Scarica Diritto internazionale esame di diritto internazionale e più Dispense in PDF di Diritto Internazionale Pubblico solo su Docsity! LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE E IL SUO DIRITTO DIRITTO INTERNAZIONALE: è la branca del diritto che disciplina i rapporti giuridici tra stati sovrani per prevenire abusi e sopraffazioni da parte degli stati più forti su quelli più deboli. Il diritto internazionale pubblico si differenzia da quello privato il quale, invece, regola i rapporti di diritto privato nell’ambito di un ordinamento statale, qualora tali rapporti abbiano elementi di internazionalità (es: matrimonio tra cittadini aventi nazionalità diversa, adozioni internazionali ecc…). Gli stati sono al tempo stesso creatori e destinatari delle norme giuridiche internazionali. Il potere legislativo non è affidato ad organi o enti specifici in quanto è decentrato, ossia è esercitabile da qualsiasi stato. Gli stati, infatti, si trovano in una situazione paritaria tra loro, nessuno è formalmente superiore ad un altro. Ogni stato ha il diritto di non subire intromissioni da parte di altri stati nell’esercizio della propria sovranità. Si possono individuare 2 macro-fasi nell’evoluzione del diritto internazionale: 1. dalla pace di Westfalia del 1648 (che ha posto fine alla Guerra dei 30 anni) a tutto il XIX secolo. Questa prima fase è caratterizzata dalla coesistenza tra stati. Il diritto internazionale in questa fase è formato da poche norme condivise, di natura consuetudinaria, che disciplinano un numero ridotto di rapporti giuridici (diritto del mare, diritto bellico ecc…). Gli stati regolano i propri interessi per lo più mediante accordi bilaterali e ammettono il ricorso all’uso della forza per risolvere le controversie. 2. Dal XIX secolo ad oggi. Questa seconda fase è caratterizzata non dalla coesistenza ma dalla cooperazione tra stati. Si formano le prime unioni di stati, le quali si trasformano in vere e proprie organizzazioni internazionali, dotate di personalità giuridica, la cui volontà è in grado di contrapporsi a quella degli stessi stati che le hanno istituite. L’uso della forza viene bandito dalle relazioni internazionali, viene consentito solo in caso di legittima difesa. Le decisioni più importanti vengono prese con il più vasto consenso raggiungibile (cosiddetto multilateralismo). L’incremento della cooperazione tra stati è dovuto ad una serie di fattori, tutti collegati tra loro: ▲ L’insufficienza della dimensione interna per la risoluzione di problemi globali che il XX secolo ha posto all’attenzione degli stati: salvaguardia della pace, sviluppo dei popoli, tutela dell’ambiente, rispetto dei diritti umani. ▲ Il fallimento dell’approccio unilaterale in favore di quello multilaterale. L’ordinamento internazionale è formato da comportamenti reiterati, ritenuti giuridicamente obbligatori, che danno vita alle norme consuetudinarie; dall’incontro di diverse manifestazioni di volontà (accordi), che danno vita alle norme convenzionali (o pattizie); e ancora dalle norme imperative (ius cogens), che tutelano i principi e i valori considerati fondamento delle relazioni internazionali. Tali ultime norme sono inderogabili. La funzione giudiziaria, così come quella legislativa, è esercitata in modo decentrato. Non esiste, infatti, un apparato sovraordinato agli stati, cui spetti il compito di accertare l’esistenza di violazioni del diritto internazionale e di obbligare i contravventori all’osservanza delle norme internazionali. Il rispetto del diritto internazionale si ispira al principio dell’autotutela: gli stati che pensano che i loro diritti siano stati violati possono agire direttamente per tutelare i loro interessi, attraverso l’applicazione di contromisure. Nei casi più gravi può intervenire il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il ricorso a tale struttura determina il passaggio dall’autotutela individuale a quella collettiva. SOGGETTIVITA’ INTERNAZIONALE: un soggetto di diritto internazionale è allo stesso tempo destinatario di almeno una delle norme dell’ordinamento internazionale e titolare di diritti e obblighi derivanti dalla sua partecipazione a tale ordinamento. La dottrina discute da tempo se per considerare lo stato un soggetto internazionale sia sufficiente verificare che sia effettivamente costituito da popolo, governo e territorio o se debba anche possedere altri requisiti, tra cui vanno menzionati: ▲ Il rispetto del principio di autodeterminazione dei popoli. Tutti i popoli hanno, infatti, il diritto di stabilire in piena libertà il loro regime politico senza ingerenza esterna e di perseguire come desiderano il loro sviluppo. Parte della dottrina ritiene che uno stato che non rispetti il principio di autodeterminazione dei popoli, esercitando, quindi, in modo illecito la propria sovranità, non possa