziale non provvede all’ammissione, il soggetto protetto può rivolgersi al giudice ordinario, che condannerà l’ente all’erogazione delle prestazioni con sentenza. La tutela della salute si estende a tutti i cittadini, ma anche la tradizionale tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, prevista per i lavoratori subordinati, si estende ormai a quasi tutti i liberi professionisti, ai mezzadri, coltivatori diretti, commercianti e così via. Lo stesso dicasi per la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, estesa, oramai anche alle persone occupate nell’ambito domestico. La tutela previdenziale si estende anche ai familiari dei lavoratori. Le prestazioni sanitarie, sono destinate alla tutela della salute dei soggetti protetti e corrispondono al principio costituzionale che considera tale tutela un diritto di tutti i cittadini (art. 32). I principi della sicurezza sociali, conducono a un ampliamento degli stessi fini perseguiti col sistema giuridico della previdenza sociale. Soggetti protetti sono anche i lavoratori stranieri che lavorano regolarmente in itala come subordinati, autonomi, parausbordinati, liberi professionisti e imprenditori. Per la tutela previdenziale, oltre al principio di territorialità, opera il principio di parità di trattamento, per cui ad essi sono garantite le stesse prestazioni riconosciute al lavoratore italiano. I lavoratori privi di permesso di soggiorno restano invisibili al sistema della previdenza; tuttavia non sono completamente privi di tutele, dove, in 11 virtù dell’art. 2116 c.c. il principio di automaticità delle prestazioni è sempre applicabile. Dal 2012 il datore di lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, è tenuto anche al pagamento delle somme dovute ai fini contributivi e fiscali. Le prestazioni possono essere economiche quando consistono nell’erogazione di denaro, oppure sanitarie; la loro funzione, oltre a soddisfare il bisogno di cure, è anche quella di reintegrare le perdute o menomate energie di lavoro dei soggetti protetti. L’infortunato che si rifiuti ingiustificatamente di sottoporsi alle cure mediche necessarie, perde il diritto alle indennità pecuniarie. Per la tutela per l’invalidità, vecchiaia e i superstiti, nel caso in cui si fosse potuto evitare o ritardare a un soggetto di rimanere invalido, l’ente previdenziale non può imporre cure al soggetto protetto. In caso di rifiuto, non si ha la soppressione o riduzione delle prestazioni economiche. Le prestazioni previdenziali non possono essere cedute e sono limitatamente impignorabili, insequestrabili e indisponibili. Sia le prestazioni economiche che quelle sanitarie assolvono la funzione di soddisfare, insieme con l’interesse del soggetto protetto, anche quello pubblico. Le quote delle pensioni di vecchiaia e invalidità, eccedenti i trattamenti minimi, non sono cumulabili che parzialmente. Più di recente, la legge ha vietato il cumulo totale delle pensioni di vecchiaia e invalidità anche con il reddito di lavoro autonomo, per far fronte alla crisi finanziaria delle gestioni previdenziali. I pensionati, per sottrarsi al divieto di cumulo, accettavano il lavoro irregolare con conseguente evasione della contribuzione previdenziale. Per ridurre tale fenomeno, il legislatore ha progressivamente revocato il divieto di cumulo. I soggetti protetti sono titolari di un vero e proprio “diritto soggettivo perfetto” alle prestazioni previdenziali. Lo stato non può, nemmeno con una modificazione della legge ordinaria, far venir meno il diritto delle prestazioni previdenziali. La natura e la funzione delle prestazioni previdenziali, è collegato al “rischio”. La dottrina tradizionale designa come rischio ogni evento al verificarsi del quale sorge il diritto dei soggetti protetti alle prestazioni previdenziali. Il rischio professionale costituisce il fondamento e la giustificazione dell’imposizione dell’obbligazione contributiva, per assicurare i dipendenti dagli infortuni dovuti al caso fortuito o alla forza maggiore. Attualmente, deve ritenersi superato il principio del rischio professionale che ne costituì l’originario fondamento. La tutela previdenziale è espressione del più elevato principio della solidarietà sociale. Deve respingersi come inesatta la comune definizione del rischio come oggetto del rapporto giuridico previdenziale. Questa definizione postula l’equiparazione delle assicurazioni sociali a quelle private; inoltre presuppone la configurazione del rapporto previdenziale come rapporto complesso ma unitario che, non può essere accolta, per l’inesistenza di una corrispettività tra