Scarica Dispensa di diritto processuale penale Daniele e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! 1 DIRITTO PROCESSUALE PENALE (aggiornato alla cd. riforma Cartabia, in vigore dal 1 gennaio 2023) prof. Marcello Daniele prof.ssa Silvia Signorato 2 Indice 1. Concetto di processo ed equità processuale 1.1 Concetto, finalità e temi del processo penale 1.2 Equità processuale 2. Modello accusatorio ed inquisitorio 2.1 Caratteri generali dei due modelli 2.2 Storia dei due modelli 3. Struttura generale del processo penale 4. Contraddittorio e separazione tra le fasi 5. Norma processuale penale e principio di legalità processuale 5.1 Struttura delle norme processuali penali e fonti del diritto processuale penale 5.2 Principio di legalità processuale 6. Indagini e organi inquirenti 6.1 Funzione delle indagini preliminari 6.2 Ruolo ed indipendenza del pubblico ministero 6.3 Persona offesa 6.4 Competenza del p.m. 6.5 Polizia giudiziaria 7. Notizia di reato e rapporti p.m./polizia 7.1 Concetto, tipologie, iscrizione della notizia di reato 7.2 Tipologie di procedimenti giurisdizionali 7.3 Ripartizione compiti polizia/p.m. 8. Funzione, garanzie e documentazione degli atti d’indagine 8.1 Funzione e garanzie in generale 8.2 Controllo giurisdizionale 8.3 Diritto di difesa 8.4 Documentazione 9. Perquisizioni, sequestri, intercettazioni 9.1 Concetto, presupposti, garanzie 9.2 Nei confronti del difensore 10. Interrogatorio e assunzione di informazioni 10.1 Interrogatorio del pubblico ministero 10.2 Sommarie informazioni della polizia 10.3 Mutamento dello status del dichiarante 10.4 Sommarie informazioni dei potenziali testimoni 11. Indagini tecniche 11.1 Rilievi e accertamenti della polizia e del p.m. 11.2 Prelievi coattivi 12. Indagini difensive 13. Incidente probatorio 14. Segreto investigativo e divieto di pubblicazione 15. Termini di durata delle indagini preliminari 15.1 Principio di ragionevole durata 15.2 La nuova disciplina dei termini per le indagini 16. Obbligo di esercitare l’azione penale, vaglio preliminare dell’accusa e criteri di priorità 16.1 Concetto di azione e obbligatorietà dell’azione 16.2 La modifica del vaglio preliminare dell’accusa 16.3 Criteri di priorità 17. Archiviazione 17.1 Presupposti 17.2 Archiviazione per particolare tenuità del fatto 5 1. Concetto di processo ed equità processuale Fonti normative: art. 111 comma 1 Cost.; art. 6 § 1 CEDU 1.1 Concetto, finalità e temi del processo penale (Manuale: cap. I, pp. 3-7) Il processo penale è “una serie di atti solenni, con i quali certe persone a ciò legittimamente autorizzate, osservato un certo ordine e forma determinata dalla legge, conoscono dei delitti e dei loro autori, affinchè la pena si storni dagli innocenti e si infligga ai colpevoli” (Francesco Carrara, 1886). Il processo è essenzialmente una serie di atti volti alla conoscenza, è l’applicazione pratica di un metodo di conoscenza l’obiettivo principale del processo è conseguire il miglior accertamento dei fatti possibile. Al termine del giudizio infatti, quando l’imputato viene dichiarato innocente o colpevole, il giudice si esprime in termini di certezza, ma si tratta di una convinzione: la conoscenza assoluta è un traguardo che non verrà mai pienamente raggiunto. Questi due temi interferiscono tra loro a vicenda. I fatti vanno sagomati in base alla fattispecie penale e viceversa, la fattispecie penale dipende dai fatti che vengono accertati. La verità processuale non può essere affermata sulla base di un’osservazione diretta (il reato è un evento passato), ma vi si perviene sulla base di segni che sono stati lasciati nel presente: le prove, mai oggettive e fedeli rappresentazioni di un fatto, per cui il giudice deve fare un’illazione ed in questa si annida il rischio dell’errore. Un’altra caratteristica del processo è che è un insieme di regole, comandi che vengono dati dal legislatore che fanno sì che l’accertamento della verità all’interno del processo non sia un accertamento libero, ci sono delle regole, delle forme da seguire che servono a mettere insieme e bilanciare diversi obiettivi che vengono in gioco. Questo bilanciamento è il compito della legge. Il primo tra questi valori è il miglior accertamento possibile della verità. C’è la necessità di proteggere i diritti, ma dall’altro lato bisogna anche inevitabilmente comprimere alcuni diritti (ad esempio nel fare un’intercettazione telefonica si interferisce con la segretezza delle comunicazioni). Il legislatore deve anche stare attento anche all’efficienza, nella garanzia degli altri valori. Il processo allora è una ricerca ordinata di verità. Il processo penale però si distingue dalle altre forme di conoscenza perché implica l’uso della forza: ad ogni passo compie azioni che, effettuate altrove, sarebbero reato (es. ispezioni, perquisizioni, intercettazioni…) le regole hanno la funzione di imbrigliare l’uso della forza, tracciando un limite al potere dello Stato e scongiurando eventuali arbitri. Ciò porta alla c.d. teoria dualistica elaborata dalla Scuola classica: la procedura penale punta a “due contrari estremi”: scoprire i reati adoperando strumenti il meno incivili possibile. Ci sono stati due conflitti che segnano la storia della procedura penale degli ultimi decenni: Il processo penale serve ad accertare innanzitutto fatti (un accertamento storico, una ricostruzione del passato, tramite le prove: tutto il processo penale si risolve nella messa a disposizione di prove) che vengono contestati ad una persona ricostruzione storica dei fatti. Il secondo tema del processo penale è, invece, la qualificazione giuridica dei fatti. Accertare un fatto non basta, serve un ulteriore passaggio: deve trattarsi di fatti penalmente rilevanti. 6 - Uno sincronico contrappone legislatore e magistratura quest’ultima tende ad aggirare le regole e a caricare sulle proprie spalle il peso dell’accertamento della verità; - Uno diacronico un esempio ne è l’esperienza statunitense in cui, nel 2001, è scoppiato un dibattito che ha portato alla teorizzazione dell’opportunità di legittimare delle forme controllate di tortura verso gli arrestati sospettati di essere legati ad Al Quaida. È stato messo in discussione uno dei pilastri delle democrazie liberali: l’intangibilità del corpo di chi subisce un procedimento penale. Calamandrei in merito ha scritto che il diritto processuale è “una fragile rete dalle cui maglie preme e a volte trabocca la realtà sociale”: nei periodi di pace la rete tiene, nei periodi di emergenza invece vi sono pulsioni autoritarie. 1.2 Equità processuale (il volto costituzionale del processo) (Manuale: cap. IV, pp. 83-87) Con l’apertura del nostro sistema alle carte dei diritti sovranazionali, il processo penale ha assunto un volto costituzionale unitario imperniato sul concetto dell’equità. Il principio dell’equo processo compare nella Cedu, nella Carta di Nizza e nell’art.111.1 Cost., in cui però l’equità è identificata con la giustizia. Nella Convenzione europea l’equità assume la forma del diritto soggettivo, azionabile di fronte alla Corte Edu, alla Corte di giustizia e ai giudici nazionali quando applicano il diritto UE qui l’equità opera in concreto, diventando criterio di bilanciamento che va calibrato in base al singolo caso e tenendo conto delle lesioni dei diritti effettivamente realizzatesi. Nel nostro sistema però questa configurazione rischierebbe di legittimare manipolazioni giurisprudenziali delle garanzie processuali come declinate dal legislatore. Ciò spiega perché nella nostra Costituzione il giusto processo vada inteso come un parametro oggettivo rilevante in astratto, suscettibile di orientare i bilanciamenti tra i valori in gioco effettuati dalla legge ordinaria. Così inteso, si tratta di un mero concetto di sintesi dei principi costituzionali applicabili nel processo penale oppure o integra una nozione autonoma? Per rispondere bisogna individuare una definizione dell’equità, ma ce ne sono diverse e non è semplice stabilirla. In primis, l’equità può essere identificata con l’esigenza che il processo sia regolato da norme accessibili, precise e dalle conseguenze prevedibili diventa però un sinonimo di legalità processuale. Secondo i giudici di Strasburgo, l’equità esprima anche l’idea della parità delle armi, cioè la ragionevole opportunità per ciascuna parte di presentare le proprie ragioni in base a condizioni che non la pongano in sostanziale svantaggio di fronte alla controparte è un duplicato del principio di parità delle armi. L’equità si contraddistinguerebbe per esplicarsi in una serie di garanzie di metodo che va oltre la Cedu e la Costituzione, perciò rappresenterebbe una formula di chiusura comprensiva delle garanzie non espressamente previste altrove, però implicitamente ricavabili dalla Costituzione. L’equità processuale può essere vista come la capacità del processo di produrre una decisione giusta in quanto dotata della massima attendibilità cognitiva designa così un obiettivo coincidente con la finalità intrinseca di qualsiasi processo penale, ma che trova già consacrazione nel principio del contraddittorio nella formazione della prova. Infine, l’equità può indicare la capacità del processo di produrre una decisione giusta in quanto frutto di regole equilibrate, capaci di contemperare tutti i valori in gioco tuttavia questa è una delle implicazioni del principio di ragionevolezza e del canone di proporzionalità. L’assenza di portata precettiva del concetto di equità processuale spiega perché la Corte costituzionale non abbia mai valutato la legittimità delle regole processuali sulla base del solo canone del giusto processo ex art. 111.1 Cost. Nei vari giudizi di costituzionalità questo è sempre stato coniugato ad altri principi, sostanziandosi in una formula in cui si compendono i principi che la Costituzione detta tanto per i caratteri della giurisdizione quanto per i diritti di azione e difesa in giudizio. 7 2. Modello accusatorio ed inquisitorio 2.1 Caratteri generali dei due modelli (Manuale: cap. II, pp. 13-21) I modelli processuali sono delle astrazioni delle caratteristiche ideali che un certo processo dovrebbe avere. Ciascun modello processuale individua certe caratteristiche a cui dovrebbe ispirarsi concretamente la disciplina processuale. Tali caratteristiche derivano principalmente dalla storia, dal mondo in cui il processo nel corso dei secoli è stato disciplinato. Ogni epoca storica adotta proprie categorie di riferimento, espressione di un insieme di presupposti politici, culturali e normativi. Riguardo al processo penale i principali modelli di riferimento sono storicamente il modello inquisitorio e il modello accusatorio. Tramite la dicotomia tra processo accusatorio e inquisitorio, si contrappone l’individuo all’autorità dello Stato: uno è orientato a vantaggio della libertà del singolo, l’altro è disposto a sacrificarla per soddisfare finalità considerate superiori. Ciascun modello disciplina in modo diverso gli elementi costitutivi del processo penale. Elementi costitutivi del processo penale: Indagine preliminare: raccogliere elementi di conoscenza, al fine di capire se un certo processo debba essere fatto no, se si debba o no esercitare l’azione penale nei confronti di una persona. Al termine dell’indagine preliminare, se emergono gli elementi per il processo, vi sarà l’esercizio dell’azione penale. Azione penale: è la contestazione di un’accusa. Si può esercitare in diversi modi. Istruzione: formazione delle prove. Dibattimento Decisione: il giudice valuta le prove, inquadra giuridicamente i fatti e, se riscontra colpevolezza, individua la pena. Impugnazione: possibilità di sottoporre la decisione a revisione. Applicazione di misure cautelari: è un’attività eventuale (se serve, si fa). Dal punto di vista cronologico si colloca soprattutto in fase di indagine, quando ci sono situazioni di pericolo da fronteggiare. Nel sistema accusatorio c’è una netta separazione tra quello che si fa durante le indagini e l’istruzione non si svolge attività istruttoria nel corso delle indagini, questa si colloca nel dibattimento. Nei sistemi inquisitori invece non si concentra l’istruzione del dibattimento, ma questa avviene già in fase di indagine (istruzione anteriore al dibattimento). Nel sistema accusatorio ed inquisitorio c’è una diversa concezione degli organi processuali. Nel sistema inquisitorio ci sono organi processuali costituiti da professionisti del diritto, persone che entrano a far parte della pubblica amministrazione e svolgono quel compito come lavoro (organi giudiziari professionali). Nel sistema accusatorio, soprattutto nei sistemi anglosassoni, invece all’interno degli organi giudiziari vi è la partecipazione di soggetti non professionisti – la giuria popolare – che nel singolo processo devono esercitare una funzione giudicante (si pensi ad esempio alle serie TV americane). In Italia la giuria popolare la troviamo nella Corte d’Assise, composta da due giudici togati e sei giurati popolari. Tuttavia vi è una fondamentale differenza tra la Corte d’Assise italiana e la giuria popolare anglosassone: nella Corte d’Assise vi è un collegio giudicante unico (i laici operano assieme ai giudici togati), mentre nei sistemi anglosassoni vi è la separazione delle funzioni (vi è una corte formata dal giudice togato, che si occupa delle questioni di diritto, e una corte a sé stante formata dai 12 giudici popolari, che valutano le prove e decidono sull’innocenza o sulla colpevolezza il giudice togato non va in camera di consiglio, ci vanno solo i giudici popolari). In Italia, quindi, manca l’idea di separazione netta delle funzioni tipica dei sistemi accusatori puri. I due modelli si distinguono anche per il modo in cui vengono individuate le funzioni processuali. Nel modello inquisitorio c’è una tendenza a concentrare il più possibile le funzioni nello stesso organo, mentre nel modello accusatorio c’è separazione delle funzioni. La concentrazione delle funzioni inquisitoria è qualcosa di 10 del 1930 vede così una crociata contro il garantismo ed i principi illuministi. Le soluzioni normative puntano sullo schema del processo misto, bipartito tra: - Istruzione: connotata da segretezza e scrittura, che mira alla ricerca della verità, traguardo considerato raggiungibile a prescindere dalla dialettica con la difesa. A sua volta è distinta in sommaria (condotta dal PM magistrato alle dipendenze del governo) o formale (condotta dal giudice istruttore, autorità con ampi poteri). - Dibattimento: fase in cui influiscono i verbali formati durante l’istruzione. L’udienza pubblica e orale, se e quando si celebra, concede alla difesa la mera occasione di discutere sul piano retorico il significato di quegli atti, non l’opportunità di contribuire al formarsi delle prove. Predominano gli automatismi della carcerazione preventiva, tanto che la condizione regolare dell’imputato nel corso del processo è quella di detenuto. L’avvento della Costituzione e della Convenzione europea aumenta il tasso di garanzia, ma il sistema continua a restare inquisitorio. La soluzione a lungo preferita fu quella di mantenere l’impalcatura inquisitoria del c.p.p. del 1930, apportandovi specifici interventi per eliminare le storture maggiori. Il legislatore e la Corte costituzionale iniziarono ad adattare alcuni istituti processuali al mutato quadro di valori (es. il diritto di difesa, le restrizioni anticipate della libertà personale, le impugnazioni), fenomeno che venne chiamato di c.d. garantismo inquisitorio, per sottolineare il tentativo di concedere all’imputato saltuari diritti in funzione compensativa della matrice processuale autoritaria. Ciò in realtà finiva per sbilanciare l’equilibrio tra istruzione e dibattimento: gli atti istruttori acquisivano maggior peso nella valutazione del giudice dibattimentale, indotto ad attribuire loro più attendibilità. Nel 1988 col codice vigente viene introdotto un modello accusatorio, introducendo in Italia il modello anglosassone. Vi è stata anche una modifica costituzionale a conferma del modello accusatorio, introdotto nell’art.111 (il processo penale deve adottare il principio del contraddittorio, in particolare nella formazione della prova). Il nostro modello accusatorio è quindi forte, perché non potrebbe essere cambiato senza riforma costituzionale. Tuttavia, ai giorni d’oggi, il processo, seppur accusatorio, presenta tutta una serie di fattori che lo rendono inefficace e stimola tutta una serie di tentativi di riforma. Innanzitutto, non è stata accolta la concezione separata dell’organo giudiziario (non c’è una giuria che decide separatamente). Le procedure negoziate, seppur presenti, funzionano male e poco (vi sono il patteggiamento e il rito abbreviato, ma vengono poco utilizzati perché conviene arrivare al dibattimento). Le impugnazioni sono tali a quelle previste dal codice nel 1930, secondo la logica inquisitoria. L’ultimo tentativo di far funzionare il modello accusatorio è stata la cd Riforma Cartabia. 11 3. Struttura generale del processo penale (Manuale cap. II, pp. 58-62) Panoramica del procedimento penale Struttura bifasica e stadio delle indagini preliminari Nell’attuale struttura del procedimento penale vi sono due fasi contrapposte, la fase preliminare e il dibattimento, separate da un elemento: le conoscenze raccolte prima del dibattimento, in difetto del contraddittorio, non hanno efficacia di prova e dunque restano fuori dal dibattimento stesso. Il dibattimento è il luogo privilegiato di assunzione della prova, di cui sono pilastri la formazione del fascicolo per il dibattimento e il divieto d’uso ai fini della sentenza di prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel corso di tale stadio conclusivo. Il dibattimento può a volte essere preceduto dall’udienza preliminare. Le indagini prendono avvio con la notizia di reato. Il procedimento è un continuo interrogarsi sulla fondatezza dell’addebito di responsabilità, prima con il compimento di atti d’indagine mirati a scoprire se sussistano gli elementi a sostegno dell’illecito, poi mediante l’assunzione di prove a conferma o smentita dell’ipotesi accusatoria formulata, con l’atto di imputazione, sulla base dei risultati della fase probatoria. L’imputazione cristallizza l’addebito fino a lì provvisorio ed è contenuta nell’atto di esercizio dell’azione penale che segna l’apertura del processo propriamente detto, la porzione del più ampio procedimento penale compresa tra l’azione e la sentenza definitiva (inclusi gli eventuali appello e ricorso per cassazione). Le indagini sono dominate dal PM in funzione inquirente, che si serve della polizia giudiziaria (PG) dirigendone l’operato. L’individuo a cui il reato è attribuito in via precaria è la persona sottoposta alle indagini, distinta dall’imputato, che è invece colui che viene tratto a processo come destinatario di un’accusa stabile e corroborata (PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI ≠ IMPUTATO). Alle difese spetta un potere di investigazione privata parallelo (ma non perfettamente speculare) a quello degli organi pubblici. Il GIP non ha piena giurisdizione ma interviene episodicamente su sollecitazione delle parti potenziali, specie quando c’è la necessità di adottare provvedimenti limitativi di libertà fondamentali (es. intercettazioni e misure cautelari). Di fronte al GIP (ma senza sua iniziativa) si svolge l’incidente probatorio, una sorta di anticipazione di un frammento dibattimentale alla fase preliminare. L’azione penale e il processo in senso stretto Quando agisce, il PM dà impulso al processo in senso stretto, aperto dalla domanda di accertamento che investe il giudice del potere-dovere di decidere sul merito. Per rimediare ad azione arrischiate a volte è previsto il passaggio attraverso una fase intermedia in cui il giudice controlla l’effettiva esistenza dei presupposti del dibattimento. Si distingue allora tra: - Iter ordinario: comporta tutte le possibili fasi contemplate dal codice. - Percorsi semplificati: l’udienza preliminare è la sede d’elezione per la scelta del giudizio abbreviato o del patteggiamento, che prescindono dal dibattimento e fanno conseguire all’imputato dei benefici sanzionatori. Se il procedimento non si conclude prematuramente la fase preliminare è seguita dal dibattimento, in cui dominano i principi della pubblicità, dell’oralità, dell’immediatezza e del contraddittorio nella formazione della prova. Che si arrivi al dibattimento o che si ripieghi su un rito alternativo, l’esito del percorso è sempre (tranne nel decreto penale di condanna) la pronuncia della sentenza. Quella di primo grado è impugnabile dalle parti che ne lamentino l’erroneità e mirino a rimuoverla devolvendo la cognizione della materia ad un giudice superiore. I mezzi di impugnazione ordinari precedono e impediscono il formarsi del giudicato e sono l’appello e il ricorso per cassazione. Il primo tende alla riforma nel merito della decisione, mentre davanti alla Corte di cassazione si fanno valere i vizi di legittimità per ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato. Con il passaggio attraverso i gradi ulteriori di giudizio o l’inutile decorso dei termini 12 diimpugnazione, si esauriscono i rimedi e la sentenza passa in giudicato. Potrà essere eccezionalmente rimossa tramite le c.d. impugnazioni straordinarie: revisioni, rescissione, ricorso per errore materiale o di fatto. Reati più gravi Nel caso dei reati più gravi e giudici competenti sono la Corte d’Assise, il Tribunale (in composizione collegiale) e per alcuni il Tribunale monocratico. Nel processo penale, la prima attività da svolgere sono le indagini. Per iniziare le indagini preliminari è necessaria la cd notizia di reato, un’informativa che fa capire a chi di dovere che potrebbe essere stato commesso un reato. Le indagini vengono svolte dal pubblico ministero. Al termine delle indagini preliminari si stabilisce se esercitare o meno l’azione penale, rivolgendosi al GIP (giudice per le indagini preliminari). Se non si trovano sufficienti elementi non sarà possibile esercitare l’azione penale (inazione) e quindi vi sarà archiviazione. Nel nostro sistema il PM non può archiviare da solo: deve fare una richiesta di archiviazione al GIP, il quale valuta le indagini del PM. Il GIP, alla luce delle sue valutazioni, può disporre l’archiviazione oppure, nel caso in cui si trovi in disaccordo con il PM, ordina lui stesso l’esercizio dell’azione penale (imputazione coatta). È possibile, a determinate condizioni, la riapertura delle indagini anche in seguito all’archiviazione. Se si trovano elementi vi sarà l’esercizio dell’azione penale. Nel caso dei reati più gravi il PM chiede al GIP il rinvio a giudizio. Il GIP verificherà la decisione del PM nell’udienza preliminare, dove si svolge il vaglio preliminare dell’accusa. Nel nostro sistema l’udienza preliminare è prevista, a differenza di altri sistemi, anzi è stata anche potenziata dalla Riforma Cartabia. Questa udienza preliminare si può concludere in due modi: da un lato il GUP (il GIP in udienza preliminare si chiama GUP, giudice dell’udienza preliminare) può disporre sentenza di non luogo a procedere, dall’altro invece può concordare col PM e emanare decreto che dispone il giudizio. Dal punto di vista contenutistico la sentenza di non luogo a procedere è simile all’archiviazione: in entrambi i casi il giudice dispone che non si può esercitare l’azione penale. A seguito di sentenza di non luogo a procedere, è possibile la revoca del non luogo a procedere. A seguito del decreto che dispone il giudizio vi sarà il dibattimento, che si conclude o con una condanna o con un proscioglimento, a cui possono seguire eventuali impugnazioni. Reati meno gravi di competenza del Tribunale monocratico I reati meno gravi (fino a 4 anni di reclusione o per uno dei reati ex 550 cp) sono di competenza del Tribunale monocratico. Una volta per questi reati, prima della Riforma Cartabia, vi era citazione diretta: l’imputato andava direttamente di fronte al giudice del dibattimento. Ciò aveva conseguenze piuttosto negative, con una percentuale di assoluzioni pari circa al 50%. La Riforma Cartabia vuole introdurre un filtro anche in questo caso, eliminando la citazione diretta a giudizio e introducendo l’udienza predibattimentale in cui si effettua un vaglio preliminare dell’accusa. L’udienza predibattimentale la fa il giudice del Tribunale (non il GIP). Nel caso in cui il giudice stabilisca che si deve andare al dibattimento, verrà nominato un altro giudice del Tribunale che effettuerà il dibattimento. I procedimenti speciali In seguito alle indagini preliminare svolte in seguito a notizia di reato possono esserci scenari diversi. 