Scarica DISPENSA PREPARAZIONE CONCORSO STRAORDINARIO TER POSTO COMUNE e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Concorso straordinario TER 2023 - Posto comune PEDAGOGIA e PSICOLOGIA: principali teorie e autori, anche minori Principali correnti pedagogiche Attivismo L'attivismo pedagogico è una corrente pedagogica che si concentra sull'azione e sul coinvolgimento attivo degli studenti nel processo di apprendimento. Questa corrente sostiene che gli studenti dovrebbero essere coinvolti in modo attivo e partecipativo nel loro apprendimento, piuttosto che essere semplici destinatari passivi di conoscenza. L'attivismo pedagogico si basa sulla convinzione che gli studenti imparino meglio quando sono attivamente coinvolti nel processo e quando sono incoraggiati a esplorare i loro interessi e a porre domande. Invece di concentrarsi sul trasferimento passivo di conoscenza da parte del docente, l'attivismo promuove l'interazione e la collaborazione tra gli studenti, incoraggiando il dialogo e la discussione tra pari. L'attivismo pedagogico ha radici nella pedagogia critica e nella teoria dell'apprendimento esperenziale, ed è spesso associato a correnti come il costruttivismo e il progressismo. Tra i principali esponenti: Dewey, Freire, Vygotskij, Piaget, Montessori. Idealismo L'idealismo pedagogico è una corrente pedagogica che sostiene l'importanza di una formazione che vada oltre la mera acquisizione di conoscenze, e che miri a sviluppare la personalità dell'individuo in modo armonioso e completo. Tale corrente si basa sulla convinzione che l'educazione debba essere orientata alla formazione di individui capaci di pensiero critico, creatività e libertà. L'educazione non dovrebbe limitarsi alla trasmissione di conoscenze, ma dovrebbe avere come scopo principale la formazione della personalità dell'individuo. Ritiene che l'educazione debba essere basata su principi etici e spirituali e che debba promuovere lo sviluppo delle capacità intellettuali, emotive e sociali dell'individuo. Ne hanno parlato, in particolare, filosofi che sostenevano l'importanza dell'educazione nella formazione di un individuo autonomo e pensante, capace di agire in modo responsabile e libero. Tra i principali esponenti: Croce e Gentile. Marxismo Il marxismo pedagogico è una corrente pedagogica che si basa sulle teorie marxiste, le quali sostengono che l'educazione deve essere orientata alla formazione di individui capaci di comprendere la realtà sociale in cui vivono e di agire in modo responsabile e critico. L'educazione deve avere come obiettivo principale la formazione di individui consapevoli dei meccanismi di sfruttamento e di oppressione che operano nella società e capacità di agire per una trasformazione sociale che conduca alla realizzazione di una società più giusta e uguale. Ritiene che l'educazione debba essere basata sulla dialettica, ovvero sullo studio delle contraddizioni che operano nella società e sulla comprensione dei meccanismi che le generano. In tal senso, l'educazione deve essere capace di sviluppare la capacità di analisi critica e di pensiero dialettico negli individui. Tra i principali esponenti: Antonio Gramsci e Paulo Freire. Personalismo Il personalismo pedagogico è una corrente pedagogica che si concentra sull'importanza della persona intesa come soggetto attivo del processo educativo; l'educazione deve essere orientata alla formazione della persona nella sua totalità, e non solo alla trasmissione di conoscenze. Si basa sulla convinzione che ogni individuo sia unico e insostituibile e che l'educazione debba pertanto essere personalizzata e adattata alle specifiche esigenze del singolo. L'obiettivo è quello di sviluppare una personalità dell'individuo in modo armonioso e completo, promuovendo la sua crescita intellettuale, emotiva, sociale e spirituale. Il personalismo pedagogico ha avuto un forte impatto sulla teoria e sulla pratica dell'educazione e ha influenzato molti movimenti di riforma pedagogica nel corso del XX secolo. Tra i principali esponenti: Emmanuel Mounier, Forster, Maritain. Comportamentismo La pedagogia comportamentista è una corrente che si concentra sull'importanza dell'ambiente esterno nell'apprendimento. Sostiene che il comportamento degli individui sia il risultato delle esperienze e degli stimoli esterni e che l'apprendimento sia il risultato di associazioni tra stimoli e risposte. L'educazione deve essere orientata alla promozione di comportamenti desiderati attraverso l'utilizzo di rinforzi e punizioni. In tal senso, l'educazione deve prevedere metodologie e strategie didattiche che favoriscano l'adozione di comportamenti positivi e l'eliminazione di comportamenti negativi. Tale corrente ha avuto un forte impatto sulla teoria e sulla pratica dell'educazione e ha influenzato molti aspetti dell'educazione moderna, come ad esempio l'adozione di tecniche di rinforzo e punizione nella gestione del comportamento degli studenti, e l'utilizzo di programmi di apprendimento basati sull'attivazione dei processi di rinforzo. Tuttavia, la pedagogia comportamentista è stata anche criticata per la sua visione limitata dell'apprendimento, che non tiene conto della complessità del processo cognitivo e dell'importanza dell'esperienza interna del bambino. Tra i principali esponenti: Skinner. Cognitivismo La pedagogia cognitivista è una corrente pedagogica che si concentra sull'importanza dei processi cognitivi nell'apprendimento. Questa corrente pedagogica sostiene che l'apprendimento sia il risultato di processi attivi di elaborazione mentale e che la conoscenza sia costruita attraverso l'elaborazione delle informazioni da parte dell'individuo. L'educazione deve essere orientata alla promozione di processi cognitivi come la memoria, l'attenzione, la percezione, il ragionamento e il problem solving. In tal senso, l'educazione deve prevedere metodologie e strategie didattiche che favoriscano l'attivazione di questi processi. Tra i principali esponenti: Piaget, Vygotskij. Costruttivismo Corrente pedagogica che sostiene che gli individui costruiscono la loro conoscenza attraverso l'esperienza e l'interazione con il mondo circostante, piuttosto che riceverla passivamente dall'esterno. Secondo il costruttivismo, l'apprendimento è il risultato di un'attiva costruzione della conoscenza da parte dell'individuo, che utilizza le proprie conoscenze pregresse, le proprie esperienze e le interazioni sociali per costruire nuove conoscenze. Si basa sulla convinzione che l'educazione debba essere orientata alla creazione di situazioni didattiche che favoriscano l'attivazione dei processi di costruzione della conoscenza da parte degli studenti. In tal senso, l'educazione deve prevedere metodologie e strategie didattiche che valorizzino l'interazione tra gli studenti, la manipolazione di oggetti, la risoluzione di problemi e il confronto critico tra le diverse opinioni. È stato criticato per la sua visione eccessivamente individualistica dell'apprendimento, che può trascurare l'importanza dell'interazione sociale e della collaborazione nell'apprendimento. Tra i principali esponenti: Piaget, Vygotskij. Tipo di scuola • Scuola privata secondaria • Scuola all'aria aperta • Scuola pubblica materna ed elementare (al chiuso, anche se le sorelle Agazzi e Montessori proporranno diverse attività all'aperto). Obiettivi • Educazione linguistica e scientifica • Formazione "mondana" • Lavoro manuale • Vita all'aria aperta • Viaggi e la conoscenza del mondo Programma educativo simile a quello proposto dal John Locke 300 anni prima, per cui può essere considerato un anticipatore. Egli parla di formazione del gentleman, cioè di quella classe "borghese" che piano piano si sostituisce alla classe nobiliare. • Lotta alla povertà • Lotta all'analfabetismo • No alle forme di scolarità precoce introdotte da Ferrante Aporti (proponeva la scolarizzazione già nei primi anni, mentre la scuola attiva tenta di rispettare i bisogni reali del bambino). Metodo • Disciplina rigida • Finalizzata alla formazione del carattere • Stimola un'adesione consapevole alla norma • Esplorazione e contatto con la natura • Learning by doing (metodo scientifico) • Problem solving • Vita di gruppo all'aria aperta • Acquisizione di un codice etico (la morale di Locke, saper negoziare con l'altro, saper valorizzare principi come l'onore, sapersi guadagnare il rispetto) • Responsabilizzazione verso gli altri • Gerarchia comunitaria • Riforma degli asili infantili ispirata al modello del kindergarten di Froebel • Dilatazione dello spazio scolastico che si prolunga nell'ambiente esterno (Insegnamento anche in luoghi aperti) • Aule adatte e giardini • Valorizzazione del gioco e del valore formativo del lavoro manuale • Attività agricole, domestiche, artigianali, espressive, artistiche. Quando parliamo di attivismo pedagogico dobbiamo tenere presente le esperienze educative e le teorie pedagogiche. La figura centrale è quella di John Dewey, considerato il più grande pedagogista del '900 ma anche una delle figure di intellettuale, filosofie, che influiranno sulla cultura e sulla società della prima metà del '900. Dewey è legato alla nascita del progressive schools negli Stati Uniti, scuole dell'innovazione, del cambiamento e del rinnovamento didattico, ma anche in maniera più ampia all'esperienza di scuola attiva in Italia, legata a figure molto note come le sorelle Agazzi (scuola materna, che verrà chiamato nel mondo come "metodo italiano") e Maria Montessori (con la nascita del metodo scientifico per l'educazione dell'infanzia nelle case dei bambini). All'interno della grande famiglia dell'attivismo pedagogico collochiamo anche le scuole nuove in Francia, legate a Ferriere, Claparède, Decroly e Devaud. Sono figure molto diverse tra di loro, che vivono in nazioni diverse, ma che possono inseriti nella famiglia dell'attivismo, perché hanno dei caratteri comuni. • Centralità del bambino (bisogni e capacità): ruolo attivo del fanciullo nel processo di apprendimento. Premesse per un tipo di apprendimento attivo dove l'educando è protagonista del suo percorso. Conseguenza che il dato esperienziale precede l'apprendimento formale, cioè l'esperienza è la fonte principale dell'apprendimento (puerocentrismo). • Il fare deve precedere il conoscere nell'apprendimento infantile: apprendimento per esperienza. • Motivazione come motore dell'apprendimento, che deve essere collegato a un interesse del fanciullo. I percorsi di apprendimento devono partire dall'interesse. • L'apprendimento pone al centro l'ambiente (piuttosto che il sapere codificato) rispetto al libro, alla trasmissione dei contenuti, ambiente inteso come ambiente educante, porta con sé processi educativi e conoscenze. Da queste premesse discendono altri tre elementi: • Socializzazione (bisogno primario del fanciullo): non si deve pensare all'esaltazione dell'individualismo del bambino. Essa è centrale nel bambino; a volte ci sono disparità nei bambini di 4/5 anni. Dewey sostiene che nella stessa classe ci sono livelli diversi, ma il fatto che ci siano queste disparità si proietta verso il gruppo e la società. Vi è bisogno di confronto, incontro, condivisione, un bisogno primario dell'uomo. L'educazione parte dai bisogni individuali poi guarda ai rapporti sociali. Si modifica, in questo modo, anche il profilo dell'insegnante. • Antiautoritarismo: rinnovamento della tradizione educativa e scolastica, fondata sulla supremazia dell'adulto e della sua volontà. Si pone in maniera critica contro le pedagogie adultiste, dove si mette al primo posto l'autorità (pedagogie passive). • Antiintellettualismo: svalutazione di programmi formativi esclusivamente culturali. I sistemi pedagogici nuovi tendono a scardinare ciò che c'era ribaltando tutta l'attività didattica, a partire dalla supremazia dei libri, i saperi codificati e programmi scolastici frontali. Si impone una nuova necessità, ovvero quella di un sapere meno rigido e cristallizzato, che si costruisce attraverso l'esperienza e la revisione di risultati diversi (sapere più dinamico). Esperienze inglesi: Cecil Reddie, Baden Powell. Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento cominciano ad affermarsi le cosiddette scuole nuove, realtà educative che rispondo al bisogno di rivedere l'organizzazione, i contenuti e i metodi di una scuola che non appare rispondente ai bisogni di un mondo in rapida trasformazione. La loro nascita avviene, non casualmente, in Inghilterra, il paese all'avanguardia nello sviluppo economico e sociale ed attento, più che altrove, al raccordo tra scuola e società, in continuità con l'approccio di John Locke, che aveva rivoluzionato i programmi scolastici in funzione di una cultura "utile" alla formazione delle classi dirigenti. John Locke È stato un filosofo, politico e pedagogo inglese del XVII secolo, noto per le sue teorie sull'educazione. L'educazione è un processo di formazione della personalità dell'individuo, che deve essere basato sulla ragione, sull'esperienza e sull'osservazione. Sosteneva che i bambini nascono come una tabula rasa (blank state) e che l'educazione debba essere finalizzata alla formazione della personalità, attraverso l'acquisizione di conoscenze e abilità utili per la vita pratica. Ritiene che l'educazione debba essere basata sull'esperienza e sull'osservazione e che gli insegnanti debbano utilizzare metodi didattici che favoriscano l'attiva partecipazione degli studenti al processo di apprendimento, in modo che diventino autonomi e responsabili, capaci di gestire la propria vita in modo razionale e consapevole. Cecil Reddie: La New School creata da Cecil Reddie nel 1889 ad Abbotsholme (nel Derbyshire) era modellata su misura delle esigenze della borghesia: era una scuola privata, attenta all'educazione linguistica e scientifica e, in particolare, alla formazione "mondana" attraverso il lavoro manuale, la vita all'aria aperta, i viaggi e la conoscenza del mondo. Abbotsholme formava quindi individui appartenenti alla upper class che provvedeva di una ricca cultura umanistica, oltre che di un'ampia formazione scientifica e linguistica, basata su una didattica anti-nozionistica, vicina agli interessi degli allievi e all'esperienza. Il suo motto era "liberty is obedience to the law". La disciplina della scuola era infatti rigida e finalizzata alla formazione del carattere, ma orientata lockeanamente al raggiungimento di un'adesione consapevole alla norma. Haden Badley Nella stessa Inghilterra vi si ispira Badley, già allievo di Reddie, che introduce nella sua scuola di Bedales, fondata nel Sussex nel 1883, la coeducazione dei sessi e le prime forme di autogoverno dei giovani. La scuola di Badley era perciò un'alternativa a misura d'uomo al rigido autoritarismo delle public schools (scuole private aperte a tutti senza restrizioni basate sul credo, sull'occupazione o sulla residenza) tardo - vittoriane: il motto della scuola era "head, sono conseguenza di un bisogno avvertito dal bambino stesso e volte a soddisfare un suo interesse. Per questo pedagogista era fondamentale il nesso esistente tra biologia e psicologia, come d'altronde sostenevano gli esponenti della scuola attiva; egli fu, infatti, promotore dello studio della pedagogia con un metodo scientifico e a partire dalla psicologia. Il suo punto di vista è considerato funzionale perché ritiene che le attività mentali siano delle funzioni che rispondono spontaneamente a dei bisogni e che consentono all'uomo di adattarsi all'ambiente. Anche il bambino, dunque, si pone in una posizione attiva nel momento in cui è calato in un contesto in grado di sollecitare determinati bisogni e di conseguenza, delle risposte e delle azioni ricercate dal bambino stesso. La psicologia funzionale è la disciplina che esamina i motivi che stimolano l'individuo all'azione in vista del suo adattamento all'ambiente. Il legame tra individuo e ambiente e l'origine della condotta umana sono temi affrontati in diverse sue opere. In particolare, nel suo testo fondamentale L'educazione funzionale, egli considera ogni organismo vivente come un sistema che mira a conservarsi intatto e a ristabilire gli equilibri infranti. Il bisogno è definito da Claparède proprio come la rottura degli equilibri, un fatto che determina le azioni dell'uomo. Per C. gli organismi sono regolati da una legge fondamentale, la legge del bisogno in base alla quale si sostiene che ogni attività è sempre suscitata da un bisogno e risponde a un interesse. Questa legge regola anche il comportamento dei bambini e gli educatori dovrebbero modulare la loro azione proprio a partire da questa consapevolezza. Nel medesimo testo, egli individue cinque leggi che stanno alla base dell'educazione funzionale: 1. Legge della successione genetica: lo sviluppo del fanciullo segue un certo numero di stadi che hanno un ordine costante. 2. Legge dell'esercizio genetico. Il bambino è orientato a svolgere quelle attività e a sviluppare quelle funzioni che sono coerenti con lo stadio di sviluppo che gli è proprio; inoltre, le funzioni ulteriori possono svilupparsi solo se quelle precedenti hanno già avuto un sufficiente sviluppo. 3. Legge dell'adattamento funzionale: l'educatore deve stimolare il bambino in base alla sua età in base al principio che ogni azione si realizza quando ha una natura tale da rispondere a un bisogno o a un interesse del momento. La conseguenza è che l'attività stessa del bambino può essere suscitata se il bambino è posto nella condizione di provare un bisogno. Secondo C., questa è la legge più importante dal punto di vista pedagogico. 4. Legge dell'autonomia funzionale: il bambino non è un adulto o un essere imperfetto, ma un individuo che ha una sua autonomia e la sua attività mentale è adeguata alle circostanze che gli sono proprie. Con questa legge C. polemizza con la scuola tradizionale che tendeva a confrontare il fanciullo con l'adulto e a rilevare delle mancanze nel primo rispetto al secondo. Per C., invece, il bambino va valutato esclusivamente a partire dal suo punto di vista. Ogni essere, infatti, in ogni fase del suo sviluppo, è un'unità funzionale autonoma. 5. Legge dell'individualità: ogni individuo differisce dagli altri, in misura minore o maggiore, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Da questa legge deriva la necessità di osservare e di conoscere gli allievi nella consapevolezza dell'unicità di ciascuno. L'obiettivo della scuola è lo sviluppo delle funzioni intellettuali e morali del fanciullo e non un mero accumulo di conoscenze. La scuola non deve stimolare all'attività attraverso i premi o con la minaccia del castigo, ma sapendo porre l'allievo in quelle situazioni atte a far nascere in lui un interesse profondo per ciò che si intende far apprendere. L'educatore deve quindi saper entusiasmare e risvegliare bisogni e interessi nei suoi allievi. La scuola su misura è il titolo di un testo molto noto pubblicato nel 1920. In questo volume, egli riflette su come organizzare la scuola superiore per meglio valorizzare le diverse attitudini, cioè le disposizioni naturali e le preferenze individuali, che contraddistinguono ciascun fanciullo all'interno di una classe. Egli considera inadeguati o non praticabili: il sistema delle classi parallele (classi per gli studenti con un rendimento più alto e classi per gli studenti più deboli); il sistema delle classi mobili (organizzazione basata sulla possibilità data al ragazzo di seguire lezioni di grado diverso a seconda delle materie); il sistema delle sezioni parallele (corrispondente ai diversi indirizzi di studio: classico, di avviamento professionale, tecnico, ecc. con accanto scuole professionali, di arte, di commercio…). L'organizzazione più efficace è considerata quella costruita sui sistema delle opzioni. Nella sua ipotesi, metà delle ore scolastiche dovrebbero essere comuni a tutti gli alunni, nelle restanti ore obbligatorie il ragazzo dovrebbe scegliere liberamente quali corsi seguire. C. è, infatti, convinto che la scuola debba permettere al singolo di trarre il massimo beneficio in termini di sviluppo e di valorizzazione delle attitudini individuali. Esperienze belghe: Decroly. Decroly è uno dei pedagogisti del Novecento a cui viene attribuito il merito di aver costruito una pedagogia, non più deduttiva e teoretica, ma sperimentale. Egli nacque a Renaix nel 1871 e la prima educazione gli venne impartita dal padre, che mise a disposizione sua e dei fratelli un giardino dove curare piante e animali ed un laboratorio per il gioco e per il lavoro. Altro elemento fondamentale per capire lo sviluppo del suo pensiero è il contrasto avvenuto durante la scuola secondaria, con gli insegnanti, in quanto lo studio del latino avveniva in maniera distaccata dalla realtà e dall'esperienza, perché si basava troppo sulla conoscenza esclusivamente teorica di quanto scritto sui libri. I suoi studi proseguono e nel 1898 si laurea in medicina, specializzandosi nello studio delle malattie nervose, studio che si ricollegava alla psicologia e alla filosofia, discipline per le quali egli nutriva un profondo interesse. Queste esperienze rappresentano gli elementi che più hanno avuto un'influenza sul suo pensiero, portandolo a fondare, nel 1901, l'Ecole pour enfants irreguliers (la scuola per i soggetti irregolari) e, nel 1907, l'Ecole de l'Ermitage, ai margini di un bosco. Entrambe le scuole si occupavano di soggetti "irregolari" ed erano laboratori pedagogici sperimentali, così come la Casa dei bambini montessoriana, perché Decroly era convinto che la pedagogia scientifica doveva necessariamente sorgere all'interno della scuola e non effettuando prima la ricerca sperimentale per poi applicare i risultati dell'educazione. Decroly ricorre alla psicologia sperimentale per risolvere problemi di ordine didattico e metodologico, mentre per quanto riguarda il fine dell'educazione elabora la sua teoria partendo dall'evoluzionismo darwiano, teoria secondo la quale la vita è un insieme di processi di adattamento tra l'individuo e il suo ambiente. Egli sostiene che la pedagogia deve necessariamente ricercare il suo fine non all'interno della filosofia, dell'etica o della politica (com'era sempre avvenuto), ma deve partire dai bisogni fondamentali che l'uomo deve soddisfare per potersi adattare all'ambiente. Questi bisogni comprendono: nutrirsi, proteggersi dalle intemperie, difendersi dai nemici, lavorare in comune, ricrearsi. Una volta raggiunta l'età matura, il soggetto saprà rispondere a questi bisogni; quindi, saprà adempiere a funzioni sia individuali che sociali, il che sarà utile sia alla conservazione dell'individuo che alla conservazione della specie. Per raggiungere questo fine ultimo secondo Decroly è necessario dirigere l'insegnamento verso due fondamentali direzioni, gli elementi che costituiscono la vita, che Decroly pone a fondamento del suo metodo: lo studio dell'individuo e lo studio dell'ambiente. E, nello specifico, questi due elementi devono essere raccordati con i bisogni del soggetto e con i dati dell'ambiente che possono soddisfare questi bisogni. Seguendo questa linea di principio, Decroly critica la scuola tradizionale, in quanto la scuola del periodo sosteneva l'idea che la scuola dovesse "preparare alla vita", anche se in realtà accadeva l'opposto, in quanto con l'obiettivo di formare l'uomo futuro, la scuola non faceva altro che allontanarsi dai bisogni quotidiani degli alunni. Quindi, Decroly prospetta una scuola rinnovata che anziché preparare alla vita, sia vita stessa. Per far sì che ciò avvenga, è necessario che la scuola faccia convergere tutti i contenuti delle diverse materie attorno a un interesse centrale presente in tutte le lezioni (quindi tutte le singole parti devono convergere tra loro formando un tutto indivisibile). È anche necessario che ogni alunno venga aiutato individualmente, perché così facendo tutti riescono a trarre beneficio dalla scuola e da quello che si studia, non solo gli individui più capaci, e inoltre si fa in modo che l'alunno sviluppi così il desiderio di conoscere sia sé stesso che i suoi simili (cosa che non avverrebbe attraverso il semplice accumulo sistematico di conoscenze). Secondo Decroly lo studio della vita individuale e dell'ambiente, nella scuola deve avvenire in due direzioni: trasmettendo la cultura necessaria, quindi gli strumenti, per rafforzare tutti gli aspetti della personalità infantile per permettere un adattamento più rapido e sicuro (quindi appunto studiando l'individuo e l'ambiente per permettere all'alunno di soddisfare i suoi bisogni); la voglia di conoscere questi due aspetti che costituiscono la vita deve provenire dal diretto desiderio dell'alunno. Come risultato, nell'idea di Decroly, vi era una scuola che intendesse insegnare al bambino a vivere, e un bambino motivato dal desiderio di imparare per soddisfare i suoi bisogni. Quest'idea, apparentemente perfetta in teoria, nella pratica non trova la stessa applicazione, in quanto Decroly, partendo da una posizione evoluzionistica e naturalistica tende a tralasciare i bisogni culturali e spirituali; e, inoltre, stabilendo a priori quali sono i bisogni - interessi degli alunni, pone poca attenzione a quelli che sono gli interessi più spontanei e autentici di ciascun individuo (es. parte dall'idea che dato che tutti gli esseri umani hanno bisogno, ad esempio, di nutrirsi, accantonando un po', di fatto, l'idea di individualizzazione dell'apprendimento). Nonostante ciò, Decroly ha rappresentato un tentativo nel voler trovare una motivazione all'apprendimento, superando il distacco tra la scuola e la vita. Distacco che spesso si traduceva in scarso interesse da parte degli alunni. Il metodo di Decroly In merito al tentativo di motivare l'alunno, nell'opera VERSO LA SCUOLA RINNOVATA è presente un'indagine statistica, secondo la quale solo il 15% dei ragazzi in Belgio riescono a percorrere regolarmente il corso di studi obbligatorio. Questa indagine si traduce in un'accusa rivolta alla scuola da parte di Decroly, che, secondo lui, è responsabile di molte deviazioni della personalità degli alunni. Egli scrive che non solo la scuola non riesce a raggiungere gli Per quanto riguarda l'educazione dei soggetti irregolari, Decroly si distacca dalla pedagogia tradizionale che aveva da sempre considerato importante solo la dimensione intellettuale del soggetto, concezione secondo la quale se il soggetto avesse avuto qualche difficoltà ad apprendere sarebbe stato tagliato fuori dalla pratica educativa. per D., invece, non esiste una pedagogia solo per i soggetti normali e una solo per i soggetti irregolari; infatti, non si occupa di fare pedagogia "speciale" per questi ultimi, ma semplicemente riservare un'attenzione maggiore ai soggetti irregolari, occupandosi di individualizzare quanto più possibile in metodo educativo, per permettere anche a loro un positivo adattamento all'ambiente e una piena realizzazione della personalità. Esperienze statunitensi: Dewey. Lo statunitense John Dewey è uno dei più importanti intellettuali del suo tempo, eclettico e influente. Per più di sessant'anni, prima