Scarica Dispense per concorso straordinario 2023 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Biologia solo su Docsity! LA CELLULA La teoria cellulare segna la nascita della biologia moderna. Essa afferma che: La cellula è l’unità fondamentale della materia vivente Tutti gli organismi sono formati da cellule Le cellule derivano esclusivamente dalla divisione di altre cellule Pur avendo dimensioni variabili, la maggior parte delle cellule sono visibili al microscopio ottico. E’ questo il caso di molti batteri o delle cellule epiteliali. Per misurare le cellule conviene utilizzare il micrometro, e per misurare gli organelli il nanometro (10-6 e 10-9). Con il microscopio ottico si possono vedere le cellule batteriche, ma per esempio non si possono vedere i virus. Le cellule si dividono in procariotiche ed eucariotiche (recentemente sono stati identificati gli archeobatteri con caratteristiche intermedie). Le cellule procariotiche sono quelle che si ritrovano nei procarioti, tra cui i batteri. I procarioti non possono organizzarsi in tessuti, possono dar vita solamente a colonie di cellule I batteri possono essere suddivisi in archea e eubatteri, comprendenti i batteri e le alghe azzurre o cianobatteri. Le differenze tra archebatteri ed eubatteri sono riscontrabili a livello dell’apparato trascrizionale e traduzionale (ribosomi), nella composizione della parete cellulare (negli archea manca l’acido muramico), nella membrana plasmatica (negli archea i lipidi complessi di membrana mostrano legami eterei e non esterici). In generale, i procarioti rappresentano i primi viventi che per la prima volta mostrano una struttura limitante e contenitiva che li separa dall’ambiente che li circonda. Questa struttura è costituita da una membrana lipoproteica che rappresenta la vera membrana plasmatica e una parete cellulare rigida di natura polisaccaridica. Più esternamente rispetto alla parete cellulare, si trova la capsula: uno strato di materiale viscoso aderente all’involucro cellulare. E’ formata da omodimeri o eterodimeri di monosaccaridi. La sua funzione è quella di aderire alle superfici. Inoltre garantisce protezione, perché permette di difendersi da improvvisi cambiamenti di temperatura o dalle sostanze tossiche o dai virus. Nel caso di batteri patogeni, la capsula rappresenta un fattore di virulenza perché protegge dalla fagocitosi. La caratteristica principale di tutti i procarioti è la mancanza di un sistema membranoso interno che suddivida il citoplasma in compartimenti. Con il microscopio elettronico è possibile osservare il DNA, un solo cromosoma chiuso ad anello che è “nudo” cioè non è associato a proteine. Nel citoplasma hanno i ribosomi che svolgono la stessa funzione ma sono strutturalmente e dimensionalmente differenti, infatti i ribosomi batterici hanno una velocità di sedimentazione pari a 70S (30s,50s) mentre quelli eucariotici 80 S ( subunità minore uguale a 40S, subunità maggiore uguale a 60S). Nella soluzione colloidale e polifasica sostituente il citoplasma sono disciolti i diversi tipi di RNA, proteine di varia natura . Non c’è traccia di strutture riconducibili all’apparato mitotico e conseguentemente di formazioni microtubulari. I flagelli batterici mostrano meccanismi di generazione del moto molto differenti da quello microtubulo mediato proprio delle ciglia e dei flagelli eucariotici. nella cellula batterica si hanno i flagelli che sono formati da una unica proteina, la flagellina (invece negli eucarioti sono formati dai microtubuli). Non essendoci un sistema membranoso interno, le molecole enzimatiche funzionalmente legate a una localizzazione membranosa devono essere per forza alloggiate a livello della membrana plasmatica o di alcune sue invaginazioni (mesosomi, cromatofori). Le cellule eucariotiche sono caratterizzate dalla presenza di nucleo delimitato da un involucro membranoso. Gli eucarioti comprendono organismi evolutivamente avanzati, costituiti da cellule a citoplasma compartimentalizzato per la presenza di uno sviluppato sistema membranoso interno, ciò comporta la comparsa di organuli delimitati da membrana. Gli individui eucariotici possono essere unicellulari (protisti) o pluricellulari ( funghi, metafiti e metazoi). Le cellule di metazoo possono essere perenni (una volta raggiunto lo stato differenziato non si dividono piu), stabili (la capacità mitotica non viene persa completamente), labili ( vita molto breve). Differenze tra la cellula eucariotica e la cellula procariotica: la cellula procariotica ha dimensioni più piccole. Il nucleo è avvolto da un involucro membranoso, assente delle cellule eucariotiche. Inoltre le cellule eucariotiche hanno il nucleolo. I cromosomi sono numerosi e in genere lineari negli eucarioti mentre i procarioti hanno il DNA costituito da una solo molecola circolare. Gli eucarioti sono dotati di organelli cellulari delimitati da membrane (golgi, reticolo endoplasmatico, lisosomi, perossisomi, mitocondri, cloroplasti). Il fatto che ci siano più compartimenti interni fa sì che all’interno di ogni organulo si possano svolgere reazioni diverse incompatibili con le caratteristiche chimico fisiche di altri organuli o addirittura dannose per il resto della cellula, come il caso dei lisosomi con funzioni digestive e contenenti enzimi litici. La grande superficie disponibile garantita dai sistemi membranosi interni permette inoltre di moltiplicare il numero di complessi enzimatici dedicati alle diverse attività. Inoltre le membrane degli organuli sono dotate di sistemi di trasporto attivi e di permeabilità tipiche di ciascun compartimento che permettono sia di regolare la composizione interna sia di controllare indirettamente quella del citoplasma. I ribosomi hanno una diversa velocità di sedimentazione: 70S per i procarioti e 80 S per gli eucarioti. Il citoscheletro è assente nei procarioti, infatti non si dividono né per mitosi né per meiosi. I mesosomi, delle invaginazioni della membrana plasmatica, si hanno solo nella cellula procariotica. Entrambe le cellule hanno i flagelli, ma formati in un caso dalla flagellina e in un caso da i microtubuli (eucarioti). Una importante differenza è il metabolismo: sia anaerobico che aerobico per i batteri, sempre aerobico per le cellule eucariotiche. Differenza tra la cellula vegetale e animale: Le cellule animali e vegetali condividono la presenza di un nucleo delimitato da involucro nucleare incluso nel citoplasma a sua volta circondato dalla membrana plasmatica. Il citoplasma include il reticolo endoplasmatico liscio e rugoso, i ribosomi, l’apparato di Golgi, i perossisomi, gli elementi del citoscheletro, i mitocondri. Le cellule animali hanno anche centrioli e lisosomi che sono generalmente assenti nelle cellule vegetali. Al contrario, sono tipici delle cellule vegetali i plastidi, i vacuoli, la parete cellulare. Strutture tipiche delle cellule vegetali PLASTIDI E CLOROPLASTI: La fotosintesi è il processo in cui le piante utilizzano l’energia solare per sintetizzare composti organici, soprattutto glucidi, a partire da acqua e anidride carbonica. Nelle alghe eucariotiche e nelle piante superiori la fotosintesi ha luogo in organelli separati dalla matrice mediante un rivestimento membranoso, chiamati plastidi (in particolare nelle membrane tilacoidali avviene il trasporto degli elettroni, nello stroma avviene il ciclo di Calvin). Alcuni, i leucoplasti, non contengono pigmenti quindi e non compiono la fotosintesi, poi ci sono i cromoplasti che contengono pigmenti ma non compiono la fotosintesi e infine i cloroplasti che contengono clorofilla e fanno la fotosintesi. Ci sono due tipi di clorofilla la a e la b, che assorbono la luce a lunghezze d’onda differenti (la luce verde non viene assorbita e quindi viene riflessa). transmembrana con uno o piu siti per l’ATP. Es pompe calcio che trasportano calcio fuori dalla cellula per tenere bassa la sua concentrazione, e pompa sodio potassio, pompe sodio/k trasportano 3 ioni sodio fuori dalla cellula e 2 ioni k dentro la cellula. Nelle cellule la concentrazione di ioni potassio è circa venti volte piu alta all’interno, invece la concentrazione di sodio è circa 10 volte piu alta all’esterno. Oltre alle pompe, ci sono canali che favoriscono il passaggio di sodio, potassio e cloro. In genere i canali per il potassio sono quasi tutti aperti ( quindi entra) e quelli per il sodio sono invece chiusi, quindi il potenziale è -70Mv. Le macromolecole invece vengono trasportate in vescicole (endocitosi e esocitosi). L’endocitosi comprende la fagocitosi, pinocitosi, endocitosi mediata da recettori. La fagocitosi viene svolta dalle cellule del sistema immunitario, quali i macrofagi e i granulociti neutrofili. Con questo processo la cellula ingerisce parti relativamente gradi. Negli organismi superiori la funzione è la difesa. Nel caso della pinocitosi, la cellula ingloba goccioline di liquido di matrice extracellulare, e delle componenti presenti al suo interno. Infine l’endocitosi mediata da recettore è un processo altamente specifico, che permette di incorporare ormoni, fattori di crescita, enzimi, tramite il legame con un recettore nella membrana. Tramite esocitosi la cellula rilascia ormoni etc all’esterno. Il nucleo: L’insieme delle sequenze di DNA di un organismo è detto genoma. Nei procarioti è costituito quasi esclusivamente da sequenze funzionali, cioè da geni che codificano per le proteine e da geni regolatori, negli eucarioti invece ci sono anche sequenze non funzionali. Nei procarioti il genoma non è separato dal citoplasma, mentre nei secondi si trova nel nucleo separato da involucro nucleare. Inoltre le sequenze di DNA negli eucarioti sono sempre associate a proteine. Il nucleo è una struttura dinamica e possiamo notare differenze tra la divisione cellulare e il periodo che intercorre tra due divisioni successive, detto intercinesi. Nel nucleo è possibile osservare un insieme di membrane detto involucro nucleare, uno o più organelli sferici detti nucleoli (zona particolarmente densa di materiale genetico e proteico codifica per rna ribosomiali), la cromatina (i nucleoli si colorano con coloranti acidi, la cromatina con coloranti basici), infine una rete filamentosa con filamenti di natura proteica detta nucleoscheletro. A livello del poro si trova una struttura proteica detta complesso del poro, è costituito dalle nucleoporine che si organizzano in subcomplessi. Il complesso del poro controlla gli scambi tra nucleo e citoplasma. L’involucro nucleare di disgrega all’inizio della divisione e si riforma alla fine. Il genoma negli eucarioti non è costituito da anelli di DNA ma da lunghe catene laterali, che unendosi a proteine formano i cromosomi. I cromosomi sono evidenziabili solo nella fase di divisione cellulare ma mantengono la propria individualità in tutte le fasi. Il numero dei cromosomi è caratteristico per ogni specie. Nelle cellule somatiche ci sono due copie per ogni cromosoma, dette copie di cromosomi omologhi uguali per forma dimensione e composizione genica. Questo corredo cromosomico è detto diploide ed è indicato con la sigla 2n, invece nella cellule germinali è presente uno solo dei due omologhi per ogni coppia, corredo aploide. Negli eucarioti il DNA è sempre legato a proteine istoniche o non istoniche a costituire una struttura che in intercinesi è detta cromatina. Il reticolo endoplasmatico: è formato da membrane ripiegate, impilate e interconnesse tra loro. Lo spazio interno delle membrane è detto lume. In base alle caratteristiche morfologiche, con la microscopia elettronica è possibile distinguere due tipi di RE, che svolgono funzioni diverse e che differiscono per la composizione chimica: il reticolo endoplasmatico rugoso e liscio. In quello rugoso, si ha la presenza dei ribosomi. Il RER svolge un ruolo chiave nella sintesi e maturazione delle proteine di membrana, delle proteine destinate alla secrezione, e di quelle destinate alla membrana o al lume di diversi organuli. Le proteine sintetizzate dai ribosomi, vanno a far parte della membrana del RER, oppure vengono rilasciate nello spazio interno delle cisterne del RE, dove iniziano la loro maturazione. Anche i lipidi di membrana vengono sintetizzati nel RE. La maturazione dei lipidi e delle proteine vengono completati nell’apparato di Golgi. Dal Golgi, i prodotti finali vengono rilasciati sotto forma di vescicole. Le vescicole secretorie migrano verso la membrana plasmatica, dove verranno rilasciate per esocitosi. Altre vescicole invece rimangono nel citoplasma. Al contrario del RER il REL manca di ribosomi ed è costituito da tubuli intercomunicanti. I due RE sono in continuità l’uno con l’altro. Si trova una prevalenza di RER in cellule ghiandolari a secrezione proteica, e una prevalenza di REL nelle cellule a secrezione steroidea, es cellule del testicolo che producono testosterone. A carico del REL è la produzione della maggior parte dei lipidi delle membrane, oltre alla produzione di fosfolipidi il REL svolge un ruolo essenziale nella sintesi del colesterolo e degli ormoni steroidei, inoltre processi di detossificazione dei farmaci e sostanze tossiche e metabolismo dei carboidrati ( il glicogeno rilascia glucosio 6 fosfato, nel REL enzima glucosio 6fosfatasi rimuove il fosfato). Il REL mantiene il calcio intracellulare molto basso, grazie a pompe ATPasiche che lo trasportano verso il suo interno. Apparato di Golgi: è costituito da una pila di sacche membranose appiattite dette cisterne. Nel RER le proteine vanno incontro ad una serie di modifiche post traduzionali che si completano nell’apparto di Golgi: glicosilazione (legame con catene oligosaccaridiche), modifiche covalenti a carico di particolari aa, ponti disolfuro tra residui di cisteina, eliminazione di porzioni della catena polipeptidica, ripiegamenti della catena. Questo apparato appare molto sviluppato nelle cellule impegnate in un’intensa attività di secrezione proteica. Ha una faccia prossimale in genere rivolta verso il RER, e una faccia distale che si rivolge verso la superficie della cellula. Oltre alle cisterne appiattite sono presenti piccole vescicole dette vescicole di trasporto e vescicole più grandi dette vescicole di secrezione. Le piccole vescicole di trasporto sono piu abbondanti nella faccia CIS, quella vicino al RER e le vescicole di secrezione sono più abbondanti nella faccia TRANS. Il traffico vescicolare che connette l’apparato di golgi, il RER e le vescicole secretorie è reso possibile dall’intervento del citoscheletro. Dal Golgi le proteine possono essere veicolate all’esterno (secrezione) o ai vari organuli. La giusta collocazione è determinata dalla presenza nelle vescicole delle proteine SNARE. I lisosomi sono degli organelli cellulari adibiti alla digestione intracellulare di corpi estranei ingeriti tramite fagocitosi, oppure parti invecchiate della cellula o di macromolecole. Questo è possibile per mezzo di enzimi idrolitici in essi contenuti. Nel lume dei lisosomi sono presenti circa 40 tipi di enzimi idrolitici, lipasi proteasi fosfolipasi glicosidasi fosfatasi. Quindi ottengono molecole più semplici che potranno essere trasportate al citoplasma grazie a specifici vettori di membrana. I lisosomi hanno un Ph acido, circa 5, garantito dalla presenza di pompe atpasiche che permettono l’ingresso di protoni. Se i lisosomi vengono danneggiati, gli enzimi digestivi fuoriescono e digeriscono la cellula, che quindi muore. I perossisomi sono un gruppo eterogeneo di organuli citoplasmatici delimitati da una singola membrana. Svolgono molteplici funzioni: metabolismo acqua ossigenata, ossidazione acidi grassi, metabolismo composti azotati, detossificazione, sintesi di plasmalogeni (fosfolipidi abbondanti nel cuore e tessuto nervoso), ossidazione acido urico. La catalasi degrada l’acqua ossigenata prodotta sempre a livello dei perossisomi, da diversi enzimi come le ossidasi. Infatti la catalasi è l’enzima più abbondante nei perossisomi. Il ph all’interno dei perossisomi è circa 8 I mitocondri sono la sede della respirazione cellulare. Il metabolismo energetico è l’insieme di reazioni che a partire dalla degradazione di molecole organiche producono ATP. Consiste di una fase anaerobia che si svolge nel citoplasma e una fase aerobia che si svolge nei mitocondri. I mitocondri sono visibili già al microscopio ottico. Possono assumere diverse forme, a bastoncino, forma granulare, forma filamentosa, essendo molto dinamici. Il numero è variabile, infatti mentre in una normale cellula ce ne sono da 1000 a 2000, nell’oocito può arrivare a 30000. Sono distribuiti in maniera uniforme nel citoplasma. Al microscopio elettronico si può osservare che i mitocondri hanno 2 membrane una interna e una esterna, e due spazi distinti cioè una camera mitocondriale esterna e una camera mitocondriale interna. La membrana esterna ha più lipidi di quella interna, sono soprattutto fosfolipidi di cui il più abbondante è fosfatidilcolina. Questa membrana ha un’elevata permeabilità e contiene molte copie della proteina porina. La membrana interna si solleva entro la cavità del mitocondrio formando pieghe dette creste mitocondriali. La composizione della membrana interna ricorda quella dei batteri, infatti contiene cardiolipina ed è quasi priva di colesterolo, non è permeabile quanto quella esterna e contiene proteine di trasporto che ne mediano il trasporto attivo. A livello di questa membrana si trovano i complessi proteici della fosforilazione ossidativa e del trasporto degli elettroni. La matrice mitocondriale contiene un gel, discretamente viscoso, che contiene enzimi idrosolubili per l’ossidazione degli acidi acidi e per il ciclo di krebs. Inoltre i mitocondri rappresentano uno dei più importanti depositi intracellulari per gli ioni calcio. I mitocondri possegono un proprio genoma e un proprio apparato sintetico comprendente vari tipi di RNA e ribosomi. Il DNA mitocondriale non è legato a proteine, è sotto forma di molecole circolari e ogni mitocondrio ne contiene diverse molecole. L’eredità è materna. I mitocondri degli animali e dei funghi utilizzano un codice diverso da quello universale mentre i mitocondri delle piante utilizzano il codice universale. La molecola alla base delle reazioni metaboliche è l’ATP: il ribosio è legato all’adenina e al primo radicale fosforico tramite legame estereo, mentre i legami tra i gruppi fosforici sono anidrinici (ribosio lega al C1 l’adenina e al C5 il gruppo fosfato). L’atp cede facilmente le calorie contenute nel legame tra il secondo e il terzo gruppo fosforico, trasformandosi in adp e liberando energia. Lo scopo dei mitocondri è quello di ripristinare le molecole di atp, utilizzando zuccheri, grassi, e proteine. Secondo la teoria endosimbiontica, i mitocondri e i cloroplasti si sarebbero evoluti da batteri ancestrali, che avrebbero stabilito una relazione simbiotica con cellule ancestrali nucleate. Come ricordo della originaria autonomia, questi organelli conservano il DNA, i ribosomi 70S, e la capacità di effettuare la sintesi proteica. Il citoscheletro: Il citoscheletro si trova nelle cellule eucariotiche, non nei batteri. Il citoscheletro permette alle cellule di cambiare la loro forma, di muoversi mediante strutture, permette il movimento di alcuni organelli, costituisce i sarcomeri che permettono la contrazione muscolare, costituisce il fuso mitotico, sostiene i dendriti e gli assoni dei neuroni. Il citoscheletro è formato da 3 tipi di filamenti, che in base al loro diametro sono distinguibili in: Microtubuli: cilindri cavi formati da filamenti di una proteina detta tubulina. Nella cellula, i microtubuli prendono sempre origine da un centro focale, detto centro di organizzazione microtubulare. Uno dei più noti centri di organizzazione microtubulare è il centrosoma. Nelle cellule animali il centrosoma contiene i microtubuli, che sono invece assenti nelle cellule vegetali. I microtubuli sono implicati nel movimento dei cromosomi, delle cellule (mediante ciglia e flagelli) e di alcune componenti cellulari. Le ciglia sono più corte e numerose, mentre i flagelli sono più lunghi. La disposizione è la stessa: nove paia di microtubuli disposti in centro intorno ad una coppia di microtubuli centrali Filamenti intermedi: I filamenti intermedi non sono componenti universali del citoscheletro. La principale caratteristica risale nella loro stabilità chimica, che li distingue dai microtubuli e dai microfilamenti. A questo gruppo appartengono strutture filamentose che pur accumunate dimensionalmente differiscono per composizione proteica, nel senso che i principali stipiti cellulari esprimono una propria componente citoscheletrica intermedia. I microfilamenti sono polimeri di una proteina, l’actina. I movimenti mediati dall’actina si dividono in movimenti propulsivi e movimenti retroattivi. Nel primo caso sono movimenti che possono essere sostenuti dalla semplice polimerizzazione dell’actina, nel secondo caso invece interviene una proteina motore, cioè la miosina. Matrice extracellulare: Le cellule animali sono prive della parete cellulare. Tuttavia, esse producono un rivestimento, detto matrice extracellulare, costituito da proteine immerse in una matrice di polisaccaridi. Le sue principali molecole sono il collagene e le fibronectine. Queste ultime si legano a dei recettori della Nella meoisi quindi abbiamo 2 divisioni nucleari precedute da una sola fase S. Nella profase 1 i cromosomi omologhi si appaiono punto per punto con l’ausilio di una struttura proteica, il complesso sinaptinemale. Segue quindi uno stadio detto pachitene in cui avviene il crossing-over. Esso consiste nello scambio reciproco di segmenti di DNA tra cromatidi non fratelli. Verso la fine della profase1 i due omologhi iniziano a separarsi, ma rimangono uniti nei punti dove è avvenuto il crossing over detti chiasmi. Alla metafase 1 gli omologhi ancora uniti si portano al centro del fuso e quindi alla anafase 1 si separano migrando ai poli opposti. Quindi in telofase (formazione di nuovi involucri nucleari e citodieresi) si formano 2 cellule figlie aploidi il cui corredo cromosomico è costituito da un solo rappresentante per ogni coppia di omologhi. I cromosomi sono ancora costituiti da 2 cromatidi, alla fine della seconda divisione saranno formati da 1 solo cromatidio. Dalle due cellule aploidi si generano 4 cellule aploidi, ossia 4 gameti (negli animali) o quattro spore (nel caso delle piante). DIFFERENZIAZIONE CELLULARE Negli organismi pluricellulari diversi gruppi di cellule svolgono specifiche funzioni. Un tessuto è formato da un insieme di cellule simili tra loro che svolgono una o più funzioni. Le cellule di ciascun tessuto hanno in comune forma, dimensioni, tipo di proteine presenti al loro interno e origine embrionale. Negli animali si distinguono quattro principali tipi di tessuto: epiteliale, connettivo, muscolare e nervoso. I vari tessuti si associano a formare gli organi. Per esempio nello stomaco si hanno diversi tipi di tessuto epiteliale, tessuto muscolare, diversi tipi di tessuto connettivo e piccole quantità di tessuto nervoso, che lo collegano al sistema nervoso centrale. Diversi organi concorrono allo svolgimento di una stessa funzione, formando i diversi apparati. Per esempio, bocca, faringe, esofago, stomaco, intestino tenue, intestino crasso, fegato e pancreas sono organi diversi che costituiscono l’apparato digerente. I vari tipi di tessuto epiteliale sono costituiti da cellule strettamente accostate tra loro, senza o quasi, sostanza intercellulare. Essi derivano da tutti e 3 i foglietti embrionali: ectoderma, mesoderma, endoderma. Si dividono in: Epiteli di rivestimento: con funzioni di rivestimento della superficie corporea e delle cavità interne, di protezione e/o assorbimento di composti chimici. Questi epiteli sono formati da cellule strettamente affiancate che formano lamine continue: una delle facce delle lamine è rivolta verso l’esterno (es epidermide) oppure delimita una cavità (es lume intestinale). L’altra faccia poggia su una sottile lamina, detta membrana basale, che la collega al tessuto connettivo sottostante. Gli epiteli di rivestimento possono essere formati da un solo strato, o da più strati (pluristratificati). La forma delle cellule può essere diversa, dando luogo a epiteli pavimentosi, cubici o cilindrici. In alcuni casi le cellule che costituiscono gli epiteli possono avere delle ciglia nella superfice libera dell’epitelio. Queste cellule che si muovono in modo coordinato rimuovono materiale dalla superficie del tessuto (es si trovano nella mucosa delle vie aeree). Nel caso degli epiteli la cui principale funzione è l’assorbimento (epitelio che riveste l’intestino tenue e i tubuli renali) la porzione della membrana delle cellule rivolta verso la cavità presenta una struttura detta orletto a spazzola, costituita da tante estroflessioni, i microvilli, che aumentano la superficie disponibile per l’assorbimento. Negli epiteli di rivestimento si osservano particolari giunzioni cellulari, quelle occludenti e quelle adesive, che servono per determinare la permeabilità o l’impermeabilità del rivestimento ai liquidi e per tenere le cellule vicine tra loro. Negli epiteli pluristratificati, solo le cellule dello strato basale conservano la capacità di moltiplicarsi. Negli strati superiori possono essere presenti cellule morte, che verranno sostituite dalle cellule degli strati sottostanti. L’insieme di un epitelio di rivestimento, membrana basale e tessuto connettivo prende il nome di cute, nel caso del rivestimento esterno dell’organismo; mucosa; nel caso del rivestimento di superfici interne che comunicano con l’esterno (es tubo digerente, apparato respiratorio), sierosa nel caso di cavità non comunicanti con l’esterno (cavità peritoneale, pleurica, pericardica). Epiteli ghiandolari: le ghiandole sono organi deputati alla produzione e secrezione di vari prodotti, come latte, saliva, ormoni, succhi digestivi). Esse sono costituite da cellule epiteliali specializzate che costituiscono gli epiteli ghiandolari o epiteli secernenti. È importante la distinzione tra ghiandole esocrine, a secrezione esterna, e ghiandole endocrine, a secrezione interna. Le ghiandole esocrine riversano il proprio secreto all’esterno del corpo o in cavità comunicanti con esso, chiamati dotti escretori. Un esempio di ghiandole esocrine, sono le ghiandole unicellulari delle cellule mucipare, o caliciformi, che producono muco e sono presenti negli epiteli di varie mucose. Altri esempi, di ghiandole pluricellulari, possono essere salivari, lacrimali, mammarie, sudoripare. Le ghiandole endocrine immettono il proprio secreto nel sangue o nel liquido interstiziale. Queste ultime si possono trovare in organi isolati (come la tiroide, l’ipofisi, il surrene) oppure inserite sotto forma di isole all’interno di altri organi, come nel caso del pancreas, o all’interno di organi non ghiandolari come testicolo e ovaie. Epiteli sensoriali: cellule capaci di captare particolari stimoli e di trasmetterli al sistema nervoso Epiteli particolarmente differenziati: le cellule assumono caratteristiche tipiche. Ne sono esempi i peli, i capelli, le unghie, lo smalto dei denti e le fibre del cristallino dell’occhio. Sotto il nome di tessuto connettivo vengono raggruppati tessuti diversi tra loro che hanno però in comune alcune importanti caratteristiche morfologiche, funzionali e di origine embrionale. Dal punto di vista morfologico, in tutti i tessuti esiste una abbondante sostanza intercellulare detta matrice. Le cellule sono quindi ben separate le une dalle altre. Dal punto di vista funzionale, il tessuto connettivo svolge una funzione di protezione e sostegno dei vari organi e dà origine a specifici organi con funzione di sostegno, le ossa, e contribuisce ai processi di ricambio e nutrizione cellulare. Dal punto di vista dell’origine embrionale, i tessuti connettivi derivano dal mesenchima. Con l’eccezione del sangue, tutti i tessuti connettivi presentano una matrice nella quale sono sempre presenti tre tipi di fibre, sintetizzate appunto dalle cellule del tessuto connettivo: -le fibre collagene, costituite da diversi tipi di collagene. E’ la proteina più abbondante del corpo umano ed è dotata di una forza tensile paragonata a quella dell’acciaio, associata alla capacità di allungarsi entro certi limiti, e riassumere la dimensione iniziale -fibre elastiche, costituite da elastina -fibre reticolari, formate da collagene e glicoproteine. Tessuti connettivi propriamente detti I vari tipi di fibre si trovano immersi in una soluzione molto densa costituita da MUCOPOLISSACARIDI e GLICOPROTEINE. Le cellule dei tessuti connettivi sono detti fibroblasti. Inoltre nel tessuto connettivo sono presenti anche i macrofagi, proveniente dal sangue, che sono in grado di compiere la fagocitosi e quindi difendono da patogeni, oppure fagocitano cellule alterate o sostanze estranee. Sono quindi considerati gli spazzini dell’organismo Tessuto connettivo lasso: è il più abbondante dell’organismo. Presenta fibre,per lo più di collagene, immerse in una soluzione viscosa per via dei mucopolisaccaridi. La sua flessibilità consente alle strutture connesse al tessuto connettivo lasso di muoversi le une rispetto