15 4. Contraddittorio e separazione tra le fasi (Manuale: cap. IV, pp. 140-150) Fonti normative: art. 111 commi 2, 3, 4 e 5 Cost.; art. 6 § 3 lett. d CEDU Il principio fondamentale del sistema penale italiano è il principio del contraddittorio, da cui segue il corollario del principio di separazione tra le fasi. Il principio del contraddittorio lo si ritrova all’art.111 Cost, inserito nel 1999; fino a quel momento il diritto al contraddittorio veniva fondato sull’art.24 Cost. Il problema del contraddittorio e del fatto che si possono utilizzare come prove solo quelle formate con il contraddittorio è un principio difficile da digerire per i magistrati, perché riduce le fonti di conoscenza quindi più volte si è cercato di neutralizzarlo (anche con una sentenza della Core Costituzionale del 1992 che aveva ammesso come prova le dichiarazioni fatte dai testimoni del corso delle indagini). Si è quindi deciso di inserire il principio in costituzione per evitare che venisse aggirato dalla giurisprudenza. Art.111 commi 2, 3, 4, 5 Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Il contraddittorio del comma 2 riguarda tutti i processi (contraddittorio argomentativo), mentre quello del comma 4 riguarda solo il penale (contraddittorio probatorio). Il contraddittorio argomentativo significa dare alle parti del processo la possibilità di portare le proprie argomentazioni di fronte ad un giudice, per convincerlo di una certa tesi. È un segno di civiltà, di democraticità perché consente all’interessato di partecipare all’amministrazione della giustizia. Determina la struttura del processo e ne condiziona le modalità di svolgimento. La disputa non avviene per iscritto ma a viva voce dei contendenti, con l’organo terzo che sente direttamente le loro ragioni per serbarne meglio il ricordo nel momento decisionale. È essenziale che ci sia parità tra le parti infatti, nonostante lo squilibrio fisiologico dovuto alla posizione del p.m., la difesa deve essere messa in grado di sostenere le proprie ragioni senza patire svantaggi rispetto all’avversario. Il fondamento del contraddittorio è duplice: - Etico-politico: vi si riflette la propensione degli ordinamenti liberaldemocratici ad aprire il dibattito pubblico alla pluralità di opinioni, rappresentative dell’antagonismo tra i differenti interessi sociali. A livello processuale l’individuo rischia di perdere la libertà diritto di interloquire e ribattere alle asserzioni dell’accusa. - Si ritiene che il convincimento del giudice risulti meglio fondato se si giova del contrasto di opinioni promosso dalle parti. Ogni parte ha occasione di argomentare sul contenuto del materiale probatorio acquisito il valore della prova finisce per dipendere dall’attività retorico-argomentativa delle parti, cioè dal discorso tenuto e rivolto a persuadere il giudice (c.d. contraddittorio sulla prova). Il contraddittorio probatorio riguarda il metodo di formazione delle prove. Non riguarda tutte le prove. Vi sono prove precostituite, che esistono al di fuori del processo (ad esempio un documento o i video di 16 telecamere a circuito chiuso, che esistono indipendentemente dall’azione giudiziale), e prove che si formano all’interno del processo (tipicamente dichiarazioni). Il contraddittorio probatorio riguarda le prove formate all’interno del processo. Si concretizza nell’esame incrociato è una tecnica particolare di esame del testimone, dei periti, dei consulenti tecnici, dello stesso imputato che vengono esaminati sia dall’accusa che dalla difesa: è in questo modo che si realizza la dialettica. Questo implica la regola di esclusione fondamentale, in base alla quale il giudice non può utilizzare come prove per decidere tutto ciò che è stato formato durante le indagini senza il contraddittorio (di regola tutto ciò che i testimoni dicono al PM durante le indagini non rileva come prova per decidere). Nasce dall’idea per cui tutto ciò che non si forma in contraddittorio rischia di fornire conoscenza sbagliate. Le fasi separate sono indagini preliminari e dibattimento: quello che si fa durante le indagini vale a fini investigativi, mentre le prove si formano in dibattimento. L’art.111 al comma 3 stabilisce che la legge assicura alla persona accusata una serie di diritti, tra cui la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico. Questa previsione è stata presa dalla CEDU (art.6 comma 3 lett. d: In particolare, ogni accusato ha diritto di: (…) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico. La Corte EDU interpreta questo diritto come l’occasione adeguata e sufficiente di esaminare il testimone al momento della deposizione o in un altro momento questo, si noti, non è l’esame incrociato, bensì è il metodo inquisitorio perché in questo modo la CEDU riconosce un livello minimale di tutela per cui i testimoni devono essere esaminati dalla difesa, ma resta valido ed utilizzabile anche tutto ciò che hanno reso prima del dibattimento). Emerge la differenza tra: - Concezione forte del contraddittorio: quella della nostra Costituzione; - Facoltà di interrogare o far interrogare i testimoni a carico ex art. 6.3 Cedu: non implica un’esclusione dalle prove utilizzabili di quanto si sia formato a prescindere dal contributo dialettico della difesa. Per rispettare il diritto al confronto basta che all’imputato sia concessa un’occasione adeguata, nel corso delle fasi processuali, per contestare le dichiarazioni accusatorie, non importa se al momento della deposizione o in seguito (il contraddittorio può essere differito). Principio di tendenziale separazione tra le fasi Le due fasi sono indagini preliminari e dibattimento. La separazione tra le fasi, prevista di regola, non è da intendersi in modo rigido, ci sono delle eccezioni, non è un muro invalicabile (come si evince dalla linea tratteggiata dello schema). La presenza di eccezioni è fisiologica, non può che essere così. La regola è che vi sono atti con funzione solo investigativa (capire se una certa persona debba essere accusata oppure no) e gli elementi utili al dibattimento, cioè prove formate in contraddittorio ex art.111 co.4 e prove precostituite (le quali non vengono acquisite in dibattimento ma sono comunque utili). C’è un’ulteriore categoria di atti che producono conoscenza, chiamati atti originariamente non ripetibili. Sono atti che servono a produrre conoscenza, che vengono svolti nella fase delle indagini ma che una volta compiuti non si possono più ripetere. Di fronte ad atti di questo tipo, compiuti nella fase delle indagini, il sistema deve scegliere se farli valere o meno. Non farli valere in realtà sarebbe una follia perché questa categoria di atti, grazie agli sviluppi della tecnologia e della scienza, è sempre più ampia ed escluderli dal processo significherebbe in pratica non poter accertare nulla. Quindi questi atti, anche se svolti durante le indagini senza contraddittorio, assumono valore probatorio in dibattimento. Un esempio potrebbe essere l’intercettazione: la conversazione che avviene in un determinato momento non è più in alcun modo ripetibile. Un altro esempio sono le tracce di DNA trovate sulla scena del crimine: i campioni, raccolti ed analizzati, potrebbero essere in quantità ridottissima, quindi analizzabili una sola volta, dopodiché spariscono. Anche le perquisizioni sono considerate originariamente non ripetibili. Il codice stesso parla di mezzi di ricerca della prova: si capisce che quindi si stanno cercando cose che poi saranno prove a 17 tutti gli effetti. Questi atti hanno una doppia natura: sono atti sia investigativi ma hanno anche funzione istruttoria/probatoria. Nel corso delle indagini possono esserci situazioni di urgenza o di pericolo per certe fonti di prova. Ad esempio si pensi ad un potenziale testimone, gravemente malato con aspettativa di vita bassissima che potrebbe morire da un momento all’altro e il dibattimento è previsto per mesi dopo. Un altro esempio è la possibilità che un testimone che ha assistito alla commissione dei fatti venga avvicinato da qualcuno e venga minacciato. C’è quindi urgenza di intervenire e c’è il rischio che la fonte di prova venga inquinata e in queste situazioni c’è l’istituto dell’incidente probatorio, che è un’anticipazione del dibattimento. La prova la si forma subito con il contraddittorio: il testimone viene sentito subito, davanti ad un giudice, in presenza di accusa e difesa, e il giudice quando ci sarà il dibattimento potrà utilizzare questa prova. L’istituto è stato esteso, in particolare per la possibilità di acquisire informazioni da parte di soggetti particolarmente fragili e vulnerabili: il sistema vuole evitare che queste persone debbano riportare la loro versione dei fatti un numero eccessivo di volte in dibattimento. Questi soggetti potrebbero essere ad esempio la vittima, in un certo tipo di reati come violenza sessuale, o i testimoni minorenni. Si vuole evitare la vittimizzazione secondaria, cioè le situazioni in cui la testimonianza porta a far rivivere gli eventi e contribuisce a far rivivere il trauma dell’evento stesso. Ulteriore categoria di atti è quella degli atti che in origine hanno funzione solo investigativa e sono di per sé ripetibili, ma ad un certo punto succede qualcosa per cui la legge trasforma questi atti d’indagine in prove utilizzabili a tutti gli effetti dal giudice nonostante manchi il contraddittorio. Si tratta di situazioni prevista all’interno della Costituzione stessa, all’art.111 co.5 che prevede le cd eccezioni al contraddittorio: la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Le eccezioni sono: 1) Consenso dell’imputato l’imputato in un certo modo rinuncia al contraddittorio. Si pensi ad esempio al rito abbreviato, con cui l’imputato sceglie di essere giudicato sulla base dei soli atti d’indagine. Egli è abilitato a rinunciare all’esercizio del diritto al contraddittorio e a conferire valore di prova ad atti formati senza il metodo dialettico. L’intento è salvaguardare la legittimità dei riti alternativi al dibattimento, dove la componente negoziale giustifica una semplificazione delle forme processuali che sacrifica l’elaborazione della prova mediante il contraddittorio, giustificando un accertamento meno attendibile in cambio di benefici per l’imputato. La previsione copre anche l’istituto del concordato sulla prova in sede dibattimentale introdotto nel 1999, che comporta l’uso di verbali delle fasi preliminari ai fini della sentenza. La prestazione del consenso va intesa come implicito riconoscimento ad opera dell’imputato di non essere in grado di ottenere risultati diversi da quelli fissati nell’atto istruttorio acquisito in solitudine dalla controparte. Secondo alcuni lo stesso deve valere per il PM sulla base del principio di parità delle parti, tuttavia secondo la Corte costituzionale il contraddittorio nella formazione della prova è un aspetto del diritto di difesa e solo l’imputato può rinunciare unilateralmente all’elaborazione dialettica. 2) Accertata impossibilità di natura oggettiva c’è una situazione tale per cui il contraddittorio probatorio non si può fare. Ci possono essere ad esempio casi in cui il testimone, che ha parlato durante le indagini, muore prima del dibattimento, oppure in cui è irreperibile. Si tratta di una irripetibilità sopravvenuta (non originaria come nel caso degli atti originariamente non ripetibili). L’irripetibilità sopravvenuta deve essere non prevedibile nel momento in cui la persona veniva esaminata durante l’indagine (se fosse stata prevedibile, si sarebbe dovuto fare l’incidente probatorio). NB: il manuale riferisce l’impossibilità oggettiva anche alla categoria degli atti originariamente non ripetibili, ma il professore non è d’accordo in quanto ritiene che per questi per definizione il contraddittorio non si possa proprio fare. 20 La CEDU e le norme europee entrano nel nostro sistema tramite appositi atti del Parlamento italiano, mentre le direttive e i regolamenti sono l’esito di una cessione di sovranità nazionale all’Unione operata dalle leggi che hanno recepito i Trattati. Il valore orientativo del diritto giurisprudenziale Nei sistemi di common law una delle fonti ufficiali della procedura penale sono le sentenze dei giudici, che si affiancano alle leggi degli organi parlamentari. Nel nostro ordinamento invece le decisioni dei giudici di merito, della Corte di cassazione e della Corte costituzionale non sono fonti dotate di rango formale. Il loro valore vincolante è confinato al singolo caso, non si estende alle interpretazioni delle norme generali. Lo stesso vale per le decisioni della Corte EDU (competente a decidere su tutte le questioni che riguardano l’interpretazione e applicazione della Convenzione europea) e della Corte di giustizia dell’UE (assicura il rispetto del diritto UE nell’interpretazione e applicazione dei Trattati). L’art. 46 CEDU stabilisce che gli Stati si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea sulle controversie nelle quali sono parti. Sono le sentenze con cui i giudici accertano una violazione della Convenzione e condannano l’Italia al pagamento di un equo indennizzo oppure le c.d. sentenze-pilota, con cui la Corte europea riconosce l’esistenza di difetti sistemici di un ordinamento nazionale e suggerisce allo Stato una serie di misure legislative da adottare per porvi rimedio (es. sent. Torreggiani: ha ritenuto incompatibile con la Convenzione le condizioni di sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani). L’assenza del vincolo del precedente nel nostro sistema deriva dalla netta separazione dei poteri, di matrice illuministica: il potere di produrre norme spetta solo agli organi direttamente eletti dai cittadini, caratteristica che i giudici italiani e delle Corti europee non possiedono. L’art.101 Cost prevede che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Anche se il diritto giurisprudenziale non ha valore formale, è comunque indispensabile in alcuni contesti per tradurre le norme del legislatore in regole concretamente applicabili nel singolo caso (ad esempio a causa di ambiguità o incompletezze del diritto legislativo, oppure a causa dell’imprecisione congenita del linguaggio). Nel nostro sistema ci sono norme che pongono principi, che devono essere tradotti in regole più precise dalla Corte costituzionale. Struttura simile hanno le prescrizioni della Convenzione europea, oggetto di una grande implementazione ad opera della Corte EDU. Divenuto operativo il XVI Protocollo alla Cedu, tale funzione creativa sarà rinforzata dalla possibilità per i giudici nazionali di sospendere i processi in corso e domandare ai giudici di Strasburgo pareri consultivi sull’interpretazione della Convenzione. Così il case law della Corte europea potrà cominciare a produrre effetti in rapporto al singolo caso già durante il processo e non dopo la sua chiusura. Le norme dell’Unione tendenzialmente fissano obiettivi che devono essere attuati dagli Stati e ricorrono a clausole discrezionali fondate sul rispetto dei principi fondamentali. Inevitabilmente la Corte di giustizia ne deve specificare la portata. In conclusione, il diritto giurisprudenziale interno ed europeo ha un importante valore orientativo, per cui i giudici rimangono liberi di adottare interpretazioni diverse da quelle precedenti, anche se saranno portati a seguirle. Il loro dissenso rischierebbe infatti di determinare a livello nazionale la riforma della decisione in sede di impugnazione; a livello sovranazionale la condanna dell’Italia per violazione della Convenzione. Ciononostante, non opera alcun vincolo formale del precedente, in contrasto con l’art.101.2 Cost. Le gerarchie: dalla piramide alla rete Un altro criterio di distinzione è dato dalla gerarchia delle norme processuali penali, tradizionalmente di stampo piramidale e fondata sul binomio Costituzione-legge ordinaria: il giudice sarebbe tenuto ad interpretare la seconda conformemente alle indicazioni della prima e, dove non fosse possibile, a sollevare questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale. Ora però, con l’apertura ai formanti europei, la struttura è più a rete. La supremazia della Costituzione sulla legge ordinaria rimane, ma la sovranità in materia processualpenalistica non è più esclusiva dello Stato. 21 La componente convenzionale della rete Il rango della Convenzione europea nel sistema delle fonti trova la sua origine nell’art. 117 Cost, grazie al quale si può affermare che essa, sebbene sia stata recepita nel nostro sistema con una legge ordinaria, abbia un valore superiore rispetto a quello delle norme parlamentari. Se le norme convenzionali risultano self- executing, quindi non abbisognano di alcuna integrazione normativa nazionale, possono essere direttamente applicare dai giudici interni nelle situazioni in cui non si rinvengano regolamentazioni nazionali. Le prescrizioni della Cedu si esauriscono in un catalogo di generici principi, infatti la Corte costituzionale ha precisato che ad integrare il parametro di legittimità sono le prescrizioni convenzionali non in sé considerate ma nel significato che viene loro attribuito dalla giurisprudenza della Corte europea. Il case law della Corte europea mantiene valore orientativo e a pesare tanto più quanto più siano rispettate alcune condizioni: a) Le norme desumibili dalle decisioni della Corte europea vanno considerate in stretto collegamento rispetto al caso concreto nell’ambito del quale sono state elaborate. Appaiono invocabili solo in rapporto ai casi successivi che siano contraddistinti da elementi di significativa somiglianza, altrimenti non è detto che i giudici di Strasburgo decidano nello stesso modo (c.d. tecnica del distinguishing, che impedisce di ricavare dai precedenti norme giuridiche valide in astratto e quindi universalizzabili); b) Le norme della Corte europea sono invocabili se espressione di un’interpretazione consolidata nella giurisprudenza di Strasburgo; c) Non possono mai assumere il rango di parametri di legittimità le norme della Corte europea in radicale conflitto con le prescrizioni della Costituzione italiana (infatti si parla di parametri solo “interposti”); d) Le norme della Corte europea elaborate per casi analoghi, espressioni di un’interpretazione consolidata e compatibili con la Costituzione, sono comunque soggette al c.d. margine di apprezzamento nazionale: vanno applicate tenendo conto delle peculiarità dell’ordinamento in cui dovrebbero inserirsi. I giudici nazionali possono non tenerne conto se esistono norme interne che, seppur non identiche, risultano equivalenti, capaci di attuare i medesimi valori; e) I margini per discostarsi dalle norme della Corte europea aumentano quando queste esprimono standard di tutela dei diritti meno elevati di quelli nazionali. La componente eurounitaria della rete Gli artt. 11 e 117 Cost. consentono che la sovranità e la potestà legislativa nazionali trovino limitazioni anche nelle norme dell’UE, tra cui quelle nella Carta di Nizza e nei regolamenti. Sono prescrizioni che, a certe condizioni, hanno efficacia diretta: generano l’obbligo in capo ai giudici nazionali di disapplicare le eventuali norme interne contrastanti, senza sollevare questioni di incostituzionalità. Il requisito è che siano norme precise ed incondizionate, suscettibili di essere applicate senza ulteriori interventi. A ciò si aggiunge la circostanza, per le direttive, che sia inutilmente scaduto il termine per la loro recezione da parte del legislatore nazionale. In ambito processuale raramente le norme UE contengono fattispecie complete, quindi sono raramente applicabili in sé considerate. La loro effettiva valenza si capisce nelle implementazioni date dalle interpretazioni della Corte di giustizia. Inoltre, secondo la Carta di Nizza, la portata dei diritti fondamentali riconosciuti dall’UE deve essere uguale a quella assicurata dalla CEDU, perciò il contenuto delle garanzie processuali viene precisato anche dalle interpretazioni della Corte EDU. L’efficacia diretta delle norme UE non giustifica la disapplicazione delle norme interne quando ne derivi una lesione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana (c.d. controlimiti), tali da esprimere valori così importanti da non poter essere sottoposti neppure a revisione costituzionale. Nelle situazioni invece in cui le norme UE non sono in grado di esprimere un’efficacia diretta, ne determinano una indiretta che si concretizza in un obbligo di interpretazione conforme: i giudici nazionali devono attribuire alle norme interne il significato maggiormente compatibile con le prescrizioni UE, salvo il rispetto dei controlimiti costituzionali. In caso di insanabile contrasto tra norme interne e UE, deve essere sollevata questione di legittimità per violazione degli artt. 11 e 117 Cost. 22 5.2 Principio di legalità processuale (Manuale: cap. III, pp. 77-78; cap IV, p. 87-89) Fonti normative: art. 111 comma 1 Cost. Le norme processuali penali devono rispondere al canone della legalità processuale ex art. 111.1 Cost., da cui deriva che devono essere dotate della massima precisione possibile, in modo da assicurare la certezza dei rapporti giuridici. È indispensabile affinché il destinatario possa prevedere con ragionevole certezza le conseguenze dei suoi comportamenti. In caso di carenze legislative è la giurisprudenza a sopperire, formulando regole più puntuali con le tecniche interpretative appena viste. L’art. 111.1 Cost. stabilisce che il processo deve essere regolato dalla legge, cosicché il principio di legalità abbraccia l’intera esperienza penalistica, disegnando un sistema governato dalla legge sia nel procedere sia nel punire. Il principio opera sulla gerarchia delle fonti tramite una riserva assoluta di legge: la disciplina del processo deve promanare da fonti di rango superprimario (regolamenti o direttive UE) o primario (legge formale, d. lgs., d.l.). Le fonti subordinate non sono del tutto escluse, ma possono toccare solo aspetti di dettaglio e di stretta esecuzione, che non implichino scelte di politica legislativa. Si può concludere che l’art. 111.1 Cost. punti ad una certa qualità della legge, giocando un ruolo paragonabile a quello svolto dal principio di tassatività. In quest’ottica sarebbe costituzionalmente sospetto un istituto processuale la cui disciplina fosse lasciata in massima parte al potere discrezionale del giudice. Nonostante la giovane età, il principio di legalità processuale appare già in crisi a causa di un complesso di fattori politici, storici, ideologici e culturali. Nel processo penale la magistratura mostra spesso atteggiamenti antiformalistici, cioè tende ad aggirare le regole fissate dal legislatore, soprattutto in vista dell’obiettivo dell’accertamento della verità. Così facendo però dimentica che un processo non è giusto solo perché scopre cos’è accaduto, ma solo se lo fa secondo un certo rito e cadenze. Il quadro è stato scomposto dalle disposizioni sovranazionali, che hanno fatto penetrare nell’ordinamento precetti molto indeterminati, perché costruiti più su principi che su fattispecie. Le disposizioni UE vengono prima redatte in un linguaggio atecnico e poi tradotte nelle varie lingue da giuristi che non sempre hanno grandi competenze. L’obbligo per i giudici interni di disapplicare la normativa nazionale contrastante con quella UE, favorisce l’immagine di un giudice che può ergersi al di sopra della legge. Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie rischia di indebolire negli operatori il rispetto verso la norma italiana, perché al provvedimento straniero dovrà essere attribuito lo stesso valore che spetta alla decisione nostrana. Uno dei campi su cui queste tensioni si scaricano è quello delle nullità: la materia è dominata dal principio di legalità quando si tratta di decidere intorno alla validità di un atto, l’unico parametro da considerare dovrebbe essere il rispetto o l’inosservanza della disposizione che lo regola, mentre nessun peso dovrebbe essere attribuito alle caratteristiche del caso concreto e all’accertamento dell’effettiva lesione dell’interesse tutelato dalla norma. Nella prassi recente invece la nostra giurisprudenza spesso rifiuta di dichiarare una nullità quando la violazione non abbia pregiudicato in misura sensibile l’interesse salvaguardato dalla norma trasgredita. 25 Dalle norme costituzionali emerge quindi un’idea di PM indipendente dal potere esecutivo. Per arrivare ad un sistema di dipendenza bisogna cambiare la Costituzione, perché la scelta che è stata fatta sembra essere evidentemente quella dell’indipendenza esterna. Riguardo all’indipendenza interna, la Costituzione non dà indicazioni molto precise. Qualcuno teorizza una maggiore gerarchizzazione all’interno dell’ufficio, mentre ad oggi c’è comunque un margine di autonomia. Un’indicazione costituzionale verso l’indipendenza interna la si può trovare all’art.107 co.3: i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. 