affermare di governare legittimamente. Un’altra parte della dottrina, invece, sostiene che se, da un lato, l’applicazione di tale principio giustifichi il rovesciamento del governo illegittimo da parte del popolo oppresso, dall’altro non può incidere sull’esistenza stessa dello stato, sulla base del criterio di effettività. ▲ La tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Parte della dottrina ritiene che solo lo stato che tutela tali diritti possa essere considerato soggetto internazionale. Altra parte, però, sostiene che non esistano elementi sufficienti per impedire ad uno stato che non offra simili garanzie di essere riconosciuto come soggetto internazionale. Le fonti giuridiche internazionali sono: FONTI DI PRIMO GRADO = FONTI CONSUETUDINARIE: hanno natura generale, ossia sono create con il contributo di tutti gli stati appartenenti alla comunità internazionale e sono obbligatorie per tutti allo stesso modo; non esiste una categoria di fonti di rango superiore; hanno origine spontanea, in quanto la loro produzione è frutto della combinazione di 2 elementi, uno oggettivo e uno soggettivo, combinazione mai predeterminata. Tali elementi sono gli elementi costitutivi delle norme consuetudinarie. L’elemento oggettivo consiste nella ripetizione costante nel tempo di una condotta giuridicamente rilevante (diuturnitas); l’elemento soggettivo, invece, è rappresentato dalla convinzione che tale condotta sia conforme all’adempimento di un obbligo o all’esercizio di un diritto (opinio iuris). L’accertamento dell’opinio iuris è affidato ad una serie di elementi indicatori, che sono: ▲ La prassi diplomatica degli stati, costituita da tutte le note, le dichiarazioni e le comunicazioni che attestino l’interpretazione soggettiva di uno stato sovrano circa una data questione giuridica. ▲ Le dichiarazioni di principi adottate dagli stati nell’ambito delle conferenze internazionali o da organizzazioni internazionali a carattere universale. ▲ La giurisprudenza internazionale, costituita dalle sentenze e dai pareri degli organi giurisdizionali internazionali ▲ In certi casi e a determinate condizioni, gli accordi internazionali conclusi in merito ad una specifica materia. L’accertamento della diuturnitas, invece, è molto più agevole, e si fonda su un’unica regola, quella secondo cui il tempo necessario alla formazione di una norma consuetudinaria è inversamente proporzionale al numero di stati che la osservino. Tanto maggiore è il numero di stati che rispettano una nuova norma consuetudinaria, tanto minore sarà il tempo occorrente per la sua formazione. Esistono, così, anche consuetudini istantanee (es: l’estensione della sovranità statale sulla colonna di spazio atmosferico sovrastante il territorio). Non sempre le consuetudini hanno carattere generale. Il diritto internazionale, infatti, ammette anche la formazione di consuetudini a carattere locale o particolare, vigenti solo tra alcuni Stati. Esse sono applicabili solo nei rapporti giuridici intercorrenti tra gli stati interessati. Uno stato che rispetti una consuetudine nella fase della sua formazione e in seguito si rifiuti di applicarla compie un illecito internazionale. Chi, invece, si rifiuti di adempiere alla condotta prescritta in una norma consuetudinaria internazionale sin dalla fase della sua formazione, viene definito obiettore persistente. Nella seconda metà del XX secolo si è avvertita l’esigenza di codificare le norme di diritto internazionale generale (fonti di primo grado) allo scopo di definire il loro contenuto con maggiore certezza. L’attività di codificazione consiste nella trasposizione delle norme consuetudinarie che regolano uno specifico settore del diritto internazionale in un accordo che riproduca tali norme. La partecipazione agli accordi di codificazione è volontaria. Solo gli stati che vi partecipano sono vincolati da tali norme mentre gli stati terzi continueranno ad essere vincolati dalle corrispondenti norme consuetudinarie. L’organo deputato alla promozione degli accordi di codificazione è la Commissione di diritto internazionale istituita dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1947. Esistono 3 forme di codificazione: 1. Trascrizione della norma consuetudinaria vigente in un accordo internazionale. In questo caso la codificazione ha un’efficacia meramente dichiarativa. 2. Completamento del processo di formazione di una norma consuetudinaria all’interno di un accordo internazionale. In questo caso la codificazione ha un’efficacia integrativa. 