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Dispense per test di Ingresso a scienze della formazione primaria, parte 1, Test d'ammissione di Letteratura

Dispense su Ragionamento Logico e competenza linguistica e su Cultura Letteraria, Storico-sociale e Geogragica Riassunto degli argomenti richeisti nel bando MIUR

Tipologia: Test d'ammissione

2022/2023

In vendita dal 11/04/2023

CostanzaLiverani
CostanzaLiverani 🇮🇹

4.7

(73)

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Scarica Dispense per test di Ingresso a scienze della formazione primaria, parte 1 e più Test d'ammissione in PDF di Letteratura solo su Docsity! COMPETENZA LINGUISTICA E RAGIONAMENTO LOGICO I quesiti mirano ad accertare la capacità di usare correttamente la lingua italiana, di comprendere un testo scritto e di completare logicamente un ragionamento, in modo coerente con le premesse, che sono enunciate in forma simbolica o verbale attraverso quesiti a scelta multipla formulati anche con brevi proposizioni. I quesiti verteranno su testi di saggistica o narrativa di autori classici o contemporanei, oppure su testi di attualità comparsi su quotidiani o su riviste generaliste o specialistiche; verteranno altresì su casi o problemi, anche di natura astratta, la cui soluzione richiede l’adozione di diverse forme di ragionamento logico. LOGICA VERBALE Gran parte delle prove di ammissione è costituita da test psicoattitudinali che comprendono prove di valutazione delle attitudini verbali, delle abilità di ragionamento numerico e delle abilità di ragionamento visuo-percettivo. Tali quesiti vengono comunemente chiamati di logica o di ragionamento logico in quanto prescindono dal livello culturale del soggetto cui vengono somministrati e valutano esclusivamente l’elasticità mentale e la capacità di ragionamento. I test di logica verbale possono assumere le forme più diverse ma si fondano principalmente su relazioni e associazioni tra parole, individuazione di termini contrari, sinonimi, anagrammi, ecc. Altre prove di contenuto verbale sono quelle che richiedono di comprendere e interpretare il significato di un brano, trarne delle conclusioni o escluderne implicazioni. La padronanza linguistica, la ricchezza del lessico, la conoscenza dell’etimologia delle parole facilitano il raggiungimento di un buon risultato in questo tipo di esercizi; tuttavia, potrebbero risultare di grande aiuto alcune nozioni di semantica (scienza che studia il significato delle parole). PROPORZIONI VERBALI Le proporzioni verbali, in analogia con quelle aritmetico-matematiche, sono dei quesiti in cui vengono dati quattro membri, che si trovano in una certa relazione tra loro. Tre di essi sono sempre noti e per la risoluzione richiesta, è necessario invece inserire il quarto membro, quello che alla fase iniziale dell'esercizio risulta essere ignoto. Nelle prove selettive i quesiti basati su proporzioni verbali sono piuttosto comuni.Questi quiz vengono comunemente chiamati proporzioni verbali perché assomigliano nella forma alle proporzioni matematiche, ma al posto dei numeri sono costituiti da vocaboli tra i quali occorre individuare il nesso. In tali prove si richiede infatti di individuare il rapporto di somiglianza tra parole, fatti, oggetti e di riconoscere il termine o i termini che spiegano la relazione o che esprimono un certo grado di somiglianza tra essi. Per questo motivo tali tipologie di quesiti possono essere definite anche equivalenze semantiche o analogie concettuali. Anche in questo caso, dunque, la prima cosa da fare è comprendere il nesso, ovvero la relazione, tra i termini, ma a differenza delle relazioni logiche semplici, nelle proporzioni mancano una o più parole che devono essere individuate. Come già accennato le tipologie di relazione possibili sono pressoché infinite, ma le più comuni sono quelle indicate nel paragrafo precedente. Vediamo alcuni esempi di proporzioni verbali. ESEMPI: Relazione causale Soluzione: Problema = Accordo: ? Il quesito in questo caso viene posto sotto forma di proporzione e deve essere letto in questo modo: Soluzione sta a Problema come Accordo sta a X La coppia dei termini Soluzione e Problema è in relazione causale consequenziale, ovvero la Soluzione è qui da intendersi nell’accezione di raggiungimento di un risultato da sostituire a una serie complessa di elementi ovvero ad un Problema. Nell’esempio successivo l’incognita da individuare tra i cinque termini proposti dovrà esprimere la stessa consequenzialità inversa riferita al termine Accordo per cui tra le alternative proposte: A. Disaccordo B. Concordia C. Conflitto D. Dilemma E. Pretesa la risposta giusta è la C Conflitto, perché è l’unico termine che esprime con la stessa intensità e nella stessa direzione della coppia precedente la relazione di causalità consequenziale. Relazione etimologica Eremo: Eremita = Probo: ? A. Problematico B. Probabilità C. Proibire D. Probiviro E. Proboscide Il termine Eremita, riferito a chi si apparta dal mondo, di solito per motivi religiosi, deriva etimologicamente da Eremo, luogo isolato di contemplazione e preghiera. Il termine Probo significa onesto, integro, retto, da cui deriva Probiviro che propriamente significa “uomo probo”, più comunemente membro di un gruppo ristretto con compiti delicati all’interno di un’istituzione (collegio dei probiviri). Gli altri termini evidentemente non hanno alcuna relazione etimologica. Dunque la risposta esatta è la D. Relazione ortografica Trama: Vello = Brama: ? A. Merlo B. Bello C. Spello D. Agnello E. Pelo Questo tipo di esercizi può trarre in inganno proprio per la sua semplicità. È essenziale in questo caso non prefigurare la risposta sulla base Verifichiamo ciò direttamente con un esempio: pensate ad un sinonimo di oberato. Alcuni non ricorderanno il significato del termine per cui non si sforzeranno più di tanto nel cercare di recuperarlo dalla memoria, altri proveranno una vaga sensazione di incertezza, altri ancora ce l’avranno “sulla punta della lingua”; alcuni sapranno rispondere con esattezza e infine altri saranno convinti erroneamente di sapere la risposta. È evidente che con le alternative fornite dal test possiamo riconoscere il sinonimo grazie al fatto che lo vediamo stampato sulla pagina insieme ad altri termini. In questo caso il rischio di errore deriva più che altro dai distrattori (cioè dai termini alternativi che vengono immessi tra le risposte possibili al solo scopo di indurre in errore). ESEMPIO Indicare qual è il sinonimo di Oberato. A. Avvinazzato B. Impedito C. Aggravato D. Liberato E. Ingrassato In questo esempio, da considerarsi di difficoltà medio-bassa, il distrattore più efficace è la risposta B Impedito. Infatti alcuni, pur sapendo adoperare appropriatamente il termine in una frase, potrebbero cadere in errore valutando il termine nella sua relazione conseguente: cioè se si pensa all’uso del termine oberato in una frase come “oberato da impegni”, si potrebbe proseguire con “dunque ostacolato o impedito nel fare una certa cosa” da cui potrebbe derivare la risposta errata. Naturalmente la risposta esatta è la lettera C Aggravato. È stato inserito anche il contrario alla risposta D Liberato. Anche il termine Ingrassato ha una sua logica in questo contesto: il fine è quello di trarre in inganno coloro che non conoscendo il significato di Oberato, si affidano ingenuamente all’ancoraggio per assonanza con una parola nota: obeso. I CONTRARI I test verbali prevedono nella stragrande maggioranza dei casi delle prove di ricerca dei contrari di contenuti verbali, aggettivali, nominali, ecc. La ricchezza del lessico è un prerequisito fondamentale per l’ottima riuscita in questo tipo di prove. È di aiuto anche in questo caso mettersi nei panni del redattore del test per evitare di cadere nelle “trappole” che è solito tendere. II redattore sa che uno degli errori più frequenti in queste prove è dovuto alla pressione del tempo, quindi, inserirà, tra le risposte, anche il sinonimo della parola stimolo. Inoltre, inserirà spesso anche un termine analogo al sinonimo e un termine in assonanza (di suono simile). È molto frequente, infatti, che la nostra risposta cada sul sinonimo anziché sul contrario del termine, proprio perché per abitudine è automatica la ricerca di una parola con significato simile anziché contrario a quella data. Aiutatevi costruendo mentalmente una frase che contenga il termine stimolo ed il suo contrario. ESEMPIO Indicare il contrario di Abiurare. A. Disfarsi B. Convertirsi C. Rifiutarsi D. Cambiarsi E. Affrettarsi Il termine in questione ha una bassa frequenza di uso per cui risulta di difficoltà elevata. Osservando le alternative proposte, notiamo che è stato inserito il sinonimo, risposta C, accanto alla risposta corretta, Convertirsi. Qui, in caso di incertezza, è di aiuto costruire la frase con il termine e il suo contrario, come forma rafforzativa: “ha abiurato il cattolicesimo convertendosi al buddismo”. (Si pensi per esempio a quante volte nei libri di storia si è letto che un sovrano ha abiurato una certa religione per abbracciarne un’altra). RELAZIONI CONCETTUALI Negli