contributi e prestazioni. Ma non può nemmeno essere negata ogni rilevanza del concetto di rischio nel sistema della previdenza sociale. Il rischio assume giuridica rilevanza in quanto l’ordinamento, ne regola le conseguenze, facendole ricadere su soggetti diversi da quelli che ad esse sono esposti. Però, le prestazioni previdenziali, vengono erogate anche tenendo conto dell’esistenza di effettivi stati di bisogno, come accade per esempio per l’assegno per il nucleo familiare. In questi casi, non interessa l’esistenza di un rischio. Il fatto che i contributi siano proporzionati alla probabilità del verificarsi 12 La nozione di occasione di lavoro consente di ritenere indennizzabili alcuni casi di infortunio in itinere (cioè, ad esempio, durante il percorso per recarsi da abitazione a lavoro e viceversa). Secondo la giurisprudenza, è indennizzabile l’infortunio in itinere quando: fosse rimasto vittima di un incidente su un cammino che è necessario percorrere perché è l’unico a condurre alla sede del lavoro; avesse dovuto usare speciali mezzi di trasporto apprestati dal datore; avesse dovuto trasportare strumenti di lavoro pesanti o ingombranti tali da intensificare il rischio di un incidente stradale. È stata estesa la tutela anche agli infortuni occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, a quelli occorsi durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora il datore non abbia predisposto un servizio di mensa aziendale. Non è indennizzabile l’infortunio occorso in caso di interruzione o deviazione del percorso. Non è indennizzabile l’infortunio quando è utilizzato un mezzo di trasporto privato, se il lavoratore poteva usare mezzi pubblici. Non è indennizzabile quando risulti cagionato dall’abuso di alcolici e psicofarmaci, stupefacenti ed allucinogeni. Al datore è imposto l’onere della contribuzione a finanziare l’infortunio in itinere. Il secondo requisito richiesto dalla legge per il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali è che l’infortunio sia derivato da una causa violenta, cioè, da una causa efficiente e rapida, quindi, di abnorme intensità e rapidità nel senso di intensità concentrata in un breve spazio di tempo si da essere cronologicamente determinabile. Infine, il diritto alle prestazioni previdenziali sorge quando l’infortunio derivi la morte o l’inabilità al lavoro. Con inabilità si intende l’eliminazione o riduzione delle attitudini psicofisiche del soggetto protetto a svolgere attività lavorativa. Vanno distinte: inabilità temporanea, quando le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo e il soggetto può recuperare le sue attitudini al lavoro; inabilità permanente, quando le conseguenze dell’infortunio sono destinate a durare tutta la vita; inabilità permanente parziale, può essere assoluta, quando tolga completamente le attitudini al lavoro, o parziale, in cui viene individuato il grado di riduzione dell’attitudine al lavoro, calcolata sulla base della tabella delle menomazioni. Il cd. “Danno estetico”, cioè la lesione che consiste in un’alterazione dell’estetica, quando deriva da un infortunio sul lavoro, da luogo al diritto a prestazioni previdenziali solo se incide sulle attitudini al lavoro del soggetto protetto. La corte costituzionale, inoltre, conferma l’indirizzo secondo il quale, il diritto alla salute in quanto diritto primario in assoluto, tutelato dall’art. 32 della cost.; quindi deve essere risarcito anche il danno biologico indipendentemente dal danno economico, in quanto quest’ultimo riguarda soltanto la sfera patrimoniale del danneggiato. La malattia professionale è quella patologia che un lavoratore contrae a causa della sua attività lavorativa e in questo nesso casuale sta la differenza con la malattia comune; si distingue anche dall’infortunio per un ben più tipico e stringente nesso di causalità. La malattia professionale, a differenza dell’infortunio, costituisce l’effetto di una lenta ma prolungata esposizione all’azione del fattore morbigeno. I lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, avevano diritto alle prestazioni previdenziali secondo la risultanza o meno di una data malattia, in un elenco tassativo e fossero state contratte nell’esercizio e a causa delle specifiche lavorazioni; la giurisprudenza ritiene che la tassatività ne esclude l’applicazione 15 analogica, ma consente un’interpretazione estensiva; il lavoro, quindi, deve costituire la causa diretta e determinante della malattia professionale. La corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la tabella tassativa, con la conseguenza che le malattie non