3. Introduzione, nell’accordo di codificazione, di una norma consuetudinaria. In questo caso la codificazione ha un’efficacia innovativa. FONTI DI SECONDO GRADO = FONTI CONVENZIONALI O PATTIZIE: nascono dalla volontà degli stati di regolare autonomamente i loro interessi mediante la stipulazione di accordi. Traggono la loro efficacia giuridica da una norma di primo grado, la norma consuetudinaria pacta sunt servanda (= gli accordi devono essere rispettati). Sono norme particolari, in quanto gli stati sono tenuti a rispettare gli accordi che hanno liberamente stipulato ma non quelli alla cui formazione non abbiano partecipato. Il diritto internazionale, a differenza di quello interno agli stati, non risolve i contrasti tra fonti di grado diverso sulla base del criterio gerarchico, ma sulla base del criterio di specialità. Le 2 fonti sono reciprocamente derogabili, con l’unico limite dato dal rispetto delle norme imperative. Esse sono, quindi, formalmente sovraordinate l’una all’altra, ma sostanzialmente pariordinate. NORME DI IUS COGENS E OBBLIGHI ERGA OMNES: le norme di ius cogens prevalgono su tutte le altre norme in contrasto, di qualsiasi natura. Per norma imperativa del diritto internazionale si intende una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale nel suo insieme, cui non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Hanno ad oggetto i principi e i valori fondamentali cui si ispira l’ordinamento internazionale (es: divieto dell’uso della forza, autodeterminazione dei popoli, rispetto dei diritti umani ecc…). Qualsiasi accordo internazionale contrario ad una norma di ius cogens è giuridicamente nullo. Le norme di ius cogens non sono mai state codificate. Gli obblighi erga omnes sono obblighi la cui osservanza da parte di ciascuno stato è esigibile dall’intera comunità internazionale. Tutte le norme di ius cogens hanno certamente ad oggetto obblighi erga omnes, ma non è vero il contrario. Esistono, infatti, obblighi erga omnes che non sono contenuti in norme imperative, ma in fonti di primo e secondo grado. PRINCIPI GENERALI: ▲ Principi generali del diritto internazionale, che sono principi propri dell’ordinamento internazionale e lo caratterizzano sotto il profilo strutturale (es: l’uguaglianza sovrana degli stati) e valoriale (es: il divieto dell’uso della forza). ▲ Principi generali comuni agli ordinamenti nazionali, che sono quei principi giuridici elaborati dagli stati in ambito costituzionale, civile, commerciale, penale e processuale ma che possono trovare applicazione anche nell’ambito dei rapporti internazionali. Sono, quindi, formalmente estranei all’ordinamento internazionale. FONTI DI TERZO GRADO: consistono in tutti gli atti internazionali a contenuto vincolante. Esse sono: ▲ Le decisioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ▲ I regolamenti e le direttive emanate dalle istituzioni dell’Unione Europea dai plenipotenziari ha doppio valore, di autenticazione ma anche di manifestazione del consenso, da parte dello stato firmatario, a rispettarne i contenuti. RATIFICA: attraverso la ratifica, uno stato manifesta solennemente il proprio consenso a rispettare il contenuto di un accordo internazionale. Lo stato che ratifica un accordo fa sorgere nei suoi confronti una responsabilità internazionale nel caso in cui non dovesse adempiere alle norme in esso contenute. Uno stato che non ha partecipato ai negoziati può vincolarsi in un secondo momento al rispetto di un accordo internazionale già in vigore. In questo caso la ratifica prende il nome di adesione. A tal fine occorre, però, che l’accordo sia aperto, ossia consenta la partecipazione di stati diversi da quelli che hanno concluso i negoziati. Quando invece l’accordo è chiuso, non possono essere ammesse adesioni successive. ENTRATA IN VIGORE: essa è possibile dopo lo scambio o il deposito degli strumenti di ratifica. Lo scambio è tipico degli accordi bilaterali: ogni stato consegna all’altro una copia del suo strumento di ratifica e l’accordo entra, così, in vigore, senza che siano necessari ulteriori adempimenti. Il deposito, invece, è tipico degli accordi multilaterali. Gli strumenti di ratifica vengono depositati presso un determinato stato (solitamente quello che ha ospitato la conferenza internazionale che ha dato luogo al negoziato) o presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite. In considerazione del numero dei partecipanti, l’entrata in vigore dell’accordo multilaterale può essere subordinata al deposito di un numero minimo di ratifiche o della decorrenza di una data certa. Se gli stati di un accordo decidono, dopo la sua entrata in vigore, di modificarne i contenuti, tutti questi stati sono tenuti a riaprire i negoziati e iniziare, così, la procedura di emendamento. Qualora, invece, la volontà sia solo di alcuni stati, essi potranno concludere un nuovo accordo che regolerà i loro rapporti reciproci, ma non i rapporti tra loro e gli stati che non hanno aderito a tale modifica. LE RISERVE DEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI MULTILATERALI: gli stati possono anche apporre una riserva se intendono subordinare la loro partecipazione all’accordo ad una o più condizioni. Le riserve sono, quindi, dichiarazioni unilaterali degli stati, finalizzate ad escludere l’applicazione o a limitare gli effetti di una o più norme dell’accordo nei confronti del solo dichiarante. L’apposizione di una riserva incontra, però, 2 limiti: 1. ratione temporis: devono essere apposte entro la fine del negoziato o comunque non oltre il deposito dello strumento di ratifica e devono essere notificate alle altre parti contraenti, le quali hanno, così, la facoltà di avanzare obiezioni. 