esercizi di relazioni concettuali, conosciuti anche come analogie concettuali, al candidato viene chiesto di individuare la relazione che intercorre tra una serie di vocaboli. Una volta individuato il criterio che lega i vari termini, spesso organizzati in coppie, viene generalmente chiesto di eliminare il termine o la coppia che non rispetta il criterio individuato, ovvero di inserire un ulteriore elemento che risponda al suddetto criterio. In definitiva, in linea generale la procedura per risolvere questa tipologia di test si articola in due passaggi consequenziali: 1. Individuare la relazione intercorrente 2. Scartare l’elemento che non soddisfa il criterio individuato Esempio: Città e monumento  Roma- Colosseo Pechino – Città Proibita Esempio domanda: Individuare, tra i seguenti abbinamenti, quello errato: A. Porta di Brandeburgo – Berlino B. Cremlino – Mosca C. Colosseo – Roma D. Torre Eiffel – Lione E. Big Ben – Londra La risposta esatta è la D. La Torre Eiffel è uno dei più famosi monumenti di Parigi, edificato nel 1899 in vista dell’esposizione universale. Per rispondere al test abbiamo, quindi, in primo luogo accertato che la relazione tra le varie coppie d termini fosse quello monumento – città di appartenenza; successivamente, utilizzando le nozioni di cultura generale in nostro possesso, abbiamo individuato l’accoppiata che non soddisfaceva la suddetta condizione, in quanto la Torre Eiffel non si trova a Lione. Completare i seguenti abbinamenti: Po – mare Adriatico, Tevere – Danubio – Mar Nero – Volga - … A. Mar Morto B. Mare di Barents C. Mar Glaciale Artico D. Mar Caspio E. Mar Egeo Il Volga, fiume della Russia europea, il più lungo fiume d’Europa, sfocia nel Mar Caspio. Individuare il rapporto errato A. I secolo a.C. – nascita Impero Romano B. XV secolo – scoperta dell’America C. XVIII secolo – unità d’Italia D. XX secolo – Seconda guerra mondiale E. XXI secolo – attentato alle torri gemelle D. Mazzini E. D’Annunzio La risposta corretta è la C, Agostino Depretis. Il criterio da utilizzare in questo caso è quello storico: tutti i personaggi della serie hanno ricoperto la carica di primo ministro del Regno d’Italia. Tra le alternative proposte solo Depretis fu primo ministro in vari governi, mentre gli altri furono tutti importanti personaggi della storia d’Italia, ma nessuno ricoprì mai la carica di primo ministro. Individuare il termine da scartare: A. Volgograd B. Magdeburgo C. Manchester D. Parigi E. San Pietroburgo In questo caso la risposta corretta è la D, Parigi. Tutte le altre alternative presentano nomi di città composti di cui fa parte la parola generica utilizzata per indicare, appunto città. La A presenta la parola slava grad, utilizzata soprattutto in Russo. La B utilizza la parola di origine germanica burg, utilizzata nei nomi di molte città tedesche, oltre che nella città russa di San Pietroburgo (lo zar Pietro il Grande era un noto germanofilo). Infine, la risposta C indica la città inglese di Manchester, che, come molte altre località britanniche si compone del termine chester, derivato dal latino castrum, ossia accampamento. Al fine della soluzione è necessario, quindi, utilizzare un criterio lessicale SILLOGISMO Il SILLOGISMO è un ragionamento concatenato in cui, combinando tra loro (secondo certe regole) i termini presenti in due o più premesse, si può dedurre una logica conclusione che esplicita una nuova relazione tra i soggetti delle premesse stesse. Il sillogismo è il tipo di ragionamento logico più famoso di sempre. La parola sillogismo è da sempre associata alla figura del filosofo greco Aristotele, che per primo ha ideato questo tipo di ragionamento. Quando si parla di sillogismo si intende un discorso consequenziale che parte da determinate premesse per arrivare a conclusioni logiche. Vediamolo nel dettaglio come funziona e la differenza tra un sillogismo dialettico e uno scientifico. Il sillogismo è formato da tre proposizioni, di cui due sono le premesse e una la conclusione. L'esempio di sillogismo aristotelico più famoso è probabilmente questo: Premessa: Ogni animale è mortale Premessa: Ogni uomo è animale Conclusione: Ogni uomo è mortale ma come si fa a stabilire che il sillogismo, ovvero la sua conclusione, sia valido?È possibile grazie al cosiddetto termine medio (nel nostro caso “animale”) che unisce gli altri due termini (è contenuto in quello maggiore – “mortale” - e contiene quello minore “uomo”). Aristotele distingueva tre tipi di sillogismo, a seconda della funzione che il termine medio ha nelle premesse. Un primo tipo è quello in cui il termine medio funge una volta da soggetto e una volta da predicato. ◾ Es.: “tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo; dunque Socrate è mortale”. Un secondo tipo è quello in cui il termine medio funge da predicato in entrambe le premesse. ◾ Es.: “nessun metallo è più leggero dell’acqua; ogni gas è più leggero dell’acqua; dunque nessun gas è un metallo”. Un terzo tipo prevede il termine medio come soggetto in tutte e due le premesse. ◾ Es.: “tutti gli uomini sono animali; tutti gli uomini sono ragionevoli; dunque alcuni animali sono ragionevoli”. Un sillogismo è vero solo se le sue premesse sono assunte come vere e non sono bisognose di dimostrazione. Per risolvere tali quesiti, dunque, è importante seguire il ragionamento solo sulla base delle premesse fornite, prescindendo dalle proprie conoscenze, perché spesso la conclusione del sillogismo non corrisponde alla realtà. La conclusione che gli asini volano, ad esempio, può essere la risposta giusta anche se tutti noi sappiamo che gli asini non volano, sempre che sia rispettato il ragionamento proposto. Il contenuto delle frasi è pressoché ininfluente ai fini della risoluzione del quesito, quindi è bene trattare le frasi solo dal punto di vista della struttura e non del contenuto che potrebbe essere fuorviante. Ricordate che il sillogismo è ragionamento allo stato puro: per ragionare correttamente è dunque necessario staccare la forma dal contenuto. I sillogismi non sono né veri né falsi ma coerenti o incoerenti: tutto dipende dalle premesse che si hanno in partenza. Ad esempio partendo da premesse false del tipo: ◾ tutte le cose verdi sono piante ◾ le rane sono verdi saremo autorizzati ad accettare quale conclusione esatta l’affermazione secondo cui “le rane sono piante”. Si giungerà dunque a conclusioni che sappiamo non corrispondere alla realtà ma che risultano coerenti dal punto di vista logico. Per rispondere correttamente a quiz di questo genere è quindi fondamentale seguire il ragionamento solo sulla base delle premesse fornite e mai sulla base delle proprie conoscenze. Per risolvere un sillogismo è fondamentale individuare il corretto rapporto tra i termini: a tale scopo può essere utile rappresentare graficamente quanto contenuto nelle premesse. NEGAZIONI Le negazioni sono enunciati espressi in forma negativa, da cui bisogna dedurre la conclusione corretta. Possiamo trovarle formulate in diversi modi. Se dico “Non tutti i biondi sono furbi”, vuol dire che qualche biondo può non esserlo. Questo perché il contrario di non tutti è qualche/qualcuno. Per lo stesso motivo, se dico “Non è vero che tutti i biondi sono furbi”, significa che alcuni biondi non sono furbi. Un signore chiese ad un filosofo di guardare dalla finestra per vedere se pioveva e per tutta risposta disse “non credo sia giusto negare che ci si sbagli nell’affermare che è falso dire che piove!”. Pioveva o era bel tempo? Si tratta di una tipologia di quesiti piuttosto frequente. Se non si adottano delle strategie di risoluzione, ci si perde nel dedalo delle negazioni. Scomponiamo la frase in tre parti: ◾ non credo sia giusto negare equivale a dire è giusto affermare, o meglio è vero ◾ che ci si sbagli nell’affermare equivale a dire che è corretto negare o meglio che ci si sbaglia a dire ◾ che è falso dire che piove equivale a dire che non è vero che piove Ricostruiamo la nuova frase in questo modo: È vero che ci si sbaglia a dire che non è vero che piove, che potrebbe essere semplificata maggiormente elidendo la prima parte, … si sbaglia a dire che non è vero che piove. Ora la frase è più chiara, infatti si può concludere che stava piovendo! La risoluzione di tali quesiti è facilitata dall’identificazione di proposizioni equivalenti a quelle da negare, che esprimono dunque gli stessi valori di verità. Nella tabella successiva si riportano diverse tipologie di proposizioni e le corrispondenti proposizioni a esse equivalenti.La negazione logica di una proposizione p è la proposizione non p che risulta essere falsa se p è vera e vera se p è falsa. In generale, la negazione logica può essere ottenuta anteponendo a una proposizione il non o qualunque espressione linguistica a esso equivalente come, ad esempio, non è vero che, è falso che ecc., ricordando che due negazioni nella stessa frase si annullano. Talvolta la negazione si può ottenere affermando l’esatto contrario della proposizione di partenza (es. Il tempo è bello/Il tempo è brutto); nel caso invece di quantificatori universali (tutti, nessuno ecc.) la negazione logica si ottiene affermando che almeno un elemento dell’insieme possiede quella certa proprietà e non affermando che tutti gli elementi dell’insieme possiedono quella proprietà (es. tutti sono magri/almeno uno non è magro). Risoluzione: nella serie numerica proposta, tutti i numeri sono legati dalle seguenti doppie operazioni matematiche che si ripetono alternativamente: "x2-1" e "x2+1"; si ha infatti: 2x2-1 = 3; 3x2+1 = 7; 7x2-1 = 13; 13x2+1 = 27; 27x2-1 = 53; 53x2+1 = 107 I numeri incogniti sono quindi 53 e 107: la risposta corretta è la c). 