tabellate danno seguito all’onere probatorio della causa in relazione all’attività lavorativa svolta. La corte costituzionale ha dichiarato illegittimo anche il fatto che le prestazioni previdenziali sorgano solo quando la malattia professionale si manifesti entro un certo periodo di tempo dall’abbandono delle lavorazioni considerate morbigene. L’INAIL riconosce come malattia professionale anche il “mobbing” qualora provochi un’invalidità psico-fisica. In caso di infortunio o malattia professionale il diritto alle prestazioni sorge indipendentemente dall’adempimento da parte del datore di lavoro dei vari obblighi imposti dalla legge e, dell’avvenuto versamento delle contribuzioni previdenziali. Il servizio sanitario nazionale ha la competenza ad erogare le prestazioni sanitarie ai lavoratori colpiti da infortunio sul lavoro o che abbiano contratto malattia professionale. Le prestazioni sanitarie consistono nell’erogazione di cure mediche e chirurgiche necessarie per tutta la durata dell’inabilità temporanea e anche dopo la guarigione clinica. In caso di inabilità temporanea assoluta, il soggetto protetto ha diritto a un’” indennità giornaliera” con decorrenza dal quarto giorno successivo a quello in cui si è verificato l’infortunio o malattia professionale per tutta la durata dell’inabilità. L’indennità giornaliera è ragguagliata al 60% della retribuzione, oltre il 90 giorni l’indennità è elevata al 75%. In caso di inabilità permanente il soggetto protetto ha diritto a una “rendita” con decorrenza dal giorno successivo a quello della cessazione dell’inabilità temporanea assoluta. Se l’inabilità permanente è assoluta la rendita è pari all’intera retribuzione già goduta, entro un massimale fissato con decreto ministeriale e, ove sia richiesta assistenza continua è dovuto uno speciale assegno. Se l’inabilità permanente è parziale, la rendita è variabile e rapportata alla retribuzione. La retribuzione a cui fare riferimento è quella annua nei dodici mesi prima dell’evento. Il danno biologico è la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona indipendentemente dalla capacità di produzione del reddito. Dal 2019 da luogo a un indennizzo secondo una tabella delle menomazioni. Su domanda del titolare della rendita o per deposizione dell’INAIL, la rendita di inabilità può essere oggetto di revisione, ad esempio, in caso di aumento all’attitudine al lavoro. La revisione può avvenire entro dieci anni dalla costituzione della rendita per gli infortuni sul lavoro e quindici anni dalla costituzione di quella per malattia professionale. Trascorso tale periodo la legge ritiene, con presunzione assoluta, che i postumi dell’infortunio o della malattia professionale non siano più suscettibili nè di miglioramento né di peggioramento. La legge attribuisce ai superstiti il diritto a una rendita ragguagliata al 100% della retribuzione annua goduta dal defunto. Infine, in caso di morte del lavoratore per infortunio o malattia professionale, spetta al coniuge superstite o, in mancanza, ai figli, un assegno una tantum. 16 I mezzi necessari per l’erogazione delle prestazioni previdenziali economiche in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale sono reperiti mediante contribuzione posta esclusivamente a carico dei datori di lavoro. Per le prestazioni sanitarie, gli oneri finanziari sono imputati alle regioni che devono provvedere a iscrivere nel loro bilancio l’importo delle quote annuire stabilite nei rispettivi piani sanitari triennali. I tassi di premio devono essere determinati in relazione al rischio medio nazionale per ogni singola lavorazione pericolosa. La legge esonera i datori di lavoro dalla responsabilità civile derivante da infortunio, a meno che una sentenza penale stabilisca che l’infortunio sia avvenuto per fatto costituente reato, perseguibile d’ufficio, e che quel fatto sia commesso dal datore di lavoro o da un suo dipendente. Il medico certificatore deve trasmettere all’INAIL il certificato di infortunio e di malattia professionale, con conseguente esonero per il datore di lavoro. I datori di lavoro comunicano solo il numero di protocollo. Gli infortuni devono essere denunciati dall’INAIL alle autorità di pubblica sicurezza, se mortali o con prognosi superiore ai trenta giorni, e i relativi dati dovranno essere trasmessi anche alle direzioni territoriali del lavoro. I datori di lavoro non devono più istituire, tenere e conservare sul luogo di lavoro il “registro degli infortuni”. Il lavoratore a l’obbligo, in caso di malattia professionale, a darne comunicazione al datore di lavoro, entro quindici giorni