2. ratione materiae: non possono essere apposte nel caso in cui il trattato ne escluda categoricamente la possibilità, nel caso in cui possa essere apposta solo in riferimento a determinate norme del trattato ed essa ricada, invece, su altre norme, e, infine, nel caso in cui sia incompatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato. CRITERI DI INTERPRETAZIONE: sono 4 i criteri seguiti per interpretare un accordo internazionale: 1. la buona fede 2. l’interpretazione letterale 3. l’interpretazione soggettivistica 4. l’interpretazione teleologica BUONA FEDE: è una condotta che non nuoce all’effetto che una determinata norma deve raggiungere. In caso di contrasto, le parti dovranno dimostrarsi reciproca correttezza e tener conto delle rispettive esigenze ed interessi. INTERPRETAZIONE LETTERALE: è ritenuto il criterio più importante perché favorisce una comprensione immediata dei termini dell’accordo da parte di tutti coloro che lo prendono in esame. INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA: vi si ricorre nel caso in cui l’interpretazione letterale risulti insoddisfacente. Guarda alla volontà delle parti, desumibile dal contesto in cui l’accordo è stato stipulato e dall’intenzione degli stati stessi. INTERPRETAZIONE TELEOLOGICA: tiene conto dell’oggetto dell’accordo e delle finalità che le parti volevano perseguire al momento della stipula. CAUSE DI INVALIDITA’: sono circostanze di fatto che incidono sulla manifestazione del consenso da parte degli stati contraenti oppure sul contenuto delle disposizioni dell’accordo, rendendolo invalido ex tunc, ossia dalla sua origine. L’invalidità può essere: ▲ Assoluta: può essere invocata da chiunque ne abbia interesse, anche se non ha preso parte all’accordo. Determina la nullità dell’accordo stesso. ▲ Relativa: può essere invocata solo dalla parte il cui consenso risulti viziato. Determina l’annullabilità dell’accordo. L’invalidità colpisce il trattato nel suo complesso, a meno che le parti non abbiano stabilito diversamente o a meno che essa riguardi solo alcune clausole che possono essere separate dal resto del trattato perché non ne costituiscono la base essenziale del consenso. Le cause di invalidità sono tassative, non possono esserne create di nuove, e sono stabilite dalla Convenzione di Vienna (la Convenzione sul diritto dei trattati). Per ciò che riguarda l’invalidità assoluta, tali cause sono: ▲ La violenza esercitata sul rappresentante mediante la minaccia o l’uso della forza. ▲ La violenza esercitata sullo stato mediante la violazione della norma imperativa che vieta il ricorso alla minaccia o all’uso della forza nelle relazioni internazionali. ▲ La violazione di norme di ius cogens Per ciò che riguarda l’invalidità relativa, invece, le cause di invalidità sono: ▲ La violazione delle norme interne sulla competenza a concludere un accordo ▲ L’eccesso di potere del rappresentante (vedi discorso sui plenipotenziari) ▲ L’errore: si verifica quando uno stato, per cause indipendenti alla sua volontà, conclude un accordo internazionale basando il proprio consenso su un elemento in realtà inesistente. ▲ Il dolo: si verifica quando uno stato viene indotto a concludere un accordo internazionale dal comportamento fraudolento di un altro stato che ha partecipato ai negoziati. ▲ La corruzione: si verifica quando uno stato ha concluso un accordo internazionale solo perché il proprio rappresentante è stato corrotto da un altro stato che ha partecipato ai negoziati. MOBILITA’ DELLE FRONTIERE: in caso di annessione di una porzione del territorio di uno stato da parte di un altro stato, o in caso di cessione di parte del territorio di uno stato ad un altro, i trattati di cui è parte lo stato che annette o cede avranno efficacia anche nella nuova porzione di territorio, a meno che ciò non sia incompatibile con l’oggetto e lo scopo di questi trattati o a meno che le condizioni di applicabilità mutino radicalmente. L’ADATTAMENTO DEL DIRITTO INTERNO AL DIRITTO INTERNAZIONALE L’ adattamento è il procedimento che consente a norme giuridiche estranee ad un ordinamento di essere applicate e di produrre effetti all’interno di un ordinamento statale. Ogni ordinamento statale prevede le disposizioni necessarie a recepire le norme di diritto internazionale, rendendole, così, efficaci e operative. Nell’ordinamento italiano il procedimento di adattamento può essere di 2 tipi: 1. ordinario, che prevede che la norma internazionale venga interamente riformulata all’interno di una fonte tipica dell’ordinamento nazionale. 