3) Traccia: Individuare il numero che segue logicamente: 100, 95, 85, 70, 50, ? [risposte: a) 30; b) 25; c) 35; d) 20; e) 15] Risoluzione: tutti i numeri della serie numerica proposta nella traccia sono legati tra loro in modo sequenziale da un'operazione di sottrazione, in cui il sottraendo aumenta sempre di 5 unità procedendo da una coppia di numeri a quella successiva: 100-5 = 95; 95-10 = 85; 85-15 = 70; 70-20 = 50; 50-25 = 25 La risposta esatta è, quindi, la b). 4)Traccia: Completare correttamente la seguente successione numerica: 101; 104; 79; 65; 68; 43; ?; ? [risposte: a) 29; 4; b) 46; 32; c) 29; 32; d) 18; 21; e) 29; 42] Risoluzione: i numeri che costituiscono la successione sono legati "a saltelli" dall'operazione matematica "-36"; infatti, si ha tra primo, quarto e settimo termine della successione: 101-36 = 65; 65-36 = 29 La stessa logica si applica tra secondo, quinto e ottavo termine: 104-36 = 68; 68-36 = 32 Anche il terzo e il sesto termine della successione sono legati dalla stessa operazione: 79-36 = 43 La risposta corretta è, quindi, la c). INSIEMISTICA Individuare il diagramma della figura che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i termini dati: alberi, pini, panchine. [risposte: a) diagramma 4; b) diagramma 3; c) diagramma 2; d) diagramma 1; e) diagramma 6] Risoluzione: I pini sono degli alberi; si ha quindi che l'insieme "pini" è incluso nell'insieme "alberi". Gli alberi non sono panchine (e viceversa); pertanto l'insieme "alberi" e l'insieme "panchine" sono disgiunti, ossia non hanno elementi in comune. Stesso ragionamento vale per i pini: i pini non sono panchine (e viceversa), perciò gli insiemi "pini" e "panchine" sono disgiunti, ossia hanno intersezione nulla. Il diagramma che rappresenta correttamente la relazione tra le 3 parole è il diagramma 2. La risposta corretta è, quindi, la c). RAGIONAMENTO DEDUTTIVO E INDITTIVO La definizione famosa (attribuita ad Aristotele): 1. Ragionamento deduttivo: “dal generale al particolare” (in realtà anche “dal generale al generale, o addirittura “dal particolare al generale”, ecc.) 2. Ragionamento induttivo: “dal particolare al generale” (in realtà anche “dal particolare al particolare”, o addirittura “dal generale al generale”, ecc.) Questa definizione non è corretta. Aristotele però, quando ha menzionato questa cosa, non parlava, in generale, degli argomenti induttivi e deduttivi. Lui aveva in mente un oggetto molto particolare: i sillogismi categoriali → il tipo di inferenze che studiava lui. NON È VERO CHE LA DEDUZIONE VA DAL GENERALE AL PARTICOLARE E CHE L’INDUZIONE FA IL CONTRARIO. La definizione corretta: 1. Negli argomenti deduttivi la verità delle premesse garantisce la verità della conclusione e, in modo analogo, la falsità della conclusione comporta necessariamente la falsità di almeno una premessa; Se ho un argomento deduttivo e ho una conclusione falsa, io posso inferire, a ritroso, che ho almeno una premessa falsa. 2. Negli argomenti induttivi, la verità delle premesse non garantisce la verità della conclusione e, in modo analogo, la falsità della conclusione non comporta necessariamente la falsità di alcuna premessa. Le inferenze deduttive servono ad esplicitare conclusioni che sono già presenti nelle premesse, e non contengono alcun elemento di novità rispetto ad esse (banalità del ragionamento deduttivo). La conclusione è praticamente già implicita nelle premesse, ma questo non vuol dire che esse siano più semplici. È banale in un senso tecnico: per far sì che la verità delle premesse garantisca la verità della conclusione, in un certo senso la conclusione deve essere già implicita nelle premesse. Esempio: “Se X conosce la ricetta del tiramisù, allora X è italiano” “X conosce la ricetta del tiramisù” “X è italiano” Le inferenze induttive portano a conclusioni che non sono una conseguenza logica delle premesse, anche se le premesse possono tuttavia influenzare la credibilità della conclusione (non banalità del ragionamento induttivo). La conclusione non è implicita nelle premesse, a differenza di quelle deduttive; tuttavia, da un altro lato sono più vulnerabili (nuove informazioni possono alterarle/influenzarle). Esempio: “X conosce la ricetta della cassata siciliana” “X conosce la ricetta del tiramisù” “X è italiano” Sono due tipi di argomenti con pregi e difetti diversi: - DEDUTTIVO: BANALE (conclusione implicita nelle premesse: la banalità è sia un pregio che un difetto, poichè mi garantisce che da premesse vere arrivo ad una conclusione vera, ma non arricchisce così tanto il mio bagaglio di conoscenze → se facessimo uso solo delle deduzioni di fatto non ci sarebbero nuove teorie e nuove scoperte); - INDUTTIVO: VULNERABILE (conclusione non implicita nelle premesse e quindi non scontata, proprio per questo è più vulnerabile ad informazioni nuove); In un argomento induttivo la/e premessa/e (una o più informazioni o evidenze “e”) può/possono avere un impatto (positivo/negativo) sulla credibilità della conclusione (ipotesi H) senza che vi sia una relazione deduttiva fra le due (ossia senza che “e” implichi logicamente H). Esempio: Sono su un’isola e vedo un gatto senza coda, poi ne vedo un altro ed è sempre senza coda; osservo quindi n gatti senza coda: Premesse (o evidenze): e1: il gatto 1 è senza coda; e2: il gatto 2 è senza coda; … en: il gatto n è senza coda; Conclusione: Tutti i gatti sono senza coda. È un’inferenza induttiva debole o forte? Dipende da quanti gatti ho osservato rispetto al totale dei gatti sull’isola (se io ho osservato il 5%, questa inferenza sarà piuttosto debole, mentre se ho osservato il 95%, l’inferenza diventa forte). ) Se ho osservato tutti i gatti di quest’isola ed erano tutti senza coda, diventa un argomento deduttivo (a patto che le mie osservazioni siano affidabili). Assumendo però che io sia sicuro di ciò che ho premesso (di aver visto tutti i gatti), diventa un argomento deduttivo. TERMINOLOGIA: → NON SONO DEDUZIONI, MA INDUZIONI (non banalità). Argomento P → P (dove la conclusione coincide con la premessa) è un argomento deduttivo, anche se non ha alcuna rilevanza. ESERCIZIO IN CLASSE: La conclusione discende necessariamente dalle premesse? Se le premesse sono vere, è vera anche la conclusione? Se sì, è deduttivo. Nome Esempio Allitterazione Ripetizione della stessa fresche le mie parole nella consonante o della stessa sera sillaba all’inizi di parole ti sien come il fruscio che fan contigue. le foglie (D° Annunzio) Onomatopea Si ha quando una parola imita | il tuono rimbombò di o suggerisce il suono dell'oggetto o dell’azione che significa. schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo (Pascoli) Figura etimologica Accostamento di parole aventi la stessa radice questa selva selvaggia e aspra e forte (Dante) Assonanza Si ha quando le vocali finali di | Es: collo, posto una parola coincidono. È una rima imperfetta. Consonanza Si ha quando le consonanti | Es: molto, salto finali di una parola coincidono. È una rima imperfetta. Similitudine Confronto tra due elementi in | E come quei che con lena base a caratteristiche affannata, uscito fuor del comuni. La similitudine è pelago a la riva, si volge a resa esplicita da un l'acqua perigliosa e guata, così termine di paragone: come, l'animo mio, ch'ancor fuggiva, tanto, tale, simile, ecc. si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. (Dante, Zn£0) Metafora Sostituzione di una parola Per es. dalla similitudine con un’altra il cui senso il mio amore brucia come letterale ha una qualche una fiamma possono somiglianza col senso derivare le metafore: letterale della parola il mio amore è una fiamma sostituita. la mia ardente fiamma Tradizionalmente la metafora | /a mia fiamma è considerata una similitudine abbreviata, cioè | viaggio = metafora della vita senza il “come”. Allegoria Rende concreta un'immagine | La Commedia di Dante è tutta astratta, attribuendo un una lunga allegoria; Analogia E simile alla metafora ma più | Tornano in alto ad ardere le ardita. Unisce elementi che favole (Ungaretti). sono totalmente dissimili sul piano della logica. Personificazione Attribuire qualità umane a Il mare era furibondo. oggetti inanimati o animali. Perìfrasi Sostituzione di un solo La gloria di colui che tutto termine con un “giro di move (=di Dio) (Dante) parole”, o una definizione, o una parafrasi. Ipèrbole Esagerazione, per eccesso 0 E un secolo che non ci per difetto. vediamo Sinestesia Tipo di metafora che consiste | un colore caldo nel trasferimento di l'urlo nero della madre significato dall’uno all’altro | (Quasimodo) campo