dalla sua manifestazione, facendo anche denuncia all’INAIL. CAPITOLO 6 LA TUTELA PER L’INVALIDITA’, LA VECCHIAIA E I SUPERSTITI Il primo intervento pubblico che realizzò una tutela previdenziale volontaria per la vecchiaia si ebbe con l’istituzione della “cassa nazionale di previdenza”. Era finanziata soprattutto con i contributi degli iscritti e erogava agli stessi che avessero compiuto 60 o 65 anni di età una rendita vitalizia, erogava altresì annualità vitalizie agli inabili per infermità, infortunio e vecchiaia, che avessero versato le relative indennità. La previdenza volontaria si trasformò in obbligatoria con l’istituzione della “cassa nazionale per le assicurazioni sociali”. La tutela per l’invalidità, vecchiaia e superstiti ha avuto, specialmente nell’ultimo dopoguerra, un’estensione notevole, ricomprendendo non solo i subordinati, ma anche gli impiegati originariamente esclusi, e anche a quasi tutte le categorie di lavoratori autonomi. Per i lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici, e anche di alcuni enti di diritto pubblico, la tutela previdenziale per invalidità, vecchiaia e superstiti è realizzata dal “regime generale” gestito INPS. Per i liberi professionisti, la tutela è gestita da “enti previdenziali privatizzati”, che hanno autonomia normativa e sono regolati da proprie fonti regolamentari. Quando nei regimi “speciali”, “esclusivi” o “sostitutivi” non si verificano i presupposti per il sorgere del diritto a prestazioni previdenziali, la posizione del soggetto protetto viene ricostituita nel regime generale INPS; è la cd. Ricongiunzione, che prevede il ricongiungimento dei contributi versati nei regimi speciali sostitutivi, senza alcun onere per gli interessati. Da luglio 2010, le istanze presentate successivamente a tale data, la ricongiunzione avviene a titolo oneroso. Si può ricorrere ancella “totalizzazione”, che consente al soggetto protetto, di 17 contributiva pari o superiore a 40 anni; c) tra redditi di lavoro autunno e dipendente e pensione di vecchiaia, liquidata interamente con sistema contributivo a soggetti con età pari o superiore a 65 anni, per gli uomini, ed a 60 anni, per le donne. Resta in vigore il divieto di cumulo tra retribuzione e pensione di inabilità. Una parziale deroga al cumulo totale è stata disposta anche per chi percepisce la pensione quota 100, cumulabile solo con redditi di lavoro autonomo occasionale sino a 5000€ annui. Già dalla fine degli anni ’80 si avvertì la crisi finanziaria, inducendo il legislatore ad intervenire più volte per ridurre i livelli della tutela previdenziale pubblica, aumentando drasticamente i requisiti di accesso per le pensioni e ridotti gli importi di queste ultime. Il governo insediatosi nel 2011, ha dovuto realizzare una radicale riforma del nostro sistema pensionistico, riducendo ulteriormente l’effettività della tutela previdenziale pubblica. Le anzianità maturate a partire dal 1 gennaio 2012 sono calcolate, per tutti i lavoratori, con il sistema di calcolo contributivo. I requisiti di accesso alle varie pensioni sono, prima del 2012 era: 1) pensione di anzianità, avvenuto versamento per 40 anni dei contributi previdenziali; 2) pensione di vecchiaia, 60 anni di età per le donne e 65 anni di età per gli uomini, con anzianità contributiva di 20 anni; 3) pensione di vecchiaia anticipata, il diritto alla pensione si perfeziona con il raggiungimento di una quota, risultante dalla somma tra età anagrafica minima richiesta e almeno 35 anni di anzianità contributiva. I requisiti di accesso alle varie pensioni, dal 2012, sono: per la pensione di vecchiaia, per effetto del meccanismo di adeguamento alla “speranza di vita”, il requisito anagrafico che condiziona il diritto a percepire la pensione potrà subire aumenti nel tempo. Dal 2018 l’età è: lavoratrici subordinate, 66 anni e 7 mesi; lavoratrici autonome 66 anni; lavoratori uomini, autonomi e subordinati, 66 anni e 7 mesi. Dal 2019 a seguito dell’adeguamento alla “speranza di vita”, l’età è pari a 67 anni. Il requisito di anzianità contributiva è 20 anni. Dal 2021 il calcolo della speranza di vita sarà biennale; per la pensione anticipata (che sostituisce quella di anzianità), si consegue, a prescindere dall’età, qualora si sia in possesso di una determinata anzianità contributiva che, nel 2018, era pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Al requisito della sola contribuzione, il trattamento anticipato può essere conseguito a 63 anni e 7 mesi e almeno 20 anni di contribuzione, purchè la pensione non risulti inferiore ad un determinato importo. Con opzione donna, le