Scarica Diritto delle Politiche Europee - prof. Santini e più Appunti in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! DIRITTO DELLE POLITICHE EUROPEE Prof. Santini LE COMPETENZE BASILARI DELL’UNIONE EUROPEA Le competenze basilari UE sono rintracciabili tre fonti primarie, quindi in una sorta di costituzione composita – TUE, TFUE, Carta dei diritti fondamentali. I concetti sono sparsi tra i trattati. Gli artt. 2-6 TFUE classificano le competenze dell’UE; l’art. 5 TUE enuncia i principi relativi alle competenze UE. Art. 3 TFUE (ex art. 2 TCE) 1. L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli. 2. L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima. 3. L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. 4. L'Unione istituisce un'unione economica e monetaria la cui moneta è l'euro. 5. Nelle relazioni con il resto del mondo l'Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite. 6. L'Unione persegue i suoi obiettivi con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze che le sono attribuite nei trattati. · Art. 3 par. 1 TUE pace, valori benessere dei popoli · Art. 3 par. 2 TUE identifica obiettivo di spazio di libertà, sicurezza e giustizia. No frontiere interne libera circolazione. · Art. 3 par. 3 TUE sviluppo sostenibile dell’Europa – un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. · Art. 3 par. 4 TUE identifica obiettivi intorno all’unità monetaria Art. 5 TUE (ex art. 5 del TCE) 1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. 1. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tre principi: - Principio di attribuzione, riguardo alla delimitazione delle competenze. L’UE agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli SM nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Punto chiave: l’UE non è uno stato. Gli stati non sottostanno al principio di attribuzione, perché hanno una competenza di carattere generale. Possono occuparsi di qualunque materia. Come tutte le organizzazioni internazionali, l’UE non può occuparsi di qualunque materia – no competenza generale. Può esercitare solo competenze che gli SM le hanno conferito, che nel tempo sono andate crescendo di numero. Perché l’UE possa agire (in particolare legiferare), necessaria legal basis aka base giuridica. Nello studio di una qualunque politica o competenza europea, il primo passo è verificare quali siano le basi giuridiche che consentono all’UE di agire in quel campo. Attribuendo competenze all’UE, gli stati stabiliscono anche i confini di quest’ultima. Alcune sono molto precise sia dal punto di vista sostanziale che dal punto di vista della procedura da adottare da parte dell’UE per legiferare, specificando che tipo di atti può adottare in ogni caso. Il principio di attribuzione è fondamentale: è una caratteristica essenziale dell’Unione, perché ne discende che nello studio di qualunque politica dell’UE, il primo passaggio è lo studio delle basi giuridiche contenute nei trattati. - Principio di sussidiarietà - Principio di proporzionalità, riguardo l’esercizio delle competenze dell’UE. Nel diritto UE ci sono due elementi che danno flessibilità al sistema delle competenze: - la teoria dei poteri impliciti, di derivazione giurisprudenziale, secondo la quale le facoltà giuridiche possono essere interpretate estensivamente. Quando una competenza viene conferita all’UE, oltre i poteri espressamente conferiti, essa può esercitare tutti i poteri indispensabili per un esercizio efficace della competenza. Anche competenza ad agire sul piano internazionale, quindi tramite accordi con stati terzi. - la clausola di flessibilità, art. 352 TFUE, base giuridica residuale. Quando non c’è nulla che dia competenza, nemmeno implicitamente, su un qualcosa, bisogna controllare che l’UE non possa adottare atti funzionali al raggiungimento degli obiettivi posti dai trattati. Originariamente, i trattati non nominavano competenze riguardo all’ambiente. L’UE, nonostante ciò, ha cominciato ad adottare politiche di avvicinamento in ambito ambientale ben prima che il tema fosse inserito nei trattati. L’ha fatto grazie alla clausola di flessibilità. Art. 352 TFUE (ex art. 308 TCE) 1. Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo. 2. La Commissione, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5, paragrafo 3 del trattato sull'Unione europea, richiama l'attenzione dei parlamenti nazionali sulle proposte fondate sul presente articolo. 3. Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono. 4. Il presente articolo non può servire di base per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di sicurezza comune e qualsiasi atto adottato a norma del presente articolo rispetta i limiti previsti nell'articolo 40, secondo comma, del trattato sull'Unione europea. LE COMPETENZE UE Fino al trattato di Lisbona 2007, il fatto che esistono diverse competenze UE era espresso solo dalla corte di giustizia. Le competenze dell’Unione sono di tre tipi. TITOLO I – CATEGORIE E SETTORI DI COMPETENZA DELL'UNIONE Art. 2 TFUE libertà fondamentali di circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Accanto a queste, la politica di concorrenza. Ciò che distingue i due concetti è che il concetto di mercato interno indica una fase di maggiore integrazione dei mercati degli stati membri. Come sinonimo, si usa frequentemente il termine mercato unico (single market). In uno studio preparato su richiesta di Barroso nel 2010, Mario Monti ha sostenuto che dal punto di vista concettuale e comunicativo il termine mercato unico sarebbe più corretto. Lo studio è infatti titolato “Una nuova strategia per il mercato unico”. L’art. 26.2 TFUE pone l’accento sulle quattro libertà di circolazione. È importante sottolineare che il quadro è in realtà più complesso, in particolare con riferimento alla nozione di libera circolazione delle persone. In realtà non si fa riferimento alle persone in quanto tali, ma alle persone economicamente attive, dunque ai lavoratori. Ancora più precisamente, il trattato opera una distinzione tra due categorie di lavoratori: quelli subordinati o dipendenti e quelli autonomi. In quest’ultimo caso, sono previste due libertà: libertà di stabilimento e libertà di prestazione dei servizi. La libertà di stabilimento è una nozione statica, mentre quella di prestazione di servizi è una nozione dinamica. Statica perché si riferisce alla situazione nella quale un lavoratore autonomo si insedia stabilmente in uno stato membro diverso dal proprio per esercitare la propria attività professionale. Dinamica perché l’elemento transfrontaliero è pur sempre presente, ma in maniera meramente temporanea – esempio: medico si reca occasionalmente in un altro paese membro per svolgere la sua attività. Il concetto di prestazione di servizi ha diverse forme: si ha ricorso alla libertà di prestazione di servizi nell’ipotesi che un medico italiano si rechi in Francia per curare un paziente, ma anche nell’ipotesi opposta, nella quale a muoversi non è il prestatore del servizio ma il destinatario. Il Protocollo n. 27 mette in evidenza che un’altra importante componente è rappresentata dalla politica di concorrenza, ovvero il sistema che si assicura che la concorrenza non sia falsata. La politica di concorrenza si suddivide in due grandi ambiti: vi sono regole di concorrenza applicabili alle imprese e regole di concorrenza applicabili agli stati membri. Nel caso delle imprese, il TFUE contiene due divieti: divieto d’intese che possano pregiudicare la concorrenza (aka divieto di accordi) e il divieto di sfruttamento abusivo di una posizione dominante. Un’ulteriore componente delle regole di concorrenza applicabili alle imprese è la disciplina delle concentrazioni tra imprese, che non sono vietate, ma laddove abbiano una dimensione comunitaria devono essere notificate alla Commissione e autorizzate da questa. Vi è anche un divieto di aiuti pubblici alle imprese. Bisogna anche sottolineare che in situazioni eccezionali gli aiuti di stato sono ammissibili, in deroga al divieto; vi è ad esempio la situazione degli aiuti destinati a riparare danni causati da calamità naturali. Potrebbe succedere per il Coronavirus. LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE DELLE MERCI Alcuni dei concetti elaborati dalla giurisprudenza in merito alla questione si sono col tempo pienamente affermati anche in relazione alle altre libertà di circolazione. Gli strumenti per la realizzazione del mercato interno Il TFUE contempla due diversi tipi di strumenti, classificati dalla dottrina come: - Integrazione negativa ® norme che stabiliscono divieti previsti dai Trattati (nello specifico dal TFUE) in termini chiari e precisi, dotati quindi di efficacia diretta. Es. art. 63 TFUE, nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo, sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra stati membri, nonché anche tra stati membri e paesi terzi. Diversi divieti sono previsti anche nell’ambito della libera circolazione delle merci, ma lo stesso vale per la libera circolazione delle persone, per la libera prestazione dei servizi, ma anche in materia di concorrenza: divieto di intese, divieto di sfruttamento abusivo di posizione dominante, divieto degli aiuti di stato. Efficacia diretta significa che una norma può essere fatta valere direttamente in giudizio dai singoli, quindi il singolo che tragga un diritto da una norma di questo tipo può far valere tale diritto di fronte ad un giudice nazionale. Quindi, il singolo che incontri degli ostacoli nella movimentazione di capitali tra uno stato membro e l’altro può agire in giudizio per far valere il proprio diritto di far circolare liberamente capitali tra stati membri senza incontrare ostacoli. - Integrazione positiva ® misure adottate dalle istituzioni UE, principalmente al fine di armonizzare le normative degli Stati membri per evitare che le differenze tra queste ultime possano pregiudicare l’instaurazione e il buon funzionamento del mercato interno. Basi giuridiche che consentono al legislatore UE di adottare misure di carattere positivo (≠ divieti), rivolte ad armonizzare le normative degli SM. La disciplina per la libera circolazione delle merci è contenuta negli artt. 28-37 TFUE. Vi sono tre divieti fondamentali: - Divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente ® profilo interno dell’unione doganale, il cui profilo esterno è invece costituito dall’adozione di una tariffa doganale comune nei rapporti con i paesi terzi. - Divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente. - Divieto, nel quadro dei monopoli nazionali di carattere commerciale, di qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi. Divieto di dazi doganali e di tasse di effetto equivalente Importante sottolineare che l’UE costituisce un’unione doganale, non una semplice area di libero scambio. Le aree di libero scambio (es. EFTA, European Free Trade Association) hanno solo il profilo interno – tra gli SM, sono vietati i dazi doganali all’importazione e all’esportazione; manca il profilo esterno, in quanto ciascuno SM rimane libero di stabilire una propria tariffa doganale nei rapporti con i paesi terzi. Ripercussioni sul piano interno nelle aree di libero scambio: dato che le protezioni doganali nei confronti di uno stato esterno sono diverse tra SM, un prodotto proveniente da uno stato terzo non può circolare liberamente nell’intera area. Nell’unione doganale, essendo unica la tariffa doganale nei rapporti coi paesi terzi, i prodotti possono circolare liberamente tra gli SM. Livello di integrazione più elevato. L’unione doganale è classificata tra le competenze esclusive UE – gli SM hanno trasferito tale competenza all’UE. Art. 30 TFUE I dazi doganali all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale. Tassa di effetto equivalente – introdotta per evitare che il divieto di dazi doganali possa essere eluso qualificando quello che è corrispondente a un dazio doganale in maniera diversa: qualsiasi onere pecuniario imposto unilateralmente, a prescindere dalla sua denominazione e dalla sua struttura, che colpisca le merci in ragione del fatto che varcano la frontiera. (CG 25.01.1977, Bauhuis). Es. l’imposizione all’ingresso delle merci provenienti da un altro SM del pagamento di una tassa sanitaria conseguente al fatto che lo stesso SM impone dei controlli sanitari sulle merci in ingresso, di per sé non necessari poiché tali merci sono state già controllate nello stato di origine, potrebbe essere considerata una tassa di effetto equivalente. Art. 110 TFUE Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Mentre le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali sono sempre vietate, le imposizioni interne (diverse dalle tasse poiché gravano sia sulle merci importate che su quelle nazionali) sono vietate nella loro applicazione sulle merci importate solamente nella misura in cui siano discriminatorie o protezionistiche. Es. l’imposizione fiscale sul vino grava con un’aliquota maggiore sulle merci importate rispetto che sulle merci nazionali; oppure uno SM, per proteggere la propria produzione nazionale di birra, prevede delle imposizioni elevate su prodotti alcolici diversi (es. vino) di cui non ha una significativa produzione nazionale, ma che potrebbero essere sostitutivi della birra (prodotto nazionale). Divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente Art. 34 TFUE Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente. Art. 35 TFUE Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente. Art. 36 TFUE Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra Stati membri. Stesso ragionamento del divieto di dazi doganali e misure di effetto equivalente. Una restrizione quantitativa è un divieto assoluto di importare o esportare un determinato prodotto, o è una normativa nazionale che prevede dei contingenti di importazione o esportazione. Il concetto di misura di effetto equivalente è più oscuro e non trova una definizione nel trattato. Differenza importante tra divieto di dazi doganali e restrizioni quantitative: il primo è assoluto, mentre il secondo non lo è, in quanto sono ammesse le deroghe di cui all’art. 36, ai sensi del quale le disposizioni degli artt. 34 e 35 lasciano pregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, esportazione o transito giustificati da una serie di motivi riassumibili come motivi di interesse generale. Tali restrizioni non devono ovviamente costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli SM. Le misure di effetto equivalente La nozione di “misure di effetto equivalente” non è ben nota al commercio internazionale. Proprio questa ha avuto un ruolo chiave nella liberalizzazione degli scambi commerciali all’interno prima della comunità europea, poi dell’UE. Interpretazione estensiva della nozione dalla corte di giustizia. Sentenza Dassonville 11/07/1974 La prima sentenza nella quale la corte ha definito la nozione di “misura di effetto equivalente” è nel caso Dassonville. I Dassonville erano due commercianti, padre e figlio, che avevano importato dalla Francia in Belgio una partita di whiskey scozzese, ma erano stati citati penalmente in giudizio in Belgio per aver violato la normativa belga che imponeva, in caso di importazione nella nazione di prodotti stranieri muniti di una certificazione di origine, di accompagnare il prodotto con una documentazione ufficiale del paese di produzione del prodotto, attestante il diritto dalla denominazione di origine. I Dassonville non disponevano della documentazione delle autorità britanniche che testava il diritto alla denominazione d’origine del whiskey, perché la normativa francese non prevedeva un’analoga denominazione. Quindi, quando il whiskey era stato importato in Francia da UK, gli importatori originali non si erano dotati della documentazione. La difesa dei Dassonville aveva invocato il precedente articolo equivalente all’attuale art. 34 TFUE. In questo caso, la CG si trovò per la prima volta a pronunciarsi su questa nozione, in quanto il giudice belga propose un rinvio pregiudiziale alla CG, chiedendo di fornire l’interpretazione della norma comunitaria in questione. Ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura di effetto equivalente. (CG 11.07.1974) – portata ampissima: ostacoli diretti, indiretti, normative in atto o in potenza. Non bisogna neanche dimostrare che una norma abbia effettivamente provocato una riduzione degli scambi intracomunitari: basta che sia potenzialmente in grado di generare questo effetto. Una misura di effetto equivalente non è necessariamente costituita da disposizioni normative, ma anche prassi amministrative o giurisprudenziali possono costituire misure di effetto equivalente. Importantissima leva per spingere alla liberalizzazione degli scambi nel mercato interno. L’ampiezza della definizione fa sì che nella nozione di misura di effetto equivalente possano rientrare non solo misure discriminatorie come nel caso di specie, ma anche misure indistintamente applicabili (non discriminatorie) ai prodotti nazionali e a quelli importati, come emerge dalla successiva giurisprudenza della Corte. Sentenza Cassis de Dijon (Rewe-Zentral) 20/02/1979 Catena di supermercati tedesca che intendeva importare dalla Francia il liquore Cassis de Dijon, che ha una gradazione alcolica compresa tra 15-20 gradi. Problema: la normativa tedesca, per la messa in commercio di liquori di frutta, prescriveva che il commercio fosse possibile solo se avessero una gradazione alcolica di almeno 25 gradi. Le autorità tedesche negarono quindi l’autorizzazione ad importare il Cassis de Dijon. Normativa indistintamente applicabile, applicata sia ai prodotti nazionali che importati. Il giudice solleva una questione pregiudiziale davanti alla CG, chiedendosi se ci si trovasse di fronte a una misura di effetto equivalente. Presupposto: efficacia diretta della norma comunitaria sul divieto di misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative. In entrambi i casi, i diritti sono tratti da una norma comunitaria o per evitare la penale o per aggirare il divieto. In mancanza di una normativa comune in materia di produzione e di commercio dell’alcool (…) spetta agli Stati membri disciplinare, ciascuno nel suo territorio, tutto ciò che riguarda la produzione e il commercio dell’alcool e delle bevande alcoliche; gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria derivanti da disparità delle legislazioni nazionali relative al commercio dei prodotti di cui trattasi vanno accettati qualora tali prescrizioni possano ammettersi come necessarie per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare, all’efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori. (CG 20.02.1979, punto 8). La CG dice quindi che gli ostacoli per la circolazione intracomunitaria vanno accettati quando siano necessari per rispondere ad esigenze imperative; questo significa che non vanno accettati in tutti gli altri casi. La CG sta limitando la possibilità di opporre all’importazione di prodotti da altri SM una normativa nazionale indistintamente applicabile, ritenendo che quest’ultima non possa impedire l’importazione a meno che non si giustifichi per particolari esigenze imperative. Principio del mutuo riconoscimento delle legislazioni nazionali – introdotto per la prima volta in questa sentenza e divenuto l’elemento che segna il passaggio dal mercato comune al mercato interno. Ogni prodotto legalmente fabbricato e posto in vendita in uno Stato membro dev’essere, in linea di massima, ammesso sul mercato di ogni altro Stato membro. Anche se indistintamente applicabili ai prodotti nazionali ed importati, le normative tecniche e commerciali non possono creare ostacoli se non quando siano necessarie per soddisfare esigenze imperative e perseguano un obiettivo di interesse generale, di cui essere garantiscono la Spesso, le normative nazionali indistintamente applicabili su cui la CG è stata chiamata a pronunciarsi, sono normative che i rispettivi governi hanno difeso di fronte alla corte richiamando l’esigenza di tutela del consumatore. Es. normative italiana sulla pasta: il governo italiano difendeva la norma poiché questa era considerata funzionale alla protezione del consumatore, essendo abituato a consumare solo pasta con semola di grano duro, qualitativamente migliori rispetto a quelle realizzate con altri tipi di semole. La difesa del consumatore è infatti una finalità di interesse generale meritevole di protezione, ma può essere realizzata con mezzi meno restrittivi per gli scambi intracomunitari, ad esempio garantendo un’adeguata informazione del consumatore attraverso l’etichettatura. Tali normative non superano il test di necessità. L’INTEGRAZIONE POSITIVA Misure normative adottate dalle istituzioni UE per armonizzare le normative degli SM, per evitare che le differenze tra tali normative possano pregiudicare la realizzazione