6.3 Persona offesa (Manuale: pp. 207-210) Norme: artt. 90, 90 bis (riformato), 91 c.p.p. Il PM è un soggetto che fa il pubblico interesse e, in particolare, rappresenta la persona offesa. La persona offesa non è parte del processo storicamente l’azione penale aveva una natura di tipo privatistico ed era direttamente la persona offesa che esercitava l’azione penale. Ancora oggi in alcuni sistemi esiste la figura dell’azione penale privata ma è qualcosa di sussidiario, in quanto l’azione penale è principalmente esercitata da organi pubblici (nel nostro sistema il PM). Il rischio che si vuole scongiurare è quello dell’abuso dell’azione penale da parte della vittima, che potrebbe agire spinta da un senso di vendetta il soggetto pubblico, terzo ed estraneo, non è direttamente colpito dal reato dunque esercita la funzione in modo distaccato. Persona offesa dal reato è la persona titolare dell’interesse protetto dalla norma penale che si assume essere violata con la commissione del reato, la c.d. vittima del reato. Nel nostro processo penale la vittima può diventare parte ad una condizione. Spesso il reato determina una lesione anche dal punto di vista civilistico e di conseguenza c’è la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni. A certe condizioni (si vedranno più avanti) è possibile che l’azione civile sia esercitata dentro il processo penale costituzione di parte civile. È l’unico caso in cui la vittima diventa parte nel processo penale. A prescindere dalla scelta di costituirsi parte civile, alla persona offesa in quanto tale sono riconosciuti sia la legittimazione a presentare, in ogni stato e grado del procedimento, memorie e indicare elementi di prova (tranne che nel giudizio di cassazione); sia i diritti e facoltà espressamente previsti (es. può provocare l’intervento del giudice al fine di propiziare l’esercizio dell’azione penale; ottenere notizie circa l’iscrizione di un procedimento nel registro delle notizie di reato e ricevere l’informazione di garanzia; può partecipare all’incidente probatorio). Pur stando fuori, la persona offesa ha comunque potere di interloquire con gli organi processuali, in particolare il PM, e di sollecitarli ad agire. Art.90 co.1: “La persona offesa dal reato, oltre ad esercitare i diritti e le facoltà ad essa espressamente riconosciuti dalla legge, in ogni stato e grado del procedimento può presentare memorie e, con esclusione del giudizio di cassazione, indicare elementi di prova”. La persona offesa ha anche una serie di poteri processuali riconosciuti, primo tra tutti l’opposizione ad archiviazione. Potrebbe esserci un atto del PM con cui la persona offesa potrebbe trovarsi in disaccordo, in particolare la richiesta di archiviazione. La persona offesa può opporsi alla richiesta di archiviazione e, in tal caso, il GIP deve fissare un’udienza in contraddittorio per stabilire se archiviare o meno. Di recente si assiste ad una rivalutazione del ruolo della vittima, soprattutto da parte dell’UE che emette norme a favore della vittima, come la Direttiva sulla vittima del reato. Si cercano modi di tutelare le vittime in posizione di particolare debolezza. Anche le legislazioni nazionali devono tenere conto di queste indicazioni comunitarie. Un esempio è la possibilità di assumere dichiarazioni da parte della vittima, che per certi reati sono la fonte di prova principale o addirittura l’unica l’indicazione dell’UE è quella di evitare che la vittima sia chiamata a rievocare i fatti più volte, per tutelare il benessere psichico della vittima, evitando la vittimizzazione secondaria. Nel nostro processo il principale mezzo di assunzione delle dichiarazioni della 26 vittima prima del processo è l’incidente probatorio, per formare anticipatamente una prova in contraddittorio seppur senza l’oralità. L’art.90-bis contiene un elenco di informazioni che devono essere date alla vittima per esercitare i diritti che le spettano [il professore fa presente che ai fini dell’esame, quando c’è un articolo del cpp che contiene un elenco, non è necessario imparare tutti i punti dell’elenco a memoria ma solo i più importanti]. La vittima, ai sensi dell’art.90-bis, ha ad esempio la facoltà di essere avvisata sulle richieste di archiviazione oppure la possibilità di presentazione di denuncia o querela. Questa norma verrà integrata dalla riforma, facendo riferimento ad un nuovo istituto: la possibilità di accedere agli strumenti di giustizia riparativa. Art. 90 bis c.p.p. modificato da riforma: n-bis) al fatto che la mancata comparizione senza giustificato motivo della persona offesa che abbia proposto querela all’udienza alla quale sia stata citata in qualità di testimone comporta la remissione tacita di querela; p-bis) alla facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; p-ter) al fatto che la partecipazione del querelante a un programma di giustizia riparativa, concluso con un esito riparativo e con il rispetto degli eventuali impegni comportamentali assunti da parte dell’imputato, comporta la remissione tacita di querela. In materia di restrizioni cautelari della libertà personale, nei procedimenti commessi con violenza, la persona offesa che ne fa richiesta deve ricevere comunicazione degli eventuali provvedimenti di scarcerazione ed essere tempestivamente informata dell’eventuale evasione o volontaria sottrazione alla misura di sicurezza da parte dell’imputato. Enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato L’art.91 parla degli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato: “gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato”. I reati potrebbero colpire gli interessi non di un singolo ma di più persone, che sono colpite come categorie cd interessi collettivi o diffusi. Ad esempio ci sono reati che colpiscono l’ambiente e in questo caso intervengono le associazioni ambientalistiche. Questi enti potrebbero chiedere un risarcimento del danno morale e patrimoniale derivante da reato ed entrare nel processo penale con costituzione di parte civile. Vengono cioè ricompresi tra i danneggiati non solo l’individuo direttamente colpito dalla condotta, ma anche gli enti portatori di ulteriori interessi lesi dal reato e riferibili a più persone/gruppi sociali. Se questa fosse ammessa in modo eccessivo, potrebbero esserci dei problemi per l’imputato, pertanto il codice cerca di regolamentare l’ingresso degli enti del processo penale. È necessario anche il consenso della persona offesa, formalizzato in un atto d’intervento. Quest’ultimo, a pena di inammissibilità, deve prevedere: la denominazione dell’ente, il procedimento in cui si vuole intervenire, generalità del difensore (e sua sottoscrizione) e l’esposizione sommaria delle ragioni che giustificano l’intervento. L’intervento può avere luogo fino a che non siano compiute le formalità di verifica della regolare costituzione delle parti in dibattimento. 6.4 Competenza del p.m (Manuale: pp. 189-191) Norme: artt. 51, 412 (modificata da riforma: v. in seguito) Nel territorio italiano ci sono tanti PM: come individuare nella specifica indagine il PM competente? 27 Regola generale: la competenza del PM è una competenza che deriva dalla competenza del giudice. L’art.51 co.1 parla di attribuzione di funzioni: “Le funzioni di pubblico ministero sono esercitate: a) nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale; b) nei giudizi di impugnazione dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la corte di cassazione”. Gli uffici del PM sono istituiti presso i diversi giudici del nostro ordinamento. Le funzioni del PM sono così esercitate: - Nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado: dai magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale; - Nei giudizi di impugnazione: dai magistrati della Procura generale presso la Corte d’appello o presso la Corte di Cassazione; - Presso i giudici militari e minorili sono istituiti i relativi uffici di accusa. La ripartizione dei procedimenti è semplificata rispetto al giudice, perché un unico ufficio (la Procura della Repubblica presso il Tribunale) svolge le funzioni d’accusa per i reati che competono al Giudice di pace, al Tribunale e alla Corte d’assise. Di conseguenza, le indagini saranno suddivise tra le varie procure in senso orizzontale, secondo le regole sulla competenza per territorio e per connessione; invece per il procedimento di primo grado l’ufficio dell’accusa è sempre la Procura della Repubblica presso il Tribunale. C’è anche lo strumento dell’avocazione (art.51 co.2), che consiste nel fatto che una procura sovraordinata si assume il caso che spetterebbe alla procura perché è particolarmente delicato o perché ci sono inerzie da parte del PM competente (che ad esempio non rispetta i termini per lo svolgimento delle indagini). In generale l’avocazione viene fatta dalla procura generale presso la corte d’appello. Infine vi sono le cd procure distrettuali (art.51 co.3 bis): si tratta di procure che si trovano presso il tribunale del luogo dove ha sede la corte d’appello e che hanno competenza specifica per certi reati (in particolare reati di mafia, di terrorismo, criminalità informatica, pedofilia, pedopornografia…) l’efficienza investigativa dipende dalla capacità degli inquirenti di mettere in relazione fra loro diversi fatti di reato posti in essere in differenti luoghi e quindi appartenenti alla competenza di giudici distinti. Per coordinare l’attività investigativa è stato istituito, nell’ambito della Procura generale presso la Corte di cassazione, l’ufficio della Direzione nazionale antimafia (DNA), divenuta poi anche antiterrorismo. Al suo vertice c’è il Procuratore nazionale. 6.5 Polizia giudiziaria (Manuale: p. 193) Norme: art. 109 Cost. La polizia giudiziaria (PG) viene nominata anche dalla Costituzione e ha il compito di intervenire dopo la commissione del reato, per svolgere le indagini coadiuvando il PM. La PG è distinta dalla polizia amministrativa o di prevenzione, il cui compito è impedire la commissione di illeciti penali o amministrativi, infatti interviene dopo la commissione di un reato e svolge le funzioni individuate all’art.55: 1) Informativa: anche di propria iniziativa, prende notizia dei reati; 2) Investigativa: ricerca di autori dei reati; 3) Assicurativa: assicura fonti di prova e raccoglie quanto possa servire per l’applicazione della legge penale. Le funzioni della PG possono essere esercitate per sua stessa iniziativa oppure sotto la direzione/delega del PM. Art.109: “L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria”. 30 stesso alla ricerca della notizia di reato, non è un passivo recettore. La sua attivazione è un esercizio di discrezionalità e ciò può essere problematico, ma nonostante ciò è una discrezionalità difficile da eliminare. 3) Pseudonotizia di reato si tratta di informative che giungono all’attenzione del PM ma sono manifestamente assurde o integrano fatti non penalmente rilevanti. In questo caso vi è una procedura apposita, la cestinazione o autoarchiviazione (cd. modello 45). Il vantaggio della cestinazione è che è qualcosa che il PM fa completamente da solo, mentre per archiviare ha bisogna dell’autorizzazione del GIP. Può esserci la tentazione per il PM in alcuni casi dubbi di forzare e di cestinare arbitrariamente. La notitia criminis può essere anche appresa da organi pubblici nello svolgimento di attività ispettive o di vigilanza (es. ispezioni compiute dagli ispettori del lavoro) in tal caso funge da spartiacque tra un prima (attività di carattere preventivo disciplinata dalla normativa speciale) e un dopo (le indagini preliminari, regolate dal c.p.p.) segna il confine tra la funzione amministrativa e l’accertamento penale. Se i soggetti che si sono imbattuti nella notizia sono ufficiali, continueranno a svolgere gli accertamenti necessari; se sono agenti, dovranno interrompere l’accertamento e presentare denuncia. Secondo l’art.330 il PM e la PG non solo ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse, ma anche prendono notizia di reati di propria iniziativa (attività del magistrato inquirente preliminare alle stesse indagini preliminari). Questa soluzione è criticata perché se il p.m. si attiva allo scopo di cercare una notitia criminis, in questa funzione inevitabilmente si annida discrezionalità difficilmente compatibile con il principio di obbligatorietà dell’azione penale. In questa “preindagine” non possono essere compiuti gli atti che comportano una compressione dei diritti costituzionalmente garantiti es. il PM potrà ascoltare una persona informata sui fatti ma non disporre una perquisizione. Poniamo vi sia una notizia di reato, qualificata o meno in quel caso bisogna procedere. Le indagini iniziano con l’iscrizione della notizia di reato (art.335) nel registro delle notizie di reato. Può avvenire in due modi: - Notizia di reato relativa all’iscrizione di un fatto con autore anonimo (iscrizione non nominativa): es. viene ritrovato un cadavere. - Notizia di reato relativa all’iscrizione di un fatto con autore palese (iscrizione nominativa) si iscrive al registro anche il nome della persona, nel momento in cui questo viene scoperto. L’iscrizione nominativa segna l’inizio dello status di persona sottoposta alle indagini, con tutti i diritti che ne conseguono (riconosciuti solo a partire dalla comparsa del nome nel registro). Inoltre i termini massimi di durata delle indagini decorrono dal momento dell’iscrizione del nome. Può capitare che i PM, per guadagnare tempo, rimandino l’iscrizione del nome nel registro, nonostante la legge dica che l’iscrizione va effettuata immediatamente quando emerge un nome. La giurisprudenza dice che l’iscrizione del nome non deve essere fatta quando c’è un’ipotesi astratta, ma servono elementi concreti di riscontro della commissione del reato da parte della persona se mancano elementi solidi, si aspetta ad iscrivere il nome. La riforma Cartabia cerca di ovviare al problema delle iscrizioni nominative ritardate. Come è intervenuta sul punto la riforma? (in blu le parti introdotte dalla riforma) Nuovo art.335 co.1: “Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell'apposito registro custodito presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa, contenente la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto.” art.335 co.2 (non è stato riformato): “Se nel corso delle indagini preliminari muta la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo risulta diversamente circostanziato, il pubblico ministero cura l'aggiornamento delle iscrizioni previste dal comma 1 senza procedere a nuove iscrizioni”. 31 aggiornamento dell’iscrizione l’iscrizione viene fatta nel primo momento, dopodiché si procede con le indagini e le cose possono cambiare (ad esempio può cambiare la qualificazione giuridica del fatto oppure possono emergere circostanze diverse) quindi è necessario aggiornare l’iscrizione, ma nel frattempo l’indagine prosegue. Se però emerge un fatto completamente diverso da quello iscritto, allora si deve fare una nuova iscrizione e ricominciano a decorrere i termini. Viene così data una definizione del concetto di notizia di reato. Riguardo all’iscrizione del nome: art. 335 co.1 bis: “Il pubblico ministero provvede all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico”. In questo modo, ai fini dell’iscrizione del nome, si chiede la presenza di elementi concreti a carico di una persona (indizi). Non parrebbe sufficiente la presenza di meri elementi ipotetici, in quanto non ancora riscontrati sembra recepita l’indicazione data in passato della giurisprudenza, secondo cui per iscrivere il nome servirebbero elementi concreti di riscontro, non equivoci, di reità. Per contro, come ora vedremo, la riforma ha introdotto un inedito potere di retrodatazione dell’iscrizione, in modo da sanzionare i ritardi ingiustificati del PM. Può emergere da elementi successivi che il PM ha effettivamente ritardato l’iscrizione: il giudice, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, iscrive lui stesso il nome, retrodatando l’iscrizione. La retrodatazione determina uno spostamento all’indietro del tempo del giorno di inizio di decorso dei termini massimi per le indagini. Ora esistono, in particolare, tre forme di retrodatazione: 1) autotutela del PM art.335 co.1 ter: “Quando non ha provveduto tempestivamente ai sensi dei commi 1 e 1- bis, all’atto di disporre l’iscrizione il pubblico ministero può altresì indicare la data anteriore a partire dalla quale essa deve intendersi effettuata”. Questa possibilità in certi casi potrebbe aiutare il PM, il quale magari, a causa del carico di lavoro, potrebbe all’inizio ritardare l’iscrizione, per poi retrodatarla successivamente, nel momento in cui si rende conto che i termini, anche se retrodatati, siano sufficienti per concludere le indagini. 2) retrodatazione di iniziativa d’ufficio del GIP Art. 335-ter (ordine di iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini): “Quando deve compiere un atto del procedimento, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il pubblico ministero, gli ordina con decreto motivato di provvedere all’iscrizione. Il pubblico ministero provvede all’iscrizione, indicando la data a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini. Resta salva la facoltà di proporre la richiesta di cui all’articolo 335-quater.” Il GIP interviene quando è necessario retrodatare per compiere un altro atto del procedimento (non fa una retrodatazione fine a sé stessa). Questa possibilità, in precedenza, era prevista in caso di richiesta di archiviazione contro ignoti. Ora essa è stata generalizzata: il GIP può retrodatare di sua iniziativa anche prima, quando deve compiere un atto del procedimento (ogni volta, cioè, in cui è investito di una richiesta). Attenzione: stando alla lettera della norma, la retrodatazione può essere fatta solo quando il nome non è stato ancora iscritto e non, invece, quando l’iscrizione sia stata ritardata. In quest'ultimo caso potrà operare il rimedio sub 3). 3) retrodatazione su richiesta dell’indagato/imputato art.335-quater commi 1, 2, 3(accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato): “La persona sottoposta alle indagini può chiedere al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 della notizia di reato che la riguarda e del suo nome, con richiesta di retrodatazione che indichi, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo. La retrodatazione è disposta dal giudice quando il ritardo è inequivocabile e non è giustificato. 32 La richiesta di retrodatazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione. Ulteriori richieste sono ammissibili soltanto se proposte nello stesso termine e fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili”. Onde evitare l’abuso dell’istituto, la richiesta deve essere ben motivata a pena di inammissibilità. Il ritardo però deve essere inequivocabile e ingiustificato. Ciò significa che, in caso di dubbio (e molti casi saranno dubbi) la retrodatazione non va disposta, e ciò potrebbe depotenziare il rimedio. La legge inoltre si occupa del procedimento da seguire quando la richiesta proviene dall’indagato/imputato: Art. 335-quater (commi 4, 5, 6, 7): “Salvo quanto disposto dal comma 5, la richiesta è proposta al giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari. Durante le indagini preliminari, quando il giudice deve adottare una decisione con l’intervento del pubblico ministero e della persona sottoposta alle indagini e la retrodatazione è rilevante ai fini della decisione, la richiesta può anche essere presentata nell’ambito del relativo procedimento e trattata e decisa nelle forme di questo. Salvo che sia proposta in udienza oppure ai sensi del comma 5, la richiesta è depositata presso la cancelleria del giudice, con la prova dell’avvenuta notificazione al pubblico ministero. Il pubblico ministero, entro sette giorni, può depositare memorie e il difensore del richiedente può prenderne visione ed estrarne copia. Entrambe le parti hanno facoltà di depositare ulteriori memorie entro i sette giorni successivi. Decorso tale ultimo termine, il giudice, se ritiene che non sia necessario un contraddittorio orale, provvede sulla richiesta; altrimenti, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio, dandone avviso al pubblico ministero e al difensore del richiedente. All’udienza, il pubblico ministero e il difensore sono sentiti se compaiono. La decisione è adottata con ordinanza. Nel corso dell’udienza preliminare o del giudizio, se non è proposta in udienza, la richiesta è depositata nella cancelleria del giudice e viene trattata e decisa in udienza”. Si possono dunque distinguere tre situazioni: (i) al di fuori delle indagini preliminari, richiesta proposta al giudice che procede (comma 4). Si tratterà, dunque, del giudice del dibattimento, oppure dell’udienza preliminare o predibattimentale. La richiesta verrà trattata nella relativa udienza (comma 7). (ii) nel corso delle indagini preliminari, richiesta proposta al GIP (sempre comma 4). In questo caso, dato che in quel momento non c’è un giudice che sta procedendo, è prevista una procedura incidentale ad hoc (comma 6). In prima battuta, si fa un contraddittorio scritto. Se il giudice rimane incerto, si fa un contraddittorio orale eventuale. (iii) richiesta proposta al GIP che sta procedendo per altri motivi (comma 5). In questo caso però ci sono delle condizioni: deve trattarsi di una decisione da prendere con l’intervento del PM e dell’indagato; la retrodatazione deve essere rilevante ai fini della decisione. ESEMPIO un certo atto di indagine, che con retrodatazione potrebbe diventare inutilizzabile in quanto compiuto dopo la scadenza dei termini per concludere le indagini, deve essere utilizzato in un rito speciale senza dibattimento (ad es. giudizio abbreviato). In questo caso la richiesta di retrodatazione potrebbe essere proposta ai sensi del comma 5. Vedremo come questo rimedio della retrodatazione funzionerà nella prassi. Allo stato, un elemento di perplessità è legato al fatto che il ritardo, come si è detto, deve essere inequivocabile. Ciò potrebbe portare, in pochi a casi, il giudice investito della richiesta a non riconoscere il ritardo, per l'esigenza di non vanificare certi atti di indagine (magari decisivi per il procedimento). Le SU nel 2009 si era espressa contro questo potere di retrodatazione perché era qualcosa di molto arbitrale e personale. Sostengono che la categoria delle notizie di reato ha contorni incerti, pertanto non è sempre semplice determinare l’esatto momento in cui l’iscrizione doveva avvenire. Inoltre ritengono che le funzioni del GIP siano tassative e che non ci sono norme da cui trarre questo potere di retrodatazione. 35 a) Indagare personalmente non è poi così vantaggioso perché in alcuni casi l’atto potrà essere recuperato nel dibattimento anche se compiuto dalla PG. b) Impartire direttive alla PG: indica indirizzi generali dell’investigazione, obiettivi da raggiungere; c) Delegare specifici atti alla PG: la incarica di un atto specifico e restringe i margini di manovra della PG, che ha compiti meramente esecutivi. Ora anche l’interrogatorio ed i confronti cui partecipi l’indagato possono essere commissionati alla PG, ma restano due limiti: l’indagato deve essere libero e l’assistenza del suo difensore è obbligatoria. Quando procede su delega, la PG deve applicare le disposizioni sui diritti difensivi e sulla verbalizzazione che varrebbero per gli atti del PM. 36 Funzione, garanzie e documentazione degli atti di indagine 8.1 Funzione e garanzie in generale La funzione principale degli atti d’indagine è decidere se instaurare o meno un’azione penale, ma possono esserci anche altre funzioni… Se ad esempio durante le indagini viene chiesta una misura cautelare, gli atti servono a decidere se applicarla o meno. Nel caso dei riti speciali (abbreviato, patteggiamento, decreto penale di condanna) una persona viene giudicata sulla basa degli atti d’indagine. Quindi la funzione delle indagini può essere investigativa oppure istruttoria. Alcuni atti d’indagine hanno entrambe queste funzioni contemporaneamente (ad es. atti originariamente non ripetibili). Gli atti d’indagine possono avere un impatto più o meno forte sui diritti fondamentali delle persone (in primis dell’indagato, ma non solo). Durante le indagini sia polizia che PM possono sentire le persone informate sui fatti, che hanno assistito al compimento dei fatti e che, in dibattimento, diverranno testimoni. Nel caso delle persone informate sui fatti vengono in gioco i diritti fondamentali in caso ad esempio di intercettazioni, sequestri… In questi casi di atti d’indagine che interferiscono con diritti importanti il sistema deve prevedere delle garanzie. 