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Diritto internazionale Fonti del diritto internazionale, Sintesi del corso di Diritto Internazionale

Diritto internazionale, tratta delle fonti del diritto internazionale nello specifico

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 29/09/2016

FABRIZIO2491
FABRIZIO2491 🇮🇹

4.2

(63)

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Scarica Diritto internazionale Fonti del diritto internazionale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE 1. consuetudine 2. trattato per quanto riguarda la consuetudine è necessario un elemento oggettivo (esistenza di una prassi generalizzata tra i soggetti dell'ordinamento) e uno soggettivo (uno Stato può adottare un certo comportamento senza pensare che deve rispettare una norma giuridica, non ci si vincola a quel determinato comportamento, non c'è si crea un precedente). L'elemento psicologico può assumere 2 forme: - opinio (di due tipi): • iuris = convinzione che il comportamento che si sta tenendo è imposto da una regola giuridica già esistente (opinione sul contenuto del diritto), non se ne vuole creare una nuova ma semmai consolidarla; così forse se ne origina una nuova. È confermatrice perché espressa in base al diritto vigente. • necessitatis = il soggetto crede che il suo comportamento si conforma in base ad una norma che non esiste ancora nell'ordinamento internazionale, ma che propongo con il mio comportamento (formazione di una nuova regola, si vuole un cambiamento nel diritto). É dinamica perché va a modificare l'ordinamento volendo introdurre una nuova regola. - prassi = nel diritto internazionale non esiste accordo/ consenso tra gli Stati sul concetto di prassi, quindi il concetto di prassi stesso è problematico. Il concetto di prassi dovrebbe essere definito dai soggetti stessi. Quindi il concetto di consuetudine viene definito dai soggetti stessi. C'è una super consuetudine che definisce il criterio della consuetudine, come allo stesso tempo la costituzione definisce cos'è la legge. Non c'è la legge internazionale: non c'è fonte generalizzata del diritto internazionale, l'unica fonte è la consuetudine. In riferimento al comportamento individuale dello Stato si parla di un contributo completo offerto da un singolo stato alla formazione della consuetudine. Per definire il concetto di prassi si può partire da un esempio: uno Stato si presenta al palazzo di vetro dell'Onu per una riunione e sostiene che una determinata norma dovrebbe far parte del diritto internazionale, cerca quindi di dare avvio al progetto di formazione di una consuetudine. Qui è presente l'opinio, ci si chiede se c'è anche la prassi. Per capire il punto è utile impiegare la terminologia anglosassone che distingue tra deeds e words. In riferimento a ciò vi sono 2 tesi e quindi due diverse impostazioni definibili come prassi: 1° tesi(concezione estesa): condivisa dagli Stati più deboli (Paesi in via di sviluppo) che costituiscono la maggioranza dei paesi perché sono più numerosi. 1. deeds (fatti) = comportamento giustificato dalla norma. 2. words (parole) = quando uno stato esprime un'opinione a cui però non seguono i fatti Questi due concetti fanno parte del concetto di prassi, quindi la prassi è composta dall'elemento del fatto e della parola; ricomprende anche gli atti puramente verbali. 2° tesi (concezione restrittiva) : condivisa dagli Stati più forti. Esiste un'altro modo di concepire il concetto di prassi che la limita alla sola presenza del deeds. La questione si complica ulteriormente perché all'interno di questa concezione restrittiva c'è un modo ancora più restrittivo per definire il concetto di prassi. Norma fondamentale del diritto internazionale, e quindi definibile in base a consuetudine: viene vietato l'utilizzo della forza armata; è ammessa solo la legittima difesa, uno stato può quindi reagire per difendersi (legittima difesa individuale). Si può parlare anche di legittima difesa collettiva, è il caso in cui altri stati possono legittimamente agire in difesa di uno stato che viene attaccato, quindi anche stati diversi da quello attaccato direttamente possono intervenire a fine di difesa. Ad esercitare la legittima difesa collettiva sono gli stati terzi. Il concetto di attacco armato nel diritto internazionale non è definibile in base alla carta fondamentale del diritto internazionale, ci pensa quindi la consuetudine a rilevare una definizione (si rileva la consuetudine). La Corte per rilevare la consuetudine si rivolge ad una serie di atti dell'Assemblea generale, soprattutto le risoluzioni che sono atti non vincolanti viene vista come rispecchiamento della norma non scritta. Gli Stati si riuniscono per definire un determinato concetto, in questo caso quello di aggressione; abbiamo quindi un insieme di words(es: 1974: definizione di aggressione). La Corte viene criticata proprio per questo, perché da una ricostruzione partendo dalle parole ma non si nota la vera prassi degli stati. Questa critica non è comprensibile se consideriamo il tipo di condotta di cui stiamo parlando, infatti la condotta così descritta è vietata. 3° tesi(Concezione ancora più restrittiva del concetto di prassi): Il problema emerge nel caso di prassi corrispondente. Es: zona economica del Cile, che in quanto a paese costiero è nel limite di 200 miglia marine. In base a ciò il Cile ha diritto di sfruttare le risorse marine entro le 200 miglia, oltre quel limite si parla di territorio internazionale. Il Cile oltre il suo territorio non può intervenire; è spesso praticata la pesca da parte di altri Stati al confine con la zona economica cilena. Il Cile rispetta il divieto di non pescare in un territorio altrui, ma secondo alcune impostazioni per passare all'atto il Cile non può limitarsi a rispettare il divieto, ma dovrebbe fare qualcosa in modo da impedire che gli altri Stati peschino nel tratto di mare presenziale; quindi qui la concezione di deeds è ancora più restrittiva perché è un comportamento che tende ad attenuare coercitivamente la regola (se non viene rispettata la regola c'è qualcuno che interviene per farla rispettare). Se il comportamento del Cile viene seguito anche da altri Stati questo può diventare una consuetudine internazionale perché è un comportamento condiviso; se invece rimane un comportamento tipico solamente del Cile e se questo non esercita nessun tipo di comportamento per far si che divenga consuetudine non la diventa. Ci sono quindi alcuni Stati che vedono la consuetudine in un modo, e altri che la vedono in un'altro modo. Tutti i contendenti però pensano che esista un solo tipo di consuetudine, anche se si hanno concezioni diverse. Quando due Stati si contendono la ragione davanti ad un giudice, non esprimono la propria concezione rispettando le altre ma pensano che solo la propria concezione sia quella ritenuta valida; davanti ad una controversia in pratica succede che gli Stati raggranellano il numero più elevato possibile di elementi che per loro significa prassi sperando che il giudice internazionale si pronunci a loro favore. Il "gioco" della consuetudine è aleatorio nei risultati, infatti in pratica in sede giudiziale non si approfondisce mai la questione della consuetudine. Punti di riferimento per definire la consuetudine: 1. giurisprudenza delle corti internazionali 2. progetti o convenzioni di codificazione ( viene verbalizzato il diritto non scritto) 3. prassi: vale la prassi di tutti gli organi di un determinato stato Regola dell'immunità: secondo il diritto internazionale uno stato non può essere giudicato da un'altro stato. Quando uno stato è però sospettato di aver commesso un crimine internazionale (crimini di guerra, genocidio) non ci si può avvalere dell'immunità, questo è previsto dal diritto internazionale generale. Trattato del 1958 :questione di confine tra Nicaragua e Costa Rica. Il fiume San Juan che divide i due stati è territorio del Nicaragua ma in base al diritto internazionale il Costa Rica ha diritto di navigazione ma non quello di sfruttamento delle risorse quindi come regola generale non può essere praticata la pesca anche se negli ultimi tempi nella Costa Rica c'è l'usanza della pesca di sussistenza; ci si chiede se può essere praticata. Questa prassi non è però un comportamento dello stato ma di persone che vivono sul territorio di quello Stato, quindi secondo il Nicaragua manca la prassi. La Corte si disinteressa del problema quindi queste persone che praticano pesca di sussistenza da vita ad una norma consuetudinaria quindi viene ammessa la possibilità di soggetti estranei alla dinamica dello Stato di formare una consuetudine: in questo caso consuetudine bilaterale applicabile ai rapporti tra Costa Rica e Nicaragua; è una norma interstatuale. Gli individui entrano nel processo di formazione apparentemente come protagonisti ma poi vengono spogliati da tale ruolo e da qualsiasi diritto. PROBLEMA DELLA CODIFICAZIONE Oltre alla consuetudine come fonte c'é il trattato, cioè un atto tra due Stati valevole solo tra le parti che l'anno sottoscritto. La codificazione si é sempre fatta tramite della stipulazione di trattati. In base all'art 13 della Carta dell'Onu è previsto che l'Assemblea generale si occupi, tra le altre cose di 1 atto: 2 diritti Es: nel 1960 una squadra di agenti israeliani penetra in Argentina per catturare Heikmann (capo di un campo di concentramento); esso viene catturato violando i diritti dell'Argentina. L'Argentina protesta e Israele chiede scusa. Nel 1962 viene pronunciata la sentenza di condanna a morte per Heikmann, da parte della corte suprema di Israele. In base al codice penale israeliano nella sentenza in questione si fa riferimento al diritto interno ma si parla di crimini contro l'umanità quindi viene applicato il diritto internazionale (ci sono sia elementi di prassi interna, sia di prassi internazionale): il processo contro Heikman viene eseguito secondo le norme israeliane. La Corte è sintonizzata sui principi generali di diritto: se simultaneamente nella generalità degli ordinamenti statuali noi potremmo avere un nodo processuale che arriva fino all’ordinamento internazionale. Nella stessa sentenza Heikmann viene condannato per aver commesso crimini contro l’umanità, quindi viene applicato il diritto internazionale (opinio iuris genzium). Es: Protezione diplomatica: è un istituto classico del diritto internazionale che denota l'azione che può intraprendere uno stato per tutelare un proprio cittadino o impresa. L'esercizio della protezione diplomatica non è un obbligo a carico dello Stato, ma solo una possibilità; può darsi che non vi faccia ricorso perché vuole mantenere buoni rapporti con quel determinato Paese. Negli ultimi anni si è fatta avanti un'idea secondo cui in caso di grave violazione dei diritti fondamentali (es: tortura), lo Stato di appartenenza è obbligato ad agire mediante la protezione diplomatica. Nelle costituzioni di alcuni Stati (es: Sudafrica, Svizzera) è previsto per i cittadini di quegli Stati il diritto alla protezione diplomatica nel caso di violazione di diritti fondamentali. La Commissione di diritto internazionale ha trattato a lungo sulla questione e ha pensato di inserire questo istituto in un progetto internazionale. L'idea non ha avuto successo ma si è giunti ad un compromesso: sono state inserite delle linee guida in tema in fondo all'articolato. Questo istituto è diffuso nella maggioranza dei Stati; anche nel caso in cui fosse introdotto in tutti gli ordinamenti ciò non basterebbe per creare un principio internazionale. Se l'obbligo fosse internazionale ogni Stato potrebbe denunciarne un'altro che ha rinunciato a tutelare un proprio cittadino. Un conto è riconoscerla nell’ambito dell’ordinamento nazionale (se lo Stato non adempie all’obbligo ci sarà un processo e si esaurisce tutto lì); sul piano dell’ordinamento internazionale, uno Stato rinuncia all’obbligo di protezione diplomatica: potrebbero sollevare la questione i cittadini stessi o tutti gli altri Stati. L’obbligo è esigibile dagli altri Stati. La prassi interna viene quindi trasposta sul piano internazionale dall’opinio iuris gentium. L’opinio è necessaria perché non è detto che una norma largamente diffusa nell’ambito dell’ordinamento interno sia idonea a regolare fattispecie in ambito internazionale. Si fa l'uso più massiccio dei principi generali di diritto in riferimento ai Tribunali penali internazionali: operano in base al diritto non scritto (è un'eccezione e non la regola). Esempi significativi possono essere i casi del Tribunale del Ruanda del 1994 e Tribunale per l'ex Jugoslavia del 1993: sono i tribunali penali su cui si basa buona parte del diritto internazionale. Questi tribunali, al momento della loro creazione operavano in base al diritto non scritto (consuetudini e principi generali) perché non c'era diritto scritto su cui basarsi. La funzione principale dei due tribunali è stata quella di andare a cercare la soluzione ad un problema nel diritto interno, possono quindi disinteressarsi dell'opinio perché le norme di cui si occupano sono quelle interne che riguardano sempre lo scontro tra la pubblica autorità e l'individuo: è considerata un'eccezione perché normalmente è necessaria l'opinio. La norma penale internazionale non disciplina rapporti tra Stati in senso stretto. Se il giudice internazionale constata uniformità di soluzioni, si può presumere che la stessa norma debba applicarsi sul piano internazionale. Presupposto: i principi generali sono consuetudini. Se è così ci vuole l’opinio. Non ci basta constatare l’uniformità delle soluzioni. Una norma accettata da tutti gli Stati a fini interni, può essere non accettata sul piano internazionale. Tutto ciò sembra essere smentito dalla giurisprudenza dei tribunali penali internazionali: si limitano a constatare l’uniformità delle soluzioni ignorando l’opinio. Ma questo è un caso del tutto particolare. La sua conformazione si spiega partendo da certe considerazioni del tutto particolari perché i rapporti da regolare sono verticali, fra potere pubblico e individuo. La regola è che ci vuole l’opinio. Il caso dei tribunali è l’eccezione rispetto alla regola. • Come procedono i tribunali penali internazionali? I giudici dovrebbero fare una comparazione con tutti gli ordinamenti statuali esistenti ma è materialmente impossibile quindi trovano delle scorciatoie. Per cercare i principi generali si prendono in considerazione gli ordinamenti di civil law e common law e vengono paragonati questi due sistemi (si fanno dei campioni su una quindicina di ordinamenti), da cui poi vengono determinati i principi generali di diritto che vengono fatti valere in giudizio. N.B: I principi generali di diritto vanno distinti dai principi generali del diritto. 1. in riferimento ai principi generali di diritto: • si parla di fonti; • si chiamano così perché si formano in un certo modo e non perché hanno determinate caratteristiche (come una norma viene ad esistere); • può essere una norma prescrittiva. 2. in riferimento ai principi generali del diritto: • siamo nell'ambito di teoria delle norme , ci si concentra sulla proprietà di norme che sono già formate nel diritto vigente; si parla di norme che esistono già. Principi generali del diritto: sono delle norme caratterizzate da una formulazione generica che permette di sintetizzare il contenuto di un settore dell'ordinamento; sono vaghi e generali nella loro natura. Principi in senso generico: spesso ci si riferisce ad essi come sinonimo di norma o regola, ma la parola principio non ha quel significato anche se spesso viene utilizzato in modo generico. Quindi questa ricostruzione non è corretta. FONTI DELL'ORDINAMENTO INTERNAZIONALE: TRATTATI Trattato = atto scritto che racchiude un patto/accordo stipulato tra due o più soggetti di diritto internazionale. Non si parla solo di Stati perché i trattati possono essere conclusi anche da soggetti diversi dagli Stati. Quando si parla di trattati si fa riferimento alla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, gode di un successo talmente grande da poter essere considerata uno specchio valevole della consuetudine; non si occupa dei trattati in generale ma solo di quelli conclusi tra stati in forma scritta. Esistono però trattati conclusi anche in forma orale ma la Convenzione di Vienna si occupa solo di trattati conclusi in forma scritta, i trattati orali sono molto rari. Una successiva Convenzione di Vienna del 1986 si occupa di trattati conclusi tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali ( es: tratto concluso tra Onu e Wto). La disciplina delle due Convenzioni di Vienna è uguale, l'unica cosa che fa la seconda è estendere la disciplina relativa alla prima Convenzione anche alle relazioni tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali. C'è poi un'estensione, prevista dalla Convenzione di Ginevra, delle due Convenzioni, infatti viene presa in considerazione anche quando si tratta di accordi conclusi da soggetti diversi da quelli previsti dai due trattati (interpretazione estensiva). Nella Convenzione di Vienna troviamo: 1. cause di invalidità; 2. cause di sospensione; 3. cause di estinzione dei trattati; 4. casuse di risoluzione. Come si forma un trattato? Si distinguono varie fasi: 1-Negoziato: avviene fra 2 parti (es: 2 Stati in caso di accordo bilaterale, si negozia solitamente nell'ambasciata di uno dei due paesi) o più di 2 parti ( trattati multilaterali). In genere si convoca una conferenza diplomatica se gli Stati partecipanti sono molti, ma al giorno d'oggi non si fa praticamente più. Per i trattati multilaterali esiste una fase che non c'è quando si parla di trattati bilaterali, questa fase è quella della autentificazione del testo che consiste nella votazione a maggioranza e si adotta il testo scaturito dalla conferenza; che ha valore di autentificazione. Il negoziato termina con la firma; va però notato che firma e autentificazione sono qui due atti separati. Nel caso di accordo bilaterale l'autenticazione si ha con un'altro atto che è la firma, ha quindi valore di autenticazione e fa scaturire il testo definitivo; si passa direttamente dalla negoziazione alla firma. La firma nel processo di formazione dei trattati che valore ha? Assume valore diverso a seconda del procedimento di formazione scelto; ci sono due grandi procedimenti: – in forma semplificata: la firma è l'atto che conclude il processo di formazione, con la firma si dichiara di rispettare il trattato quindi le due parti contraenti si vincolano. – in forma solenne: la firma è un atto interlocutorio perché è seguito da altri atti come la ratifica, la firma non impegna gli Stati contraenti ma ha funzione di autenticazione. Il firmatario si impegna solo ratificando il trattato. Il procedimento in forma solenne è quello più utilizzato, la ragione scaturisce dall'assetto degli stati liberal-democratici infatti è il Governo che stipula gli accordi e si occupa di partecipare al negoziato; in un secondo momento il Parlamento deve controllarlo e autorizzare la ratifica. Il procedimento solenne è a tutela delle prerogative parlamentari; con il procedimento in forma semplificata sarebbe il Governo a seguire tutto il procedimento di formazione del trattato. L'obbligo di rispettare il trattato non sorge necessariamente nel momento della ratifica. Es: trattato bilaterale concluso in forma solenne: uno dei due Stati depositi la ratifica, l'altro non l'ha ancora fatto quindi il trattato non è ancora in vigore finché entrambi gli Stati non procedono alla ratifica. Trattato bilaterale: si parla di scambio di ratifiche. Trattato multilaterale: si parla di deposito delle ratifiche: si identifica un depositario presso il quale devono essere depositate le ratifiche, questo poi notifica a tutti i partecipanti le avvenute ratifiche. Il deposito della ratifica e entrata in vigore del trattato possono essere anche molto distanti. Es : Statuto di Roma (1998) istituisce Corte penale internazionale. Tale trattato prevede che lo statuto entra in vigore nel momento