2. Speciale, che prevede che la fonte dell’ordinamento interno si limiti ad ordinare l’osservanza della norma internazionale, rinviando direttamente a questa per stabilirne il contenuto. PROCEDIMENTO ORDINARIO: la norma internazionale adattata seguendo il procedimento ordinario rimane separata da quella interna. Ciò comporta che le vicende che la interessano (modifiche, abrogazione ecc…) non si riflettano su quella interna che l’ha recepita. Proprio x questo motivo è un procedimento poco usato, obbligatorio solo nel caso di norme internazionali auto-esecutive. Si fa, ad ogni modo ricorso al procedimento ordinario in 3 casi: 1. quando la norma internazionale è troppo generica e deve essere specificata in sede di recepimento. 2. quando la norma internazionale non è sufficientemente precisa e, in sede di recepimento, occorre, quindi, integrarla. 3. quando la norma internazionale contiene precetti alternativi e in sede di recepimento occorre sceglierne uno. PROCEDIMENTO SPECIALE: il rinvio alla norma internazionale può essere di 2 tipi: 1. formale 2. materiale Il rinvio formale è il procedimento mediante il quale la norma dell’ordinamento interno si riferisce direttamente a quella internazionale, permettendo, così, di venire a conoscenza anche delle eventuali modifiche, integrazioni ecc… che la norma internazionale possa aver subito. Il rinvio materiale è il procedimento mediante il quale la norma internazionale viene incorporata in quella interna, che, come accade nel procedimento ordinario, non potrà venire a conoscenza di eventuali modifiche, integrazioni ecc… della norma internazionale. ADATTAMENTO ALLE NORME CONSUETUDINARIE: art.10, comma 1 della Costituzione italiana. Le norme di diritto internazionale generale, al momento della loro formazione, entrano automaticamente a far parte dell’ordinamento giuridico italiano. Viene seguito, così, un procedimento di adattamento speciale mediante rinvio mobile, il quale attribuisce efficacia interna a tutte le norme consuetudinarie, presenti e future, che l’ordinamento internazionale produce, nonché tutte le eventuali modifiche che tali norme possono subire. Poiché la norma di adattamento è contenuta nella Costituzione, la norma internazionale introdotta nell’ordinamento italiano per effetto di tale norma può godere dello stesso rango. In caso di antinomia tra le 2 norme, però, si ritiene che debba comunque prevalere la legge costituzionale, in modo da salvaguardare i principi fondamentali della Costituzione italiana. Solo nel caso di antinomia tra una norma recepita ai sensi dell’art.10, comma 1 e una legge ordinaria successiva il conflitto sarà risolto a favore della prima. ADATTAMENTO AGLI ACCORDI INTERNAZIONALI: non è previsto un articolo all’interno della Costituzione italiana che disciplini l’adattamento agli accordi internazionali, a differenza di quanto accade per il diritto internazionale generale. Il legislatore nazionale, quindi, deve di volta in volta scegliere uno dei procedimenti a disposizione. Il procedimento di adattamento ai trattati internazionali utilizzato più di frequente è il cosiddetto ordine di esecuzione. E’ un procedimento speciale di rinvio fisso mediante il quale la norma interna incorpora le disposizioni contenute nell’accordo da recepire. Generalmente l’ordine di esecuzione è contenuto nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica di un accordo internazionale. In questo caso lo stato italiano, ratificando l’accordo, lo recepisce all’interno del suo ordinamento. Ad ogni modo l’ordine di esecuzione non avrà efficacia nel diritto interno fino a quando l’accordo non entrerà in vigore. Dal punto di vista delle fonti, l’ordine di esecuzione sarà contenuto in un atto normativo del rango che si intende attribuire all’accordo internazionale. In caso di antinomie tra fonti dello stesso grado, una delle quali contenga l’ordine di esecuzione, è necessario far prevalere gli obblighi internazionali. Questo è quanto sancito dall’art.117, comma 1 della Costituzione, introdotto nel 2001. Prima di allora la Costituzione italiana non contemplava alcuna disposizione in grado di stabilire con certezza la prevalenza. L’eventuale adozione di una legge interna in contrasto con gli impegni precedentemente assunti dallo stato italiano per effetto di un accordo internazionale stipulato configura un’ipotesi di illegittimità costituzionale, oltre a violare il diritto internazionale. L’art.117, comma 1, però, non dice se tutti gli accordi stipulati dallo stato italiano possano limitare la potestà del legislatore, o se possano solo quelli la cui ratifica