sensoriale. Ossìmoro Unione paradossale di due tacito tumulto (Pascoli) termini antitetici. la morte che vive (Montale) Litòte Negazione del contrario per | Don Abbondio non era nato affermare un concetto con un cuor di leone in forma attenuata. Antìtesi Accostamento di due termini | Non fronda verde, ma di o espressioni di senso opposto o contrastante. colore fosco; non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tosco (Dante) Domanda retorica Domanda che, anziché richiedere un'informazione, attende come sola risposta una conferma: Il leone non è forse il re della foresta? Metonimia Sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo un rapporto di contiguità logica. Si può sostituire ad esempio: il concreto per l’astratto “avere del fegato", l'astratto per il concreto “sei una bellezza"; l’effetto per la sua causa “le sudate carte”; la causa per il suo effetto “vive del suo lavoro”; Sineddoche Sostituzione di un termine Si può sostituire con un altro che ha ad esempio: con il primo un rapporto di la parte per il tutto tornare al quantità. tetto il tutto per la parte pelliccia di visone il genere per la specie i comuni mortali la specie per il genere il pane quotidiano il singolare per il plurale non passa lo straniero Secondo molti si tratta di una forma di metonimia. Enjambement È quando alla fine del verso | Si sta come la frase non si conclude ma d'autunno prosegue il suo significato nel | (Ungaretti) Verso successivo. Climax Espressione di un'idea con Veloce? E un razzo, una più parole aventi un scheggia, un fulmine! valore gradatamente più intensivo o viceversa Anafora (iterazione) Ripetizione di una o più sentivo il cullare del mare, parole all’inizio di enunciati, | sentivo un fru fru tra le fratte; o di loro segmenti, successivi. | sentivo nel cuore un sussulto (Pascoli) Chiasmo Inerocio di membri Le donne, i cavallier corrispondenti, dove due o fo ORO ili più termini collocati in A A successione seguono in L'arme gli amori uno dei membri l’ordine (Ariosto) inverso a quello dell’altro. Anàstrofe (inversione) Inversione del normale ordine sintattico degli elementi di una frase (SVO). All’opre femmimli intenta / sedevi (Leopardi) Ipèrbato Interposizione di un segmento di enunciato tra i due costituenti di un sintagma. O belle agli occhi miei tende latine (Tasso) Mille di fiori al ciel mandano incensi (Foscolo) Enumerazione (per asindeto) Enumerazione (per polisindeto) Assenza di congiunzioni coordinanti. Ripetizione insistita di una congiunzione. Veni, vidi, vici (Cesare) E mangia e beve e dorme e veste panni (Dante) DITTONGHI, TRITTONGHI, IATO Nelle parole lieto, scuola, abbia, premiato, tuoi, i gruppi vocalici ie, uo, ia, uoi si pronunciano con una sola emissione di fiato. Un gruppo di due vocali che si pronuncia con una sola emissione di voce si chiama dittongo; un gruppo di tre vocali che si pronuncia con una sola emissione di voce si chiama trittongo. Le vocali di un dittongo o di un trittongo appartengono tutte alla stessa sillaba, sono cioè inseparabili: lie-to, scuo-la, ab-bia, pre-mia-to, tuoi. Il dittongo deriva dall'incontro di vocali deboli (i, u) con vocali forti (a, e, o). Esempi di parole che contengono un dittongo: ia, ie, io, iu --» piatto, fieno, fiore, fiume, chiodo, coppia, fiato, piano, chiave. ua, ue, ui, uo --» guasto, guerra, guida, fuori, tuoni, nuovo, guanti. ai, au --» dirai, causa. ei, eu --» nei, neutro, reumatismi. oi --» voi, poiché. Esempi di parole che contengono un trittongo: aio --» paio iai --» premiai, scambiai, mangiai, arrabbiai, ampliai. iei --» miei iuo --» paiuolo, aiuola, giuoco uai --» guai, attuai, mutuai uia --» seguiamo, continuiamo, reliquia uie --» quiete, acquietare uio --» colloquio, uoi --» tuoi, suoi, buoi, puoi, vuoi, Nei gruppi qua (que, qui, quo), gua (gue, gui, guo), cia (cie, cio, ciu), gia (gie, gio, giu), scia (scie, scio, sciu), glia (glie, glio, gliu) la u ed la i non danno luogo a dittongo, perché in questi gruppi esse sono dei puri segni grafici che servono a dare a q, g , c, sc, gl suoni particolari che non avrebbero: la i di mancia, per esempio, serve a dare a c un suono palatale diverso dalla c di manca: se non ci fosse la u, la parola questo si pronuncerebbe kesto ecc. Il dittongo mobile: Piede – pedestre – pedata Cielo – celeste – celestiale Suono – sonante – sonoro Scuola – scolaro – scolastico I dittonghi iè e uò, quando perdono l’accento tonico, o sono seguiti da più consonanti, si mutano nelle semplici vocali e ed o. Per questo si chiamano dittonghi mobili. Non sempre, però, tale regola è osservata, per cui il dittongo si conserva spesso anche nelle forme con l’accento sulla penultima: suonatòre (o sonatòre), suonàva (o sonava), cuociàmo (o cociàamo) ecc. In certi casi il dittongo mobile non si ha per nulla: mietévo, fienìle (e non metévo o fenile). IATO Partiamo dalla frase: tua zia è maestra e scrive poesie. I gruppi vocalici delle parola tua, zia, maestra, poesie si pronunciano con due emissioni di voce, cioè separatamente: tu-a, zi-a, ma-e-stra, po-e-si-e. Quando due vocali incontrandosi si pronunciano separatamente, con due emissioni di voce, formano uno iato. Lo iato avviene: - Quando si incontrano due vocali forti (a, o, e): po-e-ta, a-e-re-o, bo-a-to, e-ro-e, pa-e-se. - Quando le vocali deboli (i, u) hanno l’accento tonico: pa-ù-ra, zì-o, tù-o, vì-a, po-e-sì-a. - Per eccezione, in poche parole come li-u-to, pi-o-lo (da pi-uo-lo) ecc. - Si ha pure iato nelle parole derivate da altre contenenti iato: viùz-za (derivato di vì-a); nei composti con i prefissi ri- e re-: ri-a-ve-re, re-a-gi-re; quando la i è preceduta da r: a-ri-o-so. Le vocali dello iato appartengono sempre a due sillabe diverse. Alcune parole che contengono uno iato: leopardo, viuzza, area, mia, soave, riavere, poeta, maestro, paese, biennale DIVISIONE IN SILLABE Come andare a capo Nel dividere una parola in sillabe e per andare a capo bisogna ricordare queste regole: 1 - le doppie: due consonanti uguali si separano. Esempio: col-la, pal-la, ros-so, cop-pa, sel-la … 2 - la s non si separa mai dalla consonante che la segue, eccetto quando è seguita da un’altra s. Esempio: mae-stra, pa-sta, giu-sti-fi-ca-zio-ne, busta, fru-sta… 3 - una vocale iniziale di parola , seguita da una consonante semplice, fa sillaba a sé. 2 Esempio: a- rit-me-ti-ca, a-per-to, a-mo-re, u-va, ape… 4 - le due consonanti cq , quando si trovano insieme in una parola, si separano. Esempio: ac-qua, nac-que, ac-quo-so, ac-qui-sto, piac-que … 5 - le consonanti l, m, n, r, seguite da un’altra consonante si separano. Esempio: col-tel-lo, cam-po, can-cel-lo, par-co… 6 - le consonanti semplici fanno sillaba con la vocale che segue. Esempio: ta-vo-lo, ma-ti-ta, ge-la- to, pa-ra-di-so, po-ve-ro... 7 - un gruppo di due o tre consonanti, che nella nostra lingua possono anche venire a trovarsi in principio di parola, si unisce alla vocale che segue. Esempio: a-stro, lu-stro, i-stri-ce, ve-tro, la-dro… 8- mai a capo con una vocale Esempio: pio-ve, pau-ra, ae-reo, ie-ri, scuo-la … Non è corretto separare due vocali a fine riga e andare a capo cominciando con la vocale, per cui si scriverà: Esempio: mae- stra e non ma- estra REGOLE PER LA PUNTEGGIATURA Il punto (anticamente punto fermo, maggiore, stabile, finale o periodo) si usa per indicare una pausa forte che segnali un cambio di argomento o l'aggiunta di informazioni di altro tipo sullo stesso argomento. Si mette in fine di frase o periodo e, se indica uno stacco netto con la frase successiva, dopo il punto si va a capo. Il punto è impiegato anche alla fine delle abbreviazioni (ing., dott.) ed eventualmente al centro di parole contratte (f.lli, gent.mo), ricordando che in una frase che si concluda con una parola abbreviata non si ripete il punto (presero carte, giornali, lettere ecc. Non presero i libri). «Non è raro, nello scrivere moderno, l'uso del punto fermo dove una volta si sarebbero messi i due punti o anche il punto e virgola. Su ciò non possono darsi regole fisse: il prudente arbitrio dello scrittore giudicherà in ogni caso quel che convenga meglio» (Malagoli 1905: 133). La virgola (detta nel passato anche piccola verga) indica una pausa breve ed è il segno più versatile, «può infatti agire all'interno della proposizione, ma può anche travalicarne i confini e diventare elemento di organizzazione del periodo nella sua funzione di cesura fra le diverse proposizioni» (Biffi 2002). -Si usa, o almeno si può usare, la virgola: negli elenchi di nomi o aggettivi, negli incisi (si può omettere, ma se si decide di usarla va sia prima sia dopo l'inciso); dopo un'apposizione o un vocativo e anche prima di quest'ultimo se non è in apertura di frase (Roma, la capitale d'Italia. Non correre, Marco, che cadi). Nel periodo si usa per segnalare frasi coordinate per asindeto (senza congiunzione, es: studiavo poco, non seguivo le lezioni, stavo sempre a spasso, insomma ero davvero svogliato), per separare dalla principale frasi coordinate introdotte da anzi, ma, però, tuttavia e diverse subordinate (relative esplicative, temporali, concessive, ipotetiche, non le completive e le interrogative