della 60° ratifica, è entrato in vigore nel 2002, quindi da quel momento è diventata operativa la Corte penale internazionale. Art. 80 Cost: i trattati rientranti in una serie di categorie (le categorie sono 5) sono soggetti ad autorizzazione alla ratifica mediante legge parlamentare, è necessaria quindi la forma solenne e il passaggio parlamentare è obbligatorio. Le 5 categorie sono: 1. trattati che comportano la modificazione del territorio dello Stato; 2. trattati che comportano l'assunzione di obblighi giurisdizionali (in caso di controversie sui trattati ci si rivolge ad un arbitro); 3. trattati che comportano modifiche di leggi; 4. trattati che comportano oneri per le finanze (oneri che non sono previsti in bilancio); 5. trattati di natura politica: ha contorni indefiniti, si potrebbe dire che sono i trattati ritenuti "importanti" (trattato delle Nazioni Unite, trattato che istituisce il Wto. • Il divieto di utilizzare la forma semplificata per determinati trattati è un divieto espresso dalla nostra Costituzione e non dal diritto internazionale, se non viene rispettato tale divieto ci si chiede se il trattato è comunque valido a livello internazionale oppure no. In linea di principio è valido perché all'ordinamento internazionale non interessa se ci sono violazioni delle norme interne; però si dice che dipende dai casi ovvero il trattato non è valido se sono presenti in modo simultaneo 2(/3) caratteristiche: 1. violazione di una norma di importanza fondamental;e 2. tale norma di importanza fondamentale deve considerarsi manifesta agli occhi della controparte; 3. é presente un'ulteriore causa di invalidità prevista dall'art 53 della Convenzione di Vienna, si parla di diritto cogente (ius cogens):un trattato il cui contenuto contrasti con lo ius cogens è invalido. Con la Convenzione di Vienna per la prima volta si definisce che nel diritto internazionale esiste una gerarchia delle fonti, si esaurisce l'idea classica secondo cui tutte le norme internazionali hanno lo stesso valore in termine di gerarchia; non c'è più eguaglianza delle fonti: la consuetudine è derogabile a piacere. Per bloccare la Corte devono essere d'accordo tutti i membri permanenti, nonostante ciò gli USA riescono a far applicare l'art 16(30 giugno 2002), scade la missione in Bosnia degli USA e si prevedeva la possibilità di rinnovo anno per anno, tutti si sono trovati d'accordo sulla necessità di prolungarla. Gli USA pongono un veto, gli altri membri permanenti si pronunciano in modo positivo quindi viene previsto il blocco della Corte penale internazionale. La Corte non svolgerà azione penale rispetto a cittadini di Stati terzi (diversi dagli Stati parti) impegnati in missioni delle Nazioni Unite o autorizzate da esse. Questo meccanismo di blocco della Corte l'anno dopo viene rinnovato ma non all'unanimità, l'anno dopo gli USA non propongono nemmeno il rinnovo; quindi questo blocco oggi non esiste più. Contemporaneamente gli USA propongono un accordo bilaterale che prevede: le parti contraenti si impegnavano reciprocamente a non consegnare cittadini dell'altra parte contraente alla Corte o a uno Stato terzo, c'è un obbligo incompatibile con lo statuto: quando uno Stato conclude obblighi incompatibili tra loro si espone alla responsabilità internazionale. Gli Usa cercano di bloccare la Corte con una certa spregiudicatezza e fanno un pò lo stesso con la campagna di stipula dell'appena citato trattato bilaterale (politica di attivo contrasto). Non rimangono più sulla soglia del sistema ma si mettono in lotta contro esso. LE RISERVE AI TRATTATI Riserva: atto unilaterale che interviene in relazione ad un trattato, mediante la quale lo Stato si sottrae dall'osservanza di una o più clausole, pur accettandone il regime generale. Una parte contraente esprime la propria volontà di sottrarsi alla volontà di una o più clausole del trattato, quindi uno Stato può riservarsi di non rispettare alcune clausole di un trattato che va a firmare perché alcuni aspetti non sono conformi ai suoi interessi. Es: Artt. 10- 11 non piacciono ad uno Stato che emette una riserva dicendo che non intende rispettare tali articoli: Riserva interpretativa: da uno Stato possono derivare disposizioni ambigue, l'ambiguità sorge in un momento successivo. Alcune volte gli Stati ne sono consapevoli, altre no. In ogni caso gli Stati hanno la possibilità di emanare una riserva che fissa il significato di una disposizione ad essi opponibile. Nella riserva interpretativa si accettano determinati articoli di un trattato a patto che siano interpretati in un dato modo: – si può apporre una riserva fino al momento del ratifica; – può essere apposta tutte le volte che un trattato non disponga diversamente quindi nel silenzio del trattato possono essere apposte riserve. Ciò è previsto dagli artt. 19-23 della Convenzione di Vienna: nuovo diritto in materia di riserve. Prima del 1951 si poteva apporre riserva solo se previsto dal trattato e in caso di silenzio non si poteva apporre riserva: le parti contraenti dovevano accordarsi in anticipo sulla possibilità di apporre riserve. A partire dagli anni ’50 questa cosa cambia. Nel 1948 l’assemblea generale apre alla firma una importante convenzione, sulla repressione del genocidio. Convenzione sul genocidio: in merito a tale convenzione è presente una clausola compromissoria (disposizione pattizia che può trovarsi nei trattati e in base alla quale i contraenti si impegnano, in caso di controversia a rivolgersi ad un organo giurisdizionale), le parti vogliono apporre una riserva su questa clausola compromissoria perché non vogliono accettare quella clausola(ciò è previsto dall'art 9 della convenzione sul genocidio). Regole sull'opposizione alle riserve: le riserve non devono incidere sull'oggetto e sullo scopo del trattato; non deve quindi riferirsi ad articoli centrali del trattato (es: definizione di genocidio). Non è detto che vengano definiti in modo chiaro oggetto e scopo, per cui in caso di obiezione ci sono due ipotesi: x= stato riservante y= stato obiettante che esprime un obiezione semplice w= stato obiettante che esprime un obiezione recisa -obiezione semplice: sussiste vincolo pattizio tra x e y. -obiezione recisa: tra x e w non sussiste vincolo pattizio. Il trattato si applica tra X e Y a meno della parte colpita dalla riserva. Si applica il trattato ma non la parte colpita da riserva. Sembrerebbe che l’obiezione semplice non produca effetto; ma in realtà non è così; gli effetti si producono si in piano che non è semplice da individuare Z = stato che accetta la riserva di X o può rimanere in silenzio e trascorsi 12 mesi questo silenzio vale come accettazione. Fra Z e W, e fra Z e Y il rapporto pattizio è integro. In realtà l’obiezione semplice produce effetti, ma su un dato piano: supponiamo che dopo la conclusione del trattato emerga una controversia tra X e Y. Nell’ambito di questa controversia ad Y interessa sostenere che la riserva apposta da X è contraria all’oggetto e allo scopo del trattato. Y può farlo davanti al giudice perché al momento opportuno aveva messo le mani avanti. Se X si fosse comportato come Z, acquiescente e non avesse sollevato alcun problema, la sua pretesa nel dire che questa riserva non andava bene, sarebbe davanti al giudice incontestabile. Y esprimendo un’obiezione semplice riserva la propria posizione circa la compatibilità della riserva, circa l’oggetto e lo scopo del trattato. Quindi per appone una riserva, la deve notificare a tutti i nostri contraenti. Supponiamo che Y abbia già ratificato il trattato e X no. X ratifica e appone la riserva. Quando non c’è un giudice tutto è relativo e tutto si risolve in partite bilaterali tra i contraenti. Non nel manuale: che cosa accade ad un atto, la ratifica, al quale si accompagna una riserva illegittima? Se il vizio della riserva costituisce vizio dell’atto in cui la riserva è inserita, una volta che il vizio è accertato lo stato riservante non sarà più ritenuto vincolato al trattato in questione. La convenzione di Vienna non risolve il problema; inoltre non esiste giurisprudenza internazionale che risolva la questione sul piano internazionale. Solo nel settore del diritto internazionale dei diritti dell’uomo si è formata una data giurisprudenza. Caso del 1996 risolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo “caso Loizidou”. Una signora cipriota si è rivolta alla corte di Strasburgo chiamando in causa la Turchia perché è stata maltrattata dalle autorità della repubblica Turca di Cipro settentrionale, nato dopo l’occupazione della Turchia in Cipro. Nel 1974 la Turchia ha invaso la parte nord di Cipro, da questa occupazione turca, nella parte settentrionale dell’isola scaturisce una repubblica che si dichiara indipendente, la repubblica Turca di Cipro settentrionale; ma essa non è parte contraente della Convenzione, e non può nemmeno essere citata in giudizio davanti alla Corte. E per questo la signora cita in giudizio la Turchia perché essa ritiene che la Turchia controlli la repubblica di Cipro settentrionale. La Corte su questo primo punto dà ragione alla signora Loizidou: ad agire non è stata la Repubblica di Cipro nord, ma la Turchia (per il diritto internazionale). Su questo punto può dichiararsi competente. La Turchia aveva accettato la giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo per qualsiasi controversia al di fuori del territorio metropolitano della Turchia (definito dalla costituzione turca). Tutto ciò che avviene fuori non è sotto la sua responsabilità. All’epoca, prima metà degli anni ’90, la competenza della Corte, per i ricorsi individuali, era una competenza facoltativa: gli Stati parte alla Convenzione potevano accettare come no; la Turchia aveva fatto una scelta intermedia: aveva inserito una clausola mediante la quale intendeva tutelarsi da eventuali fatti avvenuti nella Repubblica di Cipro settentrionale. Le clausole che essa apporta possiamo considerarle una riserva; sembrava allora che questo caso cadesse al di fuori della competenza della Corte per colpa di tale riserva. Gli avvocati della signora ritengono illecita la riserva perché non ammessa dalla Convenzione e forse è così perché la Convenzione europea prevede la facoltà di inserire solo la riserva ratione temporis (riserva solo temporale). Il ragionamento della Turchia era che l’indicazione delle riserve era esemplificativa quindi se la riserva era invalida allora era invalido anche l'atto con cui aveva accettato la giurisdizione della corte perché c’è la convenzione che gli stati devono accettare la giurisdizione della Corte con riserve ratione temporis; quindi la Corte non è competente. La Corte non accetta ciò ed esplica la teoria della separabilità tra atto e riserva. La Corte elimina la riserva e lascia intatto l’atto con cui la Turchia aveva accettato la giurisdizione della Corte; quindi la Turchia è stata condannata e la signora vince. Questa conclusione è stata spesso criticata (se la Turchia l'avesse saputo non avrebbe accettato la giurisdizione della Corte). La Turchia invece voleva invalidare l’atto e quindi scompariva la giurisdizione della Corte. Dal novembre 1998 la giurisdizione della Corte per i ricorsi individuali è obbligatoria se si aderisce alla convezione quindi in questo ambito problemi del genere non si pongono più. In altri ambiti invece questo problema può ancora sorgere perché la giurisdizione resta volontaria, in particolare in ambito universale: la Convenzione europea dei diritti dell’uomo disciplina fatti in ambito geografico circoscritto. Nel ’76 entra in vigore una Convenzione a cui partecipano moltissimi stati (160) che prevede un meccanismo di ricorsi individuali che non ha la stessa consistenza di quelli europei perché ad occuparsene non è un giudice ma un organo (comitato dei diritti dell’uomo) che non ha il potere di emanare atti vincolanti (emana osservazioni). Anche nell’ambito di questo sistema l’idea Loizidou è stata accettata con la sentenza Kennedy del ’99; dunque le riserve viziate quindi non intaccano la validità dell’atto in cui sono inserite. Questo vale nell’ambito internazionale dei diritti dell’uomo. Non si sa se vale anche negli altri ambiti, perché la convenzione di Vienna non si esprime in proposito e non esiste una giurisprudenza che si esprima in ambito generale. SOGGETTI DELL'ORDINAMENTO > SOGGETTIVITA' Quando si parla di statualità nel diritto internazionale stiamo parlando di norme consuetudinarie. Il diritto internazionale forma i propri soggetti in un modo molto complesso; i soggetti sono costituiti dalle regole. Inizialmente gli stati erano i soli soggetti dell’ordinamento internazionale, poi il sistema è cambiato e per definire i soggetti dell'ordinamento internazionale si fa riferimento a due eventi: 1. Norimberga: alcuni individui vengono condannati a morte per impiccagione per violazione di norme di diritto internazionale, i soggetti coinvolti erano soggetti di diritto internazionale altrimenti non sarebbero stati centro di imputazione; si tratta quindi individui e non Stati. L'individuo non agisce più tramite lo Stato ma anche come singolo, questo presuppone la soggettività internazionale dell'individuo. Uno dei principi di Norimberga è che quando un individuo è destinatario di due imperativi in conflitto tra loro, da un lato abbiamo un imperativo emanato dall'ordinamento internazionale; dall'altro invece un imperativo di diritto statuale. Esempio: - Imperativi internazionale : non uccidere; - Imperativo nazionale : un generale che dispone un massacro. L'individuo in questo caso deve rispettare il diritto internazionale. Il tribunale di Norimberga è nato con un trattato internazionale, dopo la sua nascita non sono considerati soggetti solo gli stati ma anche gli individui. 2. si tratta di un parere della corte internazionale di giustizia: il caso da cui emerge il parere è il caso Bernadotte Folke: diplomatico svedese al servizio delle Nazioni Unite che operava in Palestina nel periodo della nascita dello Stato di Israele. Questo diplomatico viene ucciso, si pensa che le autorità palestinesi non abbiano fatto il possibile per tutelare l'incolumità del diplomatico (si parla di obbligo di tutela). Il problema è che le Nazioni Unite vogliono sporgere reclamo nei confronti delle autorità palestinesi ma l'Onu si chiede se è legittimato ad agire o meno, e se quindi è un soggetto di diritto. Quindi ci si chiede può agire solo lo Stato o anche l'Onu? nessuno sa la risposta quindi l'Onu chiede alla corte che non trova nessuna disposizione al riguardo; la Corte nonostante ciò afferma che le Nazioni Unite hanno personalità giuridica internazionale e sono quindi soggetti di diritto internazionale perché e nella misura in cui sono indipendenti dagli Stati che ne costituiscono la base sociale; questo perché le Nazioni Unite possono prendere decisioni anche contro il volere di alcuni degli stati facenti parte dell'Onu, in maniera indipendente ma vincolando tutti gli Stati. Se le Nazioni Unite non fossero dotate di tali caratteristiche l'organizzazione non sarebbe autonoma. Organo ad un altro, può non essere chiaro se l’Organo agisce su impulso dello Stato di cui è Organo o dello Stato che l’ha preso in prestito. Nel consolato francese spariscono dei documenti importanti mentre è in atto il prestito d'Organo, così la Francia cita in giudizio la Gran Bretagna; ma la Corte afferma che la responsabilità è della Francia poiché il console inglese in prestito era sotto il controllo francese. La responsabilità è della Francia perché non è riuscita a provare le azioni del console britannico e che avesse agito su impulso della Stato di appartenenza. Come si fa a stabilire chi è il prestatore? potrebbe essere il Comitato direttivo oppure gli Stati che compongono tale comitato. Prestatore : Il prestatore potrebbe essere il comitato direttivo o gli stati che lo compongono? 1) potrebbe essere un organizzazione internazionale composta da due Organi : 3 0 F BComitato direttivo(Organo politico e assembleare); 3 0 F Balto rappresentate che opera in Bosnia (Organo pratico). Troviamo l’ufficio dell’ alto rappresentante: lo si può considerare come un Organo suddiviso in dicasteri, ognuno con le proprie competenze; viene presieduto dall'alto rappresentante. È un piccolo apparato amministrativo che opera in loco e all'occasione legifera. Supponiamo che questa organizzazione internazionale esiste in quanto soggetto autonomo dotato di personalità giuridica internazionale. Quello che fa l’alto rappresentante è attribuibile quindi ad essa, ma poiché non è parte alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non può essere citata davanti alla Corte internazionale. Beric e gli altri quindi non trovano ancora tutela giurisdizionale. 2) Potrebbe invece essere che vi sia un Organo de facto simultaneamente di tutti gli Stati che compongono il Comitato direttivo. L’alto rappresentante è organo simultaneamente di tutti gli Stati che compongono il Comitato direttivo, non è un Organo in senso formale degli Stati del Comitato direttivo. Ma è quindi un Organo de facto? Se la risposta è si la situazione in termini pratici cambia: gli avvocati di Beric avrebbero potuto citare in giudizio tutti gli Stati del Comitato direttivo e membri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (ricorso multiplo). Es: In una guerra gli alleati decidono di designare un comandante unico non necessariamente si tratta di un organizzazione delle nazioni Unite. Non esiste nessun atto riconducibile all’ordinamento di alcuno Stato del Comitato direttivo che rinomina l’alto rappresentante. Resta da chiedersi che non sia un Organo de facto. Avrebbe dunque la Corte potuto giudicare tutti gli Stati che appartengono alla Convenzione e al Comitato. Ma qual’ è la soluzione corretta? Lo si stabilisce applicando il criterio dell’indipendenza che è l’opposto del criterio del controllo. Si deve andare a controllare chi è il prestatore , chi controlla l’azione dell’ Organo. Se c’è un organizzazione internazionale non c’è tutela giurisdizionale. Se non c’è un organizzazione internazionale, la tutela giurisdizionale c’è eccome. Di tutto questo la Corte non si occupa perché nemmeno si preoccupa di capire chi è il prestatore. Per stabilirlo bisogna analizzare il Comitato direttivo e l’alto rappresentante. Ma manca il dato formale del Comitato direttivo. Si guarda allora la realtà. il Comitato direttivo si riunisce a due livelli: 1) A livello più alto riuniscono i ministri degli esteri degli stati o soggetti di grado elevato; 2) Settimanalmente a Sarajevo a livello di ambasciatori e l’alto rappresentate gli da istruzioni. Ma chi esercita il controllo? Un organizzazione internazionale o una molteplicità di stati? Al termine di ogni riunione si definiscono gli esiti della riunione. In almeno due occasioni il Comitato direttivo ha deciso qualcosa lasciando la Russia in minoranza (non era d’accordo); sembra quindi che l’alto rappresentante abbia un margine di indipendenza rispetto ai membri del Comitato. A partire da questo dato si potrebbe dire che forse c’è un’organizzazione e quindi non c’è tutela giurisdizionale. Il fatto che l’alto rappresentante in almeno due occasioni abbia agito indipendentemente dalla volontà della Russia non significa necessariamente che l’alto rappresentante goda di indipendenza in senso giuridico: quando l’alto rappresentante va avanti nonostante il dissenso della Russia lo fa perché esistono le condizioni politico-diplomatiche per agire nonostante il dissenso russo e non perché si definisce indipendente. Gli equilibri di potere all’interno del Comitato sono tali per cui l’alto rappresentante capisce che può muoversi indipendentemente da questo. L’alto rappresentante agisce perché sa che questo politicamente è fattibile. La decisione di agire è dettata dalla sua sensibilità di agire, non perché è scritto in una norma, perché non ci sono regole del Comitato direttivo per la maggioranza. La Russia vuole comunicare ai serbi che ha fatto di tutto per tutelarla. La decisione di agire