1) Premesse storiche/gravità del reato. Per svolgere certi atti d’indagine è necessario avere una certa base storica di partenza, cioè sono già stati raccolti certi elementi che fanno capire che è stato commesso un reato, oppure è necessario che il procedimento riguardi reati di una certa gravità (si può fare per reati puniti con pene superiori ad x). 2) Controllo giurisdizionale. Può essere di varie categorie: - emissione è proprio un giudice che emette un atto d’indagine, su richiesta dell’organo investigativo. Potrebbe avvenire ad esempio per l’intercettazione, disposta dal GIP su richiesta del PM. - convalida in caso di situazioni d’urgenza agisce subito l’organo inquirente, poi successivamente il giudice conferma l’azione dell’organo inquirente. - Impugnazione Il giudice interviene solo se viene chiesto il suo intervento tramite impugnazione. Questo è il caso di perquisizioni e sequestri, che nel nostro sistema vengono disposte dal PM. In caso di sequestro il mezzo d’impugnazione è il riesame. 3) Diritto di difesa 8.2 Controllo giurisdizionale (Manuale: pp. 399-402; Norme: art. 328 c.p.p.) Durante le indagini il giudice di riferimento è il GIP. È un organo non sempre presente: deve essere appositamente investito di qualche richiesta. Autorizza certe attività fatte dagli organi inquirenti, non agisce da solo. art.328: “Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato, provvede il giudice per le indagini preliminari”. La competenza del GIP si determina in base al giudice competente ai fini del giudizio dibattimentale. 8.3 Diritto di difesa (Manuale: pp. 131-140, 197-200, 211-214, 217-220, 434-438 fino a “nel luogo in cui si trovano”; Norme: art. 24 Cost., 111 Cost., 6 CEDU 99 c.p.p., 335, 369, 369 bis c.p.p.) Per certi atti d’indagine è importante che la difesa si possa esercitare in modo più o meno incisivo. Si tratta di prerogative finalizzate a far valere dentro il procedimento diritti e interessi della persona indagata o 37 accusata. Si concretizza in tante prerogative esercitabili, più o meno forti a seconda dell’atto d’indagine da compiere. La difesa, in generale, si esercita tramite in due modi: 1) Autodifesa è l’esercizio del diritto di difesa direttamente da parte di chi è indagato o accusato. Lo si può fare anche senza un avvocato. Si tratta ad esempio di rendere certe dichiarazione, partecipare alle udienze, intervenire ove consentito… Il nostro sistema, in merito all’autodifesa, dice che non è possibile l’autodifesa esclusiva (cioè non è possibile difendersi da soli senza un avvocato). 2) Difesa tecnica nel nostro sistema è obbligatoria ed implica l’assistenza di un avvocato in favore dell’imputato. Il cd difensore di fiducia viene scelto dall’interessato tramite atto di nomina. Se la persona non sceglie un difensore di fiducia, viene nominato dal sistema un difensore d’ufficio. Il difensore d’ufficio viene pagato dall’assistito. Il patrocinio a spese dello Stato riguarda solo gli imputati in condizione di povertà (può essere scelto di fiducia, non per forza d’ufficio, ma viene pagato dallo Stato). art.99: “Al difensore competono le facoltà e i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo”. Per esercitare i diritti esclusivamente riservati all’imputato (es. richiesta di rimessione, di abbreviato, di applicazione della pena, di sospensione del procedimento con messa alla prova..) è necessaria una procura speciale. Queste prerogative che necessitano di procura speciale sono atti che potrebbero portare a delle riduzioni del diritto di difesa, ad esempio la scelta di un rito speciale. Il diritto alla difesa è disciplinato anche dall’art.24 Cost: “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Questo articolo pone un principio, un valore che deve essere perseguito. I principi non possono essere attuati in modo illimitato, perché contrastano con principi confliggenti. Ciò significa che il diritto di difesa è violabile in determinate situazioni dal legislatore per tutelari altri interessi. Tra i diritti di difesa c’è un diritto più specifico che è il diritto di conoscere l’accusa: prima o poi la persona deve sapere quale accusa le viene rivolta (dal punto di vista dall’indagato deve essere il prima possibile, ma la legge deve bilanciare questo diritto con il segreto investigativo in certe situazioni comunicare immediatamente l’accusa potrebbe essere controproducente per le indagini ad esempio il colpevole, se sa di essere indagato, potrebbe far sparire delle prove ecc). Altri articoli che trattano il diritto di difesa sono l’art.6 CEDU, incorporato dall’art.111 Cost, che elencano specificamente i diritti spettanti alla persona indagata o accusata. art.6 CEDU: “In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel più breve tempo possibile*, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”. Dal termine “possibile” si evince che c’è un bilanciamento. art.111 Cost: “Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile*, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone 40 8.4 Documentazione (Manuale: pp. 245 fino a “ovvero per riassunto”; 247 da “norme specifiche a in corso di indagine”) Sul profilo della verbalizzazione degli atti d’indagine è intervenuta la riforma Cartabia. Norme modificate da riforma in blu art.110: “Quando è richiesta la forma scritta, gli atti del procedimento sono redatti e conservati in forma di documento informatico, tale da assicurarne l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità, l’interoperabilità e, ove previsto dalla legge, la segretezza. […] Gli atti redatti in forma di documento analogico sono convertiti senza ritardo in copia informatica ad opera dell’ufficio che li ha formati o ricevuti, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione degli atti e dei documenti informatici”. Il problema dell’interoperabilità è che i file informatici si possono copiare all’infinito. Se si tratta di file su cui poi devono lavorare più persone è che ognuno lavora sulla sua copia e le modifiche non vengono fatte insieme. Gli artt.111 bis e ter prevedono il deposito informatico degli atti, la possibilità di accedervi per avere una copia informatica degli atti… Le modalità di verbalizzazione possono essere diverse: ci può essere o un verbale integrale o un verbale riassuntivo oppure una video/fonoregistrazione dell’atto. Nel verbale riassuntivo si inseriscono solo gli elementi essenziali dell’atto (margine di valutazione per chi redige il verbale). Se viene utilizzata la forma riassuntiva si deve fare la registrazione dell’atto. art.134: “Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva o quando la redazione in forma integrale è ritenuta insufficiente, alla documentazione dell’atto si procede altresì mediante riproduzione audiovisiva o fonografica.” Bisogna redigere in forma integrale gli atti d’indagine che o hanno già di per sé valore di prova (gli atti originariamente non ripetibili) o che potrebbero, per un evento successivo, assumere valore di prova (ad esempio il testimone che improvvisamente si ammala gravemente). Gli interrogatori devono essere video o al massimo fonoregistrati (ante riforma solo gli interrogatori dei detenuti dovevano essere registrati). art.373: “Salvo quanto disposto in relazione a specifici atti, è redatto verbale: a) delle denunce, querele e istanze di procedimento presentate oralmente; b) degli interrogatori e dei confronti con la persona sottoposta alle indagini; c) delle ispezioni, delle perquisizioni e dei sequestri; d) delle informazioni assunte a norma dell’articolo 362; d-bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell’articolo 363; e) degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'articolo 360. 2 bis. Alla documentazione degli interrogatori di cui al comma 1, lettere b) e d-bis), si procede anche con mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile a causa della contingente indisponibilità di mezzi di riproduzione audiovisiva o di personale tecnico, con mezzi di riproduzione fonografica. 2-quater. Le dichiarazioni della persona minorenne, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico e sussistano particolari ragioni di urgenza che non consentano di rinviare l’atto”. L’art.373 riguarda gli atti del PM, mentre l’art.357 è analogo ma riguarda gli atti della PG. 41 Il difensore È un professionista con competenze tecnico-giuridiche adeguate ad assistere la persona coinvolta in un procedimento e ad assicurarne la migliore difesa. L’espletamento della funzione di difensore presuppone il possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale. Si distingue tra: ▶ Praticante avvocato: può patrocinare solo nell’ambito del distretto in cui risulta iscritto, davanti al Giudice di pace e al Tribunale in composizione monocratica (ma solo nei processi con oggetto i reati per cui si procede con citazione diretta); ▶ Avvocato: può patrocinare nei processi davanti ad ogni giudice penale, tranne la Corte di cassazione; ▶ Avvocato iscritto nell’albo speciale dei patrocinanti davanti alle giurisdizioni superiori: può patrocinare nei processi davanti a tutti i giudici e in tutti i giudizi. L’attività del difensore può essere di: - Assistenza: collaborazione al di fuori del procedimento o anche durante il suo svolgimento per il compimento di determinati atti. Secondo la Corte costituzionale l’assistenza è irrinunciabile dall’imputato, in quanto la difesa tecnica è condizione per la regolarità del processo se rinuncia a scegliere un avvocato di propria fiducia, gliene verrà nominato uno ex officio a sue spese; - Rappresentanza: il difensore si sostituisce all’assistito nell’esercizio di determinati diritti o facoltà. Esercita i diritti e le facoltà spettanti all’imputato, tranne quelli fondamentali a meno che non abbia procura speciale. Non sono invece mai esperibili dal difensore gli atti che presuppongono l’imputato come soggetto agente, in quanto estrinsecazione dell’autodifesa (es. rinuncia alla prescrizione, scelta della lingua del processo). Il difensore infine è titolare di un proprio diritto di impugnazione e può presentare opposizione al decreto penale di condanna. Difensore di fiducia L’imputato ha diritto di scegliere due difensori. La nomina può essere anche preventiva, per consentire al difensore l’espletamento delle indagini difensive. In questo caso il mandato deve essere scritto e contenere: nomina, l’indicazione dei fatti cui si riferisce, l’oggetto dell’indagine. Dalla nomina sorge un rapporto contrattuale che produce effetti per tutto l’atto del procedimento di cognizione. La nomina è un atto personale, tuttavia nel caso di persona detenuta o latitante, il legislatore attribuisce ai prossimi congiunti una legittimazione sostitutiva. L’atto di nomina può avere la forma di una dichiarazione orale o scritta, consegnata o trasmessa per raccomandata dal difensore stesso all’autorità procedente. Il difensore può indicare un sostituto per l’espletamento dell’attività difensiva di un proprio assistito, con nomina ad acta o generica. Difensore nominato d’ufficio L’imputato non può difendersi da solo, nemmeno se abilitato all’esercizio della professione forense dinanzi alle magistrature superiori, quindi se rimane privo di difensore si deve provvedere a nominarne uno d’ufficio. Svolge un ruolo sussidiario rispetto al difensore di fiducia, infatti cessa dalle funzioni appena viene effettuata la sua nomina. L’individuazione e designazione del difensore d’ufficio costituiscono l’atto formale da cui origina il rapporto difensivo tra assistito e difensore (omologo della nomina fiduciaria). Il presupposto per la designazione è ovviamente la mancanza del difensore di fiducia, determinata dall’assenza di una nomina o dall’interruzione del rapporto. La procedura di designazione vede la predisposizione di elenchi e tabelle degli avvocati idonei e disponibili. L’elenco è unificato su scala nazionale e la competenza è del Consiglio nazionale forense. Il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio e l’eventuale rifiuto di assumere l’incarico ricevuto costituisce un illecito disciplinare. Può essere esentato dall’obbligo per giustificato motivo (impossibilità concreta di adempiere), ma deve immediatamente comunicare le ragioni all’autorità giudiziaria. L’attività difensiva ex officio è retribuita. Anche il difensore d’ufficio può designare un sostituto processuale di carattere temporaneo e transitorio che svolge una sostituzione ad acta. Il patrocinio dei non abbienti L’art. 24.2 Cost. assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. L’art.98 attribuisce la legittimazione a chiedere di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato all’imputato, alla persona offesa dal reato e al danneggiato che intenda costituirsi parte civile. Attualmente la soglia di non abbienza è individuata nel reddito annuale non superiore a 11.493,82€. Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento Quando la difesa di un imputato/indagato è inconciliabile con quella di un altro imputato/indagato perché per difendere il primo occorre una ricostruzione pregiudizievole alla difesa dell’altro, i diversi imputati o indagati non possono avvalersi ogni stato e grado del procedimento. Se non si realizza la spontanea rimozione dell’incompatibilità è previsto l’intervento del giudice, che espone i motivi e fissa un termine per la rimozione dell’avvocato da parte dei soggetti interessati. Se questi rimangono inerti, il giudice pronuncia ordinanza con cui dichiara l’incompatibilità e, sentite le parti, si procede alle designazioni. dello stesso difensore. Il procedimento con l’imputato assistito da difensore incompatibile determina nullità insanabile. Un altro caso di incompatibilità riguarda l’art. 106.4bis: non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di un altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso minimizzare il rischio che l’assistenza da parte dello stesso difensore a favore di una pluralità di collaboratori possa favorire ricostruzioni dei fatti concordate, orchestrate dal difensore stesso. La violazione di questa norma però non determina nullità delle deposizioni rese, ma solo una eventuale responsabilità disciplinare del difensore e una verifica incisiva da parte del giudice sull’attendibilità dei dichiaranti. 42 atti Atti di indagine atti atti atti atti atti atti atti atti atti atti atti atti atti Funzione Investigativa Investigativa - istruttoria Giustificazione fattuale/ gravità del reato Controllo giurisdizionale Diritto di difesa Emiss one Convalida Impugnazione Conoscenza dell’indagine Conoscenza dell’accusa Conoscenza degli atti d’indagine Diritto al silenzio atti Garanzie Il giudice per le indagini preliminari È un organo neutrale che prende le decisioni, un garante giurisdizionale privo di autonomi poteri investigativi. Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del PM, delle parti private e della persona offesa dal reato, provvede il GIP (art.328). Da ciò emergono le due caratteristiche dell’organo: ▶ non è un costante supervisore. È un giudice ad acta, che si occupa di specifiche questioni e che esercita funzioni previste in modo tassativo dalla legge. ▶ interviene su richiesta, non ha poteri ex officio. I suoi compiti sono raggruppabili in tre categorie: 1) Funzioni di garanzia: verifiche sulle iniziative degli organi investigativi che incidono sui diritti e sulle libertà fondamentali. Toccano vari ambiti (es. applicazione delle misure cautelari personali, decisione che ordina il prelievo di campioni biologici da un individuo, intercettazione, disposizione o convalidare del sequestro preventivo, differimento del diritto dell’imputato in stato di custodia cautelare di conferire con il suo difensore…). 2) Funzioni di controllo: in esse il sindacato giurisdizionale non prende di mira un singolo atto ma l’attività del PM nel suo complesso (es. proroga dei termini delle indagini preliminari, archiviazione, riapertura di un’indagine archiviata). 3) Funzioni di decisione. In alcuni casi il GIP risolve nel merito la regiudicanda, cioè scioglie l’alternativa condanna/proscioglimento (es. nell’abbreviato). In altri casi si pronuncia sul processo, ossia stabilisce se l’iter deve arrestarsi o continuare (es. nell’udienza preliminare e nel procedimento di revoca della sentenza di non luogo a procedere). 45 Nel caso infine delle intercettazioni, c’è un presupposto che attiene alla gravità del reato: le intercettazioni si possono fare solo se il procedimento ha ad oggetto certi reati previsti dall’art.266. l’art.267 dispone che l’intercettazione si può fare quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Quando si parla di gravi indizi di reato significa che ci devono essere degli elementi che dimostrano che potrebbe essere stato commesso un reato. Supponiamo che una persona venga intercettata in rapporto ad un certo reato ma che non ci siano indizi che collegano questa persona alla commissione del reato, semplicemente si pensa che possa saperne qualcosa si può fare perché la norma parla di gravi indizi di reato, non di colpevolezza. Quando si parla di assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini si lascia intendere se si possono utilizzare altri mezzi, questi dovrebbero essere preferiti. Per le intercettazioni ambientali (cd. intercettazioni tra presenti) i presupposti sono gli stessi. Se però queste avvengono nel domicilio della persona, c’è un requisito ulteriore. art.266 co.2: “Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti che può essere eseguita anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale [domicilio], l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa”. Interpretando alla lettera la legge, l’intercettazione sarebbe possibile solo se in quel preciso momento si sta svolgendo un’attività criminosa (una sorta di flagranza). In realtà l’attività criminosa non deve avvenire nello stesso momento in cui è fatta l’intercettazione. L’art.267 co.1 stabilisce i requisiti per utilizzare lo strumento del captatore informatico. Bisogna indicare i luoghi e il tempo in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono. In realtà, parlandosi di luoghi indirettamente determinati, questa intercettazione con captatore può essere avviata quasi ovunque, servendosi di formule generiche come “dove l’indagato vive o svolge le sue attività”. Con il digitale, esistono anche le perquisizioni informatiche, cioè l’analisi di un dispositivo informatico art.247 co.1 bis: “Quando vi è fondato motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o telematico, ancorché protetto da misure di sicurezza, ne è disposta la perquisizione, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l’alterazione”. Il problema in questo caso è che servono certe competenze tecniche per fare queste perquisizioni, perché c’è il rischio di alterare le prove. Nel caso di Garlasco ad esempio una delle prove era il computer acceso che è stato spento e dunque sono stati persi moltissimi dati. Controllo giurisdizionale Gli atti che dispongo intercettazioni, sequestri ed intercettazioni sono sottoposti a controllo giurisdizionale, che varia a seconda del tipo di atto. Perquisizioni e sequestri sono atti emessi durante le indagini dal PM. Il controllo giurisdizionale è svolto tramite apposita impugnazione. In certi casi particolari la perquisizione può essere fatta dalla polizia e poi in un secondo momento convalidata dal PM (art.352) in questo caso il controllo giurisdizionale è effettuato tramite impugnazione successiva. Fino alla riforma, nel nostro sistema l’unica forma di impugnazione ai sequestri era il riesame (artt.257 e 324), volto ad ottenere la restituzione della cosa sequestrata. Perquisizione sequestro riesame Non era tutelata nel nostro sistema la situazione in cui si dispone una perquisizione ma a questa non segue alcun sequestro. Un caso del genere è finito nel 2018 dinnanzi alla Corte EDU, che ha riscontrato una violazione dell’art.8 CEDU (diritto alla riservatezza) in quanto manca la garanzia del controllo giurisdizionale. Ora il vuoto di tutela è stato colmato dalla riforma Cartabia, che ha introdotto un rimedio apposito: 46 art. 252-bis: “Opposizione al decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero Salvo che alla perquisizione sia seguito il sequestro, contro il decreto di perquisizione emesso dal pubblico ministero la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e la persona nei cui confronti la perquisizione è stata disposta o eseguita possono proporre opposizione, sulla quale il giudice provvede a norma dell’articolo 127. L’opposizione è proposta, a pena di decadenza, entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento o dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuta perquisizione. Il giudice accoglie l’opposizione quando accerta che la perquisizione è stata disposta fuori dei casi previsti dalla legge”. Il rinvio all’art.127 fa capire che in questo procedimento c’è un contraddittorio orale eventuale. Lo stesso rimedio opera quando la perquisizione è disposta dalla polizia, e poi convalidata dal PM ex art.352 cpp. Anche qui, se non c’è un sequestro, si può fare l’opposizione. 9.2 Nei confronti del difensore (Manuale: pp. 214-216; Norme: art. 103 c.p.p.) In che modo la difesa viene a conoscenza dei singoli atti d’indagine? Perquisizioni e sequestri presuppongono il diritto per il difensore di partecipare all’atto. Nel caso invece delle intercettazioni, la difesa non può partecipare contestualmente al compimento dell’atto. Devono essere assicurate in ogni stato e grado del procedimento le garanzie per la libertà del difensore, al fine che possa efficacemente dar seguito al proprio mandato. All’art.103 sono stabiliti limiti insuperabili ai poteri investigativi degli organi inquirenti per presidiare i luoghi e gli spazi, anche virtuali, in cui si esprime l’attività difensiva. È stabilito anche il tendenziale divieto di effettuare ispezioni, sequestri, perquisizioni ed intercettazioni relativi a luoghi, cose, documenti o conversazioni riferibili ai difensori, investigatori o consulenti della difesa, a meno che non ricorrano delle stringenti condizioni che legittimano la prevalenza del potere investigativo. La trasgressione del divieto di effettuare ispezioni, sequestri, ecc. determina l’inutilizzabilità degli esiti conoscitivi di tali atti. Relativamente alle intercettazioni, la protezione opera su due livelli: a. Divieto d’intercettazione delle comunicazioni relative a utenze immediatamente riferibili al difensore; b. Nel caso di intercettazione accidentale, riferita ad utenze estranee al difensore, c’è inutilizzabilità probatoria quando le conversazioni hanno ad oggetto fatti conosciuti in ragione della professione di avvocati, investigatori privati o consulenti tecnici. Le ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori sono ammesse solo: - Quando l’imputato o indagato è il titolare dell’ufficio stesso o una persona che vi lavori stabilmente, e l’atto investigativo a sorpresa serva a far emergere prove a suo carico; - Quando gli inquirenti cercano segni tangibili del reato, specifiche cose o persone già individuate (è esclusa l’intrusione alla cieca). 