alle altre Tessuto connettivo denso: in questo caso nella matrice prevalgono le fibre di collagene, raggruppate in fasci. Esso costituisce il derma, i tendini, i legamenti e le fasce che avvolgono i muscoli. E’ caratterizzato da una elevatissima resistenza alla trazione. Tessuto connettivo elastico: è formato prevalentemente da fibre elastiche disposte in fasci. E’ presente in quelle strutture la cui funzione richiede una espansione rispetto alle dimensioni iniziali, come le pareti delle arterie e le corde vocali Tessuto connettivo reticolare: esso presenta una matrice contenente prevalentemente sottili fibre reticolari, corte e ramificate. Forma la struttura di supporto di fegato, milza, linfonodi, organi emopoietici. Tessuti connettivi specializzati Tessuto adiposo: le cellule che lo costituiscono, gli adipociti, accumulano al loro interno i grassi, soprattutto trigliceridi. Nel tessuto adiposo bianco le cellule hanno una forma rotonda e sono in gran parte occupate da una gocciolina di grasso. Il ruolo del tessuto adiposo e di protezione e sostegno (come il tessuto connettivo lasso), di isolamento termico, quindi riduce la dispersione di calore alle basse temperature, e di contenere la riserva di materiale energetico. I trigliceridi che si accumulano negli acipociti possono essere esogeni, cioè provenire dalla dieta, essi vengono immessi nel sangue attraverso i chilomicroni, oppure possono essere prodotti dal fegato. Quando le lipoproteine giungono nel tessuto adiposo, l’enzima lipoproteina lipasi idrolizza i trigliceridi, liberando acidi grassi e glicerolo. In questo modo dal sangue, i trigliceridi vengono prelevati dagli adipociti. Al loro interno inoltre si hanno i processi di lipogenesi, a partire dai carboidrat. In casi di fabbisogno di energia, la lipasi ormono dipendente idrolizza i trigliceridi degli adipociti. Gli acidi grassi si legano all’albumina del sangue e vengono distribuiti a vari tessuti. Invece le cellule del tessuto adiposo bruno sono ricche di mitocondri, in cui dall’ossidazione dei substrati non si ottengono molecole di ATP ma calore. Nell’uomo il tessuto adiposo bruno è presente in piccolissime quantità. Tessuto cartilagineo: Le cellule della cartilagine sono i condrociti, i quali producono una abbondante matrice, fatta di fibre collagene o elastiche e da proteoglicani e glicoproteine. La cartilagine è rivestita da uno strato di tessuto connettivo denso detto pericondrio. Le cartilagini si accrescono- per moltiplicazione dei condrociti, - per produzione della sostanza fondamentale – per differenziazione dei fibroblasti del pericondrio in condrociti. Non è vascolarizzata né innervata La cartilagine si divide in IALINA (fibra collagene in abbondante sostanza amorfa), che forma le cartilagini costali, nasali, tracheali, bronchiali, le cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe, ELASTICA (abbondanti fibre elastiche) si trova nel padiglione auricolare, epiglottide, cartilagini della laringe, FIBROSA (ricca di collagene) si trova nei dischi intervertebrali, nel ginocchio, nella sinfisi pubica Tessuto osseo: Caratterizzato da notevole rigidità e durezza, dovute al fatto che la sua sostanza fondamentale è rappresentata in larga parte da Sali inorganici. Il tessuto osseo costituisce lo scheletro e i denti dei vertebrati. Quindi funge da sostegno dell’organismo e inoltre rappresenta una indispensabile riserva di calcio e di fosforo. Si distinguono due tipi di tessuto: quello spugnoso e quello compatto. Il tessuto osseo spugnoso (20% massa scheletrica) è costituito da trabecole ossee intrecciate a formare una rete che delimita delle cavità midollari, dove è presente midollo osseo. Il tessuto osseo spugnoso si trova nelle estremità, epifisi delle ossa lunghe; tra i due tavolati di osso compatto delle ossa piatte (le ossa piatte sono formate da tessuto osseo spugnoso avvolto da due lamine di osso compatto); nelle ossa brevi (tessuto spugnoso avvolto da una lamina di quinto mese nel midollo osseo. I globuli rossi prodotti durante la vita embrionale e fetale contengono un tipo di emoglobina diverso da quella dell’adulto, caratterizzata da una maggiore affinità all’ossigeno. Ciò permette l’ossigenazione a livello della placenta, dove l’ossigeno deve passare dall’emoglobina materna, adulta, all’emoglobina fetale. Le cellule che danno origine ai globuli rossi, ai granulociti e alle piastrine sono dette elementi linfoidi. Le cellule che danno origine ai linfociti sono dette linfoidi. Nella leucemia, si ha una proliferazione incontrollata di elementi mieloidi o linfoidi. Tessuto muscolare: Nei vertebrati è il tessuto più abbondante di tutto l’organismo. Le cellule che lo costituiscono hanno forma allungata e in seguito alla contrazione si accorciano, ritornando alla lunghezza iniziale al momento del rilassamento. Il tessuto muscolare striato è così chiamato perché presenta una striatura trasversale, a differenza di quello liscio. Il tessuto muscolare striato è volontario, cioè la contrazione avviene sotto il controllo della propria volontà, mentre il tessuto muscolare liscio è involontario. Tessuto muscolare striato: ogni cellula presenta molti nuclei, in quanto deriva dalla fusione di parecchie cellule progenitrici, i mioblasti. La sua membrana plasmatica è chiamata sarcolemma, e presenta tante estensioni all’interno della cellula, chiamati tubuli T. Il suo citoplasma è chiamato sarcoplasma, il reticolo endoplasmatico è chiamato reticolo sarcoplasmatico. All’interno della cellula si trovano delle strutture filamentose, le miofibrille. Ciascuna miofibrilla è formata da unità ripetute dette sarcomeri, in ogni miofibrilla ci sono centinaia di sarcomeri. In ogni sarcomero si alternano dei filamenti sottili e dei filamenti spessi, disposti a formare la caratteristica striatura. I filamenti spessi sono costituiti dalla proteina miosina, i filamenti sottili sono costituiti prevalentemente da actina, ma anche troponina e tropomiosina. Al microscopico elettronico possiamo vedere come sono disposti i miofilamenti all’interno del sarcomero: i fila- menti spessi (di miosina) sono disposti parallelamente tra loro, nella porzione centrale del sarcomero (banda A); i filamenti sottili (di actina) decorrono tra quelli spessi (ogni filamento spesso è circondato da 6 sottili) e si ancorano con una estremità alla linea Z. La banda I è costituita solo da filamenti sottili; la banda H solo da filamenti spessi (poiché i filamenti sottili nel muscolo a riposo non raggiungono il centro del sarcomero). Dai filamenti spessi, costituiti da miosina, sporgono i cosiddetti ponti trasversali che sono costituiti dalla teste della miosina, questi ponti svolgono un ruolo fondamentale nel meccanismo della contrazione. La contrazione del sarcomero avviene per scorrimento dei filamenti sottili sui filamenti spessi. Entrambi i filamenti mantengono inalterata la loro lunghezza ma nel complesso la lunghezza del sarcomero diminuisce. Durante la contrazione, i filamenti di actina scorrono lungo quelli di miosina, penetrando sino al centro della banda A. Di conseguenza la banda H si restringe, e le bande I, con i filamenti di actina, si accorciando per via dell’avvicinamento delle linee Z. Legate ai filamenti di actina, ci sono la troponina e la tropomiosina, che in assenza di calcio impediscono lo scorrimento dei filamenti di actina su quelli di miosina. In assenza di calcio, impediscono lo scorrimento dei filamenti di actina su quelli di miosina. Invece in presenza di ioni calcio, che bloccano la troponina e la tropomiosina, si ha lo scorrimento dei miofilamenti. La contrazione del muscolo avviene in seguito all’arrivo di impulsi nervosi alle fibre muscolari striate. Il punto in cui la fibra nervosa giunge a contatto con la cellula muscolare è detto giunzione neuromuscolare o placca motrice. In questa zona la terminazione nervosa presenta un rigonfiamento, il bottone sinaptico, che rilascia acetilcolina, un neurotrasmettitore, in prossimità della cellula muscolare. Nella membrana, nel sarcolemma, ci sono tanti recettori per l’acetilcolina: si tratta di canali ionici che legandosi all’acetilcolina si aprono, permettendo il passaggio di ioni sodio e quindi depolarizzando la cellula, generando un potenziale d’azione. La depolarizzazione si estende a tutta la membrana e ai tubuli T. Attraverso i tubuli T, la depolarizzazione arriva alla membrana del reticolo che libera ioni calcio. Lo ione raggiunge la troponina, che sposta la tropomiosina, rendendo disponibili i siti di attacco dell’actina. Nel muscolo a riposo, nel quale l’ATP è abbondante, l’ATP si lega alle teste di miosina, dove l’enzima ATP-asi libera ADP e fosfato e liberando energia: la miosna caricata può quindi legarsi all’actina. Quando l’impulso nervoso cessa, cessa anche la liberazione di acetilcolina dalla fessura sinaptica. L’acetilcolina viene distrutta dall’enzima acetilcolinesterasi. I canali ioni si chiudono e si ristabilisce il potenziale di membrana e di conseguenza si chiudono i canali per il calcio. Quindi troponina e tropomiosina impediscono lo stabilirsi dei legami actina-miosina, perché bloccano l’enzima ATP-asie quindi la liberazione dell’energia necessaria allo scorrimento dei filamenti; il muscolo si rilascia. E’ bene specificare che anche durante il riposo alcune unità motorie di ciascun muscolo sono sempre attivate, mantenendo quel leggero stato di contrazione che costituisce il tono muscolare. In assenza di tono muscolare, il muscolo diventa floscio e alla fine si atrofizza. Tessuto muscolare liscio: le cellule sono prive della striatura trasversale tipica del muscolo striato, ma contengono comunque filamenti sottili e filamenti spessi, disposti diversamente. Il tessuto muscolare liscio costituisce la tonaca muscolare della parete degli organi cavi dell’apparato digerente, urinario, genitale, riveste la parete dei vasi sanguigni, si trova nei dotti escretori di alcune ghiandole, nei muscoli erettori del pelo, nell’occhio (dove forma i muscoli sfintere e dilatatore della pupilla). Le fibrocellule sono raccolte in fasci e sono collegate tra loro dalle gap junction, queste giunzioni permettono la comunicazione elettrica tra le diverse fibrocellule, permettendo loro di agire come un’unica unità funzionale. La contrazione delle fibrocellule muscolari lisce può essere dovuta all’impulso da parte del sistema nervoso autonomo, all’azione degli ormoni o da modificazioni a carico delle fibrocellule stesse, come stiramento. La contrazione può essere ritmica, come la contrazione peristaltica, o tonica (molto prolungata). Tessuto muscolare cardiaco: particolare tessuto muscolare striato che si contrae indipendentemente dalla nostra volontà e in modo autonomo, indipendentemente dagli stimoli nervosi. Infatti insorge autonomamente a partire da un gruppo di cellule specializzate, il nodo seno atriale. I nervi che giungono al cuore hanno solo la funzione di accelerare o rallentare i ritmici stimoli alla contrazione che il tessuto cardiaco genera al proprio interno. Il tessuto muscolare cardiaco è caratterizzato da: 1) una contrazione lenta e meno energica, ma con la possibilità di mantenere la contrazione per tempi maggiori del muscolo scheletrico, 2) le tipiche striature del tessuto muscolare scheletrico, 3) cellule ben distinte tra loro e generalmente con un solo nucleo legate tra loro attraverso particolari giunzioni, dette dischi intercalari, che garantiscono la contrazione simultanea, 4) contrazione involontaria. Tessuto nervoso: È costituito da cellule, i neuroni, specializzate nella generazione e conduzione di particolari segnali, i segnali nervosi, costituiti da impulsi elettrici, i potenziali d’azione, e dalla liberazione dei neurotrasmettitori. Svolge un ruolo fondamentale nell’integrazione delle attività dei diversi organi e nella risposta dell’organismo alle variazioni ambientali. I neuroni sono collegati tra loro attraverso le sinapsi. Oltre ai neuroni, nel tessuto nervoso sono presenti anche le cellule della glia, con funzioni di supporto e nutrizione. I neuroni sono costituiti da corpo cellulare, assone e dendriti. Il corpo cellulare comprende il nucleo e tutti gli organelli. I dendriti sono dei prolungamenti citoplasmatici adibiti alla ricezione degli stimoli e alla loro trasmissione al corpo cellulare. L’assone è un lungo e singolo prolungamento citoplasmatico deputato alla trasmissione di impulsi nervosi dal corpo cellulare verso altri neuroni. L’assone alla sua estremità presenta delle ramificazioni terminali, ciascuna delle quali termina con una sinapsi. La maggior parte degli assoni è avvolta dalla guaina mielinica, un rivestimento esterno formato da un particolare tipo di cellule gliali, cellule di Schwann. Gli assoni rivestiti dalla guaina mielinica formano le fibre mieliniche e gli assoni che invece non sono rivestiti da questa guaina formano le fibre amieliniche. La guaina mielinica non è continua ma presenta delle interruzioni dette nodi di Ranvier. Insieme alle cellule muscolari e alcune cellule epiteliali sensoriali, i neuroni sono cellule dotate di eccitabilità. Esiste quindi una differenza tra la condizione di riposo, in cui si ha un potenziale di membrana, e lo stato eccitato in cui si ha un potenziale di azione. All’equilibrio la concentrazione di ioni potassio è maggiore all’interno della cellula, mentre quella degli ioni sodio è maggiore all’esterno. Questa differenza è dovuta al costante funzionamento della pompa sodio potassio che espelle dalla cellula 3 ioni sodio e fa entrare contro gradiente 2 ioni potassio (contro gradiente infatti trasporto attivo) Nella membrana sono presenti anche dei canali che permettono la diffusione passiva di questi ioni, i più abbondanti sono quelli per il potassio. Quindi da questi canali il potassio fuoriesce. Siccome gli ioni potassio sono pompati attivamente dentro, ma alcuni fuoriescono per diffusione passiva, a riposo il potenziale risulta -70mv Nei neuroni sono presenti dei canali voltaggio dipendenti, che si aprono e chiudono in base al potenziale di membrana. A riposo sono chiusi. Se il potenziale assume valori meno negativi, -55 mv, i canali voltaggio dipendenti del sodio si aprono, e il sodio entra (depolarizzazione). Il potenziale di membrana aumenta bruscamente, residuo R che differisce in base all’aa. A differenza dell’amminoacido più semplice, la glicina, nel quale il gruppo R è un atomo di idrogeno, in tutti gli alfa amminoacidi l’atomo di carbonio alfa è ibridato sp3 ed è legato a 4 gruppi diversi, quindi è un carbonio chirale. Gli alfa amminoacidi, tranne la glicina, sono tutte molecole chirali: possono esistere in due diverse strutture che sono enantiomeri l’una dell’altra e si indicano con le lettere L o D, sulla base della collocazione dell’atomo di idrogeno. Gli amminoacidi che formano le proteine sono tutti L-alfa amminoacidi. Alcuni amminoacidi devono essere introdotti con la dieta perché non possono essere sintetizzati nel corpo. Sono detti essenziali e sono 10 nei bambini e 8 nell’adulto. In un amminoacido libero il gruppo carbossilico e il gruppo amminico legati al carbonio alfa sono carichi a ph neutro, il gruppo carbossilico negativamente e quello amminico positivamente. In soluzione neutra, gli amminoacidi senza gruppi carichi sulla catena laterale esistono come zwitterioni, senza una carica netta. I peptidi e le proteine sono formati da L-alfa amminoacidi legati tra loto da un legame peptidico, un legame di tipo AMMIDICO, ottenuto per eliminazione di una molecola di acqua fra il gruppo carbossilico di un amminoacido e il gruppo amminico di un altro amminoacido. Il nome proteine si usa a partire da 100 amminoacidi. L’idrolisi delle proteine per acidi basi o opportuni enzimi porta all’ottenimento degli L-alfa amminoacidi che le formano. -Piccoli peptidi svolgono molti ruoli negli organismi. Alcuni, come ad esempio l’ossitocina e la vasopressina sono ormoni, altri come il glutatione controllano le reazioni di ossido riduzione. Altri ancora come le encefaline sono degli antidolorifici naturali. Il termine proteina, di origina greca, significa primo e rimanda all’importanza che queste macromolecole hanno nel mondo vivente. Si possono distinguere tra fibrose e globulari. Le proteine fibrose, come la miosina nei muscoli, il collagene dei tessuti connettivi, il fibrinogeno della coagulazione del sangue, esercitano una funzione strutturale. Sono generalmente formate da diverse subunità che si organizzano in modo da disporsi l’una accanto all’altra. Le proteine globulari invece hanno una forma sferica e a differenza delle fibrose sono solubili in acqua perché si ha l’esposizione delle zone più idrofile. Infatti, molte proteine globulari sono ormoni, e la solubilità in liquidi organici, come sangue e linfa, è necessaria per raggiungere gli organi bersaglio. Le proteine hanno ruoli di: difesa, come ad esempio gli anticorpi del sistema immunitario trasporto, come per l’emoglobina capace di trasportare ossigeno e diossido di carbonio nel sangue o l’albumina che lega acidi grassi liberi e ormoni tiroidei riconoscimento, nel caso delle proteine di membrana coinvolte nell’adesione cellula-cellula riserva energetica (proteine del tuorlo d’uovo) proteine canale, permettono l’ingresso o l’uscita di ioni o molecole ruolo strutturale come la cheratina e il collagene ruolo funzionale, svolgono la funzione di enzimi cioè sono catalizzatori delle reazioni metaboliche. La struttura primaria di una proteina è costituita dalla successione degli amminoacidi che formano la catena polipeptidica. Dei due amminoacidi presenti alle estremità della catena di una proteina viene definito N terminale quello che possiede il gruppo amminico libero e carbossi terminale quello che possiede il gruppo carbossilico libero. La struttura secondaria di una proteina è costituita dalla disposizione tridimensionale del filamento polipeptidico in seguito alla formazione di legami a idrogeno tra il gruppo C-O di un amminoacido e il gruppo N-H di un altro amminoacido. La struttura può essere ad alfa elica o a beta foglietto. La struttura secondaria è quindi dovuta solo a legami idrogeno. La struttura terziaria di una proteina è costituita dalla disposizione tridimensionale del filamento dovuta alla formazione di legami tra i residui R degli amminoacidi che compongono il filamento. Questi possono essere legami a ponte d’idrogeno, interazioni idrofobiche, dipolo-dipolo, ponti disolfuro tra due atomi di zolfo. La struttura quaternaria di una proteina è presente solo nelle proteine formate da più catene polipeptidiche, ognuna delle quali avrà la propria struttura primaria secondaria e terziaria e rappresenta la disposizione tridimensionale di queste subunità. Queste diverse subunità interagiscono tra loro per mezzo di legami non covalenti. Alcune proteine con subunità multiple sono ALLOSTERICHE, ovvero le subunità interagiscono in modo che il legame di un ligando ad una subunità abbia effetto sul legame di un ligando alle altre subunità. L’emoglobina è un classico esempio di proteina a struttura quaternaria. Ha 4 subunità, due catene alfa e due catene beta e mostra cooperatività positiva: il legame dell’ossigeno ad una subunità rende più facile il legame con le altre subunità. L’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno è controllata da diversi fattori: quando il ph scende o la pressione dell’ossigeno è bassa l’emoglobina rilascia ossigeno ai tessuti. Quando il ph è alto e l’ossigeno abbondante, come all’interfaccia tra polmone e sangue, l’ossigeno lega l’emoglobina. Per denaturazione di una proteina si intende il processo che porta alla perdita della caratteristica funzionale della proteina mediante alterazione della disposizione spaziale della catena di amminoacidi che la costituisce. Metodi di purificazione delle proteine Per estrarre le proteine la prima fase è quella di omogeneizzazione, ossia una fase in cui si devono rompere cellule. Si può frantumare il tessuto in un tampone appropriato, però questo metodo rompe anche gli organelli, oppure si può usare l’omogeneizzatore Potter-Elvejhem, uno strumento che lascia intatti molti organelli. Le cellule possono essere rotte anche dopo ripetuti cicli di congelamento e scongelamento. Dopo l’omogeneizzazione il campione viene sottoposto a centrifugazione differenziale: dopo la centrifugazione a 600 rpm, si forma un precipitato di cellule integre e di nucleo. Se la proteina non si trova nel nucleo allora questo precipitato può essere eliminato Si centrifuga il sovranatante a 15000 rpm per far precipitare i mitocondri, lisosomi Una ulteriore centrifugazione a 100000 rpm fa precipitare i ribosomi e la frazione microsomale (golgi, reticolo endoplasmatico, frammenti di membrana) Se la proteina di interesse è solubile si raccoglie il surnatante di questa ultima centrifuga Si utilizza il SOLFATO D’AMMONIO in un processo chiamato salting out. Quando si aggiunge solfato di ammonio ad una soluzione di proteine in acqua, l’acqua reagisce con il sale e in seguito alla minore disponibilità di acqua disponibile per i legami, le proteine si uniscono fra loro mediante interazioni idrofobiche. Quindi le proteine si aggregano e precipitano. Solitamente si mette una certa quantità di solfato di ammonio e si fanno precipitare delle proteine di non interesse. Successivamente l’aggiunta di altro sale permette di ottenere il precipitato con la proteina di interesse Durante le varie fasi di purificazione si riportano in una tabella la resa percentuale e il grado di purezza. La resa percentuale è la quantità di proteina che si ottiene dopo ogni passaggio. Si procede a questo punto con la cromatografia. Questa tecnica di separazione si basa sul principio che composti diversi possano distribuirsi diversamente su fasi immiscibili, quali liquido-liquido, solido-solido, gas- liquido. Una fase rappresenta la fase stazionaria e l’altra la fase mobile. La fase mobile fluisce lungo la fase stazionaria e trasporta il campione da separare. I componenti del campione migrano con diverse velocità. Questi componenti, che quindi arrivano alla fine della colonna a velocità diverse, possono essere raccolti individualmente Cromatografia per esclusione molecolare: si separano proteine a peso molecolare diverso. Si utilizzano due polimeri, l’agarosio e la poliacrilammide. Questi polimeri formano una struttura a rete, le molecole di piccole dimensioni rimangono impigliate in questa rete mentre le molecole grandi no e quindi passano più veloci Cromatografia di affinità: in una miscela di proteine solo una si legherà ad uno specifico ligando, chiamato substrato, legato alla matrice solida della colonna. Quindi tutte le altre proteine vengono eluite e poi si aggiunge una soluzione che permetta l’eluizione della proteina desiderata (una soluzione salina a concentrazione elevata o una soluzione contenente ligando libero) Scambio ionico: in questo caso si usa una resina che avrà una carica positiva o negativa. Le proteine con carica opposta rispetto allo scambiatore si legheranno alla resina, invece le proteine senza carica oppure con la stessa carica vengono subito eluite. Successivamente, per eluire le proteine ancora legate, si utilizza una soluzione con un ph tale da neutralizzare la carica presente sulle proteine legate oppure si utilizza un tampone ad elevata concentrazione salina. Elettroforesi: Si basa sul movimento in un campo elettrico di particelle cariche verso l’elettrodo di carica opposta. Il campione da analizzare viene depositato all’interno dei pozzetti formati utilizzando un pettinino nel polimero di supporto (acrilammide o agarosio). Il gel è inserito in un apparecchio che contiene una soluzione tampone. Viene applicato un campo elettrico che consentirà la migrazione delle proteine o dell’acido nucleico. I gel di agarosio sono usati comunemente per separare gli acidi nucleici mentre per le proteine si usa il gel di poliacrilammide. In una variante dell’elettroforesi su gel di poliacrilammide si utilizza una soluzione denaturante che denatura le proteine, rompendo tutte le interazioni non covalenti che costituiscono la struttura terziaria e quaternaria delle proteine. Questo significa che le proteine con più subunità possono essere analizzate relativamente alle catene che le compongono. In seguito al legame con SDS, tutte le proteine hanno la stessa carica e la stessa forma, e solo le dimensioni delle proteine rappresentano il fattore determinante per la separazione. Invece se si vuole studiare la sua proteina nella conformazione nativa non si usa l’SDS. Una variante è la focalizzazione isoelettrica. In questo caso si fanno migrare in un gel delle proteine dotate di carica. Nel gel si crea un gradiente di ph. Quando le proteine per effetto del campo elettrico migrano lungo il gel incontrano regioni a ph differenti, ogni proteina si fermerà nel suo punto isoelettrico: punto in cui la proteina non ha carica netta. Enzimi e loro regolazione Gli enzimi sono dei catalizzatori biologici: sono in grado di aumentare la velocità di una reazione sino a 1020 volte. Gli enzimi sono caratterizzati dal fatto di essere altamente specifici, sino al punto di essere capaci di distinguere tra due stereisomeri. E’ bene ricordare che gli enzimi modificano la velocità di reazione, ma non sono in grado di modificare il delta G, ossia la variazione di energia libera associata al verificarsi di una determinata reazione. Considerando una reazione chimica, spostandosi dai reagenti verso i prodotti, si ha un aumento dell’energia graduale sino ad un picco. Poi l’energia scende è alla fine quella dei prodotti è minore di quella dei reagenti. Il picco corrisponde all’energia di attivazione: la quantità di energia richiesta per portare i reagenti allo stato di transizione. Gli enzimi abbassano l’energia di attivazione. La biosintesi delle proteine richiede la presenza di tutti gli amminoacidi costituenti. L’uomo non è in grado di produrre alcuni amminoacidi in quantità sufficiente al proprio fabbisogno metabolico e quindi deve introdurre gli amminoacidi essenziali con la dieta Il catabolismo delle proteine si verifica durante il turnover delle proteine cellulari (per alcune classi di proteine c’è il 50% di ricambio ogni 3 giorni), in una dieta ricca di proteine, e a digiuno per ottenere amminoacidi utilizzati poi per ricavare energia. In generale il catabolismo si verifica nei lisosomi, nel citoplasma oppure per autofagia. Nel citoplasma, la degradazione avviene per mezzo dei proteasomi. Questi si ritrovano sia negli eucarioti che nei procarioti. Negli eucarioti avviene grazie ad un polipeptide, l’ubiquitina che in presenza di Atp si lega al complesso proteico. Si hanno 3 enzimi, quello che attiva l’ubiquitina, l’enzima che trasporta l’ubiquitina e la ligasi proteina-ubiquitina. Le proteine da degradare sono quelle che presentano un gruppo alfa-amminico libero.