da studente e poi da professore e studioso, è stato protagonista della vita accademica americana, cambiando più di cinque università (dall'Università del Vermont, alla quale si iscrisse a soli quindici anni, alla Columbia di New York, nella quale concluse la sua lunga carriera). Celebre soprattutto come filosofo e teorico della pedagogia, si è occupato e ha scritto anche di psicologia, politica, etica, religione, arte e logica. Ha viaggiato in tutto il mondo per tenere conferenze e discutere le proprie teorie ed è intervenuto su alcune questioni politiche cruciali del suo tempo, come l'ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Dewey nasce lo stesso anno in cui Darwin pubblica L'ORIGINE DELLE SPECIE e cresce nel Vermont. A 23 anni, lasciata la sua città sulle coste del lago Champlain, si iscrive alla John Hopkins University di Baltimora. Lì il giovane D. acquisisce la sua prima formazione filosofica sotto la guida dei neohegeliani George Morris e Stanley Hall. Nella stessa università insegna anche Peirce, ma inizialmente Dewey, che pure sarebbe divenuto uno dei principali esponenti del pragmatismo, non frequenta i suoi corsi. Nel 1886 sposa Alice Chipman e lui stesso racconta di aver iniziato a interessarsi di pedagogia e di educazione osservando e occupandosi dei loro sei figli. Dopo aver trascorso dieci anni all'Università del Michigan, nel 1894 Dewey è nominato direttore della facoltà di filosofia, psicologia e pedagogia dell'Università di Chicago. Lì rimane per un altro decennio, durante il quale pubblica alcuni dei suoi libri più importanti e mette a punto i principali elementi della sua teoria pedagogica. A Chicago Dewey fonda una scuola elementare, la Laboratory School (conosciuta anche come Dewey School) che in pochi anni attrae numerosi studenti e che diventa un modello internazionale di scuola attiva. La fondazione e direzione di una scuola è un fatto curioso, insolito per un professore universitario, e ci ricorda che per Dewey filosofia, pedagogia e pratica non possono mai essere separate: non è possibile formulare una buona teoria pedagogica senza sperimentarla nel concreto funzionamento di una scuola. La scuola - laboratorio fu una delle prime scuole attive che vennero a formarsi durante tutto il secolo scorso: questa si basava sull'esigenza di aiutare l'alunno a formare la sua personalità attraverso la sua occupazione in lavori manuali, con l'aiuto dell'insegnante e interagendo con i compagni. La scuola, pertanto, aveva il compito primario di guidare l'allievo a diventare l'educatore di sé stesso, dimostrando che l'insegnamento non è prerogativa esclusiva dell'insegnante e puramente nozionistico. L'insegnamento e l'approccio dell'insegnante vanno ritagliati su misura tenendo in considerazione le reali necessità dell'alunno. D. e colleghi hanno valutato che la caratteristica peculiare di un educatore dovrebbe essere l'osservazione costante e accurata. Infatti, le caratteristiche che ciascuno di noi mostra sin da piccolo sono delle abilità innate, che se stimolate e sviluppate nel modo giusto, anche grazie agli educatori, possono essere la chiave di volta per arricchire la comunità in cui viviamo. In tal senso, è importante fare delle considerazioni sull'ambiente in cui l'alunno si muove, manifestando i suoi interessi. Per questo D. introdusse il lavoro manuale: il fare, il contatto di diretto, stimolano la conoscenza del bambino e allo stesso tempo permettono di prendere coscienza di sé sviluppare le doti che da grande gli permetteranno di adattarsi ai cambiamenti della società industriale del tempo. Anche a causa di alcuni contrasti con il rettore sulla gestione della scuola, Dewey lascia Chicago nel 1904. L'anno dopo viene chiamato come professore di filosofia alla Columbia, si trasferisce a New York dove rimane per i successivi cinquant'anni. Dewey è uno dei più importanti rappresentati del pragmatismo americano, una tradizione filosofica inaugurata da Charles Sanders Peirce e William James negli anni Settanta dell'Ottocento. La tesi centrale del pragmatismo è che il significato non consiste in un pensiero, un'idea o una definizione, bensì in un'azione, un "abito", nel lessico dei pragmatisti. Il significato è una disposizione ad agire. L'idea di un oggetto coincide con l'idea dei possibili effetti di quell'oggetto. La regola pragmatica formulata da Peirce recita: "considerate quali effetti che possono concepibilmente avere portate pratiche, noi pensiamo che l'oggetto della nostra concezione abbia. Allora la concezione di questi effetti è l'intera nostra concezione dell'oggetto". Secondo il pragmatismo, le verità e i significati non esistono indipendentemente dalle pratiche che li coinvolgono, dall'accordo tra le persone, dalle conseguenze che hanno. La filosofia di Dewey è una particolare versione del pragmatismo, che lui stesso chiama strumentalismo e che è ispirata sia a Peirce che a James. In particolare, Dewey fa sua la tendenza pragmatista a privilegiare il futuro rispetto al passato, a considerare gli effetti più che cause, i risultati piuttosto che le origini. Secondo Dewey, quindi, le idee sono ciò che ci permette di organizzare le nostre future esperienze e osservazioni. Le idee e le teorie non sono descrizioni, né rappresentazioni della realtà, sono invece strumenti per agire nel nostro ambiente. Come scrive in ESPERIENZA E EDUCAZIONE (Experience and education, 1938), un'opera tarda in cui riassume gli elementi essenziali della sua teoria pedagogica: "i principi generali della nuova educazione non possono risolvere di per sé nessuno dei problemi dell'effettiva e pratica gestione delle scuole progressive". Teoria e pratica educativa non possono essere tenute separate. Dewey ha sempre seguito con coerenza questo principio dedicandosi contemporaneamente alla ricerca e alla direzione della Laboratory School, scrivendo, insegnando e partecipando attivamente alla vita pubblica. Il principio secondo cui la teoria non può mai essere separata dalla pratica è centrale anche nel progetto educativo di Dewey, il cui elemento essenziale è che si impara facendo. Nelle scuole "deweyane" gli studenti non stavano seduti al banco ad ascoltare, ma cucinavano, cucivano, lavoravano il legno e il ferro, costruendo insieme gli strumenti che servivano alle diverse attività. La matematica, la chimica, la biologia e la letteratura, tutto secondo Dewey può e deve essere "tratto dal materiale che rientra nell'ambito dell'ordinaria esperienza quotidiana". La conoscenza, non solo non si può acquisire senza la pratica, senza l'azione, ma è anch'essa un'attività, una pratica. Un altro elemento chiave della teoria pedagogica, ma anche della filosofia deweyana è l'esperienza, una parola che appartiene alla tradizione filosofica fin dalle origini. Dewey propone una nuova definizione di esperienza. Contro l'empirismo classico, sostiene che l'esperienza non sia una successione di dati sensoriali, e contro la psicologia sperimentale afferma che è impossibile scomporre l'esperienza in momenti successivi e distinti, così come è impossibile separare nettamente l'individuo dall'ambiente e lo stimolo dalla risposta. L'esperienza, secondo Dewey, è un processo e non il risultato statico e determinato di un accumulo di sensazioni o informazioni acquisite. L'esperienza è un processo in cui non si può distinguere esattamente fra soggetto dell'esperienza e oggetto esperito. È un processo nel quale individui e ambiente si determinano e si modificano reciprocamente. Infine, secondo Dewey, non si dà esperienza isolata, sia nel senso che le esperienze sono sempre legate tra loro in un continuum, sia nel senso che l'esperienza è un fatto sociale, mai solo individuale. Filosofia, politica, educazione, scienza… tutti questi campi del sapere e del fare sono legati. Infatti, Dewey non ha scritto libri di sola filosofia o di sola pedagogica, ma opere organiche, in cui discute di entrambe insieme. Allo stesso modo, la pedagogia e la politica non sono mai separate. I progetti educativi hanno sempre una vocazione politica e la scuola stessa è un luogo rilevante per lo sviluppo politico della società. In particolare, secondo Dewey, la scuola deve essere democratica e deve educare alla cittadinanza e alla partecipazione. La dimensione politica dell'educazione è evidente nel titolo dell'opera che sarebbe divenuta un manifesto dell'attivismo, un vero bestseller e un simbolo del progressismo americano: SCUOLA E SOCIETA', così come in DEMOCRAZIA E EDUCAZIONE, il trattato pedagogico - filosofico più organico e completo tra le opere deweyane. Dewey sostiene che la scuola sia parte integrante della società e debba contribuire alla vita politica collettiva, in particolare formando i futuri cittadini alla democrazia. Non solo la scuola deve educare alla democrazia, ma il regime democratico stesso, secondo Dewey, oltre a essere una forma di governo, è una forma di educazione personale e sociale. Dewey ha scritto numerosi libri, articoli e saggi. Alcuni tra i più importanti, oltre a quelli già citati, sono: • 1897, MY PEDAGOGIC CREED (pubblicato in italiano con il titolo Il mio credo pedagogico), manifesto dell'attivismo, esposizione incisiva della pedagogia deweyana, scritto negli anni di Chicago e dell'esperienza della Laboratory School. • 1910, HOW WE THINK (Come pensiamo), opera teorica e metodologica nella quale Dewey indaga cosa sia il pensiero e come la scuola possa educarlo. • 1925, EXPERIENCE AND NATURE (Esperienza e natura), opera tarda di Dewey nella quale sono ripresi i temi fondamentali dello strumentalismo e della filosofia dell'esperienza. D. è considerato uno dei più importanti psicologi educativi. I suoi modelli in questo campo hanno fatto parte della rivoluzione pedagogica avvenuta nel secolo scorso. Egli crede nell'idea anelavano a riforme radicali. Questo, in Italia, mentre in America e nel nord Europa si moltiplicavano le esperienze delle "scuole attive". L'istruzione elementare era delegata ai Comuni, ai quali spettava la creazione e la manutenzione delle scuole nonché la nomina e la retribuzione degli insegnanti. La RINNOVATA sorse in una Milano animata da quel fervore industrioso e industriale, che la rendeva traino dell'economia italiano ed esempio di quel pragmatismo caro al Cattaneo. Il Metodo Pizzigoni: "Scopo il vero, tempio la natura, metodo l'esperienza"; "Scuola è il mondo, Maestro ogni fatto naturale ed ogni uomo; non si insegni: si esperimenti". G.P. era in prima linea tra coloro che sentivano l'esigenza prioritaria di un cambiamento all'interno del sistema scolastico. Era mancata quella che lei chiamava la "riforma intima", cioè la rifondazione del metodo dell'insegnamento. Il metodo che si continuava a sostenere era "eternamente quello: metodo verbale, esercitazioni mnemoniche spinte alla sazietà". Il precettismo verbale era imperante e la scuola si presentava come il luogo di trasmissione passiva del sapere nozionistico e delle norme morali. Occorreva passare alle cose vere e reali: "mai più le parole senza le cose, mai più le parole e le cose senza le azioni". Nel discorso tenuto nell'aula magna del ginnasio Beccaria il 23 marzo 1923, G.P. così dichiarava: "La nostra scuola è oggi fatta di parole molte e di attività poche; essa tende a livellare le menti piuttosto che a sviluppare le singole energie; lascia inerte l'attività fattiva dello scolaro, attività che è mezzo principe per ottenere la cooperazione diretta del discente". I motivi basilari per i quali la Pizzigoni riteneva necessario ed imprescindibile di dover fondare una scuola sperimentale sono riassumibili in poche righe e mantengono, nonostante il tempo trascorso, una valenza di sorprendente attualità. Eccoli di seguito raggruppati per punti: • Combattere il verbalismo scolastico. • Concepire come basilare nel percorso educativo l'attività fattiva dei bambini. • Mantenere una grande attenzione verso la personalità dei singoli alunni, senza per questo tralasciare il valore della collettività. • Educare il bambino nella sua globalità, senza dimenticare le sue esigenze psico - fisiche. Il commissario prefettizio concesse un terreno nella località chiamata Ghisolfa, sulla strada della Bovisa e l'utilizzo di un padiglione Docker. Sul terreno sorsero di lì a breve: un campo da gioco, un campo per le attività agricole, un apiario, un pollaio, tre chioschi. La scuola accoglieva bambini di ogni estrazione sociale. Nell'anno scolastico 1911 - 12 i bambini iscritti furono 64 suddivisi in due classi miste. La scuola era stata concepita per funzionare con 18 classi, ognuna con il proprio spogliatoio, con spazi adeguati. Oggi ci sono 25 classi, tantissimi bambini, e gli spogliatoi, per ovviare alla mancanza di spazio, sono diventati laboratori di inglese. Ma è soprattutto nell'area verde, che contraddistingueva la scuola, che si nota il passare del tempo, alberi a parte. Le aiuole progettate in forma di figure geometriche, la vasca dei pesci, l'area gioco alberata, i pergolati rimangono oggi solo un lontano ricordo di quello che erano. L'asfalto ha invaso gran parte del cortile, sono necessari grandi lavori di ripristino. APPROFONDIMENTO Programma Gabelli I programmi del pedagogista bellunese Aristide Gabelli (1888), firmati dal ministro Paolo Boselli, posero in modo esplicito e chiaro esigenze di carattere morale, civile, sociale. Il pedagogista positivista mise al centro della propria elaborazione il problema del metodo. Esso doveva servire come mezzo adatto a facilitare l'insegnamento e l'apprendimento, a far acquisire un abito mentale in grado di guidare nella vita il giovane diventato cittadino adulto. "Le cognizioni non poche volte, e forse il più delle volte, dopo un po' di tempo di desuetudine dagli studi, vengono in molta parte dimenticate, quando invece il modo di pensare dura tutta la vita, entra in tutte le azioni umane". "Dare non nozioni ma abitudini, fare bene le più che riempirle: questo il fine della scuola. Grande importanza viene annessa all'osservazione, a partire dalla realtà concreta in cui il bambino viveva, insieme all'esplorazione naturale e all'educazione dei sensi". Nelle istruzioni ai maestri, che accompagnavano i programmi, Gabelli raccomandava "Cose, non parole, curiosità ben desta e attenzione". Il richiamo al metodo piuttosto che alle nozioni è ripreso anche nell'insegnamento della lingua italiana che, secondo Gabelli, doveva avvenire mediante l'uso vivo e l'esercizio continuo piuttosto che attraverso astratte regole grammaticali. La scuola era un esercizio anche per l'insegnamento dei doveri dell'uomo e del cittadino, l'abitudine avrebbe poi accompagnato il bambino per tutta la vita. Modello storico di educazione alla disciplina - altro aspetto a cui teneva particolarmente Gabelli - era la Prussia, di cui era vivissimo il ricordo della schiacciante vittoria sulla Francia nel 1870. Nel suo IL METODO D'INSEGNAMENTO NELLE SCUOLE ELEMENTARI D'ITALIA egli scrisse "Il maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini, a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo". Programmi Orestano Nel 1905 vengono emanati dal ministro Orlando i programmi didattici per le scuole elementari, ispirati al positivismo scientista, nei quali si nota preminenza di preoccupazione metodologica, orientamento herbartiano, disposizioni rigidamente prescrittive, norme analitiche che arrivano fino alla casistica didattica. Questi programmi s'inseriscono nella riforma della scuola elementare avvenuta l'anno precedente, la formazione del corso popolare portò infatti a ridistribuire le materie d'insegnamento secondo le indicazioni che proveniva dal pensiero di Herbart (pedagogia scientifica). Furono introdotti le lezioni delle cose, in sostituzione dell'insegnamento oggettivo, prestabilite per la prima e la seconda classe e le nozioni varie per la terza e quarta classe. Il corso elementare mantenne il suo carattere formativo con le materie fondamentali, mentre il corso popolare era considerato come preparatorio alla futura professione. Le discipline di studio previste erano: educazione morale, lingua italiana, aritmetica e geometria, calligrafia, disegno, educazione fisica, nozioni varie, scienze naturali e fisiche, igiene, storia e geografia. Queste erano le discipline per le prime quattro classi; la classe quinta e sesta formavano il corso popolare. A queste materie si aggiungevano i lavori donneschi per le femmine e la computisteria per i maschi. Le istruzioni dei programmi furono dettate dal filosofo Francesco Orestano e le sue raccomandazioni per quanto riguarda sia l'economia domestica sia i lavori donneschi, se per certi accenni all'uso di nuovi strumenti, come la macchina da cucire, lasciano intravedere qualche novità, danno ancora il senso di una società misera e ben lontana da un pieno sviluppo industriale. Se è vero che i programmi del 1905 lasciano direttamente intravedere i nuovi problemi di una società che si va trasformando, è vero anche che non mancano di semplicismo, anche per il marcato psicologismo herbartiano che li invade. Essi rivelano due difetti di fondo, il primo di essere eccessivamente ottimisti sulla preparazione degli insegnanti, il secondo di essere legati alla legge Orlando, ossia al corso popolare. La L. e i programmi Orestano rivelano la volontà di far fronte ai problemi del tempo e alle esigenze avanzate dal partito socialista, assegnando alla scuola elementare una duplice finalità, quella di preparare agli studi superiori e quella di preparare all'ingresso nel mondo del lavoro, anche se in realtà nell'ottica di canalizzazione precoce e di educazione classista, non raggiunsero né l'una, né l'altra. Pietro Pasquali e il frobelismo italiano L'influenza dell'attivismo opera in Italia in modo diverso dagli altri paesi europei, a causa della recente unificazione nazionale, di un'economia prevalentemente agricola e di una cultura parzialmente isolata dalle grandi correnti europee e fortemente segnata dalla tradizione cattolica. In Italia non si assiste alla formazione di scuole private per la formazione delle élite, ma a iniziative, anche a carattere pubblico, orientate all'educazione popolare. Inoltre, mentre in Europa le scuole nuove si concentrano soprattutto sugli studi secondari, in Italia si rivolgono all'istruzione primaria e quella infantile. Un anticipatore delle scuole nuove in Italia è Pietro Pasquali (1847 - 1921) che, in veste di direttore didattico a Brescia, dà avvio a una riforma degli asili infantili ispirata al modello dei kindergarten di Frobel. Per Pasquali, infatti, gli asili devono avere aule adatte e giardini, devono essere eliminate le forme di scolarità precoce introdotte precedentemente da Ferrante Aporti (per strappare i figli del popolo, chiamati già a sei o sette anni al lavoro, all'analfabetismo) e promosse attività che siano ponte tra gioco e lavoro: valorizzazione del gioco e del valore formativo dell'attività. Pietro Pasquali dà avvio alla riforma degli asili infantili: in particolare, egli ritiene che debbano essere "a misura di bambino" ed eliminare le forme di preconizzazione dell'istruzione. Di conseguenza, le attività svolte devono essere "ponti tra il lavoro e il gioco", cioè devono avere una valenza educativa, ma senza togliere al bambino la gioia e il piacere che derivano dal gioco. Devono essere attività pratiche con le quali il bambino apprende giocando, fornendo al bambino non un'istruzione, ma una formazione pratica, sociale e spirituale. Fornì lo stimolo per l'esperienza educativa delle sorelle Carolina e Rosa Agazzi. Approfondimento Frobel: Kindergarten A Blackenburg nel 1837 ebbe vita il primo istituto d'educazione per bambini al di sotto dei sei anni quello che avrebbe chiamato nel 1840 Giardino d'infanzia. Lo stesso anno Frobel creava la prima scuola per Maestre giardiniere (il paragone tra educatore e giardiniere è stato utilizzato per la prima volta da Pestalozzi). La fama di Frobel aumentò al punto che veniva salutato come caposcuola, ma nel 1851, la Prussia decretò la chiusura dei Giardini d'infanzia, perché impostati su di un'educazione "atea" e "socialista". Era in pratica un'accusa di liberalismo, probabilmente alimentato dal fatto che giornata. I bambini, invogliati, sono spinti a portare a scuola sempre più oggettini e da qui nasce l'idea di farli diventare patrimonio comune, a cui attingere per giocare. Di conseguenza le sorelle Agazzi sviluppano anche la convinzione che il materiale didattico non deve essere necessariamente precostituito e strutturato, ma può essere formato da oggetti semplici e casuali, a cui il bambino è affettivamente legato (pezzi di stoffa, fili, cocci, carte…). Il materiale semplice e povero ha il vantaggio di contribuire a sviluppare nel bambino la capacità costruttiva, produttiva, creativa ed artistica. Il metodo preso in considerazione dalle sorelle Agazzi è essenzialmente un "metodo intuitivo", in cui l'educatrice agisce in maniera indiretta a predisporre condizioni e situazioni nelle quali il bambino potrà apprendere al proprio osservare. Quindi, può essere definito anche come un "metodo del fare sé", in cui vengono preferite attività individuali libere, anche se però l'allievo deve saper cooperare con gli altri e ciò viene stimolato con il "metodo del mutuo insegnamento". Il metodo agazziano trova piena concretizzazione nelle attività di vita pratica legate all'igiene personale, alla preparazione della tavola, al riassetto, allo spostamento di materiali scolastici ed assume particolare importanza soprattutto il giardinaggio. Tali attività sono "attività di pre-lavoro", cioè attività mediante le quali il bambino apprende giocando e servono, inoltre, a contribuire alla continuità casa - scuola e stimolare il senso dell'ordine, nonché dell'armonia e della bellezza. Sono attività legate e finalizzate all'educazione estetica: il disegno, non solo come espressione libera, ma anche come rappresentazione di qualcosa (ad esempio, in seguito a un racconto dell'educatrice); la recitazione, cioè la drammatizzazione di episodi e situazioni tipiche della vita infantile, eseguite sull'esempio fornito dall'educatrice; la recitazione consente al bambino l'acquisizione di una maggiore fiducia in sé, capacità intellettuali e morali e stimola la socializzazione; le attività di vita pratica, che sviluppano il senso dell'ordine, dell'armonia e della bellezza; educazione sensoriale, intellettuale e linguistica: l'educazione sensoriale, proposta dalle sorelle Agazzi, segue un percorso che va dal colore alla forma. • Colore: vengono presentati al bambino oggetti che variano in base alle sfumature di colore. • Materia: il bambino si rende conto che due oggetti, pur avendo lo stesso colore, possono essere costituiti da materiali differenti. • Forma: infine, il bambino arriva ad analizzare le diverse forme degli oggetti, individuandone differenze e somiglianze. L'educazione sensoriale ha dei risvolti positivi anche sull'educazione intellettuale e su quella linguistica: nell'educazione intellettuale poiché stimola la curiosità, l'esplorazione e l'atteggiamento analitico e fornisce gli strumenti necessari a discriminare, i quali risultano utili in campo sociale per comprendere e rispettare la diversità delle opinioni e valutazioni; a livello linguistico, invece, l'educazione sensoriale, attraverso l'osservazione su colori, materia e forme, stimola il bambino ad esprimere valutazioni facendo uso di aggettivi e costruendo frasi di senso compiuto. L'educazione linguistica comincia analizzando i nomi dei contrassegni, fornendo parole via via sempre più complesse e lunghe. I contrassegni vengono utilizzati dalle sorelle Agazzi non solo per permettere al bambino di distinguere la propria roba da quella altrui, ma anche per avviarlo all'uso di simboli e allo sviluppo del linguaggio. L'educazione linguistica proposta dalle Agazzi prevede un apprendimento sistematico attuato mediato la conversazione ed il dialogo con l'educatrice. Non sono molti, per la fascia d'età dai tre ai sei anni, a usare l'espressione "Scuola dell'infanzia". Resiste ancora, dopo anni dagli orientamenti del 1991, l'espressione "Scuola materna", introdotta con la legge del 1968 che stabilì l'intervento diretto dello Stato in quella fascia d'età. Tra le persone anziane resti il termine antico di "asilo", come la parola presepe, che si riferisce ormai soltanto al periodo natalizio, benché avesse indicato in tempi remoti l'asilo infantile. Furono Rosa e Carolina Agazzi a introdurre il termine "Scuola materna", a partire dal 1985. È un nome che sottintende l'ispirazione all'ambiente familiare, ma ad un ambiente familiare modello, ordinato, pulito, dove ci si vuole bene e ci si aiuta scambievolmente. "Materno" è quindi l'atteggiamento affettivo della maestra e di tutto un indirizzo familiare "naturale" nel quale prevalgono gli esercizi di vita pratica e le attività di carattere estetico (disegno spontaneo, canto, esercizi ritmici, lavoretti ornamentali). L'esperienza didattica delle due giovanissime sorelle inizia fra il 1889 - 1890 a Nave, presso Brescia: Carolina ha in consegna un asilo di 180 bambini, ospitati in una stalla; Rosa, al piano superiore, 73 alunni della scuola elementare, tra i sei e i dodici anni. L'ambiente non è né sufficientemente ampio né sufficientemente areato, i banchi antiquati, il materiale didattico inesistente - la popolazione scolastica troppo numerosa, disordinata, sporca. Nel 1985 le sorelle Agazzi si trovavano a Mompiano (oggi quartiere periferico di Brescia - Nord), in un asilo improvvisato, frequentato da 100 bambini e dotato del materiale didattico froebeliano, contro il quale Rosa Agazzi muove serrate critiche nel Congresso Pedagogico nazionale di Torino del 1897, nel quale si rilancia il Metodo Agazzi e la consacrazione di Mompiano ad asilo modello. L'opera di Mompiano ha inizio con una bonifica igienica dell'ambiente, giunta a buon punto quando ogni bambino ottiene asciugamani, fazzoletti, bavaglini individuali; poi, nell'esperienza di ogni giorno, ecco viene maturando il metodo. Hanno inizio anche gli esercizi di giardinaggio e si mette a punto il primo allevamento di animali domestici. La casa dei bambini è un nuovo tipo di asilo: in esso le lezioni di impostazione tradizionale vengono ridotte al minimo, mentre si dà modo ai bambini di attendere a occupazioni note e familiari (rassettare, apparecchiare, lavare, ecc.), si curano il dialogo, il senso sociale e quello di responsabilità mettendo in relazione i bambini più grandi con quelli più piccoli. Né libri né lavagne, ma materiali di uso comune: "cianfrusaglie", spaghi, rocchetti, "contrassegni" per educare alla gestione di spazi individuali e attività espressive come il canto, espressione individuale e corale e momento di relazione e di libertà imprescindibile. Armonia e bellezza si ritrovano in tutti i momenti della vita quotidiana. Il bimbo deve essere membro attivo della grande "famiglia dei bambini". La scuola "materna", che Rosa dirige dal 1896, pensata come una casa, servirà da modello a molti altri asili infantili istituiti col nome delle sorelle