indirette). Le frasi relative cambiano valore (e senso) a seconda che siano separate o meno con una virgola dalla reggente: gli uomini che credevano in lui lo seguirono cioè 'lo seguirono solo quelli che credevano in lui' è una relativa limitativa; gli uomini, che credevano in lui, lo seguirono, ovvero 'lo seguirono tutti gli uomini perché credevano in lui', è una relativa esplicativa. - La virgola non si mette: tra soggetto e verbo (se altre parole si frappongono tra questi due elementi occorre prestare più attenzione); tra verbo e complemento oggetto; tra il verbo essere e l'aggettivo o il nome che lo accompagni nel predicato nominale; tra un nome e il suo aggettivo. Il punto e virgola (punto acuto, punto coma) segnala una pausa intermedia tra il punto e la virgola e il suo uso spesso dipende da una scelta stilistica personale. Si adopera soprattutto fra proposizioni coordinate complesse e fra enumerazioni complesse e serve a indicare un'interruzione sul piano formale ma non sul piano dei contenuti («il capo gli si intorbidò di stanchezza, di sonno; e rimise la decisione all'indomani mattina», A. Fogazzaro, Piccolo mondo moderno). I due punti (punto addoppiato, doppio, piccolo) avvertono che ciò che segue chiarisce, dimostra o illustra quanto è stato detto prima. Serianni 1989: I 222 riconosce quattro funzioni dei due punti che sembra utile riprendere: sintattico-argomentativa (si introduce la conseguenza logica o l'effetto di un fatto già illustrato); sintattico-descrittiva (si esplicitano i rapporti di un insieme); appositiva (si presenta una frase con valore di apposizione rispetto alla precedente); segmentatrice (si introduce un discorso diretto in combinazione con virgolette e trattini). I due punti introducono anche un discorso diretto (prima di virgolette o lineetta) o un elenco. Il punto interrogativo (punto domandativo, «che con linea sopra capo... ma tortuosa, si segna», A.M. Salvini, Prose toscane, 1735), si usa alla fine delle interrogative dirette, segnala pausa lunga e l'andamento intonativo ascendente della frase. Il compito di comprensione dei testi non si esaurisce nella semplice frammentazione del brano in tanti dettagli informativi, dato che di frequente si richiede al candidato di trarre delle conclusioni da quanto ha letto, del tipo: ◾ Quali conclusioni è possibile trarre dal brano che avete letto? ◾ Qual è lo stile del brano? ◾ Quale tra le seguenti argomentazioni è la più corretta? ◾ Quale potrebbe essere il titolo del brano? ESERCIZI CON SPIEGAZIONE Prova a rispondere a questi quesiti e poi controlla la risposta con i relativi commenti. 1) Le spese pubblicitarie incidono fortemente sui costi di produzione e quindi sui costi finali dei prodotti quando questi vengono venduti al pubblico.Le associazioni dei consumatori non apprezzano le campagne pubblicitarie, specialmente quelle tra grandi marche rivali, come tra i produttori di carburante o tra i produttori di detersivi.Tali prodotti, infatti, sono talmente simili da essere praticamente indistinguibili tranne per il marchio e il confezionamento.La maggior parte del denaro destinato alle spese pubblicitarie potrebbe essere piuttosto investito per abbassare i prezzi dei prodotti.Detto questo, si può dedurre che le campagne pubblicitarie siano svantaggiose per i consumatori. Se considerata vera, quale delle seguenti affermazioni rende meno forte l’argomentazione precedente? A) L’industria pubblicitaria riesce ad assumere personale che altrimenti sarebbe disoccupato. B) I produttori non spenderebbero in campagne pubblicitarie se non ritenessero che queste fossero di beneficio per i consumatori. C) Le pubblicità spesso presentano la qualità dei prodotti in maniera fuorviante. D) La pubblicità non influenza in alcun modo la scelta dei consumatori. E) Aumentando la concorrenza, le campagne pubblicitarie migliorano la qualità generale dei prodotti sul mercato. 2) Gli studenti delle scuole statunitensi hanno proposto di poter scegliere da soli il proprio curriculum di studi.Consentire ciò sarebbe tanto disastroso quanto permettere ai bambini di tre anni di decidere la propria dieta.Gli studenti in questione non hanno né la maturità, né l’esperienza per poter sostituire i professionisti che attualmente svolgono questa funzione. Quale delle seguenti affermazioni rafforzerebbe l’argomentazione sopra riportata? A) Gli studenti statunitensi hanno un livello di istruzione inferiore a quello dei professionisti che attualmente delineano i curricula. B) I bambini di tre anni non sono in grado di scegliere da soli diete sane ed equilibrate C) Gli studenti statunitensi sono meno intelligenti della media dei loro coetanei di altri paesi D) I curricula individuali sono meglio di quelli standardizzati E) La capacità di scegliere in modo appropriato un buon curriculum di studi si sviluppa solo dopo anni di esperienza nelle istituzioni scolastiche e dopo essere diventati adulti. Risposte 1. Risposta corretta: E. La prima parte del ragionamento proposto è che le spese sostenute da marche rivali per effettuare campagne pubblicitarie incidono negativamente sui costi di produzione e quindi sui prezzi finali dei beni che diventano, di conseguenza, più cari per i consumatori.La seconda parte afferma che la pubblicità è inutile perché i prodotti sono, a parte marchio e confezione, totalmente simili tra loro.Date tali premesse, la conclusione che le campagne pubblicitarie sono svantaggiose per i consumatori perché hanno l’unico effetto di incidere sui costi di prodotti sostanzialmente identici.Per poter indebolire l’argomentazione è necessario introdurre una considerazione che mostri come in realtà ci sono dei benefici per i consumatori derivanti dalle campagne pubblicitarie.l’alternativa che riesce in tale intento è la E, secondo cui le campagne pubblicitarie, aumentando la concorrenza tra marche rivali, hanno come effetto un miglioramento della qualità generale dei prodotti sul mercato, fatto che rappresenta certamente un vantaggio per il consumatore. 2. Risposta corretta:E L’argomentazione iniziale può essere suddivisa in tre componenti: -l’evidenza o fatto: gli studenti statunitensi hanno proposto di scegliere da soli il proprio curriculum di studi -la conclusione o giudizio conclusivo: gli studenti statunitensi non hanno né la maturità né l’esperienza per poter sostituire i professionisti che attualmente svolgono la loro funzione -l’ipotesi implicita: deve essere l’elemento che collega l’evidenza alla conclusione. Andando per esclusione:l’alternativa A non rafforza l’argomentazione, trattandosi di un’informazione già nota.L’alternativa B, per quanto inerente ad una metafora utilizzata dall’autore dell’argomentazione, è estranea alla conclusione, non serve. Le alternative C e D sono anche esse irrilevanti ai fini dell’argomentazione. L’alternativa E, invece, fornisce proprio quell’elemento che collega logicamente l’evidenza con la conclusione:sapendo infatti che la capacità di scegliere accuratamente i curricula si sviluppa solo co l’esperienza e dopo aver raggiunto l’età adulta, è evidente che gli studenti stessi non sono in grado di svolgere tale funzione.La connessione logica che lega gli elementi che la compongono risulta dunque rafforzata. 3) Comprendere il senso del brano «Ancora ventanni fa era possibile elencare moltissimi filosofi, storici, sociologi, psicologi che i giovani leggevano con avidità considerandoli dei maestri. […] Prendete ora qualsiasi giovane e domandategli quali autori legge abitualmente considerandoli dei maestri. Spesso non ne nominano nemmeno uno. […] Non sanno più la storia. Girano il mondo e non sanno localizzare su una carta geografica dove sono gli Stati. Navigano in internet ma, poiché su internet ci sono solo frammenti, fanno un minestrone di frammenti che non riescono a ordinare. […] Non sono i giovani che sono apatici, morti, ignoranti, pigri, siamo noi che non abbiamo capito che l’essere umano è, nel profondo, un combattente, che ha al suo interno una spinta irrefrenabile a salire in alto. È questa che bisogna risvegliare. Ma non la si risveglia con il “poverino, poverino” e con la pigrizia. E la si uccide con l’indifferenza. La si risveglia solo additando una meta e dimostrando, con il tuo esempio, che ci credi e che sei pronto a batterti insieme a loro per raggiungerla ». (Da Francesco Alberoni, In ogni giovane apatico si nasconde un combattente, Corriere della Sera, 7/3/2GG5, p. I) Delle cinque considerazioni che la situazione descritta potrebbe far venire in mente SOLO UNA, stando a quanto appena letto, sarebbe condivisa da Alberoni. La si individui. A) Al giorno d’oggi mancano le personalità eminenti di un tempo, dotate di straordinarie prerogative intellettuali e culturali B) II tramonto delle grandi ideologie giustifica il disimpegno intellettuale e pratico di tanti giovani rimasti senza “fedi” C)La disaffezione di tanti giovani d’oggi nei confronti della lettura è la spia del carattere meramente commerciale delle scelte editoriali dell’industria della carta stampata D) Fare meno viaggi virtuali in internet ed aumentare quelli reali in giro per il