- Successivamente la proteina viene distrutta dal proteasoma. Catabolismo degli amminoacidi: l’azoto amminico dell’amminoacido coinvolto nella reazione è trasferito all’alfa chetoglutarato, formando glutammato e l’alfa chetoacido (scheletro carbonioso). Per quanto riguarda lo scheletro carbonioso, il suo destino dipende dal tipo di amminoacido, infatti possono essere distinti in glucogenici e chetogenici. Gli amminoacidi glucogenici possono essere utilizzati per sintetizzare glucosio e sono quelli la qui degradazione porta a piruvato o ossalacetato. Quindi a partire dagli aa si può ottenere glucosio. Infatti gli aa possono intervenire nei periodi di digiuno breve. In caso di un prolungato digiuno vengono invece bruciati i lipidi. Gli amminoacidi chetogenici invece se degradati forniscono acetilcoa o acetoacetil coa, e possono entrare nel ciclo di Krebs. Quattro aa sono sia glucogenici che chetogenici. Per quanto riguarda l’eliminazione dell’azoto in eccesso, il principale prodotto di rifiuto nel mondo animale è l’urea, un composto idrosolubile. Gli uccelli invece espellono azoto sotto forma di acido urico, che non è idrosolubile. In tal modo non sono costretti a trasportare il peso eccessivo dell’acqua che sarebbe d’ostacolo al volo. I pesci espellono azoto sotto forma di ammoniaca. Il ciclo nell’urea avviene nel citoplasma, ma per il primo stadio si ha la reazione tra l’ornitina e il carbamil- fosfato e il carbamil fosfato si forma nel mitocondrio. In questo ciclo si originano il fumarato e l’arginina, che rappresenta l’immediato precursore dell’urea. L’arginina è un amminoacido, mentre il fumarato è un intermedio del ciclo di krebs, infatti i due cicli sono tra loro connessi. Nell’uomo il ciclo dell’urea avviene nel fegato, per eliminare l’azoto in eccesso. La formazione di carbamil fosfato rappresenta un importante centro di controllo per l’avvio del ciclo. La sua sintesi nel mitocondrio si verifica quando si hanno elevate concentrazioni di glutammato o elevate concentrazioni di arginina. I CARBOIDRATI Il termine carboidrati deriva dal fatto che questi composti presentano nella forma molecolare gli atomi di idrogeno e di ossigeno nello stesso rapporto in cui si trovano nell’acqua (2-1). Per esempio il glucosio ha formula C6H12O6. Rappresentano la principale fonte di energia per le cellule vegetali e animali. Anche ruoli di sostegno in quanto costituiscono la parete cellulare nelle cellule vegetali. Il termine carboidrati è oggi usato per indicare i poliidrossialdeidi (un gruppo aldeidico e più gruppi ossidrilici) e i poliidrossichetoni (un gruppo chetonico e più gruppi ossidrilici). I monosaccaridi sono carboidrati che non possono essere trasformati, per idrolisi chimica o enzimatica, in composti più semplici e sono formati da poliidrossialdeidi e poliidrossichetoni. I disaccaridi sono formati dall’unione di due monosaccaridi e i polisaccaridi da diverse molecole di monosaccaridi. Essi in seguito ad idrolisi acida o enzimatica sono trasformati nei monosaccaridi che li costituiscono. Diversi monosaccaridi si legano per legame glicosidico. I carboidrati, o zuccheri, sono solubili in acqua grazie alla presenza di gruppi ossidrilici e possono quindi formare legami a idrogeno. I monosaccaridi comprendono i pentosi come ribosio e 2- desossiribosio e gli esosi come glucosio galattosio e fruttosio. Il più familiare monosaccaride è il D-glucosio. Questo monosaccaride si forma da acqua anidride carbonica e luce durante la fotosintesi clorofilliana. Esiste anche il suo enantiomero, l’L glucosio, ma quasi tutti gli zuccheri presenti in natura si trovano nella forma D. La molecola di glucosio è formata da una catena a sei atomi di carbonio, a cinque di questi è legato un gruppo OH mentre l’altro si presenta in forma di gruppo aldeidico CHO. Il glucosio esiste solo in forma ciclica, derivante dalla reazione tra un gruppo carbonilico (aldeide) con un gruppo ossidrilico presente nella molecola (quello legato al carbonio 5 della catena) e il corrispondente gruppo funzionale viene chiamato semiacetale. L’ossidrile che ha reagito viene chiamato ossidrile semiacetalico. La chiusura ad anello può generare due molecole diverse, in ragione di come risulta essere disposto nello spazio il gruppo OH legato al carbonio 1: verso il basso nell’alfa D glucosio e verso l’alto nel beta D glucosio. Il D-glucosio è anche detto destrosio perché ruota la luce polarizzata a destra. E’ presente nel sangue umano e il suo livello nel sangue viene chiamato glicemia. Esempi di disaccaridi sono il saccarosio, il maltosio e il lattosio. Il saccarosio è formato da glucosio e fruttosio, il maltosio da due molecole di glucosio e il lattosio da glucosio e galattosio. Il legame che unisce due monosaccaridi è detto glicosidico. E’ un legame tra un ossidrile semiacetalico e un ossidrile alcoolico di un altro monosaccaride. Si tratta di un legame covalente ottenuto per liberazione di una molecola di acqua. Il legame può essere scisso per ambiente acido o basico o azione enzimatica. I polisaccaridi sono polimeri formati da tante molecole di monosaccaridi legate da un legame glicosidico. Possono essere omopolisaccaridi o eteropolisaccaridi e non sono solubili in acqua. Sono omopolisaccaridi l’amido, polisaccaride di riserva nei vegetali, il glicogeno, polisaccaride di riserva nell’uomo e la cellulosa, polisaccaride strutturale nei vegetali. In entrambi i casi il monomero è il glucosio. L’amido e il glicogeno sono polimeri dell’alfa D glucosio mentre la cellulosa è un polimero del β D-glucosio. L’amido è costituito da amilosio (amido solubile, 20%), lineare, e amilopectina ramificata (amido insolubile, 80%). Il glicogeno, che ha una struttura simile alla amilopectina, costituisce il materiale di riserva del fegato e dei muscoli. Bioenergetica e metabolismo dei carboidrati Gli esseri viventi possono utilizzare due tipi di energia: luminosa da parte degli organismi fototrofi, chimica da parte degli organismi chemiotrofi. Secondo il primo principio della termodinamica l’energia non può essere né creata né distrutta, ma solo trasformata. In ciascun organismo essa viene in parte immagazzinata, in parte dispersa sotto forma di calore, in parte restituita all’ambiente sotto forma di lavoro. Gli organismi autotrofi trasformano l’anidride carbonica, l’acqua, i composti ossidati di azoto, fosforo e zolfo, in materia organica (maggiore contenuto di energia). A questo punto la materia organica, quindi carboidrati, lipidi, proteine possono essere utilizzate dagli organismi viventi, e saranno in parte immagazzinate, in parte disperse sotto forma di calore, in parte usate per compiere un lavoro. I composti organici vengono ossidati dagli organismi chemiotrofi, che li ossidano, producendo anidride carbonica e altro materiale inorganico. Qualunque sia la forma con cui l’energia è prelevata dall’ambiente essa viene trasformata all’interno di ciascun organismo in energia chimica, contenuta nell’ATP: adenosina trisfosfato. L’ATP è la molecola utilizzata in tutti i processi che richiedono energia. La base azotata adenina è unita ad una molecola di ribosio, unita a tre gruppi fosfato. Si chiama adenosina monofosfato quella legata ad un solo gruppo fosfato, e adenina bifosfato quella legata a due gruppi fosfato. La prima molecola di ribosio si lega al fosfato tramite un legame estere, invece i gruppi fosfato sono legati da legami anidridici. Quando l’ATP viene utilizzato per produrre energia, si ha l’idrolisi tra l’ultimo e il penultimo fosfato, con produzione di ATP e fosfato inorganico. Con questa reazione vengono liberate 30.5kj. In alternativa, l’idrolisi può avvenire a carico del legame tra il primo e il secondo gruppo fosfato, in questo caso si ottiene una molecola di AMP e pirofosfato. Al contrario, per sintetizzare ATP a partire da ADP e fosfato occorre energia, che deve provenire, a seconda del tipo di organismo, o dall’energia luminosa o dalle reazioni chimiche. Se per una data reazione, l’energia richiesta è inferiore a 30.5kj, essa viene dissipata sotto forma di calore. Quando l’energia richiesta è invece maggiore, si utilizzano più molecole di ATP. Per quanto riguarda la sintesi di ATP a partire da ADP, le reazioni che rendono disponibile l’energia sono reazioni di ossido-riduzione. La maggior parte delle reazioni di ossido-riduzione riguardano i composti organici. Una ossidazione consiste in una deidrogenazione, cioè perdita di atomi di idrogeno, e riduzione invece è dato dall’acquisto di coppie di atomi di idrogeno. Per questo motivo gli enzimi che catalizzano le reazioni di ossido riduzione sono detti deidrogenasi. Le reazioni di ossido riduzione in biologia avvengono per mezzo di due coenzimi: NAD (nicotinammine adenin-dinucleotide) e FAD (flavin adenin dinucleotide). Il NADP ha un gruppo fosfato (nicotinammide adenin dinucleotide fosfato). Il NAD e FAD sono dei nucleotidi. Nel NAD una molecola di adenina è legata al ribosio a sua volta legato a due gruppi fosfato. Il fosfato è legato al secondo nucleotide (ribosio + nicotinammide). Nel FAD l’adedina è legato al ribosio che è a sua volta legato a due gruppi fosfato, il fosfato è legato ad una molecola di ribitolo legata alla flavina. La nicotinammide deriva dalla vitamina niacina, il cui deficit causa la pellagra, mentre la flavina deriva dalla vitamina riboflavina. Quindi in presenza degli enzimi deidrogenasi, un substrato organico viene OSSIDATO, con formazione di NADH e H+, o FADH2. Vengono sottratti due elettroni e due protoni. La quantità di coenzimi disponibili nelle cellule è limitata, quindi la quantità di composti che possono essere ossidati generando coenzimi ridotti è limitata dalla disponibilità di coenzimi. Questi coenzimi devono quindi essere riossidati. Questo si verifica a livello della catena di trasporto degli elettroni. Fotosintesi Gli organismi autotrofi possono trasformare l’energia luminosa in energia chimica e utilizzarla per ridurre l’anidride carbonica, trasformandola da prima in glucosio e poi in tutti gli altri composti che costituiscono la materia vivente. Questo processo prende il nome di fotosintesi e negli organismi più evoluti si svolge all’interno dei cloroplasti. Nel processo di fotosintesi si possono distinguere due fasi: - Fase luminosa, o luce dipendente, si verifica esclusivamente in presenza di luce. Consiste in una serie di ossidoriduzioni, innescate dall’energia luminosa, che portano all’ossidazione dell’ossigeno dell’acqua, che viene liberato sotto forma di ossigeno molecolare, e all’accumulo di ATP e di NADPH + H+. - Fase oscura, o luce indipendente, si verifica anche al buio: L’atp e il NADPH ridotto vengono utilizzati per ridurre l’anidride carbonica, trasformandola in glucosio. Nel caso della fermentazione lattica, l’accettore di elettroni del NADH è l’acido piruvico, con formazione del lattato. La fermentazione lattica si verifica in certe condizioni nei globuli rossi, e nelle cellule muscolari scheletriche in seguito ad uno sforzo intenso. Invece nel caso della fermentazione alcolica, il piruvato viene decarbossilato con formazione dell’aldeide acetica. La successiva riduzione dell’aldeide acetica forma alcol etilico. Le fermentazioni consentono alle cellule di estrarre solo una piccola parte dell’energia potenzialmente contenuta nei composti ossidati. Per esempio in seguito alla fermentazione lattica si ottengono solo due molecole di ATP. Una maggiore quantità di energia si ricava con la respirazione cellulare. Respirazione cellulare: l’accettore finale di elettroni è l’ossigeno molecolare. Il processo di trasferimento degli elettroni dai coenzimi ridotti all’ossigeno prende il nome di respirazione cellulare. La catena di trasporto degli elettroni si trova nei mitocondri, nella membrana interna. Quindi gli elettroni non passano direttamente dai coenzimi all’ossigeno ma si hanno una serie di reazioni redox, in una successione definita dal potenziale redox, gli elettroni sono portati sempre più vicini all’ossigeno con formazione finale di acqua. L’energia liberata dalle reazioni di ossido riduzione viene utilizzata per pompare i protoni fuori dal mitocondrio. I protoni non possono rientrare perché la membrana interna è impermeabile ai protoni. Quindi la concentrazione diminuisce all’interno e aumenta all’esterno. Si crea un gradiente di protoni, una forma di energia potenziale che viene utilizzata per svolgere un lavoro, ossia per sintetizzare ATP. La sintesi di ATP accoppiata al trasporto di elettroni prende il nome di fosforilazione ossidativa. I protoni rientrano nel mitocondrio attraverso una pompa ATPasica, e questo fornisce energia per la sintesi di ATP a partire da ADP e fosfato. L’efficienza della fosforilazione ossidativa è notevole: da una molecola di NADH si formano 3 molecole di ATP e da una molecola di FADH2 si formano due molecole di ATP. Meccanismi di controllo: l’ADP è necessario per la fosforilazione ossidativa. La mancanza di ADP significa che la cellula ha già fatto il pieno di energia, quindi non serve sintetizzarne altro. I coenzimi si accumulano in forma ridotta. Esistono degli INIBITORI della catena di trasporto degli elettroni che arrestano il flusso degli elettroni sino all’ossigeno. Uno di questi agenti è la tiroxina, ormone tiroideo. In questo caso il ciclo di Krebs avviene normalmente, quindi si consuma ossigeno e si produce anidride carbonica e acqua, ma l’energia viene dissipata sotto forma di calore. Ruolo dei mitocondri nelle ossidazioni cellulari: Nella matrice mitocondriale sono contenuti gli enzimi responsabili dei principali processi di ossidazione. I più importanti processi che avvengono nella matrice mitocondriale sono: Beta ossidazione acidi grassi: gli acidi grassi derivano dall’idrolisi dei trigliceridi. Il processo li frammenta in unità a due atomi di carbonio legate ad un enzima il coenzima A, producendo acetil- coenzima A e coenzimi ridotti; Ossidazione acido piruvico: derivato dalla glicolisi, ad opera dell’enzima piruvato deidrogenasi, con formazione di acetilcoa e NADH; Ciclo di Krebs: inizia con l’acetilCoa che viene completamente ossidato con formazione di due molecole di anidride carbonica, 3 molecole di NADH, una di FADH e una di ATP. A causa di questi processi si genera nei mitocondri una grande quantità di coenzimi ridotti, che poi vengono ossidati nella catena di trasporto degli elettroni. Inoltre nella matrice mitocondriale avvengono: Le reazioni iniziali della gluconeogenesi, ossia sintesi di glucosio Reazioni iniziali della sintesi di acidi grassi Alcune tappe del ciclo dell’urea I glucidi sono per tutti gli organismi un’ottima fonte di energia e per alcuni tessuti, come eritrociti e SNC, l’unica fonte di energia. E’ quindi fondamentale il loro apporto tramite l’alimentazione. Nei periodi di digiuno la cellula attinge dalle riserve, glicogeno per la cellula animale e amido per la cellula vegetale. Si tratta in entrambi i casi si strutture che occupano pochissimo spazio e che possono essere demolite in tempi brevi. Inoltre queste molecole non creano il gradiente osmotico che richiamerebbe acqua dentro la cellula. Le vie del metabolismo dei glucidi sono sottoposte ad un controllo retroattivo e ormonale. Retroattivo perché alcuni prodotti, come il piruvato, inibiscono il secondo enzima della glicolisi, bloccando il processo. Ormonale perché il metabolismo viene regolato da insulina e glucagone. Questi ormoni sono prodotti dalle cellule beta e dalle cellule alpha delle isole pancreatiche. Nell’organismo umano i carboidrati vengono convertiti in glucosio dalle amilasi salivari e pancreatiche. Negli enterociti il glucosio viene assorbito attraverso un sistema di simporto con il sodio. All’interno dell’enterocita, il trasportatore GLUT 1 permette l’arrivo del glucosio nel circolo sanguigno. Alti livelli di glucosio attivano la produzione di insulina. L’insulina legandosi alle cellule bersaglio permette l’inserimento dei trasportatori GLUT4 nelle cellule bersaglio, dove il glucosio potrà quindi entrare. I LIPIDI E IL LORO METABOLISMO I lipidi sono esteri saponificabili degli acidi grassi, scarsamente solubili in acqua. Chimicamente, la caratteristica dei lipidi è che contengono uno o due residui carbossilici (RCOO) di acidi grassi. I lipidi costituiscono la più importante riserva energetica e sono componenti delle membrane cellulari. Sulla base dei prodotti formati in seguito a idrolisi i lipidi possono essere classificati in –semplici, -complessi, - frazione insaponificabile dei lipidi. L’idrolisi può essere acida o basica. Quella basica è chiamata saponificazione, e dai lipidi si formano i corrispondenti Sali, chiamati appunto saponi. I lipidi semplici comprendono i trigliceridi, formati da oli e grassi, e le cere. I lipidi complessi comprendono i fosfolipidi e gli sfingolipidi. I lipidi complessi sono formati da molecole che hanno una porzione apolare, formata dalle catene idrocarburiche degli acidi grassi, e una porzione polare (acido fosforico e altri componenti). I lipidi complessi sono perciò molecole anfipatiche (una estremità idrofobica e una estremità idrofilica). La frazione insaponificabile, che non può essere scissa per idrolisi, è costituita da composti apolari. Appartengono a questa categoria il colesterolo, le vitamine liposolubili e lo squalene. Trigliceridi (Lipidi semplici): sono esteri del glicerolo con tre molecole di acidi grassi. Comprendono gli oli e i grassi. Gli oli sono liquidi a temperatura ambiente e sono costituiti da acidi grassi insaturi o poliinsaturi, i grassi sono solidi a temperatura ambiente e hanno un contenuto maggiore di acidi grassi saturi. Il punto di fusione dei trigliceridi diminuisce all’aumentare del numero di saturazioni presenti, e questo spiega perché gli oli sono liquidi. Le margarine sono grassi ottenuti per addizione di idrogeno ai doppi legami degli oli, quindi i legami diventano saturi e infatti le margarine sono solide. Cere (Lipidi semplici): sono esteri di acidi grassi a lunga catena con alcoli superiori (da 16 a 22 atomi di carbonio). Possono avere origine vegetale, come la cera di lino, o animale, come la cera prodotta dalle balene. Si trovano anche nei capelli, dove svolgono una funzione di protezione Fosfolipidi (Lipidi complessi): sono formati da glicerolo, due molecole di acido grasso che esterificano i primi due ossidrili del glicerolo, una molecola di acido fosforico che esterifica il terzo ossidrile del glicerolo. Questa a sua volta forma un ulteriore legame con una molecola polare.Per esempio questa molecola è la colina nel caso della fostatidilcolina Sfingolipidi (Lipidi complessi): uno scheletro carbonioso formato da una coda apolare, l’acido grasso, unita ad una molecola di sfingosina, un amminoalcol a lunga catena insatura. Le riserve glucidiche sono una forma di energia pronta ma si esauriscono rapidamente. Sono quindi i lipidi a svolgere il ruolo di riserva energetica dell’organismo. Vengono immagazzinati sotto forma di trigliceridi a livello degli adipociti bianchi. I trigliceridi, il colesterolo, i fosfogliceridi, entrano nel nostro organismo con gli alimenti e vengono demoliti dai processi digestivi, grazie all’azione congiunta delle lipasi pancreatiche e dei Sali biliari. Vengono quindi assorbiti nella membrana dell’enterocita dove vengono ricostituiti i trigliceridi. Essi vengono incorporati in un involucro di proteine, a formare una struttura micellare, la lipoproteina. Le principali classi di lipoproteine sono i chilomicroni, le VLDL, IDL, LDL, HDL. Passando dai chilomicroni alle HDL il rapporto tra contenuto di lipidi e contenuto di proteine diminuisce e quindi la densità della lipoproteina aumenta. I chilomicroni sono sintetizzati nell’enterocita e hanno la principale funzione di trasportare i trigliceridi ai tessuti, soprattutto ai muscoli e al tessuto adiposo. Le VLDL sono sintetizzate dal fegato, contengono trigliceridi e colesterolo. Trasportano una parte di lipidi ai tessuti e si trasformano in IDL, che quindi contengono meno trigliceridi. Le LDL derivano dalle IDL e contengono soprattutto esteri del colesterolo. La funzione è trasportare il colesterolo al fegato. Tuttavia le LDL tendono a cedere colesterolo anche al’endotelio vascolare, innescando l’aterosclerosi. Le HDL sono le lipoproteine che contengono la minor quantità di lipidi rispetto alle proteine, contengono principalmente fosfolipidi e colesterolo. Prelevano il colesterolo dai tessuti, come i vasi arteriosi, quindi prevengono l’aterosclerosi. La resa energetica di queste molecole è la più alta: 9 kcal contro le 4kcal dei carboidrati. L’ossidazione degli acidi grassi è detta Beta ossidazione. 1. Gli acidi grassi devono essere attivati. Questo avviene nel citosol grazie all’enzima acetilcoA sintetasi. Una molecola di ATP viene spesa e convertita in AMP 2. L’acido grasso attivato viene trasportato dal citosol al mitocondrio 3. La beta ossidazione comprende reazioni di ossidazione, con produzione di FADH2 e NADH, idratazione, e idrolisi 4. Il prodotto finale è l’acetilCoa che può entrare nel ciclo di Krebs, e se l’acido grasso ha un numero dispari di atomi di carbonio si forma il proponilCoa che viene convertito in succinilcoA ed entrerà comunque nel ciclo di Krebs La biosintesi degli acidi grassi avviene grazie ad un complesso multienzimatico, la acido grasso-sintetasi, e richiede la presenza di acetil-CoA, malonil-CoA, e NADPH. Anche il metabolismo dei lipidi è regolato da fattori ormonali che fanno capo all’insulina e al glucagone. In presenza di nutrienti, l’insulina stimola la sintesi e lo staccaggio di trigliceridi a livello degli adipociti (azione anabolizzante). RIPRODUZIONE ED EREDITARIETA’ I cicli vitali degli organismi non sono tutti uguali tra loro. Negli animali l’individuo per la maggior parte del suo ciclo vitale è diploide (2n) e le sue cellule somatiche si dividono per mitosi. La fase aploide è molto ridotta perché è limitata ai gameti, che vengono prodotti durante la gametogenesi con la meiosi. Dalla fusione dei gameti si forma il nuovo individuo diploide. Alcuni funghi e alghe rimangono aploidi per la maggior parte della loro vita. Due gameti aploidi si fondono per produrre uno zigote diploide che va incontro a meiosi per ripristinare lo stato aploide. Gli altri cromosomi sono detti autosomi. Il cromosoma Y è molto più piccolo del cromosoma X e contiene meno geni. Esistono diversi meccanismi di determinazione del sesso. Questa può essere genotipica, come nell’uomo, o ambientale. A sua volta la determinazione genotipica del sesso può essere dovuta ad un equilibrio tra cromosomi X autosomi (quanti cromosomi X ci sono rispetto agli autosomi), come nel moscerino della frutta, oppure può essere determinata dalla presenza o assenza del cromosoma Y. In questo caso quindi il sesso del nascituro è determinato dal padre: se lo spermatozoo contiene un cromosoma X nascerà una femmina, se lo spermatozoo contiene un cromosoma Y nascerà un maschio. Nei mammiferi la presenza del cromosoma Y determina lo sviluppo della gonade primitiva indifferenziata in testicolo. Trasmissione malattie legate al cromosoma X: una femmina per un dato gene localizzato sul cromosoma X potrà presentare 3 genotipi: omozigote dominante XAXA, omozigote recessivo XaXa, oppure eterozigote. Invece un maschio potrà avere solo 2 genotipi XAy e XaY. Quindi il maschio manifesta l’unico allele presente sul cromosoma X. Nel caso di una malattia data da un carattere recessivo legato al cromosoma X, le femmine possono essere sane o portatrici, se sono eterozigoti. Infatti affinchè la femmina trasmetta la malattia dovrà essere omozigote per l’allele mutato. I maschi presenteranno la malattia nel caso del genotipo XAy, quindi più frequentemente delle femmine. Se invece una malattia è data da un carattere dominante legato al cromosoma X allora la frequenza nei maschi e nelle femmine è la stessa, perché anche le femmine eterozigoti presentereanno la malattia. I caratteri legati al cromosoma Y sono trasmessi di padre in figlio. Mappe cromosomiche: In base alla posizione del centromero (regione in cui i cromatidi sono uniti) i cromosomi possono essere classificati in: Metacentrici= centromero in posizione centrale Sub-metacentrici= un braccio del cromosoma è più lungo dell’altro Acrocentrico= un braccio molto lungo e un braccio molto corto Telocentrico= se il centromero è posto all’estremità, ma non esiste nell’uomo. L’insieme di tutti i cromosomi metafasici di una cellula costituisce il cariotipo. I cromosomi si possono osservare in metafase con il microscopio ottico. Nel cariotipo i cromosomi omologhi si appaiono e le coppie vengono disposte dalla più grande alla più piccola. I cromosomi vengono colorati con una tecnica di colorazione detta bandeggio perché ogni cromosoma acquista delle bande caratteristiche. Per effettuare una analisi cromosomica si prelevano delle cellule dall’organismo. Le cellule più usate sono quelle del sangue per via della facilità del prelievo. Le cellule vengono stimolate in vitro a crescere e a dividersi e vengono trattate con una sostanza che si chiama colchicina, che le blocca in metafase della mitosi. Le cellule vengono quindi poste in una soluzione ipotonica che le fa rigonfiare. Vengono poste su un vetrino, colorate con la tecnica del bandeggio, e colorate al microscopio. Il dogma centrale della biologia afferma il principio della direzionalità del flusso dell’informazione genetica dal DNA all’RNA e alle proteine. Tale dogma è stato parzialmente rivisto in quanto è stato scoperto che la prima parte del flusso dell’informazione genetica può essere invertita dall’attività dell’enzima trascrittasi inversa, enzima presente nei retrovirus (dall’RNA al DNA). Rna e Dna sono polimeri. I loro monomeri sono i nucleotidi. Il DNA è costituito da due filamenti avvolti a formare una doppia elica. I due filamenti sono antiparalleli (5’-3’, 3’- 5’). Nel DNA sono presente quattro basi azotate, A e T sono complementari così come G e C. I due filamenti sono tenuti insieme da legami a idrogeno tra le basi complementari, due legami idrogeno tra adenina e timina e tre legami idrogeno tra citosina e guanina. I nucleotidi sono invece legati tra loro da un legame fosfodiesterico tra due molecole di ribosio ( il gruppo fosfato legato al carbonio 3 del ribosio si lega al carbonio 5 di un’altra molecola di ribosio). Nel filamento 3’-5’ il primo desossiribosio della catena ha il carbonio 3 libero, con un gruppo ossidrilico, mentre l’ultimo desossiribosio ha un gruppo fosfato nel carbonio 5. Nel filamento 5’- 3’, il primo desossiribosio ha un gruppo fosfato nel carbonio 5’, invece l’ultimo desossiribosio ha il carbonio 3 legato ad un gruppo ossidrilico. Duplicazione del DNA: Ciascuno dei due filamenti di DNA funge da stampo per la sintesi del filamento complementare. Secondo il modello di replicazione semiconservativa le due molecole sono costituite ciascuna da un filamento vecchio e un filamento di nuova sintesi. La sintesi di DNA è catalizzata dall’enzima DNA polimerasi che: Aggiunge nucleotidi in direzione 5’-3’ Non può iniziare la sintesi di DNA ex novo ma richiede una estremità 3’OH di un nucleotide già esistente. Per questo motivo l’enzima primasi sintetizza un primer a RNA che funge da innesco. L’enzima elicasi rompe i legami idrogeno che tengono uniti i due filamenti di DNA, formando una forcella di replicazione. Le proteine SSBP si legano ai filamenti per impedire che si riformi la doppia elica. Un filamento, detto principale, viene sintetizzato in maniera continua, in direzione 5’-3’, nella direzione di avanzamento della forca di replicazione Un filamento, detto filamento in ritardo, è sintetizzato in modo discontinuo, in direzione opposta alla direzione di avanzamento della forca replicativa. Questi frammenti si chiamano frammenti di Okazaki. La sintesi di ogni frammento inizia con un primer a RNA. I primer a RNA vengono successivamente rimossi, gli spazi vuoti riempiti con nuovo DNA e i frammenti vengono saldati dalla DNA ligasi Nei batteri la replicazione inizia in un solo punto. Negli eucarioti invece la replicazione inizia in corrispondenza di numerosi punti, detti origine della replicazione. Questo permette di replicare la grande quantità di DNA di una cellula in un piccolo intervallo di tempo. Le estremità del cromosoma eucariotico, dette telomeri, si accorciano un po' ad ogni divisione cellulare. I telomeri possono essere allungati da uno speciale enzima, detto telomerasi presente nelle cellule che si dividono un numero illimitato di volte. E’ stato suggerito che la progressiva perdita di DNA telomerico possa contribuire all’invecchiamento cellulare. Negli eucarioti i geni sono costituiti da tratti codificanti, gli esoni, e tratti non codificanti, gli introni. Nei geni batterici invece gli introni non sono presenti. Nei geni eucariotici inoltre troviamo il promotore, che segna l’inizio del gene, e il terminatore, che segna la fine del gene. I batteri contengono un unico cromosoma batterico, costituito da una molecola di DNA circolare. Il DNA batterico ha poche proteine associate. Nel citoplasma di una cellula batterica possono essere presenti anche i plasmidi, piccole molecole di DNA circolari che sono in grado di replicarsi indipendentemente dal DNA del cromosoma batterico e che spesso portano geni che conferiscono resistenza agli antibiotici Negli eucarioti il DNA si associa a proteine basiche dette istoni. L’insieme DNA e istoni forma i nucleosomi e nel complesso la struttura ha la forma di una collana di perle. Il Dna è ripiegato a formare delle anse e delle proteine non istoniche tengono insieme l’impalcatura. Si definisce CROMATINA l’insieme del DNA e delle proteine ad esso legate. La cromatina va incontro a dei cicli di condensazione e decondensazione e durante la divisione cellulare (metafase) è visibile sottoforma di cromosomi. Inoltre la cromatina comprende l’eucromatina (contiene geni che vengono espressi, manifesta alternanza di condensazione e decondensazione), invece l’eterocromatina rimane sempre condensata e contiene geni che non vengono trascritti. Solo il 2% del DNA eucariotico codifica per proteine. Il rimanente 98% sembra essere in eccesso e la sua funzione non è ancora nota. RNA: Costituisce l’altro acido nucleico. Ci sono tre differenze sostanziali tra DNA e RNA: lo zucchero dell’RNA è il ribosio mentre quello del DNA è il desossiribosio. Al posto della timina nell’RNA c’è l’uracile. L’RNA è a singolo filamento mentre il DNA è a doppio filamento. La trascrizione è il processo di sintesi dell’RNA. Le molecole di RNA prodotte sono complementari al filamento di DNA che funge da stampo. La trascrizione è effettuata dall’enzima RNA polimerasi, che copia in direzione 5’-3’ , secondo le regole di appaiamento delle basi (l’adenina si lega all’uracile). L’RNA polimerasi si lega al promotore di un gene. La trascrizione vera e propria inizia dopo il promotore. L’RNA polimerasi apre la doppia elica e forma una nuova catena a singolo filamento di RNA. Quando ha copiato tutto il gene, l’enzima trova una particolare sequenza di basi, detta terminatore, che segnala la fine del gene. Alcuni elementi, distanti dal promotore, intensificano la trascrizione (enhancer) altri invece la reprimono (silencer). Nei procarioti l’mrna neosintetizzato viene subito tradotto in proteina. Negli eucarioti invece trascrizione e traduzione sono separati sia nello spazio che nel tempo. La sintesi di RNA avviene nel nucleo, invece la sintesi di proteine avviene nel citoplasma. Inoltre l’mrna viene modificato prima di lasciare il nucleo: 