è autorizzata con legge del Parlamento ai sensi dell’art.80 (trattati internazionali di natura politica, o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi). La soluzione più coerente sarebbe quest’ultima, ma non vi è alcuna certezza al riguardo. La Corte Costituzionale ha emesso nel 2007 diverse sentenze sui problemi posti dall’art.117, comma 1, affermando che, nonostante tutto, le norme internazionali non possono ritenersi incondizionatamente vincolanti per le leggi nazionali e la Corte deve comunque sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dal rispetto degli obblighi internazionali e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti. ADATTAMENTO ALLE FONTI DI TERZO GRADO: nell’ordinamento italiano viene privilegiato il ricorso al procedimento ordinario. Gli atti prodotti dalle organizzazioni internazionali, quindi, vengono riformulati in un provvedimento ▲ le organizzazioni internazionali, che godono della stessa immunità entro i limiti funzionali allo svolgimento delle attività istituzionali (non esiste, però, ancora una norma consuetudinaria che conceda realmente tale immunità, ma la Carta delle Nazioni Unite afferma esplicitamente che “l’organizzazione gode nel territorio di ciascuno dei suoi membri, dei privilegi e delle immunità necessari per il conseguimento dei suoi fini”. Il beneficio è concesso anche agli “esperti che effettuano missioni per le Nazioni Unite”). LA RISOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI Mancando un apparato sovraordinato agli stati che detenga la funzione giudiziaria, è necessario provvedere ad un sistema di regole che consenta di risolvere i conflitti che possono sorgere in relazione ai rispettivi interessi degli stati o quando uno stato non rispetti il diritto internazionale, senza che si renda necessario ricorrere all’uso della forza. Gli elementi che caratterizzano una controversia internazionale sono: ▲ la soggettività internazionale dei contendenti (se, infatti, una delle 2 parti in lite non ha personalità giuridica internazionale, la controversia viene risolta sulla base del diritto interno applicabile). ▲ L’esistenza di una pretesa vantata da uno dei contendenti e la resistenza a questa pretesa o la contropretesa da parte dell’altro contendente. La resistenza consiste nella negazione della pretesa; la contropretesa, invece, è una pretesa opposta alla prima, incompatibile con il suo soddisfacimento. Le controversie internazionali devono essere risolte sulla base dell’uguaglianza sovrana e in conformità al principio della libera scelta dei mezzi di risoluzione. Gli stati, quindi, non possono essere costretti a scegliere un mezzo piuttosto che un altro. L’unico obbligo è quello sancito dall’art.2, comma 3, della Carta delle Nazioni Unite, secondo cui gli stati membri dell’organizzazione devono risolvere le controversie con mezzi pacifici, in modo da non mettere in pericolo la pace, la sicurezza internazionale e la giustizia. Tale articolo è diventato a tutti gli effetti una norma consuetudinaria di natura imperativa. Le controversie internazionali possono avere natura: ▲ Giuridica ▲ Politica Non è sempre facile stabilirne la natura, poiché in una controversia possono coesistere elementi diversi. Tradizionalmente si considerano giuridiche le controversie che riguardano una materia già regolata in base al diritto internazionale, mentre si considerano politiche quelle che vertono su questioni per cui non esistono norme internazionali applicabili. Secondo lo Statuto della Corte internazionale di giustizia, sono controversie giuridiche: ▲ L’interpretazione di un trattato ▲ Qualunque questione di diritto internazionale ▲ L’esistenza di qualsiasi fatto che, se accertato, costituirebbe violazione di un obbligo internazionale. ▲ La natura o la misura della riparazione dovuta per la violazione di un obbligo internazionale. I mezzi di risoluzione delle controversie possono essere: ▲ Diplomatici, quando l’accordo delle parti è necessario per sancire la definizione della controversia ▲ Giudiziari, quando per dirimere la controversia le parti si accordano per ricorrere ad un soggetto terzo ed imparziale con funzioni decisorie (un organo arbitrale o un tribunale internazionale). L’art.33 della Carta delle Nazioni Unite fornisce l’elenco dei mezzi diplomatici di risoluzione delle controversie più utilizzati. Essi sono: ▲ I negoziati ▲ La mediazione ▲ L’inchiesta ▲ La conciliazione ▲ Il ricorso ad organizzazioni o accordi regionali Accanto a questi, nella prassi si è affermato anche il ricorso ai cosiddetti buoni uffici. NEGOZIATI: non esiste una procedura specifica per condurre un negoziato. Vengono, quindi, applicate le norme della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati utilizzate per tutti gli altri procedimenti di formazione di accordi internazionali. I negoziati sono lo