47 Perquisizione Ricerca, suscettibile di essere svolta in modo coercitivo e prodromica ad un ulteriore atto del procedimento: Il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato; L’arresto dell’imputato o dell’evaso (compresi fermo ed esecuzione di custodia cautelare). Per procedervi occorrono elementi obiettivi che devono lasciar desumere che sulla cosa, luogo o persona perquisiti si trovino il corpo del reato, una cosa pertinente al reato, l’imputato o l’evaso. Due giudizi di verosimiglianza: uno sulla sussistenza del reato e l’altro sul ritrovamento della cosa o persona cercata (che deve essere probabile). Compete all’autorità giudiziaria: PM nelle indagini, giudice nel processo. È raro che venga disposta nel dibattimento. La PG è legittimata ad eseguire perquisizioni di propria iniziativa solo nei casi disciplinati dall’art.352, che di solito prevede situazioni concitate. Gli ufficiali di PG possono perquisire in 3 ipotesi: 1) Flagranza di reato; 2) Evasione; 3) Quando procedono all’esecuzione di un’ordinanza che dispone la custodia cautelare, di un ordine che dispone la carcerazione o di un fermo e ricorrono particolari motivi di urgenza che non consentono la tempestiva emissione di un decreto. In tutte e tre le ipotesi il verbale deve essere trasmesso entro 48 ore al PM del luogo dove la perquisizione è stata eseguita e questi, se ne ricorrono i presupposti, convaliderà la perquisizione entro le 48 ore successive. La perquisizione viene disposta con decreto motivato in cui si deve dare atto dei presupposti richiesti dalla legge a pena di inutilizzabilità. Contro il decreto che dispone o convalida la perquisizione personale può essere proposto ricorso. Se la perquisizione mira ad una cosa determinata, l’autorità giudiziaria può invitare a consegnarla; se la cosa è presentata ci si ferma. Sequestro probatorio Possono essere sequestrati il corpo del reato e le cose pertinenti al reato. Il corpo del reato ex art. 253.2 sono: - le cose sulle quali (es. documento contraffatto) o mediante le quali (es. rivoltella) il reato è stato commesso; - e le cose che ne costituiscono il prodotto (es. le pastiglie di stupefacente), il profitto (es. il denaro riscosso dal concussore) o il prezzo (es. il compenso dato per indurre a commettere il reato). Le cose prese e la loro apprensione devono essere necessarie ai fini istruttori. Il sequestro è disposto dall’autorità giudiziaria, con decreto motivato consegnato all’interessato se è presente quando la misura viene eseguita. Intercettazione Per disporla occorrono 4 presupposti: 1) L’indagine deve vertere su uno dei reati tassativamente indicati agli artt.266 e 266bis 2) Occorrono gravi indizi di reato. L’intercettazione può essere disposta anche a carico di un soggetto diverso da quello indagato 3) Il controllo deve essere assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini: un’extrema ratio a cui ricorrere solo quando gli strumenti investigativi siano inadeguati 4) Solo per i luoghi di privata dimora: fondato motivo di ritenere che lì si stia svolgendo l’attività criminosa Le intercettazioni sono richieste dal PM e autorizzate dal GIP, che emana decreto motivato in cui dà atto dei presupposti descritti. Nei casi di urgenza, con fondato motivo di ritenere che il ritardo possa arrecare grave pregiudizio alle indagini, il PM può disporre l’intercettazione direttamente con decreto proprio, da comunicare al giudice entro 24 ore. Questi, entro 48 ore, deve emettere un provvedimento di convalida, altrimenti l’intercettazione non potrà proseguire e i risultati ottenuti nel frattempo saranno inutilizzabili. Per le indagini su fattispecie di particolare gravità (es. delitti di criminalità organizzata) le intercettazioni hanno regole meno severe (es. gli indizi non devono essere gravi ma solo sufficienti; l’intercettazione non deve essere assolutamente indispensabile ma solo necessaria per lo svolgimento dell’indagine). Le operazioni vengono verbalizzate e registrate. INFORMAZIONI SUPERFLUE: entro 5 giorni dalla conclusione delle operazioni il materiale viene depositato e i difensori possono esaminarlo. Si tiene un’udienza in cui ogni parte indica i colloqui che vorrebbero fossero acquisiti. Il giudice elimina le comunicazioni manifestamente superflue o quelle di cui è vietato l’uso. Quelle da acquisire vengono trascritte su carta, applicando le regole sulla perizia, e inserite nel fascicolo per il dibattimento (su accordo delle parti si può però evitare la perizia e affidarsi alle trascrizioni, meno garantite, effettuate dalla polizia). L’intercettazione è un atto irripetibile. Terminata la perizia, i difensori potranno ottenere copia delle trascrizioni e delle registrazioni, ma solo dei colloqui acquisiti (sarebbe rischioso far circolare copie di dialoghi processualmente irrilevanti). Il diritto alla riservatezza consente di chiedere al giudice che ha autorizzato l’intercettazione la distruzione delle comunicazioni irrilevanti. L’istanza può essere avanzata da tutti gli interessati, anche se non sono parti. 50 La riforma cerca di introdurre, a livello di modalità di raccolta delle dichiarazioni, la videoconferenza a distanza in tempo reale sperando che permetta di risparmiare tempo. art.370 co.1 bis: “Quando la persona sottoposta alle indagini e il difensore vi consentono, il pubblico ministero può disporre che l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini si svolga a distanza. Allo stesso modo, il pubblico ministero provvede nei casi in cui il compimento dell’interrogatorio è delegato alla polizia giudiziaria ai sensi del co.1”. Trattandosi di un atto difensivo, la persona sottoposta alle indagini potrebbe avere interesse ad essere presente fisicamente per potersi difendere al meglio. Il presupposto per l’utilizzo del collegamento a distanza è, nell’interesse della difesa, è il consenso dell’indagato e del difensore. Il difensore ha diritto di partecipare all’interrogatorio e ha anche il diritto al preavviso. È sempre prevista, con la riforma, la videoregistrazione dell’interrogatorio. Ante riforma era obbligatoria la registrazione solo degli interrogatori dei detenuti. Quanto detto finora vale per l’interrogatorio del PM o della PG su delega del PM. Ci sono casi tassativi in cui l’interrogatorio è svolto dal giudice es. divieto al PM di interrogare la persona in stato di custodia cautelare prima del giudice. 10.2 Sommarie informazioni della polizia (manuale: pp. 415-416; fonti: art. 350 c.p.p.) Un’altra forma di interrogatorio è quello svolto dalla polizia di sua iniziativa, senza delega del PM. Questo interrogatorio svolto dalla polizia tecnicamente si chiama assunzione di sommarie informazioni dall’indagato. La polizia convoca l’indagato e il suo legale con un dato preavviso. Le garanzie sono rafforzate rispetto a quelle previste per l’interrogatorio del PM di fronte alla polizia la presenza del difensore è obbligatoria (mentre di fronte al PM il difensore ha solo il diritto a presenziare). Se manca il difensore perché non viene fatto partecipare la conseguenza è la nullità assoluta dell’interrogatorio. Nel caso in cui non venga nominato il difensore di fiducia, ne sarà nominato uno d’ufficio. La polizia deve rispettare l’art. 64 (cioè lasciare che l’indagato intervenga libero, garantirgli la libertà morale, informarlo della facoltà di non rispondere, del fatto che le sue risposte potranno essere usate contro di lui, dell’eventuale trasformazione in testimone assistito), ma non l’art. 65: non è tenuta a comunicargli il fatto che gli è attribuito, gli elementi di prova a suo carico e le relative fonti. Le dichiarazioni rese di fronte alla polizia hanno valore strettamente investigativo. Mentre le dichiarazioni resa in fase di indagine al PM vengono recuperate nel caso in cui l’imputato non si faccia poi esaminare in dibattimento, le dichiarazioni rese alla polizia non vengono in alcun modo recuperate. All’art.350 vengono disciplinate alcune ipotesi particolari. art.350 co.5, 6: “Sul luogo o nell'immediatezza del fatto, gli ufficiali di polizia giudiziaria possono, anche senza la presenza del difensore, assumere dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, anche se arrestata in flagranza o fermata a norma dell'articolo 384, notizie e indicazioni utili ai fini della immediata prosecuzione delle indagini. Delle notizie e delle indicazioni assunte senza l'assistenza del difensore sul luogo o nell'immediatezza del fatto a norma del comma 5 è vietata ogni documentazione e utilizzazione”. In realtà, più che “sul luogo O nell’immediatezza” sarebbe stato da scrivere “sul luogo E nell’immediatezza del fatto” l’interrogatorio viene svolto nel momento in cui la persona trova, sul luogo del reato, l’indagato. Tutte queste dichiarazioni non vengono verbalizzate (co.6) quindi non hanno nemmeno la funzione di atti d’indagine non hanno funzione neanche investigativa non possono essere usate per decidere se esercitare azione penale o disporre misura cautelare. (c.d. inutilizzabilità rafforzata). 51 LE DICHIARAZIONI SPONEANEE (manuale p. 416; art.350 c.p.p) art.350 co.7: “La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita l’utilizzazione nel dibattimento, salvo quanto previsto dall'articolo 503 comma 3” vengono raccolte senza il difensore e hanno valore solo investigativo possono essere usate per decidere se esercitare azione penale o disporre misura cautelare. Non sono sollecitate da una richiesta e avvengono liberamente, non seguendo lo schema domanda-risposta. Non essendo provocate, la disciplina è leggera dal punto di vista dei diritti difensivi: possono essere raccolte anche dagli agenti, anche se la persona che le rende è detenuta e senza il difensore; non servono gli avvisi ex art. 350 cc. 1 e 2 e anche davanti al PM non c’è diritto all’assistenza difensiva. Possono però presentarsi due insidie: a. Il PM (non la PG) può decidere di contestare il fatto alla persona che sta rendendo dichiarazioni spontanee, trasformando l’atto in un vero e proprio interrogatorio che segue le relative regole. b. Nella prassi si corre il rischio che vengano presentate come spontanee dichiarazioni rese, in realtà, su sollecitazione. Es. Giudizio della Corte d’assise d’appello di Perugia sulle modalità secondo cui nelle indagini sull’omicidio di Meredith Kercher, Amanda Knox ha rilasciato le sue dichiarazioni: la durata ossessiva degli interrogatori, portata avanti di giorno e di notte, condotti da più persone nei confronti di una ragazza giovane e straniera, che all’epoca non parlava bene la lingua italiana, ignara dei propri diritti, privata dell’assistenza di un difensore ed assistita da una interprete che, anziché limitarsi a tradurre, la induceva a sforzarsi di ricordare, rende comprensibile che si trovasse in una situazione di notevole pressione psicologica tale da far dubitare dell’effettiva spontaneità delle sue dichiarazioni. Spontaneità singolarmente sorta in piena notte, alle ore 1:45 e alle 5:45. La Corte Edu condannerà poi l’Italia per violazione della Cedu. Le dichiarazioni degli imputati di reati connessi o collegati Gli imputati di un reato connesso o collegato: 1) Hanno l’obbligo di presentarsi al PM (altrimenti potrebbe essere disposto l’accompagnamento coattivo); 2) Devono essere assistiti da un loro difensore (non ha diritto di partecipare quello dell’indagato); 3) Godono della facoltà di non rispondere e hanno diritti ad esserne informati; 4) Devono essere avvertiti che se renderanno dichiarazioni sulla responsabilità altrui potranno assumere l’ufficio di testimone assistito. L’atto può essere condotto anche da ufficiali di PG ma in tal caso non si chiama interrogatorio ma sommarie informazioni e la presenza del difensore è facoltativa. Inoltre non sono espressamente previsti gli avvertimenti sul diritto al silenzio e sulle conseguenze della scelta di rinunciarvi. L’individuazione Quando c’è motivo di temere che il soggetto attivo possa subire intimidazioni o altre influenze da quello sottoposto all’individuazione, si procede facendo in modo che il secondo non possa vedere il primo. È ammessa anche un’individuazione su immagini. Il legislatore ha predisposto forme così severe perché ha pensato che l’individuazione non potesse essere spesa all’interno del procedimento ma solo usata per l’immediata prosecuzione delle indagini, tuttavia si è trattato di un errore. Anzitutto l’individuazione può fondare misure cautelari, provvedimenti di rinvio a giudizio, sentenze emesse all’esito di patteggiamenti o abbreviati. Inoltre può pesare sul dibattimento attraverso i meccanismi delle letture e contestazioni. Infine è un atto psicologicamente irripetibile, nel senso che condiziona pesantemente l’eventuale, successiva ricognizione, in cui si tende spesso a reiterare il giudizio espresso nella prima occasione. Il d.lgs. 184/2016 ha attribuito al difensore il diritto di assistere all’individuazione di persone eseguita dal PM. 52 10.3 Mutamento dello status del dichiarante (Manuale: pp. 199-200; Fonti: art. 63 c.p.p.) art.63: “Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate”. C’è una persona che viene sentita non come persona indagata ma come persona informata sui fatti (quindi vuol dire che ha assistito al reato, ma che non è coinvolta in alcun modo). Può succedere che, parlando, questa persona faccia emergere elementi autoindizianti, che fanno pensare ad un suo coinvolgimento nel fatto bisogna fermarla, avvisarla del cambio di status e applicarle le garanzie previste per l’interrogatorio dell’indagato. Le dichiarazioni rese dall’indagato prima del cambio di status non sono utilizzabili contro di lui, ma restano valide contro altri (inutilizzabilità relativa). 10.4 Sommarie informazioni dai potenziali testimoni (Manuale: pp. 411-413; Fonti: artt. 351 e 362 c.p.p.) Una persona informata sui fatti che viene sentita durante le indagini da PG o PM non deve essere sentita con un difensore, non ha diritto al silenzio (non essendo un indagato) anzi se non risponde o dice cose sbagliate può essere messo sotto procedimento penale per specifici reati (art.198 sui doveri del testimone: la persona sentita ha obbligo di presentarsi, di rispondere e di dire la verità. Menzogne e reticenze non integrano però la falsa testimonianza, perché il testimone propriamente detto è solo quello che depone in incidente probatorio o dibattimento. Al massimo scatta il reato di false informazioni al PM. La fattispecie non abbraccia le dichiarazioni fornite alla PG perché qui, qualora ne ricorrano gli elementi costitutivi - la falsità o la reticenza devono essere state commesse per aiutare taluno ad eludere l’investigazione e devono avere effettivamente deviato l’indagine - si configurerà un favoreggiamento personale). art.351: “La polizia giudiziaria assume sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Si applicano le disposizioni del secondo e terzo periodo del comma 1 dell’articolo 362. All’assunzione di informazioni da persona imputata in un procedimento connesso ovvero da persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall’articolo 371 comma 2 lettera b), procede un ufficiale di polizia giudiziaria. La persona predetta, se priva del difensore, è avvisata che è assistita da un difensore di ufficio, ma che può nominarne uno di fiducia. Il difensore deve essere tempestivamente avvisato e ha diritto di assistere all’atto.” comma 1 quater introdotto da riforma: la persona può chiedere che sia registrata questa assunzione di informazioni. art.362: “Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini. Alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto non possono essere chieste informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date”. Servono cautele per impedire che il dichiarante sia indotto a fornire informazioni nel senso desiderato: - Non è consentito l’arresto in flagranza per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto a fornirle; - Se si sospetta che davanti al PM sia stato dichiarato il falso, il procedimento sulla falsità rimane sospeso fino a quando, nel procedimento in cui le informazioni sono state raccolte, non sia emessa una sentenza o un’archiviazione. 55 nel fascicolo per il dibattimento. È un’ipotesi anomala perché governata dal PM invece che dal giudice. L’accertamento tecnico è irripetibile in due casi: i. Quando è indifferibile perché riguarda persone, cose o luoghi il cui stato sta cambiando (art.360 co.1): es. autopsia, consulenza sulle lesioni riportate dalla persona offesa o sul carattere nocivo di un alimento deteriorabile; ii. Quando non è rinnovabile (art.117 disp. att.): la sua esecuzione modifica irreversibilmente l’oggetto su cui cade che non potrà essere esaminato una seconda volta: es. analisi di piccole quantità di stupefacente che vengono consumate dalla verifica. Quando si compie un accertamento tecnico irripetibile, il PM informa l’indagato, la persona offesa e i difensori del giorno, ora e luogo fissati per il conferimento dell’incarico al consulente e della facoltà di nominare i propri consulenti, che potranno assistere al conferimento dell’incarico, partecipare agli accertamenti, formulare osservazioni e riserve. Alcune analisi tecnico-scientifiche possono essere svolte solo esercitando una preliminare coazione sull’individuo che, per essere costituzionalmente compatibile, deve essere regolata dalla legge. A questo scopo c’è l’art.359 bis: quando bisogna raccogliere capelli, peli, mucosa del cavo orale per la determinazione del profilo del DNA il PM, se non ha il consenso dell’interessato, chiede autorizzazione al GIP. Se il ritardo arrecherebbe un grave danno alle indagini, il PM può disporre il prelievo o l’accertamento con proprio decreto che va trasmesso al giudice entro 48 ore e convalidato nelle 48 ore successive. Procedura accertamenti tecnici (art.360): il PM nomina il proprio consulente tecnico, fissa il giorno dell’accertamento e avvisa l’indagato, il suo difensore e la persona offesa. I difensori e i consulenti tecnici nominati dalla difesa hanno diritto di partecipare e di formulare osservazioni e riserve. È un contraddittorio imperfetto perché manca un giudice per questo motivo l’indagato (non la persona offesa), se vuole un contraddittorio pieno in presenza di un giudice, può porre un veto all’accertamento (RISERVA DI PROMUOVERE INCIDENTE PROBATORIO, art.360 co.4) e indicare un metodo più garantito in cui il contraddittorio sia tutelato dalla presenza di un giudice. Di fronte al veto, il PM è tenuto ad arrestarsi, salvo casi urgentissimi (es. le autopsie sono spesso indifferibili). Nel caso in cui il PM non si fermi e proceda comunque all’accertamento, questo sarà invalido, cioè inutilizzabile come prova in dibattimento(co.5), ma hanno comunque valore come prova di atto d’indagine ad esempio per esercitare azione penale o misura cautelare. 11.2 Prelievi coattivi (Manuale: p. 347, 421-422 (a partire da “alcune analisi tecnico-scientifiche”, e fino a “soggetto non cooperi); Fonti: art. 13 Cost., art. 359 bis, 224 bis c.p.p.) Sono prelievi che vengono fatti nei confronti delle persone non consenzienti. Si tratta di raccogliere materiali biologici dalle persone (capelli, peli, mucosa orale, saliva, sangue…) al fine di ricavare il profilo del DNA della persona. Queste azioni per risultare costituzionalmente compatibili devono essere regolate dalla legge. Vengono in gioco alcuni diritti fondamentali, in particolare la libertà personale e la riservatezza (il profilo genetico è comunque un dato molto sensibile), quindi sono previste delle garanzie: riserva di legge, motivazione e controllo giurisdizionale la disciplina sui prelievi coattivi deve rispondere a queste esigenze. Art.359 bis prelievo coattivo in fase d’indagine Art.224 bis prelievo coattivo in fase di dibattimento disposto dal giudice tramite perizia Questo prelievo coattivo è possibile solo se il reato è di una certa gravità e se è assolutamente indispensabile (se ci sono mezzi meno invasivi per ottenere il materiale genetico, si devono utilizzare quelli). Dal punto di vista del controllo giurisdizionale, il prelievo si dispone ad opera del GIP su richiesta dal PM, mentre, se c’è urgenza, agisce direttamente il PM con convalida subito successiva del GIP. INDAGINI SUI REATI DI OMICIDIO STRADALE E LESIONI PERSONALI STRADALI GRAVI O GRAVISSIME: queste fattispecie contemplano circostanze aggravanti per il caso in cui il reato sia stato commesso da un conducente 56 in stato d’ebbrezza alcolica o di alterazione conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. Le tracce che consentono di provarle sono molto volatili, perciò è previsto che il PM possa autorizzare la coazione anche oralmente, salva una successiva conferma scritta e la convalida giurisdizionale. 57 12. Indagini difensive (Manuale: pp. 440-445 (fino a “contenuti non ancora noti”); 446 (da “come si accennava” fino alla fine della pagina); Fonti: artt. 327 bis, 391 bis, 391 octies, 391 nonies) Sono le indagini fatte dallo stesso difensore della persona indagata, che può svolgere un ruolo attivo. Non sono indispensabili perché è l’accusa che è tenuta a fare le indagini, mentre la difesa potrebbe limitarsi a confutare ciò che fa l’accusa senza introdurre prove proprie. Questa disciplina non era originariamente presente nel codice, è stata introdotta nel 2000 prima dell’introduzione la difesa, per svolgere un proprio atto d’indagine, avrebbe dovuto chiedere al PM (unico legittimato a farlo) di svolgere l’atto (cd. canalizzazione: attività difensiva fatta tramite il PM). Prima della sua entrata in vigore allora venne scritto l’art.38 disp. att., che concedeva ai difensori la facoltà di conferire con le persone che potessero dare informazioni. Nel 1992 sul tema ci furono importanti sentenze: - la Cassazione ritenne che i risultati dell’inchiesta difensiva non potessero essere presentati direttamente al GIP ma dovessero essere canalizzati sul PM, unico organo preposto alla raccolta e al vaglio delle informazioni rilevanti costringeva il difensore a rivolgersi al suo antagonista; - la Corte costituzionale e un d.l. abbatterono il principio di separazione tra indagini e dibattimento, rendendo così centrale le indagini preliminari dominate dal PM; - L’inchiesta c.d. Mani Pulite spazzò via la classe politica del tempo segnando la nascita della seconda Repubblica, il tutto con la mera forza delle indagini. Tutto ciò rese evidente che lo squilibrio fra PM e difensore che caratterizzava le indagini preliminari era eccessivo. Quindi nel 1995 il Parlamento interpolò l’art.38 disp. att., chiarendo che il difensore poteva presentare direttamente al giudice elementi che reputava rilevanti ai fini della decisione. Alla fine il legislatore scelse di puntare sul difensore e sulla sua inchiesta, abrogando l’art.38 disp. att. ed aggiungendo l’art.327bis. Queste indagini difensive non possono implicare l’uso di poteri autoritativi ad esempio non si possono disporre intercettazioni o perquisizioni la difesa ha possibilità più limitate rispetto al PM, che si trova in posizione di forza. Non tutti si possono permettere queste indagini, perché possono essere parecchio costose. Tecnicamente queste indagini non dovrebbero nemmeno essere necessarie, perché è dovere del PM, in quanto organo pubblico, svolgere anche le indagini a favore della difesa. L’indagine difensiva, a differenza di quella del PM, è un’indagine di parte: il difensore è un soggetto privato che deve fare solo ed esclusivamente l’interesse dell’assistito se il difensore trova, nel corso delle indagini, elementi a carico dell’assistito, non è tenuto a portarli in procedimento, perché non sono utili alla causa della difesa. In certi casi il difensore sceglie di verbalizzare gli atti d’indagine e, in quel momento, assume la veste di pubblico ufficiale (ma solo nel momento in cui verbalizza) se il verbale non è redatto in modo completo, il difensore in qualità di pubblico ufficiale in quel momento può essere perseguito penalmente per falso se emergono elementi a carico della persona li deve verbalizzare ma può non produrre questi verbali in dibattimento. Il difensore è libero di produrre o no i risultati della sua inchiesta. Se decide di farlo li può presentare: Al PM (es. per spingerlo verso l’archiviazione): in questo caso gli atti depositati saranno inseriti nel fascicolo delle indagini. Al GIP: affinché ne tenga conto nel momento in cui dovrà prendere una decisione. Verrà formato un apposito fascicolo del difensore, che verrà conservato presso l’ufficio del GIP. Dopo la conclusione delle indagini preliminari, il fascicolo del difensore affluisce all’udienza preliminare e, se viene disposto il rinvio a giudizio, viene inserito nel fascicolo del PM. 60 in un ambiente protetto o riducendo la c.d. vittimizzazione secondaria. inoltre si vuole assicurare la genuinità della testimonianza, soprattutto dei minori, spesso portati a dimenticare o confondere ricordi traumatici. c) L’art.392 consente di assumere una perizia che richieda l’esecuzione di accertamenti o prelievi su un individuo: norma a favore della difesa, perché l’art.359 consente solo al PM di ottenere l’autorizzazione a prelevare coattivamente un campione biologico. Il difensore dell’indagato non può farlo, ma può chiedere l’incidente probatorio. Il procedimento Viene domandato al GIP dal PM o dall’indagato (non dalla persona offesa, che può solo chiedere al PM di presentare lui l’istanza e, se non intende aderire, emette decreto motivato e lo fa notificare all’offeso). In origine la richiesta doveva essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi gli artt.392 e 393 nella parte in cui non consentivano che l’incidente potesse essere richiesto ed eseguito anche nella fase dell’udienza preliminare. La domanda di incidente probatorio deve indicare a pena di inammissibilità: a. La prova da assumere, i fatti oggetto e le ragioni della sua rilevanza per il dibattimento; b. Le persone verso cui si procede per i fatti oggetto della prova; c. Le circostanze che rendono la prova non rinviabile al dibattimento. Si svolge quindi un contraddittorio scritto: la richiesta è notificata al PM e agli indagati coinvolti, che possono ribattere sostenendone l’inammissibilità o chiedendo di allargare la prova a temi o persone non indicati. Il giudice decide dichiarando inammissibile, rigettando o accogliendo la domanda. L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del PM e dell’indagato; partecipano i difensori delle sole persone sottoposte alle indagini toccate dalla prova che viene assunta. Ha diritto di partecipare il difensore della persona offesa. Se si deve esaminare un testimone o un altro soggetto, anche l’indagato e la persona offesa possono presenziare; se invece si deve assumere una prova diversa, potranno partecipare solo su autorizzazione del giudice. La prova deve essere assunta con le forme previste per il dibattimento, ma comunque il contraddittorio è più debole perché ne è incerto l’oggetto (ancora non c’è imputazione). Se bisogna raccogliere una dichiarazione si procede con la cross examination. Si pone però il problema delle contestazioni, cioè un momento dell’esame in cui una parte può rinfacciare al soggetto interrogato che sta dicendo cose diverse da quelle narrate in precedenza. Per procedervi la parte deve conoscere le dichiarazioni precedentemente rese e, mentre il PM ha il fascicolo delle indagini, il difensore è in difficoltà. Negli anni ’90 la Corte costituzionale ritenne che, per rendere possibile ad entrambe le parti la contestazione, la documentazione di quelle dichiarazioni dovesse essere depositata all’apertura dell’udienza. La soluzione però non dava sufficiente tempo al difensore per preparare una linea d’esame. Per questo motivo c’è l’art.398.3: le dichiarazioni già rese dalla fonte che deve essere escussa vanno depositate almeno due giorni prima dell’udienza, di modo che indagato, persona offesa e difensori possano estrarne copia. Lo squilibrio è migliorato ma rimane, perché solo il PM può inquadrare le dichiarazioni rese nel contesto globale delle indagini in quanto solo lui conosce il fascicolo. Solo nel caso di testimonianza di soggetti fragili deve depositare tutto il fascicolo. 