del mercato interno. Prospettiva storica: differenza tra mercato comune e mercato interno ® momento di svolta nell’integrazione dei mercati EU, quindi di evoluzione da una fase di minore integrazione (mercato comune) a una successiva fase di maggiore integrazione (mercato interno), costituito dalla sentenza Cassis de Dijon, 20.02.1979, principio del mutuo riconoscimento o del paese di origine, poi posto a fondamento del progetto di completamento del mercato interno. L’integrazione dei mercati prevista dal trattato istitutivo della CEE si fondava sul principio di non discriminazione o del principio del paese di destinazione. Es. un prodotto commercializzato in Italia poteva accedere ai mercati degli altri SM a condizione di rispettare di volta in volta le rispettive normative tecniche di ciascuno stato. Si rischiava di finire quindi per frammentare il mercato e uniformare le normative nazionali attraverso gli strumenti di integrazione positiva adottati a livello UE – passaggio indispensabile per garantire l’integrazione dei mercati. Ragioni sottostanti all’integrazione positiva: I limiti del principio del mutuo riconoscimento (massima espressione degli strumenti di integrazione negativa) – è possibile garantire la libera circolazione delle merci anche in uno scenario caratterizzato da differenti norme tecniche tra i diversi SM, perché ciascuno di questi è tenuto a riconoscere la normativa tecnica degli altri, secondo la regola del paese di origine: un prodotto legalmente fabbricato e commercializzato in uno SM può circolare in tutto il mercato interno. Il principio del mutuo riconoscimento è quindi uno strumento di integrazione straordinario, pur mantenendo differenze tra gli SM. Tale principio non esclude che gli SM possano porre degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, in particolare derogare al divieto di restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente, motivando queste deroghe con riferimento all’art. 36 TFUE o alla giurisprudenza della CG. Non è più necessario armonizzare le normative tecniche degli SM; rimane però necessaria un’azione armonizzatrice riferita agli aspetti delle normative che rientrino in art. 36 TFUE o giurisprudenza. Problema delle discriminazioni a rovescio: secondo la CG, queste discriminazioni non sono rilevanti per il diritto UE, e quindi vi possono porre rimedio solo i giudici o i legislatori nazionali. Es. normativa italiana relativa alla pasta, non opponibile alla circolazione di paste diversamente realizzate in altri SM. NB: la conseguenza non è che la normativa venga espunta dall’ordinamento nazionale, dato che rimane in vigore, ma non è opponibile all’importazione di pasta realizzata in altri SM conformemente alla legislazione dei rispettivi SM. Rimane opponibile per i produttori nazionali. Quindi, la normativa nazionale viene a gravare solo sui produttori e non sugli altri SM. Si finisce così per creare una situazione in cui i produttori nazionali sono discriminati sotto il profilo concorrenziale. Secondo la CG, in quanto queste discriminazioni costituiscano situazioni puramente interne a uno SM, non sono rilevanti per il diritto UE. Sentenza 443/1997 della Corte Costituzionale riguardante la normativa sulla pasta; la Corte ha detto che opporre quella normativa ai soli produttori nazionali, realizzando una discriminazione a rovescio, era costituzionalmente illegittimo comportando una violazione del principio di uguaglianza sancito nell’art. 3 Cost. Inoltre, l’art. 53 l. n. 234/2012, afferma che nei riguardi dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell’ordinamento giuridico italiano che producano effetti discriminatori rispetto al trattamento garantito ai cittadini UE. Problema della concorrenza al ribasso: rischiano di prevalere standard meno rigorosi; se un prodotto legalmente fabbricato e commercializzato in uno SM i cui standard di qualità sono più bassi può essere messo in commercio in altri SM, questo paese finisce per stabilire gli standard validi per gli SM. Anch’essi saranno infatti incentivati a ridurre i propri standard. I protagonisti dell’integrazione positiva sono diversi da quelli dell’integrazione negativa. Gli strumenti di integrazione negativa sono rappresentati dai divieti posti dai trattati. In questo contesto, la fondamentale protagonista della realizzazione dell’integrazione negativa è stata la CG, chiamata a interpretare i divieti, fornendone un’interpretazione estensiva. L’integrazione positiva consiste nell’adozione a livello europeo di misure di carattere normativo, quindi il protagonista è il legislatore. La CG può interpretare le norme adottate da questo. Il legislatore si muove nel quadro del principio di attribuzione, quindi può porre in essere l’opera di armonizzazione solo laddove vi sia una base giuridica che glielo consente e nei limiti stabili da questa stessa base giuridica. Le basi giuridiche per l’integrazione positiva: gli artt. 114 e 115 TFUE Nel caso di altre libertà di circolazione, es. libertà relativa ai lavoratori dipendenti o libertà di stabilimento, negli stessi articoli che il TFUE dedica a questi ultimi vi sono le basi giuridiche per l’opera di armonizzazione delle legislazioni nazionali funzionale a una realizzazione di quelle libertà di circolazione. Nelle norme relative alla libera circolazione delle merci (artt. 28-37 TFUE), si ritrova una base giuridica che fa esplicito riferimento all’armonizzazione. Clausola generale: Art. 114 par. 1 TFUE (ex art. 100 lett. a CEE) Salvo che i trattati non dispongano diversamente, si applicano le disposizioni seguenti per la realizzazione degli obiettivi dell'art. 26. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Art. 115 TFUE (ex art. 100 CEE) Fatto salvo l’articolo 114, il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno. Prospettiva storica: l’art. 115 TFUE corrisponde all’ex art. 100 CEE, che rappresentava l’unico fondamento giuridico originariamente disponibile per l’opera di armonizzazione delle disposizioni nazionali. Secondo la disposizione originaria, il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli SM che abbiano per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. La norma ha ovviamente subito modifiche formali nel corso del tempo, in quanto vi era riferimento al mercato comune e non al mercato interno. Attraverso l’atto unico europeo (metà anni 80), è stata introdotta una nuova disposizione (art. 100 lett. a CEE, oggi art. 114 TFUE) che ha soppiantato l’art. 100 come base giuridica per l’opera di armonizzazione. Oggi si fa riferimento all’art. 114 TFUE. Differenza procedurale: - Art. 115 – per l’adozione delle direttive alle quali si fa riferimento, prevede il ricorso a una procedura legislativa speciale caratterizzata dalla consultazione del Parlamento europeo e dal voto unanime del consiglio. - Art. 114 – procedura legislativa ordinaria, caratterizzata dalla co-decisione tra Parlamento europeo e Consiglio e dal requisito della maggioranza qualificata per il Consiglio. Procedura più democratica e più efficiente, perché il Consiglio delibera a maggioranza qualificata e non all’unanimità. Non c’è quindi potere di veto. Differenza nell’espressione che precede l’instaurazione e il funzionamento del mercato: - Art. 115 – il Consiglio stabilisce direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno. - Art. 114 – il Parlamento europeo e il Consiglio adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. Non è mai stata fornita una chiara interpretazione né dalla CG (mai interrogata) né dalla dottrina. Il problema è tuttavia di carattere teorico. Nella sostanza, a partire dal momento in cui è stata introdotto l’art. 114 TFUE, il legislatore ha cominciato a fare riferimento a tale articolo anziché all’art. 115, per i vantaggi che il 114 determina sotto il profilo della democraticità e dell’efficienza della procedura. Differenza in atti che possono essere adottati: - Art. 115 – il Consiglio può adottare solo direttive, cioè l’atto che più si presta all’armonizzazione, in quanto stabilisce l’obiettivo da raggiungere, lasciando gli SM liberi di definire le forme e i mezzi per il raggiungimento del risultato. - Art. 114 – generico riferimento a misure relative al ravvicinamento delle disposizioni degli SM. Non si esclude quindi il ricorso a strumenti diversi dalla direttiva. Il legislatore ha anche fatto ricorso allo strumento del regolamento, andando oltre il semplice ravvicinamento delle disposizioni degli SM, uniformando il diritto, in quanto il regolamento si sostituisce alle legislazioni degli SM. Direttamente applicabile. Le condizioni per il ricorso all’art. 114 TFUE La CG ha chiarito il significato del riferimento all’adozione di misure nell’art. 114, delimitando il perimetro d’azione del legislatore UE. Prima sentenza importante: Sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, 2000. La repubblica federale di Germania aveva impugnato dinanzi alla corte una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle disposizioni degli SM in materia di pubblicità e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco. Secondo la Germania, quella direttiva non poteva essere adottata sulla base dell’art. 100 lett. a CEE. La CG ha chiarito quindi le condizioni per il ricorso all’art. 114 TFUE quale base giuridica di un atto dell’unione: un atto adottato sul fondamento dell’art. 114 TFUE deve avere effettivamente per oggetto il miglioramento delle condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno. È quindi necessario che il legislatore dimostri che l’atto effettivamente miri al miglioramento. Due ipotesi: - L’atto contribuisce all’eliminazione di ostacoli agli scambi o di distorsioni sensibili della concorrenza derivanti dalle disparità delle legislazioni nazionali, che non possono essere superate mediante la semplice applicazione del principio del mutuo riconoscimento. - L’atto è funzionale alla prevenzione di futuri ostacoli agli scambi derivanti dall’evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali, purché l’insorgere di tali ostacoli appaia probabile e la misura di cui trattasi abbia ad oggetto la loro prevenzione. Le difficoltà non derivano quindi da disparità già esistenti nelle legislazioni nazionali, ma da disparità che si presume possano venire a verificarsi nel futuro. Sentenza 2005 Alliance for Natural Health Discussione della validità della direttiva 2002/46 del Parlamento europeo e del Consiglio volta a ravvicinare ed armonizzare le legislazioni degli SM relative agli integratori alimentari. La direttiva vietava di porre in commercio integratori non conformi alle disposizioni della stessa direttiva, la quale consente di utilizzare nella fabbricazione solo determinate vitamine e determinati minerali, escludendo la possibilità di utilizzo di altre vitamine e altri minerali. Alla CG era chiesto di valutare se l’art. 114 TFUE (ex art. 100 lett. a CEE), utilizzato come base giuridica di quella direttiva, consentisse effettivamente l’adozione della stessa, o se il legislatore UE non avesse oltrepassato quanto consentiva l’articolo, violando così il principio di attribuzione delle competenze. La CG ha ritenuto fondamentale verificare se sussistessero divergenze tra le normative nazionali in materia di integratori tali da ostacolare la libera circolazione dei prodotti in questione. La CG ha rilevato che prima dell’adozione della Direttiva 2002/46, essa stessa era già stata oggetto di numerose controversie, in quanto determinati operatori economici avevano trovato ostacoli nel commercializzare in un altro SM integratori alimentari legalmente commercializzati in quest’ultimo SM. La CG ha anche rilevato che la Commissione aveva riferito numerosi reclami ad essa presentati da operatori economici a causa di divergenze tra le discipline nazionali che era difficile superare mediante l’adozione del principio del mutuo riconoscimento. La CG ha potuto concludere che si giustificava in materia di integratori alimentari un intervento del legislatore UE basato sull’art. 114 TFUE. La Sentenza Alliance for Natural Health può essere utilizzata anche per introdurre un nuovo passaggio: uno degli argomenti addotti per contestare la validità della direttiva 2002/46, sosteneva che il legislatore UE avesse violato i trattati, perché attraverso la direttiva si persegue primariamente un obiettivo di tutela della salute. Il divieto di utilizzo di determinate vitamine e determinati minerali nella produzione di integratori alimentari risponde infatti ad obiettivi di tutela della salute. Si faceva quindi notare che la disposizione del TFUE che attribuisce una competenza UE in materia di sanità pubblica, i.e. art. 168 TFUE, configura questa competenza come una competenza parallela, quindi di sostegno, coordinamento o completamento dell’azione degli SM. L’art. 168 par. 5 TFUE esclude che il legislatore possa armonizzare le disposizioni legislative degli SM per quanto attiene alla materia della salute. La CG non ha accolto questo argomento, ma ha sottolineato che, qualora le condizioni per fare ricorso all’art. 114 come fondamento giuridico siano soddisfatte (l’atto adottato sul fondamento dell’art. 114 contribuisce al miglioramento delle condizioni di instaurazione e funzionamento del mercato interno), non si può impedire al legislatore UE di basarsi su tale fondamento giuridico nemmeno nel caso in cui esso contestualmente intenda perseguire anche finalità di tutela della salute, e neanche nel caso in cui la tutela della salute sia determinante nelle scelta da operare. Il par. 3 dell’art. 114 TFUE può essere usato per chiarire un ulteriore punto: proporzionalità. La CG valuta quindi che negare il rinnovo del permesso di soggiorno a Baumbast, quindi l’esercizio del diritto di soggiorno riconosciutogli dall’art. 21 TFUE, sulla base del fatto che l’assicurazione contro le malattie non coprirebbe le cure in pronto soccorso costituirebbe un’ingerenza sproporzionata nell’esecuzione di tale diritto. I Baumbast non avevano mai rappresentato un onere per l’UK, quindi rinnegare il rinnovo del permesso di soggiorno su questa base sarebbe stato sproporzionato, poiché sarebbe stata una limitazione di un diritto fondamentale dei cittadini degli SM. I BENEFICIARI DELLA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE Tre aspetti importanti: - La libertà di circolazione spetta a tutti i cittadini UE. Tuttavia, dal momento che la portata dei diritti in cui si sostanzia tale libertà varia, rimane rilevante l’eventuale identificazione di una persona come lavoratore subordinato o autonomo. Rimane anche valido ciò che è stato disposto con le Direttive del 1990: solo per i soggetti non economicamente attivi, il diritto di soggiorno in uno SM diverso dal proprio è subordinato al soddisfacimento delle due condizioni di disporre di sufficienti risorse economiche e di disporre di un’assicurazione malattia nello stato ospitante. - Per quanto riguarda la nozione di lavoratore ai sensi dell’art. 45 TFUE (i.e. lavoratore subordinato), la CG ha individuato – es. nella sentenza Lawrie-Blum 1986 – tre caratteristiche essenziali del rapporto di lavoro: a. Un vincolo di subordinazione b. La continuità del rapporto per un certo periodo di tempo c. La retribuzione - La CG ha ritenuto che rientrino nella nozione di lavoratore anche i soggetti in cerca di occupazione. Sentenza Lawrie-Blum 03/07/1986 Sentenza pregiudiziale (efficacia diretta delle norme). Eventi: cittadina britannica che aveva studiato in Germania, superando a Friburgo il primo esame volto all’insegnamento nei ginnasi, non ammessa dalle autorità tedesca di Baden- Wurttemberg a un tirocinio della durata di 2 anni che si conclude con un esame di stato che attribuisce l’abilitazione all’insegnamento. Secondo la normativa del Land, per poter accedere al tirocinio, era richiesta la cittadinanza tedesca perché il tirocinante aveva lo status di pubblico dipendente. La CG si sofferma sulla nozione di lavoratore subordinato (ai sensi dell’art. 48 CEE) e dice due cose: Punto 16: Poiché la libera circolazione dei lavoratori costituisce uno dei principi fondamentali della Comunità, la nozione di lavoratore ai sensi dell'art. 48 non può essere interpretata in vario modo, con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha portata comunitaria. La nozione comunitaria di lavoratore, che definisce la sfera d'applicazione di tale libertà fondamentale, non può essere interpretata restrittivamente (sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035). ® bisogna ricostruire una definizione comunitaria di lavoratore subordinato in quanto definisce una sfera di applicazione di una libertà fondamentale. Punto 17: Tale nozione dev'essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. Ora, la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione. ® tre caratteristiche essenziali del rapporto di lavoro perché si possa ritenere che una persona sia qualificabile come lavoratore subordinato: vincolo di subordinazione, continuità del rapporto di lavoro per un certo periodo di tempo, esistenza di una retribuzione. Quindi anche una tirocinante può rientrare nella categoria di lavoratore subordinato. Le caratteristiche sono stata interpretate in maniera estensiva, es. non si esclude la definizione di lavoratore subordinato solo perché il soggetto è il coniuge del datore di lavoro; si esclude se il soggetto è l’unico azionista della società; si includono i lavoratori stagionali e prestazioni lavorative di durata breve; si includono i soggetti che percepiscono una retribuzione inferiore al minimo stabilito. I familiari dei cittadini Questione rilevante sin dai primi atti di diritto derivato, per cui il cittadino poteva portare con sé i familiari – ratio riconducibile al principio dell’effetto utile, cioè volta a garantire alle norme sulla libertà di circolazione di spiegare tutti i propri effetti. L’estensione della libertà di circolazione ai familiari del titolare del diritto di libertà di circolazione ha oggi particolare rilievo nel caso in cui questi siano cittadini extracomunitari. Art. 2 par. 2 Direttiva 2004/38 Ai fini della presente direttiva, si intende per “familiare”: a) Il coniuge; b) Il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro ospitante; c) I discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner; d) Gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge o partner. L’art. 3 della Direttiva ritiene esplicita l’idea che lo stato membro ospitante debba comunque agevolare l’ingresso e soggiorno di soggetti rientranti in un’accezione più ampia di famiglia. Art. 3 par. 2 Direttiva 2004/38 Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell'interessato lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l'ingresso e il soggiorno delle seguenti persone: a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all'articolo 2, punto 2, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell'Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell'Unione lo assista personalmente; b) il partner con cui il cittadino dell'Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata. Lo Stato membro ospitante effettua un esame approfondito della situazione personale e giustifica l'eventuale rifiuto del loro ingresso o soggiorno. Le situazioni puramente interne Stessa ratio delle discriminazioni a rovescio. Una persona è beneficiaria delle norme sulla libera circolazione a condizione che la sua situazione non si configuri come una situazione puramente interna ad uno Stato membro, ossia purché tale situazione presenti un collegamento effettivo con un altro Stato membro e quindi con il diritto UE. A questa condizione, le norme sulla libera circolazione possono essere fatte valere nei confronti del proprio Stato membro, es. nel caso delle c.d. migrazioni circolari. Ciò, peraltro, non in virtù della Direttiva 2004/38, ma direttamente in virtù dell’art. 21 par. 1 TFUE. Sentenza Uecker e Jacquet 05/06/1997 Evento: due signore extracomunitarie di cittadinanza russa coniugate con due cittadini tedeschi cercano di far valere l’estensione delle norme europee sulla libertà di circolazione, in particolare quelle sulla parità di trattamento. Si rivolgono alla CG perché si ritengono discriminate sul posto di lavoro in virtù della loro cittadinanza. In questo caso, le norme UE non sono applicabili perché si tratta di una situazione puramente interna, non venendo in rilievo un collegamento con alcuno stato membro (tutto si svolge in Germania e tutti gli elementi alla fattispecie si riferiscono al Diritto tedesco). Nel caso in cui un cittadino UE voglia far valere la normativa nei confronti del proprio stato membro dopo aver soggiornato in un altro SM, non si tratta più di una situazione puramente interna, avendo il cittadino esercitato la libertà di circolazione. La possibilità di far valere le norme sulla libera circolazione nei confronti del proprio stato membro non è prevista nella Direttiva 2004/38, che sembra escluderla. La giurisprudenza l’ha invece individuata nel TFUE. Art. 21 par. 1 TFUE Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Sentenza Coman 05/06/2018 Evento: Coman è un cittadino rumeno che aveva lavorato in Belgio come dipendente delle istituzioni dell’UE, e che aveva contratto matrimonio con un cittadino statunitense dello stesso sesso. Coman voleva rientrare in Romania con il proprio coniuge, facendo valere l’art. 21 par. 1 TFUE. Le autorità rumene avevano negato il diritto di soggiorno in Romania al coniuge, in considerazione del fatto che la legislazione rumena riconosce solo il matrimonio tra persone di sesso diverso. La CG ritenne che la nozione di coniuge rientrante nella Direttiva debba essere definita a livello UE e non a livello dei singoli SM e ne fornisce un’interpretazione estensiva, comprendendo anche l’ipotesi del coniuge dello stesso sesso. I PROFILI DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE Due profili fondamentali: diritto di soggiornare in uno stato membro diverso dal proprio e diritto alla parità di trattamento. Il diritto di soggiorno [art. 21 par.1 TFUE] Soggetto di disciplina dettagliata nella Direttiva 2004/38. Tre diverse situazioni a seconda della durata del soggiorno: 1. Diritto di soggiorno fino a 3 mesi – non soggetto ad alcuna condizione, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto valido. 