1) Aggiunta di un cappuccio costituito da un nucleotide guanosina modificato nell’estremità 5’ 2) Aggiunta di una coda di poli A all’estremità 3’ 3) Splicing o taglio degli introni che viene svolto dallo spliceosoma, formato da proteine e piccoli RNA nucleari. La sintesi delle proteine viene effettuata dai ribosomi. Quelli eucariotici (80S) hanno una subunità maggiore 60S e una subunità minore 40S. Nel messaggio genetico si parte da una lingua a 4 lettere, le 4 basi azotate, ad una lingua scritta sotto forma di 20 amminoacidi. La traduzione del messaggio genetico del DNA in proteine richiede quindi un interprete: il t RNA. La sua funzione è quella di abbinare ad una sequenza di tre basi azotate (codone) un amminoacido. Infatti il t RNA trasporta gli aa durante la sintesi proteica, sulla base delle sequenza di basi azotate nel DNA, che vengono lette a 3 a 3. I t RNA hanno una forma a trifoglio. Due regioni sono molto importanti: il sito di legame all’amminoacido e l’ansa dell’anticodone, con 3 basi complementari ad un codone sull’ m RNA. Il processo di sintesi proteica è noto come traduzione del messaggio genetico. Esso consta di tre fasi:inizio-allungamento-fine. INIZIO: si ha la formazione di un complesso di inizio tra l’Mrna e la suunità minore ribosomiale. A questo complesso si aggiunge una molecola di mrna portante il primo amminoacido, la metionina. La subunità maggiore si unisce al complesso di inizio. La subunità maggiore ha due siti: P e A. All’inizio il t RNA va ad occupare il sito P A questo punto si ha il riconoscimento del codone dell’ mrna con l’anticodone di un’altra molecola di t RNA. Tra la metionina e il secondo amminoacido si forma un legame peptidico. A questo punto la prima molecola di t RNA, ormai vuota, si stacca dal sito P. In questo modo modo il t-RNA a cui è legato il dipepetide si muove dal sito A al sito P. Il sito A è nuovamente libero e una nuova molecola di t RNA può arrivare Terminazione: il ribosoma incontra uno dei tre codoni di stop che non specificano alcun amminoacido. Codice genetico: e’ a triplette. In totale le triplette sono 64. E’ universale, valido in tutti gli organismi. Un’eccezione è rappresentata dal DNA dei mitocondri e dei cloroplasti. Il codice è degenerato, più codoni codificano per uno stesso amminoacido. Talvolta le proteine non sono immediatamente pronte ma devono svolgere delle modificazioni delle post- traduzionali. Tra queste rientrano le modificazioni chimiche consistenti in aggiunta o rimozione di gruppi chimici (fosforilazione- defosforilazione). Un’altra modificazione consiste nella rimozione di intere sequenze amminoacidiche. Esempio ormone insulina che viene sintetizzata sotto forma di una unica catena polipeptidica inattiva. La rimozione di un segmento dalla catena forma alla formazione di due catene più brevi che si legano partire anche da tracce molto piccole di DNA (es saliva in un bicchiere). Gli usi della pcr comprendono la diagnosi molecolare di malattie, l’identificazione personale, la determinazione del sesso negli embrioni. EREDITA’ E AMBIENTE Evoluzione: accumulo nel tempo di cambiamenti ereditabili in una popolazione di organismi, che porta a differenze tra popolazioni e spiega l’origine di tutti gli organismi che esistono oggi o che sono esistiti. Le teorie evoluzionistiche si contrappongono a quelle basate sul creazionismo, o alla teoria delle catastrofi, in base alla quale ad ogni catastrofe segue l’estinzione delle specie e la creazione di nuove specie. Furono Lamarck prima e Darwin dopo a proporre che le specie potessero seguire cambiamenti nel tempo, ma i due scienziati differivano per i meccanismi proposti. Lamarck: la sua teoria è basata sull’ereditarietà dei caratteri acquisiti. I singoli organi diventerebbero più o meno sviluppati a seconda del loro uso e disuso e questi cambiamenti si trasmettono ai figli. Per esempio il lungo collo della giraffa si sarebbe evoluto quando gli antenati della giraffa, con il collo corto, cominciarono ad allungare il proprio collo. Quindi il collo si allungò per il tanto uso e questa caratteristica venne trasmessa alla prole. Non ci sono prove convincenti dei meccanismi evolutivi proposti da Lamarck. Darwin nella sua famosa “L’origine delle specie” propose la teoria dell’evoluzione che costituisce una delle più importanti rivoluzioni scientifiche. Fondamentale fu il suo viaggio di cinque anni nelle isole Galapagos. Egli fu molto influenzato dalle idee di Malthus che sosteneva che la crescita della popolazione umana non è illimitata, ma è influenzata dalle risorse alimentari, il cui esaurimento genera fame, malattie e guerre. Secondo Darwin l’evoluzione avviene per selezione naturale, che tende a conservare le variazioni favorevoli e ad eliminare quelle non favorevoli. Il risultato è l’adattamento all’ambiente. Gli individui più adatti all’ambiente in cui vivono hanno maggiore probabilità di sopravvivere e di riprodursi. Questa teoria si basa sulle seguenti osservazioni: Variabilità tra gli individui di una popolazione (es diverse forme, colori, dimensioni) Sovrapproduzione: ogni specie produce più discendenti di quanti riescano a sopravvivere Lotta per l’esistenza, per via di risorse limitate quali cibo e acqua Successo riproduttivo differenziale: gli individui con caratteristiche più adatte all’ambiente hanno più capacità di sopravvivere e quindi di riprodursi e quindi di trasmettere le loro caratteristiche alla prole. L’insieme delle teorie di Darwin e delle attuali conoscenze di genetica ha dato via ad una branca della biologia definita come genetica delle popolazioni. Prove a favore dell’evoluzione: PALEONTOLOGIA: lo studio dei reperti fossili permette di stabilire la successione cronologica ed evolutiva delle specie presenti nei fossili ANATOMIA COMPARATA: lo studio delle caratteristiche anatomiche in specie diverse consente di indentificare i caratteri omologhi, ossia in comune. Ad esempio la pinna di una balena, il braccio di un uomo e l’ala di un pipistrello sono tutti derivati da un comune progenitore EMBRIOLOGIA COMPARATA: organismi evolutivamente imparentati hanno uno sviluppo embrionale simile BIOGEOGRAFIA: lo studio della distribuzione passata e presente di piante e animali. Zone che si sono separate da altre per lungo tempo presentano organismi unici. Un esempio sono i fringuelli delle isole Galapagos, dove Darwin identificò 13 specie di fringuelli. BIOLOGIA MOLECOLARE: consente di identificare similarità nelle sequenze nucleotidiche o amminoacidiche tra organismi con una parentela evolutiva. Ogni popolazione contiene un pool genico che comprende l’insieme di tutti i geni di quella popolazione. Una popolazione può essere descritta in termini di frequenza dei genotipi (frequenze genotipiche), dei fenotipi (fenotipiche) e degli alleli (alleliche). Per quanto riguarda la frequenza degli alleli, un individuo omozigote ne ha due, quindi se ho 490 individui AA gli alleli totali sono 980. Per la frequenza si divide per il numero totale di individui. Legge di Hardy- Weinberg: In una popolazione all’equilibrio genetico le frequenze alleliche e genotipiche non cambiano di generazione in generazione. Questo si verifica se la popolazione è di grandi dimensioni, se l’accoppiamento è casuale, e in assenza di fattori di disturbo, quali mutazione, selezione e migrazione. Questa legge di esprime con la seguente equazione: p2 (frequenza di individui AA) + 2pq (frequenza di individui Aa) + q2 (frequenza di individui aa) =1. In base a questa legge, la frequenza del genotipo AA si calcola moltiplicando al quadrato la frequenza dell’allele A, la frequenza del genotipo aa si calcola moltiplicando al quadrato la frequenza dell’allele aa, e invece la frequenza del genotipo Aa si calcola moltiplicando la frequenza dell’allele A per la frequenza dell’allele a. Se in una popolazione le frequenze alleliche rimanessero costanti questa popolazione non potrebbe evolvere. Infatti l’evoluzione consiste proprio in un cambiamento di frequenze alleliche. I fattori che fanno variare le frequenze alleliche sono la mutazione, la selezione, la deriva genetica e la migrazione. Mutazione: E’ la fonte principale di variabilità genetica su cui può agire la selezione. Alcune sono neutrali, altre sono svantaggiose e alcune, una piccola frazione, sono vantaggiose e possono consentire un adattamento della specie in caso di cambiamenti ambientali. Il fatto che una mutazione sia neutrale, dannosa o sfavorevole dipende dall’ambiente. Selezione: Elimina gli individui meno adattati a vivere in un certo ambiente, causando l’eliminazione degli alleli non favorevoli da una popolazione, mentre quelli favorevoli vengono mantenuti. La selezione naturale agisce mediante due meccanismi: la sopravvivenza differenziale e la fertilità differenziale. L’intensità della selezione è espressa da un valore definito fitness: la capacità di un genotipo di incrementare la fitness, ossia l’adattabilità degli individui che lo presentano. Questi saranno avvantaggiati (sopravvivenza differenziale) e tale vantaggio si estrinsecherà in un aumento della probabilità di riprodursi (fertilità differenziale). Un esempio di selezione è il vantaggio dell’eterozigote per l’anemia falciforme. Gli individui eterozigoti (Ss) non presentano la malattia, ma rispetto agli omozigoti sani hanno un vantaggio: in un ambiente malarico godono di una fitness maggiore. L’allele s è quindi mantenuto nella popolazione a causa del vantaggio selettivo. La distribuzione di questo allele patologico coincide infatti con la distribuzione della malaria. Deriva genetica: Cambiamento nelle frequenze alleliche di una popolazione dovuto al caso e non alla selezione naturale. Essa agisce su popolazioni di piccole dimensioni. Se alcuni individui si staccano da una popolazione grande e vanno a fondare una nuova popolazione le frequenze alleliche possono essere diverse dalla popolazione di origine, a seconda delle frequenze alleliche dei fondatori (effetto del fondatore). Un altro effetto è quello del collo di bottiglia: in caso di catastrofi naturali o epidemie la popolazione originaria subisce una drastica riduzione numerica. I pochi sopravvissuti generalmente presentano frequenze alleliche diverse da quelle originarie, per motivi puramente casuali . Migrazioni: la migrazione di individui tra popolazione causa un movimento di alleli, detto flusso genico, che può provocare cambiamenti nelle frequenze alleliche. Questi modelli evolutivi sono in grado di spiegare: Evoluzione convergente: fenomeno per cui popolazioni diverse che occupano ambienti simili tendono ad assomigliarsi. Compaiono dei caratteri analoghi, caratteri con funzione simile ma diversa origine evolutiva. Evoluzione divergente: al contrario popolazioni imparentate se vivono in ambienti separati si diversificano nel tempo e ciò può portare alla formazione di nuove specie Coevoluzione: specie diverse mostrano un mutuo adattamento come conseguenza delle loro strette interazioni per molto tempo. Un esempio è dato dai fiori e dai loro impollinatori. La speciazione è l’evoluzione di una nuova specie. Nel caso della speciazione allopatrica le popolazioni sono isolate geograficamente, quindi lo scambio di geni è impedito. Nel caso della speciazione simpatrica invece non si ha isolamento geografico e questo si verifica soprattutto nelle piante mediante il fenomeno della poliploidia. Due specie molto simili possono rimanere isolate, quindi non riuscire ad accoppiarsi per diversi meccanismi: isolamento temporale, per esempio hanno la riproduzione in diversi momenti del giorno, isolamento gametico (incompatibilità dei gameti), isolamento comportamentale (es corteggiamenti diversi), isolamento meccanico (incompatibilità degli organi riproduttivi), isolamento da habitat (habitat diversi) o infine si ha un isolamento post zigotico (non vitalità dell’ibrido o sterilità dell’ibrido). ANATOMIA E FISIOLOGIA Negli organismi pluricellulari cellule di vari tessuti sono organizzati a formare strutture, dette organi, deputate a svolgere determinate funzioni. Diversi organi concorrono, portando ciascuno il proprio contributo, allo svolgimento delle funzioni fondamentali alla sopravvivenza dell’individuo, formando gli apparati. Apparato locomotore Svolge funzioni di sostegno dell’organismo, protezione di alcuni organi e produzione e amplificazione del movimento dell’intero organismo e delle due parti. L’apparato scheletrico inoltre funge da riserva di ioni minerali. L’apparato locomotore comprende l’apparato scheletrico, l’apparato articolare e quello muscolare. Apparato scheletrico: è costituito dalle ossa, organi rigidi e resistenti, formati da tessuto osseo e da tessuto cartilagineo. Lo scheletro dei vertebrati è situato all’interno dell’organismo ed è ricoperto da altri organi e tessuti che costituiscono le cosiddette parti molli. Lo scheletro dell’uomo adulto è formato da circa 206 ossa. In base alla forma si distinguono: Ossa lunghe: di forma allungata, costituite da una parte centrale, detta diafisi (formate da tessuto osseo compatto), percorsa da una cavità, il canale midollare, in cui è contenuto il midollo osseo, e da due estremità rigonfie dette epifisi (formate da tessuto osseo spugnoso rivestite da una lamina di tessuto osseo compatto. Le ossa lunghe sono coinvolte nell’articolazione con altre ossa. Sono esempi l’omero, radio, ulna Ossa brevi: le tre dimensioni si equivalgono. Sono costituite da tessuto osseo spugnoso rivestite da una lamina di tessuto osseo compatto, es le ossa che costituiscono il polso Ossa piatte: formate da due lamine di tessuto osseo compatto che racchiudono un sottile strato di tessuto osseo spugnoso, ne sono esempi le ossa della scatola cranica Ossa irregolari, ne sono esempio le vertebre Ossa sesamoidi: forma discoidale, situate nei tendini. Ne è un esempio la rotula Ossa suturali: piccole ossa che si possono trovare in corrispondenza delle articolazioni che connettono le ossa del cranio Articolazioni cartilaginee: tra le ossa è interposto tessuto fibrocartilagineo. Es la sinfisi pubica e le articolazioni tra le vertebre cervicali Articolazioni sinoviali: rappresentano il grosso delle articolazioni. Le estremità delle due ossa coinvolte sono rivestite da un sottile strato di cartilagine ialina, chiamato cartilagine articolare. A livello dell’articolazione si possono riconoscere due strati. Lo strato esterno è costituito da una lamina di tessuto connettivo denso, che avvolge completamente l’articolazione. In punti particolari la capsula è rinforzata da fasci di fibre collagene che costituiscono i legamenti delle articolazioni. Essi non sono elastici quindi entrano in tensione quando l’articolazione raggiunge la massima escursione e a quel punto impediscono movimenti eccessivi. Lo strato interno è costituito da un rivestimento di tessuto connettivo lasso, vascolarizzato, chiamato membrana sinoviale. La membrana sinoviale circonda una cavità ricca di un liquido viscoso, detto liquido sinoviale, con funzione di lubrificante. In alcune articolazioni, come il ginocchio, sono inoltre presenti degli anelli fibrocartilaginei, detti menischi, che si interpongono tra le superfici articolari e fungono da cuscinetti. Le articolazioni possono essere non mobili (come le suture delle ossa craniche, sinartrosi), parzialmente mobili (come le articolazioni tra le vertebre e la sintesi pubica) e totalmente mobili (diatrosi, es quelle dell’omero con la scapola). La presenza delle articolazioni consente alle varie parti dell’organismo di muoversi le une rispetto alle altre, dando luogo ai diversi tipi di movimento (flessione, estensione, iperestensione, abduzione, rotazione, adduzione, supinazione, pronazione). Apparato muscolare L’insieme dei muscoli scheletrici, formati da tessuto muscolare striato, responsabili del mantenimento della postura e dell’esecuzione dei movimenti volontari costituisce l’apparato muscolare. Un muscolo scheletrico è un organo costituito da diversi tipi di tessuto connettivo, vasi sanguigni e terminazioni nervose. Ogni fibra muscolare è avvolta dall’endomisio e più fibre sono raggruppate e avvolte dal perimisio. La fascia, il perimisio e l’endomisio possono prolungarsi oltre l’estremità delle fibrocellule, formando il tendine. Le fibre di collagene del tendine si intrecciano e si continuano con quelle del periostio delle ossa oppure i tendini permettono di fissare le proprie estremità alla pelle. Di solito una estremità del muscolo è legata ad una struttura fissa (di norma un osso) e invece l’altra estremità si inserisce su di una struttura mobile. L’estremità fissa è detta origine del muscolo e quella mobile è detta inserzione. Alcuni muscoli possono avere più origini o più inserzioni. Ad esempio il muscolo bicipite del braccio ha due origini, in due punti diversi della scapola e una inserzione (sul radio). Alcuni muscoli invece non hanno né origine né un’ inserzione, sono quelli posti in corrispondenza degli orifizi dell’organismo e la loro contrazione o il loro rilassamento fanno variare l’apertura dell’orifizio. Spesso i muscoli si contraggono in gruppi. In questo caso un muscolo è detto primario e gli altri muscoli che collaborano con il muscolo primario sono detti muscoli sinergisti. Il muscolo che contraendosi produce un movimento opposto a quello provocato dall’agonista è detto invece muscolo antagonista. La gradualità e la precisione dei movimenti dipendono quindi dalla capacità dell’antagonista di rilasciarsi man mano che l’agonista si contrae. Queste complesse interazioni sono controllate dal sistema nervoso centrale. I meccanismi attraverso cui l’ATP viene rigenerato nelle fibrocellule sono sostanzialmente tre: la formazione di ATP a partire da ADP e fosfocreatina (anaerobiosi), la formazione di ATP che deriva dalla glicolisi (anarobiosi), la formazione di ATP che deriva dalla fosforilazione ossidativa (aerobiosi). Poiché la quantità di fosfocreatina è limitata il primo meccanismo è in grado di sostenere una intensa contrazione solo per poche decine di secondi. L’utilizzazione del glucosio è un processo molto rapido. Però il glucosio viene esaurito nel giro di pochi minuti di contrazione. La glicolisi è quindi utilizzata per quegli esercizi muscolari che richiedono molta potenza ma tempi brevi. La glicolisi dà come prodotto finale l’acido lattico che si accumula nelle fibrocellule e passa nel sangue. L’acido lattico arriva al fegato dove viene riconvertito in glucosio utilizzando l’energia derivata dall’ATP. La produzione di ATP attraverso la respirazione cellulare e la fosforilazione ossidativa è un processo molto efficiente ma lento. Esso può protrarsi per tempi molto lunghi ma non è in grado di sostenere contrazioni molto intense. I muscoli sottoposti a uno sforzo intenso vanno incontro ad affaticamento, una diminuzione della capacità di contrarsi. La causa più frequente è l’accumulo di acido lattico. La formazione di ATP per fosforilazione ossidativa richiede ossigeno. Nei muscoli si trova una proteina, la mioglobina che lega reversibilmente l’ossigeno, con una affinità maggiore rispetto all’emoglobina. I muscoli che devono sostenere contrazioni prolungate, come i muscoli della postura, utilizzano come fonte di energia la respirazione e le loro fibrocellule sono ricche di mioglobina. Invece i muscoli che richiedono contrazioni rapide e intense hanno le fibrocellule ricche di glicogeno e enzimi per la glicolisi. Molti muscoli contengono entrambi i tipi di fibre, sia pure con prevalenza dell’uno o altro tipo. In seguito all’esercizio fisico i muscoli aumentano di volume (ma non aumenta il numero di fibrocellule). Si verifica una ipertrofia muscolare, accompagnata anche dall’aumento di capillari sanguigni. Al contrario in casi di prolungata immobilizzazione si verifica una atrofia del muscolo. Apparato tegumentario Ha come funzione principale quella di rivestire l’organismo, di proteggerlo dai traumi e dall’invasione di agenti patogeni e di evitare una eccessiva perdita di acqua. Esso inoltre svolge un importante ruolo nella regolazione corporea. La cute è il rivestimento esterno del corpo umano ed è costituita da due strati: l’epidermide e il derma. L’epidermide costituisce lo strato più superficiale della cute ed è rappresentata da un epitelio pluristratificato. Le cellule sono dette cheratinociti. Nello strato più profondo, strato basale, ci sono cellule poco differenziate in attiva proliferazione, appoggiate ad una sottile membrana basale. Invece solo strato più superficiale è costituito da cellule morte che vanno incontro ad una continua desquamazione e che vengono sostituite da cellule degli strati più profondi. Man mano che passano da uno strato profondo ad uno più superficiale le cellule vanno incontrato ad un differenziamento e accumulano una particolare proteina, detta cheratina, dotata di notevole flessibilità e di resistenza meccanica. Tra le cellule dello strato basale ci sono delle cellule, i melanociti, che producono e iniettano nei cheratinociti la melanina, responsabile del colore della pelle. La melanina assorbe le radiazioni ultraviolette, che altrimenti danneggerebbero le cellule degli strati più profondi. Il derma, posto al di sotto dell’epidermide, è composto da tessuto connettivo fibroso, denso, la cui matrice è costituita soprattutto da fibre di collagene e da fibre elastiche. Il derma contiene vasi sanguigni e terminazioni nervose, che rappresentano i recettori sensoriali per il tatto, il dolore e la temperatura. Al di sotto del derma è posto il tessuto sottocutaneo, formato da tessuto connettivo lasso e da tessuto adiposo. Quest’ultimo oltre a servire da deposito dei grassi di riserva svolge anche un importante ruolo di isolante nei confronti delle variazioni della temperatura esterna. Gli annessi cutanei sono strutture differenziate derivate dall’epidermide. Le ghiandole sudoripare svolgono un ruolo importante nella regolazione della temperatura corporea. Le ghiandole sebacee, i cui dotti escretori sbloccano nei follicoli piliferi, secernono una miscela di grassi e di cere chiamata sebo che previene la disidratazione e la screpolatura della pelle. I peli e i capelli hanno una struttura simile: presentano una parte che sporge fuori dalla cute, il fusto, e una parte situata nella radice della cute che si estende nel derma, detto follicolo pilifero. La parte più profonda, rigonfiata, della radice è detta bulbo pilifero (dilatazione del follicolo pilifero). Il pelo è formato da cellule morte, ripiene di cheratina e contenuti granuli di melanina. La quantità di melanina determina il colore del pelo e i granuli di melanina diminuiscono con l’età. Alla base di ciascun follicolo è inserito un fascio di cellule muscolari che costituiscono il muscolo erettore del pelo e la contrazione di queste cellule muscolari svolge un ruolo nella termoregolazione. Le unghie sono lamine cornee che si sono differenziate dallo strato corneo dell’epidermide. Comprendono la lamina ungueale che costituisce il corpo dell’unghia e che aderisce alla cute sottostante, la radice (nascosta da un sottile ripiegamento cutaneo), la matrice ungueale che si trova alla base della radice e forma nuovo materiale. Le lesioni traumatiche che causano l’interruzione della continuità della cute prendono il nome di ferite. Se non intervengono processi infettivi le ferite si rimarginano spontaneamente. Se la ferita interessa la sola epidermide, le cellule epiteliali dello strato basale vengono stimolate a moltiplicarsi. Se la lesione interessa anche il derma e il tessuto sottocutaneo vengono rotti dei vasi sanguigni con una conseguente perdita di sangue. In questo caso si forma un coagulo di fibrina che insieme al liquido interstiziale forma una crosta, per proteggere i tessuti sottostanti. Vengono richiamati i fibroblasti, che depositano fibre collagene. Al di sotto della crosta nuovi vasi sanguigni penetrano nell’area della lesione mentre granulociti e macrofagi provvedono a rimuovere cellule morte e detriti. Quando il processo di ricostruzione del tessuto connettivo è completato, le cellule epiteliali proliferano e si ha il distacco della crosta. Se la ferita è estesa, il tessuto connettivo neoformato può rimanere visibile sotto forma di cicatrice. Le lesioni causate dal calore prendono il nome di ustioni. Quelle di primo grado interessano solo l’epidermide. Quelle di secondo grado interessano anche il derma. Le ustioni che danneggiano l’epidermide, il derma e gli annessi cutanei sono dette di terzo grado. Queste ustioni richiedono l’intervento medico per la rimozione dei tessuti necrotizzati e l’eventuale copertura con lembi di pelle prelevati da regioni sane. Apparato digerente Per essere utilizzata, la miscela di composti ingeriti con la dieta (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici ,inorganici) deve essere anzitutto sminuzzata ed omogeneizzata meccanicamente. Le molecole complesse devono essere idrolizzate nei composti più semplici: i carboidrati in monosaccaridi, i lipidi in acidi grassi e glicerolo, le proteine in amminoacidi. I processi di sminuzzamento e di idrolisi degli alimenti costituiscono la digestione. I prodotti della digestione possono essere assorbiti. Anche se l’uomo è in grado di sintetizzare alcune classi di lipidi e di formare polisaccaridi, non è in grado di produrre le proteine senza l’introduzione di aa essenziali con la dieta, cioè gli amminoacidi che il corpo non è in grado di sintetizzare. Allo stesso modo è necessario introdurre con la dieta gli acidi grassi essenziali e le vitamine. Una dieta equilibrata quindi non si limita a fornire all’organismo una quantità sufficiente di energia ma deve anche fornire proteine, acidi grassi indispensabili, vitamine e Sali inorganici. L’apparato digerente comprende un lungo condotto, il tubo digerente, e alcune ghiandole (salivari, fegato, pancreas) i cui secreti si riversano nel tubo digerente contribuendo alla digestione. Il tubo digerente comprende la bocca, la faringe, l’esofago, lo stomaco, l’intestino tenue, l’intestino crasso e l’ano. La BOCCA è delimitata superiormente dal palato, sul bordo del quale è inserita l’arcata dentaria superiore (16 denti nell’adulto), lateralmente dalle guance, inferiormente dalla mandibola su cui è inserita l’arcata dentaria inferiore (16 denti) e la lingua. La bocca è rivestita da un epitelio, la mucosa orale, che soprattutto motilità dell’intestino contribuiscono oltre al sistema nervoso autonomo anche particolari ormoni (gastrine, secretina, colecistochinina etc). Il FEGATO è la più grossa ghiandola del corpo umano, è situato nella parte alta e destra della cavità addominale subito sotto il diaframma. Il fegato produce la bile, che permette la digestione dei grassi, elimina i prodotti di demolizione del gruppo eme dell’emoglobina, riversandoli nella bile (essi sono responsabili del colore brunastro nelle feci), interviene nel controllo del livello di glucosio nel sangue (infatti in esso si svolgono la glicogenosintesi e la glicogenolisi). Il fegato interviene nel metabolismo dei lipidi, producendo le lipoproteine e nel metabolismo delle proteine, perché gli aa in eccesso vengono trasformati in carboidrati e acidi grassi con produzione di urea, eliminata con le urine. Il fegato sintetizza molte proteine del sangue tra cui l’albumina e i fattori di coagulazione. Inoltre svolge funzioni di ghiandola endocrina producendo, sotto lo stimolo del GH prodotto dall’ipofisi, diverse sostanze dette somatomedine (IGF-1). Il fegato immagazzina il ferro e diverse vitamine. Interviene nei processi di detossificazione dell’alcool e di molti medicamenti e veleni. Apparato respiratorio Svolge la funzione di assicurare gli scambi di gas fra l’organismo e l’ambiente esterno. L’apparato respiratorio, in sinergia con l’apparato circolatorio assicura che ogni cellula venga rifornita di ossigeno e che l’anidride carbonica venga eliminata dall’organismo. Negli organismi monocellulari e nei piccoli organismi acquatici lo scambio di gas avviene per diffusione semplice. Negli organismi più complessi non solo sono necessarie strutture specializzate ma l’aria o l’acqua che riforniscono l’ossigeno devono essere continuamente rinnovate, per evitare l’impoverimento di ossigeno e l’arricchimento di anidride carbonica. Negli animali primitivi di piccole dimensioni, come i lombrichi, gli scambi gassosi avvengono attraverso l’intera superficie corporea, negli insetti l’aria entra nell’organismo attraverso un reticolo di tubi tracheali. Negli animali acquatici sono presenti le branchie, nei vertebrati terrestri infine sono presenti i polmoni. Nell’uomo l’apparato respiratorio comprende anche l’apparato di fonazione. L’apparato respiratorio comprende le vie respiratorie e i polmoni. Le vie respiratorie convogliano l’aria ai polmoni. Esse comprendono: le cavità nasali, che sono due e sono separate dal setto nasale. Esse si aprono all’esterno attraverso due aperture, le narici. La bocca e la faringe sono in comune con l’apparato digerente. La faringe mette in comunicazione il naso e la bocca tra loro e con la laringe. La laringe è situata davanti all’esofago ed è mantenuta dalla cartilagine tiroidea e dall’osso iode. L’epiglottide chiude il passaggio alla laringe per