61 14. Segreto investigativo e divieto di pubblicazione (Manuale: pp. 121-123, 125-127, 253-258, 438 (da “5) Infine) – 440; Fonti: artt. 27 comma 2 Cost., artt. 329 e 114 c.p.p., art. 114 comma bis in rapporto alle intercettazioni) C’è una regola generale in base alla quale gli atti d’indagine, almeno all’inizio, sono segreti, cioè non è possibile prenderne visione. Si distingue tra: - SEGRETO INTERNO vale all’interno del procedimento ed opera nei confronti dell’indagato. La funzione è salvaguardare l’efficacia dell’indagine (comunicare subito l’indagine alla persona potrebbe pregiudicarla) - SEGRETO ESTERNO opera nei confronti di chi sta fuori dalle indagini, all’esterno del procedimento, cioè l’opinione pubblica, i giornalisti ecc ed anche il giudice del dibattimento (perché altrimenti verrebbe meno la separazione tra le fasi, la formazione della prova in contraddittorio…). Si vuole tenere nascosta l’indagine a giornalisti ed opinione pubblica per tutelare la presunzione di innocenza se emergessero le indagini l’opinione pubblica si farebbe un’idea magari colpevolista, magari anche il giudice potrebbe farsi condizionare si vuole evitare la cd gogna mediatica. C’è anche l’interesse a tutelare la riservatezza, perché durante le indagini potrebbero emergere dati sensibili riservati. La presunzione di non colpevolezza (PNC) è un valore costituzionale previsto all’art.27 co.2: “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Deve essere dimostrata, con le apposite prove, la colpevolezza dell’individuo la potestà punitiva riceve completa legittimazione solo con la condanna definitiva. Questo implica anche la cd regola di trattamento della persona: la persona, finché c’è la presunzione, non deve essere trattata come se fosse colpevole. È il principio cardine del moderno processo penale, opposto rispetto al modello inquisitorio in cui prevale l’idea che non esistano innocenti. È presente nelle più importanti Carte internazionali, tra cui l’art. 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’art.6 CEDU. È una garanzia polifunzionale: Come regola di trattamento, esprime il divieto di assimilare l’imputato al colpevole e di punirlo prima della condanna definitiva coinvolto il settore delle restrizioni alla libertà personale durante il processo; Come regola di giudizio, cristallizza l’onere della prova della responsabilità penale in capo al PM, risolvendo l’incertezza processuale in senso favorevole all’imputato (in dubio pro reo). La regola di trattamento si ricollega al c.d. legalitarismo illuminista, mentre la regola di giudizio ha origine nel pragmatismo anglosassone in ambito probatorio. Collegamento tra PNC e principio di uguaglianza sostanziale ex art.3 Cost il divieto di assimilare l’imputato al colpevole è inteso come garanzia estesa a tutti gli imputati, a prescindere dal tipo di reato, dalla posizione sociale, economica, dalla recidiva e dai precedenti penali. Da ciò derivano perplessità sulla politica criminale del c.d. doppio binario coltivata dal legislatore dagli anni ’90 sul concetto di imputato “pericoloso”, tradotta nella previsione di regimi diversificati tra imputati sulla base della tipologia delittuosa (es. mafia, terrorismo, stupefacenti) in materia di adeguatezza della custodia cautelare in carcere e di diritto alla prova. La PNC rafforza il diritto dell’imputato di difendersi tacendo: dal sistema si ricava un obbligo di agire in capo al PM ma non un obbligo di reagire in capo all’imputato, che può legittimamente scegliere di difendersi tramite il silenzio, perché il rischio della mancata prova d’accusa è sempre a suo favore. PNC e informazione: la regola di trattamento si proietta anche fuori dal processo nel divieto di far apparire l’imputato come colpevole prima della condanna definitiva. Qui si parla dei rapporti tra la PNC, la libertà di manifestazione del pensiero e il diritto di cronaca ex art. 21 Cost. Da un lato c’è la necessità di assicurare, attraverso l’imposizione di momenti di segretezza o riservatezza, che le indagini non siano vanificate o che il processo non venga turbato da fughe di notizie; dall’altro l’esigenza di garantire una corretta informazione 62 dell’opinione pubblica sulle vicende giudiziarie. Il divieto di punire prima della condanna definitiva può essere inficiato anche da una distorta informazione del processo, quando notizie relative alle vicende processuali producono effetti pregiudizievoli per l’imputato (es. allestire sondaggi in internet sulla colpevolezza o innocenza degli imputati). Il segreto è previsto per gli atti d’indagine compiuti dal PM e dalla PG, insieme alle richieste del PM di autorizzazione al compimento di atti di indagine (e agli atti del giudice che vi provvedono). Ci sono però alcuni atti compiuti cronologicamente durante le indagini, ma non sono atti d’indagine perché non implicano lo svolgimento di investigazioni l’informazione di garanzia (indica che si stanno svolgendo le indagini, non è un atto d’indagine di per sè), che non è coperta da segreto; le decisioni che applicano le misure cautelari personali. Ci sono degli interessi contrapposti al segreto, tali per cui questo ad un certo punto deve venir meno. Si pensi ad esempio al segreto interno. Questo tutela l’efficienza dell’indagini, ma l’indagato potrebbe invocare il diritto di difesa: per potersi difendere, deve conoscere il contenuto degli atti d’indagine. Nel caso invece del segreto esterno, l’interesse contrapposto è il diritto della popolazione di essere ad un certo punto informata ed anche il diritto di cronaca di cui godono i giornalisti, baluardo di democrazia e trasparenza. È previsto dal nostro codice un divieto di pubblicazione (cioè di diffusione di un determinato atto con qualunque mezzo a beneficio di un numero indeterminato di destinatari). È vietato pubblicare sia l’atto che il contenuto dell’atto (art.114) il PM può fare eccezione al divieto (DESEGRETAZIONE) quando è funzionale al successo delle indagini (es. pubblicazione di identikit di indagati non ancora identificati). Il PM può anche disporre con decreto motivato il segreto per atti che ex lege non sarebbero coperti (SEGRETAZIONE), quando l’imputato lo consente o l’atto può ostacolare le indagini. Anche il deposito in segreteria degli atti garantiti può essere procrastinato dal p.m. con decreto motivato, per gravi motivi, sino ad un massimo di 30 giorni. Infine il p.m. piò, con decreto motivato, vietare alle persone ascoltate di comunicare a terzi i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui abbiano conoscenza. Il divieto non può durare più di due mesi e la sua violazione è penalmente sanzionata. È vietato pubblicare le generalità, l’immagine e ogni elemento idoneo a condurre all’identificazione dei minorenni coinvolti. Il divieto dura fino alla maggiore età, salvo ci sia consenso del Tribunale per i minorenni che agisce nell’interesse esclusivo del minore di almeno anni 16. Infine, è vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale mentre è ammanettata o sottoposta ad altro mezzo di coercizione fisica (salvo consenso della stessa). Si vuole impedire la lesione alla dignità individuale dell’indagato. Il segreto interno viene meno quando gli atti d’indagine coinvolgono direttamente la difesa. Segreto interno (art.329 co.1) Divieto di pubblicazione (segreto esterno) dell’atto o del contenuto dell’atto (art.114 co.1) Caduta del segreto esterno dal momento della conclusione delle indagini o, in precedenza, dal momento della conoscenza dell’atto da parte della difesa Divieto di pubblicazione dell’atto Ok pubblicazione del contenuto Caduta del segreto interno dal momento della conclusione delle indagini o, in precedenza, dal momento della conoscenza dell’atto da parte della difesa Pubblicabilità dell’atto e del contenuto dal momento dell’archiviazione, della sentenza di non luogo a procedere o della decisione di secondo grado (art.114 co.2,3) Le intercettazioni sono le più deleterie per la riservatezza della persona, pertanto questo schema per le intercettazioni non vale per evitare ciò, è stato stabilito che le intercettazioni sono pubblicabili nel contenuto solo dopo che ne viene fatta la selezione/pulizia nel contraddittorio. Tuttavia ciò è poco rilevante nella prassi, dal momento che è invece possibile pubblicare le disposizioni di misura cautelari, le quali spesso al loro interno riportano le intercettazioni che hanno giustificato la misura stessa (l’ordinanza cautelare è un po’ un cavallo di Troia per le intercettazioni). 65 16. Obbligo di esercitare l’azione penale, vaglio preliminare dell’accusa e criteri di priorità 16.1 Concetto di azione e obbligatorietà dell’azione (Manuale: pp. 113-119; pp. 451-452 (fino a “provata l’ipotesi di accusa sostenuta dalla parte pubblica”); 453 (da “l’archiviazione costituisce la scelta esattamente speculare”) – 454 (fino a “rispetto di un parametro di stretta legalità”); Fonti: art. 112 Cost., artt. 50 c.p.p.) L’azione penale o imputazione è l’atto con cui si contesta formalmente ad una persona un’accusa. I caratteri dell’azione penale sono ex art. 50: A. Obbligatorietà: il PM esercita l’azione penale quando non sussistono i presupposti per l’archiviazione; B. Officialità: implica che l’azione sia esercitata d’ufficio, salvi i casi in cui la legge preveda anche una condizione di procedibilità; C. Irretrattabilità: non sono consentite revoche o ripensamenti perché l’azione, una volta esercitata, conduce il processo alla decisione definitiva, ponendo in capo al giudice il dovere di decidere sull’accusa. Con l’azione il PM propone una domanda chiedendo al giudice di verificarne il fondamento. Dunque l’azione è anzitutto richiesta di accertamento, finalizzata a verificare nel contraddittorio dibattimentale se si possa ritenere provata l’ipotesi di accusa. art.50: “Il p.m. esercita l’azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione. […] L’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge”. È previsto il controllo giurisdizionale sull’inerzia: il PM, obbligato ad esercitare l’azione penale, per non agire deve chiedere legittimazione al GIP, il quale controlla che non si sia sottraendo all’obbligo di iniziativa, non stia sottovalutando le prove raccolte o non abbia svolto le indagini in modo negligente. Il GIP può imporre l’azione penale o la creazione delle condizioni che la supportino mediante un supplemento di indagine. Una volta che si esercita l’azione penale, salvo casi particolarissimi, si va avanti: l’azione penale è irretrattabile, quindi se c’è azione penale deve poi esserci giudizio di condanna o proscioglimento. L’indagato si trasforma in imputato e quello che durante le indagini si chiama procedimento, con l’azione penale diventa processo. Il nostro sistema prevede, relativamente all’azione penale, il principio generale di obbligatorietà dell’azione penale (art.112 Cost). E’ un portato del principio di uguaglianza e di parità di trattamento: a parità di condotta eseguita, tutti devono essere perseguiti senza eccezioni o favoritismi. L’art.112 identifica il PM come l’organo che esercita l’azione penale, deve individuare i casi in cui esercitarla e i contenuti. Sarebbe incostituzionale una delega dell’azione penale alla PG o alla persona offesa: non ci può essere estromissione del PM dall’esercizio dell’azione penale. Va precisato che non ne è però il titolare esclusivo: sarebbe compatibile con la Costituzione una disciplina che legittimasse all’esercizio dell’azione soggetti diversi dal PM solo in via sussidiaria o concorrente. Secondo la Corte costituzionale, la titolarità dell’azione penale può essere legittimamente conferita a soggetti diversi dal PM se così facendo non si vanifica il suo obbligo di esercitarla. La persona offesa può chiedere di procedere tramite querela. L’art.50 co.2 dice che quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio se la persona non querela, il PM in certi casi non può agire d’ufficio quindi è come se la persona offesa sessa esercitasse in qualche modo l’azione penale. Questa previsione resta comunque compatibile con l’art.112 Cost. perché, nel necessario bilanciamento di valori, l’obbligo di esercizio dell’azione penale può in certe situazioni essere attenuto per tutelare altri valori costituzionalmente rilevanti (ad esempio in casi come la violenza sessuale la vittima potrebbe non voler perseguire il reato per tutelare la sua riservatezza). Nel caso di autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, si vuole tutelare l’attività di pubblico interesse svolto dall’organo. 66 L’obbligatorietà dell’azione penale riguarda anche le indagini principio di completezza delle indagini senza indagini non si può capire se vi è o meno l’obbligo di esercitare l’azione penale. È da escludersi che ad ogni notizia di reato debba fare necessariamente seguito un’azione, altrimenti ci sarebbe un enorme numero di processi l’obbligo scatta sempre quando c’è una fondata notizia di reato (se non è fondata viene cestinata). Quella sulla fondatezza della notizia non è una valutazione oggettiva, c’è un elemento di discrezionalità. Non in tutti i paesi c’è l’obbligo dell’azione penale (Inghilterra, Francia, USA…), è la legge stessa che riconosce espressamente la discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale. Cosa cambia rispetto alla discrezionalità che, nella prassi, c’è in Italia? In questi paesi la discrezionalità è maggiore a quella italiana perché non si limita alla fondatezza della notizia di reato: anche se la notizia è fondata, fanno un’ulteriore valutazione tenendo conto ulteriori parametri (ad es. il pubblico interesse). La valutazione sulla fondatezza della notizia di reato, per quanto discrezionale, deve essere fatta nel modo più preciso possibile. Per questo motivo la legge cerca di individuare dei presupposti più precisi possibile e prevede un’ulteriore forma di controllo sull’inazione (perché c’è il rischio che, se non viene esercitata l’azione penale, ci sia un’elusione dell’obbligo) l’archiviazione deve essere approvata dal GIP. È previsto anche un controllo giurisdizionale sull’azione: l’udienza preliminare/predibattimentale. È altrettanto doveroso quando il controllo sull’inazione? No, il controllo sull’azione è un quid pluirs che serve a far funzionare il sistema in modo più efficiente, ma non è doveroso quanto quello sull’inazione. 16.2 La modifica del vaglio preliminare dell’accusa (riforma Cartabia) La vecchia disciplina del vaglio preliminare dell’accusa Per meglio specificare il concetto di fondatezza della notizia di reato, era stato previsto il criterio della sostenibilità dell’accusa in giudizio è una valutazione prognostica perché si tratta di capire cosa potrebbe succedere se si facesse il giudizio. Si ha sostenibilità quando si può fare una prognosi di probabilità di condanna. La Cassazione interpreta questo parametro prevedendo una prognosi più generale: c’è sostenibilità dell’accusa in giudizio quando è possibile fare una prognosi di utilità del dibattimento (quando il dibattimento sarebbe utile per raggiungere il miglior risultato conoscitivo). Ma in un sistema accusatorio come il nostro è chiaro che, a ben pensarci, il dibattimento è praticamente sempre utile: il metodo di formazione delle prove dibattimentale è il migliore dal punto di vista cognitivo, perchè si basa sul contraddittorio. Grazie a quest’ultimo, un dichiarante che appare credibile nel corso delle indagini, potrebbe non risultare più tale a seguito dell’esame incrociato. Quindi il filtro all’utilità dell’azione penale è un filtro a maglie molto larghe. In caso di dubbio, si esercita azione penale. Si blocca l’azione penale solo nei rari casi in cui, in caso di dubbio, agli atti ci siano solo prove precostituite (ad es. documenti), sul valore della quale il contraddittorio probatorio non avrebbe nessun tipo di influenza. Questo controllo sull’azione ha sempre finora funzionato male. Per ragioni di efficienza, visto l’eccessivo numero di dibattimenti che caratterizza il nostro sistema, la riforma è intervenuta in due modi: - cambiamento del criterio decisorio per stabilire se la notizia di reato è fondata o no, in modo da creare un filtro più stretto - estensione del vaglio preliminare dell’accusa a tutti i procedimenti, tramite la nuova udienza predibattimentale (che si affianca all’udienza preliminare). Come interviene la riforma? Ecco le norme-chiave: art.408: “Quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca, il pubblico ministero presenta al giudice richiesta di archiviazione” art.425: “Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna” 67 Che cosa significa ragionevole previsione di condanna? Si tratta pur sempre di una prognosi (“previsione”), ma con un oggetto più ristretto. Non sarebbe più sufficiente pronosticare l'utilità del dibattimento nel senso detto più sopra. Per giustificare l’esercizio dell’azione penale, si dovrebbe in ogni caso pronosticare la condanna dibattimentale. Gli elementi raccolti durante le indagini devono essere solidamente orientati a carico, senza generare situazioni di dubbio. Si spera, in questo modo, che il filtro si restringa. È tutto da vedere se si riuscirà nell’intento, perché rimane pur sempre la discrezionalità ineliminabile insita in qualunque valutazione prognostica. Probabilmente le archiviazioni e le sentenze di non luogo a procedere aumenteranno: ma è da vedere se l’aumento sarà sufficiente a decongestionare il sistema. 16.3 Criteri di priorità Sono previsti dei criteri di priorità per stabilire quando esercitare determinate azioni penali piuttosto che altri. Tali criteri vengono stabiliti dal Parlamento. Nuovo art. 3-bis disp. att. c.p.p.--> priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale: “Nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio” Progetto organizzativo di ufficio, a sua volta, come indica legge delega del 2021 sulla riforma del processo penale, deve tenere conto di indicazioni di legge: “prevedere che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili”. A sua volta, la legge delega del 2022 sull’ordinamento giudiziario, prevede la previsione di “criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell'utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili”. Nel nostro sistema, fondato sull’indipendenza delle procure dal potere esecutivo, è giusto che i criteri di priorità siano fissati dalla legge. Ma quest’ultima non potrà che fissarli in modo generico: dovranno poi essere le singole procure a concretizzarli tramite i loro progetti organizzativi, e qui potrebbero mantenersi spazi di discrezionalità difficili da controllare. Rispetto al passato ad ogni modo c’è un passo in avanti: le scelte delle procure non possono più rimanere completamente nascoste. Nuovo criterio della ragionevole previsione di condanna prognosi di probabilità della condanna: il dibattimento potrebbe concludersi con una condanna o, comunque, il dibattimento potrebbe portare al miglior risultato conoscitivo (anche se fosse un proscioglimento) Casi dubbi: NON si esercita l’azione penale Precedente criterio della sostenibilità dell’accusa in giudizio prognosi di utilità del dibattimento: il dibattimento potrebbe concludersi con una condanna o, comunque, il dibattimento potrebbe portare al miglior risultato conoscitivo (anche se fosse un proscioglimento) Casi dubbi: si esercita l’azione penale 70 L’udienza si può concludere con archiviazione (ORDINANZA DI ARCHIVIAZIONE DEL G.I.P.) oppure il g.i.p. può ordinare con ordinanza al p.m. di esercitare l’azione penale entro 10 gg (IMPUTAZIONE COATTA). Il g.i.p. può anche ritenere che le indagini non siano complete, e in questo caso ordina al p.m. l’INTEGRAZIONE DELLE INDAGINI con ordinanza, indicando le indagini necessarie da compiere e il termine per farlo. In questo caso deve trattarsi di elementi necessari, cioè di conoscenze idonee a fornire dati tali da rendere sostenibile l’accusa in giudizio. Il p.m. è vincolato all’ordine del giudice di svolgere le investigazioni suppletive e non può, senza averle svolte, chiedere di nuovo l’archiviazione. 17.4 Archiviazione nel rito contro ignoti Manuale: 474-475 (fino a “comunque assunte de plano”; Fonti: art. 415 c.p.p. Se entro 6 mesi dalla registrazione della notizia di reato il p.m. non riesce ad individuare un sospettato, il p.m. può disporre archiviazione (quando ritenga che non vi sia spazio, anche proseguendo le indagini, per identificare l’ipotetico autore) oppure le indagini proseguono contro ignoti (quando creda che proseguendo le investigazioni l’indagato si possa identificare). L’indagato, che non esiste, non può ovviamente opporsi. Ad opporsi potrebbe essere la persona offesa. In entrambi i casi il p.m. deve presentare richiesta al g.i.p., che provvede con decreto motivato. Se accoglie la richiesta, emette decreto di archiviazione o di autorizzazione alla prosecuzione delle indagini e restituisce gli atti al p.m. Se secondo il giudice l’identificazione dell’indagato è già possibile, ordina che il suo nome sia iscritto nel registro degli indagati. Non può ordinare la formulazione dell’imputazione ma deve comunque imporre l’inizio formale delle indagini nei suoi confronti. Il giudice potrebbe anche prescrivere al p.m. il compimento di indagini coatte, ancorché non previste testualmente, dato che questo tipo di archiviazione ha identica finalità rispetto alle altre ipotesi. Non è compatibile con questo rito il procedimento camerale: l’archiviazione nel rito a carico di ignoti implica una decisione assunta de plano. art.415. Reato commesso da persone ignote: “Quando è ignoto l'autore del reato il pubblico ministero, entro sei mesi dalla data della registrazione della notizia di reato, presenta al giudice richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini. Quando accoglie la richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini, il giudice pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. Se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine di cui al comma 2 dell'articolo 405 decorre dal provvedi- mento del giudice.* Si osservano, in quanto applicabili, le altre disposizioni di cui al presente titolo. 4. Nell'ipotesi di cui all'articolo 107-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, la richiesta di archiviazione ed il decreto del giudice che accoglie 60 la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il pubblico ministero o il giudice intendono escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto”. *Attenzione: il potere del g.i.p. di ordinare l’iscrizione del nome di un indagato nel registro è stato tolto dall’art.415 c.p.p., e generalizzato dal nuovo art.335 ter c.p.p.: v. supra, § 7.1. 