2. Diritto di soggiorno per un periodo superiore a 3 mesi, fino a 5 anni: le condizioni previste sono diverse per le diverse categorie di beneficiari. È rilevante la distinzione tra soggetti economicamente attivi e soggetti non economicamente attivi. a. Economicamente attivi: unica condizione è svolgere un lavoro subordinato o autonomo nello stato ospitante b. Non economicamente attivi: stesse condizioni delle tre Direttive del 1990 – non rappresentare un onere per lo stato ospitante e disporre di un’assicurazione che copra tutti i rischi nello stato ospitante. Nel caso degli studenti è sufficiente dichiarare di soddisfare le condizioni; per gli altri è necessario dimostrarlo, se richiesto. Le formalità sono comunque ridotte al minimo, richiedendo generalmente l’iscrizione presso le autorità competenti. Art. 14 par. 4 Direttiva 2004/38 In deroga ai paragrafi 1 e 2 e senza pregiudizio delle disposizioni del capitolo VI, un provvedimento di allontanamento non può essere adottato nei confronti di cittadini dell'Unione o dei loro familiari qualora: a) i cittadini dell'Unione siano lavoratori subordinati o autonomi; oppure b) i cittadini dell'Unione siano entrati nel territorio dello Stato membro ospitante per cercare un posto di lavoro. In tal caso i cittadini dell'Unione e i membri della loro famiglia non possono essere allontanati fino a quando i cittadini dell'Unione possono dimostrare di essere alla ricerca di un posto di lavoro e di avere buone possibilità di trovarlo. 3. Diritto di soggiorno permanente (oltre i 5 anni): introdotto con la Direttiva 2004/38. Tale diritto spetta ai cittadini UE e ai loro familiari che abbiano soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante. Si perde soltanto a seguito di un’assenza dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi (art. 16 par. 3 Direttiva). Una volta che si è acquisito il diritto di soggiorno permanente, non rilevano più le condizioni previste per il periodo compreso tra 3 mesi e 5 anni. Diritto fondamentale della persona: diritto al rispetto della vita privata – bisogna ritenere che la persona sia ormai integrata. Art. 16 par. 3 Direttiva 2004/38 La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all'anno né da assenze di durata superiore per l'assolvimento degli obblighi militari né da un'assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo. La parità di trattamento Principali fonti: art. 18 TFUE; art. 24 par. 1 Direttiva 2004/38; Regolamento UE n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori subordinati all’interno dell’Unione: riguarda il divieto di discriminazioni per quanto concerne l’accesso al lavoro e le condizioni di lavoro (retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale, esercizio dei diritti sindacali), nonché la fruizione di vantaggi sociali e fiscali (art. 7 par. 2 Regolamento). Art. 18 TFUE Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni. Art. 24 par. 1 Direttiva 2004/38 Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel L’art. 45 TFUE riguarda la libera circolazione dei liberatori subordinati. Questa libertà di circolazione implica un accesso ai posti di lavoro in condizioni di parità con i cittadini nazionali e non si applica agli impieghi nella pubblica amministrazione. L’accesso a questi posti di lavoro non può essere limitato per il solo fatto che in un determinato stato membro le persone impiegate hanno lo status di pubblici dipendenti, altrimenti gli SM avrebbero la possibilità di determinare a proprio piacimento i posti che rientrano nella norma derogatoria. Stesso ragionamento della nozione di lavoratore: le definizioni sono da ricostruire a livello comunitario. Definizione: complesso di posti che implicano la partecipazione, diretta o indiretta, all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre collettività pubbliche e che presuppongono, perciò, da parte dei loro titolari, l'esistenza di un rapporto particolare di solidarietà nei confronti dello stato, nonché la reciprocità di diritti e di doveri che costituiscono il fondamento del vincolo di cittadinanza. La deroga riguarda soltanto i posti che, tenuto conto dei compiti e delle responsabilità ad essi inerenti, possono avere le caratteristiche delle attività specifiche dell'amministrazione nei campi sopra descritti. (Sentenza Lawrie-Blum 1986). Solo impieghi che implicano la partecipazione diretta o indiretta di pubblici poteri possono essere riservati ai cittadini nazionali. Es. non rientrano nella deroga i posti di infermiere negli ospedali pubblici; rientrano nella deroga posizioni dirigenziali in centri di ricerca statali in quanto implicano la partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri. Art. 51 TFUE relativo alla libertà di stabilimento esclude dalla deroga le attività che partecipino, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri – possono essere riservati ai cittadini dello stato. L’UNIONE ECONOMICA E MONETARIA L’euro nasce ufficialmente il 01/01/99 e inizia a circolare il 01/01/02. Il progetto di creare una moneta unica risale però agli anni 70, quando si discuteva già della creazione di meccanismi di coordinamento delle politiche monetarie dei vari SM, es. sistema monetario europeo, che però non prevedevano la creazione di una moneta unica. Questa arriva alla fine degli anni 80 su impulso di Francia, Germania e della Commissione europea. La decisione viene poi formalizzata col trattato di Maastricht del 1992. Le motivazioni per la creazione sono di natura economica e politica. Quelle di natura economica comprendono il completamento della creazione di un mercato interno – a partire dal trattato di Roma, viene creato il mercato comune, basato sulla libera circolazione di merci, persone, capitali e servizi – nel quale le differenze tra le monete poteva creare un ostacolo; l’ascesa dell’Europa nel mercato globale e la conseguente competizione col dollaro e lo yen; inoltre, le difficoltà dei paesi economici legate all’inflazione potevano essere mitigate, potendo puntare a una maggiore stabilità finanziaria. Le motivazioni di natura politica si riferiscono a un’accelerazione verso un’unione sempre più stretta. La moneta è sempre un pezzo fondamentale della sovranità statale: l’euro è prima di tutto un progetto politico. Trasferire la sovranità monetaria a livello europeo è stato un passo molto importante verso la creazione di una sovranità europea, puntando ad un’unificazione politica. Le crisi di questi anni hanno dimostrato che l’euro è ancora un progetto incompleto, e che potrebbero essere necessari ulteriori trasferimenti di sovranità. Il Consiglio europeo di Hannover nel 1988 ha formalizzato la decisione degli stati membri di creare una moneta unica. Jacques Delors è stato quindi incaricato di stendere un rapporto su come procedere. Le sue proposte saranno la base dei negoziati tra gli stati membri che hanno portato alla firma del trattato di Maastricht. Questo prevedeva la creazione dell’Unione Economica e Monetaria attraverso un processo di progressiva convergenza. - Convergenza economica: 1. Stabilità dei prezzi, tasso di inflazione contenuto 2. Convergenza dei tassi di interessi a lungo termine 3. Stabilità dei tassi di cambio 4. Sostenibilità delle finanze pubbliche; indebitamento non eccessivo - Convergenza giuridica: indipendenza delle banche centrali nazionali dal potere politico. Caratteristica della BCE: fortemente indipendente. 11 paesi su (allora) 15 superarono il processo di convergenza ed introdussero la moneta unica. Danimarca e UK ottennero un opting-out già ai tempi della redazione del trattato di Maastricht. L’asimmetria tra unione monetaria e unione economica UEM prevede due tipi di unione: 1. L’unione monetaria, basata sull’introduzione di una moneta unica e la cessione della sovranità monetaria all’UE: la politica monetaria diventa così una competenza esclusiva dell’UE (per quanto riguarda l’area euro). 2. L’unione economica, basata sul coordinamento di politiche economiche fiscali nazionali sovrane (politica di bilancio, cioè capacità di indebitarsi e raccogliere le tasse): la competenza economica diventa così una competenza sui generis, in base a cui l’UE non può sviluppare la sua politica autonoma, ma assicurarsi che gli SM sviluppino le loro politiche economiche secondo le regole europee. È compito di Commissione e Consiglio quello di coordinare le politiche economiche degli SM. L’UE ha un suo bilancio, ma questo è molto piccolo (circa 1% del PIL dell’UE) e serve a finanziare politiche legate al mercato interno, es. politica agricola comune. Quindi, l’UE ha una moneta comune ma 19 politiche economiche diverse ed indipendenti, anche se coordinate. Questa asimmetria è stata considerata spesso un fattore di debolezza, e la causa delle crisi che hanno colpito l’area euro negli ultimi anni. L’allargamento dell’area euro Inizialmente, l’area euro comprendeva 15 paesi; oggi ne conta 19. UK e Danimarca hanno negoziato un diritto di opting-out da subito; gli altri paesi non hanno ancora raggiunto, volontariamente o no, il livello di convergenza richiesto per l’accesso. La Danimarca fa comunque parte del sistema ERM II (European Exchange Rate Mechanism, o Accordi Europei di Cambio), che prevede un tasso di cambio stabile tra la corona danese e l’euro – fluttuazione entro il 2,25%. Lo stesso hanno fatto Croazia e Bulgaria. IL FUNZIONAMENTO DELL’UNIONE MONETARIA L’unione monetaria è nata a valle di un trasferimento di competenza da parte degli stati membri all’UE. I 19/27 stati appartenenti all’area euro hanno trasferito la sovranità monetaria. Il Sistema Europeo delle Banche Centrali è composto dalle Banche Centrali Nazionali di tuti i paesi UE, con a capo la BCE. Questo sarà avviato quando tutti i paesi europei avranno adottato l’euro. Dal momento che non tutti i paesi lo hanno fatto, la politica monetaria è gestita dall’Eurosistema, sottoinsieme composto da una rete di Banche Centrali dei paesi euro con a capo la BCE. La Banca Centrale Europea è un’istituzione tecnica dell’Unione, in quanto i suoi membri sono scelti in base alle loro competenze, ed ha una sua personalità giuridica, che consente autonomia dalle altre istituzioni. Nata nel 1999, base a Francoforte. Si compone dei seguenti organi: - Comitato Direttivo (6 membri: Presidente, Vicepresidente, 4 membri eletti dagli Stati euro) – si occupa della gestione corrente della politica monetaria. Deve mettere in atto le decisioni di fondo prese dal Consiglio direttivo. Organo permanente, sede a Francoforte. - Consiglio Direttivo (membri del Comitato direttivo + 19 governatori delle banche centrali nazionali dei paesi euro) – prende le decisioni di fondo di politica monetaria, stabilendo le misure convenzionali e non convenzionali che saranno poi messe in atto dal Consiglio direttivo. Organo più importante, non permanente. Si riunisce circa ogni 2 settimane. Decisioni prese a maggioranza non ponderata alla grandezza del paese. - Consiglio Generale (comprende anche i governatori delle banche centrali nazionali dei paesi non euro) – si occupa del processo di convergenza dei paesi non euro e di una serie di questioni tecniche rilevanti per tutti gli stati UE, es. rilevazioni statistiche. Art. 127 TFUE 1. L'obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato "SEBC", è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l'obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell'Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione definiti nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all'articolo 119. 2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti: - definire e attuare la politica monetaria dell'Unione, - svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell'articolo 219, — detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri, - promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. 3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera. 4. La Banca centrale europea viene consultata: - in merito a qualsiasi proposta di atto dell'Unione che rientri nelle sue competenze, - dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all'arti- colo 129, paragrafo 4. La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell'Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze. 5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario. 6. Il Consiglio, deliberando all'unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione. Funzioni fondamentali dell’Eurosistema - Definire e attuare la politica monetaria per l’area dell’euro - Svolgere le operazioni sui cambi - Detenere e gestire le riserve ufficiali dei paesi dell’area euro - Promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento Di fatto è la BCE che si occupa di queste funzioni, in quanto le banche centrali nazionali non sono autonome, ma agiscono come agenti della BCE. Es. il governatore della Banca d’Italia potrà far valere il suo punto di vista quando siete nel consiglio direttivo; ma se la BCE prende una decisione, va eseguita. La politica monetaria L’obiettivo primario della politica monetaria è la stabilità dei prezzi (art. 127 co. 1 TFUE), cioè mantenere un livello di inflazione contenuto, non ben specificato nel trattato. Si è stabilito che per stabilità dei prezzi si intende un livello di inflazione annua non superiore al 2% (Decisione Consiglio BCE 13/10/98). L’inflazione crea problemi per chi ha un reddito fisso, diminuendo il suo potere d’acquisto; genera problemi per i prestiti; danneggia l’esportazione. L’obiettivo sussidiario della politica monetaria è il sostegno alle politiche economiche nell’UE, solo se compatibile con la stabilità dei prezzi. Se i prezzi sono stabili, la BCE può creare politiche a sostegno alle politiche economiche degli SM. La BCE si occupa di politiche monetarie: non può acquistare il debito degli SM (divieto di finanziamenti monetari). Se lo facesse, gli stati sarebbero incentivati a produrre politiche economiche malsane. Art. 130 TFUE Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti. Per garantire l’obiettivo della stabilità dei prezzi, la BCE deve essere fortemente indipendente dal potere politico. Criterio di convergenza giuridica per i singoli stati per entrare nell’area euro. Dato che la stabilità dei prezzi è di interesse generale per uno sviluppo economico sostenibile, se la BCE non fosse indipendente, potrebbe subire pressioni da parte delle istituzioni UE o da parte dei governi per sostenere l’indebitamento degli stati. Vi sono diverse forme di indipendenza della BCE: - Indipendenza istituzionale – non può ricevere istruzioni o pressioni né dai governi né dalle altre istituzioni UE - Indipendenza personale – garanzie perché i membri degli organi direttivi non subiscano pressioni, es. è previsto un mandano unico per i membri del Comitato Direttivo. Il presidente BCE non può essere rieletto. I componenti del Comitato non possono essere rimossi prima della scadenza del mandato. - Indipendenza funzionale – non serve sostegno delle altre istituzioni; può adottare atti legislativi propri strettamente legati alla politica monetaria, es. qualità delle banconote, sistemi di pagamenti - Indipendenza finanziaria – il bilancio della BCE è distinto da quello UE. La governance – riforma della supervisione bancaria Non è stata avvertita subito l’esigenza di centralizzare a livello UE la supervisione sul sistema bancario, che rimaneva a livello nazionale. A partire dal 2009, è scoppiata in Europa una crisi che ha coinvolto sia la sostenibilità dei debiti Il braccio preventivo si sostanza anche in procedure di adozione assistita dei bilanci nazionali. Ogni anno, l’UE assiste i governi durante l’adozione della legge di bilancio. Procedura del Semestre Europeo, a cui segue quella del Semestre Nazionale di Implementazione ® sulla base delle raccomandazioni ricevute, gli SM adottano la loro legge di bilancio entro fine anno. L’Eurogruppo, su proposta della Commissione, può approvare o bocciare formalmente la proposta di bilancio prima che i parlamenti nazionali la approvino. Tuttavia, non è possibile mettere un veto vero e proprio sul bilancio nazionale. Art. 126 TFUE (Braccio correttivo) 1. Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. 2. La Commissione sorveglia l'evoluzione della situazione di bilancio e dell'entità del debito pubblico negli Stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare, esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti: a) se il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che: - il rapporto non sia diminuito in modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al valore di riferimento, - oppure, in alternativa, il superamento del valore di riferimento sia solo eccezionale e temporaneo e il rapporto resti vicino al valore di riferimento; b) se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato. I valori di riferimento sono specificati nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati. 3. Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione. La relazione della Commissione tiene conto anche dell'eventuale differenza tra il disavanzo pubblico e la spesa pubblica per gli investimenti e tiene conto di tutti gli altri fattori significativi, compresa la posizione economica e di bilancio a medio termine dello Stato membro. La Commissione può inoltre preparare una relazione se ritiene che in un determinato Stato membro, malgrado i criteri siano rispettati, sussista il rischio di un disavanzo eccessivo. 4. Il comitato economico e finanziario formula un parere in merito alla relazione della Commissione. 5. La Commissione‚ se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo‚ trasmette un parere allo Stato membro interessato e ne informa il Consiglio. 6. Il Consiglio, su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato membro interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo. 7. Se, ai sensi del paragrafo 6, decide che esiste un disavanzo eccessivo, il Consiglio adotta senza indebito ritardo, su raccomandazione della Commissione, le raccomandazioni allo Stato membro in questione al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo. Fatto salvo il disposto del paragrafo 8, dette raccomandazioni non sono rese pubbliche. 8. Il Consiglio, qualora determini che nel periodo prestabilito non sia stato dato seguito effettivo alle sue raccomandazioni, può rendere pubbliche dette raccomandazioni. 9. Qualora uno Stato membro persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest'ultimo può decidere di intimare allo Stato membro di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessaria per correggere la situazione. In tal caso il Consiglio può chiedere allo Stato membro in questione di presentare relazioni secondo un calendario preciso, al fine di esaminare gli sforzi compiuti da detto Stato membro per rimediare alla situazione. 10. I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 258 e 259 non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 del presente articolo. 11. Fintantoché uno Stato membro non ottempera ad una decisione presa in conformità del paragrafo 9, il Consiglio può decidere di applicare o, a seconda dei casi, di rafforzare una o più delle seguenti misure: - chiedere che lo Stato membro interessato pubblichi informazioni supplementari, che saranno specificate dal Consiglio, prima dell'emissione di obbligazioni o altri titoli, - invitare la Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso lo Stato membro in questione, - richiedere che lo Stato membro in questione costituisca un deposito infruttifero di importo adeguato presso l'Unione, fino a quando, a parere del Consiglio, il disavanzo eccessivo non sia stato corretto, - infliggere ammende di entità adeguata. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo delle decisioni adottate. 12. Il Consiglio abroga alcune o tutte le decisioni o raccomandazioni di cui ai paragrafi da 6 a 9 e 11 nella misura in cui ritiene che il disavanzo eccessivo nello Stato membro in questione sia stato corretto. Se precedentemente aveva reso pubbliche le sue raccomandazioni, il Consiglio dichiara pubblicamente, non appena sia stata abrogata la decisione di cui al paragrafo 8, che non esiste più un disavanzo eccessivo nello Stato membro in questione. 13. Nell'adottare le decisioni o raccomandazioni di cui ai paragrafi 8, 9, 11 e 12, il Consiglio delibera su raccomandazione della Commissione. Nell'adottare le misure di cui ai paragrafi da 6 a 9, 11 e 12, il Consiglio delibera senza tener conto del voto del membro del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione. Per maggioranza qualificata degli altri membri del Consiglio s'intende quella definita conformemente all'articolo 238, paragrafo 3, lettera a). 14. Ulteriori disposizioni concernenti l'attuazione della procedura descritta nel presente articolo sono precisate nel protocollo sulla procedura per i disavanzi eccessivi allegato ai trattati. Il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, adotta le opportune disposizioni che sostituiscono detto protocollo. Fatte salve le altre disposizioni del presente paragrafo, il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, precisa le modalità e le definizioni per l'applicazione delle disposizioni di detto protocollo. Si attua quando uno paese crea uno squilibrio economico grave. In questo caso, intervengono i famosi criteri di Maastricht, i.e. procedura per deficit eccessivo o squilibri macroeconomici eccessivi: - Limite del rapporto deficit/PIL al 3% annuo - Limite del rapporto debito pubblico/PIL al 60% - Squilibri macroeconomici Le eventuali sanzioni devono essere decise a maggioranza del Consiglio su proposta della Commissione, e sono sempre sanzioni pecuniarie che possono ammontare fino allo 0,2% del PIL nazionale. Ancora una volta, l’applicazione è semiautomatica dal 2011 nel caso in cui lo stato membro interessato non rispetti le raccomandazioni europee. Gli strumenti di emergenza In seguito alla crisi finanziaria globale, alcuni parsi hanno avuto gravissime ripercussioni, raggiungendo una situazione per cui non riuscivano più a finanziarsi nei mercati. Es. caso Grecia, che aveva accumulato un deficit eccessivo – i mercati hanno poi perso la fiducia nella capacità della Grecia di ripagare il debito e il paese ha rischiato la bancarotta. Problema simile in Irlanda: finanza pubblica sana, ma una crisi bancaria aveva portato il paese ad indebitarsi enormemente in poco tempo. Anche in questo caso, i mercati avevano perso fiducia. Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) Per garantire la stabilità della zona euro, è stato creato il Meccanismo Europeo di Stabilità. Meccanismo intergovernativo con sede a Lussemburgo, non disciplinato dal diritto UE, ma da un trattato internazionale firmato a febbraio 2012, entrato in vigore a settembre 2012. Creazione prevista dall’art. 136 par. 3 TFUE (Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità.), aggiunto con lo scopo di rendere compatibile il trattato sul MES con i trattati UE. L’obiettivo del MES è salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme; la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo è condizionata, perché soggetta ad una rigorosa condizionalità. I soldi vengono erogati a patto che il paese metta in atto riforme che lo rimettano in sesto, in modo da non avere più bisogno di aiuto europeo. Il meccanismo ha una dotazione permanente di € 700 miliardi: questi soldi sono garantiti dai bilanci nazionali, che forniscono dei capitali al MES; questo può anche capitalizzare sul mercato. Il meccanismo è quindi finanziato dagli SM. Come attivare il MES: 1. Richiesta ufficiale di intervento dello stato interessato al Consiglio dei Governatori 2. Il Consiglio dei Governatori del MES, composto dai ministri delle finanze dei paesi della zona euro, riceve la richiesta e incarica la Commissione di negoziare l’entità e le condizioni del prestito in collaborazione con la BCE e il FMI – la famosa proika = Commissione, BCE e FMI 3. La Commissione negozia col paese per l’entità e le condizioni del prestito; segue l’elaborazione di un memorandum of understanding firmato dallo stato e dalla Commissione (rappresentante degli stati creditori) su autorizzazione del Consiglio dei Governatori 4. Il Consiglio dei Governatori approva l’accordo di concessione di aiuti; il prestito viene erogato poco alla volta Meccanismo utile per impedire il default di alcuni paesi, che può innescare meccanismi di disgregazione dell’unione monetaria. È anche vero che le condizioni del prestito, i.e. il memorandum of understanding, spesso impongono (es. caso Grecia) condizioni di risanamento dell’economia molto dure: la politica di austerità. Questa ha causato in Grecia molta sofferenza sociale. Il MES è stato creato al di fuori dei trattati UE perché l’assistenza finanziaria è molto onerosa: il bilancio UE non ha le risorse per fornire aiuti finanziari così vasti ai paesi in crisi. L’art. 122 TFUE permette all’unione di fornire aiuti finanziari ai paesi in difficoltà (c.d. clausola di solidarietà), ma solo tramite il bilancio UE. Fiscal compact Trattato sulla stabilità, coordinamento e la governance: meccanismo intergovernativo separato dai trattati UE, di cui sono firmatari 25 stati membri (esclusi: UK, Ungheria e Croazia). Accordo aggiuntivo con lo scopo di convincere gli stati a tenere politiche fiscali rigorose, per garantire la stabilità della zona euro. Trattato a sfondo politico. Due condizioni fondamentali: 1. Introduzione del pareggio di bilancio nel diritto costituzionale interno o in norme di rango eguale [art. 3 par. 2 TSCG] – l’Italia l’ha attuato tramite modifica dell’art. 3 Cost. - Deficit strutturale non superiore allo 0,5% annuo (1% se il debito pubblico è inferiore al 60%). Non è ovviamente una regola assoluta: ci sono eccezion in circostanze particolari, cioè eventi inconsueti non soggetti al controllo dello stato o periodi di grave recessione economica; - Meccanismi di correzione automatica in caso di sforamento degli obiettivi 2. Limitazione della sovranità economica nazionale: gli SM del trattato non possono più sviluppare politiche economiche fondate sul debito. Questo accordo ha l’obiettivo di introdurre le regole negli ordinamenti interni, in modo che non siano solo Consiglio e Commissione a vigilare sul rispetto delle regole su deficit e debito. SVILUPPO DELLA GOVERNANCE ECONOMICA – sfide giuridiche e politiche Già in seguito alla crisi dello scoppio del debito sovrano nel 2009, è iniziato il dibattito su come riformare la governance economica. molti paesi sono stati costretti ad indebitarsi per salvare le proprie banche e i propri sistemi produttivi, e anche la BCE ha dovuto fornire liquidità alle banche che avevano smesso di fornire credito. I paesi che partivano già da un livello di indebitamento alto hanno così perso la fiducia dei mercati. La Grecia ad esempio ha perso l’accesso ai mercati finanziari, avvicinandosi al default. Gli aiuti sono arrivati attraverso il MES (2012). Sentenza Pringle 27/11/2012 La CG risponde a due interrogativi posti dalla Corte Suprema Irlandese con un rinvio pregiudiziale sulla compatibilità del MES con i trattati europei. Due questioni da chiarire: Qual è la natura giuridica del MES? a. Il MES è uno strumento di politica economica (competenza degli stati), che quindi non interferisce con la competenza monetaria esclusiva dell’UE: ciò si evince dal suo obiettivo, che non è la stabilità dei prezzi (politica monetaria, compito della BCE), bensì la stabilità della zona euro nel suo complesso. b. Il MES non estende le competenze dell’UE: la titolarità del MES non appartiene infatti all’Unione, ma agli SM che vi hanno aderito. Il MES rispetta le norme del trattato? a. Il MES è conforme al divieto di bail-out [ogni stato è responsabile del suo debito, art. 125 TFUE]: tale norma non prevede un divieto assoluto di aiuti, ma solo di quelli che incoraggerebbero una gestione non virtuosa della finanza pubblica, potendo far affidamento sul fatto che gli altri stati possano accollarsi il proprio debito. Il MES offre invece prestiti condizionati a un piano di riforme e di risanamento delle finanze pubbliche – i prestiti devono sempre essere restituiti. Il titolare del debito rimane lo stato che lo ha creato b. Il MES è conforme alle norme sul coordinamento economico [artt. 121 e 126 TFUE]: le condizioni richieste per concedere aiuti non violano quanto chiesto dalla procedura di supervisione multilaterale e per deficit eccessivo (i.e. memorandum of understanding). L’intervento della BCE Durante la crisi a partire dal 2009, la BCE è stata fondamentale in più casi, in quanto ha compensato le mancanze della governance economica per garantire la stabilità dell’euro e indirettamente degli stati. Le misure standard prevedono una progressiva riduzione dei tassi di interesse per facilitare l’accesso al credito da parte di famiglie e imprese. Enhanced Credit Support ® misure rivolte a fornire sostegno finanziario al sistema di interesse bancario, al fine di incoraggiare l’afflusso del credito a famiglie e imprese Le misure non standard sono le seguenti: I principi Opinione di dottrina (anche del prof): c’è discrasia tra le enunciazioni di principio, spesso altisonanti e che danno rilievo alla dimensione sociale, e le concrete possibilità di realizzazione di queste enunciazioni di principio. Gli obiettivi sociali dell’UE Fin dal Trattato di Roma, c’era un riferimento a finalità sociali (miglioramento delle condizioni di vita in generale, e in particolare delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera). Oggi gli obiettivi trovano ancora più spazio nei trattati, essendo enunciati in maniera estremamente altisonante. Art. 3 par. 3 TUE L'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L'Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri. Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo. ® riferimento esplicito al concetto di economia sociale di mercato, modello teorico di riferimento, che si caratterizza per uno stretto intreccio tra la dimensione economica e quella sociale. Inserisce le finalità sociali tra le finalità economiche. Art. 151 co. 1 TFUE L'Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione. ® articolo di apertura del Titolo X (politica sociale). L’articolo enuncia obiettivi: non solo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ma anche promozione dell’occupazione, protezione sociale adeguata, dialogo sociale, sviluppo delle risorse umane per consentire un livello occupazionale alto e costante e la lotta contro l’emarginazione. Domanda: nel processo d’integrazione europea, c’è davvero un equilibrio effettivo tra la dimensione economica e quella sociale? Quindi, c’è equilibrio tra le libertà economiche e i diritti sociali? Domanda alla quale la dottrina dà una risposta negativa: la dimensione economica è chiaramente prevalente rispetto a quella sociale, nonostante quest’ultima si sia innegabilmente rafforzata nel corso dei decenni. Sentenza Viking e sentenza Laval 2007 Casi separati, presentati entrambi nel 2007, ma che ponevano un problema analogo: il rapporto tra una libertà economica (stabilimento nel caso Viking e prestazione di servizi nel caso Laval) e un diritto sociale fondamentale (azione collettiva e sciopero in entrambi i casi). Fatti di Viking: società di traghetti che gestiva i collegamenti tra Helsinki e Tallinn (Estonia). Società finlandese che si trovava ad operare in perdita perché subiva la concorrenza delle società estoni. Queste applicavano ai dipendenti un contratto di lavoro che prevedeva salari più bassi rispetto al quelli finlandesi, e che quindi poteva permettersi di offrire prezzi più vantaggiosi. La Viking decide di modificare la bandiera del traghetto Rosella, sostituendo la bandiera estone a quella finlandese, realizzando un’operazione che comporta uno stabilimento della società in Estonia, al fine di poter rinegoziare il contratto di lavoro per abbassare il salario dei lavoratori. La federazione finlandese dei marittimi ed una federazione internazionale (sindacati) decidono di avviare azioni collettive e minacciano di scioperare. L’obiettivo era quello di impedire alla Viking di modificare la bandiera. La società si rivolge quindi a un giudice britannico (federazione internazionale aveva sede a Londra), avviando un procedimento giudiziario, che si traduce in un rinvio pregiudiziale alla CG al secondo grado di appello. La CG si trova quindi a dover bilanciare una libertà economica (stabilimento) con un diritto sociale fondamentale. La pretesa della Viking è infatti che il giudice imponga ai sindacati di rinunciare all’esercizio del diritto di sciopero, in quanto ostacolerebbero l’esercizio della libertà di stabilimento. Punto 79: la comunità non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, pertanto i diritti che derivano dalle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale. Nella sostanza, però, la CG finisce per far prevalere la libertà economica, in quanto considera quest’ultima come la regola e tratta il diritto sociale come un’eccezione alla regola che, per essere consentita, deve essere giustificata da ragioni imperative di interesse generale e deve superare un test di proporzionalità. Modalità di impostazione del discorso analoghe a quelle utilizzare per il mercato interno, in particolare per le deroghe alla libera circolazione delle merci o dei lavoratori. La CG tratta queste libertà come principio fondamentale di riferimento. Quindi, solo ove l’esercizio di diritti fondamentali sia giustificato e proporzionato in relazione al perseguimento di ragioni imperative di interesse generale, i diritti sociali potranno prevalere sulle libertà economiche fondamentali. La CG conferma che prevale ancora la dimensione economica. La clausola sociale orizzontale Art. 9 TFUE Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana. ® al di là dell’esistenza e dello sviluppo di una specifica politica sociale per l’occupazione nell’UE, le finalità di carattere sociale devono essere tenute presenti nella messa in atto di tutte le politiche e azioni dell’UE. Clausola orizzontale, in quanto intende influenzare l’esercizio di tutte le politiche UE. Domanda: norma programmatica (di valenza politica) o norma la cui violazione può determinare l’annullamento di atti UE? Nella seconda ipotesi, la disposizione avrebbe un impatto significativo, in quanto potrebbe portare all’annullamento di atti ad es. nella politica agricola o di altre politiche in cui non venga adeguatamente tenuto conto delle esigenze sociali. Non c’è giurisprudenza; l’opinione prevalente è che la CG si spingerebbe difficilmente ad annullare un atto sulla base dell’art. 9. Si riconosce un ampio margine di discrezionalità al legislatore UE nel bilanciare gli interessi in gioco: la CG potrebbe annullare un atto di diritto derivato dell’UE per violazione dell’art. 9 solo qualora la violazione di questa norma fosse macroscopica. È difficile che si verifichi un’ipotesi del genere. LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE (2000) A partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati [art. 6 TFUE], diventando fonte di diritto primario al pari di TUE e TFUE. Le disposizioni più importanti in materia sociale sono quelle contenute nel Titolo IV (Solidarietà, artt. 27-38), dove sono enunciati sia gli specifici diritti dei lavoratori, sia i diritti che prescindono dall’attività lavorativa. È rilevante nella prospettiva sociale anche il Titolo III (Uguaglianza, artt. 20-26). Titolo IV (Solidarietà) – articoli rilevanti: Art. 27 (Diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa) Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell’Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali. Art. 28 (Diritto di negoziazione e di azioni collettive) I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero. Art. 31 (Condizioni di lavoro giuste ed eque) Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite. In buona misura, questi diritti sono ripresi nella Carta dei diritti fondamentali UE dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989. La differenza è che quest’ultima non aveva valore vincolante. Ci sono altre norme che prescindono dall’attività lavorativa: Art. 34 (Sicurezza sociale e assistenza sociale) L’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l’Unione riconosce e rispetta il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa volte a garantire un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Art. 35 (Protezione della salute) Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Art. 37 (Tutela dell’ambiente) Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. Art. 38 (Protezione dei consumatori) Nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori. Titolo III (Uguaglianza) – affronta il tema della parità e della non discriminazione non solo sulla base del sesso, ma su un elenco esemplificativo di motivi Art. 21 (Non discriminazione) È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità. Art. 24 (Diritti del minore) I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse. Art. 25 (Diritti degli anziani) L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale. Art. 26 (Inserimento delle persone con disabilità) L’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità. Domanda: diritti o principi? Come si ricava dall’art. 6 TUE e dalla stessa Carta, le diposizioni devono essere distinte in due gruppi. Le disposizioni che sanciscono diritti sono dotate di efficacia diretta (possono essere fatte valere direttamente in sede giudiziaria); quelle che contengono principi hanno un valore essenzialmente programmatico, non lavoro; informazione e consultazione dei lavoratori; integrazione delle persone escluse dal mercato del lavoro; parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro e il trattamento sul lavoro. Ambiti nei quali l’attività legislativa UE è stata ricca nel corso del tempo, cominciando sulla base di disposizioni più generali già nei primi anni ’80. • Procedura legislativa speciale (Consiglio delibera all’unanimità e Parlamento europeo viene solo consultato) ® sicurezza sociale e protezione dei lavoratori; protezione dei lavoratori in caso di risoluzione del contratto di lavoro; rappresentanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro; condizioni di impiego dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio UE. Materie più delicate rispetto al primo elenco; maggiore resistenza degli SM a cedere competenza all’UE. Il riferimento a prescrizioni minime non va inteso come un basso livello di protezione (c.d. minimo comune denominatore tra le legislazioni SM), ma come un riferimento alla tecnica della c.d. armonizzazione minima, in virtù della quale ciascuno SM rimane libero di concedere una protezione maggiora di quella risultate dalle direttive UE. La tecnica è stata introdotta a seguito delle preoccupazioni degli SM abituati a livelli molto elevati di protezione sociale, che temevano che l’armonizzazione UE potesse comportare un abbassamento di questo livello di protezione. Il metodo aperto di coordinamento (strumento politico) In alcuni ambiti della politica sociale (i.e. lotta contro l’esclusione sociale e modernizzazione dei regimi di protezione sociale) e nel campo della politica dell’occupazione, l’UE non può armonizzare le legislazioni degli SM, ma unicamente promuovere il coordinamento delle loro politiche. Il metodo aperto di coordinamento si fonda su diverse fasi: - definizione di orientamenti, obiettivi e indicatori a livello UE - trasposizione degli orientamenti all’interno delle politiche nazionali e regionali - periodico svolgimento a livello UE di attività di monitoraggio, verifica e valutazione tra pari da parte della Commissione, così da favorire la diffusione delle migliori pratiche e favorire la convergenza verso obiettivi comuni. La previsione di questo metodo di coordinamento è stata influenzata dalle disposizioni prodotte fin dal trattato di Maastricht in campo di unione economica. In questo ambito, i trattati prevedono un coordinamento a livello UE delle politiche economiche degli SM – braccio preventivo e braccio correttivo. La politica sociale e dell’occupazione è stata influenzata da questo ambito. Differenza: non sono comunque previste sanzioni per gli SM che non si conformino agli orientamenti fissati a livello UE. La convergenza verso obiettivi comuni dipende quindi dalla buona volontà degli stati, non assistita da sanzioni (≠ sanzioni semiautomatiche in ambito di politica economica). Gli strumenti finanziari - Fondo sociale europeo (FSE) ® strumento più importante previsto già dal Trattato di Roma, che costituisce uno dei c.d. fondi strutturali, destinati a conseguire l’obiettivo della coesione sociale, economica e territoriale dell’UE (richiamato in un titolo della Parte III del TFUE. il fondo è stato integrato in una logica più ampia, essendo inserito nei fondi strutturali, volti a ridurre il divario tra le diverse aree dell’UE. - Altri strumenti stabiliti al momento della definizione della programmazione finanziaria pluriennale. Le regole di bilancio UE prevedono la messa a punto di un Quadro Finanziario Pluriennale di 7 anni, in cui vengono previsti anche i fondi stanziati, volto a perseguire le diverse finalità previste nei trattati. QFP 2014-2020 ® Fondo europeo di aiuti agli indigenti, Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, Programma per l’occupazione e l’innovazione sociale. Due osservazioni: 1. Gli stanziamenti di cui possono disporre questi strumenti finanziari sono limitati, escluso il caso dei fondi strutturali, in quanto le dimensioni del bilancio europeo sono limitate (circa 1% del PIL complessivo degli SM). 