lavoratrici in possesso di 58 anni (59 le autonome) e 35 di contribuzione, possono richiedere pensione anticipata, con un decremento dell’importo pensionistico. Vi sono eccezioni per le cosiddette mansioni usuranti, prevedendo un anticipo all’età pensionabile. Anche per gli esposti all’amianto, vi sono benefici che consistono in un raggiungimento anticipato della pensione e con un importo maggiorato. Il diritto a pensione di vecchiaia e la pensione anticipata è condizionato alla cessazione del rapporto di lavoro onde, in caso di nuova successiva occupazione, trova eventuale applicazione il divieto di cumulo. La prestazione non viene erogata d’ufficio ma occorre presentare la domanda. La pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale il soggetto protetto ha compiuto l’età pensionabile, indipendentemente dalla domanda. Il pagamento delle pensioni avviene in rate mensili, il 1° giorno di ciascun mese o il giorno successivo se festivo o non bancabile. Nel mese di dicembre viene erogata anche la tredicesima. È 20 disposta anche la quattordicesima a favore dei pensionati meno abbienti e con un’età pari o superiore a 64 anni. È prevista la facoltà di chiedere di continuare a lavorare, con conservazione del regime legale di stabilità del rapporto, fino al settantesimo anno di età (cd. Trattamento di servizio). Quanto ai prepensionamenti la legge consente che il diritto alla pensione di vecchiaia maturi con anticipo (circa 4 o 5 anni) purchè sussistano determinati requisiti di assicurazione e di contribuzione, oltre che dover cessare il rapporto di lavoro. Per quanto riguarda il cd. Contratto di espansione, ha durata per il biennio 2019 e 2020, si rivolge alle imprese con oltre mille unità lavorative, interessate da azioni di reindustrializzazione e riorganizzazione con modifica dei processi aziendali; l’azienda può accedere a una serie di misure di semplificazione e contenimento del costo di lavoro. Con la legge di bilancio 2017 è stato introdotto il cd. Anticipo pensionistico chiamato “APE”, articolato in “volontario”, “aziendale” e “sociale”. l’APE. Volontario si concretizza in un prestito bancario, con assicurazione privata contro il rischio di premorienza. Una volta raggiunti i requisiti, il lavoratore- pensionato comincia a restituire il prestito tramite trattenute mensili sulla sua pensione, per i successivi 20 anni. Interessa tutti i lavoratori in possesso di 63 anni di età, 20 di contributi e a non più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia nel regime obbligatorio. l’APE aziendale prevede un accordo individuale con il datore di lavoro che può aumentare il montante contributivo del dipendente. L’azienda deve essere interessata da un piano di ristrutturazione aziendale, ma è anche accessibile ai dipendenti delle aziende con meno di 15 dipendenti. È esercitabile a 3 anni e 7 mesi dal raggiungimento della pensione e prevede uno sconto sotto forma di detrazione fiscale del 50% della quota interesse della rata. L’accesso deve conseguirsi entro 4 anni dalla cessazione del rapporto di lavoro. L’APE sociale è un’indennità a totale carico dello Stato, erogata dall’INPS a soggetti in stato di bisogno individuati in base a 4 specifici profili di tutela, che abbiano compiuto 63 anni di età e che non siano già titolari di pensione diretta. Occorrono almeno 30 anni di contributi che diventano 36 per i lavoratori impiegati nelle attività usuranti. Da ultimo è stata introdotta la pensione quota 100, offre la possibilità al lavoratore di andare in pensione se matura i seguenti requisiti: 62 anni di età e 38 di contributi, senza adeguare l’età anagrafica alla regola di calcolo della speranza di vita. La domanda per le prestazioni di invalidità costituisce un onere per il soggetto protetto. Ad essa deve essere allegato un certificato medico e ogni altro documento idoneo a provare l’esistenza di uno stato invalidante. Il sorgere del diritto è condizionato ai requisiti contributivi, l’assicurato può far valere almeno 5 anni di contribuzione di cui 3 nel quinquennio immediatamente precedente la domanda della prestazione. La legge ha previsto l’obbligo degli uffici dell’INPS di procedere alla liquidazione della pensione. La L. 222/1984 ha riformato la disciplina dell’invalidità pensionabile, ritenendo la tradizionale configurazione basata sulla riduzione della capacità di guadagno, eccessivamente elastica. Il legislatore aveva demandato ai comitati provinciali INPS di esaminare la situazione socio-economica della provincia per individuare parametri di riferimento affidabili. Si era verificata un’espansione anomala