strumento di risoluzione delle controversie più semplice, al quale gli stati generalmente ricorrono prima di ogni altro strumento alternativo. BUONI UFFICI: con questa espressione si vuole far riferimento all’attività di persuasione di un soggetto terzo, finalizzata a mettere in comunicazione tra loro le parti in lite, favorendo con il suo intervento l’avvio o la ripresa dei negoziati. Non vengono, pertanto, proposte soluzioni alle parti. MEDIAZIONE: a differenza dei buoni uffici, il mediatore ha il compito di facilitare la conclusione dei negoziati, anche presentando alle parti proposte di accordo ufficiose e non vincolanti. INCHIESTA: compito della commissione d’inchiesta è di accertare i fatti che hanno determinato l’insorgere della controversia. Vi si ricorre in caso di controversie caratterizzate da profonde divergenze in merito all’accertamento delle circostanze, oppure quando alcune di queste circostanze risultino poco chiare. L’attività della commissione d’inchiesta può, a volte, condurre all’accertamento di responsabilità per fatto illecito a carico di una o di entrambe le parti in lite. L’istituzione di commissioni di inchiesta può essere talvolta prevista all’interno di accordi internazionali al verificarsi di determinate situazioni. CONCILIAZIONE: il soggetto terzo ha il compito di procedere ad un preventivo esame della controversia in modo da formulare poi alle parti delle proposte ufficiali di definizione, ma non vincolanti, a differenza dell’arbitrato. Le parti, infatti, potranno sempre rifiutarsi di aderire ad una soluzione proposta da una commissione di conciliazione, anche se un rifiuto irragionevole o immotivato verrebbe ritenuto politicamente scorretto e accolto con sfavore dalla comunità internazionale. Il ruolo del conciliatore è, quindi, simile a quello del mediatore, ma più penetrante. Per quanto riguarda, invece, i mezzi giudiziari di risoluzione delle controversie, quello cui vi si ricorre più di frequente è l’arbitrato internazionale. Esso prevede l’istituzione di un organo ad hoc, con il compito di esaminare la controversia ed emettere una pronuncia vincolante per le parti, sulla base del diritto internazionale materiale applicabile. Il lodo è generalmente definitivo, ma le parti possono prevedere che, a determinate condizioni, sia possibile un riesame. L’arbitrato può essere istituito mediante: ▲ Compromesso LA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA: è stata istituita nel 1945. E’ il massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite. Svolge una duplice funzione: ▲ Contenziosa, in quanto risolve le controversie giuridiche tra stati membri delle Nazioni Unite o che abbiano aderito anche solo allo statuto della Corte. La competenza contenziosa può essere attivata mediante un compromesso o una clausola compromissoria, oppure mediante una dichiarazione unilaterale di accettazione della giurisdizione della Corte, emessa da parte di determinati stati e depositata presso il Segretario Generale delle Nazioni Unite. ▲ Consultiva, in quanto emette pareri su qualunque questione giuridica richiesta. La competenza consultiva può essere attivata dall’Assemblea generale o dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché dagli istituti specializzati previa autorizzazione dell’Assemblea generale. In questo caso i pareri della Corte non sono vincolanti. E’ composta da 15 giudici indipendenti, eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nominati a rotazione secondo una procedura che ne garantisca la provenienza dalle diverse aree del mondo e dai rispettivi ordinamenti. I giudici durano in carica 9 anni e sono rieleggibili. La loro elezione, tuttavia, non è simultanea: ogni 3 anni, infatti, si procede all’elezione di 1/3 dei membri della Corte. Nei suoi giudizi la Corte non è vincolata all’applicazione del diritto materiale indicato dalle parti, ma può decidere in base a qualsiasi norma di diritto internazionale. Se non rileva alcuna disposizione applicabile, può ricorrere al principio dell’ex aecquo et bono. Le sue sentenze hanno valore obbligatorio solo tra le parti e in riferimento alla controversia che è stata risolta, e sono definitive. Possono avere natura: ▲ Dichiarativa quando la Corte applica una o più norme internazionali alla controversia in esame. ▲ Costitutiva quando la Corte giudica secondo equità, in assenza di norma internazionali applicabili, creando, così, nuove situazioni giuridiche a favore di una parte e a scapito dell’altra. L’ILLECITO INTERNAZIONALE E LA RESPONSABILITA’ Nel diritto internazionale si configura un illecito quando un soggetto dotato di personalità giuridica internazionale commette la violazione di un obbligo derivante da una norma internazionale. Ciò determina l’applicazione automatica di alcune regole speciali, chiamate norme secondarie, nei rapporti tra il soggetto autore dell’illecito e il soggetto leso. Anche le norme secondarie hanno origine consuetudinaria e sono state codificate dalla Commissione di diritto internazionale nel Progetto di articoli sulla responsabilità degli stati, approvato prima nel 1996 e poi nel 2001. Gli elementi costitutivi di un illecito internazionale sono 2: 1. L’imputabilità dell’illecito ad un soggetto internazionale. Questo è l’elemento soggettivo. 