mondo aiuterebbe i giovani a ritrovare l’entusiasmo perduto E) La presunta apatia dei giovani d’oggi riflette in realtà le carenze degli adulti, che non sanno impegnarsi con loro nella comune rincorsa di nuovi traguardi Seguendo i suggerimenti precedentemente descritti andiamo alla ricerca delle informazioni più pertinenti iniziando a leggere rapidamente le cinque alternative proposte. È altresì indispensabile fare attenzione anche alle istruzioni, in questo caso si richiede di individuare l’unica conclusione che sarebbe considerata accettabile da quanto letto, in altri casi si potrebbe richiedere di individuare l’unica affermazione non attinente al brano. Dunque si presuppone che dalla lettura del brano, nella fattispecie un articolo apparso su un grande quotidiano, si possano esprimere delle considerazioni e che, tra le cinque proposte, soltanto una sarebbe condivisa dall’autore Francesco Alberoni. Esaminiamo una ad una le cinque considerazioni proposte. L’alternativa A, “mancano le personalità eminenti di un tempo…” non è suffragata dal testo. Si dice che i giovani non hanno nessuna figura di riferimento, il che potrebbe implicare che non ci siano le personalità di un tempo, tuttavia, il nostro compito non è lavorare sulle implicazioni probabili, ma individuare delle conclusioni sulla base di quanto abbiamo letto. La considerazione corrispondente alla lettera A è dunque da scartare. Neanche l’alternativa B è desumibile dal brano. Non si dice né si lascia intendere che il disimpegno intellettuale dei giovani sia giustificato dalla caduta delle ideologie. La considerazione descritta alla lettera C è puramente riempitiva, non si discute delle scelte editoriali troppo commerciali dell’industria editoriale odierna, l’argomento dell’articolo non lascia adito a dubbi in merito. Si parla nel brano di internet, ma come esempio accessorio delle modalità di raccolta delle informazioni utilizzate dai giovani: si dice che internet fornisce delle informazioni frammentarie e che i giovani non riescono ad ordinarle, ma non implica che i giovani dovrebbero fare meno viaggi virtuali. Quindi anche la conclusione D è da scartare. Non ci resta che la conclusione E, in cui si nel monologo. Pertanto il termine incognito “x” deve rappresentare una prova o un’esibizione, mentre la “y” deve rappresentare la persona che la sostiene o la effettua. 6) Individuare la parola da scartare. A.Staffetta B.Maratona C.Sollevamento pesi D.Salto con l’asta E.Lancio del disco C. Nel quesito sono elencate alcune discipline sportive che rientrano nell’atletica leggera (staffetta, maratona, salto col disco e salto con l’asta) ad eccezione del sollevamento pesi che afferisce, invece, all’atletica pesante (insieme con la lotta e il judo) e che pertanto è la parola da scartare. 7) Tempo sta a cronometro come pressione sta a …: A.altimetro B.termometro C.barometro D.igrometro E.anemometro C. Il quesito chiede di completare la proporzione individuando il termine incognito. Si noti che il primo membro della proporzione mette in relazione una grandezza, ossia il “tempo”, con lo strumento adoperato per misurarla, ossia il “cronometro”. Al secondo membro è presente la grandezza “pressione”, pertanto l’incognita “x” deve essere sostituita con uno strumento di misura utilizzato per determinare la pressione. L’alternativa corretta è dunque “barometro”, dispositivo utilizzato per misurare la pressione atmosferica. Le altre risposte vanno scartate, infatti: l’altimetro serve per misurare l’altezza di un punto dal livello del mare, il termometro misura la temperatura; l’igrometro l’umidità atmosferica e, infine, l’anemometro misura la velocità del vento. 8) “Il male non ci ferma: possiamo cadere mille volte, ma il male non ci definisce, come invece definisce la mentalità mondana, per cui alla fine gli uomini giustificano quello che non riescono a non fare. Caratteristica della vera moralità è allora il desiderio di correzione. Il termine “correggere”, che traduce il latino “regere cum”, indica il camminare reggendosi assieme”. Una sola delle seguenti affermazioni è coerente con il significato del brano precedente. Quale? A.Non importa fare il male o il bene: l’importante è fare, tanto poi qualcuno potrà intervenire a correggere gli errori B.Le persone non possono essere fermate dalle azioni malvagie perché alla fine qualcuno giustificherà quello che non riescono a fare C.Una persona veramente morale non ha come caratteristica quella di non fare mai il male, bensì il desiderio di correzione D.Se si cammina assieme si può fare ciò che si vuole perché il giudizio morale deriva dal sorreggersi a vicenda E.Gli uomini con il desiderio di correzione giustificano quello che non riescono a non fare C. L’unica alternativa deducibile dal brano è “Una persona veramente morale non ha come caratteristica quella di non fare mai il male, bensì il desiderio di correzione”; nel testo infatti si afferma che la “caratteristica della vera moralità è (…) il desiderio di correzione”. La risposta “Non importa fare il male o il bene: l’importante è fare, tanto poi qualcuno potrà intervenire a correggere gli errori” non deriva dal brano in questione, nel quale si asserisce l’importanza del correggersi, ma non si incita a svolgere azioni senza un discernimento iniziale su cosa sia bene o male. L’alternativa “Le persone non possono essere fermate dalle azioni malvagie perché alla fine qualcuno giustificherà quello che non riescono a fare” non è deducibile dal brano in esame, in cui non viene mai menzionata l’azione di fermare o meno le persone nelle loro azioni malvagie; si parla semplicemente di correzione delle azioni errate. Nel brano viene affermato che l’etimologia della parola “correggere” proviene dal latino “regere cum” che vuol dire reggersi a vicenda; questa affermazione non implica il fatto che il “giudizio morale” derivi dal “sorreggersi a vicenda, ma solo che il “correggersi” vuol dire etimologicamente “sorreggersi a vicenda”, pertanto deve essere scartata anche l’opzione “Se si cammina assieme si può fare ciò che si vuole perché il giudizio morale deriva dal sorreggersi a vicenda”. Infine, nel brano si legge che “gli uomini giustificano quello che non riescono a non fare”, ma questa giustificazione non è attribuita al desiderio di correzione come erroneamente riportato nell’alternativa “Gli uomini con il desiderio di correzione giustificano quello che non riescono a non fare”. 9) La pianta può essere considerata come una macchina alimentata ad energia solare. ……. fornisce energia per la fotosintesi, il processo mediante il quale l’anidride carbonica e l’acqua vengono trasformati in zuccheri, amido ed ossigeno. È un errore, tuttavia, credere che per la pianta non rappresenti altro che un combustibile: ……. influisce sull’altezza, sul numero di foglie che possono germogliare, sul momento esatto della fioritura e della fruttificazione. Più che costituire una semplice fonte di energia ……. controlla la forma della pianta stessa attraverso il processo della morfogenesi. Dal testo è stata cancellata quattro volte la stessa parola. Quale delle seguenti risulta la più pertinente? A.L’acqua B.L’aria C.La luce D.Il calore E.L’ossigeno C. Sin dalla prima frase ed il suo diretto riferimento al processo di fotosintesi clorofilliana, si evince che la risposta corretta è “La luce”. La fotosintesi clorofilliana è infatti il processo attraverso cui, mediante la clorofilla, viene trasformata l’energia solare (quindi la luce) in una forma di energia utilizzabile dagli organismi vegetali per la propria sussistenza. 10) Scriveva Garibaldi nell’aprile del 1861: “Molti individui che compongono il Parlamento non corrispondono degnamente alle aspettative della nazione, ma la nazione è compatta, a dispetto di chi non lo vuole, e il mondo sa che cosa può fare l’Italia concorde. Hanno voluto creare un dualismo fra l’esercito regolare e i volontari… ma lasciamo queste immondezze perché al di sopra di tutto c’è l’Italia”. Dal brano si deduce che: A.il Parlamento italiano non è in grado di rispondere alle attese degli italiani B.l’Italia è arretrata rispetto alle nazioni confinanti C.il problema dell’Italia è il divario tra Nord e Sud D.il dualismo tra garibaldini e truppe regolari è un falso problema E.la nazione italiana non è stimata all’estero D. L’unica alternativa deducibile dal brano è “il dualismo tra garibaldini e truppe regolari è un falso problema”. Nel testo, infatti, riguardo al dualismo tra l’esercito regolare e quello dei volontari garibaldini, si legge: “lasciamo queste immondezze perché al di sopra di tutto c’è l’Italia”; dunque, per Garibaldi il dualismo non è il vero problema, ma la questione più importante di tutte è l’Italia. Tutte le altre alternative non possono essere prese in considerazione. Infatti l’opzione “il Parlamento italiano non è in grado di rispondere alle attese degli italiani” non può essere dedotta dal brano poiché in esso si afferma che solo alcuni parlamentari non rispondono degnamente alle aspettative del Paese, così come l’alternativa “l’Italia è arretrata rispetto alle nazioni confinanti” non si evince in