Agazzi. Come abbiamo detto queste, insieme alle ricerche di Maria Montessori e Giuseppina Pizzigoni, mettono al centro del lavoro educativo il bambino, il quale deve crescere in un ambiente familiare che stimoli la sua creatività e deve avere un continuo dialogo con l'adulto. La sorella maggiore ha il carattere più forte e una personalità più trainante. È lei che firma i libri che divulgano la comune esperienza: essi non hanno mai l'aspetto di scritti sistematici, ma piuttosto di scritti occasionali, dettati sul momento dell'esperienza. Abbracciano tutte le attività della scuola materna: gli esercizi di lingua, il canto, i lavoretti. Le opere maggiori di Rosa Agazzi sono, in ordine di tempo: LA LINGUA PARLATA (1898) dove si preoccupa di eliminare alcuni gravi difetti, comunemente presenti anche nel linguaggio che la madre usa col suo bambino: le storpiature, i diminutivi, che anziché semplificare l'apprendimento delle parole, lo complicano e lo rendono più confuso; L'ABBICCì DEL CANTO EDUCATIVO, pubblicato la prima volta nel 1908; BIMBI, CANTATE!, edito nel 1911, a compimento dell'opera precedente; COME INTENDO IL MUSEO DIDATTICO DELL'EDUCAZIONE DELL'INFANZIA E DELLA FANCIULLEZZA, che uscì in prima edizione nel 1922. Questo libro, quando apparve, aveva chiaramente l'intenzione di liberare definitivamente la scuola infantile dall'artificioso e geometrico materiale Froebel. Invece dei simboli froebeliani, le Agazzi presentano oggetti reali, naturali, veri, tali da poter suscitare la curiosità e la simpatia del bambino. Citiamo, infine, la GUIDA DELLE EDUCATRICI DELL'INFANZIA (1929) e le NOTE DI CRITICA DIDATTICA (1492). Subito dopo la fine della Grande Guerra, le due sorelle tennero corsi di formazione e aggiornamento nelle nuove province di Bolzano e di Trento. Nel 1927 lasciarono l'attività scolastica. Maria Montessori A ventisei anni, M.M. si laureò in medicina all'Università La Sapienza di Roma, la città in cui era cresciuta. Oggi non sembra una notizia sensazionale, ma alla fine dell'Ottocento lo era: Montessori fu la terza donna a laurearsi in medicina in tutta Italia. Il suo primo lavoro e la sua prima sperimentazione educativa furono con i bambini "frenastenici", o "deficienti", come si diceva allora con una parola che oggi è divenuta solo offensiva, ma al tempo faceva parte del lessico medico. Dopo la laurea, Montessori divenne assistente presso la clinica psichiatrica dell'Università e in quella veste iniziò un progetto educativo con i bambini che erano rinchiusi in manicomio. Contro ogni previsione, anche dei suoi colleghi, non solo i bambini iniziarono a stare decisamente meglio, ma impararono a scrivere e superarono l'esame di licenza elementare. La prima, grande ipotesi teorica di Montessori fu che la questione che riguardava i bambini del manicomio fosse pedagogica e non medica. Quei bambini avevano bisogno di essere educati, non visitati, di giocare, parlare e muoversi, invece di star fermi, avevano bisogno di maestri e non di medici. Nei primi anni del Novecento Montessori studiò filosofia e insegnò antropologia all'Istituto Superiore di Magistero Femminile a Roma. Nello stesso periodo le fu proposto di aprire una scuola per i figli delle famiglie operaie del quartiere San Lorenzo di Roma. Fu la prima Casa dei bambini, un modello di scuola che divenne in poco tempo celebre in tutto il mondo. Da allora in poi Montessori divenne una pedagogista di fama internazionale; negli anni scrisse diversi libri, a cominciare dal fondamentale IL METODO DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA APPLICATA ALL'EDUCAZIONE INFANTILE, pubblicato nel 2909. Le scuole Montessori si moltiplicarono, soprattutto in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti. Dopo alcuni tentativi falliti di collaborazione con i progetti pedagogici del fascismo e il manifestarsi dell'incompatibilità tra il suo metodo e il regime, Montessori se ne andò dall'Italia e non vi tornò più. Oggi ricordiamo Maria Montessori come una grande pedagogista, ma per capire la sua opera è importante ricordarsi che era anzitutto una scienziata. Come scienziata propose, infatti, un metodo pedagogico fondato sull'osservazione e l'esperienza. Oltre a questi due elementi, però, Montessori considerava la pedagogia come diretta a un obiettivo etico - morale: educare alla libertà. all'insegnamento. Nel 1920 ottenne la cattedra di maestro a Bar-Sur-Loup, un comune delle Alpi Marittime. Questa prima esperienza di insegnamento rese evidente al giovane Freinet quanto fossero necessari nuovi strumenti pedagogici per poter entrare in contatto con i giovani studenti, interessarli e stimolarli all'apprendimento. In particolare, egli riteneva necessario riuscire a integrare nella scuola i giovani più poveri e provenienti da contesti disagiati. Egli continuò dunque a formarsi e ad approfondire tematiche legate alla pedagogia e all'educazione, viaggiando in Europa per conoscere nuove esperienze educative, scrivendo libri e articoli, presenziando a convegni. Ottenne la laurea, ma non volle abbandonare l'insegnamento a Bar- sur-Loup. Egli, in questa scuola, cominciò a mettere in atto una serie di tecniche (in particolare il testo libero, l'uso della tipografia per stampare i testi degli allievi, la corrispondenza tra studenti) che rivoluzionarono il modo di intendere l'apprendimento scolastico, non più basato sull'autorità del maestro e sulla ricezione passiva da parte degli studenti, ma fondato su una partecipazione attiva degli alunni, sul rispetto e l'estrinsecazione degli interessi individuali, sulla cooperazione, sul legame tra la scuola e l'ambiente di provenienza dei giovani allievi. Le lezioni venivano dunque strutturate in maniera diversa rispetto a quelle proprie di una scuola tradizionale e comprendevano passeggiate in mezzo alla natura e in campagna e la visita delle botteghe artigiane del paese. A partire da queste esperienze, era poi possibile trattare di geografia, storia, matematica e esercitarsi con il calcolo legando la didattica alle sperienze vissute. Nel 1926 Freinet sposò Elise Lagier-Bruno. Nel 1928 Célestin e la moglie Elise non abbandonarono le Alpi Marittime, ma si trasferirono in un altro paese, a Saint Paul. La scuola di questo paese versava in pessime condizioni e Célestin si rivolse alla municipalità per ottenere alcuni miglioramenti. Non ottenne ciò che auspicava per i suoi allievi e la situazione con le autorità si esacerbò al punto che Célestin ed Elise decisero di abbandonare l'insegnamento nella scuola pubblica, abbandonare Saint Paul e dedicarsi a un altro progetto. Nel 1935 crearono nella cittadina di Vence una scuola cooperativa, indipendente e privata, denominata Ecole Freinet: questa nuova scuola fu il riferimento principale per l'Ecole Moderne Française e fu legato alla Cooperativa di Insegnamento Laico (Cooperative de l'Enseignement Laic, CEL.) che, fondata nel 1928, raggruppava insegnanti interessati a conoscere l'opera di Freinet, a scambiarsi informazioni e a costruire materiale didattico da impiegare con i propri allievi. Scoppiata la Seconda Guerra Mondiale, Freinet fu internato e, una volta liberato, combatté come partigiano nella Resistenza francese. Terminato il conflitto, poté tornare a Vence e riprendere la sua attività di insegnante ed educatore. Nel 1948 fondò l'ICEM (Institut Coopéerative de l'Ecole moderne) e nel 1957 diede vita alla FINEM, La Féderation Internationale des Mouvements de l'Ecole Moderne con l'obiettivo di creare un luogo di discussione e confronto tra gli insegnanti e riformare il mondo scolastico secondo i principi di una pedagogia volta all'attuazione del diritto di tutti all'istruzione. C.F. morì a Vence l'8 ottobre 1966. Egli è un esponente della pedagogia popolare, una pedagogia volta al riscatto sociale degli alunni più poveri e provenienti dai contesti più umili e subalterni. F. pose al centro del suo progetto educativo la cooperazione tra i ragazzi e anche tra i docenti, come dimostrano le iniziative organizzate per permettere agli insegnanti e agli educatori di confrontarsi tra loro e raccontarsi le differenti esperienze educative. Alla base del suo pensiero è la volontà di educare e insegnare ai ragazzi attraverso un percorso naturale e "a tentoni" (tâtonnement, in francese), da intendersi come un apprendimento che si realizza attraverso l'esperienza, la collaborazione con i compagni e una revisione collettiva degli errori. Il compito dell'educatore è quello di orientare il fanciullo. L'insegnamento e l'apprendimento devono essere calati nell'ambiente sociale del fanciullo, la scuola deve essere collegata alla vita. La condivisione delle acquisizioni è un aspetto fondamentale di questo modello educativo. L'insegnante deve saper valorizzare gli interessi individuali dell'allievo, stimolarlo e accettare i suoi tempi di apprendimento. Lo studente deve, quindi, essere considerato un soggetto attivo, da rispettare nei suoi bisogni e valorizzare nelle sue indicazioni. Freinet scrisse molti testi nei quali egli descriveva la propria attività educativa e le proprie tecniche di insegnamento, fornendo così un valido aiuto alla didattica per quegli insegnanti interessati a seguire e a confrontarsi con la sua opera. Tra i suoi libri principali, si possono ricordare: La stamperia a scuola, Nascita di una pedagogia popolare, I detti di Matteo, La scuola moderna, Le mie tecniche, Il metodo naturale. L'apprendimento della lingua, Saggio di psicologia sensibile (applicata all'educazione), La scuola del popolo, L'apprendimento della lingua secondo il metodo naturale, L'educazione del lavoro, L'apprendimento della scrittura e L'apprendimento del disegno. Freinet elaborò una serie di tecniche che utilizzò nella sua didattica sin dalla prima esperienza di insegnamento a Bar-sur-Loup e che poi continuò a usare e a perfezionare durante tutta la sua vita di insegnante. Le tecniche sono il fulcro del progetto educativo di Freinet e rappresentano al massimo grado il suo pensiero. Per Freinet la scuola deve essere una sorta di cantiere, dove tutti lavorano, collaborano e condividono i progetti e i risultati ottenuti. Le tecniche principali sono: • Il testo libero: un testo il cui tema è scelto in base all'interesse e alle inclinazioni dei singoli allievi. Il maestro, dunque, non impone il soggetto, né stabilisce l'orario di consegna. Dopo la lettura collettiva di tutti i testi, gli allievi di Freinet e Freinet stesso votavano il testo ritenuto migliore, lo correggevano insieme e poi tutti insieme lo stampavano. I testi stampati venivano poi raccolti in quello che veniva chiamato "Il libro della vita" e servivano alla creazione di un giornalino o venivano invitati agli allievi delle altre scuole con i quali si aveva un rapporto epistolare. • La tipografia: è la stampa dei testi scritti dagli allievi. Questa tecnica, tra le più note di Freinet, permetteva la valorizzazione del lavoro e della creatività degli studenti, la cooperazione nel lavoro, l'autodisciplina, il miglioramento della padronanza ortografica. Stampati e decorati i testi, si selezionavano le copie da inviare alle altre scuole. • La corrispondenza con altre scuole: questa tecnica è corollario dell'attività di stampa. Freinet si impegnò molto per favorire la comunicazione dei suoi allievi con gli studenti di altri istituti. Lo scambio di testi con altri ragazzi era uno stimolo alla scrittura e alla conoscenza di altre realtà. La prima corrispondenza avvenne con una classe di Trégung, in Bretagna, il cui maestro era un amico di Freinet. • Lo schedario: è una raccolta di testi selezionati e scritti dai ragazzi, ordinati per temi, ai quali l'allievo poteva attingere per approfondire un certo soggetto o verificare alcuni dati. Di facile lettura, lo schedario non era una opera definitiva, perché si arricchiva man mano con le schede create dagli allievi. F. non ritenne più necessario usare i testi scolastici, sostituiti da questa opera. F. si occupò di creare, con gli allievi, anche uno schedario di autocorrezione della lingua e di aritmetica, in modo che ogni ragazzo potesse correggersi da solo, seguendo il proprio ritmo di apprendimento. [Il pensiero di Freinet ebbe un largo eco anche in Italia: nel 1051 venne fondata la Cooperativa della Tipografia a scuola; nell'arco di alcuni anni essa prese il nome di Movimento di Cooperazione Educativa e divenne il centro di diffusione delle idee di Freinet in Italia e luogo di confronto tra gli insegnanti]. IDEALISMO Con l'espressione idealismo pedagogico, si designa una particolare modalità di rapporto tra la filosofia e la pedagogia perseguita, nell'Italia della prima metà del Novecento, da autori come Gentile e Lombardo Radice e, in misura diversa, più contaminata da altri influssi, da professori come Gino Ferretti, Codignola, Bernardino Varisco. Mentre in tutte le grandi tradizioni filosofiche la pedagogia era di fatto uno sviluppo del confronto necessario tra premesse teoriche e la realtà depositaria dei dati dell'esperienza, così da configurarsi più come arte che come scienza, l'idealismo pedagogico tende come suo dovere teorico e logico ad assorbire la pedagogia nella filosofia che diventa il luogo in cui si fondano tutte le scienze, quelle della natura come quelle dello spirito. L'idealismo pedagogico si distingue perciò dal positivismo pedagogico e dallo storicismo pedagogico per la ricerca di un principio unitario che non solo vivifichi, ma fondi tutta l'esperienza umana. In realtà, più che di idealismo sarebbe opportuno parlare, nel caso italiano, di neoidealismo. Se, infatti, di una filosofia idealistica moderna si può parlare con riferimento a tutti i contesti europei, l'idealismo italiano, di matrice mista, rinascimentale e kantiana prima ancora che hegeliana, è molto particolare perché è stato generato, oltre che da un intento speculativo, dal bisogno civile di ricondurre ad unità e razionalità l'impetuoso affacciarsi della società borghese alla vita dello Stato. Premessa della soluzione metafisica dell'attualismo gentiliano fu certamente l'appello crociano per una "rinascita dell'ideale", nei primi anni del secolo. Esso segnava il massimo tentativo di apertura della cultura nazionale e risorgimentale al confronto europeo e insieme il migliore contributo italiano alla rinascita della filosofia come problema fondamentale dell'uomo, come fondazione umanistica della metafisica o dell'antimetafisica. Ma mentre per Croce gli sviluppi furono contrassegnati da un sempre più marcato storicismo e in campo politico da un intransigente liberalismo, per una parte degli intellettuali italiani, riunitisi intorno alla figura di Gentile, la scoperta della possibilità teorica di far coincidere la pedagogia con la filosofia e per suo tramite con la didattica, aprì le porte di un impegno diretto nel campo della formazione e, in particolare, in quello della scuola, che portò a schierarsi dalla parte dell'autorità incarnata dallo Stato. Più che per ogni altra sua versione contemporanea vale pertanto per il neoidealismo italiano la definizione di "pedagogico", perché non esiste nessun sistema speculativo contemporaneo che con più forza di quello di Giovanni Gentile abbia legato il carattere autogenetico dello spirito alla pratica autoeducativa del conoscere-facendo e alla riforma dell'educazione e della scuola attraverso la riqualificazione e la rimotivazione degli insegnanti e dei maestri. La personalità è l'unità assoluta dell'uomo nel suo farsi e l'educazione - affermò Gentile a più riprese - non può assolutamente riferirsi all'uomo se non "immedesimandosi con il suo movimento radicale e perciò conformandosi interamente alla sua unità" (Gentile, 1920). Parallelamente, però, anche la nazionalità di un popolo non consisteva - per il filosofo siciliano - semplicemente nel suo Gramsci "papa laico della cultura italiana", la sua filosofia ha goduto di enorme credito nella cultura italiana, del XX secolo, perlomeno fino agli anni Settanta e ottanta, in cui si sono levate molte critiche verso il suo approccio, ritenuto superato. Croce fu un intellettuale rispettato anche al di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la copertina negli anni '30, e negli anni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionale Foreign Affairs lo inserì nel 2012 tra i pensatori più attuali tra quelli del '900, accanto a intellettuali come Isaiah Berlin, Francis Fukuyama e Lev Trotsky. Giovanni Gentile Nasce a Castelvetrano, in provincia di Trapani, il 29 maggio 1875. Studente estremamente capace, dopo il liceo riesce ad entrare alla Scuola normale superiore di Pisa, dove ha i primi contatti con il pensiero hegeliano e con Benedetto Croce, con cui nasce un'amicizia duratura. La laurea conseguita nel 1897 segna l'inizio di una brillante carriera universitaria che lo porta a ricoprire il ruolo di docente di filosofia in diverse importanti università italiane. L'inizio del nuovo secolo segna un periodo di grande impegno e grandi realizzazioni per Gentile, che comincia ad imporsi come intellettuale di rilievo nel panorama italiano anche attraverso la collaborazione con l'amico Benedetto Croce, insieme al quale do vita alla rivista La Critica, in cui si occupa di storia della filosofia. Gli anni '10 segnano un periodo di svolta nella vita del filosofo: la pubblicazione di L'ATTO DEL PENSIERO COME ATTO PURO (1912) e de LA TEORIA GENERALE DELLO SPIRITO COME ATTO PURO (1916) segnano due momenti di importante formalizzazione del pensiero gentiliano, consacrandone definitivamente il ruolo di intellettuale, mentre la partecipazione alla disputa sull'interventismo ne segnano l'ingresso all'interno del dibattito politico; sotto il profilo professionale Gentile continua a ricevere incarichi di docenza prestigiosi presso le maggiori università italiane e, dal 1915, è membro del Consiglio superiore della Pubblica istruzione. La sua partecipazione politica prosegue anche nel primo dopoguerra con posizioni sempre più marcate che, nel 1922, lo portano a sostenere apertamente il partito fascista: si tratta di una posizione definitiva che il filosofo siciliano porta avanti coerentemente e che non è mai messa seriamente in discussione, e che lo rende, in definitiva, l'intellettuale fascista più importante. Dal 1922 al 1924 ricopre la carica di Ministro della Pubblica istruzione, carica affidatagli dallo stesso Mussolini, portando a termine, nel giro di pochi mesi un'importante riforma scolastica che, nonostante alcune modifiche apportate già dopo pochi anni, ha resistito a lungo nei suoi capisaldi principali. Rimane fedele al regime anche durante la crisi seguita all'omicidio Matteotti, e nel 1925 si fa promotore del Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui ricollega l'esperienza politica fascista a quella risorgimentale, e lo individua come un'ancora per la salvezza morale dell'Italia: posizioni che lo allontanano definitivamente da Benedetto Croce che, invece, si schiera su posizioni antifasciste. Nel 1925 Mussolini gli affida la direzione dell'Istituto Treccani per l'Enciclopedia italiana, carica che mantiene fino al 1938, e nel 1931 è tra i promotori del Giuramento di fedeltà al fascismo imposto ai docenti universitari italiani, nel 1932 assume la direzione della Scuola Normale Superiore di Pisa. Dopo l'8 settembre del 1943 aderisce alla Repubblica Sociale Italiana, dove viene nominato presidente della Reale Accademia d'Italia; nonostante si trovi nel pieno dei travagliati momenti del conflitto, Gentile prosegue il suo lavoro e scrive GENESI E STRUTTURA DELLA SOCIETA', l'ultima opera, che viene pubblicata postuma. Gentile, insieme a Benedetto Croce, è il maggior esponente del neoidealismo italiano, per la precisione egli stesso definisce come attualismo il suo particolare modello di pensiero. Si tratta di una profonda riforma della filosofia hegeliana, che viene espressa dal filosofo siciliano nelle sue due opere più significative, le già citate L'ATTO DEL PENSIERO COME ATTO PURO e de LA TEORIA GENERALE DELLO SPIRITO COME ATTO PURO. Il pensiero gentiliano parte anzitutto dal superamento dell'idea di dialettica sia com'era concepita dalla filosofia antica, che considera le idee come qualcosa di esistente aldilà del pensiero stesso, che da quella moderna, che invece considera la dialettica come attività del pensiero pensante. Gentile, invece, considera la dialettica come relazione tra oggetti, considerando la realtà in relazione al soggetto che la pensa, nel momento in cui esso la pensa: in parole povere è l'atto del pensare che crea la realtà, che la definisce e la sintetizza pur nella sua enorme complessità e molteplicità, e da qui il nome di attualismo. Per Gentile lo Spirito è qualcosa di unico e indivisibile e va inoltre considerato come qualcosa di attivo, che pensando agisce producendo la realtà, e producendo quindi anche le arti, le scienze e la filosofia, che vengono identificate come tre momenti diversi della vita dello Spirito. L'arte, intesa come espressione personale e soggettiva dell'artista che la produce, rifugge da qualsiasi tentativo di oggettivizzazione. La religione e la scienza, invece, sono frutto del tentativo di comprensione dell'uomo, che proietta, erroneamente, al di fuori di sé l'Io e l'oggetto della sua ricerca: la religione, ad esempio, non solo proietta all'esterno dell'Io il suo oggetto, ma si sottomette ad esso venerandolo; allo stesso modo la scienza opera una divisione dello Spirito ponendo al di fuori di sé, come oggetto, quella natura che si pone come obiettivo del suo studio. La giusta sintesi tra queste due opzioni è operata dalla filosofia che, agendo in senso trascendentale, riesce a conciliare le posizioni soggettive e quelle oggettive in una sorta di autocoscienza dell'Io, in grado di dare consapevolezza del reale e di fornire il giusto senso sia a Dio che all'uomo. A livello storico e politico il nome di Giovanni Gentile è legato principalmente al nome della riforma del sistema scolastico del Regno d'Italia che il filosofo promuove attraverso una serie di decreti normativi nel periodo tra il 1922 e il 1924 in cui è Ministro dell'Istruzione. Si tratta di una riforma assai controversa, che ha attirato le critiche dei contemporanei che la ritenevano inattuale, ma che si è dimostrata difficile da smontare; uno degli obiettivi dichiarati del suo promotore è quello di garantire a tutti gli studenti l'istruzione elementare ma, al tempo stesso, di ridurre drasticamente il numero degli studenti nelle scuole di grado medio e superiore. L'obbligo scolastico viene innalzato fino ai quattordici anni di età e grande importanza viene data alla formazione elementare, che si caratterizza anche per il peso che viene dato all'insegnamento della religione cattolica. Al termine delle scuole elementari c'è la possibilità di accedere alle scuole secondarie, che erano a numero chiuso, tramite un esame. Gli studenti possono scegliere se iscriversi alla scuola di avviamento professionale, intraprendendo un percorso di studi di tre anni utili all'ingresso nel mondo del lavoro, o se imboccare gli studi liceali, gli unici che consentivano di imboccare, poi gli studi universitari. Si traccia una differenza anche tra i licei: il liceo scientifico predilige lo studio delle scienze esatte e consente l'accesso agli studi universitari ma solo per le facoltà tecniche e scientifiche, mentre il liceo classico, in cui vengono predilette le materie umanistiche come la filosofia e le lettere ed anche giurisprudenza, va a definirsi come scuola in cui è più difficile l'ingresso, altamente meritocratica, che assume quindi l'obiettivo di formare per la futura classe dirigente del Paese. Un altro tipo di percorso scolastico superiore è rappresentato dall'istituto magistrale, in cui una popolazione scolastica femminile viene preparato ad insegnare nelle scuole elementari. A livello organizzativo, l'apparato scolastico strutturato dalla riforma ha un carattere fortemente gerarchico e centralizzante: i vari organi consultivi e collegiali vengono aboliti o perdono enormemente d'importanza. Sia i presidi delle scuole secondarie che i rettori delle università vengono scelti e nominati direttamente dal ministero. Giuseppe Lombardo Radice Nato nel 1879 a Catania, si laurea all'Università di Pisa in filosofia nel 1901 ed ottiene una borsa di studio per il perfezionamento presso l'Istituto di studi superiori di Firenze dove consegue il diploma e nel 1903 ottiene l'abilitazione all'insegnamento della filosofia a Pisa. Inizia il suo cammino di insegnamento presso il collegio dei barnabiti "Alla Querce" e, allo stesso tempo, si interessa a una scuola per gli orfani dei marinai. In questo periodo, sente in maniera crescente nascere la passione per la pedagogia. Seguono anni di insegnamento in diverse zone d'Italia; Catania, Arpino, Foggia, Palermo, Messina per poi ritornare a Catania. Durante il periodo fascista e alle dipendenze di Giovanni Gentile (Ministro della Pubblica Istruzione) stende i programmi ministeriali per la scuola elementare dove prevede anche l'utilizzo delle lingue locali nei libri di testo, in quello che venne poi definito come il programma "Dal dialetto alla lingua", anche se il progetto non sarà poi messo in pratica a causa dell'ideologia fascista in corso. Radice non sostiene il regime fascista, tanto che, a seguito del delitto Matteotti, decide di insegnare pedagogia all'Istituto superiore di magistero di Roma fino al 1928. Questa sua presa di posizione non passa inosservata, vive un periodo di emarginazione e si ritira dalla militanza politica, ma questo non lo risparmia dal prestare giuramento di fedeltà al fascismo. Questa pratica, imposta dal regime, è scelta obbligata: "il diniego significa la perdita della cattedra e l'esclusione da ogni forma di insegnamento". Trova sollievo da questa situazione, operando alla divulgazione di un nuovo indirizzo pedagogico attraverso la rivista "L'EDUCAZIONE NAZIONALE". Grazie alla rivista, Radice sostiene le opere del filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, definito dal pedagogista un vero "profeta dell'educazione nuova". Radice ha il merito di aver sviluppato il concetto di pedagogia pratica. L'autore amava realmente la scuola, tanto da trarre ispirazione non da colleghi universitari bensì dagli insegnanti delle scuole elementari che applicavano sul campo le loro esperienze. Il suo più grande desiderio era quello di vivere e concretizzare una scuola serena. Il pedagogista sottolinea come il maestro che non si adegua ai bambini e che non si attualizza, non si aggiorna, che non vuole essere interpellato, che segue sempre e solo il programma ministeriale sia colui che fa della scuola un luogo noioso, addirittura detestabile. L'opposto della scuola serena, appunto. L'insegnante della scuola serena deve parlare alle anime, deve indurre gli allievi ad interpretare la vita, creando le migliori condizioni possibili per l'apprendimento. Il maestro deve mettersi in ascolto, deve considerare i propri discenti come collaboratori. Gli alunni imparano a dialogare e a conversare senza timori. Anche rispetto