far passare gli alimenti dalla faringe all’esofago. La laringe contiene le corde vocali che svolgono un ruolo fondamentale nella fonazione. La laringe si continua nella trachea, tubo formato da anelli di cartilagine rivestiti da un epitelio muco secernente. La trachea percorre parte del collo, davanti all’esofago, ed entra nella cavità toracica, dove si biforca dando origine ai bronchi. I bronchi penetrano nei polmoni e vanno incontro a successive diramazioni formando condotti di diametro sempre più piccolo, i bronchioli. Ciascun bronchiolo sbocca in una piccolissima vescicola chiamata alveolo polmonare. Ciascun alveolo è rivestito da un epitelio molto sottile ed è a diretto contatto con una fitta rete di capillari sanguigni, nei quali scorre il sangue venoso ricco di anidride carbonica. A livello degli alveoli avviene la diffusione dell’ossigeno dall’aria verso il sangue dei capillari e dell’anidride carbonica dal sangue verso l’aria. Arrivato nel sangue l’ossigeno si lega all’emoglobina contenuta nei globuli rossi. Il sangue, arricchitosi di ossigeno e liberatosi di anidride carbonica diventa sangue arterioso. I polmoni sono formati da 300 milioni di alveoli. A livello dei polmoni avviene anche l’eliminazione di alcune sostanze volatili presenti nel sangue, ad esempio una parte dell’alcol etilico è eliminato con questa via e questo è alla base del funzionamento dell’etilometro. I due polmoni si trovano all’interno della gabbia toracica e sono separati da una zona centrale, detta mediastino, nel quale si trovano la trachea e l’inizio dei bronchi, il timo, il cuore e i grossi vasi sanguigni che arrivano al cuore o partono dal cuore. Ciascun polmone ha una forma grossolanamente conica. Ha una base che appoggia sul diaframma e un apice che si trova al di sotto della clavicola. I polmoni sono divisi in lobi che corrispondono alle grosse diramazioni dei bronchi. Ad ogni polmone arrivano le arterie polmonari, provenienti dal ventricolo destro del cuore. Le arterie polmonari, correndo man mano lungo i bronchi, si ramificano fino a dare origine ai capillari che circondano gli alveoli. Da questi capillari hanno origine venule che confluendo in vasi di dimensioni crescenti formano le vene polmonari, che sboccano nel ventricolo sinistro nel cuore. Le arterie polmonari contengono sangue che è arrivato al cuore provenendo dai tessuti. Questo sangue è venoso, ricco di anidride carbonica. Analogamente le vene polmonari che provengono dal polmone e vanno al cuore, pur essendo vene, contengono sangue arterioso, ricco di ossigeno. La porzione di ciascun polmone nella quale entrano i bronchi, le vene e le arterie polmonari prende il nome di ilo polmonare. Ciascun polmone è rivestito da un sottile rivestimento epiteliale, la pleura. Tra la pleura parietale che riveste la gabbia toracica e quella che riveste il polmone esiste una cavità virtuale, detta cavità pleurica, nel senso che le due superfici sono separate da un sottilissimo strato di liquido lubrificante, il liquido pleurico. In caso di infiammazione della pleura, pleurite, la quantità di liquido pleurico può aumentare anche considerevolmente, dando luogo ad un versamento pleurico. Poiché la gabbia toracica è rigida mentre il polmone è elastico, all’interno della cavità pleurica esiste una pressione negativa, che fa sì che quando la gabbia toracica, in seguito alla contrazione dei muscoli respiratori, si espande, il polmone sia costretto a dilatarsi. La ventilazione polmonare, detta respirazione, consiste nell’alternarsi di contrazioni del diaframma e dei muscoli della gabbia toracica, intercostali, che determinano una espansione della cavità toracica. I polmoni si dilatano facendo quindi penetrare aria dall’esterno (INSPIRAZIONE). Dal rilassamento del diaframma e dei muscoli della gabbia toracica si ha una riduzione del volume della cavità toracica. I polmoni si ritraggono espellendo l’aria (ESPIRAZIONE). Durante il passaggio nelle vie aeree superiori (naso/bocca, faringe, laringe, trachea) l’aria inspirata viene filtrata, riscaldata e umidificata. La dilatazione degli alveoli polmonari viene facilitata dal surfattante polmonare, una miscela di fosfolipidi tensioattivi prodotti dalle cellule che rivestono gli alveoli. La frequenza e la profondità degli atti respiratori sono sotto il controllo del sistema nervoso, che agisce in parte in modo autonomo, in parte sotto il controllo della volontà. Nel sistema nervoso esistono dei centri respiratori, situati nel midollo allungato, ai quali arrivano segnali captati da particolari recettori, i chemocettori. Essi misurano la concentrazione dell’ossigeno, dell’anidride carbonica e il ph nel sangue. In caso di diminuzione del ph o della pressione dell’ossigeno o di aumento di quella dell’anidride carbonica, la frequenza respiratoria aumenta. L’arresto degli atti respiratori prende il nome di apnea e può essere mantenuto volontariamente al massimo per qualche minuto. Esistono alcuni tipi di atti respiratori atipici. La tosse: una inspirazione seguita da una espirazione forzata iniziata a glottide chiusa. Essa porta ad un violento movimento verso l’esterno dell’aria presente nelle vie aeree, che facilita l’espulsione di catarro e corpi estranei. Lo sbadiglio è una profonda inspirazione che si verifica per stimoli che hanno origine nel sistema nervoso centrale. Apparato circolatorio Tutte le cellule degli organismi pluricellulari sono immerse in un liquido, detto liquido interstiziale. Negli organismi più complessi il compito di rifornire il liquido interstiziale di nutrienti provenienti dall’esterno, di rimuovere i prodotti di scarto, contribuendo a mantenere la sua composizione costante, è svolto dal sistema circolatorio. Nel corso dell’evoluzione questo apparato ha acquisito una complessità crescente. Partendo dai sistemi circolatori aperti degli Antropodi e di molti Molluschi, in cui non esiste separazione tra liquido interstiziale e liquido circolante (sistema circolatorio aperto). Anellidi, Cefalopodi ed Echinodermi hanno dei sistemi circolatori chiusi. A partire dai vertebrati il sistema circolatorio presenta un cuore. Nei pesci esiste un unico sistema di vasi. Negli anfibi compare un doppio circuito (circolazione polmonare e circolazione sistemica) ma non esiste una netta separazione tra sangue venoso e arterioso in quanto il cuore presenta due atri e un solo ventricolo. Nei coccodrilli, negli Uccelli e nei Mammiferi il cuore presenta due atrii e due ventricoli, quindi si ha la netta separazione tra sangue venoso e sangue arterioso. In questi organismi la circolazione viene detta doppia e completa, per cui il sangue passa due volte dal cuore facendo il giro completo del corpo. Ciò consente una elevata efficienza del trasporto di ossigeno e nutrienti e anche di mantenere una temperatura corporea maggiore di quella esterna. Nell’organismo umano le principali funzioni dell’apparato circolatorio sono: Trasportare l’ossigeno dai polmoni a tutti i tessuti Trasportare i nutrienti dall’apparato digerente a tutti i tessuti Trasportare i prodotti di rifiuto dai tessuti agli organi deputati alla loro escrezione (reni, e in misura minore polmoni e intestino) Contribuire al mantenimento dell’equilibrio idrico Contribuire al mantenimento della costanza del ph del liquido interstiziale Mantenere costante la temperatura corporea Difendere l’organismo dall’azione di microorganismi patogeni L’apparato circolatorio comprende: il sangue (tessuto connettivo liquido composto da cellule (globuli rossi e bianchi), frammenti di cellule (piastrine) e una parte liquida (plasma); i vasi sanguigni attraverso i quali il sangue scorre, un organo deputato a pompare il sangue, il cuore. Il sangue è l’unico tessuto liquido dell’organismo. Comprende circa l’otto per cento del peso corporeo. Per il 55% è formato dal plasma e per il 45% è formato dalla parte corpuscolata. I vasi sanguigni comprendono le arterie, i capillari e le vene. Le arterie sono l’insieme di vasi che partendo dal cuore portano il sangue ai diversi tessuti. La loro parete è costituita da 3 strati: quello interno, tonaca intima, è costituito da un epitelio, detto endotelio. Quello intermedio, formato da cellule muscolari lisce, è detto tonaca media, quello esterno è costituito da tessuto connettivo ricco di fibre elastiche ed è detto tonaca esterna. Dal VENTRICOLO SINISTRO del cuore parte l’aorta, che attraverso le sue diramazioni porta il sangue a tutti i tessuti. DAL VENTRICOLO DESTRO del cuore origina l’arteria polmonare. Il sangue scorre dai ventricoli verso le arterie per la presenza di valvole dette semilunari. Tra ventricolo sinistro e aorta si trova la valvola aortica. Tra ventricolo destro e arteria polmonare si trova la valvola polmonare. Man mano che si allontanano dal cuore le arterie si ramificano, diminuendo di diametro, e quando penetrano in un organo prendono il nome di arteriole. La muscolatura liscia delle arteriole può contrarsi o dilatarsi, aumentando o diminuendo il diametro. Questo permette di regolare la pressione sanguigna e la quantità di sangue che arriva agli organi. Questi meccanismi sono regolati dal sistema nervoso autonomo e dagli ormoni. Aumenti della gittata cardiaca aumentano il flusso e quindi la pressione. Diminuzioni della gittata cardiaca ne causano una diminuzione. Volume di sangue in circolo. Per esempio una riduzione del volume del sangue in seguito ad una emorragia determina una diminuzione della pressione. Un aumento del volume del sangue dovuto ad esempio alla ritenzione idrica comporta un aumento della pressione. Viscosità del sangue, che tuttavia rimane solitamente costante Vasocostrizione delle arteriole, che aumenta la pressione. Esso può essere dato da un aumento della temperatura La pressione arteriosa aumenta durante la sistole e diminuisce durante la diastole. Viene normalmente misurata a livello del braccio, con lo sfigmomanometro. Oscilla tra i 120 millimetri di mercurio (pressione sistolica) e i 70 millimetri mercurio della pressione diastolica. La pressione sanguigna è maggiore nelle grandi arterie e diminuisce allontanandosi dal cuore. Il maggior calo di pressione si osserva a livello delle arteriole e dei capillari. Nelle vene la pressione è molto bassa. La pressione sanguigna è regolata a livello nervoso e ormonale. Quando si verifica un cambiamento della pressione vengono stimolati i barocettori situati nella parete di alcune arterie. Queste inviano le informazioni a livello dei centri cardiaci e vasomotori del midollo allungato. Se la pressione diminuisce questi centri causano una vasocostrizione, un aumento della frequenza cardiaca e della forza di contrazione del cuore. Quindi la pressione aumenta. In caso contrario si ha una diminuzione della frequenza cardiaca e una vasodilatazione. La regolazione ormonale della pressione ha origine a livello renale. Un abbassamento della pressione nelle arterie renali stimola i reni a secernere un enzima, la renina, che attiva la via della renina-angiotensina- aldosterone, la quale porta alla vasocostrizione e alla ritenzione idrica (aumento volume del sangue). In condizioni di stress, la produzione di adrenalina causa vasocostrizione a aumento della forza di contrazione cardiaca. Scambi a livello dei capillari Solo sostanze a basso peso molecolare possono attraversare la parete dei capillari. E’ il caso dei gas (ossigeno, anidride carbonica), ioni, glucosio, amminoacidi, e altri piccoli composti organici. Nel capillare la pressione osmotica è sempre costante. La pressione idrostatica invece aumenta nell’estremità arteriosa e diminuisce nell’estremità venosa. Quindi a livello dell’estremità arteriosa l’acqua esce dal capillare, mentre a livello dell’estremità venosa l’acqua entra, perché prevale la pressione osmotica. Alterazioni nei fattori che condizionano il passaggio dell’acqua attraverso la parete dei capillari possono portare alla diminuzione del liquido interstiziale (disidratazione) oppure al suo aumento (edema). L’ossigeno è una molecola apolare, pochissimo solubile in acqua. Gli animali posseggono particolari proteine capaci di legarsi reversibilmente all’ossigeno. I principali pigmenti respiratori nell’uomo sono l’emoglobina o la mioglobina. Entrambe contengono il gruppo eme, al centro del quale è presente uno ione ferro, responsabile del legame con l’ossigeno. La molecola dell’emoglobina è formata da 4 catene polipeptidiche, per un totale di 4 gruppi eme. La molecola di mioglobina è formata da una sola catena polipeptidica quindi può legarsi ad una molecola di ossigeno. Una alta pressione parziale di ossigeno porta alla formazione dell’ossiemoglobina. Questo avviene a livello dei capillari polmonari. Una bassa pressione di ossigeno porta alla liberazione di ossigeno, con ritorno alla forma desossiemoglobina, questo avviene nei capillari dei tessuti. L’affinità dell’emoglobina all’ossigeno è influenzata dal ph. Un suo abbassamento fa diminuire l’affinità, quindi fa cedere più ossigeno. Questo si verifica nei tessuti dove l’elevata concentrazione di anidride carbonica forma l’acido carbonico. L’inverso avviene nei polmoni, dove l’anidride carbonica viene liberata e il ph risale. Il gruppo eme dell’emoglobina oltre all’ossigeno è in grado di legare anche altri composti, con affinità persino maggiore. Questi sono il monossido di carbonio, che si forma in seguito ad incompleta combustione di composti del carbonio. La carbossiemoglobina che si forma in seguito alla combinazione con il monossido di carbonio non è più in grado di legare l’ossigeno. Nell’avvelenamento da monossidi di carbonio i tessuti non vengono più riforniti di ossigeno. Anche il cianuro si può legare, rendendo impossibile il trasporto dell’ossigeno. Trasporto dell’anidride carbonica: Il 7-10% è disciolto nel plasma. Il 20% entra nei globuli rossi e si lega all’emoglobina, ma in un punto diverso rispetto all’ossigeno. Il resto (70%) viene trasportato sotto forma di ione bicarbonato. Infatti la co2 reagisce con l’acqua formando acido carbonico. Esso si dissocia formando ione bicarbonato e protoni. Nei tessuti, dove la pressione parziale di anidride carbonica è elevata, questa serie di reazioni avviene verso destra. A livello dei polmoni, dove la pressione parziale di anidride carbonica è bassa, la serie di reazioni è spostata verso sinistra. Sistema linfatico Oltre al sistema circolatorio sanguigno, i mammiferi possiedono un sistema circolatorio aggiuntivo, il sistema linfatico. Esso svolge tre funzioni: Raccoglie il fluido interstiziale in eccesso e lo convoglia al sangue Trasporta i prodotti della digestione dei lipidi dall’intestino al sangue Partecipa alla difesa dell’organismo attraverso i meccanismi immunitari Il sistema linfatico è costituito da una rete di vasi linfatici, che trasportano la linfa, dai nodi linfatici e dagli organi linfatici. I noduli linfatici sono formati da tessuto connettivo contenente linfociti. Sono inseriti, senza un netto confine, nel tessuto connettivo al di sotto dell’epitelio di rivestimento delle mucose degli apparati respiratorio, digerente, urinario e riproduttivo. I grossi noduli che si trovano nella faringe prendono il nome di tonsille e di adenoidi (protezione dai batteri entrati con bocca e naso). Inoltre il sistema linfatico comprende gli organi linfoidi, rappresentati dai linfonodi, dalla milza e dal timo. I vasi linfatici iniziano con una fitta rete di capillari, presenti in tutti i tessuti, che confluiscono in vasi sempre maggiori dando origine ai due dotti: il dotto linfatico destro, che raccoglie la linfa proveniente dal quarto superiore destro del corpo, e il dotto toracico, che raccoglie la linfa proveniente dal resto dell’organismo. I capillari linfatici raccolgono il liquido interstiziale dai vari tessuti, permettendo il passaggio anche di virus o batteri eventualmente penetrati nei tessuti. Questo liquido prende il nome di linfa. La linfa viene filtrata dai linfonodi, che trattengono i corpuscoli di grosse dimensioni, compresi virus e batteri, contro i quali vengono attivati i meccanismi di difesa immunitaria. Coagulazione del sangue Meccanismi che tendono a bloccare o a ridurre la fuoriuscita di sangue in caso di lesioni alla parete di un vaso sanguigno (emorragia). Il processo che consente l’arresto di una emorragia prende il nome di emostasi. Appena un vaso sanguigno viene leso, si contrae, per ridurre il flusso sanguigno. Le piastrine aderiscono alle fibre di collagene lasciate scoperte dalla rottura dell’endotelio del vaso e liberano sostanze che attraggono altre piastrine, formando un tappo (coagulo temporaneo). Contemporaneamente ha inizio una cascata di reazioni chimiche che porteranno alla formazione del coagulo permanente, e che prendono il nome di coagulazione del sangue. Essa coinvolge numerose proteine chiamate fattori di coagulazione. Nella maggior parte dei casi sono enzimi presenti nel plasma in forma inattiva e vengono attivati a cascata. Ci sono alcune reazioni iniziali finchè la prototrombina (prodotto dal fegato), in presenza di ioni calcio, viene trasformata in trombina. Essa trasforma il fibrinogeno (prodotto dal fegato) in fibrina. La fibrina è in grado di polimerizzare formando rapidamente una rete che intrappola globuli rossi e piastrine, formando un coagulo che arresta la fuoriuscita di sangue. In condizioni normali il sangue non coagula all’interno dei vasi sanguigni. Tuttavia in condizioni patologiche, si possono verificare lesioni che innescano l’aggregazione di piastrine (trombosi). Questo si verifica nel caso della presenza di lesioni aterosclerotiche con depositi di lipidi e soprattutto colesterolo nella tonaca intima delle arterie. Il trombo porta ad una riduzione del lume vasale e quindi una diminuzione del flusso sanguigno. Se il vaso colpito è un’arteria si ha un insufficiente apporto di sangue e di ossigeno agli organi interessati (ischemia, ipossia). Il trombo può anche portare alla completa occlusione di una arteria. Le cellule private di ossigeno e di nutrienti vanno incontro a morte e si verifica un infarto. Apparato urinario Svolge due funzioni fondamentali per il funzionamento dell’organismo umano: Provvede all’escrezione della maggior parte dei prodotti di scarto derivanti dal metabolismo cellulare, in particolare i rifiuti azotati; Interviene nel mantenimento dell’equilibrio idrico-salino Inoltre il rene svolge anche la funzione di ghiandola endocrina: produce la renina, che regola la pressione sanguigna, l’eritropoietina, che stimola la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo ed è prodotta dal rene in risposta ad una riduzione della pressione parziale dell’ossigeno nel sangue, nel rene si forma la vitamina D (1, 25-diidrossicolecalciferolo). La sua formazione nel rene è stimolata dal paratormone. La vitamina D stimola l’assorbimento di calcio. L’apparato urinario dei mammiferi è composto dai reni e dalle vie urinarie (ureteri, vescica, uretra). I due reni, destro e sinistro, sono due organi che hanno la forma di fagiolo, posizionati ai lati della colonna vertebrale, nella parte posteriore della cavità addominale, dietro il peritoneo. Il rene destro si trova sotto il fegato il sinistro dietro la milza. Pesano 110 130 grammi e sono lunghi circa 12 centimetri. Il loro compito principale è produrre l’urina. Ciascun rene è rivestito da una capsula di tessuto connettivo: al di sotto di questa la parte più esterna costituisce la corteccia renale e quelle più interna la midollare (medulla). Nella medulla si hanno una serie di strutture a forma di cono, dette piramidi renali, che hanno una punta chiamata papilla renale con aperture verso i tubuli collettori. Le papille risultano incluse in una struttura detta pelvi renale che restringendosi da origine all’uretere. Ciascun rene è costituito da più di un milione di unità funzionali chiamate nefroni costituiti da: -una rete di capillari, chiamata glomerulo; -capsula di Bowman; -tubulo renale I capillari sanguigni che costituiscono il glomerulo renale derivano dall’arteriola afferente. A loro volta i capillari confluiscono tra loro dando origine ad una arteriola efferente. Questa arteriola dà origine ai capillari peritubulari. A partire dalla capsula di Bowman si origina il tubulo renale. Esso è costituito dal tubulo contorto prossimale (corteccia), ansa di Henle (scende verso la medulla e poi torna nella corteccia, ha una forma a U), il tubulo contorto distale, situato nella corteccia, e il dotto collettore che riscende nella medulla e sbocca nella papilla di una piramide. dell’eiaculazione gli spermatozoi lasciano gli epididimi e percorrono due tubuli, i dotti spermatici, che dallo scroto risalgono la cavità pelvica, aggirano la vescica, e si continuano con i dotti eiaculatori. Questi attraversano la prostata e sboccano nell’uretra. Essa nell’uomo può portare all’esterno urina o sperma. Alla formazione dello sperma contribuiscono numerose ghiandole: le vescichette seminali secernono fruttosio e prostaglandine, che gli spermatozoi possono utilizzare come combustibile per il movimento nelle vie femminili. Il secreto della prostata è alcalino e serve per neutralizzare l’acidità vaginale. Inoltre le ghiandole bulbouretrali producono muco lubrificante. Il pene è l’organo erettile che consente la deposizione degli spermatozoi all’interno delle vie genitali femminili. Esso termina con una parte espansa, detta glande, ricoperta da una porzione di epidermide, il prepuzio. Al momento dell’eccitazione sessuale, i neuroni del sistema nervoso autonomo secernono ossido d’azoto, che causa il rilassamento della muscolatura delle arterie del pene. Quindi la quantità di sangue aumenta e di conseguenza aumenta anche il volume del pene e si ha la sua erezione. Lo sviluppo e l’attività degli organi sessuali maschili sono sotto il controllo di diversi ormoni. All’inizio della pubertà l’ipotalamo del maschio inizia a produrre un ormone, il fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH), esso stimola il lobo anteriore dell’ipofisi a produrre gli ormoni gonadotropi: l’ormone follicolo stimolante (FSH) e l’ormone luteinizzante (LH). L’FSH stimola lo sviluppo dei tubuli seminiferi e stimola le cellule di Sertoli a produrre una serie di molecole necessarie per la spermatogenesi. L’LH stimola invece le cellule di Leydig a produrre il testosterone. Il testosterone è necessario affinchè si svolga la spermatogenesi e determina la comparsa dei caratteri sessuali secondari. La produzione di ormoni sessuali è controllata attraverso meccanismi di feedback negativo. Elevati livelli di testosterone riducono il rilascio di GnRH da parte dell’ipotalamo, che a sua volta determina una riduzione della produzione di gonadotropine da parte dell’ipofisi. Il testosterone inoltre riduce il rilascio di LH da parte dell’ipofisi. Infine elevati livelli di FSH stimolano la produzione di inibina da parte delle cellule di Sertoli e quindi la sintesi dell’ormone FSH viene inibita. Apparato genitale femminile L’apparato genitale femminile comprende: - Le ovaie, poste nella cavità pelvica, che producono i gameti femminili, le cellule uovo, e svolgono la funzione di ghiandole endocrine - Le tube uterine, canali che conducono all’utero - L’utero, un organo all’interno del quale avviene la crescita dell’embrione e del feto in caso di fecondazione - La vagina, che accoglie il pene al momento dell’atto sessuale ed è percorsa dal feto al momento del parto. Le ovaia sono due organi dalla forma e dimensioni di una mandorla, situati ai lati della cavità pelvica e rivestiti dal peritoneo. Sono rivestite da tessuto connettivo. Il processo di maturazione prende il nome di oogenesi e a differenza della spermatogenesi avviene in modo discontinuo. Nell’embrione di sesso femminile si ha da prima la divisione per mitosi degli oogoni diploidi, e in seguito la loro trasformazione in oociti di primo ordine (diploidi). Il loro numero è già definito al momento della nascita. Gli ovociti vengono circondati da un guscio di cellule follicolari e l’insieme di ovocita più cellule follicolari forma un follicolo primario. Prima della nascita gli ovociti primari entrano nella profase e si bloccano in profase. Essi rimangono in questa condizione sino all’inizio della pubertà. Con l’inizio della pubertà e fino all’instaurarsi della menopausa si svolge ciclicamente una serie di eventi della durata di 28 giorni: - Completamento dell’ovogenesi a carico di un ovocito, il cui follicolo va incontro ad un processo di maturazione e che culmina con la liberazione di una cellula uovo - Una serie di modificazioni a carico dell’utero che si prepara ad accogliere lo zigote in caso di fecondazione e che lo riporta allo stadio iniziale qualora la fecondazione non avvenga. FASE FOLLICOLARE: Lo stimolo all’inizio del ciclo ovarico ha origine dall’ipotalamo. Durante i primi cinque giorni del ciclo esso produce il fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH) che stimola l’ipofisi a produrre FSH e LH. L’FSH stimola alcuni follicoli primari ad iniziare la maturazione: le cellule follicolari si moltiplicano e producono estrogeni, in particolare estradiolo. La moltiplicazione delle cellule follicolari dà origine alle cellule della granulosa, mentre le cellule connettivali si differenziano formano le cellule della teca. Invece lo strato di cellule più vicino all’ovocita prende il nome di corona radiata. Dopo la prima settimana normalmente un solo follicolo continua il proprio sviluppo e le cellule della granulosa iniziano a essere sensibili all’LH. Gli estrogeni sono prodotti ma in contrazione bassa, quindi viene mantenuta la secrezione di FSH e LH. L’ovocita risulta separato dalle cellule della corona radiata da una membrana formata da glicoproteine chiamata zona pellucida. Ovocita e corona radiata formano il cumulo ooforo. Il follicolo che ha continuato lo sviluppo e che è maturo prende il nome di follicolo di Graaf Nella fase ovulatoria il livello degli estrogeni nel sangue aumenta e raggiunge un picco prima dell’ovulazione. L’alto livello di questi ormoni stimola la produzione di LH (picco di LH). Quest’ormone stimola la maturazione finale del follicolo e l’ovulazione. Appena prima dell’ovulazione l’ovocito di primo ordine completa la prima divisione meiotica dando origine ad un ovocito di secondo ordine e un globulo polare. L’ovocito di secondo ordine inizia la seconda divisione meiotica e si arresta alla metafase. Man mano che si sviluppa il follicolo aumenta di dimensioni e preme sulla parete dell’ovaio. Sotto lo stimolo dell’LH il follicolo si rompe e la cellula uova, sotto forma di oocita secondario in metafase, viene liberato nell’ovidotto. Solo se avviene la fecondazione l’ovocita secondario completa la meiosi, dando origine ad una cellula aploide che si unirà con lo spermatozoo. FASE LUTEINICA (14- 28) Subito dopo l’ovulazione l’LH stimola la trasformazione del follicolo in corpo luteo. Il corpo luteo produce progesterone e in misura minore estrogeni. Gli alti livelli ematici di progesterone ed estrogeni inibiscono il rilascio di GnRH e la secrezione di FSH e LH. Dopo otto giorni dall’ovulazione, se non è intervenuta la fecondazione, l’abbassamento dell’LH induce l’inizio della degenerazione del corpo luteo (corpus albicans), che cessa completamente la produzione di ormoni dopo 14 giorni dall’ovulazione. Ovidotti: Gli ovidotti, o tube uterine, o tube di Falloppio, sono due condotti a forma di imbuto molto allungato che collegano le ovaie all’utero. La fecondazione avviene all’interno dell’ovidotto. Utero: organo muscolare cavo, dalle dimensioni di un pugno, situato nella parte centrale della cavità pelvica e rivestito dal peritoneo. Esso possiede una spessa parete muscolare liscia, detta miometrio, e più internamente un epitelio ricco di ghiandole, detto endometrio. La porzione inferiore dell’utero, più stretta, costituisce il collo dell’utero, che sporge leggermente sulla vagina. L’ovaio regola il ciclo mestruale che consiste in una serie di eventi con una cadenza media di 28 giorni che preparano l’apparato riproduttivo ad una eventuale gravidanza. Le prime due settimane comprendono la fase pre-ovulatoria, detta follicolare. Si considera come primo giorno del ciclo quello in cui iniziano le mestruazioni, in cui si ha l’espulsione di sangue e tessuto endometriale. L’ovulazione avviene circa il quattordicesimo giorno del ciclo, a essa fa seguito la fase post-ovulatoria (luteinica). Durante la fase pre ovulatoria, sotto l’effetto degli estrogeni, le cellule dell’endometrio proliferano, le ghiandole dell’endometrio si approfondiscono e si sviluppano nuove arteriole (fase proliferativa). Nel collo dell’utero inoltre si produce più muco. Subito dopo l’ovulazione per effetto combinato degli estrogeni e del progesterone l’endometrio raggiunge il suo massimo spessore e le sue ghiandole secernono sostanze nutritive: l’utero è pronto ad accogliere l’uovo fecondato. Se la fecondazione non avviene il calo di progesterone e di estrogeni finisce col causare l’occlusione delle arteriole dell’endometrio che quindi si sfalda dando origine alle mestruazioni. La fecondazione avviene a livello dell’ovidotto. Molti spermatozoi circondano la cellula uovo ma uno solo, grazie agli enzimi presenti