17.5 Riapertura delle indagini a seguito di archiviazione e nullità dell’archiviazione Manuale pp. 473-474 Nullità dell’archiviazione Ci sono casi in cui l’archiviazione può essere contestata (si parla di nullità dell’archiviazione, art.410 bis introdotto nel 2017) una volta che viene disposta, l’offeso non è contento e ha la possibilità di contestarla non nel merito (perché nel merito ha già potuto dire la sua nell’udienza ex 127) ma nel caso in cui siano violate le regole sul contraddittorio con l’offeso o, nei casi di archiviazione per tenuità del fatto, con l’indagato. È nullo: o se emesso in mancanza degli avvisi alla persona offesa (quando avesse chiesto di essere informata o si proceda per reati che impongano l’avviso o in caso di archiviazione per tenuità del fatto); 71 o se emesso prima che sia scaduto il termine assegnato per presentare opposizione oppure quando il giudice l’abbia ignorata/dichiarata inammissibile fuori dai casi previsti; o se sono stati violati i canoni relativi al contraddittorio camerale. Lo strumento di doglianza per l’indagato e la persona offesa è il RECLAMO AL TRIBUNALE MONOCRATICO, da farsi entro 15 giorni dalla conoscenza del provvedimento. Il tribunale procede dando avviso alle parti dell’udienza fissata almeno 10 giorni prima, per consentire loro di presentare memorie; poi decide con ordinanza non impugnabile: - Se reputa il reclamo fondato, annulla il provvedimento impugnato e ordina la restituzione degli atti al giudice che lo ha emesso; - Altrimenti dichiara inammissibile il reclamo o conferma la decisione impugnata, in entrambi i casi condannando chi lo ha proposto al pagamento delle spese. Riapertura delle indagini L’archiviazione è un atto per sua natura instabile, emesso rebus sic stantibus, quindi suscettibile di rimozione se lo stato degli elementi che lo hanno giustificato muti successivamente possibilità di riapertura delle indagini su una notizia di reato già archiviata se si aprono nuove prospettive di inchiesta. Per la riapertura del procedimento, è necessario l’intervento del g.i.p. tramite richiesta di riapertura delle indagini dopo archiviazione. Serve che siano emersi nuovi elementi di prova a carico della persona oppure, cosa più probabile, che ci sia un’esigenza di fare nuove investigazioni quando sia ragionevolmente prevedibile l’individuazione di nuove fonti di prova. Art.414. Riapertura delle indagini: “1. Dopo il provvedimento di archiviazione emesso a norma degli articoli precedenti, il giudice autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni. La richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale. 2. Quando è autorizzata la riapertura delle indagini, il pubblico ministero procede a nuova iscrizione a norma dell'articolo 335. 2-bis. Gli atti di indagine compiuti in assenza di un provvedimento di riapertura del giudice sono inutilizzabili”. Le modifiche introdotte dalla riforma implicano che la riapertura non può essere giustificata dalla prospettazione di un generico nuovo piano investigativo: è necessaria l’indicazione specifica degli elementi che si potrebbero acquisire grazie alle nuove indagini. Se il giudice autorizza la riapertura, il p.m. procede ad una nuova iscrizione della notizia di reato. 72 18. Avviso di conclusione delle indagini ed esercizio dell’azione penale 18.1 Avviso di conclusione delle indagini Manuale: pp. 447-449; Fonti: art. 415 bis c.p.p. Quando si procede all’azione penale il procedimento si trasforma in processo e l’indagato diventa imputato. L’avviso di conclusione delle indagini è un atto disciplinato dall’art.415 bis. Va mandato prima della scadenza del termine massimo per concludere le indagini (in caso di proroga del termine per concludere le indagini, prima della scadenza del termine prorogato). Deve essere inviato dal p.m. all’indagato e al suo difensore (e alla persona offesa solo in certi casi predeterminati) nel rito ordinario e nel procedimento dinnanzi al tribunale monocratico (non è previsto in caso di procedimento dinnanzi al giudice di pace o di riti speciali, che richiedono maggiore agilità). La funzione di questo avviso è permettere all’indagato di avere tutte le informazioni necessarie per potersi difendere al meglio. L’intera indagine potrebbe legittimamente svolgersi all’insaputa dell’indagato quindi in certi casi è il modo in cui l’imputato viene a conoscenza del rito a suo carico. Deve indicare data e luogo del fatto e le norme di legge violate e deve descrivere il fatto. Avverte l’indagato che tutta la documentazione delle indagini è depositata presso la segreteria del p.m. e che indagato e difensore possono prenderne visione ed estrarne una copia cd. discovery: gli atti d’indagine, fino a quel momento segreti, diventano accessibili. Se poi sono state fatte intercettazioni, la difesa è avvisata delle possibilità di prendervi visione. Una volta ricevuto l’avviso, la difesa può avere un atteggiamento passivo (studiare le carte, predisporre una strategia difensiva, valutare i riti speciali), oppure può prendere delle iniziative per convincere il p.m. ad optare per l’archiviazione (ad esempio può svolgere indagini difensive e produrre i relativi documenti, produrre prove precostituite, può rilasciare dichiarazioni o chiedere si essere sottoposto ad interrogatorio…). Nel caso in cui la difesa faccia delle richieste al p.m. (ad esempio chiedergli di fare certi atti d’indagine che la difesa stessa non potrebbe fare), questo non è tenuto ad eseguirle, salvo il caso dell’interrogatorio che è una richiesta vincolante. Se il p.m. decide di aderire alle richieste dalla difesa, deve svolgere le investigazioni domandategli entro 30 giorni (salvo unica proroga di massimo 60 giorni concessa dal g.i.p.). 18.2 Rimedi alla stasi del procedimento Il p.m., scaduti i termini per indagare, troppo spesso non fa nulla, congela il procedimento, anche a lungo (non emette 415 bis; non esercita azione penale; non chiede archiviazione). Un atteggiamento che perlopiù non è dovuto a negligenze del p.m., ma ad un oggettivo carico di lavoro che lo costringe ad occuparsi di questioni più urgenti prima di poter determinarsi in ordine all’esercizio o no dell’azione penale in rapporto al caso in questione. Come rimediare? Già prima della riforma, per stimolare il p.m. a prendere le sue decisioni in merito all’esercizio o no dell’azione penale, era stato introdotto il c.d. “termine di riflessione”, ora previsto dall’art.407 bis c.p.p.: “2. Il pubblico ministero esercita l’azione penale o richiede l’archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all’articolo 405, comma 2, o, se ha disposto la notifica dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari, entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis, comma 3 e 4. Il termine è di nove mesi nei casi di cui all’articolo 407, comma 2”. Il termine di riflessione di 3 mesi, dunque, decorre dal momento della scadenza del termine massimo per indagare (quindi anche quando non sia stato proprio inviato l’avviso di conclusione delle indagini), oppure, se l’avviso è stato inviato, dalla scadenza degli eventuali termini aggiuntivi assicurati dall’art.415 bis: ad es., quando il p.m., a seguito della richiesta dell’indagato, svolge ulteriori indagini ex art. 415 bis commi 3 e 4 c.p.p. 75 Con l’esercizio dell’azione penale c’è l’attribuzione di un fatto ad una persona, che diventa imputato. Art.60 assunzione della qualità di imputato: “1. Assume la qualità di imputato la persona alla quale è attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell'articolo 447 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo. 2. La qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo, sino a che non sia più soggetta a impugnazione la sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. 3. La qualità di imputato si riassume in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo oppure la riapertura dello stesso a seguito della rescissione del giudicato o di accoglimento della richiesta prevista dall’articolo 628-bis”. Dopo il giudicato, si può riacquisire la qualità di imputato? In genere no, ma ci sono situazioni eccezionali in cui si può intervenire sul giudicato. Sono in genere casi pro reo a favore del condannato cd. impugnazioni straordinarie. La più importante è la revisione del processo. La sentenza di non luogo a procedere è la decisione, al termine di udienza preliminare o predibattimentale, con cui si accerta che l’azione penale non doveva essere esercitata perché non era possibile fare la prognosi di probabilità della condanna. Esiste anche la sentenza di non doversi procedere: accerta la mancanza di una condizione di procedibilità (ad es. manca la querela). È essenziale che la richiesta di rinvio a giudizio e la citazione diretta individuino un imputato (le sue generalità) ed un’imputazione/accusa, che– mentre prima era provvisoria – a questo punto diventa definitiva e deve essere formulata in modo chiaro e preciso. In questi atti si avvisa la persona della possibilità di prendere visione del fascicolo (discovery). Se mancano imputato e/o imputazione c’è nullità dell’atto. Può capitare che l’imputazione ci sia, ma sia formulata in modo molto generico ed impreciso, non si capisce bene cosa si contesta alla persona in questi casi la riforma introduce un meccanismo di controllo dell’imputazione da parte del g.u.p. Richiesta di rinvio a giudizio art.416: “1. La richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice. La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'avviso previsto dall'articolo 415-bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'articolo 415-bis, comma 3. 2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove [co.2 bis abrogato dalla riforma]”. Quindi la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso di conclusione delle indagini e se è priva, qualora l’imputato ne abbia fatto richiesta, dell’invito a presentarsi all’interrogatorio. Il co.2 è la discovery. art.417: “La richiesta di rinvio a giudizio contiene: a) le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l’identificazione; b) b) l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge; c) l’indicazione delle fonti di prova acquisite; d) la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; e) e) la data e la sottoscrizione.” Atto di esercizio dell’azione penale: - Discovery - Identificazione dell’imputato - Identificazione dell’imputazione 76 La richiesta di rinvio a giudizio è rivolta al g.u.p., a cui si chiede una verifica sulla consistenza dell’accusa e non superfluità del dibattimento. Il p.m. deve descrivere puntualmente i termini dell’addebito, cristallizzando l’oggetto del processo, che costituisce sia il tema della verifica giurisdizionale che si chiede di svolgere in dibattimento sia l’insieme delle questioni rispetto a cui l’imputato è chiamato a difendersi. La richiesta reca la domanda rivolta al giudice, il fatto che ne è oggetto e le indicazioni su ciò che la giustifica. È datata e sottoscritta dal p.m., contiene le generalità dell’imputato e della persona offesa e la formulazione dell’imputazione (enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge). A supporto della propria richiesta il p.m. non deve redigere una motivazione ma limitarsi all’indicazione delle fonti di prova acquisite. Infine, a chiudere la richiesta, c’è la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio (principio della domanda). La richiesta va depositata nella cancelleria del giudice, insieme al fascicolo di indagine. La trasmissione degli atti si collega alla facoltà della difesa di prenderne visione prima dell’udienza. Citazione diretta L’atto analogo alla richiesta di rinvio a giudizio nel caso dei reati meno gravi è la citazione diretta. L’art.550 contiene i casi di citazione diretta, è un elenco di reati (non sono da sapere ai fini dell’esame). L’articolo.552 disciplina il decreto di citazione diretta e ne dispone il contenuto: deve contenere le generalità dell’imputato, le generalità del fatto, l’indicazione 77 19. Udienza preliminare e predibattimentale 19.1 Funzioni Manuale: pp. 501-502 (fino a “nel corso delle indagini, il patteggiamento”) Queste udienze, che segnano il passaggio da procedimento a processo vero e proprio, hanno il compito essenziale di svolgere il vaglio preliminare dell’accusa. Questo, oltre a fare da filtro all’alto numero di dibattimenti per ragioni di efficienza, ha anche lo scopo di tutelare l’imputato innocente, evitandogli la sofferenza connessa allo svolgimento del dibattimento. La legge prevede la possibilità che l’udienza preliminare sia oggetto di rinuncia da parte dell’imputato stesso, che può chiedere il giudizio immediato (art.419 co.5). l’udienza predibattimentale invece non è oggetto di rinuncia. L’udienza preliminare è un’udienza in camera di consiglio, con la presenza necessaria dal p.m. e del difensore dell’imputato. Sia in fase di udienza preliminare che in udienza predibattimentale si possono scegliere i riti alternativi (patteggiamento, abbreviato, messa alla prova…). 19.2 Schema generale delle due udienze Entrambe le udienze si svolgono con il contraddittorio argomentativo orale necessario. Hanno una struttura in parte simile e in parte diversa, perché con la udienza predibattimentale si procede di fronte allo stesso giudice di tribunale. La legge, inoltre, vuole che essa sia più snella. In astratto, le attività che potrebbero esserci sono le seguenti (poi vediamo quali si fanno o meno): - verifica regolare costituzione parti - questioni preliminari (es. competenza del giudice, permanenza della parte civile, nullità, contenuto del fascicolo dibattimento) - controllo della precisione dell’imputazione se è imprecisa, il giudice chiede al p.m. di rifarla - discussione orale - eventuale integrazione materiale conoscitivo a disposizione del giudice se il giudice trova delle incompletezze nelle indagini può, solo in udienza preliminare, ordinare di completarle - modifica dell’imputazione l’imputazione è chiara e precisa, però sia dal fascicolo che dall’eventuale integrazione emerge che il fatto è diverso da come è descritto nell’imputazione. In questo caso quindi bisogna modificare l’imputazione e dare il tempo alla difesa di cambiare la sua strategia - decisione sul vaglio preliminare dell’accusa 19. 3 Udienza preliminare (artt.420 ss) Verifica costituzione parti: rinvio, ne parleremo in rapporto al dibattimento (la disciplina è la stessa) Questioni preliminari: non si fanno qui, si porranno in dibattimento, di fronte al giudice del dibattimento. Controllo sulla precisione dell’imputazione: introdotto dalla riforma nell’art.421: “1. Conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, se rileva una violazione dell’articolo 417, comma 1, lett. b), il giudice, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l’imputazione. Qualora il p.m. non provveda, il giudice, sentite le parti, dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al p.m.”. 80 REVOCA (artt.434 ss. e 554 quinquies): è un’impugnazione straordinaria, esperibile contro una sentenza di non luogo a procedere non più impugnabile in cassazione (perché sono decorsi i termini per il ricorso o perché è stato rigettato). Il p.m. deve chiedere la revoca al g.i.p. senza limitazioni di tempo per la rimozione della sentenza qualora sopravvengano nuovi elementi che impongono di ripensare il giudizio di insostenibilità dell’accusa in dibattimento. art.434: “se dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio, il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, dispone la revoca della sentenza”. La legge introduce la distinzione tra elementi di prova già acquisiti o ancora da acquisire: - Se è in possesso di elementi già acquisiti, il p.m. deve domandare anche il rinvio a giudizio. - Quando gli elementi sono ancora da acquisire, alla richiesta di revoca deve unirsi una domanda di riapertura delle indagini, dando un’indicazione dell’elemento che deve essere ancora acquisito (non può limitarsi ad esternare genericamente l’esigenza di riaprire le indagini). Secondo il prof, la revoca finalizzata alla riapertura delle indagini (elementi ancora da acquisire) assomiglia alla riapertura delle indagini che si può chiedere a seguito dell’archiviazione ex art. 414 c.p.p. La revoca del non luogo a procedere emesso in seguito all’udienza predibattimentale, invece, sembra secondo il prof potersi chiedere solo quando gli elementi sono già stati acquisiti (non, invece, quando siano ancora da acquisire): v. art. 554 quinquies co.1. Se la revoca è disposta, il prosciolto riacquista la qualità di indagato o imputato. Se il p.m. aveva chiesto il rinvio a giudizio, deve essere fissata una nuova udienza preliminare di fronte ad un altro g.i.p. del medesimo ufficio, al termine della quale si dovrà scegliere tra rinvio a giudizio e non luogo a procedere; se il p.m. si era limitato a domandare la riapertura delle indagini, con la revoca il giudice deve fissare un termine non superiore a sei mesi per il loro svolgimento. Alla fine di questo periodo si riaprirà per il p.m. la scelta tra rinvio a giudizio e richiesta di archiviazione. Rinvio a giudizio (artt. 429 e 554 ter c.p.p.) Manuale: pp. 516-517 A seguito dell’udienza preliminare, ci sarà DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO (art.429), che ribadisce l’imputazione, individua l’imputato e la persona offesa, indica il giorno dell’udienza e il giudice competente…è un atto in tutto e per tutto simile alla richiesta di rinvio a giudizio. Si noti che il rinvio a giudizio non è motivato: il giudice si limita ed elencare sommariamente le fonti di prova. La ragione è che non si deve pregiudicare il giudice del dibattimento, preservare la sua verginità conoscitiva. L’assenza di motivazione, però, in caso di grande carico di lavoro per il giudice, potrebbe spingere quest’ultimo a disporre il rinvio a giudizio (diversamente, qualora pronunciasse un non luogo a procedere, dovrebbe motivare). Eventuali indagini integrative (art. 430 c.p.p.; manuale p. 517-518.) Dopo il rinvio a giudizio, c’è un’ulteriore finestra per le indagini. Si tratta delle cd. INDAGINI INTEGRATIVE (art.430), la cui finestra temporale è ridotta e va dalla pronuncia del rinvio a giudizio all’udienza dibattimentale. Una volta compiute, vanno immediatamente depositate presso la segreteria del p.m. affinché la controparte possa prenderne visione. Ci sono però alcuni limiti: - Non possono consistere in atti tali da interferire con i diritti fondamentali (es. interrogatori, ispezioni, intercettazioni, atti che hanno bisogno dell’autorizzazione del g.i.p.); - Non potrebbero interferire con l’istruzione dibattimentale, conducendo alla duplicazione di attività conoscitive da compiere in giudizio sulla base di standard più elevati. Non possono costituire il mezzo per assumere informazioni da dichiaranti che dovranno essere esaminati in dibattimento, a pena di 81 inutilizzabilità. Lo scopo è evitare che gli organi inquirenti o il difensore influenzino il contenuto della deposizione in giudizio. 20. Azione civile nel processo penale 20.1 Azioni separate vs. costituzione di parte civile nel processo penale (Manuale: pp. 645-646, 203-204; Fonti: art. 185) In reato, in generale, produce un danno sul fronte penalistico, ma potenzialmente anche su quello civilistico: si può arrivare ad un danno, patrimoniale o non, risarcibile ai sensi delle leggi civili. Spesso persona offesa e danneggiato coincidono, ma capitano situazioni in cui i soggetti sono distinti (ad esempio nel caso dell’omicidio la persona offesa è la vittima, mentre i danneggiati civili sono i prossimi congiunti). Il danneggiato è portatore di un interesse che gli consente di esercitare un’azione civile. La scelta della sede processuale, civile o penale, è rimessa alla discrezionalità del legislatore. La parte civile non è necessaria ma eventuale la sua presenza dipende dall’opzione libera ed insindacabile del titolare della posizione giuridica soggettiva di rivolgersi al giudice penale e non civile per trovare soddisfazione. Se l’azione civile si esercita separata davanti al giudice civile, non ci sono problemi, va avanti autonomamente. La legge però prevede anche la possibilità di esercitare l’azione civile dentro il processo penale tramite un atto chiamato COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE. La persona offesa e danneggiata ha in questo caso la possibilità di diventare parte nel processo penale, con tutti i rispettivi poteri (ad esempio può portare prove all’interno del processo penale). Tradizionalmente il codice ha sempre favoreggiato per la costituzione di parte civile all’interno del processo penale, perché procedere con due processi autonomi comporta il rischio di avere due processi con esiti diversi (ad esempio una assoluzione nel processo civile e una condanna nel processo penale). Il limite di questo istituto è che appesantisce il processo penale, duplicandone l’oggetto. 20.2 Favor separationis (Manuale pp. 647-648; Fonti: artt. 75, 651, 652) Il nostro sistema ad oggi spinge il danneggiato ad esercitare separatamente l’azione civile. Per stimolare questa soluzione, si è previsto che se il processo penale finisce prima di quello civile, se la decisione penale è una decisione di condanna o di proscioglimento per particolare tenuità del fatto*, questa fa stato anche nel giudizio civile, quindi il giudice civile tendenzialmente deve adeguarsi e condannare al risarcimento civile. Se invece il processo penale si conclude con una decisione di assoluzione, il proscioglimento non fa stato. * contiene comunque un accertamento degli elementi costitutivi del reato e quindi è a favore del danneggiato. 20.3 Cambio di sede processuale (Manuale: p. 648-650; Fonti: artt. 75, 651; Attenzione: la frase tra parentesi al fondo di p. 648 (“ossia una volta conclusa…”) è da considerare superata alla luce della riforma) Il danneggiato può mutare la propria strategia processuale esercitando l’azione civile prima in una sede e decidendo poi di trasferirla nell’altra. Trasferimento dal civile al penale (art.75 co.1 e 2) Si può fare prima che la sentenza di merito civile venga emessa. Inoltre ulteriore condizione è che deve essere possibile fare la costituzione all’interno del processo penale, quindi il trasferimento deve avvenire entro la verifica della costituzione delle parti. Si impedisce al danneggiato di costituirsi a dibattimento già iniziato, dopo aver visto un favorevole andamento dell’istruzione probatoria. 82 Quando le condizioni sono rispettate e il trasferimento consentito, la conseguenza è la totale uscita del danneggiato dal processo civile con la rinuncia agli atti di quel giudizio (in particolare alle prove già raccolte). Trasferimento dal penale al civile (art.75 co.3) È molto disincentivato. In tal caso il processo civile viene sospeso e si aspetta la decisione definitiva nel processo penale, che farà stato in ogni caso, anche se c’è assoluzione. Costrizione/induzione ad uscire dal processo penale Può succedere che nel processo penale succeda qualcosa che induce comprensibilmente la parte civile ad uscire dal processo penale (si pensi al caso in cui la parte civile viene esclusa, oppure il processo penale viene sospeso, oppure in caso di rito abbreviato o di patteggiamento). In questi casi il cambio di sede è giustificato e vale la regola generale: se il penale finisce prima, fa stato solo la condanna o il proscioglimento per tenuità del fatto. processo penale processo civile sentenza di merito anche non definitiva Trasferimento dal civile al penale (75 co. 1 e 2) verifica cost. parti in ud. prel. o predib. processo civile processo penale Trasferimento dal penale al civile (75 co. 3) sospensione sentenza definitiva che fa stato nel processo civile processo civile processo penale Costrizione od induzione ad uscire dal processo penale esclusione della parte civile sospensione del processo penale abbreviato patteggiamento efficacia vincolante di eventuale condanna in sede penale 85 tal caso si fa la cd. LETTURA (si legge l’atto d’indagine e lo si inserisce nel fascicolo del dibattimento e diventa prova a tutti gli effetti). Il fascicolo per il dibattimento viene formato ai sensi dell’art.431, che dispone che il fascicolo venga formato nel contraddittorio tra le parti e stabilisce i criteri selettivi in virtù dei quali determinati atti sono acclusi al fascicolo per il dibattimento. CASI DI INCLUSIONE DELL’ATTO NEL FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO (art.431) 1) ATTI RELATIVI A PROCEDIBILITA’: si pensi al caso in cui un reato sia perseguibile solo con querela in caso questa manchi, dovrebbe esserci sentenza di non doversi procedere. La querela, oltre alla volontà di esercitare l’azione penale, spesso contiene anche la descrizione del fatto resa dalla vittima. È una ricostruzione del fatto non vagliata in contraddittorio, eppure viene verbalizzata, quindi il giudice del dibattimento deve fare attenzione a non farsi influenzare. 2) ATTI RELATIVI ALL’ESERCIZIO DELL’AZIONE CIVILE: ad esempio la costituzione di parte civile. 3) ATTI PER VALUTARE LA PERSONALITA’ DELL’IMPUTATO: precedenti penali, casellario giudiziario (al fine di quantificare la pena in caso di colpevolezza). 