al dialetto il pedagogista non pone limiti: "un ragazzo potrà parlare utilizzando il proprio dialetto per poi passare gradualmente al corretto utilizzo della lingua italiana". Il corretto impiego della lingua avviene non solo perché l'insegnante è adeguatamente preparato, ma perché il maestro spiega i proverbi con le corrispondenze in lingua italiana, ma non solo, vengono "tradotti" ed interpretati anche il canto dialettale, i canti religiosi e patriottici (quelli che Radice riassume nel concetto di "poesia") e i modi di dire. In altre parole, si utilizza il concetto di pedagogia pratica. profondi motivi etici ispiratori della problematica del cosiddetto "socialismo neokantiano" di Eduard Bernstein, Franz Staudinger e Karl Vorlander, ritenne necessario utilizzare i temi metodologici della filosofia di Immanuel Kant per far fronte agli aspetti troppo rigidamente deterministici presenti nella concezione della storia del marxismo della Seconda internazionale e più vicini alle concezioni del positivismo ottocentesco. Rodolfo Mondolfo Nacque in provincia di Ancona, ultimogenito di una famiglia benestante di commercianti di origine ebraica. Suo fratello maggiore, Ugo Guido, fu uno storico, membro del Partito socialista italiano sin dalla sua fondazione e stretto collaboratore di Filippo Turati alla rivista "Critica sociale"; anche Rodolfo aderisce alle idee marxiste e socialiste. La maggiore elaborazione teorica e anche l'impegno politico più diretto di Mondolfo è collocabile nel periodo che va dai primi saggi marxisti al 1926, quando iniziò a prendere corpo - mediante una serie di riforme legislative e costituzionali - lo Stato fascista. Nel 1908 Mondolfo pubblicò sulla "Critica sociale" un breve scritto intitolato LA CRISI DEL MARXISMO?; l'anno seguente diede alle stampe TRA IL DIRITTO DI NATURA E IL COMUNISMO. STUDI DI STORIA E FILOSOFIA (1909), raccolta in volume di una manciata di scritti sul nesso tra comunismo scientifico e tradizione illuministica. Lo stesso anno fece uscire LA FILOSOFIA DEL FEUERBACH E LE CRITICHE DEL MARX. Si tratta di tre testi fondativi, perché tratteggiano rispettivamente l'animus politico con il quale Mondolfo affronta il dibattito in casa socialista, lo sfondo di eredità ideale sul quale colloca il comunismo e il macchinario teorico con il quale egli definisce da subito, con straordinaria lucidità, il proprio approccio al marxismo. Lo scoppio della Rivoluzione russa lo vide schierarsi senza esitazioni tra gli avversari dei bolscevichi, in ciò aderendo alla posizione dominante nell'ala riformista del PSI. La sua polemica con Vladimir I. Lenin e le analisi della realtà storica del nuovo Stato sovietico - a suo avviso non socialista, ma capitalista di Stato - si intrecciarono da subito con la registrazione preoccupata del sorgere del fascismo, equiparato al bolscevismo in quanto fenomeni distruttivi e alieni dalla cultura dello Stato di diritto. Quando in Italia gli spazi culturali e politici per socialismo e marxismo si chiusero, Mondolfo avviò una nuova carriera scientifica come antichista e si affermò come tale anche grazie all'avvio nel 1932 della ripubblicazione, con ampi aggiornamenti e note critiche, della storia della filosofia greca di Eduard Zeller, mentre riprese anche gli studi sulla filosofia del Seicento e del Settecento. Nel 1931 Mondolfo giurò, come la quasi totalità dei professori universitari italiani, fedeltà al fascismo. Gli anni '30 furono occupati da opere importanti di filosofia antica, come il già citato avvio dello Zeller e la monografia su L'INFINITO NEL PENSIERO DEI GRECI, del 1934, e da sporadiche messe a punto sulla questione sociale e sul marxismo, come nel caso di alcune voci redatte per l'Enciclopedia Italiana diretta da Giovanni Gentile. Nel 1938 Mondolfo fu rimosso, in quanto ebreo, dall'incarico universitario. L'anno seguente si trasferì con la famiglia in Argentina dove, nel 1940, iniziò a lavorare a Cordoba come professore incaricato di storia della filosofia e di greco. L'avvento al potere di Juan Domingo Peron, nel 1946, segnò anche in Argentina l'irruzione di "un regime che, specialmente nei primi tempi, si ispirava a un'ideologia molto simile a quella del fascismo". Mondolfo, che non aveva nascosto le proprie simpatie democratiche, si vide indotto, nel 1948, ad abbandonare Cordoba per l'ateneo di nuova istituzione, e più aperto, di Tucuman, dove assunse l'incarico di direttore dell'istituto di filosofia e professore di Storia della filosofia antica. La morte della moglie Augusta nell'ottobre 1950 e l'inasprirsi del regime peronista - con pesanti effetti anche dentro le università - contribuirono a convincere Mondolfo a rinunciare al posto e a ritirarsi nel 1952 a Buenos Aires. Nel 1966 un colpo di Stato aprì il periodo di dittatura militare, fino al 1973 - 1976, periodo di alta instabilità sociale che crebbe fino a un nuovo colpo di Stato militare del 1977, anno in cui Mondolfo morì, amareggiato dalla situazione. Si è fatto cenno ai tre capisaldi del pensiero e dell'intervento politico di Mondolfo nel 1908-1909: e cioè il suo modo di inserirsi nel dibattito interno del PSI, lo sfondo storico del comunismo (e il connesso tema dell'eredità), la concezione del marxismo. Per affrontare nella loro connessione i tre aspetti di quella che, almeno fino al 1926, appare come un'unica, organica elaborazione teorica e politica, è utile prendere le mosse da due giudizi sull'opera di Mondolfo, dovuti rispettivamente a Norberto Bobbio e a Eugenio Garin. Il primo ha sottolineato il fatto che il marxismo del senigalliese si propone non come rovesciamento della concezione hegeliana dell'Idea, ma come critica della teoria "illuministica" (o presunta tal" della storia. Così, mentre nel primo caso il marxismo, criticando la metafisica hegeliana, "diventa la concezione della priorità dei cosiddetti rapporti materiali con la connessa critica delle ideologie; nel secondo diventa un modo di accostarsi alla storia come storia dell'uomo naturale e sociale insieme […] contro la storia idealizzata o teologica di Hegel". Da una parte l'analisi scientifica dei rapporti sociali mediante la coppia base/sovrastruttura, dall'altra - e qui è Mondolfo - il rapporto soggetto/oggetto come matrice per la comprensione della storia e la conseguente enfasi posta sul concetto di "rovesciamento della prassi". Il marxismo come filosofia della prassi viene sviluppato da Mondolfo a partire anzitutto dall'abile separazione di Feuerbach dalla tradizione materialistica. Quello del filosofo di Landshut è piuttosto un umanismo che nasce dall'esigenza di rivendicare, contro Georg Wilhelm Friedrich Hegel, la mondanità dell'esperienza, la natura comunitaria dell'uomo e la concretezza dei suoi bisogni. Il limite di Feuerbach sta nel suo naturalismo, nel suo ancorare l'esperienza al mondo del singolo, ignorando la sfera delle relazioni sociali e quindi la storia. Invece Marx parte dalla comprensione del dinamismo della storia, in una variazione progressiva, nella quale ogni momento è legato alle condizioni reali esistenti. Cosicché il passato condiziona il presente e questo l'avvenire; ma al tempo stesso è anche stimolo e impulso all'azione ulteriore modificatrice, sicchè lo sviluppo storico risulta dalla confluenza e dal contrasto insieme di due elementi: le condizioni reali e la volontà umana. Si vede qui come il nesso soggetto/oggetto sia il modo specifico con il quale Mondolfo, nel momento in cui oltrepassa l'antitesi di idealismo e materialismo, ne ritrova anche gli effetti in forma nuova: in quella, feuerbachiana, della Entfremdung, cioè nel meccanismo dell'alienazione che Marx trasporta dalla natura dentro la storia, ridefinendo in termini di contrasto tra "forze attive" e la loro sistemazione in "forme", ovverosia tra la perpetua creazione di nuova storia e il suo progredire sempre mediante "il costituirsi di interessi differenziati, ossia di gruppi, di ceti, di classi interessate alla conservazione delle forme e dei rapporti esistenti". La storia è insomma una combinazione inestricabile tra l'unità del processo (riconducibile alla prassi) e le strutture differenziate entro le quali esso non può non svolgersi, e che alla prassi si contrappongono come altrettante "alienazioni". Il rapporto con Feuerbach spiega perché egli attribuisca al trascorrere del tempo in quanto tale il distacco dell'opera dall'operazione, per cui l'insieme delle "alienazioni" finisce per identificarsi senz'altro con l'insieme delle "condizioni" date. Questo ribaltamento non viene spiegato sulla base di specifiche analisi dei rapporti sociali, ma grazie all'identificazione della divisione in classi della società da una parte con l'opposizione tra "forze proprie" e forme alienate, dall'altra con quella tra forze produttive e rapporti di produzione. Mondolfo investe in una prospettiva stadiale della storia come successione dei modi di produzione e insieme un presupposto filosofico di matrice kantiana, che si ritrova a due livelli, rispettivamente alla base e al culmine dell'analisi del processo rivoluzionario. Infatti, da una parte il riconoscimento dell'insieme di condizionamenti all'azione è detto da Mondolfo "momento della critica (nel senso kantiano), che ci dà conoscenza dei limiti all'azione (negazione)", dall'altra l'azione è vista non come conseguenza immanente della "negazione", ma come negazione della negazione, e sorge pertanto come istanza etica che assume la forma di "diritti naturali, o principi di giustizia, o fini di liberazione umana", riprendendo in tal modo il Kant della ragione pratica e della filosofia della storia. Questo secondo versante del discorso è fortemente sviluppato nel libro su Engels, del 1912, nel quale non solo Mondolfo intendeva dimostrare l'esistenza di un pensiero originale del filosofo e liberare il marxismo dall'accusa di meccanicismo, ma aspirava a "distruggere la leggenda dell'antieticità del materialismo storico". Se, infatti, l'universalismo umanistico non può svolgere alcuna funzione nel vivo della lotta, perché "una morale superiore alle lotte non può più essere arma di lotta", è vero però che non tutte le morali si equivalgono, e che tra di esse si può istituire "una scala di valori per mezzo del concetto di una morale umana". Così, morale feudale, borghese e proletaria sono "tappe di questo faticoso cammino ascensionale", nel senso che vi è una superiorità della terza, ma non assolutamente, in quanto rimane pur sempre una "morale di classe", non è ancora una "morale veramente umana, perché ad aver questa occorre che sian scomparsi dalla vita anche i ricordi degli antagonismi di classe". Opponendosi all'estrazione del plusvalore, l'operaio apre non un problema economico, ma una questione etica, che rinvia a un altro diritto, poggiante sull'uomo e non sul borghese; egli lamenta cioè un'"offesa a un diritto naturale". Nelle lotte di resistenza della classe operaia vive un universalismo morale che fa dei proletari gli unici capaci di instaurare il "regno della libertà": qui, e non nella sua pretesa verità assoluta, che spetta solo all'ideale, è la superiorità della loro morale. La "gradazione" rimane dunque relativa. Come si vede, la distinzione radicale tra ideale e reale, tra campo del noumenico e campo del fenomenico, fonda e giustifica un'idea di comunismo come ideale morale, verità incondizionata ma, proprio perché tale, esorbitante dall'ambito delle conoscenze empiriche. Makarenko Anton Semënovič Makarenko (1888 - 1939) parte proprio dall'ideologia pedagogica sopra esposta (la formazione del comunista e del lavoratore) per la strutturazione della sua linea di pensiero. Essenzialmente lui concepisce la pedagogia non come processo individuale, o volto alla formazione individuale, ma come processo sociale. Destinatario della sua educazione non è lo studente ma il collettivo, visto come impegnato in un lavoro produttivo e fortemente ideologizzato in direzione della solidarietà sociale nei confronti della società stessa e dello stato. In quest'ottica così rigidamente definita, strumento chiave dell'educazione diviene la disciplina, che inizialmente è imposta agli studenti come legge (stabilita quindi dagli educatori), ma che poi, siccome gli ordini non devono essere solo eseguiti ma compresi e interiorizzati, da imposta dall'esterno diventerà gradatamente un autoregolarsi in modo da far coincidere le esigenze individuali con quelle più generali del collettivo. Predominante è l'attenzione riservata al metodo nell'apparato teorico del pensiero sovietico. Lo strumento base a livello metodologico è il collettivo stesso: esso è visto come soggetto a sé nel quale si riassume ogni forma di esperienza educativa del giovane, esso è molto di più della somma degli individui che lo frequentano. Inoltre, il termine collettivo fa riferimento a tutta la comunità che lo compone, per subito schiavo del 'procedimento'"; la sua vera personalità, la sua esperienza di vita è rimasta fuori e, probabilmente, se non entra in principio nella scuola, non vi entrerà più. Il maestro deve farsi "psicologo" e "sociologo", deve conoscere l'ambiente sociale in cui vive l'alunno, conoscere le famiglie e l'ambiente fisico in cui è cresciuto ma soprattutto in che modo il fanciullo lo ha filtrato e assimilato. È necessario poi che il fanciullo accolga la scuola come "ambiente di vita". Il primo giorno di scuola, dunque, è importante per dare un'impronta positiva a quello che sarà il percorso scolastico e il maestro insegna giochi, racconta favole, vuol sapere i nomi, dove abitano gli alunni e altre informazioni personali che aiutano alla conoscenza reciproca. Una delle principali fonti di espressione per il bambino è quella orale; l'espressione orale è uno dei fondamentali modi di vivere del fanciullo nella comunità. L'espressione orale per Ciari coincide con una delle attività scolastiche. L'atteggiamento del maestro in questi casi dovrà essere di attenzione premurosa a ciò che i ragazzi dicono e dargli anche degli spunti di riflessione. Secondo Ciari ogni giorno appena entrati sarà bene riunirsi intorno alla cattedra e narrare le proprie esperienze. Un'altra tecnica didattica indicata dal pedagogista è il gioco; il bambino sin da piccolissimo naturalmente si impadronisce della realtà attraverso esso, anche trasformandola. Mediante il gioco sdrammatizza e semplifica la realtà; anche le attività di apprendimento devono iniziare come un gioco. A lungo andare la vita scolastica porterà il bambino a porre l'accento sul lavoro senza mai però escludere le attività ludiche o di "fruizione" che soddisfano esigenze creative e hanno importanza per la creazione di un'atmosfera gioiosa. Per Ciari anche l'espressione attraverso il disegno e l'arte in generale, ha la sua importanza perché dà la possibilità al bambino di esprimere il suo contenuto interiore. Secondo Ciari il disegno è una delle più importanti attività espressive; infatti, fin dalla preistoria gli uomini si esprimevano tramite i graffiti sulle caverne proiettando le proprie emozioni. Il disegno o la pittura costituiscono un linguaggio, un modo di comunicare diverso dal linguaggio fonico o linguistico. Mario Lodi Nato a Piadena nel 1922 e morto a Drizzona nel 2014, è stato un insegnante, pedagogista e scrittore italiano. Le sue metodologie educative furono inizialmente ispirate da quelle di Célestin Freinet, seguendo un indirizzo che lo fece diventare esponente del Movimento di cooperazione educativa. La vita di Mario Lodi ha interpretato culturalmente la ricostruzione dell'Italia sulla pedagogia e sul mondo della scuola e dei bambini attraverso un impegno concreto e quotidiano. In questo contatto quotidiano con i bambini, con la loro osservazione partecipe, Lodi ha ridisegnato il valore educativo della scuola, cambiandone aspetti e metodologie. Si diploma maestro all'Istituto magistrale di Cremona nel 1940. Da studente si ribella alle manifestazioni per la guerra organizzate dai fascisti: da quel "no" verrà la presa di coscienza che lo porterà poi, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, all'impegno pedagogico per una scuola nuova in una società democratica. Durante la guerra subisce il carcere per motivi politici e nel 1945, dopo la Liberazione, aderisce a Piadena alla sezione del Fonte della gioventù per l'indipendenza nazionale e per la libertà e organizza le proprie attività libere: un giornale aperto a tutti, il teatro, le mostre dell'artigianato locale, una scuola professionale gestita con docenti volontari. Nel 1948 è nominato maestro di ruolo a San Giovanni in Croce, dove scopre le capacità creative dei bambini e la sua incapacità di maestro, formato dall'Istituto magistrale, a svilupparle e organizzarle nel lavoro scolastico con una metodologia coerente. Comincia un periodo di esperienze, incontri, dibattiti, seminari nel Movimento di Cooperazione Educativa, che ogni anno, nel convegno nazionale, si traducevano in una sintesi pedagogica. Nasceva così, con l'introduzione critica nella scuola italiana delle tecniche del pedagogista francese Freinet, un'impostazione pedagogica nuova e alternativa alla scuola trasmissiva di nozioni: il testo libero, il calcolo vivente, le attività espressive (pittura, teatro, danza, ecc.), la ricerca sul campo, la corrispondenza interscolastica, la stampa a scuola, la scrittura individuale di storie e di veri e propri liberi. Era un'impostazione che, insieme a quella dei bambini, liberava e formava la cultura del maestro. Parallelamente si dedica ad attività extrascolastiche, come la Biblioteca Popolare della Cooperativa di Consumo nella quale introduce la tecnica della stampa e pubblica i Quaderni di Piadena, documenti sulla ricerca sui vari problemi sociali realizzati dagli stessi giovani soci. All'interno della Biblioteca Popolare, nel 1957, si costituisce il Gruppo Padano per la ricerca dei documenti dell'espressività popolare in ogni sua forma, tra i quali i canti popolari e i burattini. Il Gruppo Padano parteciperò poi a spettacoli a livello nazionale come Bello Ciao di Crivelli. Nel 1956 ottiene il trasferimento alla scuola elementare di Vho, suo paese natale. Qui, in 22 anni di insegnamento, realizza molti libri: alcuni, scritti insieme ai suoi alunni, di fiabe e racconti, altri che documentano le sue esperienze pedagogiche. Dal 1970, per dieci anni, dirige il gruppo di ricerca della Biblioteca di Lavoro che produce 127 libretti di letture, guide e documenti. Dopo il pensionamento diventa il punto di riferimento di tanti maestri di scuola elementare: da tutta Italia gli scrivono, lo invitano a convegni e dibattiti, i giovani insegnanti si ispirano al suo metodo didattico ed educativo. Nel 1978 va in pensione e inizia altre attività nel campo educativo: per tre anni dirige a Piadena la Scuola della creatività nell'ambito di un progetto della Regione in cui i bambini dai 3 ai 14 anni e gli adulti sperimentano le più diverse tecniche creative. Nel 1980, con un'indagine sul territorio nazionale, raccoglie e classifica 5000 fiabe inventate dai bambini, documentando così che la creatività infantile, nonostante l'avvento della televisione, è ancora viva se i bambini si trovano nelle condizioni di esercitarla e svilupparla. Sulla spinta di questa indagine nasce nel 1983 A&B, un giornale interamente scritto e illustrato dai bambini in quanto cittadini che hanno il diritto costituzionale di esprimersi e di comunicare. Dal 1988 A&B diventa IL GIORNALE DEI BAMBINI. Nel 1988, su richiesta di vari Comuni, insieme al gruppo redazionale di A&B riscrive la Costituzione Italiana in forma adatta ai bambini. Nello stesso anno in Piadena costituisce il Gruppo artisti piadenesi, con il fine di valorizzare le capacità creative di giovani e anziani nei vari campi per mezzo di mostre e pubblicazioni. Con i proventi del premio internazionale LEGO, ricevuto nel 1989, fonda in una cascina a Drizzona, vicino a Piadena, dove Lodi si trasferisce, la Casa delle Arti e del Gioco, della cui cooperativa è presidente: un laboratorio dove si sperimentano, con la guida di esperti, tutti i linguaggi dell'uomo. Negli anni successivi la Casa delle Arti e del Gioco pubblica 67 libretti di racconti, favole, poesie di bambini elaborati con il computer con il computer che esprimono atteggiamenti e sentimenti positivi come la collaborazione, il rispetto per la natura e per l'uomo, la felicità. Dal 1994 affronta il problema dell'influenza negativa della televisione sui giovani. Una delle attività della Casa delle Arti e del Gioco è la ricerca sui linguaggi multimediali, con un gruppo di lavoro di cui Mario Lodi è animatore, che si propone l'individuazione di opere di qualità, la loro presentazione critica nelle scuole e l'uso della telecamera da parte dei bambini per realizzare film. Negli ultimi anni della sua vita, con una scelta radicale, abbandonò la televisione, di cui criticava la bassa qualità determinata dalla logica dell'auditel, per circondarsi invece di persone vive, creative, che pensano e coltivano interessi culturali. Nel corso degli anni ha scritto molti libri, ricevuto onorificenze, fino alla morte. Lucio Lombardo Radice Figlio del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, dopo aver studiato al Liceo ginnasio statale Terenzio Mamiani di Roma, si laureò in matematica nel 1938 con una tesi sulle algebre legate ai gruppi di ordine finito. Negli anni '30 entrò in contatto con un gruppo di giovani antifascisti e a quell'epoca risale quindi la sua iscrizione clandestina al PCI. Nel 1939 non poté prendere servizio come assistente alla cattedra di geometria analitica, perché fu arrestato e condannato a quattro anni di reclusione in quanto oppositore al regime fascista; liberato nel 1941, fu arrestato di nuovo e poi scarcerato dopo pochi mesi. Partecipò attivamente alla resistenza romana, curando sempre i contatti con oppositori e partigiani di area liberal- socialista e cattolica. Nell'ambito di tali iniziative conobbe lo storico cattolico liberale Jemolo e sua figlia Adele Maria, che sposerà nel 1946 e dalla quale avrà tre figli. Fu dirigente della militanza nel PCI, consigliere comunale al Comune di Roma, membro del Tribunale Russell per i diritti dell'uomo, fondatore del comitato di coordinamento dei movimenti per la pace. Morì a Bruxelles, a causa di un infarto. Oltre a essere professore di geometria e il suo impegno scientifico nel campo della teoria delle rappresentazioni dei gruppi finiti, Radice riprese dal magistero paterno una straordinaria passione per la pedagogia, affiancandola all'impegno politico e, in particolare, l'interesse per i problemi della scuola. Dopo le prime esperienze, già negli anni Trenta, sulla rivista "La scuola in Toscana", nel dopoguerra partecipò al comitato di redazione di Belfagor. Fu direttore della rivista Riforma della Scuola, dal novembre 1955 fino alla sua morte. Fu autore di libri di giochi per bambini e ragazzi e si dedicò con successo alla divulgazione scientifica e matematica. Dina Bertoni Jovine Figlia di maestri elementari emiliani, Dina Bertoni nacque a Falvaterra il 1° giugno 1898; i genitori si sono impegnati per oltre quarant'anni impegnati a combattere l'allora diffusissimo analfabetismo per migliorare, anche con corsi gratuiti per adulti, la situazione culturale e sociale degli abitanti del piccolo paese di cui erano stati assegnati. Malgrado le ristrettezze economiche e la nascita dei dieci figli, di cui solo sette sopravvissuti, essi riuscirono ad avviarli tutti agli studi nella città di Roma. Dina si diplomò a sedici anni presso l'Istituto Magistrale Vittoria Colonna e conseguì il diploma di licenza liceale e si iscrisse all'Istituto Superiore di Magistero, in cui ebbe modo di frequentare e apprezzare l'insegnamento di Giuseppe Lombardo Radice. Insieme con Francesco Jovine, che sposò nel 1928, si trasferì a Tunisi e successivamente al Cairo dove fu ispettrice didattica negli istituti italiani fino al 1940. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale costrinse entrambi al rientro a Roma ove nel 1944 volle incontrare, insieme al marito, Lucio Lombardo Radice, figlio del loro maestro, comunicandogli l'intenzione di voler entrare nelle file del PCI. Nel 1953 dirige la rivista Educazione Democratica e nel 1955 assume un ruolo determinante nella fondazione della rivista pedagogica dei marxisti italiani, RIFORMA DELLA SCUOLA. Successivamente è chiamata a dirigere la sezione pedagogica dell'Istituto Gramsci e dopo una lunga serie di approfondimenti e di esperienze culturali presso le organizzazioni scolastiche di numerosi paesi esteri dirige la sezione pedagogica di Paese Sera. Muore a causa di un infarto nel 1970. I riferimenti pedagogici della Bertoni Jovine si trovano soprattutto nella riflessione di Antonio Labriola e di Antonio Gramsci, oggettivamente in sintonia con le pratiche dell'educatore sovietico Makarenko e con un'attenzione spiccata, seppur critica, delle esperienze del positivismo italiano e dell'attivismo di Dewey. Tutti i riferimenti ideali sono comunque la ricerca continua, come studiosa e storica della vicenda educativa italiana e delle sue istituzioni (dalla Legge Casati ai nuovi programmi della scuola di base) ad affermare la necessità di una scuola laica e aconfessionale, nonché dell'unitarietà del sapere e delle culture, umanistica e scientifica. Insieme ad altri esponenti del Movimento di Cooperazione Educativa, quali Giuseppe Tamagini, Lucio Lombardo Radice, Maria Luisa Bigiaretti, Aldo Pettini, Bruno Ciari, Mario Il personalismo pedagogico è una corrente di pensiero nell'ambito dell'educazione che pone l'accento sull'importanza della persona nell'atto educativo. Questa prospettiva pedagogica si concentra sulla centralità e unicità di ogni individuo, considerando la sua dimensione personale, sociale, emozionale e spirituale. Esso si basa sulla convinzione che l'educazione debba andare oltre la trasmissione di conoscenze e competenze, mirando anche allo sviluppo integrale della persona, che è considerata un essere unico e irripetibile, con bisogni, potenzialità e aspirazioni peculiari. Secondo il personalismo pedagogico, l'educazione dovrebbe essere orientata a promuovere il pieno sviluppo della persona in tutte le sue dimensioni. Ciò implica l'attenzione alla sfera affettiva, alla formazione dei valori, allo sviluppo delle abilità sociali e all'autonomia individuale. Si pone anche un'attenzione particolare al rapporto tra educatore ed educando, sottolineando l'importanza di una relazione autentica e rispettosa. L'educazione è considerata un processo di crescita e realizzazione personale, in cui l'educatore assume un ruolo di guida e sostegno per l'individuo. Si valorizzano anche la responsabilità individuale e la libertà dell'educando nell'assumere decisioni e perseguire i propri obiettivi. Diversi teorici e filosofi hanno contribuito allo sviluppo del personalismo pedagogico, tra cui Emmanuel Mounier, Gabriel Marcel e Karol Wojtyla. Questa prospettiva ha influenzato vari approcci educativi, come l'educazione personalizzata, l'educazione esperienziale e l'educazione umanistica. • Istruzione personalizzata: si concentra sulla personalizzazione dell'esperienza di apprendimento per soddisfare le esigenze, gli interessi e le capacità specifiche dei singoli studenti. Riconosce che gli studenti hanno diversi stili di apprendimento, preferenze e ritmi di apprendimento. L'istruzione personalizzata mira a fornire istruzioni personalizzate, materiali di apprendimento e valutazioni per ottimizzare il percorso di apprendimento di ogni studente. Spesso comporta piani di apprendimento personalizzati, ritmi flessibili e l'integrazione della tecnologia per supportare esperienze di apprendimento personalizzate. • Educazione esperenziale: enfatizza l'apprendimento attraverso l'esperienza diretta e l'impegno attivo. Va oltre le tradizionali lezioni in aula e incoraggia gli studenti a partecipare attivamente ad attività del mondo reale, progetti pratici ed esperienze di apprendimento coinvolgenti. Essa spesso comporta gite sul campo, simulazioni, esperimenti, tirocini, servizio alla comunità e altre applicazioni pratiche della conoscenza. Mira a promuovere il pensiero critico, le capacità di risoluzione dei problemi e la capacità di applicare le conoscenze teoriche a situazioni di vita reale. • Educazione umanistica: pone lo studente al centro del processo educativo, concentrandosi sul suo sviluppo olistico e sul suo benessere. Considera gli aspetti emotivi, sociali ed etici dell'istruzione, sottolineando l'importanza di coltivare la crescita personale, l'autostima, l'empatia e i valori degli studenti. L'educazione umanistica incoraggia un approccio incentrato sullo studente, promuovendo relazioni positive tra studenti e insegnanti e creando un ambiente di apprendimento solidale e inclusivo. Sottolinea spesso lo sviluppo delle capacità interpersonali, l'autoriflessione e l'esplorazione di interessi e passioni personali. Questi approcci educativi condividono un focus comune sul singolo studente, valorizzando le loro esigenze, esperienze e aspirazioni uniche. Mirano a promuovere l'impegno, la motivazione e il senso di appartenenza degli studenti nel processo di apprendimento, promuovendo in ultima analisi esperienze educative significative e trasformative. Esponenti del personalismo Jacques Maritain Jacques Maritain (nato a Parigi nel 1882 e morto a Tolosa nel 1973) è stato un filosofo francese, allievo di Henri Bergson, convertitosi al cattolicesimo. Autori di più di 60 opere, è generalmente considerato come uno dei massimi esponenti del neotomismo nei primi decenni del XX secolo e uno tra i più grandi pensatori cattolici del secolo. Fu anche il filosofo che più di ogni altro avvicinò gli intellettuali cattolici alla democrazia allontanandoli da posizioni più tradizionaliste. Papa Paolo VI lo considerò il proprio ispiratore. A conferma di ciò, dopo una lunga corrispondenza durata dal '26 al '73 e quattro memoranda inviati al Pontefice, alla chiusura del Concilio Vaticano II fu a Maritain, quale rappresentante degli intellettuali, che Paolo VI consegnò simbolicamente il proprio Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza. Il pensiero di Maritain è elaborato partendo da alcune tematiche di Bergson (che fu suo maestro), ma riferendosi principalmente alla filosofia realistica di Aristotele e di San Tommaso d'Aquino. Come quella dei due filosofi realisti la visione di Maritain si appoggia anzitutto sulla percezione della realtà e, poi, sulla comprensione dei principi fondamentali della metafisica, servendosi però anche dell'intuizione. Questa già in Bergson costituiva l'organo della metafisica. Maritain è un metafisico che difende una concezione della filosofia come scienza, anzi come la regina delle scienze, contro coloro che vorrebbero negare alla filosofia tale statuto. Il contributo più importante di Maritain, nella rielaborazione della concezione aristotelico - tomista, è l'intuizione dell'essere. Con la pubblicazione delle opere RIFLESSIONI SULLA INTELLIGENZA E SULLA PROPRIA VITA (1924) e DISTINGUERE PER UNIRE I GRADI PER SAPERE (1932), il pensiero filosofico di Maritain apparve sempre più orientato verso una visione della filosofia, che mettesse come prioritaria l'evidenza dell'essere prima dei sensi e la metafisica prima dell'epistemologia. Per quest'ultima auspicò un realismo critico, nel senso di una pratica riflessiva, tramite la quale fosse lecito difendere la conoscenza alla luce di quella già acquisita, sempre considerando che l'esistenza e la natura di Dio, rilevabili anche attraverso l'esperienza mistica, restano un punto fermo per ogni aspetto della vita. Nel 1936 Maritain pubblicò il testo di sei lezioni, tenute nel 1934 presso l'Università di Santander con il titolo Umanesimo integrale, in cui delineava l'ideale storico di una nuova cristianità e di un nuovo umanesimo, alternativo da una parte al marxismo, al liberalismo e al fascismo ma dall'altra anche alla vecchia cristianità medioevale, dove le istituzioni avevano il carattere del sacro. Per M. il popolo è sovrano, nel senso che Dio lo fa sovrano, per cui la legge civile deve rispettare la legge morale della coscienza e questa è la legge eterna, che si impersona in Dio. Per quanto riguarda la riflessione pedagogica è in massima parte contenuta nel volume PER UNA FILOSOFIA DELL'EDUCAZIONE (1959) e si è sviluppata soprattutto in America (in Italia è stato pubblicato in due volumi con il titolo L'EDUCAZIONE AL BIVIO e L'EDUCAZIONE DELLA PERSONA). Contro il funzionalismo della pedagogia pragmatista, che si limita a far esercitare le capacità psichiche senza preoccuparsi della loro finalizzazione, M. afferma il primato della verità come oggetto della ricerca e come fondamento della libertà. L'educazione riguarda direttamente la persona; i suoi aspetti professionali e sociali, per quanto importanti siano, sono secondari e subordinati allo sviluppo della persona, che dopo tutto rappresenta l'unità sociale, ed è in sé stessa un fine e un valore. Emmanuel Mounier Nasce a Grenoble nel 1905, studia alla Sorbona di Parigi, diventando poi insegnante di filosofia. È molto attivo nel campo dell'impegno cristiano nella scuola. Impressionato dalla crisi economica catastrofica del 1929, decide di rinunciare alla cattedra accademica per operare nella società come scrittore operativo. Nel 1932 pubblica la rivista Esprit, come strumento di diffusione di una nuova concezione della vita, che egli chiamerà personalismo. Nel 1935 sposa, con un matrimonio felice, Henriette Leclerc, anche se il dramma di una figlia gravemente malata influenzerà molto la felicità familiare. Partecipa attivamente alla Resistenza antinazista francese, patendo anche il carcere e la vita clandestina e riprendendo poi attivamente la sua vita di pubblicista e giornalista. Riprende le pubblicazioni della rivista Esprit dopo la tempesta della Seconda guerra mondiale. Muore, colpito da un infarto cardiaco, dovuto probabilmente anche alla sua frenetica attività, il 22 marzo 1950. Il personalismo, come dottrina filosofica, ha una lunga tradizione che risale alla fine del XVIII secolo, le cui origini hanno natura perlopiù teologica ma che man mano assumerà, negli anni, una sua propria autonomia filosofica come corrente di pensiero che concepirà la persona, in quanto dotata di autocoscienza e autodominio, come centro della realtà che solo da essa e per essa prende senso. Predomina così la natura spirituale (esprit) di ciascun individuo, come singolo esistente nella sua incomunicabile singolarità esistenziale, ma non inteso come soggetto solipsisticamente1 chiuso in sé e pensante nell'accezione cristiana del termine. Per Mounier, «la persona è originariamente movimento verso l'altro [altrui], "essere-verso"». M. insiste sulla preminenza della coscienza di ogni uomo, cioè della sua vita interiore nonché del rapporto intimo e privilegiato con sé stesso, ma non concepita in maniera manichea rispetto al mondo esterno delle cose e delle altre persone della comunità in cui vive. Egli, invero, ha una visione cristiana della persona come non chiusa in sé stessa, quanto piuttosto posta in relazione esistenziale con le cose e le persone, in "aperta e avventurosa comunicazione" con esse, "verso il mondo e nel mondo, prima di essere in sé"; proprio in questo senso, Mounier parla di personalismo comunitario, da intendersi non come una teoria filosofica astrattamente intesa bensì pragmaticamente concepita come una prassi di vita da attuare e condividere per il bene comune. Le modalità poi, con cui ciascuna coscienza si pone in relazione con le coscienze delle altre persone, sono oggetto di ampio e profondo studio da parte di Mounier, fino a pervenire ad una nuova, multiprospettica concezione (anche - ma non solo - pedagogica) dell'uomo esposta nel suo monumentale Trattato del carattere, quindi sintetizzata nella sua opera più importante, Il personalismo. Una delle definizioni più rigorose di persona offerta da Mounier si trova nel suo Manifesto al servizio del personalismo comunitario, dove si legge "Una persona è un essere spirituale costituito 1 Il solipsismo, dal latino solus (solo) e ipse (stesso), "solo sé stesso", è un termine che si riferisce alla dottrina filosofica secondo cui l'individuo pensante può affermare con certezza solo la propria esistenza, poiché tutto quello che percepisce sembra far parte di un mondo fenomenico oggettivo a lui esterno, ma che in realtà è tale da acquistare consistenza ideale solo nel proprio pensiero, cioè l'intero universo è la rappresentazione della propria individuale coscienza. Agazzi contribuisce alla riforma della scuola nel 1962, impegnandosi particolarmente a favore dell'educazione popolare. Giuseppe Catalfamo In area meridionale, Giuseppe Catalfamo (1921-1989) raccoglie l'eredità del personalismo di Mounier e di Stefanini, aprendosi al dialogo, anche con altre correnti teoretiche e ideologiche (dal problematicismo bertiniano all'attivismo deweyano all'esistenzialismo e allo stesso marxismo). Già nei suoi primi saggi affronta il suo "personalismo critico". Si tratta di un personalismo che affronta il tema della persona, rifiutando visioni dogmatiche e aprendosi alla dimensione religiosa che si indirizza all'impegno sociale. Nel corso di un dialettico confronto con Marcello Peretti, esponente quest'ultimo del personalismo spiritualistico, Catalfamo attesta dell'esistenza di due personalismi: quello di Peretti, rigorosamente fondato sul piano metafisico e ancorato ai principi/valori cristiani; e quello che egli qualifica come critico, orientato in senso problematicistico e storico (riconfermando la dimensione storico-critica della pedagogia). Gaetano Santomauro Sempre in ambito meridionale si colloca Gaetano Santomauro e la sua azione educativa indirizzata a favore di ampie fasce di popolazione, ancora negli anni '60, in condizione di debole alfabetizzazione. Per S. praticare la pedagogia in situazione significava, nel periodo storico in cui visse, anche difendere le peculiarità valoriali della civiltà contadina pugliese dall'industrializzazione e dall'urbanizzazione spersonalizzante. Nella sua opera principale, PER UNA PEDAGOGIA IN SITUAZIONE (1967), S. descrive le caratteristiche di una pedagogia che non si smarrisce nella realtà, ma che vuole operare nel mondo e, con esso, continuamente rinnovarsi. Aldo Capitini (1899-1968) è stato impegnato in Italia, contro ogni forma di violenza, di totalitarismo, di conservatorismo, di dogmatismo religioso, ed è la "non violenza" per Capitini, la dimensione fondamentale dell'educazione. Un'educazione rivoluzionaria che viaggia su due binari paralleli: 1) la presa di coscienza della precarietà di condizione e la critica del sistema capitalistico. 2) mirare ad una trasformazione rivoluzionaria, volta alla liberazione di tutti. L'educazione deve preparare soggetti critici e non violenti. Per Capitini, l'educatore deve essere inteso come profeta (annunciando una verità, si pone in polemica con la realtà circostante del presente con apertura ad un futuro migliore), il bambino, invece, inteso come un inizio diverso di una possibilità. Ernesto Calducci (1922 - 1992). Non violenza e profetismo pedagogico fanno parte anche degli scritti e dell'impegno civile e religioso di padre Ernesto Calducci, estendendo il concetto di non violenza su tutte le forme di vita che abitano il cosmo (uomini, animali, piante ed anche oggetti inanimati), difendendo non solo i diritti umani ma anche quelli della natura. L'EDUCAZIONE DEL 2000 A "fine secolo" emergeva la necessità di costruire una nuova paideia e "di operare per il superamento dei riduzionismi e dei parzialismi che tendevano ad esagerare dimensioni di per sé strutturalmente connaturate nell'uomo ma che non possono essere enfatizzate a scapito delle altre" e quindi di ricomprendere e di affermare il significato e il senso dell'educazione. Il concetto di formazione assume significati contrastanti: appare, infatti, come sinonimo di educazione, istruzione, apprendimento, addestramento e, in un certo senso, li coinvolge tutti. Formazione come: attività integratrice e plasmatrice, prendere forma umanamente degna, bildung, addestramento, abilitazione a ruoli sociali e professionali, qualificazione umana. Educazione vs. Formazione: l'educazione riguardava la persona "dall'infanzia all'adolescenza, la formazione all'adulto". E in riferimento all'età adulta si distingueva l'educazione dell'uomo nella sua totalità e quella dell'uomo e rivolta all'uomo "da formare o da formarsi nell'attività specifica della sua professione". Questa distinzione è presente anche nella letteratura pedagogica di oggi e, almeno in parte, è legata a una tradizione vicino al personalismo, che colloca l'educazione nello spazio aperto dell'avventura umana e tiene presente lo sviluppo di tutto il potenziale educativo che ogni persona possiede ed attende di attuare e usa la parola formazione per indicare un'azione direttamente mirata al conseguimento di un "traguardo maturativo". Anche per legittimare questo modo di distinguere (senza separare) l'educazione dalla formazione, merita accennare alla lezione di Spranger e di Litt, i quali concepiscono e definiscono la formazione come il fine del processo educativo e l'educazione come la "via" che conduce ad esso. Per Willmann, altresì, l'educazione si riferisce alla totalità della "crescita" sinergica di tutte le dimensioni della personalità individuale e della sua spiritualità. L'educazione è quindi contemporaneamente cura o assistenza per lo sviluppo fisico e spirituale, che si realizza grazie alla proposta e la conquista dei contenuti, guida e regolamentazione della crescita "secondo norme etiche". La formazione è un "elemento essenziale" dell'educazione, il cui orizzonte, come è stato già detto, è più aperto. Sulla scia di quanto già accennato, esiste poi un ulteriore modo di intendere l'educazione e la formazione, secondo cui la prima, appunto, "sarebbe generale", mentre la seconda più specificamente orientata verso la professione e rivolta all'"acquisizione di determinate abilità e di determinati comportamenti". In questo senso, la formazione come formazione professionale richiama a sé il significato dell'addestramento, dell'abilitazione e della qualificazione citati in apertura di discorso. Dall'educazione in generale all'educazione in particolare. L'evento educativo (o fatto educativo). I fatti educativi sono, per definizione ed essenza, non oggetti ma eventi. Un evento educativo è un evento storico (cioè è collocato nel fluire storico degli eventi, ma l'intenzionalità educativa tende a superare la storicizzazione dell'evento medesimo. Un evento educativo, altresì, è contrassegnato ad un tempo dalla presenza di un aspetto storico (struttura) e di un aspetto dinamico (funzione). • L'aspetto statico "concerne la struttura che presenta l'evento educativo nei termini di un rapporto tridimensionale tra educatore, educando ed ambiente, ove per ambiente si intende tutto il complesso dei mezzi di cui si vale quel particolare rapporto, delle finalità implicite nel rapporto stesso, del contesto socioculturale, della folla dei contenuti in cui si esprime il rapporto: insomma di tutto ciò che forma, in maniera organica, lo sfondo in cui vengono a porsi l'educatore e l'educando. • L'aspetto dinamico "concerne la dimensione spazio - temporale del rapporto che corre tra un educatore e un educando". Il rapporto educativo: se l'evento educativo non fosse studiato quale rapporto tridimensionale, non fosse indagato nella sua totalità e, per contro, se ne prendesse in considerazione soltanto un aspetto - isolando o l'educatore o l'educando o l'ambiente - si verificherebbe un collasso dell'oggetto d'indagine della pedagogia e verrebbe delegittimata la ricerca pedagogica stessa, dal momento che la pedagogia è tale solo in quanto studia un rapporto che può definirsi educativo unicamente se viene visto nella sua globalità". Il rapporto educativo "è un processo e un progetto": • Processualità: dinamicità, costruzione, co-costruzione, evoluzione, sviluppo nel tempo e nello spazio. Il processo è una successione di cambiamenti, uniti ed ordinati da un nesso, che ha un inizio e una fine. Il processo educativo è intenzionale (rivolto a un fine preciso), generativo (promuove il compimento dell'identità) ed etico (prevede l'ancorarsi ad un dovere, quello educativo, che implica giudizio e responsabilità). Il fine è l'orizzonte di senso che orienta l'agire educativo; l'obiettivo è un traguardo (e uno soltanto, cui ne seguono altri), raggiungibile attraverso l'organizzazione delle azioni educative e degli strumenti, che impone una valutazione dell'avanzamento del processo. • Progettualità: intenzionalità "metabletica" rivolta al futuro. Fine generale dell'educazione è lo sviluppo armonico e coerente della persona, usando il termine sviluppo per indicare "una finalità aperta", non conclusa nel periodo dell'età evolutiva, e rilevando che comunque la "pienezza di umanità e l'armonia organica di vita non possono essere assunte in termini assoluti". Secondo C. Nanni il traguardo dell'educazione è il conseguimento della "maturità", la quale, pur non essendo univoco il modo di intenderla, è pur sempre il risultato di un insieme di attitudini, di capacità, di competenze e rimanda alla realizzazione di una personalità autonoma, libera, consapevole, capace di scienza, di saggezza, di tensione etica, di autodeterminazione cosciente… In questa prospettiva il fine proprio dell'educazione è "la capacità strutturata di decisioni responsabili", al cui conseguimento concorrono il raggiungimento di "finalità intermedie e la presenza di alcuni presupposti". Macro-fini dell'educazione: LIBERTA', RESPONSABILITA', AUTONOMIA. Questi tre macro- fini costituiscono dimensioni ineliminabili di un unicuum del quale non è dato di stabilire un prima e un dopo. • Libertà: la manifestazione e lo sviluppo della libertà sono l'espressione faticosa e virtuosa della progettualità e dell'impegno quotidiano dell'educatore insieme all'educando. Liberi non si nasce ma si diventa. La libertà è antitesi dell'arbitrio ed assenza di tatticismi. Essere liberi significa analizzare e ponderare il contesto in cui mi trovo, decidendo poi di scegliere la soluzione al problema posto avendo come fine il miglioramento di me stesso, degli "altri", della società. Se la libertà è ad un tempo il mezzo e il fine di una società tramite l'affetto, dei comportamenti infantili: elementi questi essenziali destinati alla formazione armonica di un cittadino in grado di esprimere solidarietà sociale e volontà di progredire affiancato da costumi clericali che caratterizzavano i primi anni della nascita dello stato unitario italiano. Ferrante Aporti (San Martino dall'Argine, 1791 - Torino, 1858). Riceve gli ordini sacerdotali nel 1815 e viene accettata l'iscrizione presso l'Istituto superiore per la formazione del clero secolare a Vienna, dove risiede per tutto il periodo e frequenta il corso di specializzazione in pedagogia. Non condividendo l'indirizzo dominante dell'istituto, orientato a formare preti che siano soprattutto servitori dello stato asburgico, rinuncia a conseguire la laurea e torna a Cremona, dove gli vengono affidate le cattedre di Storia ecclesiastica ed Esegesi biblica nel seminario diocesano; intanto, l'amministrazione austriaca lo nomina direttore delle scuole elementari maggiori e ispettore scolastico provinciale. Da questo momento, Aporti individua la sua missione nell'attività educativa, intesa come lotta all'ignoranza, la vera ed unica origine dei mali dell'uomo, della società e della patria. Quindi, imposta nuove strutture, nuovi metodi e nuovi modelli educativi e posta l'attenzione per la condizione di abbandono dei bambini appartenenti alle classi popolari lo induce a fondare il secondo "asilo d'infanzia" in Italia, a pagamento, per alunni da due anni e mezzo a sei anni. Nel 1830 apre la prima scuola infantile gratuita, finanziata dal governo austriaco e dalle autorità scolastiche, iniziativa che si diffonde in pochi anni nel resto del Lombardo-Veneto, Toscana, Emilia-Romagna. Per Aporti, l'asilo doveva: • Accogliere e preservare dai pericoli della strada i figli dei lavoratori (assistenza e prevenzione). • Aiutare le famiglie a sostenerli mediante la refezione (refettorio). • Educare i bambini nello sviluppo intellettivo, religioso, morale e fisico; all'educazione fisica erano dedicate 5 ore, mentre 4 ore erano dedicate all'attività intellettuale e morale. • Attraverso i fanciulli, l'istruzione doveva migliorare le condizioni sociali del popolo e suscitare la coscienza nazionale. Orari, contenuti e organizzazione della scuola gli stessi della scuola elementare: ingresso alle ore 8:00 e uscita alle ore 17:00. Il primo asilo di Aporti è anteriore al giardino d'infanzia di Frobel (1840). Nell'educazione intellettiva di A. è presente il principio dell'intuizione affermato da Pestalozzi. Considerava l'Asilo un'importante occasione di prevenzione sociale e di prima educazione, soprattutto, per coloro che non potevano godere dell'educazione scolastica. Le attività che variavano ogni mezz'ora venivano organizzate in questo modo: appello, preghiera e canto; colazione ricreazione, nomenclatura, gioco e preghiera; aritmetica, catechismo e sacre scritture, pranzo ricreazione e preghiera; alfabeto in prima classe, scrivere in seconda e terza, canto e merenda, ginnastica e merenda. L'esercizio della nomenclatura si basa sul metodo dimostrativo di presentare gli oggetti comuni, nominarli e mostrarne qualità ed usi. La storia sacra si insegna per mezzo di tabelloni illustrati, gli esercizi preliminari prevedono la corretta pronuncia di suoni alfabetici, sillabici e il tracciare le aste, poiché lettura e scrittura si insegnano solo nell'ultimo anno, ci si abitua al calcolo numerando le cose concrete mentre in terza si apprendono le quattro operazioni, le frazioni, le misure, i pesi e le monete. Alberto Argenton (Asmara, 1944 - Padova, 2015). La sua attività di ricerca si concentrò in un primo momento sulla pedagogia anarchica, approfondendo i pensatori di tale scuola e in linea con le ricerche della Metelli Di Lallo, in un secondo momento - fino alla fine degli anni Ottanta - sulla psicopedagogia e sulle Teorie dell'educazione, conducendo degli studi insieme agli psicopedagogisti Pietro Boscolo, Giorgio Cherubini e Franco Zambelli. Una terza fase di ricerca fu rappresentata dall'applicazione della psicologia della forma di Rudolf Arnheim allo studio del fenomeno artistico, giungendo a elaborare una teoria della cognizione estetica. All'interno di questa concezione approfondiva il rapporto tra cognizione e arte, l'attività percettivo - rappresentativa alla base del comportamento artistico, la genesi del comportamento artistico ed estetico, l'esperienza e l'emozione estetica, lo stile e la dimensione estetica, gli aspetti strutturali, processuali e funzionali del linguaggio grafico. Dario Arkel (Genova, 1958). La pedagogia è la materia guida del pensiero di Arkel. In essa egli coglie l'aspetto di "traino della necessità alla possibilità, e il viaggio verso la prospettiva". Quello pedagogico è un viaggio fatto di continue scoperte e di tensione costante al bene comune, ideale che è termine di una libertà aperta, contro le chiusure di una libertà ripiegata su di sé. Esso include la ricerca di un amore laico che fa scoprire vertici di dedizione disinteressata che tende al bene del prossimo, senza cercare nulla per sé se non la soddisfazione di averlo aiutato nelle sue sofferenze fisiche o nelle sue privazioni culturali o sociali. L'itinerario di Arkel comprende il riconoscimento della necessità di stabilire relazioni autentiche, fatte di altruismo e complicità positiva; rapporti che guardano alla condivisione come punto di partenza per gettare le basi di una società che riconosce la preziosità dell'altro, e dove il bambino - poeta e pensatore creativo - ha molto da insegnare all'adulto. Egli considera prioritaria l'innovazione pedagogica che migliora la vita di relazione; i bambini sono visti come soggetti-cultori della materia partendo dai "Centri di interesse" che già ispirarono Ovide Decroly. Il pianeta Terra offre all'uomo non solo il sostentamento fisico ma anche interiore fornendogli i metodi della resistenza e della resilienza. Da qui l'interesse specifico per lo studio della marginalità sociale e devianza del potere che produce guerre e distruzione ambientale. queste tematiche conducono Arkel a proporre una tipologia nuova di umanità, attenta all'altro, aperta all'altro, per un ritorno proficuo e fecondo su sé stessi. È l'homo planetarius il vagabondo creatore che si contrappone all'homo destruens incentrato su sé stesso. Franco Bertoldi (San Candido, 1920 - Trento, 2005). L'impegno per la realtà sociale, anche nelle sue modalità istituzionali, lo ha portato a interessarsi agli aspetti educazionali, con particolare attenzione alle strutture dell'autonomia (relazionata) del Trentino Alto-Adige; mentre il richiamo alle indagini offerte dalla teoria dei sistemi lo ha sollecitato alla complessità del fatto educativo- didattico, a partire dalla sperimentazione per orientarsi sui compiti dell'educatore come soggetto responsabile della qualità della scuola. Prende rilievo il tema dell'intenzionalità, letta anche come manifestazione degli esiti di formazione a cui l'insegnante stesso è stato sottoposto nella sua preparazione alla docenza. Dal sistema sociale al sistema educativo: nella riflessione di Bertoldi assume un posto di primo piano la relazione fra quelli che egli chiama "centri d'istruzione" (scuole) e i "centri di cultura" (associazioni formative non scolastiche), ai quali ultimi ha dedicato una specifica attenzione, tenendo conto anche della formazione di adulti e della cooperazione. L'orientamento della personalità: un ulteriore e più recente ambito di ricerca si riferisce all'orientamento, non inteso come meramente professionale, ma avendo riguardo a quello che Bertoldi chiama appunto "orientamento di personalità", a partire dalla "base di formazione" come premessa alla "formazione di base" e