2. La specifica disciplina di ciascuno strumento finanziario è oggetto di atti di diritto derivato – importante da diverse prospettive: anche in relazione a questi strumenti vale il principio di attribuzione, quindi occorre adottare un atto giuridico dell’UE che preveda lo strumento finanziario e ne giustifichi il funzionamento; è necessaria una base giuridica. Una delle questioni che si presentano rispetto ad es. allo strumento SURE, proposto dalla Commissione per il sostegno alle casse integrazione degli SM, è quella di individuare una base giuridica che consenta l’istituzione dello strumento finanziario, e quindi l’azione UE nel campo. Per lo SURE, la base giuridica individuata non è prevista nel titolo relativo alla politica sociale o in quello relativo all’occupazione, né alla coesione sociale, economica e territoriale; è una base giuridica ricompresa all’interno del titolo dedicato all’unione economica e monetaria. In più, ciascuno strumento finanziario ha le sue regole di funzionamento: la maggior parte degli strumenti finanziari UE non è a gestione diretta, bensì a gestione concorrente tra unione e SM. Sono gli SM che gestiscono direttamente i fondi. LA LOTTA ALLE DISCRIMINAZIONI Il divieto di discriminazioni in base al sesso: la parità di retribuzione La parità tra donne e uomini è menzionata sia nell’art. 2 TUE (valori), sia nell’art. 3 TUE (obiettivi). È anche oggetto di una disposizione di carattere orizzontale, parallela all’art. 9 TFUE (clausola sociale orizzontale). L’art. 8 TFUE dispone che nelle sue azioni l'Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne. Art. 157 TFUE (Titolo politica sociale) 1. Ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 2. Per retribuzione si intende, a norma del presente articolo, il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo. La parità di retribuzione, senza discriminazione fondata sul sesso, implica: a) che la retribuzione corrisposta per uno stesso lavoro pagato a cottimo sia fissata in base a una stessa unità di misura; b) che la retribuzione corrisposta per un lavoro pagato a tempo sia uguale per uno stesso posto di lavoro. 3. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano misure che assicurino l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. 4. Allo scopo di assicurare l'effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali. Par. 1 e 2 si riferiscono specificamente alla parità di retribuzione dei sessi. Unico profilo di parità menzionato già nel Trattato di Roma, più per ragioni economiche (concorrenza) che per finalità sociali. Il principio è stato poi valorizzato dalla CG ed esteso a tutti gli altri profili di impiego e occupazione. Sulla definizione di “retribuzione” si è poi innestata un’ampia giurisprudenza della CG. Questa ha riconosciuto efficacia diretta all’art. 157 TFUE sin dai primi anni ’70, sia in senso orizzontale che verticale. Le lavoratrici di sesso femminile che ritengono violato il diritto alla parità di retribuzione da parte del datore lavoro possono quindi far valere il proprio diritto in sede giudiziaria. - Efficacia diretta verticale: il datore di lavoro è un ente pubblico - Efficacia diretta orizzontale: il datore di lavoro è privato La CG ha inoltre chiarito che sono vietate sia le discriminazioni dirette che quelle indirette. - Discriminazioni dirette si fondano direttamente sul sesso, es. paga oraria più bassa per le donne - Discriminazioni indirette o dissimulate derivano dall’applicazione di un criterio che, pur essendo formulato in termini apparentemente neutri, svantaggia di fatto una percentuale assai più elevata di donne che di uomini. Es. caso in cui il lavoro a tempo parziale sia retribuito con una paga oraria inferiore rispetto a quella disposta per il lavoro a tempo pieno, in una situazione nella quale risulti che i lavoratori a tempo ridotto sono in gran parte donne. Par. 3 non è una disposizione direttamente precettiva: semplicemente una base giuridica, sulla quale il legislatore UE può far leva per legiferare in materia di parità dei sessi in materia di occupazione e impiego. Lo può fare sia disciplinando in tema di parità di retribuzioni, ma rispetto a tutti i profili inerenti all’accesso all’impiego e alle condizioni di lavoro. Questa norma non era presente nel Trattato di Roma. Sulla base giuridica introdotta col Trattato di Amsterdam, è stata adottata la Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. La Direttiva regola principalmente l’accesso al lavoro, la formazione e promozione professionali, le condizioni di lavoro (compresa retribuzione), e i regimi professionali di sicurezza sociale. Aspetti innovativi: si specifica che sia le molestie connesse al sesso della persona, sia le vere e proprie molestie sessuali, equivalgono a discriminazioni fondate sul sesso. Gli SM sono tenuti a introdurre nei propri ordinamenti le misure necessarie per garantire un indennizzo o una riparazione reali ed effettivi a chi sia vittima di discriminazioni, che risultino dissuasivi e proporzionati al danno subito. La parità di trattamento conosce eccezioni, da interpretare restrittivamente e nel rispetto del principio di proporzionalità. Ai sensi della direttiva, gli SM possono stabilire che non rappresenti una discriminazione nell’accesso al lavoro una differenza di trattamento basata su una caratteristica specifica di un sesso, qualora tale caratteristica, per la particolare natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui questa viene espletata, costituisca un requisito essenziale e determinante del suo svolgimento. La deroga può ad es. giustificare l’esclusione degli uomini dalla professione di levatrice e dalla relativa formazione professionale; l’esclusione delle donne dai compiti generali di polizia in una situazione di gravi disordini; l’esclusione delle donne dal servizio in talune unità combattenti. Il principio della parità di trattamento non pregiudica l’adozione di misure relative alla protezione della donna, nello specifico per quanto riguarda la gravidanza e la maternità. Par. 4 prevede che il divieto di discriminazioni non osta alla previsione di azioni positive. Queste sono ammesse perché, pur essendo formalmente discriminatorie, sono volte a realizzare un’uguaglianza sostanziale. Sono infatti indirizzate a superare situazioni di sotto-rappresentazione o svantaggio nelle carriere professionali di cui un sesso è tradizionalmente stato vittima. In senso analogo dispone anche l’art. 23 co. 2 della Carta dei diritti fondamentali. Gli altri profili di lotta contro le discriminazioni Art. 19 TFUE 1. Fatte salve le altre disposizioni dei trattati e nell'ambito delle competenze da essi conferite all'Unione, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. 2. In deroga al paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono adottare i principi di base delle misure di incentivazione dell'Unione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1. Base giuridica, quindi una disposizione non dotata di efficacia diretta. La norma fa riferimento ancora una volta alle discriminazioni basate sul sesso: non si fa qui riferimento alle discriminazioni in relazione all’ambito di occupazione e impiego. Direttiva 2004/113/CE attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne riguardo l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, es. discriminazioni relative alla stipula di contratti di assicurazione. Sulla base dell’art. 19 TFUE, il Consiglio ha adottato alcune direttive. La Direttiva 2000/43/CE volta ad attuare il principio di parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica La Direttiva 2000/78/CE ha l’obiettivo di combattere le discriminazioni in materia di occupazione e di impiego fondate sulla religione o le convinzioni personali, le disabilità, l’età o le tendenze sessuali. Approccio simile a alla Direttiva 2006/54/CE sulle discriminazioni tra sessi in ambito lavorativo: sono vietate sia le discriminazioni dirette che quelle indirette; anche questa direttiva evoca il concetto di azioni positive volte a favorire l’accesso all’impiego da parte dei disabili. Molteplici applicazioni giurisprudenziali in sede nazionale, con parecchi rinvii pregiudiziali alla CG. Il maggior numero di casi riguarda le discriminazioni basate sull’età, ma anche di disabilità e orientamento sessuale; più recentemente anche rispetto il profilo della religione. LA POLITICA AMBIENTALE – POLITICHE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE DELL’EUROPA Il diritto internazionale dell’ambiente Disciplina giovane, nata ufficialmente nel 1972. Tappe fondamentali: - Lodo arbitrale nel caso Fonderia di Trail, 11/03/1941 – controversia tra USA e Canada, generata dalle attività della fonderia in territorio canadese, i cui fumi avevano provocato danni in territorio statunitense. - Conferenza ONU sull’Ambiente Umano a Stoccolma, 1972 - Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo a Rio de Janeiro, 1992 Caso Fonderia di Trail 11/03/1941 Estratto dal lodo arbitrale: In conformità ai principi di diritto internazionale […] nessuno stato ha il diritto di usare o permettere l’uso del proprio territorio in modo da causare danni derivanti dall’emissione di fumi sul territorio di un altro Stato o su beni e persone che ivi si trovano, quando ciò determina significative conseguenze e quando il danno è dimostrato da prove chiare e convincenti. c) preservare la pace, prevenire i conflitti e rafforzare la sicurezza internazionale, conformemente agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell'Atto finale di Helsinki e agli obiettivi della Carta di Parigi, compresi quelli relativi alle frontiere esterne; d) favorire lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l'obiettivo primo di eliminare la povertà; e) incoraggiare l'integrazione di tutti i paesi nell'economia mondiale, anche attraverso la progressiva abolizione delle restrizioni agli scambi internazionali; f) contribuire all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile; g) aiutare le popolazioni, i paesi e le regioni colpiti da calamità naturali o provocate dall'uomo; h) promuovere un sistema internazionale basato su una cooperazione multilaterale rafforzata e il buon governo mondiale. ® disposizione che enuncia obiettivi dell’azione esterna UE. L’Unione ha infatti cercato di porsi come leader internazionale nella lotta al cambiamento climatico. IL c.d. PRINCIPIO DI INTEGRAZIONE Il principio è il corrispondente in materia ambientale della c.d. clausola sociale orizzontale in materia sociale. Si sostanzia nel fatto che bisogni tenere conto delle esigenze connesse all’ambiente non solo nell’elaborazione di una politica ambientale, ma in tutte le politiche UE. Art. 11 TFUE Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile. ® “esigenze connesse” Art. 37 Carta (Tutela dell’ambiente) Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile. ® “livello elevato di tutela” e “miglioramento della qualità” dell’ambiente. Approccio non solo conservativo (tutela), ma proattivo (miglioramento). Non enuncia comunque un diritto individuale ad un ambiente sano: norma programmatica, che indirizza verso un’adeguata considerazione delle esigenze ambientali nelle politiche UE. Non dotata di efficacia diretta. Gli obiettivi della politica ambientale UE La politica ambientale è competenza concorrente tra UE e stati membri: il criterio di ripartizione delle competenze è il principio di sussidiarietà. Il Titolo XX del TFUE è interamente dedicato all’ambiente [artt. 191-193 TFUE]. Il principio di sussidiarietà porta ad individuare il livello europeo come il livello adeguato d’azione, in quanto la gran parte dei problemi ambientali è transnazionale. Art 191 par. 1 TFUE 1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: - salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, - protezione della salute umana, - utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, - promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici. 2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio "chi inquina paga". In tale contesto, le misure di armonizzazione rispondenti ad esigenze di protezione dell'ambiente comportano, nei casi opportuni, una clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell'Unione. 3. Nel predisporre la sua politica in materia ambientale l'Unione tiene conto: - dei dati scientifici e tecnici disponibili, - delle condizioni dell'ambiente nelle varie regioni dell'Unione, - dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall'azione o dall'assenza di azione, - dello sviluppo socioeconomico dell'Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni. 4. Nell'ambito delle rispettive competenze, l'Unione e gli Stati membri collaborano con i paesi terzi e con le competenti organizzazioni internazionali. Le modalità della cooperazione dell'Unione possono formare oggetto di accordi tra questa ed i terzi interessati. Il comma precedente non pregiudica la competenza degli Stati membri a negoziare nelle sedi internazionali e a concludere accordi internazionali. ® paragrafo 1: nozione ampia di ambiente – salvaguardia tutela e miglioramento dell’ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, promozione di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e a combattere i cambiamenti climatici. Molteplici campi d’azione: tutela delle acque, inquinamento atmosferico, inquinamento acustico, rifiuti, protezione del suolo e della biodiversità, cambiamenti climatici. ® paragrafo 2: principi – precauzione, azione preventiva, chi inquina paga, correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, aka i danni devono essere riparati più vicino possibile alla fonte della causa. Alcuni principi sono contenuti nell’elenco enunciato dalla dichiarazione di Rio 1992. Derivazione di matrice internazionalistica. ® paragrafo 3: criteri – dati scientifici e tecnici come fondamento delle norme, condizioni dell’ambiente nelle regioni UE, vantaggi e oneri derivanti dall’azione, sviluppo socioeconomico delle regioni. Art. 192 TFUE 1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'articolo 191. 2. In deroga alla procedura decisionale di cui al paragrafo 1 e fatto salvo l'articolo 114, il Consiglio, deliberando all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adotta: a) disposizioni aventi principalmente natura fiscale; b) misure aventi incidenza: - sull'assetto territoriale, - sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilità delle stesse, - sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; c) misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell'approvvigionamento energetico del medesimo. Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, può rendere applicabile la procedura legislativa ordinaria alle materie di cui al primo comma. 3. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, adottano programmi generali d'azione che fissano gli obiettivi prioritari da raggiungere. Le misure necessarie all'attuazione di tali programmi sono adottate conformemente alle condizioni previste al paragrafo 1 o al paragrafo 2, a seconda dei casi. 4. Fatte salve talune misure adottate dall'Unione, gli Stati membri provvedono al finanziamento e all'esecuzione della politica in materia ambientale. 5. Fatto salvo il principio "chi inquina paga", qualora una misura basata sul paragrafo 1 implichi costi ritenuti sproporzionati per le pubbliche autorità di uno Stato membro, tale misura prevede disposizioni appropriate in forma di - deroghe temporanee e/o - sostegno finanziario del Fondo di coesione istituito in conformità dell'articolo 177. ® paragrafo 1: Parlamento Europeo e Consiglio, deliberando secondo procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato Economico e Sociale e del Comitato delle Regioni, adottano programmi generali d’azione che fissino gli obiettivi prioritari da raggiungere. Es. rilancio pluriennale UE lega tra loro obiettivi politici e strumenti finanziari utilizzabili a questo fine. Il programma d’azione attuale è stato adottato nel 2013, riguarda il periodo 2014- 2020, che coincide col piano finanziario pluriennale. ® paragrafo 2: le misure necessarie all’attuazione dei programmi (solitamente Direttive) sono adottate secondo la procedura ordinaria; si impone il ricorso a una procedura legislativa speciale, nell’ambito della quale il Consiglio delibera all’unanimità e il Parlamento ha ruolo meramente consultivo, per i profili più “sensibili”, per i quali gli SM non hanno voluto rinunciare al potere di veto. Es. misure incidenti su materia fiscale, assetto territoriale o gestione delle risorse idriche, incidenza sulle fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico dello stato. Art. 193 TFUE I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell'articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con i trattati. Essi sono notificati alla Commissione. ® si tratta comunque di un’armonizzazione minima: i provvedimenti UE in ambito ambientale non impediscono agli SM di provvedere per una protezione ancora maggiore. Gli attori della politica ambientale UE sul piano politico sono quelli già elencati: Parlamento europeo, Consiglio, CES, CDR. Non bisogna dimenticare la CG, che ha contribuito molte volte in maniera significativa agli sviluppi della politica ambientale, es. rilevamento di inadempimenti a seguito di procedure di infrazione avviata dalla Commissione – a seguito di alcune è arrivata anche a sanzionare pecuniariamente gli SM tramite sentenze di doppia condanna. LA LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI E IL GREEN DEAL EUROPEO L’Unione ha cominciato a interessarsi al tema già negli anni ’90 con la ratifica del Protocollo di Kyoto (1998). A partire dagli anni 2000, sono state messe in campo diverse iniziative volte al contenimento delle riduzioni di gas serra. Con Lisbona 2007, la lotta ai cambiamenti climatici entra tra gli obiettivi di politica ambientale UE [art. 191 par. 1 TFUE]. l’articolo prevede che Parlamento europeo e Consiglio possano adottare atti legislativi funzionali all’armonizzazione delle politiche ambientali degli stati. L’UE ha partecipato al negoziato relativo all’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2016. Negli ultimi anni, gli eventi climatici estremi sono aumentati – attenzione crescente dell’opinione pubblica. Gli sforzi degli SM non sembrano più sufficienti per avere un impatto sulla stabilizzazione del clima. Il Parlamento europeo ha dichiarato lo stato di emergenza climatica il 26/11/2019, invitando la Commissione ad adottare misure atte a far fronte all’emergenza. A dicembre, la Commissione Ursula von der Leyen ha adottato il Green Deal. Il progetto di Green Deal Comunicazione della Commissione europea 11/12/2019 – la sfida dell’attuale generazione di europei. Il progetto prevede diverse misure volte ad azzerare le emissioni nette di gas serra sull’UE entro il 2050, tutelando l’equità sociale, il benessere dei cittadini e la competitività dell’economia. Azzeramento delle emissioni nette vuol dire che, qualora non sarà possibile azzerare le emissioni, sarà necessario adottare nuove tecnologie volte ad assorbire il carbonio per compensare. L’obiettivo principale è quello della neutralità climatica, obiettivo molto ambizioso trasversale a gran parte degli obiettivi specifici dell’UE ai sensi dell’art. 3 TUE. L’attuazione del Green Deal coinvolge diverse aree dell’ordinamento giuridico UE: disciplina