del numero dei pensionati di invalidità che erano di gran lunga più numerosi dei pensionati di vecchiaia. La legge ha condizionato il godimento della pensione di 21 invalidità all’inesistenza di un reddito da lavoro subordinato o da lavoro autonomo o professionale superiore a tre volte l’ammontare annuo dei trattamenti minimi. La L. 222/84 considera “invalido” il soggetto protetto la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di difetto fisico o mentale a meno di un terzo. La capacità di guadagno è quindi sostituita alla capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle attitudini. La legge considera “inabile” il soggetto protetto che a causa di infermità o difetto fisico o mentale si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. “Invalidità” e “inabilità” danno luogo all’erogazione di prestazioni previdenziali diverse. L’invalido, ha infatti diritto a un “assegno”, non reversibile ai superstiti, erogato per un periodo di tre anni; se permane lo stato di invalidità, può essere prorogato, su domanda del soggetto protetto. Dopo tre riconoscimenti consecutivi, l’assegno è confermato automaticamente. L’assegno di invalidità è calcolato secondo il regime generale per i lavoratori dipendenti. Il beneficiario può proseguire con la sua residua capacità lavorativa. Al compimento dell’età per il diritto alla pensione di vecchiaia, l’assegno di invalidità si trasforma in pensione di vecchiaia. L’inabile ha diritto a una pensione di inabilità, a condizione che cessi del tutto l’attività lavorativa e si abbia anche la cancellazione da qualsiasi elenco o albo professionale e che espressamente rinunzi ai trattamenti di disoccupazione o ogni altro trattamento previdenziale sostitutivo o integrativo della retribuzione. La pensione di inabilità è costituita da una somma pari all’importo dell’assegno di invalidità integrato da una maggiorazione di un importo tale da elevare l’ammontare dell’assegno alla misura che sarebbe spettata ove l’inabilità si fosse verificata al raggiungimento dell’età pensionabile. La prestazione non ha una durata prefissata. Non è consentito conseguimento della pensione di inabilità ai già titolari di pensione di invalidità. Inoltre, non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia, ma può far valere i requisiti presentando domanda all’ente. Il titolare di una pensione di inabilità che si trovi nell’impossibilità di deambulare, ha diritto a un assegno mensile, non reversibile, denominato “assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa ai pensionati per inabilità”. Non è compatibile con l’assegno mensile dovuto dall’INAIL agli invalidi a titolo di assistenza personale e continuativa. L’assegno di invalidità spetta anche in assenza dei requisiti di contribuzione o assicurazione, quando l’invalidità o l’inabilità risultino in rapporto causale diretto con finalità di servizio e a condizione che non derivi diritto a trattamenti di carattere continuativo di natura previdenziale o assistenziale a carico dello stato o enti pubblici. Il soggetto protetto che si procuri dolosamente un’invalidità commette un reato e perde il diritto alla pensione. Il tentato suicidio è escluso dal dolo. Nessuna rilevanza negativa circa la colpa del soggetto protetto. Infine, la giurisprudenza considera l’etilismo come non volontario e legato a una deficienza fisica o psichica del soggetto. La legge considera l’ipotesi che lo stato di invalidità o inabilità possano subire modificazioni nel tempo, ponendo il titolare, su richiesta dell’INPS, ad accertamenti 22 beneficiare di un assegno individuale di ricollocazione e, qualora, avendo cessato di fruire dell’indennità, restino privi di occupazione e si trovino in una condizione di bisogno, possono chiedere il reddito di cittadinanza. La NASPI decade con la perdita di disoccupazione; inizio di un’attività lavorativa subordinata o autonoma; raggiungimento del pensionamento; assegno di invalidità. Per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’INPS, opera la indennità di disoccupazione destinata ai lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, innovando la precedente indennità una tantum. La Dis-Coll, riproduce la NASPI. Ha durata pari alla metà dei mesi di contribuzione, con un massimale di 6 mesi. Una novità introdotta dal legislatore del 2015 è il cd. “Assegno di ricollocazione”. Consiste in un voucher da utilizzare presso i centri per l’impiego, funzionale a ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di lavoro; può fruirne solo il disoccupato percettore di NASPI da più di 4 mesi. L’importo dell’assegno varia in base