oltre. In questa prospettiva egli insiste sul principio di accettazione del soggetto come si presenta all'educatore. Ciò spiega le ricerche svolte in ordine di diversi ambienti (micro, meso, macro) con richiamo ai quesiti posti dalla pressione dell'interesse politico e dal tornaconto economico, a difesa dei quali egli pone l'educazione familiare e scolastica. In questo modo Bertoldi riesce a collegare l'azione didattica con la realtà in cui è immersa la scuola, imponendo alla didassi, come teoria della didattica, un collegamento con quelle che egli chiama scienze connesse e concludendo con un energico richiamo alla necessità di una migliore e più aggiornata formazione dei genitori e degli operatori scolastici. San Giovanni Bosco Nasce il 16 agosto 1815 a Murialdo, vicino Torino. Già all'età di 10 anni, i primi segni della sua vocazione: si dedica ad aiutare i propri compagni disagiati. A 16, si accentua ancora di più l'aspirazione alla vocazione educativa e sacerdotale. Viene ordinato sacerdote all'età di 26 anni, e dal 1841 al 1844 è ospite del convitto di San Francesco D'Assisi, a Torino. Finito il convitto Don Bosco si occupa di una delle opere benefiche della marchesa di Barolo, dove prende spunto per la sua opera educativa che segnerà il destino dell'ordine dei salesiani: l'oratorio. Nel primo oratorio istituito ospita ben 800 giovani. Con l'aiuto di don Rua e Cagliero, fonda la Congregazione Salesiana che, in seguito, viene ratificata dal Vaticano. Il termine salesiano deriva dal nome del santo cui Don Bosco era molto devoto: S. Francesco di Sales. Le caratteristiche principali di questa congregazione saranno la "carità" e la "bontà". Don Bosco muore a Torino nel 1888, beatificato nel 1929 e canonizzato nel 1934. "Io mi regolo con questo principio, che i miei allievi lavorino con amore e non con l'attività". Queste le parole di don Bosco che riescono a riassumere meglio il suo sistema pedagogico. È la libertà il caposaldo della sua intera azione educativa: lasciare questa ai giovani, affinchè ognuno, in ambito lavorativo, faccia con piacere solo quello che sa fare. Don Bosco, inoltre, individua due tipi di sistemi educativi da poter "mettere in pratica": il cosiddetto sistema preventivo e quello repressivo. • Il primo consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un istituto per poi avere modo di sorvegliare gli allievi, sotto l'occhio vigile del direttore o degli assistenti in qualità di padri amorosi, guide sicure ai propri passi. • Il secondo, invece, consiste nel fare conoscere le leggi agli allievi, sorvegliare per conoscerne i trasgressori e, nell'eventualità, punirli. Per Don Bosco l'educazione dei giovani era molto importante perché per lui rappresenta la grande arte di formare gli uomini affinchè diventino giusti cittadini, prima di tutto, e buoni cristiani. Per questo, la sua opera educativa aveva lo scopo di formare il popolo civilmente, fisicamente e moralmente. Andrea Canevaro (Genova, 1939 - Ravenna, 2022). Professore emerito dell'Università di Bologna e studioso di prestigio internazionale, fin dagli anni '70 del XX secolo è impegnato sul fronte dell'inclusione sociale, con particolare attenzione ed interesse nell'ambito della disabilità e dell'handicap. È ritenuto il padre della pedagogia speciale in Italia, disciplina che lui stesso ha contribuito a implementare e diffondere nel Paese. Il suo attivismo nei settori sopra segnalati e i grandi contributi dati con le sue ricerche e studi hanno fatto di lui una figura di riferimento riconosciuta a livello internazionale nel campo della pedagogia speciale e della disabilità. Canevaro e la pedagogia speciale: il pensiero di A.C. è strettamente collegato all'ambito della pedagogia speciale, disciplina di cui il pedagogista è considerato il "padre". Quando si parla di pedagogia speciale ci si riferisce a un particolare ambito di ricerca pedagogica che si dispositivi e i contesti che isolavano il "diverso" in spazi specifici. Si è cercato di "integrare" la persona disabile negli stessi luoghi dedicati ai cosiddetti "normodotati", cercando di far sentire anche chi era portatore di handicap parte della società. Ciò si è espresso in molti modi, con la chiusura degli manicomi, con la legge Basaglia (180/78), tramite l'integrazione scolastica e la chiusura delle scuole speciali, tramite l'abbattimento di barriere architettoniche e una sempre maggiore sensibilità verso il tema dell'handicap. Si tratta di un'operazione molto complessa, che impone un grande lavoro di revisione anche culturale e valoriale, un cambiamento di mentalità: a favorire il processo sono intervenute anche legislazioni specifiche e sicuramente la ricerca scientifica ha favorito ed aiutato questo percorso In questo clima di delicato mutamento e attivismo nella ricerca di una sempre maggiore integrazione per le persone disabili, l'impegno di Andrea Canevaro è stato di fondamentale importanza in ambito italiano: l'Autore si presenta come uno dei massimi esponenti nazionali sul tema, favorendo con il suo lavoro anche mutamenti legislativi e sociali in questa direzione. Negli anni Settanta c'è stato un vero e proprio scontro tra chi condivideva la prospettiva dell'integrazione e chi era contrario, e tale conflittualità era legata soprattutto alla necessità di capire le conseguenze e gli effetti di questo radicale cambiamento di atteggiamenti. Cosa si sarebbe guadagnato, ad esempio, inserendo un bambino disabile in una scuola di normodotati? Percorsi così complessi sono molto difficili da sviluppare, soprattutto se prevedono un cambiamento di mentalità. A tale proposito, Andrea Canevaro sottolinea la difficoltà del processo di comprensione ed accettazione: al tempo solo in alcuni casi si è verificata la vera e propria voglia di comprendere le situazioni, in altri invece ha prevalso più la voglia di difendersi e di voler ergere barriere verso il diverso. In seguito all'evolversi del proprio pensiero e degli studi nell'ambito della pedagogia speciale, si nota però un progressivo abbandono da parte di Canevaro e degli altri studiosi di pedagogia speciale della parola "integrazione": tale termine rimarca infatti l'esistenza di un contesto o ambiente con determinate caratteristiche e parametri di "normalità ", a cui viene "integrato" qualcosa di diverso, che prima non c'era, e che viene adattato al contesto preesistente. Quando si "integra", per definizione, ci si riferisce infatti all'inserimento di qualcosa di esterno in una realtà già formata e preesistente. In quest'ottica, non vengono valorizzate le differenze come una naturale varianza dell'umanità, ma sembra che la persona disabile sia un corpo esterno inserito in una società composta da normodotati avente di fatto caratteristiche proprie. Si è passati quindi dal termine integrazione a quello di inclusione. Questo termine amplia l'approccio, inserendo la diversità (e la disabilità) nella naturale variazione delle personalità umane: non si tratta di qualcosa di esterno o da inserire in una società già esistente, cambiando qualcosa, ma fa parte della società stessa. Un elemento incluso in un gruppo, per definizione, fa parte di quella realtà esattamente come tutti gli altri. Agire in prospettiva inclusiva non significa dimenticare o sopprimere il deficit. La menomazione, fisica o mentale, rimane una componente della persona disabile, ma tale caratteristica non serve a rimarcare una diversità rispetto alla maggioranza: si tratta piuttosto dell'espressione della naturale diversità umana. DELEGA PARADOSSA: la delega è un atto che si formalizza quando un soggetto attribuisce ad altri un compito che sarebbe proprio; solitamente i motivi sono legati al fatto che non si possiedono le competenze tecniche o professionali per risolvere da soli una certa questione (se si ha un guasto alla macchina si delega il meccanico che l'aggiusti e ce la restituisca; se si ha mai di denti si delega il dentista affinchè ci curi). Si tratta di un "allontanare per riavvicinare", e da qui nasce il termine "paradossa (da paradosso)". Ciò può tornare utile anche in campo pedagogico: come sottolineava C., la delega dovrebbe allontanare per un tempo utile a risolvere il problema, riassumendo al più presto su di sé la padronanza dell'oggetto che viene delegato. Se il tempo si prolungasse troppo non dovremmo più parlare di delega ma di alienazione. Ogni azione educativa deve mirare, quindi, a essere temporanea, cercando di rendere l'educando autonomo e farlo reimpossessare dell'oggetto delegato, che sia esso la propria salute, la propria autonomia o qualsiasi altro aspetto della propria persona. RIPOSIZIONAMENTO: in uno degli scritti più recenti, LE LOGICHE DEL CONFINE E DEL SENTIERO (2006), si ritrova la nozione di riposizionamento, un concetto di fondamentale importanza nell'ambito della pedagogia speciale. Ciò rappresenta la possibilità che un individuo si collochi nella propria vita in modo diverso rispetto a quello che sembrava essere il suo "destino". Nell'ambito della disabilità, ancor più che in assenza di menomazioni, è molto facile che alla persona con handicap sia "attribuito" un percorso di vita predeterminato, con aspettative poco flessibili rispetto ai percorsi da intraprendere e alle scelte effettuabili. Nell'accezione proposta, l'autore vuole porre l'accento sul fatto che non esiste un'unica via da seguire, un destino predeterminato: riposizionarsi significa dare luce e possibilità di esistere a tutte le diramazioni di un percorso di vita, togliendolo da quella sorta di determinismo che a volte viene associato ad alcune persone, specie se in condizioni di disabilità. Nell'ottica del riposizionamento ognuno deve essere consapevole di tali possibilità: ognuno ha una propria meta ideale, che anche se magari non sarà raggiunta, può essere avvicinata con molteplici percorsi e differenti scelte. MEDIATORI/BRICOLAGE: il bricolage è l'utilizzo di quello che c'è intorno a sé, di quello che si trova, per effettuare un'attività di problem solving creativo. Si tratta di una tecnica che non si basa unicamente sulla specializzazione degli strumenti e sulla loro funzione "originale", ma piuttosto gli oggetti vengono adattati a scopi inediti in base al problema. A partire da questa definizione, è possibile evidenziare un'importante riflessione pedagogica fatta da Canevaro: anche se si tratta di un concetto coniato da Francois Jacob, l'Autore riprende l'idea di bricolage collegandola agli apprendimenti e al percorso di crescita di una persona. A livello pedagogico si tratta di un concetto molto importante, che aiuta a creare nuove vie e una più ampia diramazione di possibilità quando si opera con i propri educandi. Collegato a ciò viene ripreso anche il concetto di mediatori, intesi come strumenti integrativi che, lavorando in sinergia e collegati l'uno all'altro, permettono una maggiore partecipazione della persona disabile riducendo le barriere. Nell'opera educativa si tratta di un concetto molto importante: è il pedagogista che deve allestire percorsi personalizzati, trovando e gestendo anche oggetti e mediatori che possano rendere più efficace il percorso di crescita dell'educando. I mediatori sono strumenti di vario genere, scelti in modo specifico per rendere più efficace una certa situazione: possono essere supporti fisici o astratti che aiutano a ridurre le barriere alla partecipazione e all'apprendimento degli studenti affetti da handicap. Un esempio di mediatori potrebbe essere la scrittura Braille, tecniche audiovisive, supporti fisici, film, strumenti iconici, comunicazione facilitata: qualsiasi sia il mediatore scelto, l'importante è che esso sia effettivamente efficace per quella persona e che favorisca la partecipazione e l'inclusione. Mario Casotti (Roma, 1896 - Marina di Pietrasanta, 1975). Sosterrà per tutto il suo percorso che l'educazione è un processo finalizzato alla conoscenza del Vero e alla pratica del Bene, unificati nel loro rapporto con l'Ente, cioè con Dio, nell'ambito della pedagogia cristiana. Vero, Bene e Ente saranno i fulcri su cui costruirà la sua filosofia e da cui, a dispetto delle diverse ideologie che abbraccerà nel corso dei suoi lavori, non si distaccherà mai in maniera significativa. Michele Crimi (Trapani, 1875 - Pescara, 1963). L'attività di sperimentazione didattica e di produzione teorica di M.C. si inserisce nel movimento di rinnovamento pedagogico che si sviluppa tra fine Ottocento e inizio Novecento per realizzare le cosiddette "Scuole nuove". Educatori, educatrici e docenti che partecipano a questo dichiarano che è necessario rivedere organizzazione, contenuti e metodi della scuola perché essa possa rispondere ai bisogni sociali emergenti. In Sicilia è Michele Crimi a promuovere l'istituzione di classi all'aperto, istituite a Marsala nel giardino di via Frisella e nel campo dell'Educando Garibaldi, a Trapani, presso i Giardini pubblici "Villa Margherita", a Lanciano, presso il padiglione costruito dal Consorzio provinciale anti-tubercolare. il principio della "scuola aperta" è uscire dalla struttura scolastica per porre i bambini e il loro operare al centro della pratica educativa, che dovrà quindi valorizzare il carattere sperimentale dell'apprendimento attraverso il gioco, il lavoro, la ricerca e la creatività. Saverio Fausto De Dominicis (Buonalbergo, 1845 - Milano, 1930). Considerato un pedagogo di idee moderne, scrisse in quattro volumi la SCIENZA COMPARATA DELL'EDUCAZIONE dal 1908 al 1913 teorizzando tra l'altro la laicizzazione dell'insegnamento, la creazione di una scuola popolare successiva a quella elementare e il superamento di quella che considerava una anacronistica divisione tra studi tecnici e studi classici. Sostenne, inoltre, che l'istruzione popolare dovesse divenire funzione dello Stato e teorizzò l'allargamento dell'obbligo scolastico, l'adeguamento della scuola popolare alle necessità dei diversi luoghi e, infine, affrontò la questione dei giardini d'infanzia. Alle idee sulla riforma scolastica, affiancò quelle relative a una riforma universitaria ampia e variegata. In tal senso sostenne lo snellimento di disposizioni burocratiche, l'affermazione dei diritti dello studente e la libertà dei piani di studio. Angelo De Rossi (Venezia, 1924 - 1998). Riprendendo una critica alla scuola tradizionale già mossa dall'Attivismo pedagogico e in particolare Ovide Decroly agli inizi del Novecento, Angelo De Rossi inizia il suo ragionamento pedagogico notando che la scuola italiana funziona male perché non c'è alcun rapporto tra ciò che si studia, da un lato, e, dall'altro, il lavoro, o la vita più in generale: i ragazzi vanno a scuola solo per ottenere quel pezzo di carta senza il quale non troverebbero lavoro, non perché pensino che quello che viene loro insegnato sia utile per la loro vita. Questa deformazione delle autentiche finalità dell'istituzione scolastica, però, non è conseguenza principalmente di un atteggiamento utilitaristico e strumentale dei ragazzi che frequentano la scuola: la responsabilità maggiore è piuttosto di un certo modo di intendere l'istruzione proprio del mondo degli adulti. In effetti, molti ritengono che l'obiettivo della scuola sia condurre i giovani a conformarsi a modelli dati, ritenuti i più idonei all'inserimento in una società organizzata, ovvero fornire agli alunni modelli di comportamento che permettano questa integrazione nel tessuto sociale. A sua volta, questo modo di concepire le finalità dell'istituzione scolastica, per De Rossi ha a che fare con l'ideologia conservatrice di chi utilizza la scuola in modo da mantenere le strutture di potere, non in modo da portare a un progresso e a una promozione della persona. Sin da quando è nata, la scuola è servita non come strumento per elevare le masse, ma come mezzo per poter ottenere un maggiore profitto. Anche l'obbligatorietà della scuola rappresenta una forma di sfruttamento delle masse, le quali devono imparare ciò che serve al padrone, non ciò che è utile per loro. Di fronte a questa struttura di sfruttamento le famiglie e i ragazzi non hanno altri strumenti se non la competitività e l'individualismo, ovvero l'autosfruttamento che alla fine porterà comunque al profitto del padrone. essere in relazione nei confronti del gruppo organizzato. Il lavoro di gruppo permette al singolo di sviluppare una capacità critica e di stimolare la socializzazione. La nuova figura del docente facilitatore: All'interno delle attività del gruppo nasce una nuova figura di docente, quella del trainer. Egli non dà la sua opinione su ciò di cui discute il gruppo per non rischiare di condizionarlo, bensì analizza le dinamiche del gruppo, controlla il rispetto delle procedure a cui il gruppo deve attenersi per le sue attività e le modalità di comunicazione nel gruppo. Il docente deve essere inteso come termine di paragone e di confronto, come elemento che sia in grado di trasmettere sicurezza e il cui scopo sia quello di emancipare lo studente, ossia deve gestire il proprio potere per eliminarlo. La responsabilità di tutti i docenti, non solo di uno di essi, deve essere proprio il controllo del potere in relazione all'affermazione e all'emancipazione del bambino. Per essere autorità per i discenti i docenti devono essere, non solo individualmente ma collegialmente, “persone” capaci di scambiarsi aiuto e consigli. Inoltre, il docente deve conoscere le dinamiche del gruppo, infatti sarebbe un errore sia lasciare troppe difficoltà nella classe, ma anche creare un ambiente in cui non vi siano mai discussioni. Il ragazzo per maturare deve capire che oltre alle sue ragioni vi sono anche quelle di molte altre persone, le quali vanno ascoltate e rispettate per le loro idee seppur diverse dalle proprie. Inoltre, il docente non deve usare la sua autorità per imporre la sua idea, arrivando così all'autoritarismo, ma deve lasciare che i ragazzi diventino esseri pensanti e critici, per fare ciò è necessario che essi “conquistino la parola”. Perciò non si tratta di premiare o castigare: si tratta di aiutare, di rimuovere gli ostacoli, di fornire mezzi e strumenti, di creare un ambiente favorevole al sorgere della consapevolezza e della distanza mentale. Nel tradizionale rapporto docente-discente fondato sulla violenza, data sulla superiorità del maestro seduto in cattedra a cui nessuno può opporsi, non è possibile instaurare un dialogo in cui lo studente possa esprimere le sue opinioni, anche con obiettivo di indicare ciò che per lui sarebbe da migliorare e quindi per portare un progresso. Il docente deve offrire agli studenti gli strumenti per fondare, consolidare e sviluppare la loro posizione critica, in modo che ciò che viene insegnato assuma anche un valore per gli alunni, valore che invece aveva perso con la scuola tradizionale. Perciò, prima che tutte le conoscenze tradizionali è importanti che lo studente riceva informazioni sulla realtà in cui vive, quali sono le difficoltà nel quartiere in cui risiede. Per questo l'aggiornamento dei docenti non è più solo un fatto tecnico professionale, diventa un vivere impegnati nel presente. Aggiornarsi non può che significare riflettere sul mondo attuale e sulla propria funzione in questo mondo, concreto particolarmente nella comunità in cui si opera. Duccio Demetrio (1945). Le sue ricerche promuovono la scrittura di sé stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e autoanalitico, sia come pratica filosofica. Già professore ordinario di Filosofia dell'educazione e di Teorie e pratiche della narrazione all'Università degli Studi di Milano- Bicocca, è ora direttore scientifico del Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università dell'Autobiografia di Anghiari e di "Accademia del silenzio". Vito Fazio - Allmayer (Palermo, 1885 - Pisa, 1958). Insegnare vuol dire non morire, ma entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su questa certezza di Vito e Bruna Fazio-Allmayer, si basa una spinta pedagogica di tipo socratico, per cui il maestro si sente uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più giovani, ma protesi verso il nuovo. L'educator, nel suo farsi persona, diventa storico di sé stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve riconoscere nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli altri è il contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di solidarietà col tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia. Quindi il senso della vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non sono antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io. Ognuno di noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che ripiglia dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e quest'ultimo nel particolare. Per F.-A. la speranza è nella certezza che il futuro è nel presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che, presi dal passato, trovano disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente, e sciocchi i giovani, e sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se non riesce a vedere il mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si racchiude nelle memorie del passato manifesta la malattia mortale che si chiama vecchiaia. Walter Fornasa (Milano, 1951 - Bergamo, 2013). L'attività di studio e gli ambiti di ricerca sviluppati negli anni da F. riguardano principalmente: sul piano generale - • Lo sviluppo del pensiero infantile secondo il modello della psicogenesi sviluppato da Jean Piaget e i successivi sviluppi del pensiero piagetiano attraverso l'opera degli appartenenti alla Scuola di Ginevra (post-piagetiani, neo-piagetiani, ecc.). • L'approfondimento della teoria piagetiana sul piano epistemologico genetico in rapporto all'arco della vita. • Lo studio della teoria sistemico - relazionale e dei suoi riferimenti al tema evolutivo delle conoscenze. • L'approfondimento dell'epistemologia di Gragory Bateson e del concetto di ecologia della mente. • L'approfondimento del rapporto fra psicologia dello sviluppo ed ecologia dello sviluppo. • Lo sviluppo della cooperazione tra bambini. • La definizione del campo concettuale dell'ecologia dello sviluppo. sul piano metodologico e della ricerca azione - • L'interazione apprendimento-memoria in chiave evolutiva, metacognitiva e strategica e le implicazioni che comporta nella costruzione della concettualizzazione spontanea nel bambino. • La costruzione sociale della conoscenza attraverso i processi metaregolativi interpersonali e cooperativi in campo educativo. • L'applicazione in campo di progettazione educativa sociale della prospettiva sistemico - relazionale. • Il rapporto fra prospettiva dell'arco di vita e orientamento al vivere. Elisa Frauenfelder (Napoli, 1931 - 2017), A partire dagli anni Settanta, la F. trasforma la cattedra di Pedagogia in un luogo di sperimentazione viva fondato, da un lato, sulla collaborazione tra i suoi assistenti e gli studenti dei suoi corsi e, dall'altro, sulla sinergia tra la ricerca scientifica di stampo accademico e le realtà educative del territorio, scolastiche ed extra-scolastiche. In particolare, la formazione dei docenti di ogni ordine e grado sulle questioni del sostegno dei processi di apprendimento (specialmente degli alunni con bisogni educativi speciali) e della gestione della relazione educativa, è stata la finalità che ha illuminato il lavoro "maturo" della Frauenfelder. La sua Cattedra di Pedagogia generale al Suor Orsola è attualmente affidata ai suoi allievi Enricomaria Corbi e Fabrizio Manual Sirignano, oggi professori ordinari. Attilio Gallo Cristiani (Rocca di Neto, 1885 - 1950). Come maestro di scuola elementare conobbe e istruì nel suo paese d'origine tanti ragazzi, di cui molti di questi erano figli di contadini o artigiani, ma, nonostante ciò, Gallo Cristiani volle adottare negli anni una serie di iniziative tendenti ad accrescere sia il livello intellettuale che morale dei bambini che istruiva. Il suo pensiero pedagogico parte, dunque, dall'educazione che - secondo Gallo Cristiani - deve essere impartita ai bambini già sin dagli asili per l'infanzia in preparazione delle scuole elementari; la metodologia didattica di insegnamento adottata dal pedagogista rocchitano anticipò in modo evidente i metodi educativi adottati nella scuola contemporanea: il suo modo di fare scuola, infatti, non era basato soltanto sul tradizionale leggere, scrivere e contare i numeri, ma anche su altre attività creative come il teatro e la musica. A tal fine volle fondare e dirigere a sue spese un teatro educativo permanente, che lui chiamò "Balilla" nel 1914; inoltre dotò il teatro di un pianoforte, fondò una biblioteca scolastica e anche una piccola fanfara. Ivano Giuseppe Gamelli (Milano, 1957). Professore associato di Pedagogia generale e sociale all'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Ha fatto conoscere la pedagogia del corpo, denominazione accademica da lui proposta e disciplina di cui è stato il primo docente in Italia, dal 2021 presente come insegnamento obbligatorio nei corsi di laurea in Scienze dell'educazione e Scienze della formazione primaria dell'ateneo milanese. Insegnamenti di pedagogia del corpo sono oggi attivi in corsi di laurea, master e corsi di perfezionamento di università italiane. I suoi studi sono centrati sui linguaggi corporei nelle pratiche educative e di cura nei diversi luoghi, in relazione alle molteplici età e nelle sue differente forme relazionali, espressive ed artistiche. Le sue ricerche si rivolgono inoltre ai contesti, ai metodi e alle strategie della narrazione autobiografica. Secondo il pensiero di Gamelli, la pedagogia del corpo non si circoscrive in uno spazio e in modalità educative specialistiche d'intervento. Si tratta, invece, di un'attitudine formativa trasversale segnata dall'apertura ai sensi, dalla messa in gioco di "pensiero-corpo-emozione" nella relazione. La pedagogia del corpo si definisce per la sua natura interdisciplinare. In senso operativo, la pedagogia del corpo rivisita criticamente gli abituali scenari dell'educazione e della cura, integrando saperi ed esperienze spesso tenuti separati nella tradizione educativa: quelli della parola con quelli del movimento, del gesto, dello sguardo, dei sensi. Essa trasferisce nei vari ambiti formativi le forme e i principi che stanno alla base dell'educazione corporea nelle sue diverse forme, come la psicomotricità, la danza, lo yoga e le pratiche corporee proprie di altre culture, le tecniche di rilassamento e di utilizzo della voce, il teatro, i molteplici metodi di cura e le tecnologie formative artistiche a mediazione corporea. L'obiettivo è mostrare vie pedagogiche, con i bambini come con gli adulti, dove la ricerca sul corpo incontra le strategie formative di impronta narrativa tramite uno stile riconducibile alla metodologia autobiografica, e attento alle ritualità, alla cura dei setting, delle parole e dei silenzi, alla dimensione della "presenza" intesa come consapevolezza del ruolo che rivestono i gesti, la voce, la postura. Vittorina Gementi (Porto Mantovano, 1931 - Mantova, 1989). Fondatrice della "Casa del Sole" di Curtatone (Mn), che dal 1966 è dedita all'educazione dei bambini e dei ragazzi portatori di handicap cerebrale. L'intento era offrire ai bambini difficili o disadattati un trattamento terapeutico ed educativo tale da permettere loro di apprendere norme di vita e nozioni tecniche e scientifiche, Malaguzzi ha introdotto l'atelier nella scuola: se avesse potuto avrebbe sostituito la vecchia tipologia scolastica con una scuola fatta di atelier e laboratori, luoghi dove le mani dei bambini, il fare, il pasticciare, potessero conversare con la mente come è nelle leggi biologiche ed evolutive. M. può essere considerato un "movimentista della pedagogia": osservava quotidianamente i bambini, confrontava le proprie conoscenze e teorie con bambini veri, cioè che giocano, apprendono, lavorano e si sviluppano. Lottava per ottenere l'estensione dei servizi, la qualificazione del lavoro pedagogico. Si può riassumere il pensiero di M. ricordando che privilegiava: • L'attenzione primaria al bambino e non alla materia da insegnare. • La trasversalità culturale e non il sapere diviso in modo settoriale. • Il progetto e non la programmazione. • Il processo e non il solo prodotto finale. • L'osservazione e la documentazione dei processi individuali e di gruppo. • Il confronto e la discussione come alcune delle strategie vincenti della formazione. • L'autoformazione degli insegnanti. Reggio Emilia Approach: è una filosofia educativa fondata sull'immagine di un bambino con forti potenzialità di sviluppo e soggetto di diritti, che apprende attraverso i cento linguaggi appartenenti a tutti gli esseri umani e che cresce nella relazione con gli altri. Si fonda sul lavoro collegiale e relazionale di tutto il personale, la presenza quotidiana di più educatori e insegnanti con i bambini, l'atelier e la figura dell'atelierista, la cucina interna come atelier del gusto, l'ambiente come educatore, la documentazione per rendere visibili i processi creativi di conoscenza, il coordinamento pedagogico e didattico, la partecipazione delle famiglie. I valori perseguiti sono: fare scuola amabile, operosa e inventosa, vivibile, documentabile e comunicabile, luogo di ricerca, apprendimento, ricognizione e riflessione dove stiano bene i bambini, insegnanti e famiglie. Ogni bambino è soggetto di diritti e, individualmente e nella relazione con il gruppo, è costruttore di esperienze a cui è capace di attribuire senso e significato. Si fonda sui cento linguaggi: il bambino possiede cento modi di pensare, esprimersi, capire; i cento linguaggi sono metafora delle potenzialità straordinarie dei bambini. L'apprendimento è visto come processo di costruzione soggettivo e nel gruppo. Roberto Mazzetti (Loiano, 1908 - Salerno, 1981). Formatosi inizialmente alla scuola della corrente neoidealista italiana, M. trova un valido punto di riferimento in Giuseppe Lombardo Radice; successivamente partecipa all'elaborazione della Carta della Scuola del Ministro Bottai, con cui si cerca di riformare l'istruzione pubblica in Italia. Già da allora M. evidenzia la necessità di porre l'attivismo pedagogico al centro dei suoi interessi. Quindi, il suo pensiero pedagogico attraversa diverse fasi: • Dagli anni '30 alla fine degli anni '40 contribuisce in maniera innovativa al discorso sulla scuola, maturando prospettiva quali l'umanesimo della cultura del lavoro, la pedagogia del lavoro, la scuola vista dagli scolari. • Dalla fine della Seconda guerra mondiale al '66: legittimazione teorica dell'idea del fanciullo come padre dell'uomo. Ricerca sulla pedagogia socialista. • Dal 1967 al 1970 si colloca una fase di passaggio e transizione critica e di rilettura del passato, che vede un'analisi della dimensione rivoluzionaria del discorso pedagogico di Don Milani e l'inserimento nella cultura pedagogica del pensiero di Bruner, che pone l'accento sul primato del pensare sul fare e sulla prima e seconda infanzia come momenti cruciali della crescita umana cognitiva ed affettiva. • Dal 1968 alla fine degli anni '70: sposa le scelte etico-politico-pedagogiche del socialismo utopistico contro il marxismo. Idea dominante della famiglia come soggetto educativo difficilmente eludibile. Don Lorenzo Milani (Firenze, 1923 - 1967). Nell'autunno del 1954 venne mandato dalla chiesa a Barbiana, a causa delle sue posizioni radicali (istruzione come strumento politico di liberazione e riscatto). Qui, terra povera, decise di realizzare una scuola per i giovani del luogo, figli di contadini poveri e con pochi strumenti per emanciparsi. Il suo metodo fu assolutamente innovativo e radicale: la scuola impegnava i ragazzi tutto il giorno, tutti i giorni dell'anno. Non c'era la ricreazione, considerata inutile e uno sperpero del tempo. Si praticava la tecnica della scrittura collettiva; si leggevano i quotidiani, si discutevano e si scriveva insieme il commento. Erano previste conferenze e incontri settimanali con i sindacalisti, politici, intellettuali. I primi a porre domande agli intervenuti dovevano essere coloro che avevano il titolo di studio più basso. L'obiettivo di questo progetto educativo era l'emancipazione delle classi subalterne, un insegnamento volto a compensare quelle differenze di classe che nella scuola pubblica italiana avevano fortemente penalizzato i ragazzi più poveri e provenienti da contesti di disagio. Barbiana era una scuola totale, un impegno volto all'emancipazione e alla realizzazione dell'uguaglianza. Durante questo periodo, pubblicò tre testi: ESPERIENZE PASTORALI, L'OBBEDIENZA NON E' PIU' UNA VIRTU', LETTERA A UNA PROFESSORESSA, che fecero molto discutere e influenzare il dibattito sulla scuola, sulla necessità di rinnovamento della Chiesa, sul modo di intendere le ingiustizie sociali e gli strumenti per superarle. Esperienze pastorali (1958): raccoglie riflessioni maturate a Calenzano su svariati temi: religione e liturgia, ruolo della Chiesa nella società, ruolo dell'istruzione e dell'educazione, necessità di emancipare i poveri e affrontare in maniera radicale la questione delle disuguaglianze sociali, storia della parrocchia di S. Donato a Calenzano. L'obbedienza non è più una virtù (1965): scritto in occasione del processo che vide Don Milani giudicato con l'accusa di apologia di reato; affronta il tema delle responsabilità e della giustizia e qualificò l'obbedire alle leggi ingiuste come la "più subdola delle tentazione" Lettera a una professoressa (1967): testo più noto, scritto con i ragazzi di Barbiana, nato in seguito alla bocciatura di due studenti all'Esame di Stato; è al tempo stesso accusa del sistema scolastico pubblico italiano, manifesto politico, opera di metodo e innovazione scolastica. Propone una durissima critica alla scuola pubblica italiana che aveva introdotto la scuola media unica: secondo Don Milani, la scuola, invece di combattere le diseguaglianze sociali, sostenendo gli studenti più bisognosi e in difficoltò, stava amplificando il divario ricchi-poveri perché premiava e faceva avanzare i figli della borghesia, respingendo i più poveri. Vengono, inoltre, denunciati: il classismo intrinseco all'insegnamento scolastico, l'esacerbazione delle differenze sociali, l'incapacità della scuola di essere percorso verso l'uguaglianza, il riscatto, l'emancipazione dei poveri; propone, invece un rinnovamento della scuola da realizzarsi attraverso tre riforme: non bocciare, il tempo pieno "per quelli che sembrano cretini", uno scopo per coloro che sono "svogliati". Sergio Neri (San Felice sul Panaro, 1937 - Modena, 2000). Fin dai primissimi anni di insegnamento la prima e fondamentale preoccupazione di N. è che nessun bambino rimanga ancorato alle proprie iniziali difficoltà: anzi si sente fortemente impegnato a fare in modo che ciascun possa disporre di tutte quelle opportunità e di quelle strategie didattiche che gli consentano di apprendere di più e con maggiore soddisfazione. Questa esigenza, anzi questo dovere morale, implica una serie di conseguenze teoriche e pratiche su di una molteplicità di piani diversi e collegati tra loro e rappresenta il nucleo di partenza anche temporale del pensiero pedagogico di Sergio Neri. Nucleo dal quale si possono dipanare tutte le altre idee e proposte che si sviluppano, si intrecciano e si conformano reciprocamente nel corso degli studi e delle esperienze successivi. In classe vuol dire innanzitutto differenziare i percorsi formativi, cioè attuare una prassi didattica flessibile, capace di valorizzare le competenze di cui ogni alunno è in possesso. L'esperienza delle colonie estive in cui bambini e ragazzi disabili sono inseriti in gruppi di lavoro o di gioco, rappresenta un esempio di possibile inserimento di quegli stessi bambini e ragazzi nelle classi "normali". Come per il bambino selvaggio di Itard o come per i ritardati mentali della Montessori (il cui pensiero Neri studia assiduamente), egli sostiene che la non educabilità assoluta non esiste. Occorre mettere in campo la competenza scientifica, i valori ideali (non il volontarismo ideologico), la disponibilità umana a "vivere" con i bambini: perché sono queste le caratteristiche che permettono all'educatore di conoscere e identificare l'area di potenziale sviluppo presente in ogni bambino, in modo tale che su questa si possa fondare la prassi quotidiana. Colonie estive francesi: La colonia di Saint-Hilaire (in Francia, costituita da tante piccole costruzioni sparse a cerchio nel bosco in modo da ospitare attività, momenti e gruppi diversi, al cui centro ci sono una radura e un boschetto); tratti caratteristici sono: organizzazione di una vita collettiva di tipo comunitario, impostazione della vita quotidiana, la colonia come insieme coerente di attività e tempo pieno, metodo ispirato alla fiducia nel ragazzo e nell'uomo. Colonie estive italiane: si diversifica per una radicale organizzazione interna e, in particolare: rapporto numerico bambini-operatore (10 a 1), la personalizzazione del rapporto, l'organizzazione delle attività sia per gruppo sia per tipo, il ritmo sonno - veglia diventa più rispettoso delle esigenze singole e perde carattere di obbligatorietà di rito collettivo, siesta sostituisce il riposo obbligatorio a letto con altre attività (per bambini più grandi), predisposizione di escursioni - esplorazioni ambientali e di occasioni ludiche e sportive, kermesses (grandi feste collettive). La scuola è per tutti: anche se nei primi anni Sessanta vengono abolite le classi differenziali e ciò potrebbe significare l'avvio del diritto allo studio per tutti e l'integrazione di tutti nella scuola normale, N. si rende conto che per dare concretezza alla norma occorre operare su più fronti; coordinare tra loro due realtà quasi opposte: innovazione, plasticità, rispetto di tutti da una parte e rigidità burocratica e istituzionale dall'altra. Il Charitas: istituto di Modena che raccoglieva bambini e ragazzi disabili e con gravi patologie, provenienti anche da diverse parti del Paese e che vivevano in condizioni disumane. Negli anni Settanta, Neri rivoluziona tali condizioni, riconoscendo ai ragazzi il diritto ad una vita civile ed umana e iniziando un'opera educativa, sociale, politica basata sulla sensibilità e la partecipazione degli educatori, riorganizzando le strutture interne e il funzionamento dell'istituto, aprendo le sue porte al mondo esterno che i ragazzi iniziano a frequentare a partire dalle colonie. Diritto allo studio ed ente locale: attuare il diritto allo studio per tutti, cioè integrare tutti nella scuola comune, toglie la scuola stessa dalla sua autosufficienza, ponendola al centro di una rete di relazioni e di agganci sul territorio. Il primo e naturale referente della scuola, anche per la sua collocazione è l'Ente Locale, che è il rappresentante diretto del territorio stesso e della comunità che vi è insediata. Secondo Neri, non deve trattarsi di una relazione generica o generalizzata, ma essere precisa e puntuale: perciò deve occuparsi di un problema alla volta e ogni volta stipulare un patto chiaro e circoscritto. Disabilità e rapporto con le ASL: è necessario coinvolgere anche le ASL in una diversa formulazione di handicap, in modo da sostituire l'elenco delle carenze (deficit) di cui alcuni sono affetti, inutilizzabile in ambito didattico, con un quadro delle effettive potenzialità di cui ogni bambino o ragazzo dispone. E ciò in modo da costruire per ciascuno un percorso venuto meno il rigoroso divieto di interessarsi di ciò che si frappone tra gli stimoli e le risposte e si iniziò a ipotizzare l'esistenza di "variabili intervenienti", cioè di processi interni all'organismo non rilevabili a livello del comportamento manifesto, ma necessari per la spiegazione di quest'ultimo. Hull ipotizzò l'esistenza di pulsioni, D. Hebb di assembramenti neuronali, E.C. Tolman di mappe cognitive. Più in generale, vennero avanzate le cosiddette teorie della mediazione, le quali ipotizzano che tra la recezione dello stimolo e l'emissione della risposta intervengano dei processi intermedi di natura simbolica, non direttamente osservabili. Queste più recenti proposte teoriche vengono in genere fatte rientrare nel cosiddetto neocomportamentismo, che media il passaggio tra il vero e proprio comportamentismo e il cognitivismo. Il condizionamento classico: basato sulla "teoria delle contiguità" relativa allo schema stimolo - risposta. Pavlov osservò che se a uno stimolo, che normalmente provoca la risposta, si associa ripetutamente un altro stimolo, che normalmente non produrrebbe la risposta, allora, a seguito della ripetuta associazione, basta che si verifichi il secondo stimolo affinchè segua la risposta. Questo è, in generale, lo schema del condizionamento: per cui, posto che di solo il cane emette saliva quando gli viene somministrata carne in polvere, il rumore dei passi dell'inserviente da cui abitualmente gli è somministrato il cibo può bastare, per effetto del condizionamento, a suscitare la salivazione. Legge dell'effetto e Legge della ripetizione: studiando il comportamento umano, Thorndike enunciò due leggi generali: la legge dell'effetto (qualsiasi connessione tra stimolo e risposta risulta consolidata se la risposta è accompagnata da una qualche soddisfazione per il soggetto che l'ha fornita) e la legge della ripetizione (a parità di condizioni, una connessione tra stimolo e risposta risulta consolidata se ripetuta). È su tali premesse che Watson spiega l'apprendimento umano come complesso di "abitudini comportamentali" che si instaurano tramite i riflessi condizionati. Neocomportamentismo: già in sviluppo dagli anni '30, attua una parziale revisione delle idee ispiratrici di Watson. Si attribuisce alla mente umana un ruolo più attivo nell'esplorazione dell'ambiente e nell'elaborazione delle conoscenze. La ricerca di Tolman inserisce, nell'interazione tra individuo e ambiente e, quindi nella relazione S-R, l'importanza delle cosiddette "variabili intervenienti", ossia le condizioni psicologiche, le aspettative, la mappa cognitiva. Il condizionamento operante: introdotto da Skinner consiste nel fatto che i comportamenti possono essere modellati a seguito di particolari eventi gratificanti così da rivelarsi uno strumento potente di apprendimento. Ad esempio, nella gabbia di Skinner, il comportamento dell'animale che, in modo casuale scopre il modo per ottenere il cibo viene, come si dice, "rinforzato" e tende a consolidarsi, rendendo più agevole la scoperta del cibo nelle successive analoghe occasioni. Ciò permette di potenziare la frequenza di quel dato movimento, realizzando così un effettivo apprendimento. Esponenti comportamentismo Watson, Pavlov, Skinner Padre dell'elementismo fu lo psicologo Wilhelm Wundt, che fondò il primo laboratorio di psicologia a Lipsia nel 1879 e per questo è considerato il padre della psicologia. Wundt teorizzò la mente come "un complesso di fattori psichici", da scomporre in elementi più semplici per la comprensione della psiche umana. Per l'elementismo, l'oggetto di studio principale della psicologia è l'esperienza immediata della realtà, cioè le sensazioni e le percezioni soggettive. Con esse si può completare un vero e proprio puzzle formato da vari "pezzi" che, uniti, risultano parte di un grande disegno, chiamato mente: più elementi semplici creano un sistema più complesso. Dall'elementismo nasce poi lo strutturalismo, fondato dall'allievo di Wundt, Edward Tichener, che prevede come metodologia d'indagine l'osservazione empirica. Il ruolo dello psicologo è quello di usare l'introspezione per analizzare la struttura psichica, auto-osservando le proprie sensazioni, le immagini mentali e gli stati affettivi. In questo clima, orientato a un metodo introspettivo, nasce il comportamentismo di Watson che, invece, esclude dall'indagine tutti gli elementi psichici interni, focalizzandosi sul comportamento manifesto dell'essere umano. La psicologia, dal punto di vista comportamentista di Watson, doveva evolversi rispetto alla metodologia introspettiva, facilmente influenzabile dal punto di vista soggettivo, anche di chi interpreta. Watson, nella sua teoria, introdusse così: la comprensione del comportamento dell'essere umano tramite risposte osservabili; l'apprendimento e la crescita tramite un modellamento creato dall'ambiente esterno. Lo scopo era dare un fondamento scientifico alla psicologia, così da inserirla nelle scienze biologiche. Nasceva così con Watson la psicologia del comportamentismo: l'essere umano cresce e apprende tramite associazioni di stimolo e risposta. Avviene quindi un condizionamento da parte dell'ambiente, che si modella rispetto alla frequenza e alla contingenza della risposta stessa. L'esperimento sul piccolo Albert: per dimostrare quanto gli stimoli ambientali possano condizionare le risposte emotive di un individuo, Watson effettuò un esperimento (il John Watson little Albert experiment) molto criticato. L'esperimento fu effettuato nel 1920 su Albert, un bambino di 9 mesi, che fu esposto allo stimolo visivo di un topo bianco. Il piccolo fu subito interessato all'animale, senza patire alcuna preoccupazione. Successivamente, ogni volta che il bambino vedeva il topo bianco, W. Produceva un forte rumore, creando così un'associazione tra stimolo neutro (il topo) e uno stimolo spiacevole (il rumore). Il bambino rispondeva con pianto e terrore. Albert associò così emozioni spiacevoli alla vista del topo bianco, ma non solo perché l'associazione continuava con altri stimoli che potevano ricordare il topo bianco, come altri animali dello stesso colore. L'esperimento dimostrava come uno stimolo apparentemente neutro possa essere correlato a risposte spiacevoli e, successivamente, generalizzato e che ogni essere umano apprende tramite un condizionamento da parte dell'ambiente. Secondo il padre fondatore del comportamentismo il comportamento umano è fortemente collegato alle risposte ambientali. Le critiche a Watson e all'esperimento del piccolo Albert erano correlate al condizionamento che Watson creò e non "decondizionò". In effetti Watson non ebbe il tempo di farlo, in quanto il bambino fu portato via dalla madre prima del previsto; il piccolo Albert, in seguito, soffrì di incubi notturni e morì precocemente alla tenera età di 6 anni. La vicenda non solo ha destato scandalo, ma ha contribuito alla nascita degli attuali comitati etici universitari, responsabili di valutare se la conduzione di un esperimento sia moralmente accettabile. Oltre a Watson, altri due illustri nomi vengono ricordati quando si parla di comportamentismo: Ivan Pavlov e Burrhus Skinner. Il medico russo Pavlov osservò negli animali come uno stimolo neutro potesse essere correlato a una risposta involontaria, creando un condizionamento. Teorizzava così il condizionamento classico. Successivamente Skinner, psicologo statunitense, studiò il comportamento dei ratti nella famosa Skinner box, teorizzando il condizionamento operante, secondo cui l'ambiente è in grado di rinforzare o punire il comportamento umano sulla base delle conseguenze che esso sperimenta. • Il condizionamento classico (o pavloviano) è un'associazione ripetuta, in un tempo contingentato, di una risposta a uno stimolo inizialmente neutro. Negli esperimenti effettuati da Pavlov, egli presentava ad alcuni cani il cibo, che creava un riflesso incondizionato di salivazione. Poi, associò il suono di una campanella alla presentazione del cibo, creando nel cane un'associazione incondizionata. Ancora successivamente, suonando semplicemente la campanella senza la presentazione del cibo, il cane aveva una risposta condizionata, cioè la salivazione. Il cane quindi: associa una risposta incondizionata a un suono che, isolato, non creerebbe la stessa risposta; apprende così una risposta incondizionata a uno stimolo neutro. Proprio seguendo il filone di Pavlov, con l'esperimento del piccolo Albert, Watson cercò di dimostrare che anche le risposte emotive dell'uomo non sono altro che il frutto di un condizionamento derivato dall'ambiente. • Nel behaviorismo di Watson e Skinner, il comportamento dell'essere umano può essere studiato solo tramite manifestazioni esterne osservabili, tramite risposte che l'uomo manifesta. Pilastro della teoria comportamentista, il condizionamento operante inserisce nella teoria dell'apprendimento classico il concetto di rinforzo. S. ha individuato due tipi di rinforzo che possono seguire al comportamento: rinforzi positivi aggiungono una conseguenza positiva, rinforzi negativi sottraggono la persona da una situazione avversiva. Entrambi sono finalizzati all'adattamento: tramite i rinforzi un organismo apprende e, successivamente, può generalizzare quell'apprendimento ad altri contesti. COGNITIVISMO Il cognitivismo è una corrente di studio che concepisce la mente come un elaboratore di informazioni. Una delle date più rappresentative per la nascita del cognitivismo è il 1956, quando in Massachusetts si tiene un simposio sulla teoria dell'informazione dove vengono illustrate le teorie di Miller, Simon e Chomsky, rispettivamente riguardanti la memoria a breve termine, il problem solving e il linguaggio. La psicologia cognitiva si interessa ai vari processi cognitivi e infatti, oltre a quelli appena citati, altri campi di indagine sono: l'attenzione, il pensiero e la creatività. Processi che, secondo un'ottica comportamentista all'epoca in crisi, erano frutto di apprendimento, ma ai quali adesso viene riconosciuta un'autonomia strutturale e un'interdipendenza reciproca. La mente è concepita dai cognitivisti come un elaboratore di informazioni con un'organizzazione di tipo sequenziale e con una capacità limitata di elaborazione. La prospettiva cognitivista si diffonde presto anche nel campo della psicologia sociale e della psicopatologia tanto che si parlerà di rivoluzione cognitivista. Con l'avvento del cognitivismo nasce e si sviluppa, negli Stati Uniti, la psicoterapia cognitivo comportamentale. Essa origina dall'evoluzione dal punto di vista teorico ed empirico delle terapie puramente comportamentali o behavioriste, che iniziarono a nascere già negli anni Cinquanta. La psicoterapia cognitivo comportamentale ha almeno due padri fondatori: Albert Ellis e Aaron T. Beck. • Albert Ellis, di formazione psicoanalitica, dopo alcuni anni di pratica psicoanalitica ortodossa, insoddisfatto dalla concezione psicoanalitica del funzionamento della mente umana e dai risultati poco efficaci ottenuti con i pazienti, fonda un nuovo approccio che inizialmente denomina "Rational Therapy" e, nel corso degli anni, poi affinerà con il termine "Rational Emotive Behaviour Therapy" (REBT). Questa è una specifica teoria e prassi psicoterapeutica di impostazione cognitivo - comportamentale basata sul principio Esponenti del costruttivismo Teoria dei costrutti personali - Kelly Durante il decennio del 1950, le prospettive comportamentiste e psicoanalitiche erano ancora predominanti in psicologia. Kelly, al contrario, vedeva le persone come creatrici attive della propria realtà. Questo approccio si contrapponeva alle idee di entrambe le correnti, nelle quali il soggetto aveva ben poco margine per cambiare la sua visione del mondo. Kelly sosteneva che, fin da quando nasciamo, sviluppiamo un insieme di costrutti personali. Questi sono essenzialmente rappresentazioni mentali che usiamo per interpretare eventi e dare significato a quello che succede. Si basano sulle nostre esperienze e osservazioni. Invece di vedere gli esseri umani come soggetti passivi alla mercè di associazioni, rinforzi e punizioni presenti nel proprio ambiente circostante (comportamentismo) o dei loro desideri inconsapevoli e delle esperienze infantili (psicoanalisi), Kelly sosteneva che le persone svolgono un ruolo attivo su come riconoscono e interpretano la conoscenza. Durante il corso delle nostre vite, realizziamo degli "esperimenti" che mettono alla prova le nostre credenze, percezioni e interpretazioni. Se questi esperimenti funzionano, rafforzano le nostre convinzioni attuali; quando non lo fanno, possiamo cambiare i nostri punti di vista. Per la teoria dei costrutti personali di Kelly, questo punto è fondamentale. In seguito a questo processo, sperimentiamo il mondo attraverso la "lente" delle nostre credenze. Si usano per predire e anticipare eventi, il che a sua volta determina i nostri comportamenti, sentimenti e pensieri. K. Sosteneva anche che tutti gli eventi sono aperti a molteplici interpretazioni. Nei suoi lavori si riferiva a esse come alternative costruttive. Quando si tenta di dare senso a un evento o a una situazione, si può anche scegliere quale costruzione si vuole usare per spiegarlo. Kelly affermava che il processo per cui usiamo i costrutti mentali funziona in modo simile a come uno scienziato utilizza una teoria. Prima di tutto, iniziamo con un'ipotesi sul perché si verifica una situazione. Poi, proviamo ad applicare il costrutto e prediciamo il risultato che crediamo si verificherà; se indoviniamo, allora sappiamo che il costrutto mentale usato è utile in quella situazione e lo manteniamo per un uso futuro. Tuttavia, quando le nostre previsioni non si avverano, possiamo intraprendere tre percorsi: riconsiderare come e quando applicare il costrutto, alterare il costrutto, abbandonarlo del tutto. D'altra parte, la ricorrenza di una situazione svolge un ruolo importante nella teoria dei costrutti personali: questi ultimi sorgono perché riflettono cose che spesso si ripetono nella nostra esperienza. K. credeva anche che il modo in cui vediamo il mondo tenda a organizzarsi in maniera gerarchica. Possono così trovarsi costrutti più basilari alla base della gerarchia, mentre quelli più complessi e astratti si situano ai livelli superiori. Secondo K., i costrutti sono bipolari: in altre parole, ogni costrutto è costituito da un paio di facce opposte. Il lato che una persona applica a un evento è noto come polo emergente; quello che non viene applicato, al contrario, è il polo implicito. Infine, è essenziale ricordare l'enfasi sull'individualità nella teoria dei costrutti personali: essi sono intrinsecamente personale perché si basano sulle esperienze di vita di ogni persona. Il sistema di credenze di ogni individuo è unico ed è la natura individuale di tali esperienze a fare la differenza tra le persone. EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA ATTUALE Teorie dell'apprendimento: insieme di concezioni e modelli che cercano di spiegare come e perché le persone acquisiscono nuove conoscenze, abilità e comportamenti. Ciascuna di queste teorie fornisce una prospettiva diversa su come avviene l'apprendimento e offre una bse per lo sviluppo di tecniche educative e di formazione. Le teorie dell'apprendimento più importanti sono: TEORIA DELLA MOTIVAZIONE DI MASLOW si concentra sulle necessità umane e su come influiscono sull'apprendimento. M. è stato uno psicologo americano noto per la sua teoria della piramide dei bisogni umani, che descrive le esigenze dell'uomo in ordine di importanza. Nata negli anni '40, la sua teoria ha influenzato molte discipline, dalla psicologia alla gestione delle risorse umane. M. è considerato uno dei padri fondatori della psicologia umanista e ha contribuito a sviluppare una comprensione più completa e profonda della natura umana e dei suoi bisogni psicologici e fisiologici. La sua teoria, nota come teoria della piramide dei bisogni umani, sostiene che questi sono gerarchici e che ogni livello di bisogno deve essere soddisfatto prima che si possa passare al livello successivo. La piramide è composta da cinque livelli di bisogni, elencati in ordine di priorità: 1. Bisogni fisiologici: sono i bisogni di base come cibo, acqua, riposo, sicurezza fisica, che devono essere soddisfatti per garantire la sopravvivenza fisica della persona. 