non è posta da una norma giuridica. Sono riunioni svolte prive di qualsiasi formalità. Dunque potremmo interpretare l’ indipendenza. Quest’ ultima deve essere un minimo riconosciuta a livello formale ma questo in virtù di regole procedurali dettate dalla Convenzione. Quella delibera contiene un obbligo venuto a crearsi in seguito al rispetto di una procedura. In mancanza di questo profilo di indipendenza ciò la formalità allora non esiste personalità giuridica. L’alto rappresentante fa parte di un apparato facente parte degli Stati del Comitato direttivo. Gli ambasciatori danno alcune direttive all’alto rappresentante impiegato a questo apparato operano funzionari degli Stati membri del Comitato. Ha l’area di un Organo comune. Se fosse stato così gli avvocati di Beric avrebbero potuto citare uno dei Paesi. Quando l’alto rappresentate fa qualcosa rispetto alla quale un membro del Comitato abbia espresso il dissenso esso è imputabile anche a quel paese? Progetto 2011- art. 7 – tratta dell’ attribuzione di condotta ultravires – esempio concreto, Caso Caire: Sentenza del 1929, i contendenti sono Francia e Messico. Il signor Caire è stato intercettato dalla polizia messicana che lo ha portato presso la stazione di polizia, derubato e ucciso. Lo straniero viene trattato contro l’ordinamento. Il Messico cerca di difendersi dicendo che i funzionari hanno agito ultravires per il diritto interno, quindi il Messico non poteva essere responsabile della loro condotta perché i superiori non avevano ordinato di commettere l’illecito. Secondo il tribunale la condotta è comunque attribuibile allo Stato. Quando la condotta di un Organo è illecita è attribuibile allo Stato anche quando è ultravires (contraria al diritto interno). Quando fra uno Stato e una persona esiste un vincolo di tipo organico, si suppone che lo Stato sia in grado di esercitare un controllo superiore perché è un suo organo, quindi si presume che il fatto sia imputabile allo Stato; l’imputabilità esiste poiché vi è un legame di tipo organico. Ciò è valevole per qualunque atto commesso nell’esercizio delle sue funzioni; mentre se agisce a titolo privato la condotta non è imputabile allo Stato. Il signor Caire è stato fermato da due poliziotti che stavano svolgendo le loro funzioni. Hanno agito nell’esercizio apparente dell’autorità statale (l’atto ultravires viene imputato allo Stato). Nel privato invece (es: il poliziotto uccide l’amante di sua moglie con la pistola d’ordinanza ed è in divisa) c’è una condotta privata in nessun modo attribuibile allo Stato. SOFT LAW Etichetta posta su un gran numero di atti internazionali che hanno valore giuridico vincolante. Rientrano le deliberazioni dell’assemblea generale, dunque non fanno scattare nemmeno sanzioni. Esistono due possibili atteggiamenti nei confronti della Soft Law: 1) valore positivo: Tentano di attribuire valore giuridico; 2) valore negativo: censura. Avere un atteggiamento positivo significa che molti Stati a forza di stringere patti non vincolanti formano norme consuetudinarie ma, in realtà, qui l’opinio è negativa perché non si ha intenzione di vincolarsi. Altra ipotesi secondo Tanzi: 2 o più stati che stringono un patto non vincolante son comunque tenuti a rispettare il patto di natura politica perché varrebbe il principio di buona fede. Ma il principio di buona fede agisce in entrambe le posizioni. Es: 2 Stati stringono un patto politico non vincolante e uno non lo rispetta, qualcuno può indire la violazione del principio di buona fede per non aver rispettato il patto e questo invece per aver indetto il principio in merito ad un patto non vincolante. Altri autori si inquietano per la divagazione della Soft Law: si stringono patti spesso su rapporti finanziari o cmq su materie delicate dunque si deve denunciare la tendenza degli Stati a non prendere impegni seri. Torniamo sul caso Beric: c’è un fatto illecito e non si sa a chi affiliarlo. Il problema sorge già a livello dell’attribuzione del fatto illecito. Nel caso Beric per la Corte europea dei diritti dell’uomo a commettere quei fatti sono state le Nazioni unite (in base all’istituto del prestito d’organo). Il prestito d’Organo, quando un soggetto internazionale presta un Organo a un altro, questo Organo resta in bilico tra i due soggetti (resta Organo del prestatore ma viene messo al servizio del prestatario) quindi il diritto internazionale ci dice di verificare chi sia il prestatore. È sicuro che le Nazioni unite non controllano l’alto rappresentante e per assicurarsene è sufficiente fare una considerazione: il referente politico dell’alto rappresentante è il Comitato direttivo. A questo partecipano 4 membri permanenti del Consiglio di sicurezza (tutti tranne la Cina). Il Comitato direttivo da impulso all’azione dell’alto rappresentante, quindi il Consiglio di sicurezza potrebbe controllare l’alto rappresentante, adottando una risoluzione dove neutralizza l’impulso del Comitato. Ma ciò non può avvenire perché i membri del Comitato direttivo sono gli stessi del Consiglio di sicurezza quindi si contraddirebbero da soli. In base a ciò è impossibile sostenere che le Nazioni unite possano controllare l’alto rappresentante. Le Nazioni unite dunque sono responsabili poiché non hanno i mezzi per controllare l’alto rappresentate. La Russia deve essere ritenuta responsabile dei fatti commessi dall’alto rappresentante, anche se è rimasta in minoranza in seno al comitato direttivo? Criteri di attribuzione del fatto illecito -Art.4: criterio organico è attribuibile allo stato il fatto commesso da un suo Organo; -Art. 7: disciplina l’attribuzione di atti ultravires. L’art.7 si applica solo in relazione all’art. 4, quando si parla della condotta di un Organo, e non anche in relazione all’art.8. -Art.8: in base all’art. 8 allo stato si attribuiscono anche i fatti commessi da persone o gruppi di persone che agiscono su istruzioni o sotto il controllo dello Stato in questione. La condotta è attribuibile allo Stato se si può dimostrare che abbia agito sotto il controllo dello Stato (caso Nicaragua). I contras agiscono con il sostegno degli Stati Uniti essi però non sono un Organo degli Stati Uniti . Non è un rapporto definibile organico. Per stabilire si procede per indizi : i contras lottarono per conquistare il potere ma gli interessi sono stati gli stessi degli Stati Uniti. Due Organi indipendenti con uguali interessi. Gli Stati Uniti vogliono essere sicuri che i contras vincano ma essi devono accettare le istruzioni che SU gli forniranno. Tutto questo discorso nella sentenza perché ci si chiedeva se tutte le violazioni durante il conflitto fossero attribuibili agli Stati Uniti. Già l’aiuto il loro aiuto è contrario , illecito del diritto internazionale. La Corte ha risposto che non sono stati ritenuti responsabili gli Stati Uniti. Perché non vi sono prove di trasmissione di queste istruzioni ammesso che vi siano state. CASO NICARAGUA-USA I contras sono i bracci armati di un partito politico che dopo una rivoluzione in Nicaragua vogliono riconquistare il potere e agiscono con l’appoggio degli USA. Questi però non sono un Organo degli USA: sicuramente non lo sono in senso formale, ma nemmeno possono essere considerati Organi de facto perché il rapporto esistente tra i contras e USA, non è un rapporto organico. Rapporto non organico: Qualora i contras avessero agito volontariamente lo Stato sarebbe responsabile solo per le direttive specifiche. Ed in questo senso i contras non è un Organo degli Stati Uniti, i contras sono autonomi. Rapporto organico: Lo Stato sarebbe responsabile dell’ intera azione dei contras. L’alto rappresentante è invece un Organo delle Nazioni Unite. Qui vi è completa dipendenza dell’alto rappresentante agli altri Organi. Per stabilire se un rapporto che c’è è organico o no, ci si chiede se i contras sono stati creati dagli USA: la risposta è No. Esisteva in Nicaragua una formazione paramilitare che lottava per conquistare il potere i cui interessi in larga misura combaciavano con quelli degli USA (SONO DUE SOGGETTI AUTONOMI CHE DECIDONO DI COLLABORARE). I contras ricevono benefici dagli USA, ma questi ultimi vogliono essere sicuri che i contras abbiano la meglio e pretendono di suggerire ai contras come combattere (accettare istruzioni). Se i contras agiscono in base alle istruzioni statunitensi, gli USA sono responsabili di ciò che i contras compiono. compatibilità con il diritto speciale (nella risoluzione 1244 e col quadro costituzionale che è il regolamento con cui il capo dell’UMNIC ha costituito Assemblea, Governo e Presidente). Compatibilità con la consuetudine: la Corte si chiede se possa esistere nel diritto internazionale generale, una norma consuetudinaria che vieti specificatamente le dichiarazioni di indipendenza, ma non la trova. Dal punto di vista della consuetudine, l’ordinamento generale è indifferente alle dichiarazioni di indipendenza (non c’è rilievo sul piano internazionale). La Corte cerca allora di capire se per caso un divieto di proclamare l’indipendenza di uno stato possa essere ricavato dal principio di integrità territoriale: quando un popolo dichiara l’indipendenza di un territorio, questa dichiarazione si traduce, se tutto va bene, in un tentativo di secessione (si spezza l’integrità territoriale di uno stato precedentemente esistente). Secondo la Corte il principio di integrità territoriale ha un ambito limitato: è una norma che si rivolge esclusivamente agli Stati e non anche a soggetti che Stati non sono. Il principio di integrità territoriale serve per difendere uno stato dalle azioni di un altro stato, ma non dalle iniziative di gruppi che Stato non sono. La Corte poi doveva risolvere un ulteriore problema: la Serbia aveva attirato l’attenzione della corte su tre risoluzioni con cui il consiglio di sicurezza dichiarava illecite tre dichiarazioni di indipendenza: - nel 1955 il governo razzista della Norvegia del sud dichiara la propria indipendenza dal Regno Unito e il consiglio di sicurezza decide con risoluzione che quella dichiarazione è illecita; - fatto analogo nel 1983 quando viene dichiarata l’indipendenza della Repubblica di Cipro settentrionale; - nel 1992 è la volta della Repubblica di SRSPSRA (attualmente fa parte della Bosnia Erzegovina). La Corte nota che in questi tre casi la dichiarazione di indipendenza è avvenuta in connessione con la violazione di norme fondamentali del diritto internazionale. Il governo della Norvegia del sud praticava l’apparteid, la repubblica di Cipro settentrionale e la repubblica di Srspsra dichiarano la propria indipendenza in concomitanza con gravi crimini commessi contro l’umanità. La Corte dice che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo è lecita e che il consiglio di sicurezza si interessa di quelle dichiarazioni perché violano gravemente norme fondamentali. Dal punto di vista del diritto speciale il discorso è più complesso. La corte dice che la dichiarazione di indipendenza è compatibile col diritto dell’UMNIC. Per arrivare a questa conclusione la strada é difficile: la risoluzione 1244 secondo la Corte ha un ambito di applicazione limitato ad alcune determinate materie: la risoluzione riguarda una situazione provvisoria. Prevede come il Kosovo dovrà essere governato in una fase di transizione. La Corte ci dice che la dichiarazione di indipendenza esce da questo quadro perché si propone come soluzione definitiva: siamo fuori dall’ambito di applicazione della risoluzione 1244 che ha natura transitoria; quindi la dichiarazione di indipendenza è compatibile con la risoluzione 1244 perché quest'ultima non intende applicarsi alla soluzione nuova inaugurata dalla dichiarazione di indipendenza. La Corte in realtà doveva risolvere un problema ancora più grosso: se si ammette questa cosa difficilmente si può concepire l’idea che il diritto vigente in Kosovo consentisse che si giungesse a una dichiarazione di indipendenza. In Kosovo dal ’99 al 2008 si sviluppa un vero e proprio ordinamento; quindi come fa ad essere compatibile con la dichiarazione di indipendenza? La Corte allora parla di invalidità: la dichiarazione di indipendenza, in quanto atto emanato da un organo rivoluzionario non doveva rapportarsi all’ordinamento vigente in Kosovo alla data della dichiarazione. La dichiarazione non cerca il proprio fondamento di validità nel diritto dell’UMNIC, ma vuole aprire un nuovo ordinamento; sarebbe quindi assurdo dichiararla invalida entro il diritto dell’UMNIC perché voleva muoversi al di fuori. A questa conclusione ci si giunge se si considera la dichiarazione come atto, non come fatto (potenzialmente illecito). Che dire dunque della dichiarazione in quanto fatto? Il fatto che 109 persone svolgano una riunione “seviziosa” in sede dell’Assemblea che porterà ad un atto rivoluzionario, è compatibile con il diritto vigente? La corte non se ne occupa. La dichiarazione in quanto atto può essere considerata valida se si appoggia su una norma di rango superiore o invalida se non trova appoggio sul principio dell’autodeterminazione, e da questo punto di vista andrebbe considerata invalida dal punto di vista del diritto internazionale. Ma ciò alla Corte non interessa. La Corte di autodeterminazione non parla. La Corte parla dal diritto internazionale generale, e cioè dalla consuetudine e constatata l’assenza di un divieto specifico di adottare una dichiarazione di indipendenza. A questo punto la Corte passa al diritto internazionale speciale affrontando due percorsi: se la dichiarazione di indipendenza è compatibile con la risoluzione 1244. È compatibile perché queste due operano su due piani distinti: non si incontrano perché la risoluzione opera su un piano provvisorio, mentre la dichiarazione la supera. Resta però da verificare se la dichiarazione contrasta col cosiddetto quadro costituzionale, ossia con l’ordinamento kosovaro costituito dagli atti adottati sotto gli auspici dell’UNMIK. La corte ragiona sempre in termini di liceità e illiceità, ma quando arriva a questo punto inizia ad esprimersi in termini di validità. Gli autori della dichiarazione di indipendenza hanno inteso adottare un atto che sta fuori dall’ordinamento istituito dall’UNMIK. Dal punto di vista dell’ordinamento dell’UNMIK la dichiarazione di indipendenza non è né valido né invalido perché sta fuori. Tuttavia la Corte se avesse voluto essere coerente con quanto detto inizialmente, avrebbe dovuto vedere la dichiarazione di indipendenza come fatto, illecito dal punto di vista di questo ordinamento. La Corte quindi considera la dichiarazione come atto, ora. Il momento decisivo del parere è il punto in cui la corte decide di riqualificare l’identità dei dichiaranti: la corte si accorge che secondo l’assemblea generale a dichiarare l’indipendenza sono state le IPA, la corte di che è stato un altro soggetto. Secondo alcuni è così che la corte riesce a sottrarre la dichiarazione di indipendenza da confronto col quadro costituzionale. In un certo senso questo è vero: se a dichiarare l’indipendenza fossero state le IPA, il loro atto è evidentemente invalido ai sensi del quadro costituzionale per la ragione che le IPA, ai sensi del quadro costituzionale, non avevano alcun potere di dichiarare l’indipendenza. Avrebbero agito ultra dires. La Corte però dice che non sono state loro, ma è stato un ente esponenziale del popolo kosovaro e così la corte riesce ad affermare che la dichiarazione non è né valida né invalida, prendendo in considerazione l’ordinamento dell’UNMIK. Ciò non toglie che la dichiarazione di indipendenza avrebbe dovuto essere considerata anche come fatto, sicuramente in contrasto col quadro costituzionale, ma la corte questo non lo vuole affermare. Ma qualcosa nel parere manca: la Corte decide questo caso senza esaminare la dichiarazione di indipendenza. La Corte è chiamata a giudicare la dichiarazione alla luce del diritto internazionale, ma non la legge. O meglio, la legge solo quando si tratta di qualificare gli autori dell’atto. La Serbia aveva tutto l’interesse a sostenere che a pronunciare la dichiarazione erano state le IPA perché in quel caso l’atto era ultra dires. Quindi la Serbia si oppose alla riqualificazione degli autori della dichiarazione. In effetti la dichiarazione di indipendenza dal punto di vista di chi l’ha emanata è un atto un po’ ambiguo: -la dichiarazione di indipendenza era prevista nell’ordine del giorno dell’assemblea kosovara: se era prevista nell’ordine del giorno dell’assemblea kosovara, doveva essere stata l’assemblea kosovara a pronunciarla; -la dichiarazione è firmata in calce da tutti i membri dell’assemblea kosovara: questo non avviene in genere x gli atti dell’assemblea parlamentare (kosovara ma anche italiana per es); -la dichiarazione viene trascritta su due fogli di papiro: non viene usata la carta intestata tipica delle dichiarazione di indipendenza. La Corte in definitiva decide che l’autore della dichiarazione è un organo rivoluzionario e sembra che la corte abbia ragione, basta già solo guardare l’inizio della dichiarazione di indipendenza. La Corte è estremamente distratta o assente quando si tratta di qualificare l’atto. Questo è un problema perché a dichiarazione di indipendenza in realtà non lo è. Questo lo si vede dal paragrafo 12 della dichiarazione: questo documento dal titolo in poi si snoda come se fosse una dichiarazione di indipendenza, ma arrivato al paragrafo 12 c’è un incongruo atto di completa sottomissione. I leader indipendentisti kosovari affermano chiaramente, specificamente e irrevocabilmente che il Kosovo sarà obbligato giuridicamente a rispettare le disposizioni contenute in questa dichiarazione e specialmente gli obblighi che discendono dal piano ahtisaari. Dichiarano poi che tutti gli stati possono rivendicare il rispetto di questa promessa (che il Kosovo ha fatto pronunciando la dichiarazione di indipendenza). Il piano ahtisaari è un piano fallito: la questione dello status del Kosovo è stata negoziata x circa due anni e mezzo. A negoziarla sono stati i rappresentati della Serbia e del Kosovo, insieme ad altri che hanno cercato di fare da mediatori. Anche le Nazioni unite hanno partecipato a questo processo e il segretario delle Nazioni unite ha dato incarico ad Ahtisaari di elaborare un piano sulla questione kosovare, cha ha reso noto il 26 marzo 2007. Questo piano piace ai leader kosovari perché prevede la creazione di uno Stato indipendente, cosa che i serbi volevano evitare. Per i kosovari o lo stato diventava uno Stato sovrano indipendente o niente, mentre per i serbi andava bene tutto tranne l’indipendenza. Quindi i serbi non accettano il piano e nemmeno i russi. Allora questo piano nemmeno viene approvato dal consiglio di sicurezza: il segretario generale aveva in mente un piano post UNMIK per chiudere l’UNMIK, mai russi sono contro quindi il piano è fallito. Nel dicembre del 2007 il negoziato è dichiarato fallito e qualche tempo dopo il Kosovo dichiara l’indipendenza. Il piano Ahtisaari prevede, oltre che l’indipendenza del Kosovo, una forma molto penetrante di intervento nella gestione di una fase transitoria: il Kosovo come stato nascente sarebbe stato posto sotto la tutela di organizzazioni internazionali diverse dall’UNMIK. E’ qui che viene fuori l’ICO (international civil office): è simile l’ufficio dell’alto rappresentante. A capo dell’ICO c’è un ICR (international civil rappresentative). Alle spalle di questa struttura amministrativa c’è un gruppo di stati (25): che prende il nome di ISG (international steering group). I poteri dell’ICR sono ampi: firmando un decreto può anche annullare un decreto dell’assemblea kosovara. In Kosovo “comanda” attualmente questa struttura, e ciò in base al piano ahtisaari che gli indipendentisti kosovari hanno accettato di rispettare e applicare e in modo irrevocabile. Chi è che decide quando finisce la tutela provvisoria internazionale? Lo decide la stessa presenza internazionale (secondo il piano athisaari). Ecco perché la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non è una dichiarazione