nessun punto del brano. Allo stesso modo anche le risposte “il problema dell’Italia èil divario tra Nord e Sud” e “la nazione italiana non è stimata all’estero” devono essere scartate poiché si tratta di questioni che non vengono affrontate nel brano proposto. I due diversi nuclei letterari sono legati a situazioni storiche e sociali profondamente diverse: le chansons de geste, più antiche, s’inseriscono nella società feudale, che si sta consolidando militarmente e socialmente, e cantano gli ideali di patria e di fede; i romanzi cavallereschi del ciclo bretone, più recenti, s’inseriscono in una società feudale ormai stabile, che va verso valori borghesi, e cantano l’amore e l’avventura. Il ciclo bretone è seguito da un’ampia produzione lirica, che ha come tema dominante l’”amor cortese”, cioè l’amore verso la donna-castellana cantato dai poeti che frequentano la corte del castello, che costituisce il centro della vita sociale ed economica (sec. XII e XIII). In Germania emerge la Canzone dei Nibelunghi, che unifica due saghe precedenti (1200-1210). Essa è ambientata intorno al 436 ed è incentrata sulla figura di Sigfrido, re dei Nibelunghi, e sulle sue avventure. In Italia il poema nazionale appare con un notevole ritardo rispetto alle altre nazioni europee. Le cause di questo ritardo sono comprensibili: il latino, che è la lingua parlata dalla Chiesa, è molto più radicato che altrove nella cultura ufficiale, perciò gli intellettuali si preoccupano con grande ritardo di porre le basi a una lingua nazionale. Essa racconta il lungo e drammatico viaggio del protagonista, lo stesso autore, nei tre regni dell’oltretomba, per ritrovare la retta via, che aveva smarrito. Il viaggio si conclude con la visione mistica di Dio. In quest’opera i motivi politici, filosofici, teologici e scientifici hanno la prevalenza su tutti gli altri motivi cantati nei poemi precedenti. In tutta Europa ancora per secoli il latino resta la lingua ufficiale degli intellettuali e poi delle università. L’Europa settentrionale lo abbandona con la Riforma protestante (1517) di Martin Lutero; la Chiesa cattolica soltanto con il Concilio Vaticano II (1962-65). Una delle prime opere scritte in lingua italiana è “Il cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi. Le maggiori correnti letterarie del Duecento sono: a)la Scuola siciliana (1230ca.-1260ca.); b) la Scuola toscana (1260ca.-1280ca.); c) la corrente comico-realistica (1260ca.-1310ca.); d) il Dolce stil novo (1274-1294). P Per tutto il secolo poi ha una diffusione capillare la letteratura religiosa, che usa spesso il latino. Il termine religioso è soltanto indicativo perché è inadeguato. La letteratura religiosa è quasi tutta la letteratura esistente e gli autori sono per lo più ecclesiastici o, in alternativa, sono laici che hanno intrapreso la ben remunerata carriera ecclesiastica ma che in cuore sono rimasti laici o quasi. I maggiori esponenti della letteratura religiosa sono Francesco d’Assisi (1182-1226), Tommaso da Celano (1190ca.-1260), Tommaso d’Aquino (1225-1274) e Jacopone da Todi (1236ca.-1306). Il Dolce Stil Novo I poeti del Dolce Stil Novo (1274-94) compongo poesie d’amore. Si tratta di un amore platonico, infatti, influenzati dal potere della Chiesa, questi poeti non sono liberi di elogiare le bellezze ‘fisiche’ delle loro amate, e quindi sublimano il proprio sentimento elogiando i valori morali delle donne: la gentilezza, l’onestà, la bontà. Il Dolce stil novo sorge a Bologna con Guido Guinizelli (1235ca.-1276), che nel 1274 scrive la canzone manifesto Al cor gentil rempaira sempre amore. Da Bologna si diffonde in Toscana, in particolare a Firenze, nel decennio successivo, per esaurirsi poco dopo. I maggiori poeti sono Guido Guinizelli, Dante Alighieri (1265-1321), Guido Cavalcanti (1255- 1300), Lapo Gianni (1260ca.-1328), Cino da Pistoia (1270-1336) e Gianni Alfani. I temi che esso canta sono tre: - amore e cuore gentile si identificano; -la nobiltà non è nobiltà di sangue che si eredita, è gentilezza (o nobiltà) d’animo che si conquista con il proprio ingegno; -la donna è un angelo venuto dal cielo per portare l’uomo a Dio. Lo Stil novo prosegue l’opera di recupero della donna, iniziata dalla Scuola siciliana (alla quale si riallaccia anche per altri motivi): essa non è più la tentatrice, che porta l’uomo alla dannazione eterna; è anz colei che conduce l’uomo a Dio. Il nome alla corrente è dato soltanto molti decenni dopo, verso il 1314, da Dante, quando nel purgatorio polemizza garbatamente con Bonagiunta Orbicciani, uno dei maggiori esponenti della Scuola toscana (Pg XXIV, 49-63). Dante Alighieri (1265-1321) Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà. Ha una formazione letteraria accurata e si mette in luce come il maggiore esponente del Dolce Stil Novo. Sono stilnovistiche le rime, che il poeta in seguito riordina, reinterpreta e in buona parte inserisce nella Vita nova (1292-93), dedicata a Beatrice (Bice di Folco Portinari), la donna ideale di cui si innamora. Nel 1285 sposa Gemma Donati, da cui ha tre figli. Nel 1290 passa un periodo di traviamento spirituale, quando Beatrice muore. Nel 1295, ormai trentenne, entra nella vita politica. Per far ciò, si iscrive all’Arte degli Speziali, come imponevano gli Ordinamenti di giustizia antinobiliari di Giano della Bella (1294). Nel 1266 i guelfi, partigiani del papa, avevano cacciato dalla città i ghibellini, partigiani dell’imperatore. I vincitori si erano poi divisi in due fazioni politiche, i Bianchi e i Neri, in continua lotta tra loro. Egli si schiera con i Bianchi, e ricopre numerosi incarichi. Quando i Neri si impadroniscono della città, Dante è accusato di baratteria e condannato all’esilio. Se non ritornava a Firenze a discolparsi, sarebbe stato condannato a morte. Il poeta non ritorna. Inizia così il periodo dell’esilio. Nel 1304 i Bianchi cercano di ritornare a Firenze con le armi, ma sono duramente sconfitti. Dante non partecipa allo scontro, perché non condivide la loro strategia, basata sul ricorso alle armi. Incomincia così a vagare per l’Italia centrale e settentrionale. È ospitato in diverse corti. Nel 1318 si trasferisce a Ravenna, ospite di Guido Novello da Polenta. Qui muore nel 1321. Le opere più importanti sono la Vita nova (1292-93); il Convivio (1304-07) e il De vulgari eloquentia (1303-05), che rimangono incompiuti; il De monarchia (1313-18); e la Divina commedia (1306- 21), che è la sua opera maggiore. ‘La Divina Commedia’ è scritta da Dante durante il suo esilio tra il 1304 e il 1321. Il capolavoro dantesco consta di 14233 versi ripartiti in terzine, raggruppati in 100 canti, ripartiti a loro volta in tre parti: l’Inferno dal 1304 al 1307 (un’introduzione generica + 33 canti). il Purgatorio dal 1307 al 1313 (33 canti), il Paradiso dal 1316 al 1321 (33 canti). È il racconto di un viaggio fantastico nell’al di là, compiuto nel corso della settimana santa dell’anno 1300 da Dante stesso, tipici dell’Umanesimo, esaltando quei valori propri della borghesia mercantile, ovvero di quella classe sociale che darà il via alla società post medioevale. L’Umanesimo infatti mette l’uomo al centro di tutto (antropocentrismo) mentre il Medioevo metteva Dio al centro di tutto (teocentrismo). Si parla anche di Rinascimento proprio perché tra il 1400 e il 1500 ‘rinasce’ la cultura greco-romana, una cultura laica e umanistica. Nel Decameron i valori che vengono esaltati dall’autore sono quelli dell’amore (un amore fisico e non più spirituale), dell’intelligenza (quell’intelligenza per cui Dante aveva condannato Ulisse, in quest’opera è l’unico strumento che gli uomini hanno per procacciarsi la fortuna), della fortuna (il caso ormai sostituisce l’idea religiosa di destino). L’Umanesimo e il Rinascimento La riscoperta dell'autonomia della natura, con le sue leggi specifiche, porterà durante l’Umanesimo allo sviluppo delle scienze esatte e applicate. In ambito letterario questa rinascenza prende il nome di Umanesimo; in ambito artistico prende il nome di Rinascimento. L’Umanesimo si conclude alla fine del Quattrocento; il Rinascimento invece prosegue fin oltre il 1530. Gli umanisti della prima metà del secolo sono Coluccio Salutati (1331-1406), Giannozzo Manetti (1369-1459), Leonardo Bruni (1370-1444), Poggio Bracciolini (1380-1459), Leon Battista Alberti (1404 -1472) e Lorenzo Valla (1405-1457). Gli umanisti della seconda metà del secolo sono Giovanni Pontano (1422-1503), Luigi Pulci (1432- 1484), Matteo Maria Boiardo (1441-1494), Lorenzo de’ Medici (1449-1494), Agnolo Poliziano (1454-1494), Jacopo Sannazaro (1455-1530) e Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494). Il Rinascimento delle arti si sviluppa per tutto il Quattrocento, e raggiunge il suo massimo sviluppo alla fine del Quattrocento e nel primo trentennio del Cinquecento. Esso coinvolge tutte le arti: la pittura, la scultura, l’architettura, l’urbanistica. Gli artisti più importanti sono Filippo Brunelleschi (1377-1476), Lorenzo Ghiberti (1378-1455), Donatello (1386- 1466), Leon Battista Alberti (1404- 1472), Piero della Francesca (1410ca.