4) CORPO DEL REATO E COSE PERTINENTI AL REATO: specialmente in caso di sequestro 5) ATTI ORIGINARIAMENTE NON RIPETIBILI: atti compiuti dalla p.g., dal p.m., dal difensore (ad es. i rilievi urgenti effettuati dalla polizia sulla scena del crimine), a contenuto probatorio e formati nelle fasi pregresse, di natura irripetibile. La nozione legislativa di irripetibilità ha per referente l’art.111, che enuclea tra le deroghe tassative alla formazione della prova in contraddittorio la concreta impossibilità derivante esclusivamente agli ostacoli di natura oggettiva. La distinzione è tra irripetibilità originaria e sopravvenuta. INDIFFERIBILITA’: non sono ripetibili gli atti il cui oggetto si sappia in partenza destinato a rapide ed inevitabili modificazioni, tali da alterarne la sostanza sino a renderlo inidoneo a fornire responsi probatori attendibili. L’operazione va espletata con urgenza, secondo tempi incompatibili con l’attesa del dibattimento in base a massime di comune esperienza o alla luce di saperi specialistici. Es. gli accertamenti tecnici irripetibili del p.m. In ambito processuale, non sono ripetibili le attività di osservazione, costatazione, descrizione eseguite dagli organi investigativi in un dato momento e aventi ad oggetto porzioni di realtà destinate a cambiare con il tempo. Il problema si è posto spesso per le relazioni di servizio della p.g., documentazione di quanto appreso nel corso degli appostamenti, pedinamenti e accessi ai luoghi. La Cassazione pretende che quanto osservato durante il pedinamento sia rievocato tramite la deposizione dibattimentale del poliziotto. Il concetto di irripetibilità è giuridico: al di fuori delle ipotesi strettamente previste dalla legge non è consentito qualificare un atto come irripetibile per l’impossibilità o la difficoltà di riprodurne in concreto gli esiti probatori nel contesto garantito del giudizio. Se esiste un mezzo di prova omologo all’atto di indagine, la regola è che il primo vada assunto in giudizio e il secondo resti fuori dal fascicolo dibattimentale a prescindere dall’attendibilità del risultato. 6) ATTI ACQUISITI ALL’ESTERO: ad esempio c’è un testimone che si trova in un altro stato (cd. rogatoria internazionale). Devono essere gli organi stranieri a sentire il testimone, il cui contributo viene verbalizzato ed inserito nel fascicolo. Il problema è che non si può pretendere dagli ordinamenti stranieri un livello di tutela del contraddittorio elevato quanto il nostro. 86 Se si tratta di atti non ripetibili compiuti in territorio estero è prevista l’allegazione dei relativi verbali al fascicolo del giudice. Invece l’immediata inserzione nel fascicolo di materiali ripetibili tra le prove precostituite utilizzabili in giudizio è ammessa a due condizioni: il difensore di chi è imputato nel processo celebrato in Italia deve essere stato messo nella condizione sia di assistere alla formazione dell’atto, da parte degli organi dello Stato richiesto di aiuto, e di esercitare le facoltà consentitegli dalla nostra legislazione. 7) ATTI ASSUNTI NELL’INCIDENTE PROBATORIO: la presenza materiale tra gli atti del fascicolo dibattimentale non è sufficiente ad assicurare l’utilizzabilità di queste prove per il perfezionamento dell’effetto occorre la lettura ex art.511. Se la prova può ancora essere assunta in dibattimento (es. il testimone è sopravvissuto alla grave malattia), bisogna risolvere il rapporto tra il verbale dell’incidente probatorio inserito nel fascicolo e l’eventuale deposizione di quella stessa fonte nel contesto del giudizio. La lettura delle pregresse dichiarazioni è disposta solo dopo l’esame dibattimentale della persona che ne è stata autrice. Il 431 vale anche per il tribunale monocratico (dove c’è la citazione diretta)? Nel contenuto sì. Ma quanto a formazione del fascicolo, v. art 553: è lo stesso p.m. che forma fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice. In base alla riforma Cartabia, trasmette al giudice del tribunale anche il fascicolo indagini, per consentire il vaglio in udienza predibattimentale. Art.553 integrato da riforma: trasmissione degli atti al giudice dell’udienza di comparizione in dibattimento predibattimentale: “Il pubblico ministero forma il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice, unitamente al fascicolo del pubblico ministero e al decreto di citazione immediatamente dopo la notificazione”. 21.2 Patteggiamento sulla prova (Manuale p. 530-532; Fonti: art. 431, 493 comma 3) Sulla divisione legislativa tra i fascicoli può incidere la volontà delle parti. Dal momento del confronto preordinato alla nascita del fascicolo dibattimentale, le parti hanno la facoltà di accordarsi in vista dell’acquisizione al medesimo di singoli atti il cui ingresso tra quelle carte sarebbe altrimenti vietato 431 comma 2: c.d patteggiamento sulla prova. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m., nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva che quindi assumono valore probatorio. Il giudice del dibattimento in questo caso utilizzerà quindi qualcosa che non è stato formato in contraddittorio…è incostituzionale questo? Il contraddittorio probatorio è previsto nell’art.111 Cost, che prevede anche le eccezioni al contraddittorio. Il patteggiamento rientra tra le eccezioni per consenso. Indagini, vaglio sull’esercizio dell’azione (udienza preliminare o predibattimentale), rinvio a giudizio Dibattiment Fascicolo delle indagini (che comprende anche le indagini difensive) Fascicolo per il dibattimento (per ora, atti originariamente non ripetibili, o assunti con incidente probatorio, e altri atti indicati dal 431 c.p.p.) Fascicolo del pubblico ministero (o delle parti) atti assunti oralmente nel contraddittorio dibattimentale e verbalizzati lettura per irripetibilità sopravvenuta non prevedibile Fascicolo per il dibattimento 87 Per evitare “baratti”, il giudice dibattimentale può intervenire d’ufficio quando dubiti dell’affidabilità di quanto emerge da un atto non formatosi nel contraddittorio potere di provocare l’assunzione di fronte a sé della prova, da aggiungersi all’omologo atto proveniente dallo stadio anteriore del processo. Il consenso prestato non comporta rinuncia della parte ad esercitare il proprio diritto al contraddittorio. Il difensore dell’imputato è autonomamente legittimato a manifestare la volontà destinata ad impegnare il proprio assistito, anche senza apposita procura speciale e pure in caso di assenza dal giudizio del titolare diretto. Nel caso di processi che schierano più imputati, può succedere che il contenuto dell’atto probatorio da acquisire mediante accordo non coinvolga tutti. La tesi del consenso unanime finirebbe per concedere un potere di veto a chi non abbia ragione di temere di essere toccato dagli effetti dell’atto acquisito. Dovrebbero allora essere legittimate a prestare il consenso solo le parti interessate, quelle nei cui confronti la prova ha rilevanza ai fini della decisione. Ulteriore possibilità con le richieste di prova ex 493. Secondo un indirizzo nel corso di tutto il dibattimento. Ratio: se le parti contrapposte acconsentono, vuol dire che risultato è ugualmente significativo dal punto di vista epistemico. In realtà possono esserci finalità egoistiche (es. timore che testimone di accusa, con contraddittorio, sia esaminato in modo più approfondito e dica cosa ancora più pesanti. Paura che teste di difesa non regga. Contrattazioni nascoste, in cambio p.m. o giudice fanno capire che la pena sarà più bassa). In ogni caso la parte che acconsente può comunque chiedere l’acquisizione dibattimentale (in modo che giudice possa avere entrambe le versioni). C’è anche il potere di ufficio del giudice ex 507 che ritenga indispensabile sentire fonte. Il consenso deve venire non da tutte le parti, sennò ci sarebbe potere di veto, ma solo dalle parti interessate, nei cui confronti prova ha rilevanza ai fini della decisione come vedremo. Il patteggiamento sulla prova possibile anche in rapporto a contestazioni. 90 Il giudice competente per i reati più gravi elencati dall’art.5 è la corte d’assise. La competenza della Corte d’assise è individuata attraverso entrambi i criteri: risulta sia l’indicazione di precisi limiti edittali (ergastolo e reclusione non inferiore a 24 anni) sia l’indicazione di specifici reati (omicidio volontario, omicidio del consenziente, omicidio preterintenzionale, delitto di strage, ecc). Sotto la corte d’assise si trova il tribunale collegiale, poi il tribunale monocratico ed infine il giudice di pace. Sono di competenza del Tribunale ad esempio i reati tributari, l’omicidio colposo, i delitti contro la p.a., l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. Al Tribunale collegiale sono attribuiti i delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni; gli altri al Tribunale monocratico. Qui non si parla di competenza ma di attribuzione: le disposizioni sull’attribuzione di un reato al giudice collegiale o monocratico non si considerano attinenti alla capacità del giudice né al numero di giudici necessario per costituire l’organo per mitigare le conseguenze invalidanti dell’eventuale erronea attribuzione del processo, che deve essere rilevata o eccepita prima delle conclusioni dell’udienza preliminare (o prima della dichiarazione di apertura del dibattimento se questa manca). Sono di competenza del Giudice di pace i reati come percosse, ingiuria, diffamazione, minaccia. L’incompetenza per materia è la forma di incompetenza più grave che esista, comporta l’inefficacia della sentenza ed è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Nel caso però di tribunale monocratico-collegiale viene considerato difetto solamente di attribuzione, non di competenza, quindi non è rilevabile in ogni stato e grado. TERRITORIO: presuppone una distribuzione orizzontale, sul suolo nazionale, di una molteplicità di Corti d’assise, Tribunali e Giudici di pace e serve ad individuare la competenza tra i giudici dello stesso rango, ancorando la competenza ad uno specifico territorio. Le regole generali si trovano all’art.8 cpp. La regola principale è quella secondo cui è competente il giudice del luogo in cui è stato commesso il reato. La commissione è intesa come il reato in cui si integra in tutte le sue componenti, cioè la cd. consumazione del reato quindi è competente il giudice del luogo in cui il reato è stato consumato. Se dal fatto è derivata la morte di una persona si guarda al luogo in cui è stata commessa l’azione. Ad es. io preparo un pacco bomba a Padova e lo spedisco a Milano, esplode e la persona che lo apre muore è competente la corte d’assise di Padova. La ratio della norma è il fatto che il luogo dell’azione è, in linea di massima, il luogo dove ci sono le prove, quindi per esigenze logistiche è più comodo che le indagini avvengano lì. Nel caso di reato permanente (reato la cui condotta dura nel tempo, ad es. il sequestro di persona) si guarda al luogo di inizio della consumazione (es. dove la persona viene rapita). In caso di tentativo di reato si guarda al luogo di compimento dell’ultimo atto che integra tentativo. Caso particolare del MAGISTRATO IMPUTATO (art.11): se un magistrato è indagato e il giudice competente sarebbe un giudice dello stesso distretto di corte d’appello in cui lui svolge le sue funzioni, allora è competente un giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello predeterminato dalla legge (ad es. nel distretto di Venezia, la competenza passa a Trento). 91 COMPETENZA PER CONNESSIONE: opera nel caso in cui ci siano reati diversi, ma con elementi di collegamento. Ci sono varie ipotesi di connessione e sono disciplinate dall’art.12. 1) Reato commesso da più persone (P1 e P2) connessione oggettiva (es. concorso di persone) 2) Una persona commette reati distinti (R1 e R) connessione soggettiva 3) Reato commesso per eseguire o occultare un altro reato connessione teleologica (es. ricettazione dopo furto) Si potrebbe avere a che fare con reati distinti di competenza di due giudici diversi, sia per materia che per territorio si avrebbero processo di fronte a giudici distinti. In questi casi quindi ci sono delle deroghe: - Se ci sono giudici diversi competenti per materia, è competente il giudice superiore - Se ci sono giudici competenti per territorio, è competente il giudice per il reato più grave e, in caso di pari gravita, il reato commesso per primo. Il giudice competente per connessione è inteso come organo giudicante, come ufficio. Ad es. P connette due reati connessi, uno di competenza della corte d’assise, l’altro del tribunale collegiale, entrambi connessi nello stesso luogo. La competenza va alla corte d’assise, intesa come organo, perché fisicamente i giudici sono diversi perché i procedimenti comunque, seppur connessi, sono distinti. I processi, per essere giudicati anche dallo stesso giudice fisicamente e non solo dallo stesso ufficio, devono essere sottoposti a RIUNIONE. Dal punto di vista dell’efficienza, non è detto che la riunione sia la soluzione migliore (può capitare che comporti perdite di tempo complicando troppo l’oggetto del processo). Tendenzialmente la riunione pregiudica la difesa, perché avendo processi distinti si può fare una difesa più mirata, quindi il nostro codice prevede una sorta di favore per la separazione: la regola generale è la separazione, la riunione può avvenire solo a determinate condizioni. Questa non può cagionare un ritardo nella definizione dei processi e questi devono essere pendenti nello stesso stato e grado di fronte al medesimo organi giudicante. Uno dei presupposti della riunione è quindi la connessione. COLLEGAMENTO INVESTIGATIVO (art.371): è una forma di collegamento meno solida delle altre. Sono due reati in collegamento occasionale tra loro. Non c’è una variazione di competenza per connessione (perché non è una connessione), ma al processo può essere utile per ragioni di efficienza disporre la riunione. Corte di assise (art. 5) Tribunale in composizione collegiale (artt. 6 e 33 bis) Tribunale in composizione monocratica (artt. 6 e 33 ter) Giudice di pace co m p et en za p e r m at e ri a competenza per territorio luogo di consumazione del reato luogo dell’azione (morte) luogo di inizio della consumazione di un reato permanente luogo di compimento dell’ultimo atto di un tentativo 92 COMPETENZA FUNZIONALE: in alcuni casi la competenza è attribuita in rapporto alla specifica funzione che viene esercitata. Ad es. i giudici di tribunali possono avere la competenza per giudicare i riesami delle misure cautelari (la competenza è specifica per quella funzione lì). 22.3 Incompatibilità, astensione, ricusazione, rimessione (Manuale: pp. 179-186; Fonti: artt. 34-37, 40, 45-49 c.p.p.) Esistono degli istituti che servono a salvaguardare l’imparzialità. INCOMPATIBILITA’ (art.34) C’è anzitutto una prima categoria di situazioni in cui il giudice svolge i suoi compiti istituzionali, e nel farlo adotta una decisione sulla responsabilità della persona, e non può più svolgere ulteriori funzioni all’interno del processo. Ad es. un certo giudice inteso come persona fisica fa parte del tribunale di Padova e giudica un certo processo. Dopodiché viene trasferito in corte d’appello a Venezia e allo stesso tempo il processo viene appellato. Questo stesso giudice non potrà far parte del collegio della corte d’appello di Venezia. L’istituto quindi impedisce al giudice di replicare la sua funzione. La ratio è evitare la tendenza naturale a ripetere le stesse valutazioni sul medesimo oggetto. Le incompatibilità operano tra gradi distinti (primo grado – appello – cassazione), tra fasi distinte (g.i.p. - g.u.p. - dibattimento), tra g.i.p. e g.u.p… Negli anni sono state introdotte altre incompatibilità, ad esempio il giudice che ha disposto misura cautelare non può essere il giudice del dibattimento, oppure il g.i.p. che dispone imputazione coatta non può essere giudice del dibattimento… altri esempi nello schema sotto C’è un caso di deroga all’incompatibilità tra g.i.p e giudice del dibattimento quando il g.i.p. assume una prova in incidente probatorio, potrà essere giudice del dibattimento. Elementi di collegamento fra reati Variazione della competenza Riunione dei processi di fronte allo stesso giudice persona fisica o collegio (art. 17) R P1 P2 P R1 R1 R1 commesso per eseguire o occultare R2 connessione oggettiva art. 12 lett. a connessione soggettiva art. 12 lett. b connessione teleologica art. 12 lett. c collegamento occasionale o probatorio fra R1 e R2 collegamento investigativo art. 371 co. 2 lett. b competenza per materia: giudice superiore (art. 15) competenza per territorio: reato più grave, o primo reato (art. 16) connessione oggettiva connessione soggettiva connessione teleologica collegamento investigativo salvo che la riunione determini un ritardo nella definizione dei processi processi pendenti nello stesso stato e grado di fronte al medesimo organo giudicante 95 23. Atti preliminari al dibattimento Il giudizio rappresenta la fase culminante del processo ed è suddiviso in tre sottofasi o stati. Nucleo centrale del giudizio è il dibattimento, sede elettiva di formazione della prova. Le altre due tappe costituiscono la preparazione e l’epilogo della fase principale: 1) Gli atti preliminari al dibattimento o predibattimento il dibattimento ancora non inizia, non c’è un’udienza. Vengono discusse le questioni preliminari, tra le quali rientra ad es. la competenza per territorio. 2) Gli atti successivi al dibattimento o postdibattimento. In vista dello svolgimento dell’udienza dibattimentale bisogna provvedere per tempo ad alcuni adempimenti connessi all’esercizio del diritto alla prova: è questa la finalità essenziale del predibattimento, stadio d’attesa in cui le parti hanno l’onere di depositare le liste con l’indicazione delle fonti di prova e l’eventuale richiesta di autorizzazione a citare le persone da sottoporre ad esame nel corso del dibattimento. 23.1 Prove urgenti (Manuale: p. 533-535; Fonti: art. 467 c.p.p.) I tempi di transizione possono comportare il rischio che alcune prove vadano disperse, perciò per evitarlo ne è prevista l’anticipata formazione tra le attività preliminari sul presupposto dell’urgenza, cioè della ritenuta impossibilità di attendere perfino il momento dell’istruzione dibattimentale (è una sorta di incidente probatorio, tanto che l’art.467 sulle prove urgenti rinvia ai casi di incidente probatorio, unitamente al requisito della non rinviabilità). Legittimate all’istanza sono le parti già costituite. Il presidente dell’organo giudicante vaglia l’ammissibilità della richiesta e, se ne dispone l’assunzione, sovrintende egli stesso all’udienza convocata allo scopo, con avviso almeno 24 ore prima al p.m., ai difensori e alla persona offesa. Vigono le forme tipiche del dibattimento, compreso il carattere pubblico dell’udienza. Logica conseguenza è l’inserimento all’origine del verbale che documenta l’operazione istruttoria nel fascicolo per il dibattimento. 23.2 Liste (Manuale: p. 551-554; Fonti: art. 468, 493 comma 2 c.p.p.) Entro 7 giorni prima del dibattimento, a pena di inamissibilità, ciascuna parte deposita presso la cancelleria del giudice una sua lista, in cui sono indicati i nomi delle persone che verranno chiamate a deporre in dibattimento e l’oggetto dei relativi esami (a pena di inamissibilità). Queste liste vengono comunicate anche alle altre parti e scatta la possibilità di portare prove contrarie (cioè prove che servono a smentire quello che verrà detto dai testimoni/dichiaranti), entro il limite temporale della richiesta di ammissione delle prove. È un elenco che preannuncia la strategia probatoria delle parti, infatti la sua principale funzione è scoprire le carte rispetto agli avversari grazie all’indicazione delle persone che si vorranno ascoltare in dibattimento. In rapporto alle persone indicate nella lista, si può chiedere al giudice di autorizzare con decreto la citazione di queste persone (il relativo decreto ne rende coercibile la comparizione all’udienza se l’assenza risultasse ingiustificata, se ne potrebbe ordinare l’accompagnamento coattivo). Le parti possono prescindere dal provvedimento autorizzativo quando confidino nella presentazione spontanea. art.493 co.2: “È ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente”. Si ha una remissione in termini ma bisogna indicare le ragioni per cui non si sono potuti rispettare i 7 giorni. 96 Qualora il termine di 7 giorni non sia rispettato e la parte non è in grado di provare la remissione in termini, qualora la prova in questione sia fondamentale per decidere, cosa succede? Il mancato rispetto del termine implica che quella parte non potrà chiedere la prova, ma non implica che quella prova sia inammissibile di per sé non potrà essere inserita da quella parte, ma da altre sì, e ci sono anche forti poteri d’ufficio del giudice che in caso di assoluta necessità può disporre d’ufficio l’assunzione di certe prove. Per scongiurare il rischio di abusi, e salvaguardare l’economia processuale il giudice filtra le richieste di prove secondo determinati parametri esclude quelle vietate dalla legge e quelle evidentemente sovrabbondanti. Ilvaglio ha natura solo ordinatoria, perciò non pregiudica la decisione sull’ammissibilità della prova cui sarà chiamato il giudice del dibattimento: testimoni respinti potranno entrare, altri essere esclusi. La valutazione finale sull’ammissione delle prove verrà poi fatta dal giudice del dibattimento, quando c’è la richiesta di ammissione delle prove. I requisiti della lista sono stabiliti a pena di inammissibilità della successiva richiesta formale, proponibile in apertura del dibattimento, dalla parte che desideri l’assunzione di determinate prove bisognose di essere anticipate durante lo stadio processuale precedente. L’inammissibilità colpisce i singoli mezzi di prova che non si trovino indicati nella lista. Si tratta di una decadenza, perciò la parte può superare l’effetto negativo dimostrando il carattere incolpevole dell’omissione (es. prova sopravvenuta oppure preesistente ma conosciuta solo dopo lo spirare del termine). 23.3 Proscioglimento anticipato (Manuale: p. 480-482, 535-538; Fonti: artt. 129, 469 c.p.p.) C’è la possibilità, in certi casi, di emettere il cd. proscioglimento predibattimentale, pronunciato in fase predibattimentale l’economia processuale impone di chiudere subito il giudizio quando ci si rende conto che non può condurre ad una sentenza di condanna: non ha senso sprecare risorse. L’art.129 garantisce a livello generale il diritto della persona imputata di essere prosciolta: “In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza”. Se in fase di indagine preliminare emerge la prova piena dell’innocenza della persona, il 129 non si applica perché in quel caso si chiede archiviazione. In realtà, concretamente, “ogni stato e grado” non è poi così vero. C’è un proscioglimento non basato su tutte le migliori risorse conoscitive, non c’è stato processo quindi la vittima non è soddisfatta. Quindi, in un sistema accusatorio come il nostro, non è che appena emerge l’ipotesi di proscioglimento di può subito prosciogliere. La norma funzionava bene col vecchio sistema inquisitorio, in cui si avevano già prove in mano. Oggi in realtà in molti casi il 129 co.1 non consente di prosciogliere in qualunque momento, spesso bisognerà svolgere l’attività prevista dalla legge (in particolare completare l’udienza) e solo al termine di questa si potrà eventualmente prosciogliere. art.129 co.2: “Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”. Prevede una gerarchia tra le forme di proscioglimento in caso di concorso. L’ipotesi è che ricorre una causa di estinzione di reato ma contemporaneamente emerge anche la possibilità di prosciogliere l’estinzione del reato va messa in secondo piano, dal momento che non esclude che il reato sia stato commesso. Deve sempre prevalere la condizione più favorevole per l’imputato. 97 Proscioglimento predibattimentale (art.469) Salvo quanto previsto dall'art.129 co.2*, se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita ovvero se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo. *se c’è estinzione del reato, ma c’è anche una causa di proscioglimento più favorevole, si applica quest’ultima In caso di mancanza di una condizione di procedibilità, si può prosciogliere subito (sentenza predibattimentale di non doversi procedere). Un altro caso di non doversi procedere è l’estinzione del reato. Le parti non devono opporsi, devono essere d’accordo. Se c’è estinzione del reato e contemporaneamente il fatto non sussiste, in predibattimento si deve cercare di andare a dibattimento ed evitare il proscioglimento. Il proscioglimento predibattimentale si può fare quando dagli atti emerge solo l’estinzione del reato senza possibilità di procedimento favorevole. Se invece opera la condizione di procedibilità, quella si applica in ogni caso. Se quindi c’è un concorso di formule di proscioglimento con la possibilità di prosciogliere in modo più favorevole, il 469 non si può applicare e si deve andare a dibattimento.