2. Bisogni di sicurezza: includono stabilità, protezione, sicurezza finanziaria ed emotiva, che devono essere soddisfatti per garantire una sensazione di stabilità e protezione. 3. Bisogni di appartenenza e amore: bisogno di relazioni interpersonali e affettuose, quindi la necessità per gli esseri umani di avere relazioni sociale e di essere accettati da altre persone, che sono importanti per il benessere psicologico e sociale. 4. Bisogni di stima: includono la necessità di essere rispettati e di avere una stima di sé elevata, che sono importanti per la realizzazione del potenziale umano. 5. Bisogni di autorealizzazione: si parla di bisogni più elevati e includono la necessità di comprendere il mondo e di realizzare il proprio potenziale, che sono importanti per la crescita personale e la soddisfazione. Secondo M., una volta che un bisogno è soddisfatto, l'individuo diventa motivato a soddisfare il bisogno successivo. La teoria sostiene che l'apprendimento e lo sviluppo sono influenzati dalla posizione dell'individuo nella gerarchia delle necessità e che la motivazione per l'apprendimento è più alta quando le necessità più basilari sono soddisfatte. Solo quando i bisogno di base sono stati soddisfatti, la persona può concentrarsi su bisogni più elevati e che non tutti i bisogni sono ugualmente importanti per tutte le persone. La teoria di A.M. ha avuto un impatto significativo sull'educazione e l'apprendimento, poiché ha aiutato a comprendere in maniera più precisa i bisogni fondamentali e le motivazioni dello studente. Alcuni dei modi in cui la teoria di Maslow ha influenzato l'educazione e l'apprendimento sono: • Soddisfazione dei bisogni di base: gli insegnanti possono utilizzare la teoria di M. per soddisfare i bisogni di base degli studenti, come l'acqua, il cibo, il sonno e la sicurezza, per garantire che lo studente sia pronto e in grado di apprendere. • Creazione di un ambiente accogliente: la teoria di M. sottolinea l'importanza dell'appartenenza e dell'affetto per lo sviluppo psicologico e sociale degli studenti. Gli insegnanti possono creare un ambiente accogliente e inclusivo per aiutare gli studenti a sentirsi a loro agio e motivati ad apprendere. • Sviluppo della stima di sé: la teoria sottolinea l'importanza della stima di sé per lo sviluppo dell'autostima e dell'identità personale. Gli insegnanti possono incoraggiare gli studenti a raggiungere il loro potenziale e a costruire la loro autostima attraverso il successo e la realizzazione delle proprie aspirazioni. • Incentivi per l'autorealizzazione: sottolinea l'importanza dell'autorealizzazione per lo sviluppo personale e la realizzazione del potenziale umano. Gli insegnanti possono incoraggiare gli studenti a sviluppare le loro capacità, a crescere e a comprendere il mondo attraverso l'apprendimento e l'esperienza. La teoria di M., quindi, ha fornito una comprensione più articolata e coerente dei bisogni psicologici e delle motivazioni degli studenti, che è stata utilizzata per creare ambienti educativi personalizzati che soddisfino i bisogni e le motivazioni degli studenti e che incoraggino l'apprendimento e la crescita personale. TEORIA COMPORTAMENTISTA DI SKINNER sostiene che l'apprendimento è il risultato delle connessioni tra comportamento e conseguenze. B.F. Skinner è stato uno psicologo statunitense, considerato uno dei più grandi psicologi del XX secolo. È nato il 20 marzo 1904 a Susquehanna, in Pennsylvania, e morto il 18 agosto 1990 a Cambridge, Massachusetts. S. è stato un importante teorico del comportamento e uno dei fondatori dell'analisi del comportamento, un approccio alla psicologia che si concentra sull'osservazione e sulla descrizione del comportamento umano e animale. La sua teoria ha avuto un grande impatto sulla psicologia, l'educazione, l'ingegneria del comportamento, la tecnologia e altri cambi. Tra le sue opere più famose si possono citare SCIENCE AND HUMAN BEHAVIOR (1953), WALDEN TWO (1948), VERBAL BEHAVIOR (1957) e BEYOND FREEDOM AND DIGNITY (1971). S. è stato un accademico di successo, insegnando all'Università di Minnesota e all'Università di Harvard, dove ha trascorso il resto della sua carriera. È stato anche un importante attivista sociale e ha usato la sua conoscenza per sviluppare tecnologie che potessero migliorare la vita umana. Secondo questa teoria, i comportamenti che sono seguiti da competenze positive (rinforzo) tendono ad aumentare di frequenza, mentre i comportamenti che sono seguiti da conseguenze negative (punizione) tendono a diminuire. Skinner ha sviluppato la sua teoria attraverso la sua ricerca sui comportamenti dei roditori, che ha utilizzato per descrivere i principi del comportamento operante, come il rinforzo e la punizione. Ha anche sviluppato la tecnologia del "condizionamento operante", che utilizza i principi del rinforzo e della punizione per modificare i comportamenti indesiderati. Nel condizionamento operante si possono distinguere tre fasi: 1. Pre-apprendimento: serve a determinare il comportamento operante, ovvero la frequenza della messa in atto della risposta da parte della cavia (ad esempio, premere la leva) senza che vi sia alcun rinforzo positivo o negativo. dell'immaginazione; i b. hanno la capacità di rappresentare concetti e simboleggiare l'ambiente; iniziano a sviluppare capacità di pensiero logico. 3. Fase del pensiero intuitivo: dai 4 ai 7 anni. Con l'avvento della scuola materna si ha un maggior bagaglio di conoscenze, ma il pensiero non è ancora reversibile. Infatti, il bambino non è in grado di mentalizzare l'azione compiuta verso uno scopo o fine. 4. Fase delle operazioni concrete: dai 7 agli 11 anni. Durante questa fase aumenta la coordinazione tra le azioni compiute e il pensiero induttivo si evolve passando dal particolare al generale e viceversa, ma i processi cognitivi sono ancora legati alle azioni e, quindi, vincolati a una fase puramente verbale. I b. acquisiscono la capacità di comprendere concetti astratti ed eseguire operazioni matematiche; è caratterizzata dallo sviluppo della capacità di pensiero logico e problem solving. 5. Fase delle operazioni formali: dagli 11 ai 14 anni. Questo costituisce il periodo preadolescenziale in cui il ragionamento ipotetico - deduttivo permette di creare scenari puramente immaginativi e la messa in atto di vari tipi di azione, grazie a un adeguato e costante equilibrio tra assimilazione e accomodamento. durante questa fase si sviluppano la capacità di giudizio, la relatività dei punti di vista, le operazioni sui simboli e l'attività di misurazione. È importante notare che questi stadi non siano rigidi e che ogni bambino può svilupparsi a un ritmo diverso. La teoria di P. fornisce una cornice generale per lo sviluppo cognitivo, ma ogni bambino è unico e può svilupparsi in modo diverso. In ogni stadio, il bambino mostra una comprensione sempre più sofisticata e logica del mondo. La teoria ha una vasta influenza sulla psicologia dello sviluppo e sull'educazione dei bambini. Altri cardini chiave della teoria di Piaget sono i concetti di assimilazione e accomodamento, principi fondamentali per lui dello sviluppo cognitivo. • L'assimilazione si riferisce al processo attraverso il quale un individuo incorpora nuove informazioni nelle sue strutture cognitive esistenti. Ad esempio, un bambino che comprende un nuovo concetto incorporandolo nel suo modello del mondo. • L'accomodamento si riferisce al processo attraverso il quale un individuo modifica le sue strutture cognitive per adattarsi a nuove informazioni o esperienze. Ad esempio, un bambino che modifica il suo modello del mondo per comprendere un nuovo concetto. Secondo Piaget, l'assimilazione e l'accomodamento sono costantemente in interazione e in equilibrio durante lo sviluppo cognitivo. Quando le informazioni nuove non possono essere assimilate, si verifica una crisi che viene risolta attraverso l'accomodamento. Questo processo è un meccanismo fondamentale per la costruzione della conoscenza e il progresso cognitivo. La teoria cognitivista di Piaget è stata influente nel campo dell'educazione, dove è stata utilizzata per sviluppare programmi di istruzione che tengono conto dei tassi di sviluppo cognitivo individuali. La teoria sostiene che l'apprendimento è un processo attivo che richiede la partecipazione attiva dell'individuo e che gli insegnanti dovrebbero fornire opportunità per l'esplorazione e la scoperta da parte dello studente. Alcuni contributi principali: • Enfasi sull'apprendimento attivo: sottolinea l'importanza dell'apprendimento attivo, dove i bambini costruiscono la propria conoscenza attraverso l'interazione con il mondo e la risoluzione di problemi. • Riconoscimento dei limiti di età nella comprensione: la teoria esposta riconosce che i bambini hanno limiti nella loro comprensione del mondo in base all'età e al loro sviluppo cognitivo. Questo aiuta gli insegnanti a capire i limiti dei loro studenti e a pianificare le lezioni di conseguenza. • Personalizzazione dell'insegnamento: lo psicologo sostiene che ogni bambino segue un proprio percorso di sviluppo cognitivo unico. Questo ha portato all'adozione di metodi di insegnamento personalizzati che tengono conto dei progressi individuali dei bambini. • Valorizzazione dell'apprendimento collaborativo: ha anche sostenuto che l'apprendimento avviene attraverso l'interazione sociale e la collaborazione con gli altri. Questo ha influenzato la pratica educativa, incoraggiando la creazione di ambienti di apprendimento collaborativi in classe. La teoria di Piaget ha fornito una base solida per comprendere lo sviluppo cognitivo dei bambini e ha influenzato molte pratiche educative, aiutando gli insegnanti a creare ambienti di apprendimento più efficaci e significativi. Contributi di Piaget all'attuale educazione: i contributi di P. all'educazione sono considerati di estrema importanza per la teoria dell'educazione. Egli è il fondatore della psicologia genetica, la quale ha influenzato significativamente la teoria e la pratica educativa generatasi attorno a essa, sebbene sia cambiata nel tempo dando luogo a diverse formulazioni. Il lavoro di P. consiste nelle sue scoperte del pensare umano da una prospettiva biologica, psicologica e logica. È necessario chiarire che il concetto di "psicologia genetica" non è applicato in un contesto nettamente biologico o fisiologico, poiché non si riferisce né si basa sui geni; viene definita genetica perché il suo lavoro riguarda la genesi, l'origine o il principio del pensiero umano. Uno del grandi contributi all'attuale educazione consiste nell'aver gettato le fondamenta dell'idea secondo cui durante i primi anni di educazione del bambino, l'obiettivo che si persegue è il raggiungimento dello sviluppo cognitivo, in definitiva del primo apprendimento. A tale scopo, è indispensabile e complementare quello che la famiglia ha insegnato al bambino e stimolato in lui, avendo questi appreso alcune regole e norme che gli permettono di assimilare in un ambiente scolastico. Un altro contributo è che la teoria impartita a lezione non è sufficiente per dire che l'argomento sia stato assimilato e appreso. L'apprendimento include vari metodi di pedagogia come l'applicazione delle conoscenze, la sperimentazione e la dimostrazione. Il secondo obiettivo dell'educazione è formare menti che possono essere critiche, che possono verificare e non accettare tutto quello che viene offerto loro. Il grande pericolo di oggi sono i lemmi, le opinioni collettive, le tendenze di pensiero. Dobbiamo essere capaci di opporci in modo individuale per criticare, per distinguere tra quello che va bene e quello che non va bene. La meta principale dell'educazione è creare persone che siano capaci di innovare, non solo di ripetere quello che altre generazioni hanno fatto. Persone che siano creative, fantasiose e scopritrici. La seconda meta dell'educazione è formare menti che siano critiche, che possano verificare e non accettare tutto quello che viene trasmesso loro come valido o veritiero. Linguaggio per Piaget: il linguaggio è una conquista della transizione dall'intelligenza sensomotoria a quella rappresentativa. La lingua viene acquisita attraverso un processo che consiste in quattro fasi: 1. Fase prelinguistica: (0-2 anni) si riferisce ai primi tentativi di comunicazione del bambino, in cui inizia a emettere suoni, gesti o semplici parole. Il b. comincia a capire il linguaggio degli adulti, ma non è ancora in grado di usarlo per comunicare. Per aiutare i bambini in questa fase, i genitori dovrebbero parlare loro con un tono di voce amichevole, ascoltare attentamente e ripetere i suoni che emettono. 2. Fase del linguaggio semplice: (2-7 anni) il b. inizia a usare frasi semplici per comunicare; i genitori devono insegnare a usare correttamente le frasi semplici e comprenderne il significato. I genitori dovrebbero anche usare parole semplici con il bambino, ripetere frasi e parole in modo che questo possa impararle meglio e stabilire una routine in modo che il b. possa imparare a usare il linguaggio più facilmente. 3. Fase linguistica intermedia: (7-11 anni) il b. inizia a usare frasi più complesse e a comprendere la lingua degli adulti. I genitori dovrebbero continuare a insegnare al bambino a usare frasi più complesse e a comprendere più facilmente il linguaggio. I genitori dovrebbero anche parlare al bambino usando frasi più complesse in modo che possa capirle meglio e fare domande in modo che possa capire il significato delle frasi. 4. Fase linguistica complessa: (dagli 11 anni in poi) il b. può usare la lingua fluentemente e può comprendere la lingua degli adulti. in questa fase, i genitori dovrebbero continuare a insegnare al b. a usare la lingua in modo più fluido e a comprendere il significato di frasi complesse. I genitori dovrebbero anche leggere con il bambino in moda che possa comprendere il significato di parole e frasi più complesse. TEORIA DELL'APPRENDIMENTO SOCIALE DI BANDURA sostiene che l'apprendimento avviene attraverso l'osservazione e l'imitazione degli altri. B. è uno psicologo statunitense noto per i suoi contributi alla psicologia sociale, in particolare per la sua teoria dell'apprendimento sociale, nota come "teoria dell'autoefficacia". B. ha anche lavorato su temi come l'aggressività, la motivazione e la personalità. Ha insegnato alla Stanford University per molti anni ed è stato un membro attivo della comunità accademica di psicologia. La teoria dell'autoefficacia di Albert Bandura sostiene che le persone hanno una percezione della loro capacità di eseguire determinate azioni, nota come autoefficacia, che influenza la loro motivazione, le loro emozioni e le loro azioni. Secondo B., l'autoefficacia si basa sull'esperienza passata delle persone, sui loro successi e fallimenti e sulla loro capacità di controllare gli eventi della loro vita. Coloro che hanno un alto senso di autoefficacia ritengono di avere il controllo delle loro vite e si sentono capaci di affrontare sfide e superare ostacoli, mentre coloro che hanno un basso senso di autoefficacia tendono a evitare le sfide e a sentirsi impotenti di fronte agli ostacoli. La teoria di B. identifica anche diverse fonti di autoefficacia, tra cui: esperienze di successo, modello di ruolo, verbo persuasione ed emozioni e stati fisiologici. • Enfasi sul rinforzo: ha messo in luce l'importanza del rinforzo nell'apprendimento. Gli insegnanti hanno iniziato a utilizzare i rinforzi, sia positivi che negativi, per influire sul comportamento degli studenti e migliorare la loro motivazione dell'apprendimento. • Metodo di insegnamento basato sulle conseguenze: la teoria ha anche influenzato la forma in cui gli insegnanti hanno iniziato a insegnare; il metodo di insegnamento basato sulle conseguenze incoraggia gli insegnanti a concentrarsi sulle conseguenze del comportamento degli studenti e a utilizzare queste conseguenze per influire sul loro comportamento e motivazione. • Sviluppo dei programmi di informazione: la teoria ha anche contribuito allo sviluppo di programmi di formazione che utilizzano tecniche di rinforzo per migliorare l'apprendimento degli studenti. Questi programmi hanno dimostrato di essere efficaci nell'aumentare la motivazione e il successo degli studenti. • Riconoscimento dell'importanza dell'associazione: ha influenzato il modo in cui gli insegnanti hanno iniziato a insegnare; gli insegnanti hanno iniziato a concentrarsi sull'associazione tra stimoli e risposte e a utilizzare queste associazioni per influire sul comportamento e l'apprendimento degli studenti. L'impatto sull'insegnamento è stato significativo. La sua teoria ha influenzato la forma in cui gli insegnanti insegnano e ha influito sullo sviluppo di programmi di formazione efficaci. La teoria è ancora utilizzata oggi come base per molte tecniche pedagogiche e di formazione. T. ha condotto molte ricerche sugli animali, utilizzando un metodo noto come la cabina di prova di Thorndike, in cui gli animali erano rinchiusi in una scatola e dovevano effettuare un comportamento specifico per ottenere una ricompensa o evitare una punizione. Questi esperimenti hanno mostrato che gli animali imparavano a comportarsi in modo più efficienti nel tempo, aumentando la probabilità di un comportamento in seguito a una conseguenza positiva e diminuendo la probabilità di un comportamento in seguito a una conseguenza negativa. La teoria del rinforzo di T. ha avuto un'influenza significativa sulla psicologia e sulla teoria educativa e viene ancora oggi utilizzata per spiegare l'apprendimento e il cambiamento comportamentale. Ad esempio, la teoria del rinforzo viene spesso utilizzata in terapie comportamentali per trattare problemi di questo tipo o di salute mentale e viene utilizzata anche per spiegare come le aziende possono influire sul comportamento dei consumatori attraverso il marketing e la pubblicità. THORNDIKE VS. SKINNER Le teorie dei due autori sono entrambe basate sul rinforzo che spiegano come le conseguenze positive o negative influenzano il comportamento. Tuttavia, ci sono alcune differenze importanti tra le due. La teoria di T. si concentra sul rapporto tra la risposta e la conseguenza, sostenendo che la probabilità di un comportamento aumenta se è seguito da una conseguenza positiva (rinforzo) e diminuisce se è seguito da una conseguenza negativa (punizione). La teoria di S. si concentra sul controllo ambientale del comportamento e sul potere del rinforzo per modificare e mantenere il comportamento. S. ha introdotto il concetto di schema comportamentale, che descrive come un comportamento può essere influenzato dalla presenza di uno stimolo ambientale. La sua teoria sostiene che il comportamento è determinato dall'ambiente e non dalla personalità o libero arbitrio del soggetto. Inoltre, mentre T. ha concentrato i suoi studi sugli animali, S. ha esteso la sua teoria all'uomo e ha sviluppato l'analisi comportamentale del linguaggio per spiegare il comportamento umano, tra cui la formazione delle abitudini, la risoluzione dei problemi e l'apprendimento linguistico. Entrambe le teorie sono basate sul rinforzo, ma la teoria di T. si concentra sul rapporto tra risposta e conseguenza, mentre la teoria di S. si concentra sul controllo ambientale del comportamento e sul potere del rinforzo per modificare e mantenere il comportamento. Apprendimento: secondo la definizione proposta dallo psicologo E. Hilgard (1971), l'apprendimento è un processo intellettivo attraverso cui l'individuo acquisisce conoscenze sul mondo che, successivamente, utilizza per strutturare e orientare il proprio comportamento in modo duraturo. L'apprendimento può essere il risultato di processi spontanei, come avviene nei bambini, ad esempio con il linguaggio, o può essere indotto e guidato mediante un intervento esterno di insegnamento. La psicologia e la pedagogia si sono interessate spesso ai processi di apprendimento, producendo numerose e differenti teorie interpretative, classificate in relazione alle grandi scuole della psicologia del Novecento. Comportamentismo e apprendimento Il comportamentismo ha alla base una concezione associazionista, ovvero intende l'apprendimento come risultato di associazioni nuove tra stimoli e comportamenti in risposta agli stimoli stessi. In tale approccio vi è una concezione di tipo sommatorio dell'apprendimento che vede il soggetto come essenzialmente passivo. Ciò che viene appreso è una copia dello stimolo presentato e, pertanto, l'apprendimento può essere, da una parte, misurato confrontando il comportamento acquisito dopo la situazione di apprendimento con quello presente precedentemente e, dall'altra, può essere valutato secondo i criteri della quantità e dell'accuratezza della performance. Le premesse comportamentista appaiono compatibili in linea generale con le caratteristiche empiriche dei sistemi di formazione a distanza (istruzione programmata di Skinner, 1954, e programmazione ramificata di Crowder), in quanto in questi sistemi è implementabile un processo formativo che invita il discente a fissare i propri obiettivi di apprendimento e a verificare durante il percorso didattico il loro raggiungimento (mediante indicatori di apprendimento). Inoltre, i docenti possono affiancare a tale metodologia di valutazione soggettiva una valutazione oggettiva. Affinchè il processo formativo risulti efficace e coerente è necessaria, quindi, l'introduzione di feedback a più livelli per la durata del corso, che assicurino la misurazione del grado di apprendimento. Pertanto, molte delle caratteristiche coerentemente riconducibili alla teoria comportamentista dell'apprendimento sono praticabili nei moderni ambienti di e- learning, soprattutto per ciò che concerne la produzione e la strutturazione dei contenuti e materiali didattici multimediali, seguendo un paradigma di produzione per Learning Object (ad esempio nei tutorial per l'apprendimento di software). Maggiori esponenti: Pavlov, Watson, Thorndike, Skinner, Tolman. Tolman è stato il più autorevole precursore del cognitivismo. Pur riconoscendosi nella corrente comportamentista, riservò nei suoi studi grande attenzione agli aspetti cognitivi dell'apprendimento, sostenendo che per attribuire la giusta considerazione alla sfera della cognizione nell'ambito del comportamento occorresse in primo luogo intervenire sul piano metodologico, ristrutturando la natura degli esperimenti e riconsiderando il ruolo dell'osservatore. Gli studi comportamentisti, infatti, privilegiavano l'approccio molecolare, che consisteva nell'analizzare e scomporre il comportamento nei vari, singoli movimenti degli specifici muscoli interessati dall'azione, come raccomanda la fisiologia. Tolman, invece, era interessato esclusivamente al comportamento morale (globale), analizzato, cioè, per unità molto ampie che concorrono a definire un atto nella sua complessità, nella sua irriducibile totalità funzionale. Il comportamento di un topo che aziona una leva per accedere al cibo, per esempio, non è descrivibile come la semplice sommatoria delle singole componenti motorie attivate ma è la risultante di cognizioni e intenzionalità verso uno scopo. Mentre l'approccio molecolare prende in considerazione esclusivamente le connessioni stimolo-risposta in situazioni controllate, all'interno delle quali gli stimoli (le variabili indipendenti) operano direttamente sulle risposte (varabili dipendenti), l'approccio morale considera solo interi set comportamentali. Queste sequenze sono il risultato dell'interazione di variabili indipendenti e intervenienti (o intermedie) che concorrono a determinare le variabili dipendenti (risposte). Tolman chiama variabili intervenienti tutti quegli eventi la cui presenza o assenza non determina una risposta ma ne modifica l'intensità, la velocità o la durata. Per esempio, l'apprendimento di un soggetto può subire variazioni in ragione del suo affaticamento o in virtù di una gratificazione o di una frustrazione ricevuta. Questi eventi o stati psichici intervengono e si frappongono fra lo stimolo e la risposta e pur non essendo direttamente osservabili, poiché sono di natura psicologica, meritano la stessa considerazione scientifica del comportamento osservabile poiché concorrano a determinarlo. Ogni comportamento morale è caratterizzato da intenzionalità, si costruisce sul profilo cognitivo del soggetto (abilità, nozioni, conoscenze, aspettative, convinzioni) e muove verso uno scopo. Tolman sintetizza questo insieme di caratteristiche con la definizione di comportamentismo finalistico, mettendo in risalto la relazione fra comportamento e obiettivi ma valorizzando anche, rispetto al behaviorismo classico, il peso della componente psicologica. Nel comportamentismo l'insegnamento è pedagogicamente strutturato come trasmissione del sapere strettamente organizzata in unità didattiche (frames) al termine delle quali viene svolta una verifica. Il modello si pone come retroattivo, fondato sulla teoria del feedback ed il soggetto che insegna può essere umano o artificiale. L'attenzione è rivolta all'uguaglianza del risultato e non alla specificità del soggetto apprendente, l'ambiente si predispone affinchè si ottenga la risposta desiderata. Il comportamentismo si rivela poco adatto nei programmi di educazione terapeutica che pongono, al contrario, il discente al centro del suo percorso di apprendimento, come un protagonista della propria crescita. Cognitivismo e apprendimento