di indipendenza: l’atto si conclude con un paragrafo che consegna il potere supremo nelle mani di un soggetto esterno. È una sorta di contraddizione formativa. Di ciò la Corte poteva accorgersene se leggeva bene la dichiarazione. La dichiarazione si presenta almeno a prima vista come un atto internazionale tipico. La combinazione di due Stati in una “promessa”, compone un accordo: il Kosovo promette e tra questo e l’ICR si forma un accordo internazionale che ha per contenuto il piano athisaari, che prevedeva l’adozione di una costituzione del Kosovo (entrata in vigore il 15 giugno 2008). Ma la costituzione del Kosovo non è una costituzione, così come la dichiarazione di indipendenza non è una dichiarazione di indipendenza. In realtà la costituzione è un atto internazionale. Storia della costituzione del Kosovo: fallisce il negoziato sullo status del Kosovo, la leadership kosovare stabilisce che è arrivato il momento di dichiarare l’indipendenza, si dichiara l’indipendenza (17/02/2008). Inizia il progetto costituente. Si da il caso che la costituzione del Kosovo esistesse ancor prima della dichiarazione di indipendenza e si da anche il caso che la costituzione del Kosovo non sia stata scritta da rappresentanti kosovari. La dichiarazione del Kosovo esisteva già nel dicembre del 2007 ma si può trovare traccia di questo documento nel resoconto di una riunione (del 22 febbraio 2008) che si è svolta a Pristina: all’incontro partecipano politici kosovari che sono lì x discutere col pubblico il testo della costituzione: secondo il piano athisaari la costituzione del Kosovo doveva essere adottata in seguito a tutta una serie di riunioni popolari. Il dibattito è introdotto dal Presidente dell’assemblea costituzionale: dice che farà qualche paragone con altri documenti kosovari fra cui il documento di Rambuje: egli dice che questo non era ok, ma la realtà che ha creato era ok. Anche la risoluzione 1244 non era ok come documento, ma la realtà era ok. Anche se il piano athisaari non era ok sulla carta, il risultato sarà ok, così come la costituzione: potrebbe non sembrare ok. La costituzione viene allora sottoposta al giudizio del pubblico. La costituzione resta invariata salvo per una disposizione, quella che si occupa della tutela dei diritti fondamentali della persona. Nell’autunno del 2007 è stata convocata una commissione detta precostituente, che opera in modo ufficioso. Di questo fanno parte alcuni rappresentanti del popolo kosovaro e alcuni emissari di potenze occidentali (USA innanzitutto). In questa fase precostituente la componente kosovara cerca di prendere in mano la situazione, ma non erano inesperti nella scrittura della costituzione, per cui la componente internazionale ha preso in mano il processo e ha stilato una costituzione per il Kosovo. perché a partire dall’instaurazione dell’UNMIK il conflitto fra serbi e albanesi-kosovari è stato neutralizzato e le truppe serbe non hanno più avuto la possibilità di entrare in territorio kosovaro. Il problema può risolversi creando un nuovo Stato. Secondo altri invece il diritto alla secessione rimedio ha o dovrebbe avere una portata più ampia: in un caso come questo dove il conflitto ha radici abbastanza profonde è necessario separare i due popoli, consentire a uno di essi (quello oppresso) di creare uno Stato nuovo. Il diritto alla secessione rimedio ha carattere ristretto (urgente) o ampio (per risolvere problemi che hanno una portata storica consistente)? Saggio di Pertile (vedi manuale). Saggio di A. Annoni (manuale): problema di responsabilità internazionale: le Nazioni Unite possono essere considerate responsabili dei fatti commessi dalle presenze internazionali, e in particolare da una nuova presenza: EULECS missione creata dall’UE prima del 2008 che oggi svolge in Kosovo importanti funzioni amministrative d’accordo col governo kosovaro. EULECS si situa sotto l’ombrello della risoluzione 1244: questo prevedeva genericamente l‘intervento in Kosovo di presenze internazionali. L’EULECS inizialmente non c’era, e per poter legittimare la sua posizione si richiama a alcune disposizioni di tale risoluzione. Oggi l’EULECS svolge molte delle funzioni che svolgeva l’UNIMK: per il Kosovo che si considera uno Stato indipendente, l’UNMIK dovrebbe scomparire perché se resta in vigore la risoluzione 1244 il sovrano non sarebbe il Kosovo. Il Kosovo è favorevole allora all’intervento di EULECS pur riconoscendo che questo opera nel quadro della risoluzione 1244. Perché EULECS non potrebbe operare sulla base di un volere del Kosovo? È EULECS che non vuole essere invitata dal Kosovo perché non tutti gli stati dell’UE riconoscono il Kosovo come Stato sovrano (es. Spagna). Sicché, siccome la risoluzione che istituiva EULECS doveva essere adottata all’unanimità, si è stati costretti a ricondurre EULECS nella risoluzione 1244. Annoni, nel suo saggio dice che quello che fa EULECS va attribuito alle Nazioni unite. Si potrebbe quindi pensare: · EULECS è un organo in prestito alle nazioni unite. Il prestatore è l’UE. · Non c’è un prestito d’organo bensì un rapporto di delega, nel senso che EULECS opera non come organo in prestito ma come agente delle Nazioni unite. Se c’è un prestito l’organo prestato rimane organo del prestatore e solo temporaneamente opera in linea di principio a beneficio del prestatario, tanto che quando un giudice deve stabilire a chi attribuire il fatto illecito, deve di volta in volta verificare qual è il soggetto che esercita un controllo sull’organo. Se si tratta di prestito d’organo, il responsabile di ciò che commette EULECS è l’UE perché esercitano su esso un controllo effettivo. Se invece EULECS è agente delle Nazioni unite, è configurato come un organo, e le Nazioni unite sono responsabili di tutto ciò che fa EULECS. Secondo la Annoni EULECS è un agente delle Nazioni unite. Esiste un rapporto di delega fra nazioni unite e EULECS. Diverso è per l’ICR: quello che fa l’ICR è attribuibile agli stati che ne manovrano l’operato. Saggio di F. Casolate: tema dell’integrità territoriale. Due tesi: una dice che si applica anche a soggetti non statuali, una no. Saggio di F. Palermo (è un costituzionalista): La corte ha emesso un parere deludente perché schiva una serie di questioni importanti sul principio di autodeterminazione e soprattutto perché la Corte avrebbe potuto cogliere l’occasione per affermare la presa del diritto internazionale sui processi costituenti. Secondo l’autore di questo saggio la Corte avrebbe dovuto cogliere l’occasione per mettere alcuni paletti: i processi costituenti non sono svincolati dai pareri internazionali. Il costituente crea un ordinamento nuovo, in piena libertà, è una decisione che viene assunta in assenza di vincoli. Secondo Palermo questa prospettiva è da abbandonare perché negli ultimi 20 anni si è assistito a processi costituenti che si sono svolti tenendo conto di norme di diritto internazionale preesistenti (es: Sud Africa: nel corso del processo costituente, i costituenti hanno tenuto costantemente conto dei vincoli imposti dal diritto internazionale come se fossero obbligati a rispettarli; es: Bosnia: la costituzione è in origine l’allegato a un trattato internazionale). L’autore del saggio nota che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, è stata adottata non all’unanimità e inoltre il testo della dichiarazione non contiene tutele sufficienti x le minoranze, quindi può essere considerata in contrasto con i diritti dell’uomo. Per questo la Corte avrebbe dovuto occuparsi anche di questo. Saggio di M.I. Pappa: affronta una questione di carattere processuale: la Corte ha fatto davvero bene a pronunciarsi??? IL PROBLEMA DELLA SOGGETTIVITA’ – Palestina e corte Penale Il caso : Il 22 Gennaio del 2009 – Alicascien – il ministro di giustizia del governo palestinese notifica alla Corte una dichiarazione con cui la Palestina accetta la giurisdizione della Corte penale internazionale per atti commessi sul territorio della Palestina a partire dal 1° luglio 2002. Si vuole che la Corte penale internazionale si occupi dei crimini che Israele ha commesso sul territorio palestinese. Israele, qualche tempo prima aveva compiuto un operazione sulla striscia di Gaza la cosiddetta cast led, durante la quale restano molte vittime uccise dall’aviazione israeliana. Secondo i palestinesi questa operazione è stata compiuta in contrasto con norme internazionali quindi sono crimini; quindi viene sollevata la questione della statualità del diritto internazionale. La Corte penale internazionale è un organizzazione internazionale che comprende altri organi al suo interno; comprende ad esempio un organo giurisdizionale che è la Corte in senso stretto. Al sistema della Corte possono accedere solo gli Stati dell’art. 8 dello statuto di Roma. Ci sono organizzazioni internazionali che ammettono tra i propri membri anche soggetti diversi dagli Stati: ad esempio il WTO ammette anche altri enti che non sono entità statuali ma che hanno competenza esclusive in determinate materie; oppure l'UMC. Con la dichiarazione del 22 Gennaio del 2009 , la Palestina non chiede di entrare a far parte della Corte penale internazionale, ma si limita ad accettare la giurisdizione della Corte (possibilità prevista dall’art. 12 paragrafo 3 dello statuto). Ai sensi di questa disposizione ancora una volta solo gli Stati possono chiedere alla corte di intervenire, e non anche altri soggetti. Se la Corte accoglie favorevolmente questa dichiarazione implicitamente afferma che la Palestina è uno Stato; ma a parere di alcuni Stati (ad esempio Usa) la Palestina non può assolutamente essere definito uno Stato. Dunque il procuratore della Corte si trova in grosse difficoltà: sa che rispetto al dichiarante (Palestina) può dare il via a delle indagini, ma sul presupposto che il dichiarante sia uno stato. Si interroga allora su quali sono le sue competenze. Il procuratore ci mette più di tre anni per rispondere (3 aprile 2012). Si tratta di una risposta interlocutoria in cui il procuratore della Corte dice la sua su chi dovrebbe essere competente per decidere se la Palestina è si o no uno Stato. La Corte penale internazionale: - non dotata di giurisdizione universale ma a carattere territoriale - 121 stati membri , ultimo entrato il Guatamela - Essa è competente per crimini di guerra, genocidio e crimini contro i diritti umani, giurisdizione su fatti criminosi commessi da persone che hanno personalità attiva - Ha personalità attiva Le autorità palestinesi ai sensi dell’art 12 statuto possono estendere la giurisdizione alla Palestina. Il Consiglio di sicurezza sempre ai sensi dello statuto può attribuire alla corte dei supplementi di giurisdizione, altre competenze come il caso di LIBIA – SUDAN. Il procuratore della Corte si regola cosi: la parola Stato compare e assume un ruolo cruciale in due disposizioni dello statuto: l’art. 125 che stabilisce che al sistema possano accedere solo gli Stati, e l’art. 12 par.3 che stabilisce che solo gli Stati possono attribuire supplementi di giurisdizione alla corte. Secondo il segretario la parola Stato in queste due disposizioni deve essere interpretata nello stesso modo. Ma se uno Stato o un soggetto che si crede tale decide di accedere al sistema della Corte, deve notificare questa sua decisione al segretario generale delle Nazioni Unite, quindi un organo diverso e autonomo dalla Corte. Il segretario generale riceve la notifica da parte di uno stato presunto tale che voglia entrare a far parte della corte e effettua una prima delibazione. Non decide però lui se si tratta o no di uno Stato, egli si rivolge all’Assemblea generale. La decisione dell’Assemblea generale non è vincolante dal punto di vista formale. Questa procedura però non è applicabile alla Palestina perché è applicabile solo quando un soggetto voglia entrare a far parte della Corte; ma la Palestina non desidera farne parte. La Palestina chiama invece solo in causa la Corte. Però il procuratore della Corte dice che se l’Assemblea generale è chiamata ad esprimersi sulla statualità di un soggetto che vuole entrare a far parte del sistema della Corte, ciò dovrebbe avvenire anche in questo caso. Il procuratore così passa di mano il problema all’Assemblea generale. Ma se l’assemblea generale decide di non pronunciarsi? L’art. 12 par.3 non prevede che l’Assemblea si pronunci, solo l’art.125 lo prevede. Se l’Assemblea non se ne occupa ad occuparsene potrà essere l’Assemblea generale degli Stati parte. Questa decisione non è piaciuta agli stati che ritengono che la Palestina non sia uno Stato e quindi non può attivare il procedimento della Corte penale internazionale perché il procuratore prospetta due probabilità e in entrambi i casi non ci sono poteri di veto che gli stati possano far valere. Entrambe le assemblee si pronunciano a maggioranza e ogni stato ha solo un voto. La Corte non ha ancora deciso se la Palestina è membro dell'ONU anche se nel 2011 questa ha fatto richiesta; la richiesta è ancora pendente perché deve passare necessariamente dal Consiglio di sicurezza (art. 4 carta delle Nazioni unite); sulla sua decisione interviene poi l’Assemblea generale. Il procedimento è bloccato perché gli USA non vogliono che la Palestina entri a far parte dell'ONU quindi l’Assemblea generale non riesce a pronunciarsi. Un conto è : 1) possedere lo status di Stato; 2) è appartenere alla Corte. L’assemblea generale potrebbe deliberare il riconoscimento della qualità di Stato alla Palestina anche senza subire il filtro del Consiglio di sicurezza: l’Assemblea generale ha deciso anni fa che la Palestina possedeva lo status di osservatore presso le Nazioni unite; questo significa che la Palestina partecipa alle Nazioni unite come osservatore, ma non ha il diritto di voto. L’assemblea generale prevede anche Stati non membri. L’assemblea generale potrebbe decidere che la Palestina è uno Stato, senza ammetterla all’ONU. Ma l’Assemblea generale ancora non si è pronunciata sul punto perché se dovesse pronunciarsi in quel senso, all’ONU accadrebbe qualcosa di simile a quello che è accaduto all’UNESCO: nel 2011 la Palestina viene ammessa all’UNESCO (195 membri). L’UNESCO ammette al proprio ambito solo gli Stati, quindi per l’assemblea dell’UNESCO la Palestina è uno Stato. A questo punto gli USA, a titolo di rappresaglia, hanno deciso di trattenere la proprio quota di finanziamento da versare annualmente all’UNESCO poiché sono i principali finanziatori ed hanno minacciato di fare lo stesso con le Nazioni Unite. Tra l’altro la Palestina ansiosa di entrare nelle organizzazioni aveva chiesto all’ OMC di entrarvici ed è intervenuto il segretario generale delle Nazioni Unite che ha detto “ queste richieste non fanno bene!” Il ministero degli esteri ha detto “ diamoci una calmata!”. Il diritto internazionale contempla dei criteri per stabilire se un ente è uno STATO. Ma il problema è che questi criteri non sono tanto precisi; ciò significa che applicando i medesimi criteri, diversi soggetti possono giungere a conclusioni diverse. Si da il caso che l’ordinamento internazionale non preveda affatto una procedura centralizzata per stabilire se un ente è Stato o no. Se non esiste una procedura centralizzata, allora ogni organizzazione internazionale deve regolarsi da se. Quando la Palestina ha deciso di investire la Corte della questione, ha motivato la sua dichiarazione con un unico dossier in cui cerca di convincere la Corte ad accettare, ma non insiste in primo luogo sul problema della statualità, ma sostiene che la parola Stato nello statuto della Corte ha un significato che non corrisponde a quello che alla stessa parola attribuisce il diritto internazionale generale. Uno Stato non membro delle Nazioni unite, è comunque uno Stato dal punto di vista della consuetudine. La Palestina dice alla Corte, non ti preoccupare dei criteri della statualità previsti dalla consuetudine, perché la parola Stato va interpretata dal punto di vista dello statuto della Corte. Alla Corte penale internazionale interessa solo che crimini contro l’umanità non restino impuniti. Se la Corte nega alla Palestina la qualità di Stato, alcuni crimini restano privi di responsabili. La Corte L’art. 10.1 si applica anche a consuetudini non universali? Sembrerebbe di si perché parla di norme genericamente riconosciute, ma qui la certezza è solo apparente: negli anni ’70 tre autori, Giuliano, Scovazzi e Treves, hanno un’idea: l’art. 10.1 si applica anche alle consuetudini regionali perché si può sostenere che la consuetudine regionale è generalmente riconosciuta anche se in un ambito più circoscritto. Consuetudini regionali si applica o no l’art 10.1 ? >> Caso delle rogatorie internazionali: una rogatoria è un atto attraverso il quale un giudice acquisisce prove o testimonianze all’estero, quindi presuppone la collaborazione fra autorità giudiziarie di paesi diversi. Questa questione ha ossessionato Berlusconi per qualche mese: leggi ad personam alcune riguardavano delle rogatorie cioè atto con cui i giudici raccolgono delle prove. Nei casi riguardanti Berlusconi era necessario accedere ad alcuni documenti bancari svizzeri acquisiti con la tecnica del faldone. Per generare un processo era necessario un enorme acquisizione di questi documenti. Nel 2001 il Parlamento italiano adotta una legge sulle rogatorie. Con questo il parlamento intende imporre ai giudici italiani per l’acquisizione di atti la tecnica non più per faldone, ma per documento (ricerca documento per documento). Secondo la legge sulle rogatorie gli atti recepiti con la tecnica del faldone non sono più validi e questa legge opera retroattivamente. Il giudice di Roma nel 2002 decide di rivolgere un quesito alla corte costituzionale perché ritiene che la legge sulle rogatorie sia in contrasto con una consuetudine regionale. Risposta della Corte: elude la questione, quindi non si ha ancora oggi una risposta autorevole della corte sul punto; quindi se l’art. 10.1 si applica anche alle consuetudini regionali. Ma come mai il giudice di Roma era così convinto dell’applicabilità dell’art. 10.1 alle consuetudini regionali? La risposta di può trovare nel manuale di diritto internazionale delle edizioni Simone: qui si accoglie la tesi di Giuliano, Scovazzi Treves. Si dice chiaramente che l’art.10.1 si applica a tutte le consuetudini. Ma i padri costituenti non hanno pensato al problema. La giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia prende in considerazione, per la prima volta, una norma regionale, nel 1950 con il CASO HAIA DELLA TORRE. A partire dal 1960 comincia ad entrare in corso la consuetudine meno che universale. Perché la Corte costituzionale ha potuto eludere la questione? La legge sulle rogatorie modifica il codice di procedura penale. La legge sulle rogatorie fa rinvio ad una Convenzione internazionale: la Convenzione di Strasburgo del 1959, convenzione promossa dal Consiglio d'Europa e ratificata da un gran numero di stati, Italia inclusa. Ma anche la convenzione non specifica le modalità. I giudici di Milano si accorgono di ciò e sostengono che questa convenzione permette la certificazione per faldoni e quindi gli atti rogatoriali rilevanti ai fini dei processi contro Berlusconi vengono conservati. In base a cosa sostengono ciò? In base a una consuetudine interpretativa della convenzione di Strasburgo. Quando si tratta di interpretare un trattato bisogna tener conto della prassi successiva delle parti contraenti. A partire dall’entrata in vigore della convenzione di Strasburgo le parti contraenti si sono orientate nel ritenere validi gli atti certificati con la tecnica del faldone, quindi ciò permette l’impiego di questa tecnica. Il giudice italiano si sbaglia nel modificare questa tecnica; gli atti rogatoriali conservano la loro validità per faldone. Il problema non è di adattamento alla consuetudine, ma è di applicazione di un trattato che si applica in un certo modo. L’art. 10.1 quindi non viene nemmeno tirato in causa ma ci si limita ad applicare la legge. La Corte costituzionale