del mercato interno, governance economica, politica commerciale comune, politica agricola, azione esterna, politica di coesione. Sarà necessaria la collaborazione sia degli SM che della società civile: vige quindi il principio di sussidiarietà sia verticale che orizzontale. Stato embrionale – serie di comunicazioni e proposte legislative: • Il Green Deal Europeo – comunicazione della Commissione, 11/12/2019 • Piano di investimenti per un’Europa sostenibile. Piano di investimenti del Green Deal europeo – comunicazione della Commissione, 14/01/2020 • Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo per una transizione giusta, 14/01/2020 • Legge europea sul clima – proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento UE 2018/1999, 04/03/2020 Le iniziative della Commissione devono poi essere tradotte in atti legislativi da Parlamento e Consiglio. Legge europea sul clima Attualmente in fase di analisi da parte di Parlamento europeo e Consiglio. Proposta di regolamento da approvarsi con procedura legislativa ordinaria ai sensi dell’art. 192 par. 3 TFUE. In questo modo, l’obiettivo della transizione ecologica entro il 2050 diventa vincolante nell’ordinamento UE: è necessario quindi un aggiornamento di tutta la normativa in vigore, per essere compatibili con l’obiettivo della neutralità climatica. Sia normativa europea che nazionale. - Traiettoria di decarbonizzazione per ciascun paese nel quadro di una traiettoria europea - Piano di adattamento ai cambiamenti climatici messe in atto negli anni precedenti, es. programma OMT aka Outright Monetary Transactions, di cui è stata messa in discussione la compatibilità con i trattati [art. 123 TFUE]. La CG ha avuto l’occasione di smentire in più casi. Flessibilità concessa agli SM rispetto alle regole del patto di stabilità e di crescita e in materia di aiuti di Stato. In materia di aiuti di stato, bisogna tenere presente l’art. 107 TFUE che, in prospettiva del rispetto delle regole concorrenziali, vieta gli aiuti di stato alle imprese. La stessa norma prevede che siano compatibili con il funzionamento del mercato interno gli aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali o da danni eccezionali. Per attivare la flessibilità, la Commissione ha adottato il 19/03 una comunicazione che introduce un regime temporaneo di aiuti di stato che rimarrà in vigore fino alla fine di dicembre 2020, che legittima gli aiuti di stato alle imprese a fine di fronteggiare la crisi economica. Il Patto di Stabilità e di Crescita pone vincoli alle finanze pubbliche degli stati in tema di rapporto deficit/PIL e debito/PIL – anche in questo contesto, esiste una clausola di flessibilità prevista dalle regole alla quale si può ricorrere in presenza di una severa recessione economica della zona euro o dell’UE nel suo complesso. ECOFIN ha approvato la richiesta della Commissione intorno al 20/03. Questo implica concedere agli SM la possibilità di fare più spesa pubblica rispetto a quanto potrebbero normalmente. A causa delle differenze tra SM, si è cominciato a discutere di quali risorse l’UE possa mettere in campo, in forma di grants o loans. Impiego di alcuni strumenti nel quadro del bilancio UE – si è già provveduto ad orientare le risorse residue dei fondi strutturali alle necessità generate dalla crisi, es. Fondo di solidarietà, istituito nel 2002 come strumento UE per contribuire alle spese SM in caso di catastrofi naturali. La disciplina del Fondo è stata modificata il 30/03 a tal fine con il regolamento UE 2020/461, prevedendone un possibile utilizzo anche in caso di grave emergenza di sanità pubblica sul territorio dello stato ammissibile. Lo stato può quindi richiedere contributi a fondo perduto a fine di sostenere misure volte a fornire assistenza sanitaria alla popolazione. L’Italia ha chiesto di accedere a queste risorse. L’azione della Banca Europea per gli Investimenti Strengthening EIB activities ® oltre a misure già attuate, introduzione di un fondo di garanzia del valore di € 25 miliardi, per sostenere prestiti alle imprese fino a € 200 miliardi con particolare attenzione alle piccole e media imprese. Punto 15 Report Eurogruppo: we welcome the initiative of the EIB Group to create a pan-European guarantee fund of € 25 billion, which could support € 200 billion of financing for companies with a focus on SMEs, throughout the EU, including through national promotional banks. We invite the IEB to operationalize its proposals as soon as possible and stand ready to put in place without delay, while ensuring complementarity with other EU initiatives and the future Invest EU programme. This initiative is an important contribution to preserving the level playing field of the single market in light of the national support schemes. L'intervento del MES Safety nets in the EU and EA ® prestiti “senza condizionalità” del MES, fino a un massimo del 2% del PIL di ogni stato membro, per un valore complessivo di € 240 miliardi. Punto 16 Report Eurogruppo: safety nets are in place in the euro area and the EU. In the euro area, the ESM is equipped with instruments that could be used, as need, in a manner adopted to the nature of the symmetric shock caused by COVID-19. We propose to establish a Pandemic Crisis Support, based on the existing ECCL precautionary credit line and adjusted in light of this specific challenge, as a relevant safeguard for euro area Member States affected by this external shock. It would be available to all euro area Member States during these times of crisis, with standardized terms agreed in advance by the ESM Governing Bodies, reflecting the current challenges, on the basis of up-front assessments by the European institutions. The only requirement to access the credit like will be that euro area Member States requesting support would commit to use this credit line to support domestic financing of direct and indirect healthcare, cure and prevention related costs due to the COVID-19 crisis. The previsions of the ESM Treaty will be followed. Access granted will be 2% of the respective Member’s GDP as of end-2019, as a benchmark. With a mandate from the Leaders, we will strive to make this instrument available within two weeks, while respecting national procedures and constitutional requirements. The credit line will be available until the COVID-19 crisis is over. Afterwards, euro area Member States would remain committed to strengthen economic and financial fundamentals, consisted with the EU economic and fiscal coordination al surveillance frameworks, including any flexibility applied by the competent EU institution. The Balance of Payments Facility can provide financial support to Member States that have not adopted the euro. It should be applied in a way which duly takes into account the special circumstances of the current crisis. Terreno minato. Il MES nasce come strumento basato su una rigorosa condizionalità. Art. 136 par. 3 TFUE consente agli SM di costituire il MES, istituito poi con un trattato internazionale esterno all’ordinamento giuridico UE. Ai sensi del TFUE, la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria sarà soggetta ad una rigorosa condizionalità. La stessa CG, nella sentenza Pringle, ha ritenuto che la condizionalità sia indispensabile condizione di compatibilità del MES con il quadro giuridico UE. In particolare, l’art. 125 TFUE dispone il no bail-out, che vieta all’Unione e agli SM di realizzare salvataggi di altri SM. Si fa leva in particolare su una previsione del trattato del MES che fa riferimento alle operazioni di questo e alle condizionalità rigorose. Questo precisa che le condizioni possono passare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. L’idea di fondo è quella per cui la condizione prevista per l’utilizzo del MES nel quadro della crisi è che gli SM che richiedono il prestito dovranno impegnarsi a utilizzare questa linea di credito: “MS requesting support would commit to use this credit line to support domestic financing of direct and indirect healthcare, cure and prevention related costs due to the COVID-19 crisis”. La condizione posta è quindi di usare il prestito soltanto a copertura di costi diretti o indiretti di carattere sanitario. Si è discusso in dottrina se una condizione di questo tipo soddisferebbe il concetto di “condizionalità rigorosa”, e cosa succederebbe se il paese non riuscisse a restituire il prestito. La problematica nasce fondamentalmente dall’intenzione di utilizzare il MES, che è stato concepito per altro. Il MES è stato concepito per far fronte a shock asimmetrici, che colpiscono specificamente alcuni stati, in qualche modo colpevoli della crisi a causa di una cattiva gestione delle finanze pubbliche. La situazione attuale è palesemente simmetrica e priva di colpe. Bisogna aspettare. Al momento, l’unico testo è quello dell’Eurogruppo, che riflette un impegno politico che necessita di essere reso effettivo. Al Punto 16 si collega un tema importante: l’utilizzo delle risorse del MES è concepito come condizione necessaria ma non sufficiente perché la BCE attivi uno degli strumenti di politica monetaria non convenzionali (es. OMT). SURE - European instrument for temporary Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency Sostegno finanziario sotto forma di prestiti ai sistemi nazionali di contrasto alla disoccupazione, quindi alle casse integrazione nazionali (valore complessivo: € 100 miliardi). Punto 17 Report Eurogruppo: In the spirit of solidarity and in light of the exceptional nature of the COVID-19 crisis, we agree on the need to establish, for the duration of the emergency, a temporary loan-based instrument for financial assistance under Article 122 of the Treaty on the Functioning of the European Union. We will strive to make the instrument operational as soon as possible. In this context, we welcome the Commission proposal of 2nd April to set-up a temporary instrument supporting Member States to protect employment in the specific emergency circumstances of the COVID-19 crisis. It would provide financial assistance during the time of the crisis, in the form of loans granted on favorable terms from the EU to Member States, of up to € 100 million in total, building on the EU budget as much as possible, while ensuring sufficient capacity for Balance of Payments support, and on guarantees provided by Member States to the EU budget. The instrument could primarily support the efforts to protect workers and jobs, while respecting the national competences in the field of social security systems, and some health-related measures. This proposal should be taken forward without delay in the legislative process. The Member States’ position on this emergency instrument does not pre-judge the position on future proposals related to unemployment insurance. Consistent with its legal basis, access to the instrument will be discontinued once the COVID-19 emergency has passed. Già negli anni scorsi era stata avanzata da alcuni paesi (compresa Italia) la proposta di dar vita ad uno schema di assicurazione contro la disoccupazione a livello UE. Non esiste però una base giuridica adeguata per dar vita a uno strumento di questo tipo. Il SURE è infatti uno strumento temporaneo; la costituzione di questo non pregiudica la posizione degli SM su future proposte relative a sostegni alla disoccupazione; la base giuridica è rappresentata dall’art. 122 TFUE. Art. 122 par. 2 TFUE Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un'assistenza finanziaria dell'Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa. ® parte del TFUE dedicata all’unione economica e monetaria che consente soltanto l’adozione di strumenti temporanei. Il Recovery Fund Ancora in corso di definizione. Trattato in modo molto vago nel rapporto Eurogruppo. Punto 18 Report Eurogruppo: We also agreed to work on a Recovery Fund to prepare and support the recovery, providing funding though the EU budget to programmes designed to kick-start the economy in line with European priorities and ensuring EU solidarity with the most affected member states. Such a fund would be temporary, targeted and commensurate with the extraordinary costs of the current crisis and help spread them over time through appropriate financing. Subject to guidance from Leaders, discussions on the legal and practical aspects of such a fund, including its relation to the EU budget, its sources of financing and on innovative financial instruments, consistent with EU Treaties, will prepare the ground for a decision. Conclusioni del Presidente del Consiglio europeo 23/04/2020 A seguito della riunione dell’Eurogruppo in formato inclusivo del 9 aprile 2020, abbiamo approvato l’accordo sulle tre importanti reti di sicurezza per i lavoratori, le imprese e gli enti sovrani, con un pacchetto del valore di € 540 miliardi. Abbiamo chiesto che il pacchetto sia operativo a partire dal 1° giugno 2020. Abbiamo inoltre convenuto di lavorare per la creazione di un fondo per la ripresa, che è necessario e urgente. Il fondo dovrà essere di entità adeguata, mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti e destinato a far fronte a questa crisi senza precedenti. Abbiamo pertanto incaricato la Commissione di analizzare le esigenze specifiche e di presentare con urgenza una proposta all’altezza della sfida che ci troviamo ad affrontare. La proposta della Commissione dovrebbe chiarire il nesso con il QFP, che in ogni caso dovrà essere adeguato ad affrontare l’attuale crisi e le relative conseguenze. Esito del Consiglio: accordo definitivo, sulle tre importanti reti di sicurezza per i lavoratori, le imprese e gli enti sovrani. Valore complessivo di € 540 miliardi. Tutte le misure necessarie per renderlo operativo dovrebbero essere presentate entro il 01/06. Il Recovery Fund dovrà essere adottato dal Consiglio a maggioranza qualificata. Non si modificherà il trattato istitutivo del MES, ma si farà leva sulla concezione ampliata di condizionalità, avendo prima definito con precisione le condizioni. Non è chiara neanche la fonte precisa del Recovery Fund. La Commissione dovrà presentare una proposta entro i primi di maggio. LO SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA L’art. 3 TUE enuncia i fondamentali obiettivi UE. Il par. 3 è dedicato all’obiettivo dello sviluppo sostenibile nelle componenti economica, sociale e ambientale. Art. 3 par. 2 TUE L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima. Disposizione generale, di carattere programmatico. Consente di identificare la libera circolazione delle persone come nucleo essenziale dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, spazio caratterizzato da un’assenza di frontiere interne. Insieme a una serie di misure correlate riguardanti controlli alle frontiere esterne, materie di asilo e immigrazione, prevenzione e lotta contro la criminalità. L’art. 3 è stato introdotto da Lisbona 2007. L’obiettivo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia è premesso allo sviluppo sostenibile dell’Europa, e si individua quindi come primo obiettivo UE, benché sia meno articolato dell’obiettivo sostenibilità. Evoluzione storica dello SLSG • 1985-1990 Accordi di Schengen Il primo accordo è relativo alla soppressione dei controlli alle frontiere comuni tra le parti contraenti (oggi definite frontiere interne); il secondo applica l’accordo del 1985 e le correlate misure di accompagnamento. Le misure di accompagnamento sono quelle che devono essere necessariamente introdotte contestualmente a quelle sui controlli alle frontiere comuni. La soppressione dei controlli alle frontiere rende possibile una sostanziale libertà di spostamento sull’intero territorio delle parti contraenti, per tutti i loro cittadini, compresi inevitabilmente quelli dediti ad attività criminali. Inoltre, la libertà di spostamento all’interno dell’intera area è garantita anche a cittadini di paesi terzi che, legalmente o meno, abbiamo varcato la frontiera esterna di uno dei paesi dell’accordo. Per poter sopprimere i controlli alle frontiere comuni è quindi necessaria la contestuale adozione di misure di accompagnamento in materia di lotta alla criminalità Le misure di accompagnamento possono essere suddivise in tre categorie: c. Programma di Stoccolma 2009 d. Conclusioni del Consiglio europeo di Ypres 2014 e. Una nuova agenda strategico 2019 ® quattro priorità principali, di cui solo la prima può essere ricondotta allo SLSG (proteggere i cittadini e le libertà). Le altre priorità riguardano lo sviluppo di una base economica forte e vivace, la costruzione di un’Europa verde e a impatto climatico zero, la promozione dei valori e gli interessi europei sulla scena mondiale. CONTROLLI ALLE FRONTIERE, ASILO E IMMIGRAZIONE Capo 2 Titolo V Parte III TUE Art. 77 TFUE 1. L'Unione sviluppa una politica volta a: a) garantire l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne; b) garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne; c) instaurare progressivamente un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure riguardanti: a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo; d) qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; e) l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne. 3. Se un'azione dell'Unione risulta necessaria per facilitare l'esercizio del diritto, di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare disposizioni relative ai passaporti, alle carte d'identità, ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. 4. Il presente articolo lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri riguardo alla delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale. Il par. 1 individua due tipi di obiettivi in materia di frontiere: la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la garanzia del controllo delle persone alle frontiere esterne, instaurando un sistema integrato di gestione di queste. Il par. 2 attribuisce al legislatore UE la competenza di adottare una serie di misure non specificate tramite procedura legislativa ordinaria (competenza concorrente). Si fa principalmente ricorso al Regolamento (per asilo e immigrazione si ricorre alle Direttive). Le prime quattro lettere fanno riferimento alla gestione delle frontiere esterne, prevedendo misure che riguardano la politica comune dei visti e dei titoli di soggiorno, i controlli alle persone, le condizioni di circolazione nell’UE dei cittadini di paesi terzi, l’istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione. L’ultima lettera fa riferimento alla gestione delle frontiere interne: nessun controllo sulle persone. I principali atti di diritto derivato - Regolamento UE 2016/399 – c.d. codice frontiere Schengen. Contiene due gruppi di norme, rispettivamente relative alle frontiere esterne e a quelle interne [art. 77 par. 2 lett a, b, c TFUE] - Regolamento CE 810/2009 – c.d. codice dei visti, istitutivo di un visto uniforme per soggiorni di breve durata - Regolamento UE 2018/1806 – adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo - Regolamento UE 2016/1624 – istituisce la guardia di frontiera e costiera europea, formata dall’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) e dalle autorità degli stati membri preposte alla gestione delle frontiere [art. 77 par. 2 lett. d TFUE] In tutti i casi, i regolamenti hanno sostituito regolamenti previgenti a seguito di modifiche apportate nel corso del tempo. Le condizioni per l’ingresso degli stranieri nell’area Schengen Il territorio dell’area Schengen non corrisponde col territorio UE. Tra gli stati UE, non ne fanno parte l’Irlanda, Cipro (divisa tra lo stato di Cipro e la Repubblica turco-cipriota, che non fa parte dell’UE), Bulgaria, Romania e Croazia, cioè gli ultimi tre stati entrati, che non soddisfano ancora tutte le condizioni necessarie per entrare a farne parte. La Danimarca fa parte dell’area, ma continua a ritenersi vincolata dalle disposizioni a titolo di diritto internazionale e non di regole comunitarie; non ha accettato la comunitarizzazione delle regole di Schengen. Fanno parte dell’area Schengen anche stati che non fanno parte dell’UE: Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Svizzera. L’area è quindi composta da 26 stati. L’art. 6 del codice frontiere Schengen individua cinque condizioni cumulative ai fini dell’ingresso, della circolazione e del soggiorno c.d. breve (periodo massimo di 90 giorni su un totale di 180) nell’area Schengen: a. Disporre di un documento di viaggio valido che autorizza il titolare ad attraversare la frontiera (passaporto) b. Essere in possesso di un visto valido per soggiorni di breve durata ® il criterio è soddisfatto anche in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata rilasciato da un singolo SM c. Giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsti e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti d. Non essere segnalato nel SIS ai fini della non ammissione ® Sistema d’Informazione Schengen, in cui vengono segnalati gli stranieri che non devono essere ammessi nell’area e. Non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno stato membro. In deroga allo strumento, gli SM possono autorizzare l’ingresso nel proprio territorio per motivi umanitari, interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali. Nell’ambito dell’emergenza sanitaria attuale, è stata applicata una misura di restrizione temporanea dei viaggi non essenziali verso l’UE, quindi una chiusura temporanea dell’area Schengen, non adottata con un atto formale UE. C’è stata una comunicazione della Commissione ed una presa di posizione da parte del Consiglio europeo il 17/03. I provvedimenti sono dei singoli SM. La dichiarazione comune degli SM del 26/03 parla di una restrizione temporanea coordinata dei viaggi non essenziali verso l’UE. LE FRONTIERE INTERNE SCHENGEN Oggetto di disciplina del Regolamento 2016/399 codice frontiere Schengen: - Titolo I: disposizioni generali, definizioni - Titolo II: gestione delle frontiere esterne - Titolo III: gestione delle frontiere interne Art. 22 (Attraversamento delle frontiere interne) Le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto sena che sia effettuata una verifica di frontiera sulle persone, indipendentemente dalla loro nazionalità. Equivalente dell’art. 77 par. 1 lett. a TFUE. Art. 23 (Verifiche all’interno del territorio) Il divieto di verifica di frontiera non impedisce ai paesi di effettuare controlli all’interno del proprio territorio: è possibile effettuare controlli di polizia a presidio dell’ordine pubblico e per sorveglianza della sicurezza interna anche nelle zone di frontiera, purché questi non abbiano un effetto equivalente ai controlli di frontiera. Art. 24 (Eliminazione degli ostacoli al traffico presso i valichi di frontiera stradali alle frontiere interne) Obbligo di eliminare qualsiasi ostacolo allo scorrimento fluido del traffico presso i valichi di frontiera stradali e alle frontiere interne, in particolare imponendo eventuali limiti di velocità, e che non siano guidati unicamente da considerazioni in materia di sicurezza stradale. Art. 25 (Quadro generale per il ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne) 1. In caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima di trenta giorni o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera i trenta giorni. L’estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave. 2. Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente. 3. Se la minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna nello Stato membro interessato perdura oltre il periodo di cui al paragrafo 1 del presente articolo, detto Stato membro può prorogare il controllo di frontiera alle sue frontiere interne, tenuto conto dei criteri di cui all'articolo 26 e secondo la procedura di cui all'articolo 27, per gli stessi motivi indicati al paragrafo 1 del presente articolo e, tenuto conto di eventuali nuovi elementi, per periodi rinnovabili non superiori a 30 giorni. 4. La durata totale del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, incluse eventuali proroghe di cui al paragrafo 3 del presente articolo, non è superiore a sei mesi. Qualora vi siano circostanze eccezionali, come quelle di cui all'articolo 29, tale durata totale può essere prolungata fino a un massimo di due anni, in conformità del paragrafo 1 di detto articolo. ® il codice prevede la possibilità per gli SM di reintrodurre i controlli alle frontiere interne. Il ripristino di queste, nel rispetto di alcune condizioni sostanziali e procedurali, non costituisce quindi sempre una violazione alle regole Schengen. Il ripristino temporaneo delle frontiere interne Condizioni sostanziali: - Possibile solo qualora vi sia una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno stato membro. - Può riguardare tutte o solo parte delle frontiere interne dello SM - Deve costituire una misura di extrema ratio e l’estensione e la durata non devono eccedere quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia - La misura adottata deve essere proporzionata rispetto alla minaccia [art. 26] Procedure per il ripristino temporaneo a. Procedura ordinaria in caso di minaccia grave prevedibile ® lo stato membro interessato deve notificare preventivamente il ripristino agli altri SM e alla Commissione, che possono emettere un parere (≠ veto). Durata massima: 30 giorni, prorogabili fino a un massimo di 6 mesi. b. Procedura specifica nei casi che richiedono un’azione immediata ® lo stato membro procede immediatamente al ripristino dei controlli e ne informa contestualmente gli altri stati membri e la Commissione, che possono emettere un parere. Durata massima: 10 giorni, prorogabili fino a un massimo di 2 mesi. Nel caso in cui la Commissione sia convinta che lo stato in questione abbia violato le condizioni previste dal codice Schengen, potrà avviare una procedura per inadempimento. c. Procedura specifica in caso di circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio Schengen a causa di carenze gravi e persistenti nel controllo delle frontiere esterne da parte di uno stato membro ® il Consiglio, su proposta della Commissione, raccomanda a uno o più SM di ripristinare il controllo di frontiera. Durata massima: 6 mesi, prorogabili fino a un massimo di 2 anni. Lo stato della prassi è particolarmente problematico da qualche anno, a partire dalla fine del 2015, come conseguenza della crisi dei rifugiati. È importante tenere conto anche dell’emergenza sanitaria: a conseguenza di questa, numerosi stati hanno notificato alla Commissione il ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, sia con procedura ordinaria che con procedura specifica per azione immediata. L’Italia non l’ha fatto, ma i provvedimenti nazionali di lockdown hanno prodotto comunque l’impossibilità di circolare liberamente e quindi di superare le frontiere interne. La disciplina non considera la possibilità di ripristinare i controlli per motivi di salute pubblica; considera solo l’eventualità di una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna, sulla scia della Direttiva 2004/38 che disciplina la libera circolazione dei cittadini. Quest’ultima ammette limitazioni alla libera circolazione per motivazioni di salute pubblica. Come impostazione generale, si può ritenere legittima la decisione attuale degli SM, finché notificata alla Commissione e agli altri SM. Ci sono almeno 5 stati +1 che hanno praticamente mantenuto i controlli alle frontiere interne a partire dal tardo 2015, andando ben oltre i limiti massimi previsti per le procedure. Si tratta di Austria, Danimarca, Germania, Svezia e Norvegia + Francia (provvedimento non derivato dalle motivazioni derivanti dai flussi umanitari, ma dai rischi derivanti dalla minaccia posta dal terrorismo). Questi stati, passando da un provvedimento all’altro, hanno di fatto ripristinato i controlli da quasi 5 anni. Il 12/05/2016 è stata la prima e unica volta in cui è stata utilizzata la procedura prevista per circostanze eccezionali a seguito di carenze gravi e persistenti nel controllo delle frontiere da parte della Grecia. Il ripristino è stato poi prorogato fino all’11/11/2017; scaduto questo periodo, i 5+1 SM in questione sono tonarti ad applicare la procedura ordinaria. Adesso fanno leva anche sull’emergenza sanitaria per giustificare un ulteriore ripristino. Il ripristino dei controlli di per sé non rappresenta un mal funzionamento delle regole di Schengen, in quanto queste ne prevedono la possibilità. La situazione generatasi negli ultimi 5 anni non è più da considerarsi fisiologica, bensì patologica. La Commissione ha quindi proposto una revisione delle regole Schengen già nel 2017, duramente contestata dal Parlamento europeo in quanto andava incontro alla richiesta di maggiore flessibilità da parte degli SM. La Art. 3 (Ambito di applicazione) 1. La presente direttiva si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione internazionale. 2. La presente direttiva non si applica alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri. 3. Gli Stati membri possono decidere di applicare la presente direttiva nei procedimenti di esame di domande intese a ottenere qualsiasi forma di protezione che esula dall’ambito di applicazione della direttiva 2011/95/UE. Si stabiliscono inoltre quali sono le autorità responsabili per questa domanda; queste devono essere dotate di personale adeguato come numero e formazione; le domande devono essere registrate nel giro di pochi giorni (svolta importante); i migranti che intendono presentare la domanda di protezione devono essere messi in contratti con le associazioni o le ONG che si occupano della loro tutela; devono poter accedere alle procedure in una lingua a loro comprensibile; lo stato deve provvedere ad offrire loro un’assistenza gratuita se non dispongono di mezzi adeguati; le autorità devono esaminare la domanda, informarsi sulla situazione presente nel paese di origine tramite l’EASO e l’UNHCR e le ONG che si occupano di tutela dei diritti umani; è necessario motivare la decisione di negare lo status; il richiedente ha diritto a presentare ricorso; il colloqui personale dev’essere condotto da persone formate. Le ultime norme della direttiva riguardano la questione della revoca dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, nel rispetto di una serie di garanzie specificamente dettate dalla Direttiva. Il rifugiato deve poter difendersi davanti a un giudice, avere assistenza legale gratuita se non ha i mezzi per pagarla. Condizioni di accoglienza [art. 78 par. 2 lett. f TFUE] Direttiva adottata nel 2003, sostituita dalla Direttiva 2013/33 (norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale). Art. 3 (Ambito di applicazione) 1. La presente direttiva si applica a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale. 2. La presente direttiva non si applica alle domande di asilo diplomatico o territoriale presentate presso le rappresentanze degli Stati membri. 3. La presente direttiva non si applica quando si applicano le disposizioni della direttiva 2001/55/CE del Consiglio, del 20 luglio 2001, sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell’accoglienza degli stessi. 4. Gli Stati membri possono decidere di applicare la presente direttiva in relazione a procedimenti di esame di domande intese a ottenere forme di protezione diverse da quella conferita dalla direttiva 2011/95/UE. ® il rifugiato deve essere informato in una lingua che conosce; deve essere messo a contatto con le organizzazioni che possono aiutarlo a vivere degnamente sul territorio dello stato finché non sarà presa una decisione rispetto alla sua domanda; deve possedere documenti dai quali risulta essere in attesa; deve poter circolare liberamente sul territorio, a meno che le autorità decidano di trattenerlo Art. 8 (Trattenimento) 1. Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale. 2. Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. 3. Un richiedente può essere trattenuto soltanto: a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza; b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente; c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio; d) quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio; e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico; ® forte discrezionalità, in quanto spetta comunque agli stati valutare quando vi siano i presupposti. f) conformemente all’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale. 4. Gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato. Altre disposizioni: - Art. 10 (Condizioni del trattenimento) – specifica le condizioni di trattenimento: il richiedente non deve essere trattenuto in un carcere, ma in apposite strutture dove gli sia possibile comunicare con familiari, avvocati, ONG competenti. - Art. 12 (Nucleo familiare) – la famiglia deve essere tenuta insieme - Art. 14 (Scolarizzazione e istruzione dei minori) - Art. 15 (Lavoro) – se entro 9 mesi dal momento della presentazione della richiesta di protezione lo stato non ha ancora deciso, il richiedente deve poter accedere al mercato del lavoro - Art. 18 (Modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza) – deve essere fornito ai rifugiati un alloggio o una somma di denaro idonea a potersi sostenere Cooperazione con paesi terzi [art. 78 par. 2 lett. g TFUE] Sono stati avanzati vari progetti, volti a creare centri di smistamento delle richieste di protezione in paesi terzi, quindi delle esternazionalizzazioni delle richieste di asilo. Possibili risvolti positivi: - prevenire l’attraverso del Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna; se i migranti potessero presentare richieste di protezione prima di farlo, eviterebbero di rischiare la vita. - Non incoraggiare l’operato di organizzazione criminali che sfruttano il sistema di ingressi illegali - Scoraggiare la presentazione di domande di asilo infondate Non è mai stata resa nota la motivazione per la quale nessuno dei progetti è passato. Una motivazione potrebbe essere individuata nelle difficoltà cooperative; si rischierebbe probabilmente di avere un numero troppo alto di domande. Misure temporanee a beneficio degli stati [art. 78 par. 3 TFUE] Il consiglio ha adottato due Decisioni di ricollocazione a settembre 2015, in seguito a flussi massicci di persone che chiedevano protezione in Italia e in Grecia. La prima riguardava ricollocazione su base volontaria; la seconda su base obbligatoria. - Direttiva 1: alcuni paesi si sono volontariamente impegnati ad accogliere un certo numero di richiedenti che incombeva su Italia e Grecia. - Direttiva 2: meccanismo di ricollocazione obbligatorio Vi sono dei paesi che non hanno dato seguito a queste decisioni, cioè Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, che si sono opposti facendo leva su una norma del TFUE [Art. 73 TFUE: Il presente titolo non osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna]. La Commissione ha presentato un ricorso per inadempimento davanti alla CG, la quale lo scorso 02/04 ha adottato una sentenza che ha condannato Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. La CG ha ritenuto che l’art. 72 TFUE può essere invocato solo se lo stato dimostra qual è il concreto pericolo Il Regolamento di Dublino 3 (604/2013) Art. 78 par. 2 lett. e TFUE – criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo o di protezione sussidiaria. Il richiedente asilo non ha la garanzia di vedere la propria richiesta esaminata dallo stato in cui l’ha presentata, poiché vige un meccanismo di determinazione dello SM competente per l’esame della domanda, che può prescindere dal luogo di presentazione della stessa. Il Regolamento deriva dalla Convenzione di Dublino, conclusa da alcuni stati membri nel 1990, al di fuori del quadro giuridico della CE, poi comunitarizzata. Questo implica l’individuazione di un solo stato competente per ciascuna domanda presentata sul territorio degli stati membri, che poi provvedono al trasferimento del richiedente. Primo obiettivo: ovviare al problema dei rifugiati in orbita, cioè quando i richiedenti sono rinviati da un paese a un altro senza che nessuno di questi si dichiari competente. Una volta che le autorità dello stato competente si pronunciano, la decisione vale anche per gli altri stati membri; quindi, se uno stato rigetta una richiesta di asilo, l’interessato non può presentare richiesta in un altro stato membro. Criteri in ordine gerarchico: 1. Il criterio principale individua come stato competente per l’esame della domanda lo stato che ospita un membro della famiglia del richiedente asilo che già beneficia di una forma di protezione, a prescindere dal territorio in cui questo si presenta; 2. Se l’ingresso è avvenuto attraverso un visto o un permesso di soggiorno, è competente lo stato che ha rilasciato il visto, in quanto ha permesso l’ingresso dell’individuo su territorio europeo. 3. Se l’ingresso è avvenuto in mancanza di un visto o un permesso di soggiorno, è competente lo stato di primo ingresso. Il Regolamento prevede anche la possibilità di attribuire ad un unico stato la competenza dell’esame di domande presentate contemporaneamente in paesi distinti da parte di diversi membri dello stesso nucleo familiare. È comunque riconosciuta la facoltà a ciascuno stato membro di esaminare la domanda che gli viene presentata anche se non è determinato come stato competente (opt-out) – es. se non è lo stato che ha permesso l’ingresso dell’individuo su territorio europeo. Problemi La responsabilità principale dell’accoglienza dei richiedenti grava sui paesi che per ragioni geografiche sono più facilmente raggiungibili. Diversi stati avevano infatti manifestato questo timore al momento della redazione dei Regolamenti. Nell’ambito di Dublino 2, la Commissione aveva proposto di dare competenza al paese in cui la richiesta era stata presentata la prima volta. Proposta mai accettata. Nell’ambito di Dublino 3, nel 2016, la Commissione ha proposto un meccanismo automatico di ripartizione dei richiedenti di protezione. Secondo questo, doveva essere stabilita una quota di richiedenti accettabile per ogni paese, tenendo conto del PIL e della popolazione. Se un paese supera la propria capienza del 150%, ogni nuova richiesta doveva essere indirizzata in automatico agli altri stati membri. Il Parlamento europeo aveva accettato di discuterne e si era espresso a favore; il Consiglio ha respinto la proposta a giugno 2018 (anche l’Italia). L’intero Regolamento si regge su un presupposto falso: che tutti gli stati membri costituiscano un’area con un livello di protezione omogeneo. Le Direttive adottate in materia di accoglienza hanno ovviamente prodotto l’effetto di armonizzare le normative nazionali, non di uniformarle; esistono ancora differenze importanti. Inoltre, nel sistema attuale, chi ottiene protezione in un paese deve rimanerci e ciò non agevola l’unità dei gruppi familiari; non si tiene conto né delle barriere linguistiche per i richiedenti asilo, né della possibilità di trovare un lavoro. LA POLITICA COMUNE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE Art. 79 TFUE 1. L'Unione sviluppa una politica comune dell'immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure nei seguenti settori: a) condizioni di ingresso e soggiorno e norme sul rilascio da parte degli Stati membri di visti e di titoli di soggiorno di lunga durata, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare; b) definizione dei diritti dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, comprese le condizioni che disciplinano la libertà di circolazione e di soggiorno negli altri Stati membri; c) immigrazione clandestina e soggiorno irregolare, compresi l'allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare; d) lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori. 3. L'Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri. 4. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni penali Art. 82 TFUE 1. La cooperazione giudiziaria in materia penale nell'Unione è fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei settori di cui al paragrafo 2 e all'articolo 83. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure intese a: a) definire norme e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l'Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria; b) prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri; c) sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari; d) facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all'azione penale e all'esecuzione delle decisioni. 2. Laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Queste tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Esse riguardano: a) l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; b) i diritti della persona nella procedura penale; c) i diritti delle vittime della criminalità; d) altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione; per adottare tale decisione il Consiglio delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo. L'adozione delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone. 3. Qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di cui al paragrafo 2 incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria. Entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata. ® base giuridica al par. 1: è possibile adottare misure intese a definire norme e procedure per il riconoscimento di sentenze e decisioni giudiziarie nazionali in tutto il territorio UE; prevenire e risolvere conflitti; sostenere la formazione di magistrati e operatori giudiziari; facilitare la cooperazione in relazione all’azione penale e all’esecuzione delle decisioni. L’attuazione del principio Il Programma di Tampere (1999), adottato contestualmente al Trattato di Amsterdam, ha dato il primo slancio alla realizzazione dello SLSG; in particolare, ha individuato il principio di mutuo riconoscimento come principio cruciale, dando l’impulso per l’adozione di una vasta serie di atti che ne danno attuazione. Nel corso degli anni, sono stati adottati numerose decisioni quadro e direttive che mirano ad applicare il principio alle decisioni adottate nelle varie fasi del procedimento penale, specialmente relative alle indagini e alla raccolta delle prove (adozione dell’ordine europeo di indagine penale), alle misure cautelari, all’irrogazione di provvedimenti sanzionatori. Una decisione emessa da un giudice penale di uno SM deve trovare esecuzione anche negli altri SM. Con la prima decisione quadro, si è istituito il mandato di arresto europeo. Principio ne bis in idem ® un soggetto già assolto o condannato in uno stato membro con sentenza definitiva non può essere sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti in un altro stato membro [art. 50 Carta dei diritti fondamentali EU]. Il principio opera in armonia con quello del mutuo riconoscimento: la rinuncia di uno SM ad esercitare la propria potestà punitiva su un individuo per fatti di rilevanza penale si giustifica in quanto questo stato riconosce la validità di una sentenza emanata da un altro SM per lo stesso fatto contro la stessa persona. IL MANDATO D’ARRESTO EUROPEO Istituto attraverso il quale si è data concretizzazione al principio del mutuo riconoscimento per la prima volta. Modello al quale ci si è ispirati per i seguenti atti. Decisione quadro 2002/584/GAI Sia il fatto che sia una decisione quadro, sia la sigla Giustizia e Affari Interni, ricordano che all’epoca in cui fu istituito il mandato d’arresto europeo, l’UE era ancora organizzata in pilastri: la materia era ancora esclusa dalla comunitarizzazione. La decisione è stata presa quindi dal Consiglio. Ai fini dell’adozione della decisione, si dovette fare ricorso quindi a una tipologia di atto non comunitaria. la Decisione quadro, come la Direttiva, fissa degli obiettivi che gli SM devono perseguire godendo di un margine di discrezionalità riguardo forme e mezzi. Differenza fondamentale: le decisioni quadro non hanno efficacia diretta. La Decisione quadro 2002/584/GAI è stata poi modificata nel 2009. Art. 1 (Definizione del mandato d'arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione) 1. Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell'esercizio di un'azione penale o dell'esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. 2. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d'arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro. 3. L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno stato membro (SM emittente) in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro stato membro (SM di esecuzione) di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà. Un MAE può quindi essere emesso sia a fini processuali (esercizio dell’azione penale) che a fini esecutivi. Tuttavia, il MAE può essere emesso solo per reati di una certa gravità. Art. 2 par. 1 (Campo d’applicazione del mandato d’arresto europeo) 1. Il mandato d'arresto europeo può essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi. MAE vs estradizione Il MAE intende sostituire il tradizionale istituto dell’estradizione nel rapporto tra gli stati membri, rendendo più agevole e rapida la consegna di una persona ricercata. In particolare, il MAE si differenzia dalla estradizione sotto due profili: - Natura puramente giudiziaria della procedura di consegna ® il rapporto intercorre unicamente tra autorità giudiziarie; il MAE viene emesso dall’autorità giudiziaria dello stato emittente e trasmetto all’autorità giudiziaria dello stato di esecuzione, senza che vi sia coinvolgimento da parte dell’autorità politica come accade nell’estradizione. - Parziale eliminazione del requisito della c.d. doppia incriminazione con riguardo a 32 fattispecie di reato [art. 2 par. 2 Decisione quadro 2002/584]. Nel caso dell’estradizione, i fatti per cui è perseguita la persona richiesta devono essere considerati come reato in entrambi gli stati. Motivi di non esecuzione del MAE Il MAE deve essere emesso sulla base di un modello standard, allegato alla decisione quadro. Se l’autorità dello stato emittente sa dove si trova la persona di cui si richiede la consegna, trasmette direttamente il MAE all’autorità competente; se non lo sa, inserisce il mandato d’arresto europeo nel Sistema d’Informazione Schengen (SIS). Il principio del mutuo riconoscimento implica una semplificazione della procedura; non significa però che l’autorità giudiziaria dello stato di esecuzione deve dare automatica applicazione al MAE. Vengono compiute alcune valutazioni per verificare che non sussistano motivi di non esecuzione. - Motivi di non esecuzione obbligatoria ® art. 3 (Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo) - Motivi di non esecuzione facoltativa ® art. 4 (Motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo) e art. 4 bis (Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente). Esempio: ipotesi di concorso di giurisdizione, es. se nello SM di esecuzione è in corso l’esercizio dell’azione penale nei confronti dello stesso soggetto per gli stessi fatti; non si parla di ne bis in idem perché non c’è stata ancora una condanna. Se l’interessato è cittadino, residente o dimorante nello SM di esecuzione e quest’ultimo si impegni ad eseguire esso stesso la pena già inflitta dallo SM emittente. Art. 3 (Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo) L'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione rifiuta di eseguire il mandato d'arresto europeo nei casi seguenti: 1) se il reato alla base del mandato d'arresto è coperto da amnistia nello Stato membro di esecuzione, se quest'ultimo era competente a perseguire il reato secondo la propria legge penale; 2) se in base ad informazioni in possesso dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna; 3) se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo non può ancora essere considerata, a causa dell'età, penalmente responsabile dei fatti all'origine del mandato d'arresto europeo in base alla legge dello Stato membro di esecuzione. Le valutazioni non riguardano mai il merito dell’azione giudiziaria dello SM emittente; l’autorità giudiziaria dello SM di esecuzione non può sindacare le ragioni per cui è stato emesso il MAE. Lo SM di esecuzione può solo valutare le motivazioni di cui agli artt. 3-4-4bis, che sono giustificate da considerazioni attinenti alla tutela dei diritti fondamentali della persona richiesta. L’elenco dei motivi di non esecuzione è tassativo: l’esecuzione del MAE non può essere rifiutata per altri motivi. Tuttavia, ci si è posto il problema di cosa accada nel momento in cui l’autorità giudiziaria dello SM di esecuzione possa avere il timore che la persona oggetto del MAE, laddove consegnata alle autorità giudiziarie dello SM emittente, possa essere vittima di significative violazioni dei diritti fondamentali. Sentenza Aranyosi e Caldararu 05/04/2016 La sentenza ha origine in due rinvii pregiudiziali alla CG, proposti da un giudice tedesco della Corte d’Appello di Brema che doveva dare esecuzione a due mandati d’arresto emessi da un giudice ungherese (caso Aranyosi) e da un giudice romeno (caso Caldararu). Il primo era un mandato d’arresto a fini processuali, il secondo a fini esecutivi, in quanto la pena era già stata inflitta. Problema: il giudice tedesco prende in considerazione sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, nelle quali la Corte ha condannato sia l’Ungheria che la Romania per violazione dell’art. 3 CEDU, che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti per le condizioni delle rispettive nazioni. Il giudice si rivolge quindi in via pregiudiziale alla CG, richiamando l’art. 1 par. 3 della Decisione quadro 2002/584: L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea non può essere modificata per effetto della presente decisione quadro. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può (o deve) rifiutarsi di eseguire un MAE in presenza di elementi seri comprovanti la incompatibilità delle condizioni detentive nello stato membro emittente con i diritti fondamentali? Cosa succede se viene meno la fiducia reciproca tra gli SM su cui si fonda il principio del mutuo riconoscimento? Punto 77: Il principio del mutuo riconoscimento su cui si fonda il sistema del mandato d’arresto europeo si basa esso stesso sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri circa il fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti a livello dell’Unione, in particolare nella Carta dei diritti fondamentali. ® se il giudice esegue il mandato d’arresto europeo e consegna la persona allo SM emittente senza eccessivi controlli preliminari, lo fa perché si fida del fatto che la persona sarà trattata nel rispetto dei diritti fondamentali. Punto 78: Tanto il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri quanto il principio del mutuo riconoscimento, nel diritto dell’Unione, rivestono un’importanza fondamentale, dato che consentono la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di detti Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo. ® se il principio del mutuo riconoscimento e il principio della fiducia reciproca vanno a braccetto, che succede nel momento in cui quest’ultima viene meno da parte del giudice del SM di esecuzione? Punto 88: Quando l’autorità giudiziaria dello Stato membro d’esecuzione dispone di elementi che attestano un rischio concreto di trattamento inumano o degradante dei detenuti nello Stato membro emittente, tenuto conto del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 4 della Carta, essa è tenuta a valutare la sussistenza di tale rischio quando decide in ordine alla consegna alle autorità dello Stato membro emittente della persona colpita da un mandato d’arresto europeo. Invero, l’esecuzione di un siffatto mandato non può condurre a un trattamento inumano o degradante di tale persona. quindi rivelarsi indispensabile un intervento del legislatore UE sul piano del diritto penale sostanziale per garantire l’attuazione efficace delle misure di armonizzazione. L’art. 76 TFUE a cui si fa riferimento prevede che, in materia di cooperazione penale di polizia, il potere di iniziativa non sia esclusivamente in mano alla Commissione, ma possa anche essere esercitato da 1/4 degli SM. GLI ORGANISMI EUROPEI – COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE La cooperazione integrata è una modalità di realizzazione della cooperazione attraverso l’istituzione di organismi a livello europeo. Eurojust Art. 85 TFUE 1. Eurojust ha il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un'azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e da Europol. In questo contesto il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d'azione e i compiti di Eurojust. Tali compiti possono comprendere: a) l'avvio di indagini penali, nonché la proposta di avvio di azioni penali esercitate dalle autorità nazionali competenti, in particolare quelle relative a reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione; b) il coordinamento di indagini ed azioni penali di cui alla lettera a); c) il potenziamento della cooperazione giudiziaria, anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e tramite una stretta cooperazione con la Rete giudiziaria europea. Tali regolamenti fissano inoltre le modalità per associare il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali alla valutazione delle attività di Eurojust. 2. Nel contesto delle azioni penali di cui al paragrafo 1, e fatto salvo l'articolo 86, gli atti ufficiali di procedura giudiziaria sono eseguiti dai funzionari nazionali competenti. L’organismo è stato istituito nel 2002, quando ancora la cooperazione giudiziaria in materia penale era parte del terzo pilastro dell’UE. La disciplina è stata rivista col Regolamento 2018/1727. Eurojust è qualificabile come agenzia UE, in quanto ha una propria personalità giuridica. È stato istituito con finalità di coordinamento delle autorità giudiziarie penali; si compone di un membro nazionale per ciascuno stato membro UE: l’interazione tra questi membri è uno strumento volto all’agevolazione della cooperazione giudiziaria degli SM. La Procura europea Art. 86 TFUE 1. Per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, può istituire una Procura europea a partire da Eurojust. Il Consiglio delibera all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo. In mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere che il Consiglio europeo sia investito del progetto di regolamento. In tal caso la procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio per adozione. Entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di regolamento in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata. 2. La Procura europea è competente per individuare, perseguire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, quali definiti dal regolamento previsto nel paragrafo 1, e i loro complici. Essa esercita l'azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri. 3. I regolamenti di cui al paragrafo 1 stabiliscono lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue funzioni, le regole procedurali applicabili alle sue attività e all'ammissibilità delle prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell'esercizio delle sue funzioni. 4. Il Consiglio europeo può adottare, contemporaneamente o successivamente, una decisione che modifica il paragrafo 1 allo scopo di estendere le attribuzioni della Procura europea alla lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale, e che modifica di conseguenza il paragrafo 2 per quanto riguarda gli autori di reati gravi con ripercussioni in più Stati membri e i loro complici. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione. Il Trattato di Lisbona 2009 ha introdotto una base giuridica che ha previsto l’istituzione della Procura europea. Lo stesso percorso volto a concretizzare l’organismo è stato difficile, completatosi solo nel 2017, con l’adozione del Regolamento 2017/1939 istitutivo della Procura europea, oggi non ancora operativa. La Procura europea è concepita come una sorta di pubblico ministero europeo, competente a esercitare attività d’indagine, perseguire e rinviare a giudizio gli individui responsabili specificamente di reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE. Non ha quindi una competenza generale. Il Consiglio europeo all’unanimità, previa approvazione del Parlamento, può adottare una decisione che estenda le attribuzioni della Procura europea alla lotta contro la criminalità grave transnazionale, es. proposta italiana per il reato di terrorismo internazionale. Per l’istituzione della Procura europea, si prevede il ricorso a una procedura legislativa speciale. Il requisito dell’unanimità ha costituito un ostacolo per la resistenza di alcuni SM, a fronte di un’iniziale proposta della Commissione che prevedeva una Procura europea fortemente accentrata. I parlamenti nazionali hanno sollevato il cartellino giallo previsto dalla procedura secondo il principio di sussidiarietà. La Commissione ha confermato la proposta, che è stata poi rivista, per attenuare gli effetti di centralizzazione apparsi eccessivi ai parlamenti nazionali. È stato possibile istituire la Procura solo sotto un’idea di cooperazione rafforzata. Sulla base del Regolamento 2017/1939 sono ora in corso attività preparatorie volte all’avvio delle attività vere e proprie della Procura entro circa un anno. LA COOPERAZIONE DI POLIZIA Strettamente correlata con la cooperazione giudiziaria in materia penale: la dottrina osserva che la cooperazione di polizia precede il momento dell’azione penale e quindi la cooperazione giudiziaria; sarebbe stato quindi più opportuno seguire un ordine diverso nel TFUE. Art. 87 TFUE 1. L'Unione sviluppa una cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell'applicazione della legge specializzati nel settore della prevenzione o dell'individuazione dei reati e delle relative indagini. 2. Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure riguardanti: a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle pertinenti informazioni; b) un sostegno alla formazione del personale e la cooperazione relativa allo scambio di personale, alle attrezzature e alla ricerca in campo criminologico; c) le tecniche investigative comuni ai fini dell'individuazione di forme gravi di criminalità organizzata. 3. Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può stabilire misure riguardanti la cooperazione operativa tra le autorità di cui al presente articolo. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. In mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere che il Consiglio europeo sia investito del progetto di misure. In tal caso la procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio per adozione. Entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di misure in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata. La procedura specifica di cui al secondo e al terzo comma non si applica agli atti che costituiscono uno sviluppo dell'acquis di Schengen. Il concetto di cooperazione di polizia è inteso in senso ampio: non riguarda esclusivamente i servizi di polizia, ma tutti quelli incaricati dell’applicazione della legge e specializzati nel settore della prevenzione e dell’individuazione dei reati e delle relative indagini. Sulla base di questa cooperazione è stato istituito Europol. Europol La disciplina di Europol è stata rivista più volte ed è oggi contenuta nel Regolamento 2016/794. Art. 88 TFUE 1. Europol ha il compito di sostenere e potenziare l'azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell'applicazione della legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri, il terrorismo e le forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica dell'Unione. 2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d'azione e i compiti di Europol. Tali compiti possono comprendere: a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b) il coordinamento, l'organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust. Tali regolamenti fissano inoltre le modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i parlamenti nazionali. 3. Qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e d'intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui interessa il territorio. L'applicazione di misure coercitive è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità nazionali. Art. 89 TFUE Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, stabilisce le condizioni e i limiti entro i quali le autorità competenti degli Stati membri di cui agli articoli 82 e 87 possono operare nel territorio di un altro Stato membro in collegamento e d'intesa con le autorità di quest'ultimo. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Duplice competenza: attività di intelligence e funzioni di carattere operativo. Il compito primario è tuttavia di intelligence: raccolta, archiviazione, trattamento, analisi e scambio delle informazioni trasmesse ad Europol dalle autorità degli SM o di paesi ed organismi terzi. Per quanto riguarda le funzioni di carattere operativo, si parla di coordinamento, organizzazione e svolgimento di indagini e azioni operative, condotte però congiuntamente con le autorità degli SM o in squadre investigative comuni. Infatti, ogni azione operative deve essere condotta d’intesa con le autorità nazionali degli SM. Non può applicare misure coercitive – quando si passa dal piano dell’intelligence a quello operativo si pongono in essere attività che incidono sulla sfera di sovranità dello stato, quindi entra in gioco la resistenza degli stati. Come regola generale, le squadre comuni hanno generalmente a capo rappresentanti dello stato membro su cui le operazioni vengono svolte. Per quanto riguarda la competenza legislativa dell’UE in materia di cooperazione di polizia, si fa riferimento agli artt. 87 e 89 TFUE. le disposizioni operano una distinzione tra gli atti adottati secondo procedura legislativa ordinaria (codecisione tra Consiglio e Parlamento europeo) riguardo l’intelligence [art. 87 par. 2 TFUE] e quelli adottati secondo procedura legislativa speciale (deliberazione del Consiglio all’unanimità previa mera consultazione del Parlamento europeo) riguardo il piano operativo [art. 87 par. 3 e art. 89 TFUE]. Le principali realizzazioni sono state adottate con la Decisione quadro 2002 che ha dato vita a squadre investigative comuni, che possono includere anche personale di Europol. La Direttiva 2016 ha potenziato la disciplina relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte dell’autorità competente ai fini di prevenzione, indagine e perseguimento dei reati.