al livello di occupabili del disoccupato. Fino al dicembre 2021 l’assegno di ricollocazione è corrisposto anche al beneficiario di reddito di cittadinanza. Oltre la NASPi vi è anche l’indennità di mobilità. Si tratta di un intervento di sostegno di particolari categorie di lavoratori licenziati che tende a favorire il reinserimento di quelli lavoratori nel mercato del lavoro. Il datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti e, a seguito di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, effettui almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, può mettere in mobilità i lavoratori in esubero. L’indennità di mobilità sostituisce il trattamento retributivo e si distingue nettamente dalle prestazioni della CIG, che prevede la sospensione del lavoro per poi riprendere, mentre l’indennità di mobilità presuppone la cessazione del rapporto. I beneficiari di prestazioni di sostegno al reddito devono rivolgersi al centro per l’impiego entro 15 giorni dalla data di presentazione della domanda all’INPS, che vale come dichiarazione di immediata disponibilità. Decorsi inutilmente i termini di presentazione, il centro per l’impiego dovrà convocare il disoccupato nei termini stabiliti da un decreto ministeriale, per completare la profilazione e stipulare il patto di servizio personalizzato, che è un vero e proprio contratto, in cui il disoccupato riporta la disponibilità a partecipare a diverse iniziative di politica attiva e di attivazione, fra cui anche l’accettazione di un “offerta congrua” di lavoro. 2. LE INTEGRAZIONI SALARIALI Alla disoccupazione involontaria, si affianca la disoccupazione parziale, cioè, la riduzione dell’orario di lavoro o la sospensione temporanea. È una forma di tutela istituita nel 1941 dalla contrattazione collettiva corporativa, con la funzione originaria di attenuare gli effetti negativi che gli avvenimenti della guerra avevano prodotto sui lavoratori e anche di equilibrare il potenziale produttivo trai settori impegnati nella produzione di guerra e non impegnati. Esistono due tipologie di intervento, per fronteggiare la temporaneità della crisi: la “cassa integrazione guadagni ordinaria” (CIGO) e la “cassa integrazione guadagni straordinaria” (CIGS), la cui funzione di entrambe è quella di garantire la continuità del reddito e dell’occupazione. 25 La CIG è ritenuta idonea a garantire i mezzi adeguati di vita. L’integrazione salariale spetta a tutti i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti con contratto di apprendistato professionalizzante, esclusi i dirigenti e i lavoratori a domicilio. La misura del trattamento è pari all’80% della retribuzione globale che spetterebbe per le ore di lavoro non prestate. La durata massima non può superare per ciascuna unità produttiva i 24 mesi, con la possibilità di arrivare a 36 mesi in caso di stipula di un contratto di solidarietà. La cassa integrazione salariale ordinaria si applica generalmente al settore industriale. L’intervento ordinario ha durata massima di 13 settimane continuative, prorogabile fino ad un massimo di 52. La legge assegna una funzione essenziale alle parti sociali. È previsto: a) l’obbligo del datore di dare preventiva comunicazione alle organizzazioni sindacali; b) un eventuale “esame congiunto”. La domanda di ammissione all’integrazione salariale va presentata alla sede INPS competente per territorio. Ove dall’omessa o tardiva presentazione della domanda derivi, a danno dei lavoratori, la perdita totale o parziale dell’integrazione salariale, l’impresa sarà tenuta a corrispondere loro una somma pari all’integrazione salariale non percepita. La cassa integrazione salariale straordinaria comprende tutte le aziende industriali che abbiano occupato mediamente 15 dipendenti nel semestre antecedente la richiesta e le aziende del commercio con più di 50 dipendenti. Le causali dell’intervento straordinario riguardano: a) riorganizzazione aziendale; b) crisi aziendale; c) contratto di solidarietà difensivo, ossia, accordi collettivi aziendali aventi la finalità di evitare in tutto o in parte la diminuzione dei livelli occupazionali attraverso una generalizzata riduzione dell’orario di lavoro. La durata dell’intervento è variabile in base alle diverse cause integrabili. La cassa integrazione guadagni in deroga può essere richiesta dalle imprese in crisi, indipendentemente dal settore in cui operano e dal numero di lavoratori occupati, è destinata ad integrare il salario di tutti i loro dipendenti assolvendo alla funzione di garantire l’occupazione in attesa del miglioramento. La CIGD è affidata alle Regioni