2. La violazione di un obbligo internazionale vigente al momento in cui si è verificato l’illecito. Questo è l’elemento oggettivo. Non rilevano, invece, il dolo e la colpa in quanto il compimento di un illecito internazionale prescinde dall’elemento psicologico del soggetto agente. Lo stato che commette un illecito internazionale è sempre responsabile, sia che abbia agito dolosamente, quindi con coscienza e volontà, sia che abbia agito colposamente, quindi per imprudenza, negligenza o imperizia, sia che abbia agito indipendentemente dalla sua volontà, per caso fortuito. Il compimento di un illecito internazionale prescinde anche dall’esistenza di un danno materiale o morale risarcibile. Basti pensare alla violazione di obblighi erga omnes posti a tutela di valori fondamentali della comunità internazionale. Possono presentarsi, però, dei casi in cui lo stato responsabile di illecito può provare che la propria condotta sia dipesa dal verificarsi di situazioni esterne, definite esimenti. La responsabilità internazionale sarà oggettivo-relativa se non operano le esimenti, oppure oggettivo-assoluta nei casi in cui operano le esimenti e si configuri, così, una responsabilità aggravata. ELEMENTO SOGGETTIVO: ai fini dell’imputazione della responsabilità internazionale, rileva qualsiasi comportamento illecito posto in essere da organi dello stato. Quindi ogni individuo che ricopre una carica ufficiale nell’ambito dell’apparato statale è in grado di impegnare lo stato di appartenenza ai fini della commissione di un illecito internazionale. Il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato un atto di uno stato ai sensi del diritto internazionale se la persona o il gruppo di persone agiscono su istruzioni, o sotto la direzione o il controllo di quello stesso stato. Anche i servizi segreti o i gruppi paramilitari che agiscono sulla base di istruzioni ricevute dallo stato di appartenenza, quindi, in caso di violazione di un obbligo internazionale, rendono lo stato cui appartengono responsabile di un illecito internazionale. Lo stato non è, invece, responsabile nel caso in cui gli atti illeciti vengano commessi da privati, a meno che lo stesso stato non dichiari di assumersi volontariamente la responsabilità. Ad ogni modo per risultare non responsabile è necessario che lo stato sia in grado di dimostrare di non aver potuto evitare che l’illecito venisse commesso. In mancanza di questa prova lo stato in questione sarà ritenuto responsabile non dell’illecito in sé, ma di omessa vigilanza. ELEMENTO OGGETTIVO: nessuno stato può essere ritenuto responsabile per la violazione di un obbligo insussistente al momento in cui la violazione è stata compiuta. L’illecito internazionale può essere classificato sia sulla base della condotta posta in essere dallo stato agente sia sulla base del tempo di durata. Nel caso della condotta, l’illecito può essere: ▲ Commissivo quando consiste nella violazione di un obbligo di non fare. ▲ Omissivo quando consiste nella violazione di un obbligo di fare. Nel caso della durata, invece, l’illecito può essere: ▲ Istantaneo ▲ Continuato se la condotta illecita si protrae nel tempo. ▲ Complesso se l’illecito è determinato da una serie di azioni o di omissioni tra loro collegate da un unico scopo. LE CAUSE DI ESCLUSIONE DELL’ILLECITO INTERNAZIONALE: LE ESIMENTI. Sono determinate situazioni in presenza delle quali una condotta apparentemente illecita trova giustificazione per il diritto internazionale, impedendo il sorgere della responsabilità in capo al soggetto agente. Ogni stato che commetta un illecito internazionale, in presenza di tali esimenti, potrà invocare queste circostanze per giustificare la propria condotta, ma dovrà comunque tornare a rispettare l’obbligo violato a partire dal momento in cui la circostanza esimente non sussisterà più. L’invocazione di queste circostanze non può, però, pregiudicare la richiesta di un indennizzo da parte dello stato leso per le eventuali perdite subite. Le cause di esclusione dell’illecito internazionale sono tassative e sono: ▲ Il consenso dell’avente diritto. Il consenso prestato da uno stato alla commissione di un atto da parte di un altro stato esclude l’illeceità dell’atto in sé. Se il consenso, però, viene prestato successivamente alla commissione dell’atto, questo non può essere ritenuto lecito. Il consenso, ad ogni modo, incide sulla misura della riparazione.