nell’acrosoma, penetra nella cellula uovo (la testa penetra, il collo e il flagello rimangono all’esterno e degenerano). La penetrazione dello spermatozoo scatena la reazione corticale: impedisce la penetrazione di altri spermatozoi, stimola la cellula uovo a completare la meiosi. A questo punto i due nuclei sono pronti a fondersi, formando lo zigote. Esso si sviluppa dividendosi rapidamente, dando origine a delle cellule chiamate blastomeri. Dopo alcuni cicli di divisione diventa grande quanto una mora ed è chiamato morula. La morula penetra nell’utero. Dalla morula si ha il successivo stadio embrionale, chiamato blastocisti, in cui una parte centrale, nodo embrionale, è circondata dal trofoblasto. Durante l’annidamento il trofoblasto si trasforma in corion, dal quale si sviluppano delle estroflessioni, dette villi coriali. Il corion secerne la gonadotropina corionica, che sostituisce l’LH nel mantenere attivo il corpo luteo. In questo caso il corpo luteo continua a produrre estrogeni e progesterone, necessari per la prosecuzione della gravidanza. Il corion dà anche origine alla parte embrionale della placenta. La placenta è l’organo deputato agli scambi tra la madre e il feto e svolge anche una funzione endocrina. Infatti dopo circa 3 settimane il corpo luteo degenera e la funzione viene svolta dalla placenta. Gli estrogeni stimolano lo sviluppo del miometrio le cui contrazioni saranno necessarie per l’espulsione del feto. La gravidanza richiede in media 38 settimane, circa 9 mesi. Gli elevati livelli di estrogeni che caratterizzano la parte finale della gravidanza non solo causano l’aumento della muscolatura dell’utero ma stimolano la produzione di recettori per l’ossitocina (lobo posteriore dell’ipofisi). La dilatazione dell’utero, l’effetto dell’ossitocina e delle elevate quantità di estrogeni stimolano l’instaurarsi di contrazioni della muscolatura uterina che causano la dilatazione del collo dell’utero, che si dilata gradualmente sino a circa 10 centimetri. A questo stadio l’amnios si rompe e si verifica la rottura del liquido amniotico. Le contrazioni dell’utero sempre più intense e frequenti permettono la fuoriuscita del feto, unite alle contrazioni addominali volontarie. Questo è ancora collegato alla placenta attraverso il cordone ombelicale. Quando la maggior parte del sangue fetale è defluito dalla placenta il cordone ombelicale viene reciso. Nel giro di pochi minuti dalla nascita del feto la placenta e le membrane fetali vengono espulse. Le mammelle sono due ghiandole formate da 15-20 lobi dai quali partono dei dotti che confluiscono nel capezzolo. Le ghiandole mammarie iniziano a svilupparsi alla pubertà e durante la gravidanza, sotto lo stimolo di estrogeni e progesterone, si sviluppano ulteriormente. Dopo il parto l’ormone prolattina, secreto nel lobo anteriore dell’ipofisi, stimola la secrezione della ghiandola mammaria. Il secreto iniziale, ricco di proteine e di lattosio e povero di grassi, è detto colostro. La suzione stimola la liberazione di ossitocina. Questo ormone favorisce la fuoriuscita del latte e agisce sulla muscolatura dell’utero favorendo il rispristino dell’utero stesso. Il sistema nervoso In tutti gli animali la capacità di ricevere ed elaborare stimoli, sia interni che esterni all’organismo, e di generare risposte mirate alla sopravvivenza dell’organismo, dipende da una rete di cellule specializzate, capaci di trasmettere impulsi elettrici: i neuroni. Mentre negli animali meno evoluti il sistema nervoso si presenta disperso con gangli posti in punti diversi dell’organismo, nei VERTEBRATI compare una netta distinzione tra primi due si trovano a livello degli emisferi cerebrali). L’epitalamo è la sede in cui il liquido cefalorachidiano viene prodotto. E’ collegato alla ghiandola pineale. I due talami costituiscono una tappa importantissima nella trasmissione degli impulsi dal midollo spinale al cervello. Nel talamo gli stimoli vengono filtrati e modificati prima di essere trasmessi alla corteccia sensoriale. Alcuni nuclei sono deputati al controllo del movimento, grazie alla comunicazione con la corteccia premotoria e con il cervelletto. Il talamo inoltre fa parte del sistema limbico. L’ipotalamo svolge un ruolo centrale nella regolazione dell’omeostasi in quanto collega il sistema nervoso con il sistema endocrino. Infatti i neuroni di diversi nuclei dell’ipotalamo producono ormoni che grazie ai loro assoni sono trasportati all’ipofisi, dove vengono rilasciati per essere immessi in circolo (ADH e ossitocina) o dove regolano il rilascio degli ormoni ipofisari. Nuclei dell’ipotalamo controllano anche il funzionamento del sistema nervoso autonomo, inviando segnali nervosi ai nuclei del tronco encefalico proposti alla regolazione delle funzioni cardiovascolari respiratorie e digestive. Il mesencefalo contiene nuclei di neuroni che elaborano informazioni visive ed uditive e generano riflessi connessi a questi stimoli, neuroni che insieme al cervelletto regolano la postura, è percorso da fibre coinvolte nella trasmissione degli impulsi volontari alla corteccia motoria primaria. Il ponte contiene i nuclei motori e sensoriali di quattro nervi cranici, nuclei coinvolti nella respirazione e nuclei che elaborano e trasmettono impulsi motori. È attraversato da fasi di fibre ascendenti e discendenti che collegano tra loro gli emisferi del cervelletto. Il cervelletto è posto dietro e sotto il cervello. Comprende due emisferi separati da una sottile striscia di corteccia detta verme. Ha due funzioni principali: il controllo dei muscoli posturali del corpo, attraverso rapide correzioni del loro tono per il mantenimento dell’equilibrio, sulla base di informazioni propriocettive che arrivano dal midollo e informazioni propriocettive, tattili e uditive da altre regioni dell’encefalo. Inoltre partecipa alla regolazione dei movimenti volontari e involontari, attraverso la modulazione dell’attività della corteccia e dei centri motori del tronco encefalico. Il mielencefalo o midollo allungato o bulbo connette il midollo spinale con l’encefalo ed è percorso da fibre ascendenti e discendenti. Le fibre in questo livello passano dal lato destro al lato sinistro e viceversa, per cui gli stimoli provenienti dalla parte destra del corpo vengono trasmessi alla parte sinistra e viceversa. Nel midollo allungato sono presenti: - stazioni intermedie nella trasmissione e nell’elaborazione di stimoli sensoriali e motori, - nuclei motori e sensoriali dei nervi cranici, - centri cardiaci, - centri vasomotori, - centri respiratori. Sistema nervoso periferico: Comprende i recettori sensoriali, i nervi che li collegano al sistema nervoso centrale e i nervi che collegano il sistema nervoso centrale agli organi effettori, i muscoli e le ghiandole. Nei nervi si trovano quasi sempre sia assoni afferenti sia assoni efferenti. A seconda della loro origine i nervi si dividono in cranici e spinali. I nervi cranici originano in coppie direttamente dal tronco encefalico. A differenze dei nervi spinali le fibre che costituiscono alcuni di questi nervi non vanno incontro all’incrocio tra parte destra e parte sinistra per cui, a differenza dei nervi spinali, le zone da essi innervate sono controllate dalla parte omolaterale dell’encefalo. Essi includono la visione, i muscoli degli occhi, la bocca, il gusto, l’udito, il collo, le spalle e la lingua. I nervi spinali originano in coppie dal midollo spinale (31 paia) e sono distinti in base alla colonna vertebrale da cui hanno origine in cervicali, toracici, lombari, sacrali, coccigei. Ogni nervo spinale presenta una radice dorsale e una radice ventrale. La radice dorsale è formata da fibre sensoriali afferenti che portano stimoli provenienti dai diversi recettori periferici. Gli assoni dei neuroni sensoriali formano quindi la radice dorsali, e i loro corpi cellulari formano un rigonfiamento che prende il nome di ganglio spinale. Quindi questi neuroni ricevono segnali dalla periferia e li inviano al midollo. Le radici ventrali invece sono formate da neuroni efferenti che raggiungono i muscoli o i gangli del sistema nervoso autonomo. Ciascun nervo spinale si divide in tre rami: un ramo dorsale, contenente fibre del sistema somatico provenienti dall’epidermide e dai muscoli della schiena, o destinate ad essi; un ramo ventrale contenente prevalentemente fibre del sistema somatico provenienti dall’epidermide e dai muscoli delle parti laterali e ventrali, o destinate ad essi; un ramo autonomo, contenente fibre appartenenti al sistema nervoso autonomo. I rami autonomi, nei quali decorrono fibre provenienti da neuroni del sistema nervoso centrale, terminano in una coppia di catena di gangli che trasmettono gli impulsi dal sistema nervoso centrale agli effettori. Sistema nervoso somatico o volontario: Controlla tutti i muscolari volontari all’interno del corpo e il processo degli archi riflessi volontari. In generale trasporta le informazioni relative ai movimenti e ai sensi dal sistema nervoso centrale al resto del corpo e viceversa. Comprende: Le fibre nervose periferiche che portano le informazioni sensoriali, provenienti dalla pelle e dagli organi di senso, al sistema nervoso centrale Fibre nervose motorie che dal sistema nervoso centrale viaggiano verso i muscoli scheletrici. I neuroni sensitivi (o afferenti) portano le informazioni dai nervi al sistema nervoso centrale. Solitamente l’informazione comprende tre neuroni: il neurone sensitivo dei gangli spinali (primo ordine), un neurone delle corna posteriori del midollo spinale o che si trova nel midollo allungato (secondo ordine) e un terzo neurone situato nel talamo. Le sensazioni generate dalla parte destra del corpo, ad eccezione di quelle raccolte dai nervi cranici, vengono trasmesse all’emisfero sinistro del cervello e viceversa. Nel caso delle vie motrici, efferenti, il primo neurone si trova nella corteccia cerebrale. Il secondo neurone si trova nel mesencefalo/nel midollo allungato nel caso dei nervi cranici, o nelle corna anteriori del midollo spinale nel caso del midollo spinale. Le principali vie motrici che portano gli impulsi nervosi dalla corteccia cerebrale ai muscoli volontari sono rappresentate dalle vie piramidali, che corrono nelle piramidi del midollo allungato. Quindi dall’area motoria primaria l’informazione passa per il mesencefalo, attraversa il midollo allungato e arriva a livello delle corna anteriori del midollo spinale. Il controllo dei movimenti volontari La corretta esecuzione dei movimenti volontari comporta diverse fasi richiede l’intervento di diverse parti del sistema nervoso, le cui funzioni si integrano a vicenda. - Il primo passaggio è l’intenzione di compiere un movimento. Questa tappa coinvolge il lobo frontale (area prefrontale associativa) e il sistema limbico - Deve essere sviluppato un programma di comandi motori da inviare ai muscoli direttamente coinvolti nel movimento. Entrano in gioco la corteccia premotoria, la corteccia motoria e la corteccia primaria somatosensoriale - Gli impulsi devono essere inviati ai muscoli. Essi vengono generati dai neuroni della corteccia motoria, viaggiano lungo le vie discendenti piramidali, e arrivano nei neuroni motori del midollo allungato o del midollo spinale. Dai neuroni motori partono gli impulsi che lungo i nervi cranici o spinali raggiungono i muscoli - Devono essere raccolte informazioni sul modo in cui il movimento viene eseguito. Ciò avviene attraverso i propriocettori situati nei muscoli e nelle articolazioni che le trasmettono ai neuroni sensitivi dei gangli spinali, i quali le inviano ai nuclei del tronco encefalico, del talamo e del cervelletto. Il cervelletto confronta i movimenti reali con quelli programmati e manda automaticamente stimoli che modulano la stimolazione dei neuroni motori in modo da assicurare la precisione del movimento. Interviene anche nella memorizzazione dei movimenti eseguiti. D’altra parte la corretta esecuzione di un movimento presuppone che accanto alla contrazione dei muscoli responsabili del movimento avvenga il rilassamento dei muscoli antagonisti, che diversi altri muscoli sinergisti si contraggano e che venga mantenuta la corretta postura del tronco e della testa. Questi processi coinvolgono i nuclei del tronco encefalico che inviano stimoli ai neuroni coinvolti attraverso le vie extrapiramidali. Il linguaggio Insieme dei simboli (lettera, parole e suoni) attraverso i quali codifichiamo e comunichiamo pensieri e idee. L’area di Wernicke, a cavallo tra i lobi temporale e parietale, è responsabile della comprensione del linguaggio. L’area di Broca è responsabile della produzione del linguaggio. Ciclo sonno-veglia Il sonno è un fenomeno caratteristico dei mammiferi, che consiste in una o più fasi di diminuita attività motoria e percettiva. Esso si accompagna a delle modificazioni dell’attività elettrica che sono rilevabili attraverso l’elettrocardiogramma. Si distinguono quindi due tipi di sonno: il sonno a onde lente, più profondo, e il sonno REM, nel quale sono presenti rapidi movimenti degli occhi, durante il quale è più frequente il risveglio spontaneo. Durante il sonno notturno i due tipi di sonno si alternano ma con il passare delle ore le fasi di sonno a onde lente diventano più brevi e meno profonde. Il mantenimento dello stato di veglia richiede l’intervento dei nuclei del tronco encefalico i cui impulsi facendo tappa nel talamo e nell’ipotalamo, raggiungono la corteccia. L’induzione del sonno a onde lente coinvolge il telencefalo, il sonno REM coinvolge il ponte. Emozioni Gli impulsi sensoriali giungono alle diverse aree della corteccia e da queste alle aree sensoriali associative. Da qui gli stimoli sono trasmessi al sistema limbico e all’ipotalamo dove sono elaborati e dai quali partono gli stimoli che da un lato ritornano alle aree associative, generando le emozioni, e dall’altro raggiungono i centri del tronco encefalico e dell’ipotalamo, causando risposte vegetative (cambiamenti ormonali e risposte motorie). Sistema nervoso autonomo Ha la funzione di assicurare la costanza dell’ambiente interno dell’organismo (omeostasi) attraverso meccanismi indipendenti dalla volontà. I recettori situati nei visceri trasmettono segnali al sistema nervoso centrale attraverso fibre afferenti che percorrono sia i nervi cranici che i nervi spinali. A livello del sistema nervoso centrale le informazioni sono integrate e trasmesse agli organi effettori: vasi sanguigni, muscolo cardiaco, ghiandole esocrine e ghiandole endocrine. Per quanto riguarda la porzione efferente del sistema nervoso autonomo, gli assoni dei neuroni posti nel tronco encefalico o nel midollo spinale (neuroni pre- gangliari) fuoriescono dal sistema centrale attraverso i nervi cranici o i nervi spinali e raggiungono i gangli del sistema nervoso autonomo, dove stabiliscono sinapsi con i neuroni gangliari. Da questi neuroni partono gli assoni post gangliari che raggiungono gli organi effettori. La porzione efferente del sistema nervoso autonomo viene suddivisa in due sistemi: simpatico (combatti o fuggi) e parasimpatico (condizioni di riposo), che hanno effetti opposti. Vari organi vengono innervati da entrambi i sistemi. Organo effettore Sistema simpatico Sistema parasimpatico Gusto Il gusto è la capacità di distinguere i sapori. Nei mammiferi i recettori sono i calici gustativi situati nella superficie della lingua, in strutture dette papille gustative, nel palato e in misura minore nella faringe. Ciascun calice gustativo è costituito da cellule epiteliali di sostegno che circondano il poro gustativo. Attraverso di esso sporgono le ciglia delle cellule gustative, che costituiscono la parte sensibile dei recettori. Le cellule gustative sono a stretto contatto con le terminazioni nervose che vengono eccitate quando le cellule gustative sono stimolate. I calici gustativi sono immersi nella saliva, in cui si sciolgono le sostanze di cui sentiamo il sapore. Queste sostanze vengono a contatto con i recettori delle ciglia, attivandoli. La depolarizzazione delle cellule gustative può essere trasmessa alle terminazioni nervose, generando un potenziale d’azione trasmesso all’encefalo mediante i nervi cranici. Si distinguono 5 tipi di gusto: dolce, amaro, salato, acido, glutammato. I recettori per i diversi tipi di sapore hanno una loro distribuzione, per esempio nella punta si trovano i recettori per il dolce. Il sapore di ciascun alimento è il risultato dell’attivazione di vari tipi di recettori, con il contributo di ulteriori stimoli come l’odore e la temperatura. Udito La capacità di percepire i suoni costituisce l’udito. L’organo deputato alla recezione delle onde sonore è l’orecchio, che comprende l’orecchio esterno, medio, interno. 1. L’orecchio esterno raccoglie i suoni e li convoglia verso l’orecchio medio. Esso è composto dal padiglione auricolare, la parte che comunemente chiamiamo orecchio, e dal meato acustico o condotto uditivo, lungo 2,5 cm, che convoglia le onde sonore contro la membrana timpanica che separa l’orecchio esterno dall’orecchio medio. Questa membrana – comunemente chiamata timpano – quando è sollecitata dalleonde sonore è in grado di vibrare e trasformare così il suono in un impulso meccanico. 2. L’orecchio medio è una piccola cavità contenente tre minuscoli ossicini disposti in sequenza: il martello, l’incudine e la staffa. La funzione dell’orecchio medio è di amplificare le vibrazioni registrate dal timpano. Tali vibrazioni vengono intensificate dalla catena di ossicini che appoggia sulla finestra ovale, una membrana che separa l’orecchio medio dall’orecchio interno. 3. L’orecchio interno, situato all’interno del cranio, contiene il labirinto, cioè l’organo dell’equilibrio, e la coclea, che rappresenta invece il vero e proprio organo dell’udito. La coclea è un lungo tubo avvolto a spirale che riceve le vibrazioni della staffa attraverso la finestra ovale. All’interno della coclea è situato l’organo del Corti che è formato dalle cellule recettrici che iniziano la trasmissione dell’impulso elettrico alle cellule del sistema nervoso collegate. L’organo dell’equilibrio, detto labirinto membranoso, è composto da due parti – il vestibolo e i canali semicircolari – che forniscono informazioni al cervello in merito alla posizione e ai movimenti della testa. Il vestibolo è composto da due sacchi membranosi, chiamati otricolo e sacculo, ed è responsabile del mantenimento dell’equilibrio statico (percepiscono la posizione della testa e del corpo in condizione di immobilità). I canali semicircolari sono tre, lunghi circa 12 mm ciascuno, e disposti perpendicolarmente uno all’altro come assi cartesiani. Essi sono responsabili del mantenimento dell’equilibrio dinamico, durante i movimenti angolari e rotatori della testa. La vista L’organo deputato alla percezione delle radiazioni luminose e quindi sede del senso della vista è l’occhio. L’uomo possiede una visione binoculare, cioè mette a fuoco un oggetto con entrambi gli occhi. La luce entra nell’occhio dalla cornea, la parte anteriore trasparente dell’occhio. All’interno della cornea si trova l’iride, che conferisce il colore agli occhi. L’iride contiene sottili muscoli che regolano la dimensione del foro dal quale entra la luce, la pupilla. Nel caso ci si trovi in un ambiente poco luminoso, la pupilla aumenta il proprio diametro per lasciar entrare nell’occhio la massima quantità di luce possibile. Al contrario se la luce è molto forte, la pupilla si restringe diminuendo la quantità di luce che entra. I raggi luminosi proseguono, attraversando il cristallino: la lente biconvessa, trasparente ed elastica che mette a fuoco l’immagine sulla parete opposta del globo oculare, dove si trova la retina. Questa è formata da un tappeto di circa 130 milioni di fotorecettori che trasformano lo stimolo luminoso in impulso elettrico. La retina contiene due tipi di cellule: – i bastoncelli, di forma allungata, sono i fotorecettori più abbondanti nell’occhio umano;sono più concentrati nella parte periferica della retina; – i coni, cellule di forma tozza, in numero 20 volte minore dei bastoncelli, sono più numerosi nella parte centrale della retina, detta fovea. A fianco della fovea è situata una zona nella quale convergono le fibre nervose della retina per formare il nervo ottico, che esce dal bulbo. Questa zona è priva di recettori ed è definita punto cieco. Per mettere a fuoco un’immagine, alcuni vertebrati, come i pesci, muovono il cristallino avanti o indietro. Nell’occhio umano, invece, il cristallino cambia forma, grazie alla contrazione dei muscoli che lo circondano. Questo movimento, detto accomodamento del cristallino, permette di focalizzare i raggi luminosi divergenti sulla retina. Il bulbo oculare è rivestito da una membrana biancastra rigida, la sclera. Essa offre l’attacco ai muscoli estrinseci dell’occhio. La sclera e la cornea costituiscono la tonaca esterna del bulbo oculare. Nella tonaca media sono presenti la coroide (a contatto con la sclera), il corpo ciliare, l’iride, il cristallino. La coroide è ricca di vasi sanguigni e di melanociti, che assicurano l’ambiente scuro all’interno dell’occhio. Il corpo ciliare è implicato nel mantenimento della posizione del cristallino e nel processo di accomodamento. L’iride oltre a contenere la pupilla, che regola la quantità di luce che entra nell’occhio, produce l’umor acqueo che è un liquido che con la sua pressione contribuisce al mantenere la forma dell’occhio e porta nutrimento alla cornea e al cristallino. L’umor acqueo si trova nella cavità anteriore dell’occhio, tra la cornea e l’iride. Lo spazio dietro al cristallino, che costituisce la cavità posteriore dell’occhio (tra iride e cristallino) è ripieno di umor vitreo. Nell’occhio miope l’immagine è messa a fuoco prima del piano della retina e appare quindi sfuocata. La miopia viene corretta con lenti concave, che provocano la divergenza dei raggi luminosi prima che entrino nell’occhio (quindi l’immagine si forma più indietro, sulla retina). L’ipermetropia è un difetto che al contrario impedisce di mettere a fuoco gli oggetti vicini. L’immagine in questo caso si forma dietro al piano della retina. Il soggetto ha bisogno di lenti convesse, che fanno convergere i raggi luminosi prima dell’ingresso nell’occhio e producono un’immagine nitida a una distanza inferiore (quindi sulla retina). Omeostasi e sistema endocrino Al mantenimento dell’omeostasi concorrono molti degli organi e dei tessuti dell’organismo, il loro intervento viene coordinato dall’azione congiunta del sistema nervoso e del sistema endocrino. L’ipotalamo permette la connessione tra il sistema nervoso e il sistema endocrino. L’ipotalamo agisce per mezzo dell’ipofisi, che a sua volta controlla gran parte del sistema endocrino. L’organismo permette ai parametri chimico-fisici di rimanere all’interno di un range fisiologico grazie a dei sistemi a feedback, quasi sempre negativi: la variazione di un parametro scatena una risposta che tende ad annullare la variazione stessa: quando il valore di un parametro aumenta, un sensore invia un segnale ad un centro nervoso effettore (es temperatura-ghiandole sudoripare). L’effettore agisce facendo diminuire il parametro, quando esso ritorna a valori normali il sensore lo segnala al centro nervoso che interrompe l’azione dell’effettore. Il sistema endocrino è costituito da diverse ghiandole endocrine che immettono i loro prodotti di secrezione, gli ormoni, nel sangue. Gli ormoni sono segnali chimici capaci di modificare l’attività di determinate cellule, indicate come cellule bersaglio. La cellula è bersaglio di un dato ormone se contiene dei recettori per quell’ormone. In seguito al legame ormone-recettore si innescano una serie di reazioni che modificano il funzionamento della cellula stessa. Accanto agli ormoni classici, trasportati dal sangue, sono stati identificati dei segnali chimici che agiscono su bersagli posti nelle vicinanze della cellula che li ha prodotti: fattori di crescita, citochine. Le caratteristiche chimico-fisiche degli ormoni, in particolare la loro solubilità in acqua o nei lipidi, sono importanti in quando condizionano: La modalità di trasporto dell’ormone nel sangue (quelli solubili possono essere trasportati in forma libera, quelli lipidici devono essere trasportati da proteine) La possibilità di attraversare la membrana, questo si può verificare solo per gli ormoni di natura lipidica che hanno gli ormoni nel citoplasma Gli ormoni dal punto di vista chimico possono essere raggruppati in 4 classi: Ormoni derivati dagli acidi grassi: es prostaglandine, sono scarsamente solubili in acqua Ormoni steroidei, il testosterone, gli estrogeni, il progesterone e gli ormoni prodotti dalla corteccia surrenale (aldosterone, cortisolo, cortisone). Questi ormoni attraversano la membrana Ormoni derivati dagli amminoacidi: appartengono a questa categoria l’adrenalina e la noradrenalina, che sono solubili in acqua e hanno i recettori nella membrana plasmatica (derivano dalla tirosina); gli ormoni della tiroide (triiodotironina e tiroxona), che invece non sono solubili in acqua perciò nel plasma sono trasportati da proteine (derivano dalla tirosina) e hanno i recettori nel citoplasma. Ormoni peptidici: il glucagone e l’insulina, l’ADH e l’ossitocina. Non sono in grado di attraversare la membrana plasmatica, i recettori sono quindi situati nella membrana La massima parte dell’attività endocrina è controllata dall’IPOTALAMO, che attraverso l’ipofisi, controlla il funzionamento di gran parte delle altre ghiandole endocrine. Il sistema è a feedback negativo per cui l’aumento degli ormoni prodotti dalle ghiandole inibisce il rilascio degli ormoni ipofisari e dei fattori di rilascio ipotalamici. L’IPOFISI si divide in ipofisi anteriore (adenoipofisi) e ipofisi posteriore (neuroipofisi). La neuroipofisi deriva dal tessuto cerebrale, secerne gli ormoni ADH e ossitocina prodotti dall’ipotalamo. Nella neuroipofisi giungono gli assoni dei nuclei ipotalamici. Gli assoni immettono gli ormoni nei capillari sanguigni, da cui sono trasportati al resto dell’organismo. L’ossitocina è secreta verso la fine della gravidanza, stimola le contrazioni dell’utero al momento del parto e dopo il parto stimola, per effetto stimolatorio della suzione, le contrazioni della muscolatura liscia attorno alle ghiandole mammarie, permettendo la fuoriuscita di latte. L’ADH viene secreto dai nuclei ipotalamici in risposta ad un aumento della pressione osmotica del sangue in seguito a disidratazione. Agisce sui tubuli renali permettendo un aumento del riassorbimento dell’acqua. L’adenoipofisi ha origine epiteliale. Essa è sotto il controllo dei fattori ormonali di rilascio e di inibizione prodotti dalle cellule neurosecretrici dell’ipotalamo. I fattori di rilascio e di inibizione sono proteine e la loro produzione è regolata da un sistema a feedback negativo. I principali ormoni di rilascio e inibizione sono: Ormone di rilascio dell’ormone della crescita (GHRH) Ormone di inibizione dell’ormone della crescita (somatostatina) Ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH) Ormone di rilascio della corticotropina (CRH) muscoli scheletrici, per il funzionamento dei nervi, per il sostegno della buona salute di ossa e denti. Inoltre ricopre una serie di funzioni intracellulari: è indispensabile per la secrezione di alcuni neurotrasmettitori, è un secondo messaggero, interviene nella trascrizione e nella modulazione dell’attività di alcuni enzimi. Il calcio presente nel sangue può derivare dall’assorbimento intestinale del calcio introdotto con la dieta e dalla mobilizzazione del calcio immagazzinato nelle ossa. L’assorbimento intestinale di calcio avviene grazie alla forma attiva della vitamina D (1, 25 diidrossi colecalciferolo). Questa vitamina si forma nella pelle per azione delle radiazioni ultraviolette su precursori, derivati dal colesterolo. La vitamina viene quindi trasportata al fegato che ne inizia la trasformazione e la reimmette in forma modificata nel sangue. La forma modificata arriva al rene, che, se stimolato dal paratormone, ne completa la trasformazione nel prodotto attivo biologicamente. Un abbassamento degli ioni calcio nel sangue stimola le paratiroidi a secernere paratormone. Questo stimola la mobilizzazione di calcio dal tessuto osseo, stimola il riassorbimento di calcio attraverso le urine e stimola l’assorbimento di calcio da parte dell’intestino (attivando la vitamina D). Quando la calcemia aumenta viene inibita la secrezione di paratormone e stimolata la secrezione di calcitonina. Questo ormone inibisce la mobilizzazione di calcio dalle ossia e riduce il riassorbimento di calcio da parte dei tubuli renali, per cui una maggiore quantità di questi ioni viene eliminata con le urine. Omeostasi glicemica: Il mantenimento della concentrazione di glucosio nel sangue (glicemia) intorno agli 80-90 mg/100 Ml è indispensabile per il normale funzionamento di diversi tessuti e in particolare per il sistema nervoso, che utilizza il glucosio come fonte primaria di energia. Il glucosio presente nel sangue può derivare dall’assorbimento intestinale del glucosio introdotto con la dieta; dalla scissione del glicogeno, dai processi di glucuoneogenesi. Dopo