dichiara quindi inammissibile la domanda del giudice di Roma. Dunque art. 10.1 Si applica: 1) alla consuetudine generale 2) principi generali di diritto 3) e non si sa se si applica alla consuetudine particolare Dai lavori preparatori della costituzione si può forse trarre la questione che il costituente voleva dare un rango così elevato alle consuetudini perché sono portatrici di valori universali. Il rango è costituzionale perchè l’art.10.1 parla dell’adattamento dell’intero ordinamento al diritto internazionale (lex posterior derogat priori). Esistono dei limiti all’adattamento che emergono da sentenze della la corte costituzionale: ciò emerge da un’interpretazione sistematica dell’art.10.1 Sentenza 48/1979: un diplomatico canadese impiegato presso l’ambasciata canadese di Roma affitta una casa e ad un certo punto decide di non pagare più l’affitto; viene quindi citato in giudizio. Il giudice italiano stabilisce che il ricorso va rigettato e quindi decade; questo accade perché il diplomatico straniero è immune (regola dell'immunità). Finché il diplomatico esercita le sue funzioni non può essere citato in giudizio; il giudizio può essere fatto valere solo a partire dal settimo mese dopo il termine dell' incarico. La regola dell’immunità viene prevista dal diritto internazionale; si trova nella convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche. Un altro giudice italiano, che si occupa della stessa controversia ma in grado successivo, dice: la norma sulle immunità diplomatiche è una norma pattizia alla quale il nostro ordinamento si è adattato mediante legge. Nella costituzione c’è un principio contenuto all’art.24 (enuncia il principio della tutela giurisdizionale dei conflitti) che sembra in conflitto con la regola dell’immunità: la costituzione è superiore alla legge quindi prevale sulla regola dell’immunità. Si ritiene che ciò non sia giusto perché la regola sull’immunità non è solo una regola pattizia, ma è anche consuetudinaria; quindi già prima del ’61 esisteva nel nostro ordinamento una norma consuetudinaria dallo stesso contenuto di quella pattizia, ma di rango più elevato. Risoluzione del conflitto: nella sentenza n. 48/1949 la corte ci dice che esistono dei limiti alla prevalenza delle norme di origine consuetudinarie, e il limite è rappresentato dai principi fondamentali della costituzione. Secondo al corte l’art. 24 esprime un principio fondamentale quindi dovrebbe prevalere sul principio dell’immunità, in linea di principio; ma nella fattispecie deve prevalere la regola dell’immunità. La Corte distingue le consuetudini in due categorie: 1. le consuetudini internazionali che si sono formate prima del 1 gennaio 1948 2. le consuetudini che si sono formate dopo l’entrata in vigore della costituzione Per la Corte le consuetudini preesistenti rispetto alla costituzione prevalgono anche sui principi fondamentali perché si può ritenere che il costituente fosse a conoscenza di questa consuetudine e le abbia fatte vivere anche in deroga ai principi fondamentali. Le consuetudini successive devono passare attraverso il filtro dei principi fondamentali; essi costituiscono quindi un limite al funzionamento dell’adattamento automatico. Perché questa distinzione fra consuetudini? La Corte non ha mai detto una cosa del genere. La Corte dice che tra le consuetudini antiche (formate in epoche precedente alla costituzione) prevalgono solo quelle alle quali il costituente ha inteso attribuire un valore implicitamente o esplicitamente. In questo caso il costituente considera la regola delle immunità diplomatiche una regola da salvaguardare. Il costituente deve trovare un appiglio per far prevalere le consuetudini nuove sui principi fondamentali. Anche se l’art.10.1 non esprime alcun limite alla costituzione vi è un limite implicito perché esso appartiene a un assetto di norme costituzionali, è esso stesso parte di quell’ordinamento. ADATTAMENTO AI TRATTATI Bisogna distinguere due epoche: prima e dopo la riforma del titolo V Cost; con tale riforma è stata inserita una disposizione in base alla quale la potestà legislativa statale e regionale deve essere esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. L'art 117.1 stabilisce la preminenza delle norme di origine pattizia sulle leggi. Prima di allora le cose non stavano così perché l’adattamento ai trattati veniva compiuto per lo più mediante l’emanazione di leggi che contenevano ordini di esecuzione (ordine dato per legge così formulato: piena e interaesecuzione è data al trattato… segue il testo del trattato). Prima del 2001, la consuetudine internazionale era considerata norma di rango costituzionale. La posizione dei trattati è diversa: il rango è legislativo e l’adattamento non è automatico ma viene effettuato di volta in volta dal Parlamento. Nell’ordinamento internazionale consuetudine e trattato hanno lo stesso rango: quando però il diritto internazionale viene filtrato mediante un altro ordinamento, il quadro cambia, e ciò potrebbe comportare difficoltà: la consuetudine ha rango costituzionale mentre le norme pattizie hanno rango sub-costituzionale. Se la norma di origine pattizia contrasta con la costituzione perisce la norma di origine pattizia. Apparentemente il nostro ordinamento attribuisce alle consuetudini un rango più elevato rispetto alle norme pattizie; ma questo non significa che si possa far prevale nel nostro ordinamento una norma pattizia che deroga alla consuetudine perchè l’art.10 stabilisce che mediante la stipula di una trattato un paese può derogare alla consuetudine. È lo stesso principio di adattamento alla consuetudine che stabilisce che la norma pattizia può derogare alla consuetudine. Nel sistema internazionale il trattato deroga generalmente alla consuetudine. Dopo il 2001: il diritto pattizio prevale sulla legge il che significa che se il legislatore italiano decide di disciplinare una certa materia in deroga rispetto alla normativa pattizia internazionale, la nuova disciplina può essere dichiarata incostituzionale dalla corte costituzionale per contrasto con l’art. 117.1. Prima invece il legislatore poteva decidere di disciplinare una certa materia in deroga agli impegni pattizi già presi; poteva farlo nell’ambito dell’ordinamento interno. Il legislatore che decidesse di disciplinare una certa materia in deroga agli impegni pattizi, si assumeva il rischio di incorrere nella responsabilità internazionale; ora opera quel meccanismo di blocco per cui al legislatore è diventato impossibile derogare agli impegni pattizi. Le norme di origine pattizia sono fonti interposte: stanno fra la costituzione e la legge. Il contenuto deve essere conforme alla costituzione, se no non può essere fatto valere: è stato chiarito dalla corte costituzionale in due sentenze storiche: n. 348 e n. 349 del 2007. L’art. 117.1 include anche gli accordi in forma semplificata, che vengono conclusi senza l’intervento del parlamento. Con l'entrata in vigore della riforma del titolo V il rispetto delle norme pattizie diviene ancora più evidente. Noi però potremmo dire che un accordo in forma semplificata non risulta in contrasto nonostante stretto in violazione dell' art 80. Questa risulta una soluzione plausibile se non lo fosse il problema si impone in altri termini. L'art 10.1 svolge 2 funzioni: – Funzione di adattamento – definisce il rango delle norme internazionali L’art. 117.1 assegna un rango alle norme di origine pattizia, ma si può dire che le adatta anche? L’art. 117.1 supponiamo che non svolga la funzione di adattamento automatico: dovrà occuparsene il parlamento mediante ordine di esecuzione. Il Parlamento rimarrebbe “il portiere” dell’ordinamento interno dando o no esecuzione a quell’accordo. Gli obblighi di origine pattizia godono di protezione costituzionale. Art 117.1 – Quando pensiamo al tema del rapporto tra ordinamento interno e ordinamento comunitario bisogna tener conto : 1) della questione del rango 2) della questione dell'adattamento Adattamento automatico della consuetudine >> art 10 cost. La questione dell'adattamento degli obblighi internazionali non viene presa in considerazione nei lavori preparatori della riforma del titolo V Cost; il momento culminante dei lavori preparatori in tal senso si ha con l'interrogazione della parlamentare Gabriella Carlucci. In una sentenza del 2007 la corte ricorre ad un linguaggio che fa sospettare che l'art 117 c.1 abbia natura diversa rispetto all'art 10 cost quindi non ha funzione di adattamento e secondo la Corte l’art. 117 si limita solo a definire il rango degli obblighi internazionali. Secondo parte della dottrina la convenzione europea dei diritti dell'uomo è una convenzione molto importante e privilegiata rispetto alle altre convenzioni perché si occupa di diritti fondamentali. Alla Cedu dovrebbe essere esteso il privilegio che la corte ha attribuito ad un'altro trattato che è il Tue. Dal punto di vista formale la Cedu si pone tra la legge e la costituzione; ci sono delle implicazioni di questo modo di vedere le cose. Secondo la Corte la Cedu viene vista come interpretata dalla corte europea dei diritti dell'uomo; essa esprime in senso tecnico dei principi che vanno poi interpretati. Viene costruita una giurisprudenza in base alla Cedu, questo è un testo molto scarno che va interpretato. Quando la Corte si pone al cospetto della Cedu si fa guidare dalla corte europea dei diritti dell'uomo e ne prende per buono il pensiero e l'interpretazione > è una scelta operata dalla Corte costituzionale. Le sentenze della corte sono vincolanti solo per le parti coinvolte nella controversia, non vale erga omnes anche se le decisioni della corte europea fanno giurisprudenza però si è liberi di non rispettare le decisioni di tale corte se ci si trova in situazioni analoghe. La Corte costituzionale italiana nel 1984 (sentenza Gravital) fa un secondo passo verso la giurisprudenza comunitaria, anche se non arriva a convergere in tutto con questa perché resta affezionata alla concezione dualistica dei rapporti fra ordinamento italiano e comunitario. Ma in sostanza le due posizioni si avvicinano molto: la Corte costituzionale è d’accordo con la Corte di giustizia su un punto: siccome l’ordinamento comunitario costituisce un limite alla sovranità nazionale è concepibile che il giudice ordinario si occupi immediatamente di risolvere un contrasto fra norma interna e norma comunitaria senza bisogno della Corte costituzionale, perché secondo la corte il diritto comunitario e quello internazionale operano entro due sfere distinte: il diritto comunitario si occupa di materie per le quali ha ricevuto competenza dagli USA e in maniera prevalente. Di fronte al diritto comunitario l’ordinamento italiano si ritrae (limita alla sovranità di cui all’art.11 cost), lasciando spazio al diritto comunitario; non significa che il diritto italiano non esiste più: c’è solo che il giudice ordinario deve disapplicarlo (istituto della disapplicazione) >> Dunque il giudice non è autorizzato a considerare invalida la legge ma può dire che non opera il diritto italiano, non è infatti sua competenza. Tra gli obblighi del diritto comunitario vi sia anche quello di riconoscere prevalenza al diritto comunitario stesso. L'art 117 c.1 cost farebbe rinvio anche all'obbligo della sentenza simmental (prevale immediatamente); rimarrebbe speciale in forza dell'obbligo di dargli immediata applicazione. Il sistema dell'Onu non prevede la possibilità di contestare in giudizio la validità di un atto emanato da un organo dell'Onu >> no impugnazione degli atti. Ciò esiste invece nell'ordinamento comunitario > rappresenta un'eccezione alla regola generale. Nonostante ciò può darsi il caso che un giudice internazionale (corte internazionale di giustizia) si occupi del problema e cioè della validità di un atto emanato da un organo dell'Onu; ma può occuparsene solo a titolo solo incidentale (per risolvere la controversia portata alla sua attenzione). Il giudice ordinario deve fare tutto da solo perché se si rivolgesse alla corte risponderebbe con inammissibilità della domanda, salvo nel caso in cui il giudice ordinario intravede un conflitto fra la norma comunitaria e i principi fondamentali dell’ordinamento. In questo caso allora interviene la Corte, che decide se il contrasto c’è o no e ne trae le conseguenze. Il diritto comunitario quindi nel nostro sistema assume un rango tendenzialmente costituzionale poiché sussiste il limite dei principi fondamentali. In pratica c’è convergenza fra la giurisprudenza comunitaria (sent Simmental) e quella interna (sent. Gravital). Per la Corte però non c’è integrazione fra i due ordinamenti, solo che il diritto comunitario ha un suo spazio di pertinenza che se viene violato dalla norma interna essa non è annullata, ma viene resa irrilevante. L’art.117.1 parla sia di obblighi nazionali sia di obblighi comunitari. Conseguenze: facendo così si cambierebbe lo status del diritto comunitario nel nostro sistema: oggi il diritto comunitario ha un primato sul diritto interno ma se si sradica dall’art. 11 e lo si fa ricadere sotto il 117.1, diventano norme di rango infracostituzionale. C’è una disposizione in costituzione che menziona espressamente il diritto comunitario e una che lo ignora (art. 11): tra gli obblighi del diritto comunitario vi è anche quello di riconoscere immediata prevalenza al diritto comunitario stesso. Il diritto comunitario rimarrebbe diverso dagli altri diritti di origine pattizia in virtù di un obbligo che egli stesso esprime: dargli immediato riconoscimento dal giudice ordinario. Paragrafo: 2.2.1.1 : non esiste una procedura di controllo giurisdizionale presso le nazioni unite: il sistema delle nazioni unite non prevede la possibilità di contestare in giudizio la validità di un atto emanato da un organo delle nazioni unite. Non esiste una procedura di impugnazione degli atti. Nell’ordinamento comunitario invece questa possibilità di impugnazione degli atti esiste. Può benissimo darsi il caso che un giudice internazionale e in primis la corte internazionale di giustizia si occupi del problema e cioè della validità di un atto adottato da un organo delle nazioni unite. Può occuparsene non a titolo principale, ma solo a titolo incidentale cioè se risolvere la questione è indispensabile per appianare la controversia che è stata sottoposta all’attenzione della Corte: nel 1989 un aereo improvvisamente esplode mentre sorvola Lockerville (città scozzese). I servizi segreti britannici e USA sono convinti sia un attentato terroristico compiuto da ribelli libici con la partecipazione del governo libico. I servizi segreti individuano i responsabili che si trovano in Libia e ne chiedono la consegna. La Libia dice che del caso si occuperà lei quindi non glieli vuole dare. Gli americani e i britannici non si fidano e riescono a fare adottare dal Consiglio di sicurezza una risoluzione in cui esso intima alla Libia di consegnare i due presunti responsabili. La Libia non lo fa, il consiglio di sicurezza interviene ancora rinnovando la richiesta e intimando sanzioni che cessano solo se la Libia consegna i due. Il caso va a finire di fronte alla Corte penale di giustizia perché secondo la Libia questo costituisce violazione del diritto internazionale. c’è una convenzione che si occupa di attentati con le aeromobili civili: in base a questo gli stati parti si impegnano a processare i responsabili dell’attentato o a consegnarli allo stato che ne fa richiesta. La Libia sostiene di avere agito in modo conforme a questa convenzione di Montreal e che quindi l’insistere per la consegna dei responsabili siano richieste abusive in violazione con la Convenzione di Montreal stessa. La Libia sembra avere ragione, ma c’è la risoluzione del consiglio di sicurezza che stabilisce che la Libia deve consegnare i presunti responsabili conflitto fra norme. Questo si risolve con una norma contenuta nella carta della nazioni unite: art. 103, è una clausola di superordinazione della carta delle nazioni unite: i suoi obblighi prevalgono su quelli che discendono da altri trattati. La Libia quindi è obbligata a dare attuazione agli obblighi derivanti dal consiglio di sicurezza. È la carta delle nazioni unite che rendono obbligatorie le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. La Libia però sostiene che la risoluzione è invalida e quindi può esercitare indisturbata i diritti che ha in base alla convenzione di Montreal ed è questo che la Libia sostiene davanti alla Corte. Quindi non si possono impugnare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza ma si può contestarne la validità nel contesto di una controversia che la vede opposta ad altri due stati. Differenza: in un procedimento di impugnazione degli atti, la sentenza con cui si dichiara l’invalidità dell’atto impugnato, l’atto viene invalidato. Se invece la Corte si esprime sulla validità di una risoluzione a titolo incidentale, l’atto rimane lì, ma non viene applicato e nemmeno annullato. Secondo la Libia non esistevano i presupposti per un intervento del consiglio di sicurezza: infatti questo deve individuare minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. e secondo la Libia la mancata consegna dei due responsabili non comportava minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. La Corte in proposito non si pronuncia perché nel mentre le parti sono giunte a un accordo: hanno deciso che la Libia avrebbe consegnato i responsabili per farli processare in un paese terzo (Olanda) ma in base alla legge scozzese. Il caso si è quindi estinto. Il caso è utile perché nessuno ha contestato la facoltà della Corte internazionale di giustizia di vagliare a titolo incidentale le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. La Corte può esprimere un giudizio anche nell’ambito di un procedimento consultivo, quando è chiamata a dare un parere. In questo caso può intervenire su qualsiasi questione di diritto internazionale, comprende anche la valutazione della compatibilità di una risoluzione con la carta delle nazioni unite. Il parere è un atto non vincolante quindi non abbiamo gli effetti tipici di una sentenza che conclude l'impugnativa, non si può annullare la risoluzione. La Corte internazionale di giustizia può intervenire anche nell'ambito di un procedimento consultativo (quando deve dare un parere). In questo caso può intervenire su qualsiasi questione di diritto internazionale, comprende anche la valutazione della compatibilità di una risoluzione con la carta delle nazioni unite. Il parere è un atto non vincolante quindi non abbiamo gli effetti tipici di una sentenza che conclude l'impugnativa, non si può annullare la risoluzione. Nel 1965 a Washinton (convenzione di Washinton) è stata firmata una convenzione sulla risoluzione di controversie fra stati e investitori; è stata promossa dalla Banca mondiale, tale convenzione istituisce un centro l'ICSID > centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti; non è una corte ma un centro amm.vo che ha sede a Washinton e gestisce un sistema di arbitrato ad hoc. Può capitare che l'investitore privato possa citare lo stato ospite in giudizio secondo le procedure determinate dall' ICSID; nel caso in cui esso abbia una lamentela per il trattamento. Prima di tale convenzione le controversie si risolvevano sul piano interstatuale (protezione diplomatica). In questo modo l'investitore può cercare giustizia senza passare dalla mediazione dello stato di appartenenza quindi non deve passare dalla protezione diplomatica ma ci si rivolge direttamente a istanze a livello internazionale. Si pensava all'esigenza di trasformare controversie private in controversie internazionali, infatti si pone in alternativa alla protezione diplomatica. Fino che c'è la possibilità, per l'investitore di avvalersi dell'ICSID non si può intervenire con la protezione diplomatica; è una garanzia ulteriore. Questa è una convenzione che ha riscosso un successo pressoché universale perché è stata ratificata da un grandissimo numero di Stati; definisce un presupposto necessario ma non significa che gli stati accettano la giurisdizione. Aver accettato la convenzione non significa aver accettato anche l' ICSID; la giurisdizione viene accettata mediante due modalità: 1. modalità contrattuale: il privato investitore conclude un contratto di investimento con lo stato ospite (state contracts diffusi nell'ambito delle risorse energetiche), qui può comparire una clausola ICSID: si impegna a presentarsi davanti a un tribunale ICSID qualora lo stato lo citi in giudizio. 