in cui si trova l’unità produttiva. La possibilità di proroga è data alle imprese con rilevanza economica strategica che presentino considerevoli problematiche occupazionali con esuberi significativi nel contesto territoriale e che abbiano o stiano esaurendo i limiti massimi di utilizzo della CIGD. L’indennità è erogata dall’INPS. Il d.lgs 148/2015 riprende la disciplina dei fondi di solidarietà bilaterali, per assicurare forme di sostengo del reddito in favore dei lavoratori che appartengono a settori produttivi esclusi dall’ambito di applicazione della normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Questi devono assicurare l’erogazione di una prestazione economica, detta “assegno ordinario”, di importo non inferiore all’integrazione salariale standard e per le stesse causali che giustificherebbero il ricorso alla CIG. La durata della prestazione non può essere inferiore a 13 settimane e non superiore a quella prevista nella CIG. Il fondo di integrazione salariale riguarda esclusivamente quei datori di lavoro che operano in settori non coperti da CIG o fondi di solidarietà bilaterali alternativi. Il fondo di solidarietà è istituito presso l’INPS. Analogamente a quanto avviene per le prestazioni in caso di disoccupazione, anche qui opera il c.d. “meccanismo della condizionali” e il vincolo con le politiche attive, 26 in misura più attenuata. È vietato svolgere attività di lavoro autonomo o subordinato nel periodo di integrazione salariale. CAPITOLO 11 LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE I lavoratori hanno avvertito da tempo l’interesse a mantenere, quando saranno pensionati, il tenore di vita consentito dalle retribuzioni percepite mentre lavoravano. Interesse che, sarà sempre meno soddisfatto dai regimi previdenziali pubblici. È sempre più frequente tra i lavoratori, ricorrere ai regimi previdenziali integrativi, spesso aziendali, al fine di mantenere il tenore di vita prima della pensione. I regimi integrativi sono destinati, dunque, ad erogare prestazioni pensionistiche che, tendenzialmente, avrebbero dovuto garantire, unitariamente a quelle pubbliche, il livello di tutela originario. Poiché l’onere del finanziamento dei regimi integrativi o complementari è a carico dei datori di lavoro, le prestazioni di quei regimi devono essere considerate come “retribuzione differita in funzione previdenziale”. Una quota della retribuzione, anziché essere erogata in costanza del rapporto di lavoro, viene accantonata per essere erogata al termine di quel rapporto per far fronte ai bisogni determinati dalla vecchiaia o dall’invalidità che non sono soddisfatti dalle pensioni pubbliche. I regimi previdenziali complementari sono da considerare attuazione di quella previdenza privata della quale l’ultimo comma dell’art. 38 della cost., garantisce la libertà e, realizzando una forma di risparmio, debbono anche essere tutelati e favoriti ai sensi dell’art. 47 cost. I regimi complementari non sono considerati regimi previdenziali pubblici e nemmeno ricondotti all’idea di sicurezza sociale, in quanto diversa ne è la funzione. Le prestazioni previdenziali complementari sono, dal punto di vista funzionale, ricondotte al “trattamento di fine rapporto”, in quanto, quel trattamento può essere erogato sotto forma di pensione, quindi, con prestazioni periodiche, instaurando un collegamento tra le prestazioni di previdenza complementare e il tfr; questa disciplina, prevede che i futuri accantonamenti annuali del trattamento di fine rapporto, è conferito alle forme pensionistiche complementari, salva diversa esplicita volontà del lavoratore. La corte costituzionale favorisce il ricorso alla previdenza complementare come previdenza privata e, di conseguenza, giustificato l’esonero del suo finanziamento dalla contribuzione previdenziale ordinaria alla condizione, però, che, in adempimento del principio di solidarietà, anche quella previdenza partecipi in qualche modo al finanziamento della previdenza pubblica. Forme di previdenza destinate a erogare prestazioni complementari possono essere realizzate mediante la costituzione di autonomi “fondi pensione”, che provvedono a garantire più elevati livelli di tutela previdenziale, rispetto a quelli garantiti dalle pensioni pubbliche. L’iniziativa per l’istituzione dei fondi pensione è affidata alla contrattazione collettiva o ad accordi sindacali. L’adesione alla previdenza complementare è libera e volontaria. La libertà di adesione individuale, ha assunto particolare rilevanza da quando sono state previste “forme di previdenza complementare commerciali”, gestite cioè da 27