i pasti la glicemia aumenta. Ciò stimola le cellule beta del pancreas a secernere insulina. Essa stimola le cellule del fegato, dei muscoli e del tessuto adiposo a prelevare glucosio dal sangue. Il glucosio, se non immediatamente utilizzato, può essere immagazzinato sotto forma di glicogeno. Il prelievo da parte delle cellule fa abbassare la glicemia. Si ha una diminuzione della concentrazione di insulina e un aumento della secrezione di glucagone. Questo ormone stimola la demolizione del glicogeno epatico e inoltre stimola la gluconeogenesi epatica, e il tessuto adiposo a scindere i grassi. Per quanto riguarda la scissione dei grassi, il glucagone è affiancato dai glicocorticoidi secreti dalla corticale del surrene. Essi stimolano la gluconeogenesi e la lipolisi e la proteolisi. In condizioni di pericolo o di stress il sistema nervoso simpatico stimola la midollare del surrene a rilasciare adrenalina, che stimola la glicogenolisi. In caso di digiuno prolungato le scorte di glicogeno si esauriscono. L’organismo dovrà quindi dipendere esclusivamente dalla gluconeogenesi per la produzione di glucosio. In queste condizioni gli elevati livelli di glucagone e di glicocorticoidi stimolano la demolizione delle proteine, per utilizzare gli aa per la gluconeogenesi. Questi ormoni stimolano inoltre la demolizione dei grassi. L’elevata demolizione di acidi grassi e la sottrazione di composti utilizzati per la gluconeogenesi porta alla elevata produzione di corpi chetonici. Una alterazione dell’omeostasi glicemica si riscontra nel diabete. Il diabete mellito di tipo 1 insorge in età giovanile e si ha una insufficiente produzione di insulina per via della distruzione delle cellule Beta. Il glucosio si accumula nel sangue e non può essere utilizzato dalle cellule. Quindi le cellule non possono utilizzare il glucosio, come nel digiuno, ma allo stesso tempo la glicemia è alta. Essa supera la capacità dei tubuli renali di riassorbire il glucosio dell’ultrafiltrato per cui il glucosio compare nelle urine (glicosuria). L’elevata quantità di glucosio e di corpi chetonici nelle urine impedisce un efficace riassorbimento renale dell’acqua, per cui l’individuo diabetico produce grandi quantità di urina. La conseguente disidratazione stimola il centro della sete che spinge il diabetico a bere continuamente. Il diabete mellito di tipo II è la forma più comune, insorge in eta adulta ed è causato da una mancata risposta dei tessuti all’insulina, i cui livelli rimangono normali o addirittura aumentati Risposta allo stress: Quando l’organismo deve fronteggiare una situazione di emergenza, sia perché viene percepito un pericolo, sia perché le condizioni ambientali sono particolarmente svantaggiose, per effetto di infezioni o traumi o per situazioni di disagio psicologico, si ha una sindrome di adattamento, in cui il sistema nervoso simpatico e le ghiandole surrenali cooperano. Infatti l’ipotalamo produce ACTH (quindi verrà prodotto il CRH e verranno stimolate le ghiandole surrenali) e parallelamente stimola il sistema nervoso simpatico. L’azione degli stimoli ormone e nervosi si rinforzano a vicenda: - a livello del cervello aumentano attenzione e concentrazione, - viene aumentata la forza delle contrazioni cardiache e la frequenza, - viene stimolata la scissione del glicogeno e la scissione dei grassi. Inoltre il cortisolo stimola la demolizione delle proteine e il trasporto degli amminoacidi al fegato. Regolazione del ph nel sangue: Deve essere mantenuto costante entro strettissimi limiti intorno al valore di 7,4, nonostante diversi processi tendano a modificarlo. In particolare i processi ossidativi che si svolgano in tutti i tessuti producono continuamente anidride carbonica, che reagendo con l’acqua, forma acido carbonico; il lavoro muscolare molto intenso, che richiede la produzione di energia in scarsità di ossigeno, produce acido lattico; in caso di digiuno prolungato viene prodotto acido acetoacetico. In tutti i liquidi organici sono presenti sistemi tampone capaci di compensare istantaneamente l’eventuale formazione di acidi o di basi all’interno dell’organismo: i principali sono il tampone bicarbonato, il tampone fosfato, e quelli rappresentati dalle proteine del plasma A livello dei tessuti l’anidride carbonica reagisce con l’acqua formando acido carbonico, che si dissocia in ione carbonato e ione idrogenione. A livello dei polmoni al contrario lo ione carbonato e lo ione idrogenione si uniscono e si forma l’acido carbonico che si dissocia in acqua e anidride carbonica gassosa. Quindi a livello dei polmoni l’eliminazione dell’anidride carbonica permette l’eliminazione dell’eccesso di idrogenioni I tubuli renali possono secernere idrogenioni tanto maggiore quanto è la pressione parziale dell’anidride carbonica nel sangue Quando il ph scende al di sotto di 7, 4 si ha acidosi, al di sopra alcalosi. Acidosi respiratoria= insufficiente respirazione polmonare, non si ha la rimozione dell’anidride carbonica. Alcalosi respiratoria= aumento eccessivo della ventilazione polmonare, troppa anidride carbonica viene eliminata e il ph aumenta Acidosi metabolica= è data alla produzione di acido lattico e acido acetoacetico. Può essere compensata da un aumento della ventilazione polmonare Alcalosi metabolica= forte perdita di acidi dovuta al vomito prolungato Sistema immunitario Ogni organismo è in grado di distinguere il sé dal non sé. Infatti ogni cellula di un organismo di una data specie presenta alla propria superficie macromolecole che hanno una struttura unica, propria solo degli organismi di quella specie. Ogni organismo ha quindi modo di conoscere le proprie cellule. La capacità di difendersi prende il nome di immunità. L’insieme degli organi e delle cellule che contribuiscono a questa funzione costituisce il sistema immunitario. Esso comprende le cellule presenti nel sangue e nei tessuti (macrofagi, granulociti, linfociti) e gli organi localizzati in diverse parti del corpo (linfonodi, tonsille, timo, milza): Esistono due tipi di risposta immunitaria, tra loro interconnessi: Immunità innata= meccanismi presenti nell’organismo sin dalla nascita. Non si distingue tra i diversi agenti estranei, quindi non è specifica per ogni organismo. Tempi di intervento molto rapidi Immunità acquisita= è specifica contro un dato organismo o una sostanza estranea e si instaura solo dopo l’esposizione all’agente estraneo. Richiede parecchi giorni Diversi meccanismi sono in comune Immunità innata Barriere fisiche e chimiche, includenti la pelle e le mucose. Infatti in caso di interruzione di queste protezioni per ustioni o ferite si ha un ingresso dei microrganismi patogeni. Questo è il motivo per cui tali lesioni vanno subito disinfettate Produzione di diversi liquidi organici, come saliva, sudore, lacrime, che contengono sostanze in grado di uccidere certi microrganismi, come il lisozima Produzione di citochine= Proteine prodotte sia dalle cellule nel quadro dell’immunità innata che dalle cellule nel quadro dell’immunità acquisita. Esse possono avere azione paracrina oppure agire da ormoni. Le principali citochine sono gli interferoni, che bloccano la replicazione dei virus, le interleuchine (per es. interleuchina 1 causa la febbre) e i fattori di necrosi tumorale, coinvolti nell’infiammazione Attivazione nel sistema del complemento= Proteine del plasma molte delle quali dotate di attività enzimatica. Anche questo meccanismo è in comune con l’immunità acquisita. Infatti questo complesso può essere attivato da agenti patogeni oppure, più frequentemente, dai complessi tra antigene e anticorpi. Queste proteine innescano una serie di reazioni a cascata che causano diversi effetti: lisi delle cellule batteriche; aderiscono alla superfice dei batteri favorendo la fagocitosi; attraggono i globuli bianchi; aumentano l’infiammazione stimolando la produzione di istamina e quindi l’aumento della permeabilità dei vasi sanguigni Fagocitosi= Viene svolta da diverse cellule specializzate: i granulociti neutrofili, cellule del plasma, i macrofagi, che sono presenti in tutti i tessuti, e le cellule natural killer, le quali sono in grado di fagocitare sia batteri patogeni che cellule tumorali Infiammazione: è causata da meccanismi di difesa innata ma stimola i meccanismi di difesa acquisita. Si tratta di una reazione dell’organismo all’invasione di agenti patogeni o alla lesione dei tessuti. E’ caratterizzato da 4 segni caratteristici: calore, arrossamento, edema, dolore. Durante l’infiammazione, le cellule sono danneggiate e questo determina la liberazione di istamina, bradichinina, serotonina: I vasi sanguigni si dilatano, con un aumento del flusso nella sede lesa. Questo aumento del flusso è responsabile del calore e dell’arrossamento. Il sangue porta i fagociti, gli anticorpi e le sostanze nutritive Aumento della permeabilità della parete dei capillari con il conseguente aumento della fuoriuscita dei liquidi verso i tessuti (edema) e di proteine e anticorpi. L’aumento della permeabilità dei vasi causa quindi sia l’edema che il dolore I fagociti migrano sul posto, in un processo detto chemiotassi e inoltre il midollo osseo produce nuovi granulociti. I fagociti non solo compiono la fagocitosi ma liberano interleuchina 1, che provoca la febbre e quindi si innesca una risposta sistemica. Immunità acquisita Si manifesta solo dopo l’esposizione ad un agente estraneo e richiede un certo intervallo di tempo per manifestare i suoi effetti. Comprende l’immunità mediata da anticorpi, umorale, e l’immunità mediata da cellule. 1. Le cellule che fagocitano cellule o macromolecole estranee li demoliscono a opera dei lisosomi. I frammenti di antigene vengono combinati all’interno delle cellule con particolari proteine che fanno parte del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). I complessi antigene-MHC vengono esposti alla superficie delle cellule. Le cellule che ricoprono questa funzione sono i macrofagi e le cellule dendritiche, chiamati cellule che presentano l’antigene. 2. I linfociti possono essere di tre tipi. I linfociti B che dopo essere stati attivati si trasformano in plasmacellule e producono anticorpi; i linfociti T che sono responsabili dell’immunità cellulo-mediata e dell’attivazione dei linfociti B, e le cellule NK che uccidono patogeni e cellule tumorali. I linfociti B maturano nel midollo osseo e una volta giunti a maturazione circolano in parte nel sangue e in parte si non producono spontaneamente anticorpi. Può però accadere che una donna Rh- concepisca un figlio Rh+. Durante l’ultimo periodo della gravidanza qualche globulo rosso del feto può penetrare dalla placenta al sangue materno. Viene scatenata una risposta primaria, che però per via dei tempi di latenza della risposta primaria e della relativa debolezza della risposta primaria non ha gravi conseguenze. Tuttavia in caso di una seconda gravidanza con feto Rh+ nella madre si scatena una rapida e intensa risposta secondaria. Gli anticorpi prodotti dalla madre attraversano la barriera placentare e provocano la lisi dei globuli rossi fetali. Il feto viene inoltre stimolato a produrre nuovi globuli rossi che però vengono rilasciati come immaturi. Questa sindrome è chiamata eritroblastosi fetale. - Nel caso dei trapianti d’organo, considerando che due individui hanno diversi complessi maggiori di istocompatibilità, le cellule dell’organo trapiantato vengono riconosciute come estranee e quindi attaccate dai linfociti T. Si cerca quindi di ridurre al minimo le differenze negli antigeni di istocompatibilità tra donatore e ricevente. Inoltre ai pazienti che ricevono l’organo vengono dati dei farmaci immunosoppressori. - Nel caso delle reazioni allergiche gli individui producono anticorpi contro antigeni deboli, come acari e pollini. La prima fase è la sensibilizzazione: le cellule che presentano gli antigeni fagocitano l’antigene e lo presentano ai linfociti T helper. Essi si attivano e stimolano i linfociti B a produrre le immunoglobuline di tipo E. Queste immunoglobuline si legano alla superficie dei mastociti. La fase successiva è l’attivazione dei mastociti. Quando un individuo sensibilizzato entra nuovamente a contatto con l’allergene le IgE attaccate ai mastociti lo riconoscono e lo legano. Questo legame stimola i mastociti a liberare i granuli che contengono istamina. Questo provoca arrossamento e gonfiore. Inoltre le sostanze liberate dai mastociti richiamano i globuli bianchi che aumentano l’infiammazione. A seconda della sede in cui avviene l’interazione IgE- allergene si possono avere il raffreddore da fieno (vie nasali), l’asma (bronchi), diarrea (mucosa intestinale), orticaria (pelle). Se i mastociti liberano grosse quantità di istamina si ha una forte vasodilatazione e aumento della permeabilità, con riduzione della pressione sanguigna (shock anafilattico) - Nelle malattie autoimmuni il sistema immunitario si attiva verso componenti dell’organismo stesso. Alcuni linfociti T identificano come antigeni componenti dell’organismo stesso, sfuggendo alla selezione negativa. In alcuni casi possono essere causate da patogeni che presentano alcuni antigeni molto simili a quelli umani. Esempi sono l’artrite reumatoide, la sclerosi multipla, il diabete di tipo I. DIVERSITA’ TRA I VIVENTI La sistematica è lo studio scientifico della diversità degli organismi e delle loro relazioni evolutive. La tassonomia è la branca della sistematica che si occupa di classificare gli organismi, assegnando i nomi scientifici. La classificazione si base sulle loro somiglianze o sulle relazioni evolutive. Oggi viene effettuata non solo osservando le caratteristiche strutturali degli organismi ma anche studiando i fossili, le fasi embriologiche, le sequenze di DNA e le proteine. Secondo Linneo tutti gli esseri viventi possono essere raggruppati in categorie sistematiche. Attualmente di parte dal dominio, segue il regno, il phylum, la classe, l’ordine, la famiglia, il genere e la specie. Per identificare un essere vivente in modo univoco egli propose il sistema binomiale di nomenclatura: ciascun essere vivente viene identificato dal nome del genere seguito dalla specie. Il sistema di classificazione a sei regni riconosce i regni Archea, Bacteria, Protista, Fungi, Plantae e Animalia. I membri dei regni Archea e Bacteria sono procarioti. Il regno Protista è costituito prevalentemente da organismi eucariotici unicellulari acquatici. I fungi sono eucarioti eterotrofi. Gli Animalia sono eucarioti eterotrofi, tutti pluricellulari (mentre i protisti e i fungi possono essere uni o pluricellulari). Le Plantae sono eucarioti autotrofi pluricellulari. Il sistema di classificazione a 3 domini assegna gli organismi ai domini Archea, Bacteria, Eukarya. Gli organismi appartenenti al dominio Bacteria sono caratterizzati dalla presenza del composto peptidoglicano nelle pareti, che invece è assente negli Archea. Virus Un virus è una piccola particella costituita da un genoma a DNA o a RNA, circondato da un rivestimento proteico, detto capside. Diversamente dalle cellule viventi, i virus non sono in grado di svolgere autonomamente le loro attività metaboliche, contengono gli acidi nucleici ma per riprodursi devono invadere cellule viventi e prendere il controllo del loro macchinario metabolico. I fagi (batteriofagi) sono virus che infettano i batteri. Un ciclo riproduttivo virale può essere litico o lisogenico. In un ciclo litico il virus distrugge la cellula ospite. Le cinque fasi del ciclo litico sono: l’adesione alla cellula ospite, la penetrazione dell’acido nucleico virale, la replicazione dell’acido nucleico, l’assemblaggio dei componenti neosintetizzati in nuovi virus, il rilascio dalla cellula ospite. Invece in un ciclo lisogenico il genoma virale viene replicato insieme al DNA dell’ospite. L’acido nucleico di alcuni fagi si integra nel DNA batterico e viene quindi chiamato profago. Le cellule batteriche contenenti profagi sono dette cellule lisogeniche e grazie all’inserimento del DNA virale acquistano nuove proprietà. I virus penetrano nelle cellule animali per fusione con la membrana o per endocitosi e all’interno delle cellule animali si ha la replicazione dell’acido nucleico e vengono sintetizzate nuove proteine, si ha quindi l’assemblaggio e i virus vengono rilasciati dalla cellula. Esempi di virus a DNA sono il vaiolo, l’herpes, i virus che dannò infezioni delle vie respiratorie o infezioni gastrointestinali. Esempi di virus a RNA sono il virus dell’influenza, dell’AIDS e alcuni tipi di cancro. I retrovirus sono dei virus a RNA, che utilizzano l’enzima transcrittasi inversa per sintetizzare un intermedio a DNA che si integra nel DNA dell’ospite e successivamente vengono sintetizzate copie dell’RNA virale. I batteri Le cellule batteriche sono cellule procariotiche che non possiedono né nucleo né organelli. Possono avere diverse forme: I cocchi hanno forma sferica, e comprendono gli stafilococchi e gli streptococchi I bacilli hanno forma bastoncellare, alcuni sono flagellati e alcuni producono spore Gli spirilli hanno una forma ad elica rigida Le spirochete hanno una forma ad elica flessibile I vibrioni hanno la forma di virgola Vengono divisi in Gram positivi, con pareti molto spesse e costituite principalmente da peptidoglicano, e Gram negativi che hanno un sottile strato di peptidoglicano e una membrana esterna somigliante ad una membrana plasmatica. Alcune specie di batteri producono una capsula che circonda la parete cellulari. Altri hanno pili, strutture proteiche importanti per l’ancoraggio. Alcuni hanno flagelli che producono dei movimenti rotatori. Il materiale genetico di un procariote è costituito tipicamente da una molecola circolare di DNA e da più molecole circolari più piccole, i plasmidi (coinvolti nell’antibiotico resistenza). Nei batteri si ha il fenomeno del trasferimento genico orizzontale: un organismo trasferisce materiale genetico ad un’altra cellula non discendente. Questo fenomeno è alla base dell’antibiotico resistenza. I batteri possono essere divisi in CHEMIOTROFI E FOTOTROFI. I chemiotrofi ricavano l’energia dai composti chimici, fototrofi dalla luce. I chemiotrofi si dividono in: chemioeterotrofi, che ottengono carbonio dalla materia organica morta e comprendono la maggior parte dei batteri e chemioautotrofi, che ottengono energia ossidando composti inorganici come l’ammoniaca. I fototrofi si dividono in fotoautotrofi, che ottengono energia dalla luce e sintetizzano composti organici, e fotoeterotrofi che sono in grado di usare l’energia luminosa ma ricavano il carbonio da altri organismi. La maggior parte dei batteri è aerobia. Alcuni procarioti sono anaerobi facoltativi (entrano in anaerobiosi se necessario), altri anaerobi obbligati (possono sopravvivere solo in assenza di ossigeno). La riproduzione dei batteri può avvenire per scissione binaria (la cellula si divide e forma due cellule figlie, gemmazione (una gemma si separa dalla cellula madre) o per frammentazione (una cellula si frammenta in tante parti). Molti batteri sono simbionti di altri organismi. Il mutualismo è una relazione simbiotica in cui entrambi i partner traggono beneficio, nel commensalismo un partner trae beneficio e l’altro non è né danneggiato né avvantaggiato. Nel parassitismo il parassita trae un beneficio mentre l’ospite è danneggiato. Alcuni batteri parassiti sono importanti patogeni di piante e animali. Alcuni batteri patogeni producono le esotossine, velenose per l’uomo, oppure contengono nella loro parete delle endotossine, rilasciate nel momento in cui i batteri muoiono. Alcuni batteri sono utili, come quelli del nostro intestino o quelli che producono lo yogurt. Gli Archea Diversamente da quelle dei batteri le pareti cellulari degli Archea non possiedono peptidoglicano. I meccanismi traduzionali somigliano molto di più a quelli degli eucarioti che non degli altri procarioti. I tre gruppi principali sono i metanogeni, gli alofili estremi e i termofili estremi. I metanogeni producono gas metano dai composti carboniosi e vivono in ambienti anaerobici come gli acquitrini, i sedimenti marini e il tratto digerente degli animali. Gli alofili estremi vivono in condizioni sature di sale, i termofili estremi vivono a temperature superiori ai 100 gradi. L’evoluzione degli eucarioti L’atmosfera terrestre primitiva non conteneva ossigeno. Le prime forme di vita furono procarioti anaerobi. L’ossigeno gassoso fu generato dai primi procarioti in grado di compiere la fotosintesi: i cianobatteri. A questo punto i procarioti si adattarono alla presenza di ossigeno sviluppando il metabolismo aerobio. Gli eucarioti si sono evoluti dai procarioti 1,5-1 miliardo di anni fa. Secondo le teorie endosimbiotiche la cellula eucariote sarebbe il risultato di 2 eventi: - Formazione di membrane - Formazione di mitocondri e cloroplasti Secondo questa teoria la cellula eucariotica si è originata da una simbiosi tra i cianobatteri, antenati dei cloroplasti, e i procarioti eterotrofi, antenati dei mitocondri. Infatti questi organelli hanno una certa quantità di DNA, RNA e ribosomi e questo dimostra una antica capacità riproduttiva indipendente. I protisti Appartengono al dominio Eukarya e sono gli organismi eucariotici più semplici. Quasi tutti i protisti sono unicellulari e quelli pluricellulari comunque non possiedono veri e propri tessuti. Possono essere eterotrofi o autotrofi. Si possono riprodurre per via asessuata o sessuata. Quella asessuata avviene rapidamente mentre quella sessuata è più complessa e avviene per meiosi e fecondazione, permette di creare individui diversificati dal progenitore. Si suddividono in protozoi, funghi mucillaginosi (entrambi eterotrofi) e alghe, autotrofe. I PLATELMINTI, NEMATODI e ANELLIDI sono tre phyla con simmetria bilaterale. I platelminti sono vermi con un corpo appiattito e una cavità digerente collegata all’esterno da una singola apertura. Alcuni di essi, come la planaria, si producono da soli il cibo, mentre altri come la tenia sono parassiti. Anche i nematodi sono vermi ma presentano un tubo digerente con due aperture (la bocca e l’ano). La maggior parte di essi conduce vita libera nel terreno o nell’acqua, solo alcuni sono parassiti. Il phylum degli anellidi deve il nome al fatto che questi organismi possiedono un corpo molle diviso in segmenti, i metameri. Includono i vermi marini, come i policheti, e i vermi terrestri, come i lombrichi. Il phylum dei MOLLUSCHI deve il nome al fatto che questi organismi possiedono un corpo molle, che in molte specie è protetto da un guscio esterno, rigido e resistente: la conchiglia. I molluschi si possono dividere in bivalvi, gasteropodi e cefalopodi. I bivalvi hanno una conchiglia comprendenti due valve. La conchiglia dei gasteropodi, come le lumache, è secreta dal tessuto sottostante, il mantello, ed è formata da calcare (carbonato di calcio). Il polpo è un mollusco cefalopode di grandi dimensioni privo di conchiglia. Gli ANTROPODI sono il phylum di gran lunga più numeroso sulla Terra. Essi comprendono 4 classi: gli insetti, i crostacei, i miriapodi, gli aracnidi. Il corpo degli antropodi si presenta diviso in segmenti, spesso fusi a formare le regioni del corpo, torace, e addome. Il corpo è rivestito da un rivestimento esterno rigido, l’esoscheletro, che svolge funzioni di sostegno e dove si inseriscono i muscoli. L’esoscheletro non può accrescersi durante la crescita dell’animale e pertanto in molti artropodi si può osservare il fenomeno della muta. Quando l’animale raggiunge determinate dimensioni, l’esoscheletro si stacca e viene sostituito da un nuovo sottile strato che copre tutto il corpo. Quindi l’esoscheletro si stacca e l’animale fuoriesce, rivestito da un sottile strato di chitina. Gli insetti possono andare incontro a metamorfosi (ape, farfalle, mosche, libellule): l’insetto che lascia il vecchio esoscheletro ha un aspetto diverso da quello che aveva prima della muta. Un’altra caratteristica fondamentale degli antropodi è la presenza di numerose appendici, con funzione di locomozione. Il corpo degli insetti è composto da segmenti con caratteristiche diverse, spesso fusi insieme, in molte specie è possibile distinguere tre regioni del corpo: capo-torace-addome. La maggior parte dei crostacei vive in acqua, essi hanno un paio di antenne con funzioni sensoriali. Gli aracnidi non hanno antenne e possiedono sul capo uno speciale paio di appendici che servono per portare il cibo alla bocca. I miriapodi hanno una serie di segmenti, che partono dal tronco, e sono tutti arti. Il phylum degli ECHINODERMI comprende i ricci di mare e le stelle marine. Il corpo è a simmetria raggiata e sono rivestiti da uno scheletro formato da piccole placche calcaree, tenute assieme da tessuti epidermici e da muscoli, che prende il nome di dermascheletro. Il phylum dei CORDATI comprende i tunicati e i cefalocordati e i vertebrati. Tutti i cordati hanno in comune il fatto di presentare almeno in una fase della loro vita un organo di sostegno interno detto corda. La corda funziona come punto di inserzione dei muscoli. La corda percorre dal capo alla coda tutto il corpo dell’organismo. Dorsalmente si trova il sistema nervoso, ventralmente il tubo digerente. Nei cordati è presente un cuore che ha la funzione di pompare il sangue in tutti i distretti del corpo. Tunicati e cefalocordati comprendono solo specie marine, molte delle quali vivono ancorate alle rocce del fondo. I tunicati sono un sottotipo dei cordati. Durante lo stadio larvale essi presentano una notocorda, cioè una corta dorsale, che viene persa dell’adulto. Il termine tunicati deriva dal rivestimento del corpo chiamato tunica. Fanno parte dei tunicati le ascidie. I cefalocordati sono un piccolo subphylum, in cui cui la corda dorsale raggiunge l’estremità anteriore della testa. Fanno parte di questo gruppo gli anfiossi, animali lunghi qualche centimetro e trasparenti che si trovano nelle acque calde Subphylum dei vertebrati I vertebrati fanno parte del phylum dei cordati e hanno come caratteristica fondamentale la colonna vertebrale. Essa è il supporto flessibile ma resistente che costituisce l’asse strutturale dello scheletro. Tale scheletro è interno e viene pertanto chiamato endoscheletro. Nell’embrione la colonna vertebrale si sviluppa intorno alla corda dorsale che viene compressa fino quasi a scomparire. Nell’embrione inoltre lo scheletro è in prevalenza cartilagineo ma l’osso sostituisce la cartilagine durante la crescita. Nei vertebrati sono presenti anche il cranio, che contiene il cervello, e gli arti. I vertebrati vengono comunemente divisi in sette classi. 1. Gli agnati sono comparsi sulla Terra circa 400 milioni di anni fa e sono i vertebrati più antichi. Oggi sono ridotti a poche specie, tra cui le lamprede. Tutti gli agnati possiedono una bocca circolare e al contrario di tutti gli altri vertebrati non hanno una mandibola. Non potendo masticare si nutrono succhiando il sangue di pesci e cetacei. Respirano per mezzo di branchie e la forma del corpo ricorda quella dei pesci 2. Pesci cartilaginei (condroitti) 3. Pesci ossei (osteitti) Condroitti e osteitti formano insieme il gruppo dei pesci. Il corpo dei pesci è idrodinamico, provvisto di pinne e rivestito da scaglie. La temperatura corporea è simile all’ambiente circostante. Tutti i pesci sono dotati di branchie, l’organo respiratorio che consente di prelevare ossigeno disciolto nell’acqua. Possiedono inoltre gli occhi e uno speciale organo di senso, la linea laterale, per orientarsi in acqua. Gli arti dei pesci sono le pinne, sia pari che impari. La classe dei condroitti, che comprende squali, razze e mante, possiede uno scheletro composto da cartilagine e privo di ossa, e una bocca in posizione ventrale, caratteristica che li distingue esternamente dagli osteitti. La classe degli osteitti è il gruppo più numeroso e comprende le specie più comunemente usate per l’alimentazione. Caratteristica specifica oltre allo scheletro osseo è la presenza di una vescica natatoria, un sacco pieno di gas il cui volume può essere aumentato o diminuito per regolare il galleggiamento 4. Anfibi, questi animali trascorrono una parte della loro vita in acqua e una parte sulla terraferma. Esistono tre ordini di anfibi: anuri (rane e rospi) privi di coda da adulti e con arti posteriori adatti per saltare, urodeli (come le salamandre) dotati di coda e con 4 arti, apodi, privi di arti e quasi ciechi vivono sotto terra. Hanno una pelle priva di scaglie, sede degli scambi respiratori. I polmoni infatti sono poco sviluppati e quindi non possono assorbire da soli tutto l’ossigeno necessario. Gli anfibi depongono le uova in acqua, altrimenti esse si disidraterebbero rapidamente. Nella maggior parte delle specie dopo la fecondazione si sviluppa un girino, che si trasforma in anfibio adulto in seguito ad una profonda metamorfosi Le altre 3 classi insieme agli anfibi formano il gruppo dei TEPRAPODI. Hanno acquisito la capacità di riprodursi fuori dall’acqua. 