2. stipula di trattati bilaterali sugli investimenti (BIT): un bit viene concluso tra tutti e due gli stati; esso può contenere una clausola ICSID con cui entrambi gli stati dichiarano di sottoporsi alla giurisdizione ICSID in caso in cui uno stato citi l'altro in giudizio. Non esiste una convenzione multilaterale sugli investimenti ma esiste una rete fittissima di trattati bilaterali (sono più di 3mila) > questi trattati sono abbastanza simili tra loro quindi la disciplina è relativamente omogenea; sono numerosi anche gli arbitrati in materia di investimenti. Si afferma che dalla moltitudine di trattati bilaterali possono evincersi nelle norme di diritto internazionale generale quindi delle consuetudini e si può parlare così di generalizzazione del diritto applicabile. RESPONSABILITA' PENALE INDIVIDUALE Nel 2006 Milosevic muore in carcere dove era detenuto dal 2000 in attesa del processo per genocidio e crimini di guerra; Milosevic muore quindi non viene condannato e il processo si interrompe. Nel 2007 la corte internazionale di giustizia assolve la Serbia dall'accusa di genocidio; questa accusa avanzata dalla Bosnia-Erzegovina. Intervenuta l'assoluzione alcuni si chiedono se la pronuncia non possa essere considerata anche una assoluzione postuma di Milosevic. Il processo era iniziato nel 1993 e si conclude nel 2007. Milosevic al tempo era il Capo di stato serbo, quindi ci si chiede se è stato in un certo senso assolto Milosevic. Sorge il problema del rapporto tra responsabilità penale personale e responsabilità dello stato (in questo caso la Serbia), i due regimi di responsabilità funzionano in modo diverso. Lo Stato viene assolto dall'accusa di genocidio, invece il suo Capo di stato è colpevole anche se in questo caso non viene condannato perché è morto prima della condanna. È attribuibile allo stato la responsabilità penale se esso ha fornito istruzioni o esercitato un controllo effettivo sui soggetti in questione; in caso contrario la responsabilità è personale e non dello Stato. La Bosnia non è riuscita a provare che la Serbia abbia fornito istruzioni o esercitato un controllo effettivo sui soggetti in questione quindi la Serbia non è stata condannata ma assolta. Nel caso della responsabilità individuale opera un diverso criterio di attribuzione del fatto illecito che funziona in questo modo: un individuo è penalmente responsabile e quindi incorre nella responsabilità individuale anche se non ha materialmente commesso il fatto illecito ma ha partecipato ad una impresa criminale; si tratta di un piano criminoso che è condiviso da un certo numero di persone, le persone che condividono il piano sono tutte ugualmente responsabili del fatto illecito. C'era l'esistenza di un piano criminoso volto al genocidio >> in sede processuale questi documenti non c'erano quindi non si poteva condannare Milosevic perché non c'erano prove documentabili ma c'erano documenti che provavano l'idea di una pulizia etnica. C'è differenza tra genocidio e pulizia etnica; in questo ultimo caso si ha l'intento di liberare un certo territorio da persone che fanno parte di una certa etnia, mentre il genocidio presuppone l'idea di distruggere un gruppo etnico. Si può prevedere che un piano di pulizia etnica si trasformi in genocidio. Il diritto internazionale è più severo con l'individuo piuttosto che con lo stato perché Milosevic può essere condannato anche solo se ha partecipato alla pianificazione di una pulizia etnica. PARTE SPECIALE >> REGIME FAILURE Disciplina dell'interpretazione dei trattati internazionali >> convenzione di Vienna del diritto dei trattati. Contiene disposizioni anche in tema di esclusione della responsabilità, si da un fatto illecito internazionale quando sono presenti in modo simultaneo 2 elementi: 1. condotta antigiuridica (elemento oggettivo) – Circostanze della conclusione del trattato ( politiche – sociali – giuridiche) ; ( interpretazione fenomeno omnipervasivo) ART 31 Un trattato deve essere interpretato in buona fede ma in che senso buona fede? Come principio generale secondo il quale il testo vale cosi com' è e che il giudice non si inventi di sana pianta un significato che non ha appiglio nel testo; Il concetto di effettività : 1) Se abbiamo due significati uno che da significato all’intera disposizione vale questo in confronto ad uno che da un significato solo parziale della disposizione; 2) Il principio di Estoppel prevede il divieto secondo uno stato di trarre vantaggio dalle proprio contraddizioni , gli stati anche nel momento in cui viene applicato è in un certo senso interpretato , applicare un trattato sempre nello stesso modo questo crea delle aspettative nei confronti degli altri stati , il comportamento delle stato che lo ha applicato deve essere conforme all' interpretazione data al trattato nel momento in cui viene applicato; Interpretazione testuale : (Significato ordinario) Ma ordinario per chi? Il pomodoro deve essere considerato un ortaggio o un frutto? Altro esempio è l'art 5 della convenzione della corte europea dei diritti dell' uomo prevede la non violazione dei diritti della persona tranne che se non sussistano casi particolari quale la detenzione di persone infette ecc tra cui anche gli alcolisti in merito a ciò è sorto un problema se il alcolisti si intendessero quelli cronici o anche chi beve il sabato sera, la corte sostenne lo scopo fosse quello di evitare che gente senza controllo metta a repentaglio la sicurezza altrui quindi si diede un significato estensivo cioè tutti coloro che sono ubriachi. Idea di significato speciale : componente residuale, ogni termine del trattato assume il suo significato naturale a meno che non si possa dimostrare che può essere attribuito un termine diverso. Se in una controversia una delle parti vuole far valere un significato diverso allora deve provarlo se non riesce fallisce il tentativo di attribuire un significato diverso. Interpretazione contestuale: in merito cioè al loro contesto prese isolatamente non hanno alcun significato . Es: la sentenza diritti di navigazione tra Nicaragua e Costa Rica sorge il problema di dare significato alla parola oggetto , oggetto cioè nel senso che le navi passanti sul fiume dovevano avere oggetti materiali all' interno della nave (secondo Nicaragua) mentre CR aveva una concezione più estensiva , oggetto nel senso di obiettivo. La Corte inizia subito con il guardare la frase all' interno del quale la parola si contestualizza e si rende conto che la frase assume significato sensato attribuendo alla parola il senso di scopo, fine commerciale. Inoltre la Corte afferma di voler sottoporre questa tesi ad analisi confermativa e per esempio questa parola contenuta in altro articolo dove assumeva anche li il significato di fine. Altro strumento di conferma : – parole simili in altri trattati – altri documenti rilevanti ART 33 - Interpretazione tecnologica : oggetto e scopo del trattato , alla fine di interpretare un trattato stipulato in più lingue il significato deve essere ricondotto allo scopo del trattato. Ma non è facile individuare gli scopi del trattato , o qualcuno rimane secondario. Esempio OMC : si occupa di commercio internazionale ma non è detto che gli scopi si fermino a quello di commercio il suo scopo primario è la promozione del liberismo del commercio i dazi sono un male e devono essere abbattuti perché i dazi falsano il mercato secondo questa idea. Molti hanno dunque sostenuto che sia questo lo scopo principale. Un organo d'appello in particolare ha sostenuto in una sua sentenza che l' OMC non ha solo quello scopo ma la stessa clausola riconosce anche che le organizzazioni internazionali dovrebbero promuovere lo sviluppo sostenibile. I due scopi sono divergenti e potenzialmente in conflitto. In questo caso cosa si fa? Quando il giudice deve decidere quale scopo ritenere prevalente , il principio prevalente è che diverse circostanze giuridiche richiedono l'esistenza di diverso scopo del trattato es. a seconda che si tratti di una controversia avente ad oggetto la validità di una riserva o altro. L' oggetto è molto variabile e dipende dalla natura del trattato in causa. Diversa è la logica dei trattati multilaterali e assume una sorta di vita propria e logiche sue proprie ed avrà uno scopo suo proprio diverso dalle parti contraenti del trattato. Esistono due differenti tipi di trattati: – Rapporto sinallagmatico logica di stretto rapporto tra le parti. Alcuni trattati possono si non essere bilaterali ma avere clausole bilateralizzabili. – Trattato sui diritti umani e un esempio di trattato che assomma in se obblighi che devono essere riconosciuti. Le regole previste dagli art 31-32-33 ormai generalmente riconosciute da tutte le corti che le applichino anche retroattivamente perché pensano di rispettare l'esistenza di un diritto naturale intenzionale. La corte di giustizia dell' unione europea non fa invece riferimento a questi articoli è un eccezione sembra quasi che dica ce il trattato istitutivo dell' Unione europea segue logiche diverse e quindi lo scopo e il suo oggetto non prevedono l'applicazione della convenzione di Vienna. Quando l' UE deve interpretare i trattati internazionali applica i criteri della convenzione di Vienna mentre per gli altri trattati con diversi criteri. Dunque li vede diversi e applica diversi criteri di applicazione. Esistono anche altre importanti modalità di interpretazione piuttosto complesse : – Oltre al contesto bisogna prendere in considerazione (alla lett. b) ogni prassi successiva che dimostri l'accordo delle parti anche dopo. Torna la Prassi che riguarda l'interpretazione dei trattati. La prassi è anche elemento creativo del diritto può creare una norma nuova , una consuetudine. Abbiamo due esisti di emersione : – 1) criterio di interpretazione – 2) creazione di una nuova norma Esiste un problema non è semplice dividere nettamente i confini tra creazione della norma e interpretazione , le corti sono effettivamente consapevoli di questi problemi e lo è la Corte internazionale di giustizia dove appunto si dice che una successiva pratica delle parti risulti non conforme alla dichiarazione originaria è possibile cambiare il significato del testo quindi qui si tiene conto della prassi con capacità di modifica. In un caso recente la Corte ha sostenuto che la prassi successiva delle parti possa modificare pianamente la lettera di questo testo. La posizione delle parti sulla legittimità della pena di morte in questo caso si sostiene che la pena di morte è inammissibile in ogni caso. Una cosa interessante è che in questo proposito il fatto che trattati diversi che contengono o obblighi bilateralizzabili o assoluti possono ammettere interpretazione diverse e le norme fisicamente identiche calate all' interno del contesto specifico posso assumere significato diverso. L'ultimo elemento dell' art 31: Il principio riscoperto di recente , applicato da varie corti periferiche già tra gli anni 80-90 ma mai veramente emerso fino a che nel 2003 la Corte internazionale lo ha utilizzato. Dice: oltre al contesto bisogna tener conto delle norme applicabili nella relazione tra le due parti. Chiama in causa anche altre norme di diritto internazionale e le attira nell’orbita del pianeta trattato. Un trattato che cerca ponti con altri trattati dai quali può risucchiare altri significati. Definito di grande potenzialità l' art 31 ammette di considerare anche dal giudice altre norme internazionali . Tuttavia esso contiene anche criticità: 1) Il significato della parola parti del trattato cioè se si devono intendere come parti del trattato o della controversia , gran parte della dottrina si è schierato per la prima ipotesi ma la seconda non è del tutto insensato. Un panel dell' OMC ha tentato la strada della seconda ipotesi e si trattava di capire il significato di sviluppo sostenibile per quanto riguardava il Gat trattato su cui si poggia il sistema di OMC allora per attribuire un significato ad una disposizione il giudice ha chiamato in causa una convenzione di conservazione e migrazione delle specie selvatiche qui la Malaysia e gli Stati Uniti erano parti ma solo le parti della controversia e non la totalità parte del trattato questo può creare problemi di ordine interpretativo perché se è possibili per un giudice chiamare in causa le sole parti che disputano su una disposizione e vincolate da strumenti giuridici diversi può creare problemi di interpretazioni , la stessa norma letta in base a due trattati diversi comporta che la stessa disposizione possa essere interpretata in maniera diversa a seconda delle parti che vengano a trovarsi nella controversia. Si tende a presumere che lo stesso trattato debba avere lo stesso significato per tutti ed e difficile intendere le parti diverse , i giudici davanti a questo in un altra sentenza hanno cambiato rotta sostenendo il contrario , la stessa corte si e resa conto che permettere alle singole coppie di parti a intendere diverse le disposizioni abbia reso il trattato dell' OMC troppo frammentario. Quindi soltanto i trattati vincolanti tutte le parte dell' OMC potessero essere tirati in causa. Assume ancora qui importanza della diversità dei contesti giuridici. 2) Un altro problema che emerge è quello del diritto intertemporale viene da chiedersi quale sia il punto di intervento temporale delle norme ovvero le norme che possono essere prese in considerazione sono quelle applicabili al momento della stipula o al momento dell' interpretazione del trattato? Anche in questo caso la Corte non da una risposta univoca e bisogna tener conto se le parti intendevano far si che il trattato fosse considerato in relazione al contesto giuridico esistente al momento della stipula o a norme che si sarebbero create anche se non si sa quali. Qualcuno nel caso Costa Rica vs Nicaragua emerge il problema quale interpretazione dare al trattato ? La corte sostiene che l' elemento interessante per presumere che le parti intendessero aperto il trattato a future disposizione fosse rinvenuto : 1) Genericità del trattato : l'uso di parole generiche 2) Nel dire parola commercio è talmente vaga da accogliere più significati 3) Trattato stipulato per tempo indefinito destinato a durare Questi sono indizi sufficienti per dire che il trattato potesse essere interpretato anche con disposizioni future. Forse questi sono appigli poco solidi. Ottimo esempio di interpretazione evolutiva. LA CONTROMISURA PER TANZI Il termine coercizione di contromisura del manuale è inteso in senso lato e perché le definisce misure coercitive: coercizione in senso lato significa anche il ricorso a strumenti di pressione sulla controparte dunque sul presunto autore della violazione. Il fatto che consiste nel disattendere l' obbligo dovrebbe esercitare una pressione sul soggetto che ha commesso l' illecito. Le contromisure sono coercitive anche in un altro senso e lo sono dal punto di vista dell' ordinamento dello stato che adotta. ES: Poniamo che lo stato X ritenga di aver subito un illecito ad opera dello Stato Y e decida di contro- agire a titolo di contromisura e aumenta i dazi sulle importazioni di prodotti originari di Y dunque rende più difficile l'esportazione della merce di Y perché i costi sono maggiori. La contromisura è coercitiva dal punti di vista dell’ordinamento dello Stato che lo adotta in questo senso: immaginate che il funzionario delle dogane non applichi il dazio aggiuntivo viene ripreso dal superiore che gli dici il parlamento ha adottato una legge e che i dazi debbano essere questi e il funzionario dice che si è sbagliato e lo farà ma continua a non farlo perché magari è corrotto viene rimosso dal suo incarico sottoposto a processo penale e incarcerato per un paio di anni. Significa dunque che è una misura ch e è incardinata nell' ordinamento interno e questo pretenda che si rispetti. La contromisura non è una misura in senso stretto sul piano internazionale. Ambiti speciali della contromisura – nuove forme di sanzione Esistono regole consuetudinarie che disciplinano il ricorso alle contromisura e sono regole che si applicano in mancanza di trattati che regolano la contromisura in modo diverso. ( Regole generali progetto 2001) accanto a queste possiamo trovare regole speciale che si applicano in determinati ambiti materiali e personali. Negli ultimi 40 anni si è avuta una sperimentazione in merito a sanzioni e si e cercata di migliorarla in ambiti speciali. In questo fenomeno va inquadrato il discorso che segue. Vediamo come il diritto generale disciplina il ricorso alle contromisure: Il criterio della proporzionalità impreciso ed elastico, la sua applicazione può comportare problemi esistono altri limiti all'adozione di contromisure: Quando c’è un giudice a disposizione la problematica delle contromisure facciamo della contromisura uno strumento sanzionatorio che non rileva più della giustizia privata . Per la consuetudine anche quando esiste un impegno arbitrale anche in questo caso il diritto internazionale generale consente allo Stato che si ritiene leso gli consente di ricorrere alle contromisure ancor prima di aver instaurato il procedimento e l'unica cosa che deve fare è notificare l' intenzione di agire con la contromisura questo perché può capitare che uno stato violi senza accorgersene o un organo sia richiamato da organi di diritto internazionale , cosi facendolo notare essi rettificano il loro comportamento e non c è alcun bisogno di ricorrere alla contromisura. Detto ciò X anche se ha un impegno arbitrale può subito adottare contromisure perché in questo caso l'adozione di Anche il GATT aveva un suo sistema di risoluzione delle controversie ma molto meno efficace : funzionava in un modo abbastanza bizzarro , gli organi usavano i PANEL termine per riferirci ad un collegio arbitrale istituito ad Hoc, non esisteva un organo giurisdizionale permanente ma chi si occupava di sitituire i panel ? Un organo denominato PARTI CONTRAENTI e si intendeva l'assemblea con lettere maiuscole mentre in minuscolo le singole parti contraenti. Questa stranezza perché la nascita del Gatt è un episodio piuttosto generale , ancor prima che la guerra finisse gli alleati che ormai erano sicuri della vittoria nel 1994 si riuniscono a Bretton Woods e creano il fondo monetario internazionale e la banca mondiale, il primo doveva occuparsi si mantenere stabili i tassi di cambio mentre la banca mondiale doveva occuparsi del finanziamento. Il sistema economico mondiale post bellico doveva pero reggersi anche sull’OIC organizzazione internazionale del commercio , questa organizzazione avrebbe dovuto disciplinare anche la concorrenza e in materia di lavoro , disciplina avanzata che è stata rifiutata da importanti attori tra i quali gli Stati Uniti e si è deciso di stralciare il GATT questo è rimasto orfano dell' apparato istituzionale esso nasce come accordo orfano di un organizzazione mai creata , tuttavia nella prassi il GATT è divenuto una vera e propria organizzazione ed è per questo la decisione delle parti contraenti. LE PARTI CONTRAENTI decidono di istituire una panel che si occupi di istituire la controversia , loro si esprimevano per consensum una sorta di unanimità debole (facciamo il preappello una data, nessuno controbatte quindi si fa e c'e il consensun e la delibera è approvata) , questo significa che affinché un panel fosse istituito era necessaria che la parte contraente fosse tirata in causa, nell' ambito del GATT il panel era volontario ed entrambe le parti dovevano essere entrambe in accordo. IL panel non è un organo arbitrale in senso proprio perché non emana una sentenza arbitrale ma si esprime con un atto chiamato report che non è un atto vincolante ma lo diventa se approvato dalle parti contraenti per consensus. In realtà questo pseudo arbitrato era una sorta di conciliazione e la soluzione proposta dal conciliatore sia accettata da entrambi i contendenti. Il panel assomiglia del tutto e per tutto ad una sentenza il ragionamento è giudiziario normalissimo. Ciò nonostante è accaduto diverse volte che le parti contraenti abbiano approvato il panel e non è detto che la parte soccombente non si sottopone allora accade che lo Stato uscito vincente poteva chiedere alle parti contraenti ad essere autorizzato ad adottare contromisure nei confronti del rencaltrivante Y subisce la sanzione solo se accetta autolesionificamente accetti la sanzione. Questo è successo ? SI IL CASO – Stati uniti e Paesi bassi hanno istituito il panel che ha emesso il verdetto di condanna del comportamento statunitense ma poi si sono trovati nell’impossibilità di darne applicazione, il congresso non voleva adottare una legislazione adatta al panel e gli Stati uniti hanno accetta di subire contromisure dall’Olanda sperando che ciò convincesse il congresso ad adottare il panel istituito ad iniziativa degli Stati Uniti. Il caso del GATT prevede l' uso di contromisure esiste ma solo nel limite del consenso dell' autore dell' illecito quindi formalmente esiste ma concretamente questo consenso arriva di rado. Il sistema è così consegnato alla storia , l' OMC emerge da una leggera modifica del GATT ma che ha conseguenze di enorme portata. L' OMC organizzazione in senso formale i suoi organi sono: – conferenza ministeriale: si riunisce almeno ogni 2 anni ,tra una riunione e l' altra opera il consiglio generale anch' esso rappresentativo di tutti i membri dell' Omc partecipano funzionari di rango elevato , il Consiglio generale opera nell' ambito di sistema di risoluzione delle controversi nella veste di organo perla risoluzione delle controversie (DSB) discut selecment body. L' allegato 2 dell' accordo istitutivo nel suo ambito il Consiglio generale diventa DSB; Procedimento della risoluzione delle controversie per l' OMC : Un membro ha violato un obbligo , Y si rivolte a DSB e gli si chiede di istituire un panel e il DSB delibera per consensus ma l' oggetto della delibera non è già l' istituzione del panel ma il rigetto dell' istanza volta ad istituire il panel, ma questo si chiama consensus negativo (rigetta l'istanza) , il panel viene comunque istituito . Il senso di questa procedura è il seguente: il ricorrente deve comunque passare per il vaglio di un organo politico , il procedimento non viene istituito burocraticamente , i membri dell'organizzazione possono cosi instaurare un dibattito sull'opportunità di istituire il panel , l' istanza va esposta messa in piazza e poi se l'autore dell’istanza insiste un panel viene istituito perché l 'oggetto è la non istituzione del panel. Si esprime il diritto al panel. Le parti in lite possono decidere di sollecitare l'intervento dell' organo d'appello è un tribunale permanente costituito da 7 membri , oggi nel sistema noi abbiamo un grado molto più elevato di coerenza cerca di mantenere una certa continuità dell' Omc. Se nessuno lo sollecita allora il panel viene adottato il rapporto a meno che tutti non siano d’accordo nel rigettarlo. Diritto al panel e diritto alla sentenza. Perché non dire il rapporto del panel non è obbligatorio. No perché se ne parla ,hanno la possibilità di interloquire con il giudice poi passa ma intanto tutto resta verbale e il giudice può esaminare. Vige la regola del Consensus negativo. Finisci la fase sostanziale della procedura se invece siamo davanti all’organo d'appello può il panel adottarlo: – cosi com' e – modificarlo – rigettarlo interamente Lo trasmetta al DSB e ancora una volta lo adotta secondo la regola del consensus negativo. In pratica : nel GATT il sistema della risoluzione delle controversie il sistema è facoltativo , nell'OMC invece è obbligatorio e tutti i membri soggiacciono ad una meccanismo arbitrale il cui compito è accettare eventuali violazioni del diritto dell' OMC. Ma cosa accade se la parte soccombente decide di non rispettare la decisione? Supponiamo che lo Stato X si sia aggiudicato la causa, Y non vuole rispettare il verdetto e chiede a DSB ad essere autorizzato ad adottare contromisure questo la autorizza a meno che questa richiesta non venga rigettata per consensus , in sintesi nel gatt il panel si istituiva solo con consenso dell’offensore tutto su base volontaria , invece nell'Omc tutto è fluido : – Il panel certo istituito DIRITTO AL PANEL – rapporto del panel obbligatorio DIRITTO ALLA SENTENZA – le contromisure autorizzate DIRITTO ALLA CONTRIMISURA L' Omc EMERGE da un esperienza del fallimento , nella seconda metà degli anni 80 ha iniziato ad incorrere ad una serie di fallimenti , il gatt non riusciva a far rispettare le proprie regole e si è deciso di rafforzare l ' apparato per rendere più forte il sistema e non ripete l'esperienza fallimentare del gatt. AL contrario le regole del gatt sono state iper-restrittive , quelle dell' OMC lo sono restrittive un pò meno ma lo sono. Vi sono innanzitutto delle restrizioni di carattere sostanziale e processuale. IL diritto dell' OMC prevede il criterio dell' equivalenza art 22.4 intesa sulle risoluzioni delle controversie , cosa vuol dire : significa che il pregiudizio inflitto a titolo di contromisura può essere al max uguale o minore al pregiudizio causato dall' illecito. ES: divieto di importare un certo prodotto Il caso nel 1996 la Comunità europea decide di vietare l ' importazione di carne ricavata dalla macellazione di bovini allevati con l'ausilio per la crescita . L' impiego di ormoni non è consentito nella comunità. Questa misura comunitaria poteva essere contestata su altra base : riconosciuta illecita dagli organi dell' OMC , significa che il danno che l'ostacolo o la barriera commerciale causa il danno economico , una contromisura è anch' essa una barriera commerciale. Il problema è come si calcola l'ammontare del pregiudizio? L'elasticità del principio di equivalenza per dar la possibilità di determinare con precisione l'ammontare del danno , ma l 'art 22.4 lascia completamente indefinita la nozione di pregiudizio . Entrano in gioco i limiti procedurali. Nel caso le contromisure siano ritenute non equivalenti ma eccessive allora la parte soccombente può chiedere l' istituzione di un tribunale arbitrale che si occuperà di valutare l'equivalenza del pregiudizio . C ' è sempre presenza del giudice , sotto la sua sorveglianza. Proprio questi hanno chiarificato il significato di pregiudizio ai sensi dell' art 22.4. Ma sbagliando... Art 224 DSU CRITERIO DI EQUIVALENZA / PROPORZIONALITA’ Criterio di prevalenza = il pregiudizio causato dalla contromisura deve essere minore o uguale al pregiudizio causato dall’ illecito ; Ma ci chiediamo cosa significa pregiudizio: l’art 2 par. 6 prevede un giudice (giurisprudenza arbitrale) (OMC) che si occupa di verificare se le contromisure proposte dalla parte lesa sono o no conformi al criterio di equivalenza. E chiarire il significato di questa nozione si sono occupati i tribunali investiti di volta in volta di quesiti come questi. Secondo i Panel che si sono occupati della questione il pregiudizio si quantifica in questo modo è uguale al valore degli scambi commerciali impediti dalla misura illecita. Bisogna capire quanta merce sarebbe entrata in assenza del divieto. Facendo una stima ecco che abbiamo una cifra che quantifica il pregiudizio. Se questo impatto rimane al di sotto di quello causato dall’ illecito allora rispetta il criterio di equivalenza se invece l’impatto supera allora la proposta di contromisure deve essere rivista verso il basso. Non è ovvio tutto ciò anzi è un modo del tutto peculiare, il modo alternativo è il seguente : Invece di intendere il pregiudizio come impatto sugli scambi commerciali si poteva intendere come impatto sulla economia dello stato , il giudice dell’ OMC ha deciso di interpretare il giudizio in un certo modo , quali sono le implicazioni di questa interpretazione ? Quasi sempre vige un principio uno stato un voto , tutti hanno le stesse prerogative a livello internazionale Palau un piccolo Stato insulare ha le stesse prerogative degli Stati uniti al di fuori dell’ ambito del Consiglio di sicurezza. Dal punto di vista delle risorse materiali ed economiche gli Stati sono molti diversi tra loro. Alcuni Stati avranno un economia più articolata e sviluppata altri meno e più piccola un economia che conta su poche industrie magari un economia poco diversificata , conta molto su uno o pochi settore produttivi. Quindi pensiamo agli effetti che la stessa misura restrittiva può comportare su economie grandi o piccole, crea un pregiudizio diverso a seconda dell’ economia che essa colpisce: Il pregiudizio è lo stesso ma l’ impatto che crea è diverso. Il caso : Antigua e B. si lamenta perché gli Stati uniti hanno deciso di vietare servizi online di scommesse e giochi d’azzardo , questa industria è molto importante e citano in giudizio gli Stati uniti , il giudice dell’ OMC da ragione ad Antigua ma gli Stati Uniti dopo la sconfitta affermano che l’esito della controversia non gli fa ne caldo ne freddo perché noi non abbiamo alcuna ragione di temere la reazione di Antigua , ma perché non la temono? La misura commerciale dichiarata illecita impatta in maniera molto forte. Il diritto dell’ OMC consente ad Antigua questa risposta: consenti di adottare una misura che reca un pregiudizio non commerciale a quello arrecato agli scambi commerciali di Antigua. Ma Antigua e Stati Uniti possono essere considerati come il nano e il gigante se tiro un sasso al primo lo uccido se tiro un sasso al secondo al massimo si rompe un unghia. Ed è proprio questo il sistema , quindi i Paesi più deboli non possono colpire i più forti. Vediamo cosa accade se invece intendiamo il pregiudizio come causa arrecata all’economia. Antigua dovrebbe essere autorizzata a causare un danno enorme agli Stati uniti; Antigua non avrebbe le forze economiche per poter causare un danno ingente agli Stati Uniti. Per rendere più giusto il sistema : 1. pensare la possibilità di adottare contromisure collettivi ( i piccoli si uniscono per colpire i grandi) ma sorge un pericolo giuridico di grande spessore, le contromisure sono o no permesse dal diritto internazionale generale ? Torna il concetto di Obblighi Erga Omnes :Vi sono obblighi che hanno una struttura bilaterali o multilaterale o erga omnes: - Obblighi bilaterali : A ha un obbligo identico nei confronti di B C D , supponiamo che A violi l’obbligo nei confronti di D chi può adottare contromisure ? Solo D. - Obbligo erga Omnes : la relazione qui è una soltanto se A viola l’obbligo di B anche C e D sono interessati e quindi in linea di principio potrebbero reagire con la contromisura ma le cose non sono cosi semplici vediamo come la cosa e NON risolta dal progetto di articoli del 2001. Questo progetto lo affronta all’ art 54 cosi : ha risolto con la clausola di non pregiudizio , dunque il progetto non offre risposta alla domanda ma dice sono ammesse se le ammette la consuetudine. Oggi possiamo dire qualcosa di più rispetto a questo tema ? Esistono delle ottime monografie fanno una somma della prassi quindi le contromisure collettive sono ammesse solo quando vi sono violazioni gravi quindi in pochissimi casi quindi in generale il ricorso alle contromisure collettive è vietato. Sul piano della consuetudine la contromisura resta uno strumento individuale ma azioni di gruppo non sono generalmente ammesse. Questo è vero in linea generale ciò non impedisce ad un qualsiasi sistema pattizio come l’OMC di derogare a ciò . Il punto è il sistema dell’ OMC lo permette oppure no? Si può dunque avvertire l’esigenza di reagire in modo più consistente di quanto sia previsto dal criterio di equivalenza e resta necessario chiedersi se il sistema OMC consente il FALL BACK. Questo detto ma con alcune riserve : quando si tratta di contromisure commerciali non sempre è importante o determinante il volume della contromisura ma è possibile studiare delle contromisure intelligenti che non sono particolarmente consistenti ma che colpiscono dove fa male , un colpo ben assestato se non con grande forza; Esiste una vera e propria scienza delle contromisure: Esistono delle persone che studiano dove colpire con la contromisura per ottenere gli effetti desiderati con il minimo di sforzi. IL caso : L’ unione europea un giorno vince contro gli Stati Uniti che si rifiutano di rispettare la sentenza dell’ OMC e l’ UE sapeva che di li a poco si sarebbero svolte le elezioni presidenziali sono importantissimi i cosiddetti stati in bilico ( quelli che a seconda delle elezioni votano per partito democratico o repubblicano). L’ UE ha deciso di colpire con le proprie sanzioni alcune imprese presenti in questi stati perché essi volevano che gli Stati uniti si conformassero cosi cessava la contromisura e ci sono riusciti, sono soddisfatte e non causano problemi in sede di elezione. Contromisure non voluminose ma mirate. Ci sono cmq situazioni in cui è difficile trovare il punto di pressione. Cerchiamo di capire se il diritto dell’ OMC consente il FALL BACK in caso di fallimento : Può accadere che un regime con proprie misure agendo nel rispetto di questi principi cmq l’azione non ha effetto e la legalità non viene ripristinata e quindi si chiama situazione di fallimento. Non esiste una disposizione che si occupi di questo e noi dobbiamo decodificarne il silenzio. Non esistono sistemi o regimi autosufficienti che abbiano norme da adottare in caso di fallimento , l’ unica eccezione è il sistema IXID, finché dura il procedimento misto allora lo stato di cui l’investitore ha la nazionalità non può agire in protezione diplomatica, non può esserci interferenza questa viene reintrodotta nel caso in cui lo stato si rifiuta di conformarsi ad una sentenza quindi vi è FALL BACK sul sistema e sull’ istituito della protezione diplomatica. L’ unico trattato che prevede cosa si debba fare nel caso in cui il sistema fallisca tutti gli altri rispondono con un gran silenzio. Ma questo silenzio significa SI o NO ? Regime autosufficiente : sistema che prevede regole proprie in materia di contromisure, queste regole si applicano in deroga alle regole generali. La situazione di fallimento altro non è che una situazione illecita dunque in linea di principio dovrebbero applicarsi le regole speciali dell’ illecito ma questa a prima vista perché l’ illecito che costituisce una situazione di regime Failure è un illecito particolare che ha resistito alla reazione sviluppata secondo le regole del sistema e lo distingue dagli illeciti ordinari. Di qui sorge il problema interpretativo: Come si risolve? Come si interpreta un silenzio? Potremmo vedere la questione in questi termini : facciamo un salto al bar e chiediamo un caffè , il barista ci ha dato un piattino con una siringa piena di caffè e noi stupiti ma ancora più stupefacente e la replica del barista , avete chiesto caffè e nient’ altro, ma dalle mie parti si intende un caffè dentro una tazzina di certe dimensioni , riteniamo d’aver sottointeso tante cose, il barista ha interpretato il nostro silenzio sul contenuto come voleva lui ma potrebbe essere per ragioni linguistiche. Le persone che conversano hanno in mente diverse convenzione linguistiche e grazie a quelle convenzioni condivise che riusciamo ad unificare tante cose. Questo per spiegare che il problema del regime failure ce qualcosa che viene lasciato implicito e che cosa ? La soluzione del problema che ci riguarda. Ma tutti dipende da come le parti contraenti intendono questo silenzio , esiste una convenzione linguistica condivisa in cui il silenzio significhi divieto o autorizzazione di tornare alla consuetudine? I contraenti la intendono in modo omogenea? Come lo si stabilisce? Si interroga la prassi e si cerca di capire grazie ad alcune osservazione come gli stati intendono intenderla. Questa prassi è possibile procurarsela studiando un sistema di fallimento cioè il sistema del GATT : Si potevano adottare contro misure ma per consensus e si era trasfigurata sino a diventare una sanzione concordata e raramente quindi autorizzata solo in una occasione nel 1950 nella controversia tra SU e paesi Bassi. Ma negli anni 90 la situazione è critica e per la prima volta formula la concezione di FALL BACK. Gli S U pensano di aver ragione e potrebbero voler agire adottando contromisure e sostengono che la situazione di regime failure in cui il GATT è in corso autorizza il FALL BACK ; L’ opinione delle altre parti contraenti : reagiscono male tranne il Cile tutte le altre parti contraenti nel corso di un dibattito svolte nell’ assemblea del GATT e sostengono che l’ambito di applicazione delle regole speciali in materia di contromisure coprono anche la situazione di fallimento. Secondo la grande maggioranze della parti contraenti del GATT (composto da 120 membri) , il silenzio dunque significa divieto di fall back per questo in linea generale il silenzio vieta il fall back nel regime failure. Tornare alla prassi del GATT significa studiare un sistema che ha fallito realmente. Uno Stato ha presto la via di fuga ha deciso di impugnare la contromisura. Si può evincere che quando le parti contraenti tacciono vogliono dire che le regole si applicano sempre anche in caso di fallimento. Quando gli stati che hanno messo in piedi un sistema con apparato sanzionatorio non efficace allora devono tornare alle regole generali. Quando il GATT sprofondava nella crisi , nel passaggi da esso all’OMC di fatto erano state escluse le contromisure , ma nell’ OMC rientra in modo trionfale , esiste un diritto alla contromisura. Lo Stato leso ha un diritto ad adottare le contromisure. L’ esperienza del GATT non ha prodotto fughe nel FALL BACK ma si è risolta con un accordo tra i contraenti mediante una contrattazione. In generale dunque non si PUO fare FALL BACK. Esistono pero tesi diverse: 1) in coda al discorso dell’ OMC 2) dopo aver svolto un discorso sul diritto comunitario 1) La più elaborata secondo cui i membri dell’ Omc in una situazione di regime failure possono ricadere sulle regole generali .Zim e Ulkoscki è una tesi la loro di carattere interpretativo , consiste in una proposta interpretativa uniforma sempre valida applicabile ai trattati che non prevedono alcun che in merito di fallimento. Al centro viene posto un criterio di interpretazione effettiva , dobbiamo distinguere tra : - regole primarie : intende disciplinare il comportamento a livello primario delle parti contraenti; Il diritto omc obbliga le parti a trattare le regole di diritto commerciale non discriminazione o parti trattamento tra prodotti nazioni e importati (principio del trattamento nazionale), questa è una regola primaria; - regole secondarie : una regola strumentale , secondaria esempio sono le regole sulle contromisure , poniamo che uno stato violi il principio del trattamento nazionale allora gli altri membri adotteranno contromisure per spingere l’autore del fatto illecito ad interrompere l’illecito; Una condotta conferma alle seconde serve a ripristinare il rispetto della prima; Dunque le regole primarie sono più importanti e quindi tutto sommato le seconde sono prescindibili, vanno rispettate finché rispettandole si riesce a raggiungere l’obbiettivo per le quali esse sono uscite ma se le regole secondarie non svolgono il loro lavoro allora possono essere assecondate. Qui si innesca il fall back. Sappiamo che il diritto dell’ Omc come altri che istituiscono sistemi autoreggenti come devono interpretare il silenzio alla luce della effectiv interpretation cioè essa deve essere considerata in base alla realizzazione dei concetti primari e quindi massimizzare la loro efficacia e quindi quel silenzio va inteso come facoltà di tornare ad utilizzare le misure consuetudinarie per