5. Rettili: circa 6000 specie viventi e alcune estinte, come i dinosauri. I rettili viventi sono riconducibili a 3 gruppi principali: i cheloni, come tartarughe e testuggini, gli squamati, che comprendono lucertole e serpenti, e i loricati come i coccodrilli, caimani e alligatori. I rettili, come gli anfibi, sono eterotermi. Alcuni non possiedono arti, come i serpenti. Altri hanno 4 arti per i movimenti nella terraferma, come i coccodrilli, altri hanno gli arti trasformati in pinne (tartarughe marine) 6. Uccelli: comprendono circa 9600 specie. La struttura del corpo è adattata al volo, il peso e ridotto e alcune ossa sono cave e a riempite d’aria. Il metabolismo è molto veloce. L’organo che permette il volo è l’ala. La forma generale dell’ala è modellata dalla presenza delle penne. Le penne sono costituite da un asse centrale robusto, il rachide, su cui si inseriscono dei prolungamenti laterali detti barbe. Le barbe si agganciano tra loro formando il profilo della penna, detto vessillo. Il movimento delle ali è garantito da potenti muscoli che si inseriscono a livello del petto sulla carena, una cresta ossea che aumenta la superficie dello sterno. Gli uccelli sono omeotermi, come i mammiferi. Depongono le uova e alla nascita i piccoli sono molto immaturi e richiedono un lungo periodo di cure da parte di uno o di entrambi i genitori 7. Mammiferi: Questa classe deve il suo nome al fatto che le femmine possiedono le ghiandole mammarie per l’allattamento. Una caratteristica peculiare dei mammiferi è la presenza del pelo, che isola il corpo aiutandolo a mantenere una temperatura costante. A seconda delle modalità riproduttive si possono dividere in monotremi, marsupiali, placentari (96% dei mammiferi). I monotremi comprendono solo due specie (echidna e ornitorinco), che depongono le uova e allattano i piccoli dopo la schiusa, i marsupiali includono circa 250 specie, concentrate in Australia, tra cui i canguri e i koala. I marsupiali alla nascita sono estremamente piccoli e immaturi, per questo il loro sviluppo prosegue in una tasca nel corpo della madre, il marsupio, dove si trovano i capezzoli delle ghiandole mammarie. I placentati sono caratterizzati dalla placenta, che mette in comunicazione l’embrione con la madre, fornendo nutrimento al nascituro. La placenta è legata al corpo dell’embrione dal cordone ombelicale, all’interno del quale passano i vasi sanguigni. La placenta si distacca e viene espulsa dal corpo della madre durante il parto. I placentati si dividono in 16 ordini. Quello più numeroso è quello dei roditori. L’uomo appartiene all’ordine dei primati. AMBIENTE Risorse energetiche rinnovabili e non rinnovabili Uno dei problemi più gravi che l’Umanità deve iniziare ad affrontare è quello dell’energia. Si tratta di un problema che ha dimensioni planetarie, dovuto al crescente fabbisogno di energia da parte di interi popoli e l’inevitabile esaurirsi delle principali fonti di energia finora utilizzate: i combustibili fossili. Soprattutto il carbone è stato usato nel 19esimo secolo e il petrolio nel ventesimo secolo. L’effetto serra dipende principalmente dall’enorme quantità di gas che si producono nelle combustioni. L’umanità è quindi costretta a ricercare nuove forme di energia. La fonte tradizionale è quella dei combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale). Li chiamiamo combustibili perché liberano energia attraverso reazioni di combustione. E’ stato stimato che le riserve di petrolio si esauriranno nel giro di pochi decenni. Per questo motivo i combustibili fossili sono esempi di fonti non rinnovabili. La natura ha impiegato milioni di anni per accumulare energia nei combustibili fossili. Essi si sono formati dalla lenta decomposizione di sostanze contenute negli organismi viventi, soprattutto vegetali, in assenza di ossigeno. Quindi l’energia che oggi ricaviamo dai combustibili fossili altro non è che l’energia di origine fotosintetica immagazzinata nelle piante milioni di anni fa. Per utilizzare il contenuto di energia chimica dei combustibili fossili è necessario convertire questa energia in altre forme. Il modo più rapido è bruciarli per formare energia termica. Purtroppo le reazioni di combustione hanno un forte impatto ambientale. Il primo è la produzione di anidride carbonica. Per esempio da una sola molecola di gasolio si ottengono 15 molecole di anidride carbonica. Il gasolio contiene anche piccole quantità di zolfo, dal quale si origina l’anidride solforosa. Essa può ossidarsi ad anidride solforica ed entrambi questi composti a contatto con l’acqua danno origine alle piogge acide. Inoltre durante i processi di combustione si formano ossido di azoto e diossido di azoto. Queste sostanze oltre ad essere tossiche formano sostanze acide a contatto con l’acqua, contribuendo alle piogge acide. Quindi gli ossidi di zolfo e di azoto sono responsabili delle piogge acide. Oggi carbone e derivati del petrolio vengono desolforati. Maggiori difficoltà si riscontrano nell’eliminazione degli ossidi di azoto. Inoltre la combustione non avviene mai in maniera completa. Di conseguenza si formano ossido di carbonio, incombusti e particolato. L’ossido di carbonio è una sostanza tossica perché si può legare saldamente agli atomi di ferro dell’emoglobina. Gli idrocarburi incombusti possono dare luogo allo smog fotochimico, un forte inquinamento dell’aria che si verifica nelle giornate caratterizzate da stabilità e forte insolazione. Lo smog può irritare gli occhi e provocare difficoltà respiratorie. Il particolato è formato da minuscole particelle solide o liquide sospese nell’aria. Vengono classificate in base alla dimensione, più sono piccole più sono dannose. Le fonti energetiche rinnovabili sono quelle potenzialmente inesauribili. Esse hanno un ridotto impatto ambientale e permettono uno sviluppo sostenibile, che non danneggi la natura e l’ecosistema. L’energia idroelettrica viene generata dal movimento dell’acqua che scende a valle da un bacino posto in alto. Si possono utilizzare i movimenti delle onde, delle maree, delle correnti oceaniche. L’energia solare è quella irraggiata dal l’esistenza. L’habitat, il luogo in cui un organismo vive, fa parte dei parametri usati per descrivere la nicchia ecologica. La competizione si verifica quando due specie cercano di usare la stessa risorsa essenziale. Essa è dannosa per entrambe le specie. Invece la predazione è benefica per il predatore e dannosa per la preda. Inoltre altre interazioni ecologiche includono quelle di simbiosi: mutualismo (vantaggio reciproco), commensalismo (vantaggio per una specie e nessun vantaggio per l’altra), parassitismo (vantaggio per una specie e danno per l’altra). Secondo il principio di esclusione competitiva due specie non possono occupare la stessa nicchia nella stessa comunità per un periodo di tempo illimitato. Infatti una specie è soppiantata da un’altra specie per effetto della competizione per una risorsa limitante. In un esperimento classico Gause ha cresciuto due specie di parameci. In provette separate la popolazione di ciascuna specie è aumentata e si è stabilizzata, invece messe nella stessa provetta una specie ha prosperato e una si è estinta. Alcune specie riducono la competizione attraverso la ripartizione delle risorse, cioè evolvendosi in modo da sfruttare risorse diverse. Altre specie la riducono mediante la dislocazione dei caratteri, vale a dire selezionando caratteristiche strutturali ecologiche e comportamentali divergenti. La dimensione dei becchi dei fringuelli di Darwin ne è esempio. Si può notare che la dimensione dei becchi è diversa solo nel caso di specie che vivono insieme. La complessità di una comunità si esprime in termini di ricchezza di specie, numero di specie in una comunità, ed in termini di diversità di specie, una misura dell’importanza relativa di ciascuna specie in una comunità. La valutazione della biodiversità di un ecosistema rappresenta spesso un parametro per la valutazione dello stato di salute dell’ecosistema stesso. La ricchezza di una specie è elevata quando: L’habitat è strutturalmente complesso La comunità non è isolata o sottoposta a stress intenso La quantità di energia disponibile è elevata Negli ecotoni (zone di transazione tra più comunità) Nelle comunità antiche che non hanno subito grosse perturbazioni Ecosistema Un’unità ecologica costituita da organismi viventi in grado di interagire tra loro e con l’ambiente che li circonda. Il flusso di energia attraverso un ecosistema segue un corso lineare dal sole ai produttori e da questi ai consumatori, fino ai decompositori. Gran parte di questa energica viene convertita in calore e non è più disponibile per il livello trofico successivo. A partire dal sole, abbiamo il primo livello trofico, quello dei produttori, il secondo livello trofico, consumatori primari, il terzo livello trofico, consumatori secondari, il quarto livello trofico, consumatori terziari e infine il livello dei decompositori. Le PIRAMIDI ECOLOGICHE esprimono il numero degli organismi in ciascun livello trofico (piramide dei numeri), la biomassa totale in ogni livello (piramide di biomassa), oppure il contenuto di energia della biomassa di ciascun livello trofico (piramide di energia). I cicli della materia negli ecosistemi: Cicli della materia negli ecosistemi: l’anidride carbonica è un gas che gioca un ruolo importante nel ciclo del carbonio. Il carbonio entra nelle piante, nelle alghe e nei cianobatteri sotto forma di anidride carbonica e viene incorporato nelle molecole organiche attraverso la fotosintesi. Quindi grazie alla fotosintesi il carbonio entra negli esseri viventi. La respirazione cellulare, la combustione e l’erosione delle rocce calcaree restituiscono l’anidride carbonica all’acqua e all’atmosfera. Il ciclo dell’azoto: L’azoto è indispensabile per tutti gli organismi, essendo un costituente di proteine, acidi nucleici e clorofilla. L’atmosfera è composta per il 78% da azoto in forma gassosa. Il ciclo dell’azoto si svolge attraverso 5 fasi: La fissazione dell’azoto, cioè la conversione dell’azoto gassoso in ammoniaca, effettuata dai batteri azoto-fissatori. La nitrificazione cioè la conversione dell’ammoniaca o ammonio in nitrati, da parte dei batteri nitrificanti. I nitrati sono una delle principali forme di utilizzazione dell’azoto nelle piante L’assimilazione è la conversione dei nitrati o dell’ammoniaca in proteine, clorofilla e altri composti azotati. Essa avviene quando gli animali si nutrono delle piante e quindi assimilano l’azoto e lo convertono nei propri composti organici. L’ammonificazione è un processo di decomposizione, cioè conversione dell’azoto organico presente negli organismi morti in ammoniaca e ioni ammonio. Anche questa fase è effettuata da batteri. La denitrificazione è la conversione dei nitrati in azoto gassoso, compiuta da batteri denitrificanti. Le attività antropiche, come l’utilizzo di fertilizzanti azotati e la combustione di carburanti fossili hanno cambiato il bilancio globale dell’azoto. L’eccesso di azoto sta compromettendo molti ecosistemi, sia acquatici che terrestri. Gli ossidi di azoto contribuiscono inoltre alle piogge acide, che acidificano il ph delle acque superficiali e del suolo. Ciclo del fosforo: Il fosforo non esiste allo stato gassoso. I fosfati inorganici derivanti dall’erosione delle rocce si accumulano nel suolo e vengono assorbiti dalle radici delle piante. Gli animali ottengono il fosforo necessario grazie alla dieta. Il fosforo ritorna all’ambiente sotto forma di escrezioni e resti di organismi morti. I decompositori rilasciano fosfati inorganici nell’ambiente, e quindi essi possono essere utilizzati dalle piante. Ciclo idrologico: Il ciclo dell’acqua azionato dall’energia solare comporta uno scambio tra le terre emerse, l’atmosfera e gli organismi. La maggior parte dell’acqua sulla Terra (98%) si trova allo stato liquido negli oceani , fiumi e laghi. Il rimanente 2% si trova allo stato solido nei ghiacciai. Una parte è presente in atmosfera come vapore e una parte è presente negli organismi, l’acqua entra nell’atmosfera attraverso EVAPORAZIONE da suolo e corsi d’acqua, e TRASPIRAZIONE dalla vegetazione. Ricade nelle terre emerse sotto forma di PRECIPITAZIONE. L’acqua percola attraverso il suolo attraverso i fiumi e si raccoglie nei laghi e nei mari. Inoltre l’acqua percola attraverso il suolo e le rocce porose e può essere immagazzinata nelle falde acquifere Uomo e inquinamento ambientale L’uomo ha esercitato un impatto enorme sull’ambiente, provocando con le proprie attività inquinamento ambientale e profonde alterazioni ambientali. Le principali conseguenze dell’impatto dell’uomo sull’ambiente sono: Riduzione della biodiversità: la diversità biologica è la varietà di organismi, considerata a 3 livelli: popolazioni, specie, ecosistemi. Una specie viene considerata estinta in seguito alla morte dell’ultimo individuo che la rappresenta. Una specie in cui il numero di individui è talmente ridotto da essere a rischio imminente viene detta specie in via di estinzione, mentre se in una specie le popolazioni sono molto ridotte ma il rischio non è imminente la specie viene detta minacciata. Le attività umane più invasive nei confronti della biodiversità sono la distruzione e frammentazione degli habitat. Deforestazione, abbattimento delle foreste per uso agricolo o altri motivi, come lo sfruttamento del legname. Le foreste forniscono numerosi servizi ecosistemici, tra cui gli habitat naturali, la protezione dei bacini idrografici, la prevenzione dell’erosione del suolo, la mitigazione del clima, la protezione dalle inondazioni. Quando una foresta viene abbattuta si hanno conseguenze sulla biodiversità, si ha erosione del suolo (quindi esso è meno fertile), il bacino idrografico non riesce ad assorbire e trattenere l’acqua e l’acqua che scorre nei fiumi e torrenti aumenta. Infine ci possono essere effetti sui cambiamenti climatici regionali e globali. Effetto Serra, ossia la mancata dispersione del calore sulla Terra allo spazio provocata dall’anidride carbonica e altri gas serra. Quindi i gas serra sono responsabili del fatto che il calore sia trattenuto sulla superficie terrestre (anidride carbonica, metano, cloroflurocarburi etc). Riscaldamento globale, provocato dai gas serra che può provocare un innalzamento del livello marino, cambiamenti nelle precipitazioni, modificazioni nella composizione delle specie, problemi di tipo sanitario, danni all’agricoltura Buco nell’ozono: diminuzione della quantità di ozono nella stratosfera (circonda la terra ad una distanza di 10-45 km) che ci difende dalle pericolose radiazioni ultraviolette del sole. La distruzione dell’ozono è data soprattutto dai cloroflorocarburi e altri composti contenenti cloro e bromo. L’esposizione ai raggi UV è correlata a numerosi problemi relativi alla salute umana, tra cui la cataratta, il tumore alla pelle e l’indebolimento del sistema immunitario. Eutrofizzazione: Alterazione della qualità delle acque dovuta a eccessiva proliferazione della flora acquatica (alghe) causata da un eccessivo apporto di nutrienti, particolarmente nitrati e fosfati Piogge acide, ossia un abbassamento del ph delle precipitazioni dovuto a emissioni massicce di ossidi di zolfo e di azoto. SALUTE E BENESSERE L’educazione alla salute nella scuola italiana è prevista dal T.U. n.309/1990 e si fonda sul principio che “per ciascun individuo vanno garantite le condizioni necessarie per sviluppare le capacità di prendere decisioni coscienti nei riguardi del proprio benessere”. L’espressione età evolutiva indica il periodo che segna la fase di passaggio tra prima infanzia e maturità, e che dunque si colloca tra i 3 e i 18 anni. Un soggetto normalmente evoluto deve essere: fisicamente ben conformato, psicologicamente realizzato, sufficientemente protetto. La scuola ha il compito di diffondere la cultura della prevenzione, mettendo i ragazzi in condizione di riconoscere ed evitare i pericoli. La salute, nel tempo, non viene più vista come assenza di malattie ma come la possibilità di mettere in atto le diverse potenzialità che un essere umano possiede. Essa è intesa non solo come terapia della malattia, ma come il raggiungimento di benessere della persona, a livello fisico, psichico e sociale. La salute è data quindi dall’insieme di corpo e mente, e non è limitata solo a quello che si può vedere dall’esterno. Per questo motivo l’OMS, nel 1948, ha elaborato una definizione di salute universalmente accettata:” la salute è un completo stato di benessere psichico, fisico e sociale e non solamente una assenza di malattie”. L’evoluzione del concetto di salute non può quindi essere scissa dal concetto di benessere. Sino alla prima metà del XX secolo si vedeva il benessere solo come uno soddisfacimento di esigenze primarie. Nell’età contemporanea invece lo status di benessere significa star bene con se stessi, con gli altri e con l’ambiente. Per quanto riguarda gli altri, la ricerca ha dimostrato che le relazioni sociali, in particolare quelle più strette, influenzano notevolmente l’evoluzione di alcune malattie. Al tempo stesso è importante l’equilibrio tra uomo e ambiente, che si traduce nella fiducia verso le proprie capacità e verso il proprio futuro. Quindi il senso di benessere si estende, includendo non solo i bisogni fisici e materiali ma anche quelli spirituali ( tempo libero, istruzione, libertà individuale, partecipazione alla vita collettiva etc). Quindi lo scopo dell’educazione alla salute è quello di informare su come le abitudini e i comportamenti possono incidere sulla salute, accrescere la consapevolezza sulle scelte politiche non efficaci per la salute e operare attivamente per un loro cambiamento. L’IGIENE è la scienza che si occupa di promuovere e preservare la salute. Si basa su due elementi basilari: epidemiologia e prevenzione. L’epidemiologia si occupa dello studio della distribuzione e della frequenza di malattie e di eventi di rilevanza sanitaria. Si occupa di analizzare le cause, il decorso, le conseguenze delle malattie e programmare piani di controllo e monitoraggio. La prevenzione è l’insieme di metodi volti a evitare il diffondersi di malattie. La prevenzione può agire su 3 fronti: approccio combina la terapia dietetica con l’attività fisica e la terapia comportamentale (cambiamenti nello stile di vita). Nel corpo si hanno due compartimenti: la massa grassa, tutte le riserve lipidiche nel tessuto sottocutaneo e viscerale e la massa magra, che comprende le ossa, i muscoli e i tessuti inter e intra parenchimatosi non adiposi. Per la diagnosi di obesità si utilizza il BMI, il rapporto tra il peso in kili e l’altezza al quadrato espressa in metri quadri: <18 sottopeso, 18-24.9 normopeso, 25-29.9 sovrappeso, 30-34.9 obesità di primo grado, 35-39.9 obesità secondo grado, maggiore di 40 obesità grave, terzo grado. Inoltre si può usare la plicometria che consiste nel misurare lo spessore del pannicolo adiposo sottocutaneo in diverse zone del corpo. L’obesità costituisce un serio fattore di rischio per mortalità e morbidità, sia per le complicanze vascolari e respiratorie sia per tutte le patologie a essa associata (diabete mellito, ipertensione, ipercolesterolemia, calcolosi della colecisti, osteoartrosi). L’obesità viene definita centrale (viscerale) se si ha un deposito di adipe soprattutto addominale e periferica (ginoide) se invece i depositi di grasso si ritrovano maggiormente sui fianchi e sugli arti inferiore. L’accumulo di grasso nel corso della vita avviene in varie fasi: Nel primo anno di vita il bambino ha un fisiologico aumento della massa grassa. Negli anni che seguono il primo la massa grassa subisce un decremento fino all’età di cinque anni Da 5 anni a dieci anni aumenta nuovamente Durante la pubertà si riduce nei maschi e aumenta nella femmina Nel bambino obeso l’incremento del numero di adipociti è di gran lunga superiore a quello del soggetto normopeso. Considerando che il numero rimane all’incirca invariato durante la fase adulta, è necessario prevenire la divisione degli adipociti durante infanzia e adolescenza. L’obesità si associa ad un accumulo di grasso nelle pareti toraciche e nell’addome che determina una riduzione dell’escursione del diaframma e quindi della funzionalità respiratoria. Ciò si traduce in una riduzione dell’esercizio fisico e comparsa di asma. L’obesità si associa inoltre all’ipertensione arteriosa, aggravata dall’iperinsulinismo. Si hanno poi squilibri dell’assetto lipidemico (diminuzione HDL, aumento LDL e VLDL e aumento trigliceridi). Tutto ciò concorre all’instaurarsi di patologie cardiovascolari. Si hanno frequenti problemi ortopedici come il ginocchio in atteggiamento valgo, il piede piatto, la necrosi della testa del femore. Non bisogna dimenticare che l’obesità non è solo dovuta a problemi organici ma può essere causata da turbe psichiche: il disagio può essere generato dall’idea di non avere un aspetto gradevole e questo porta a dei meccanismi di difesa quali l’iperalimentazione, oppure anoressia e bulimia. In un programma terapeutico dell’obesità l’esercizio fisico regolare permette di aumentare il dispendio energetico, migliorare la funzione cardiocircolatoria e respiratoria, migliorare la funzionalità osteo-articolare e muscolare, il carattere, l’autocontrollo, l’autostima, l’assetto lipidico. L’esercizio fisico determina la riduzione della produzione di insulina con incremento dei processi di glicogenolisi, gluconeogenesi, lipolisi. Svolta quotidianamente almeno 30 minuti al giorno e combinata con un adeguato regime alimentare permette di ottenere un decremento dell’adiposità. Un programma di allenamento dovrebbe prevedere: Durata superiore ai 20 minuti giornalieri o superiore ai 30 con sedute trisettimanali, Ritmo cardiaco allenante e costante, Bassa intensità di allenamento, Ossigenazione continua e regolare Il ritmo cardiaco allenante può essere calcolato usando la formula: 220- età del soggetto= Max soglia frequenza cardiaca. L’attività si può svolgere tra il 55% e l’85% della soglia. Il superamento della soglia determina l’attivazione del sistema anaerobico lattacido con conseguente consumo di zuccheri e non di grassi. Sembra infatti che il massimo consumo di grassi avvenga al 50% del VO2 max. L’allenamento aerobico oltre al diretto consumo di grassi induce le seguenti modificazioni: Innalzamento del metabolismo basale; Maggiore resistenza nelle attività della vita quotidiana; Regolarizzazione pressione arteriosa; Regolarizzazione frequenza pulsazioni Minore impegno cardiaco a parità di sforzo Rischi del fumo e dell’etilismo I componenti della sigaretta sono nicotina, monossido di carbonio, benzopirene e sostanze irritanti. La nicotina è una sostanza che causa dipendenza. Provoca danni al sistema nervoso e altera la frequenza cardiaca. Il monossido di carbonio è un gas velenoso che riduce la capacità del sangue di trasportare l’ossigeno ai tessuti. Questo comporta un maggior lavoro per il cuore, invecchiamento precoce della pelle, indebolimento dei capelli e minor rendimento fisico. Il benzopirene è una sostanza cancerogena. Le sostanze irritanti sono responsabili di bronchite e tosse. Il fumo prodotto dal tabacco contiene moltissime sostanze tossiche, tra cui la nicotina, il catrame e i suoi derivati, che sono cancerogeni e rappresentano un pericolo per l’apparato respiratorio, per il cavo orale, per le corde vocali, rene, vescica. Il catrame è responsabile dell’ingiallimento dei denti e della sensazione di amaro in bocca. L’85-90% dei tumori polmonari dipende dal fumo. Il fumo provoca anche tumori alla laringe, faringe, cavo orale, vescica, reni. La tosse e il catarro sono dovuti al lento danneggiamento del tessuto polmonare. Il fumo riduce la fertilità e accelera tutti i processi di invecchiamento. Il fumo passivo fa male come quello attivo ed è estremamente dannoso per bambini, donne in gravidanza, cardiopatici e asmatici. Per questo motivo dal 2003 è stato vietato di fumare nei locali pubblici e nel posto di lavoro. L’etilismo può manifestarsi in forma acuta (ubriachezza) o in forma cronica, con il rischio di trasformarsi in una dipendenza che può causare morte precoce. La categoria di persone più colpita da questa dipendenza sono gli adulti di sesso maschile ma in tempi recenti il fenomeno si sta diffondendo anche tra i giovani e le donne. I bevitori abituali rischiano ulceri e coliti, deterioramento dei muscoli (incluso il cuore) e mancanza di resistenza all’esercizio fisico. L’elevata quantità di zuccheri presenti nell’alcool può causare ipoglicemia che contribuisce al desiderio di alcol. Posso verificarsi anche disturbi mentali, infertilità, patologie dei reni, della vescica e della prostata. Uno degli organi maggiormente colpiti è il fegato, che va incontro ai processi progressi di steatosi, fibrosi e infine cirrosi. Si arriva quindi alla morte delle cellule epatiche e alla formazione di tessuto cicatriziale. L’intestino viene danneggiato e non è più in grado di assorbire bene i nutrienti, si possono manifestare quindi carenze di vitamine e di minerali (potassio, zinco, magnesio). Tipicamente si ha un mancato assorbimento della vitamina K, coinvolta nei processi di coagulazione del sangue, una carenza di vitamina C, carenza di tiamina che colpisce il sistema nervoso. L’alcol in generale riduce le riserve di tiamina, riboflavina, piridossina, acido folico, calcio, ferro, zinco, magnesio, selenio, vitamina B12, vitamina A, e D. Le gravi carenze sono dovute quindi ai danni dell’intestino, ai danni al fegato dove molte sostanze possono essere accumulate e che interviene nel metabolismo delle vitamine, al fatto che l’alcol contiene calorie ma non nutrienti, e può essere assunto in alternativa al cibo. Droga Con il termine droga si indicano tutte le sostanze psicoattive che hanno un effetto sul sistema nervoso e alterano l’equilibrio psicofisico. Esistono moltissime sostanze che rientrano in questa categoria, non tutte vietate dallo stato (es nicotina, alcol). Altre invece sono vietate e possono essere usate solo a scopo curativo, come gli psicofarmaci, altre sono completamente vietate come l’eroina. Queste sostanze provocano assuefazione: per ottenere lo stesso effetto bisogna prenderne dosi sempre maggiori. Per questo i consumatori di droghe ne prendono sempre di più e sempre più spesso, fino a superare una soglia entro la quale non sono più in grado di vivere senza: la dipendenza. Dipendenza fisica= l’incapacità di un organismo di funzionare senza una sostanza esterna. Se questa viene a mancare si scatena una vera e propria sindrome di astinenza, che si manifesta con sintomi opposti a quelli dati dalla droga, es depressione. Dipendenza psichica= resta anche quando il fisico è stato disintossicato, è il desiderio spasmodico di droga. Tutte le sostanze psicoattive esercitano i loro effetti sulle sinapsi cerebrali. La cocaina è costituita da una sostanza organica azotata si origine vegetale. Questa sostanza viene estratta dalla coca, una pianta originaria delle regioni andine. La cocaina viene estratta dalle foglie della pianta. Piccole dosi provocano uno stato di eccitazione, euforia, accompagnato da allucinazioni, mentre quantità maggiori possono provocare convulsioni, depressione e morte. Il comportamento di un cocainomane si può paragonare a quello di uno schizofrenico in quanto egli si sente minacciato, spiato, perseguitato. Nell’arco di dieci anni si ha un decadimento totale del fisico e della mente, apatia, pallore, frequenti emorragie dal naso. La canapa indiana Cannabis sativa è una pianta erbacea, annuale, appartenente alla famiglia delle cannabinaceee. Nella Cannabis si trova una sostanza, il delta-9-tetraidrocannabinolo, che provoca effetti allucinogeni. La parte che viene usata come droga si chiama hashish o marijuana. Nella prima fase del consumo provoca un senso di benessere e eccitazione. Nella seconda fase si avverte uno stato di confusione mentale. Nella terza fase il drogato si sveglia con una fase di down, sgradevole. Sul mercato si trovano 3 tipi di droghe: hashish, marijuana, olio di hashish. Il primo è il più diffuso e ha la minore concentrazione di THC: si tratta infatti delle foglie e dei fiori seccati e sbriciolati. L’hashish è la resina marrone che fuoriesce dalle piante, che viene seccato e pressato. Lo si fuma sbriciolato nel tabacco. L’olio di hashish è una soluzione liquida ottenuta dalle foglie per distillazione. Il fumo di uno spinello di marijuana danneggia i tessuti all’incirca quanto fumare 16 sigarette normali. Quando si fuma la Cannabis il THC viene assorbito in molti organi, fegato, polmoni, apparato riproduttore, cervello. Il THC non viene eliminato dall’organismo ma vi resta sino a 2 settimane. La Cannabis aumenta il battito cardiaco quindi nelle persone con cattiva circolazione può causare dolori toracici. Inoltre le ricerche hanno evidenziato la capacità della Cannabis di ridurre le difese immunitarie e il numero di spermatozoi. La marijuana ha inoltre un effetto teratogeno, per cui una consumatrice cronica dovrebbe pensare alle conseguenze genetiche sul feto. L’uso cronico porta ad una dipendenza di tipo psichico, spesso negata. Dosi eccessive possono portare a perdita di identità, allucinazione, apatia, lentezza nei movimenti. Tra le droghe artificiali si può ricordare l’LSD, una sola dose provoca un profondo turbamento psichico, visioni, allucinazioni, angoscia, paura, depressione, attacchi di panico.