garantire il rispetto degli obblighi primari. Affrontiamo questo silenzio con un bagaglio composto da : 1) regole primarie 2) regole secondario = regole strumentali 3) interpretazione effettiva Ne risulta che questo silenzio viene riempito con tutte queste considerazioni e va letto cercando di esaltare l’ efficacia delle regole primarie e come si fa? Accantoniamo le misure risultate inefficienti e usiamo la contromisura consuetudinaria. Ma questo discorso funziona? Sembrerebbe di si e invece no ma perché ? Questa è una tesi che sembra illuminata dal consenso è perfettamente ragionevole ma in realtà è una tesi persino buffa perché : Produce delle conseguenze curiose , divertenti , torniamo alla vicenda del GATT sembra suggerire che quando gli stati non specificano alcun che in merito alla fattispecie di fallimento intendono tacitamente che le regole speciali in materia di contromisure se non funziona si possono cambiare. Ma quando c’è un intendimento tacito e i parlanti condividono la medesima convenzione linguistica i parlanti si capiscono perfettamente e invece secondo Zim e Pulcoschi il silenzio è sempre misterioso e questa è la cosa strana. Torniamo al bar andiamo con ZIm e Pulcoschi chiediamo al barista un caffè ma il barista ci chiede lo vuole ora o domani mattina , in una siringa o in una tazzina ? Per loro due questo fa emergere un mistero qualcosa da chiarire , non esiste un intesa tacita. Il barista torna con una siringa ma noi volevamo una tazzina e il barista si difende dicendo io ho pensato che e meglio spararselo per endovena. ( principio di effettività). In astratto dunque la precedente soluzione è ragionevole ma non conforme all’ intenzione delle parti contraenti , per capire cosa esse vogliono , le intenzioni si ricostruiscono a partire da dati obbiettivi e uno di questi è l’esistenza di convenzioni linguistiche un silenzio assume un significato determinato. ·Non è detto che coincide con il modo di intendere la razionalità dell’ attore , ciò che e ragionevole per uno può risultare irragionevole per altri. Per i Paesi economicamente forti Il fatto di potersi liberare delle regole speciali quando non funzionano è positivo. I paesi in via di sviluppo in genere sono contrari ad un ricorso disinvolto alla contromisura perché sanno di aver meno mezzi a disposizione e quindi incapaci di sanzionare. Anzi per loro le regole secondarie sono importanti tanto quanto le regole primarie e se pare che non funzionino ci si mette d’accordo si ricostruisce l’apparato sanzionatorio ma non si può tornare alle norme consuetudinarie. Il “ fallimento “ dell’ idea di Zim e Pulkoschi , questa soluzione è troppo astratta in due sensi : a) nel silenzio del trattato vede sempre e solo un mistero interpretativo se non applicando il principio di effettiva interpretazione che però è troppo astratto perché la razionalità implicita in questo principio è solo quella degli stati forti; non integra invece i paesi più deboli e quindi le regole speciali sono inderogabili salvo modificarle di comune accordo; b) Qualcosa di non codificabile; 2)La seconda ipotesi era quella del DIRITTO COMUNITARIO: Il diritto del trattato di Roma 1957 non prevede nessuna disposizione in materia di contromisure mentre il diritto dell’ OMC prevede l’art 22.4. Dunque in linea di principio e cioè nel rispetto degli insegnamento tradizionali sul rapporto tra diritto internazionale generale e diritto pattizio nell‘ambito dell’ ordinamento comunitario dovevano applicarsi le regola generali. I membri di allora ne erano perfettamente convinti . quando il diritto comunitario viene violato esiste la giurisdizione obbligatoria quindi prima bisogna andare dal giudice comunitario che accerta l’illecito ma poi può darsi che si rifiuti si rispettare il verdetto e secondo le parti contraenti il trattato CEE si sarebbe potuto ricorrere alla contromisura ( non si deroga a regole generali in materia di contromisura) se non che il 13 novembre 1964 la corte di giustizia della comunità europea affermando esattamente il contrario cioè che nel silenzio del trattato CEE sulla contromisure esse sono vietate. I fatti alla bade di questa causa : la commissione cita in giudizio due stati membri i quali avevano commesso un illecito e davanti al giudice avevano sollevato il loro diritto di contromisura a questo punto la corte di giustizia afferma invece quanto segue: (pag 232 cita il passo della sentenza) – nell’ ordinamento comunitario non sussiste una siffatta interdipendenza tra gli obblighi incombenti tra stati membri il trattato non impone obblighi reciproci bensì ha dato vita ad un nuovo ordinamento giuridico che determina obblighi e come pure le procedure come constatare e reprimere le violazioni dunque all’ infuori dei casi espressamente previsti il sistema del trattato implica perciò il divieto degli stati membri di farsi giustizia da se. Riflettiamo: non viene citata alcuna disposizione ma si parla di sistema poi si qualifica questo in un certo modo , ordinamento nuovo , la conseguenza qual’ e? se il trattato non dice niente sulle contromisure vuol dire che le vieta perché non attribuisce il potere di adottarle , se non nei casi espressamente previsti ma questi casi non ci sono quindi essa non esiste. Qui la logica classica viene sovvertita , gli stati hanno diritto di contromisura se non lo cedono essi in linea di principio lo conservano ma se non dicono alcun come essi perdono questo diritto. Gli stati hanno perso questo diritto senza rendersene conto. Poi quel reprimere potremmo pensare questo nell’ ordinamento comunitario le contromisure non hanno senso perché esiste un apparato centralizzato, la somministrazione della sanzione viene centralizzata e parla di procedure finalizzate a constatare e l’ordinamento internazione è fatto da e per enti sovrani internazionali. Se tra due o più Stati sia affermato un ordinamento che ne nega la sovranità fra questi Stati non sussiste più il diritto internazionale. Si vuole un sistema dualista. Gli Stati federati non sono sovrani l’hanno persa e quando scompare la sovranità scompare anche il diritto internazionale. Secondo RR un ente incapace di adottare contromisure per tutelare i propri diritti e che non abbia questa capacità nemmeno in ultima istanza cioè quando la controparte insiste nel violare le regole (situazione di fallimento) allora non è sovrano , se c’ e sovranità deve sussistere anche il diritto di contromisura e se questo non c’ è non è più sovrano e non c è più diritto internazionale. Quando i giochi si fanno duri i duri cominciano a giocare. Per R R il diritto di contromisura è una norma di ius coges è quello che si attesta nell’ ordinamento a livello strutturale , dunque norme interattive. Gaetano Arangio Ruiz nato nel 1918 ancora vivo e tutt' ora giudice internazionale. Esso ha una strana idea e l'aveva agli inizi degli anni 90 quando gli Stati rinunciano al diritto di contromisura il patto dal quale risulta la rinuncia è invalido. Parla di regole imperative : ho l'impressione che non stia parlando di consuetudine affatto ma se si indaga bene con attenzione il pensiero di Arangio Ruiz le norme a cui lui riveste carattere cogente sono delle norme strutturali cioè un ordinamento internazionale è un istituzione che nasce con delle regole e in quanto instituzione destinata a regolare i rapporti tra Stati contiene norme necessarie. Ci stiamo chiedendo se questa idea sta in piedi ? Ma necessarie cosa vuol dire? Se noi posiamo concepire concezioni diverse da quella del nesso deduttivo secondo il quale l'assenza della contromisura crea anche uno stato senza sovranità. Noi potremmo pensare anche che quando uno Stato si impegna a determinare determinate regole si impegna a giocare secondo determinate regole perché o sia attiene o non gioca più. Quindi la sovranità può mantenersi intatta anche recedendo dal patto. Secondo Arangio Ruiz si deve poter recuperare la contromisura anche contraddicendo la lettera del patto. Peccato pero che il membri dell' OMC possano recedere mediante semplice notifica che prende effetto dopo sei mesi. Quando è contemplata la possibilità di uscire dal sistema allora non è vero che rinuncia alla sua sovranità perché se ne riappropria uscendone. Il problema sussiste quando il patto non prevede la possibilità di recedere questo problema si poneva in relazione al diritto comunitario primario il quale non prevedeva una clausola di recesso. Oggi le cose sono cambiate dal trattato di Lisbona del 2009 il quale prevede una clausola che disciplina il recesso dall' unione. Ma prima era o no lecito uscire dalla comunità?Qui la giurisprudenza è sempre stata divisa. Allora andiamo a vedere il diritto dei trattati sappiamo codificato dalla convenzione di Vienna. Un comodo riferimento è la convezione di Vienna del 69 e stabilisce in linea di principio che l'assenza nel patto di una clausola di recesso significa divieto di estraniarsi dal patto. Ma poi la convenzione di Vienna ci dice che Il diritto di recedere può essere dedotto dalla natura del patto ma non chiarisce cosa questo voglia dire. La dottrina applicando questa al diritto comunitario ha raggiunto conclusione opposte: 1) Poiché non è stato previsto un termine di validità quindi durata illimitata, secondo alcuni significa che il trattato comunitario non può essere rinunciato e non ci si può estraniare; 2) Secondo altri la stessa clausola significa il contrario proprio perché non vi è una scadenza allora è possibile per gli Stati recedere . Se ci fosse stata una scadenza allora gli stati avevano l'obbligo di rispettare questa scadenza. Quale delle due abbia ragione a noi non interessa. Noi siamo interessato ad altro. Il discorso di Rang Ruiz non sta in piedi nel diritto comunitario. Supponiamo invece che un patto non consenta un recesso, le contromisure rimangono l'unico mezzo per perpetuare la sovranità? Restando vittima in quel sistema è diventato vittima dello stato sovrano. Ma qual' è l'alternativa? C' è! Ma dobbiamo ragionare in termini di effettività. Dunque se in un patto esiste una clausola implicita o esplicita noi sappiamo che lo Stato ha il diritto di recedere, nel caso opposto un patto che preclude il recesso non è affatto escluso che sul piano dei fatti lo stato in quanto sovrano riesca comunque ad estraniarsi dal sistema in questione. Recedere non si può ma poniamo che uno stato voglia farlo comunque, lo fa viola il patto e suscitando reazioni ma in definitiva di fatto questo soggetto riesce ad estraniarsi dalla vita dell' organizzazione. Non è mai successo ma immaginiamo che uno Stato membro della comunità ad un certo punto ne ha piene le scatole, il Parlamento di questo paese approva una legge dove si stabilisce che da quel giorno lo stato non è più membro della comunità. Si conservano le norme comunitarie ma riqualificandole come norme nazionali. A questo punto ci sono due possibili scenari: 1) I funzionari dello stato ribelle che è uscito dal sistema , essi obbediscono al parlamento , i giudici applicano la legge che recide il legame con l'ordinamento comunitario anche quelli supremi. Gli organi dello stato si comportano come se si fossero effettivamente estraneato. 2) Il parlamento adotta la legge ma gli organi dello stato fanno prevalere il diritto comunitario. Nel primo scenario abbiamo la sovranità dello stato che si manifesta sul piano che le è proprio cioè quello dell' effettività, dunque ciò ne attesta l'estraneità. Avrà commesso illecito ma i suoi organi lo hanno seguito. Nel secondo scenario siamo in presenza di un ente che ha perso la sua sovranità e che i suoi organi fanno riferimento ad un ente ulteriore hanno iniziato a comportarsi monisticamente. Esiste un solo ordinamento in cui l' ex ordinamento statuale si è ormai integrato. Qui indipendentemente dall' atto che il parlamento emana. Se la ribellione ha successo la sovranità per esprimersi non ha bisogno del diritto di contromisura ma si dimostra sovrano se in grado di estraniarsi dal diritto comunitario. La contromisura non è più uno strumento necessario della sovranità. DISCIPLINA DELL' USO DELLA FORZA Sistema di sicurezza collettiva Carta delle Nazioni Unite : - art 2 par. 4 è importante perché vieta il ricorso alla forza armata al fine di risolvere controversie internazionale. Non contiene una forma così semplice e netta ma è una disposizione decisamente più articolata. -art 39 Nel sistema può usarla il consiglio di sicurezza e ne prevede tre di casi : 1) aggressione : si realizza quando uno stato aggredisce un altro con armi; 2) violazione della pace: non si sa cos' è allora eliminiamola. 3) Minaccia alla pace : il consiglio di sicurezza evoca questa ipotesi perché è quella che ha contorni più vasti , ampi. Sono più numerose delle prime due quindi esse perdono rilevanza. L'ipotesi cruciale e la terza , il consiglio di sicurezza gode di ampia discrezione in questo ambito e generalmente non lo si contesta ; (caso lokerbi) - art 40 misure provvisorie ." Puo indire cessare il fuoco." Tra stati ma anche in un conflitto interno; - art 41 Possibilità di adottare misure obbligatorie non implicanti l' uso della forza al fine di ristabilire la pace. IMPONE OBBLIGHI. Una lista non tassativa ma esemplificative all' interno del quale figura: 1) la rottura delle relazioni diplomatiche ; 2) Il consiglio di sicurezza può vietare qualsiasi scambio commerciale con lo stato ritenuto responsabile della crisi internazionale; Sulla base di questa disposizione ha istituito i tribunali internazionali ed Iugoslavia. -art 42 contempla vere e proprie azioni che conduce direttamente con un esercito (caschi blu) ma questo è caduto in desuetudine perché l' esercito promesso non gli è stato mai dato. Ma nella prassi l'art è stato così interpretato: poichè questo permette di svolgere azioni autonome gli permette di autorizzare altri a compiere azioni implicanti l'uso della forza. Dunque abbiamo un divieto alla forza e l'art 42 che disarma i membri. Poi anche l'art. 51 : si prevede un diritto di legittima difesa. Nell' ordinamento internazionale ogni stato può usare la forza per difendersi dall'attacco armato ma il diritto di autodifesa può essere esercitato fin tanto che non intervenga il consiglio di sicurezza adottando le misure necessarie e respingere l'attacco armato. Dunque in carenza del gendarme posso esercitare l'autodifesa. Questo sistema non ha mai realmente funzionato. Il sistema si è dimostrato velleitario perché subito dopo la creazione della nazioni unite la categoria o il concetto di attacco armato è diventato problematico: ha da subito insistito sui presupposti della legittima difesa nel contesto della guerra fredda dove il consiglio di sicurezza era bloccato e decide pochissimo e tutto si gioca attorno all' art 51 perché il gendarme è perennemente in bambola e diventa cruciale l'intervento dei singoli stati. Questa si rivela controversa: secondo l'interpretazione tradizionale per attacco armato si intende un attacco già sferrato e la legittima difesa può essere soltanto reattiva. Possono anche reagire altri stati in aiuto dello stato aggredito qualora quest' ultimo li autorizza = difesa legittima collettiva. Poco dopo l'entrata in vigore della carta molti si sono chiesti perché bisognerebbe lasciare il vantaggio di colpire per primo all'avversario? non è questa una interpretazione restrittiva? Non sarebbe concepibile una legittima difesa anticipatoria? Supponiamo che lo Stato A si prepari ad un attacco ed è chiaro che lo sta facendo perché l 'esercito si sta accalcando sul confine di B in questo caso perché quest' ultimo non può anticipare l'attacco? Dunque si configurerebbe in questo caso come difesa anticipatoria. Secondo altri l'autodifesa anticipatoria non è così ragionevole perché si sottopone ad abusi allora alcuni hanno formulato l'idea della legittima difesa intercettiva: supponiamo che lo Stato A lanci un missile in direzione dello stato B allora può reagire intercettando il missile dell' avversario ma all' attaccante va lasciata la prima mossa. E' una versione attenuata della difesa anticipatoria. Secondo altri ancora il concetto di difesa anticipatoria è ancora troppo restrittivo perché impedisce agli Stati di difendersi efficacemente sono i fautori di una legittima difesa preventiva: allarga il concetto di autodifesa in modo tendenzialmente illimitato , vi sono alcuni esempi tratti dalla prassi: 1) Il primo esempio Risale agli anni 80 quando l'Iraq decide di dare avvio ad un programma nucleare a fini civili, si costruiscono centrali nucleari e Israele possa passare dal nucleare civile al nuc. militare e a questo punto l'aviazione israeliana colpisce un rettore in Iraq era in costruzione nessuno ci lavorava quindi non si creano datti gravi. Si giustifica dicendo che era per legittima difesa. come reagisce la comunità internazionale? Qui anche gli Stati uniti condannano la reazione israeliana , il nesso tra programma nucleare civile e militare è un nesso troppo largo. Vent' anni dopo gli Stati uniti formuleranno una versione ancora più estrema. L' 11 settembre del 2001 un paio di aeroplani impattano contro le Torri gemelle. La CIA dice che ciò è avvenuto ad opera di un organizzazione terroristica di Al Queida. Gli stati Uniti qualificano il fatto come attacco armato e rivendicano il diritto di agire in legittima difesa contro chi? contro l'Afganistan. perché ? E' difficile sostenere che sia un suo organo ma poiché l'organizzazione di Al queida offre ospitalità nel suo Paese ma si può sostenere che ne controlli i comportamenti? Alcuni sostengono che semmai è il contrario cio al queida controllo l'afganistan. Dunque non può essere ritenuto responsabile dei fatti accaduti. Allora a che titolo ? Perchè l' afganistan ospita AL queida. Ma tutto questo non quadra con la legittima difesa per una serie di motivi ed il primo ce lo spiega la corte internazionale di giustizia in merito al muro - parere 9 luglio 2004 - Israele per giustificare la costruzione del muro invoca il proprio diritto di autodifesa. Abbiamo costruito un muro per difenderci dagli attacchi terroristici dei palestinesi. La Corte non lo accetta perché sostiene che l'art 51 è applicabile ai rapporti tra Stati e quindi non è invocabile quando a sferrare l'attacco è un soggetto non statuale. La Corte ha ragione ? Non è detto perché l'art 51 parla solo di attacco armato e non specifica il soggetto attaccante e potremmo dire che è a fattispecie aperta dunque in linea di principio la corte avrebbe potuto applicarlo. Ma la Corte sostiene che questo limite è implicito ed ha ragione nel sostenere che coloro che hanno scritto l'art 51 avevano in mente un attacco armato sferrato di uno Stato. Ciò che è avvenuto l'11 settembre poi è finito li non è la stessa cosa che svolgere un azione bellica continua. Ma si verifica un azione violenta unica. Ammesso ovviamente che l' 11 settembre possa essere qualificato come attacco armato. E' accaduto potrebbe accadere ancora quindi presenta una minaccia che può essere prevenuta. Anche in questo senso è difficile incasellare la situazione nel perimetro dell' art 51. L'amministrazione Bush però ci prova e nel 2002 fa il tentativo più serio e lo fa nell' ambito della dottrina strategica ( documento di Policy che anticipa le linee direttrici della politica internazionale statunitense volta a tutelare la sicurezza del paese) dunque formano una dottrina detta Bush. Il punto di partenza è il concetto di legittima difesa anticipatoria ma i tempi sono cambiati e ciò che è accaduto lo conferma. Questo concetto di legittimità viene costituito in un contesto in cui si pensava ad uno Stato che attaccava un altro stato e queste intenzioni si potevano dedurre anticipatamente. L'esistenza di un animus aggressivo sarebbe stato di dominio pubblico. I tempi sono cambiati perché oggi la minaccia arriva da gruppi terroristici che colpiscono a tradimento e tutto accadde all' improvviso. Siccome è cambiata la natura della minaccia allora deve cambiare anche il concetto di legittima difesa anticipatoria. Occorre difendersi anche da soggetti