-1492), Sandro Botticelli (1445- 1510), Leonardo da Vinci (1452-1519), Michelangiolo Buonarroti (1475-1564) e Raffaello Sanzio (1483- 1520). Molti artisti, come Brunelleschi, Alberti, Leonardo e Michelangiolo, danno contributi significativi in due o più discipline. Le caratteristiche dell’Umanesimo e del primo Rinascimento spesso coincidono: -La riscoperta della letteratura e dell’arte antica. Si diffonde anche la conoscenza della lingua e della cultura greca con l’arrivo in Italia di numerosi intellettuali greci in occasione del concilio di Ferrara (1439-1442), che doveva riunificare la Chiesa romana e quella bizantina. A Roma sono portate alla luce e studiate statue romane o d’influsso greco, che provocano una ripresa originale della statuaria antica. Il latino diventa la lingua ufficiale degli umanisti; e l’eloquenza diventa il fine ultimo della cultura e della pedagogia umanistiche. - Una nuova visione dell’uomo e dei suoi rapporti con la natura e con Dio. L’uomo, come nel mondo antico, diventa il centro di attenzione sia per la letteratura sia per le altre arti. Ed è celebrato per le sue capacità intellettuali e civili, grazie alle quali può costruire la città ideale qui sulla terra ed essere l’artefice del suo destino. La vita terrena non è più in funzione della vita ultraterrena. Essa acquista una sua totale autonomia, anche se il fine della vita continua ad essere la salvezza dell’anima. L’uomo però non ha fretta di andare in paradiso: ritiene di dover prima esprimere le capacità che Dio ha messo in lui. Perciò gli umanisti danno grande importanza alla pedagogia, che serve a educare e a potenziare le capacità intellettuali e morali dell’individuo, e propongono una formazione interdisciplinare. Allo stesso modo acquista una totale autonomia la natura, che è riscoperta e studiata non in quanto simbolo della divinità, come succedeva nel Medio Evo, ma come espressione di bellezza e di perfezione e come luogo in cui l’uomo attua la sua vita terrena. - La riscoperta della natura e l’elaborazione della prospettiva La natura acquisisce una sua autonomia e una sua dignità. Non è più il simbolo della divinità o una fonte di tentazioni per l’uomo. Essa è colta per la sua bellezza e per il suo splendore. Alcuni autori la considerano come il luogo in cui si esprime la potenza creatrice di Dio. Essa quindi è studiata in modo nuovo. La riscoperta della natura e della realtà avviene anche in ambito artistico con l’elaborazione della prospettiva: lo spazio della pittura non è più uno spazio schematico, idealizzato, grossolanamente empirico, costruito in funzione della figura umana. È uno spazio autonomo, che il pittore conosce, apprezza e ricostruisce con cura grazie all’uso della geometria. Nasce così la prospettiva, cioè la 5. -La magia. L’Umanesimo si riallaccia alle correnti platoniche e neoplatoniche, e dà grande importanza alla magia, all’astrologia, all’alchimia. La natura è vista come un grande organismo, retto da forze spirituali e provvisto di anima. La magia permette di realizzare il dominio dell’uomo sulla natura e di continuare in tal modo l’opera di Dio. La magia diviene una scienza operativa, capace di modificare la realtà; ed è contrapposta alla fisica insegnata nelle università, che è capace soltanto di descrivere la realtà. -La stampa. Un aiuto straordinario alla diffusione delle idee e delle opere degli umanisti proviene dalla stampa a caratteri mobili, inventata in Germania da Johann Gutenberg (1394/99-1468) verso il 1445 .In tal modo la diffusione dei libri aumenta per quantità e migliora per qualità. L’Italia, con l’Olanda, diventa il paese che ha il maggior numero di stamperie. A Venezia, il centro più importante, opera Aldo Manuzio (1450- 1515), che introduce un formato più maneggevole per i libri Nell’Umanesimo nasce la filologia. Gli umanisti si avvicinano in modo nuovo anche ai testi antichi. Vogliono eliminare gli errori dei copisti ed anche le interpolazioni introdotte nel Medio Evo. Essi vogliono leggere i testi come sono usciti dalle mani dei loro autori (o almeno il più possibile secondo la loro stesura originale) e nel preciso senso che i loro autori davano ad essi. Applicando la filologia Valla mostra che la così detta Donazione di Costantino, con cui la Chiesa rivendicava il potere su Roma e sui territori limitrofi, è un falso, che risale al VII sec. circa, perché usa il latino che si parlava in tale periodo. Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica, l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali... La borghesia aveva bisogno dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza e sul calcolo, indispensabili alla produzione e al commercio dei beni di consumo. Il Cinquecento Il Cinquecento continua e sviluppa i motivi dell’Umanesimo e del Rinascimento del Quattrocento. Il secolo si apre con il Rinascimento maturo (1490-1530), si sviluppa e si conclude con il Manierismo. Alla fine del secolo sono già visibili i primi elementi della “poetica della meraviglia” del Barocco, che avranno la loro massima diffusione nella prima metà del Seicento. La letteratura è condizionata da alcuni avvenimenti: le invasioni dell’Italia da parte di eserciti stranieri, che si concludono con l’egemonia spagnola sulla penisola; la Riforma protestante (1517), che rompe l’unità religiosa dell’Europa e pone fine all’universalismo medioevale; l’affermarsi degli Stati nazionali, che rompono l’universalismo politico medioevale; la lotta tra Spagna-Impero e la Francia per il predominio in Italia e in Europa (1521-59); il malgoverno e l’oppressione politica spagnola, che continua anche nel Seicento; il Concilio di Trento (1545-63) e la Controriforma, con cui la Chiesa cattolica riconquista l’egemonia culturale e religiosa che era stata messa in crisi dalla Riforma protestante. La cultura si produce nelle corti e per le corti. I maggiori autori del Cinquecento sono Ludovico Ariosto (1474-1533) e Torquato Tasso (1544- 1593), che continuano il filone del poema cavalleresco che aveva avuto un grande sviluppo nel Quattrocento; Niccolò Machiavelli (1469-1527) e Francesco Guicciardini (1483-1540), quindi il gesuita Giovanni Botero (1544-1617), che affrontano temi politici e di scienza della politica. Per tutto il secolo è molto diffuso il petrarchismo: sono innumerevoli i canzonieri modellati su quello petrarchesco. Torquato Tasso scrive il Rinaldo (1562), la “favola boschereccia” Aminta (1573), la canzone Al Metauro (1578), la Gerusalemme liberata (1575, 1581), la tragedia Re Torrismondo (1586), le Rime (1591, 1593), la Gerusalemme conquistata (1593). Carlo Goldoni nasce a Venezia nel 1707. Nel 1723 entra nel Collegio papale “Ghisleri” di Pavia, dove frequenta i corsi di diritto. A Genova conosce e sposa Nicoletta Conio. Nel 1737 è di nuovo a Venezia. Nel 1738 Goldoni incomincia ad attuare quella che egli chiama la “riforma del teatro” scrivendo interamente la parte del protagonista di Momolo cortesan. Per la stagione teatrale 1750-51 scrive 16 commedie nuove, tra cui Il teatro comico, che contiene la sua poetica, e La locandiera, la sua commedia più bella. Scoppiano però anche aspre polemiche con l’abate Pietro Chiari ed altri scrittori di commedie a causa della sua riforma del teatro tradizionale. Tra il 1759 e il 1762 scrive alcune delle sue commedie più belle: Gli innamorati, I rusteghi, La casa nova, la trilogia della villeggiatura. Nel 1761 accetta l’invito di andare a Parigi a dirigere per due anni la “Comédie italiènne”.Scaduto il contratto, lascia la “Comédie” e accetta l’incarico di maestro d’italiano per una figlia di Luigi XV (1765). Diventa poi precettore fino al 1780, quando lascia Versailles.Muore nel 1793. Goldoni si propone consapevolmente di attuare la “riforma del teatro”. Prima di lui c’era la commedia dell’arte, nella quale gli attori indossavano le maschere, improvvisavano su un canovaccio e, spesso, ricorrevano a lazzi e a battute volgari, per mantenere viva l’attenzione degli spettatori. Goldoni vuole sostituire alla commedia dell’arte una commedia completamente diversa, che si ispirasse al gran “libro del Mondo”. La commedia goldoniana stabilisce un nuovo rapporto – un rapporto morale – con il pubblico: essa rappresenta quadri di vita quotidiana, in cui il pubblico si riconosca; e vuole fornire ideali, che il pubblico possa condividere e praticare. Essa insomma intende essere utile ed avere uno scopo morale. Perciò, con mano leggera, Goldoni propone il valore dell’onestà, del risparmio, del lavoro, del matrimonio, del rispetto verso i genitori, del buon senso ecc. In tutto ciò si vede la formazione a contatto con la realtà e non semplicemente letteraria, e gli ideali razionalistici del tempo (anche se non ancora illuministici), che egli cala nelle sue opere. Le commedie di Goldoni non sono rigide: nelle prime egli dà importanza alla figura del mercante, in quanto socialmente positiva. Molte commedie poi sono prive dei protagonisti in senso tradizionale, che sono sostituiti dalla centralità della situazione e dalla coralità degli interventi di tutti i personaggi. Goldoni affronta anche il problema della lingua: egli scrive commedie in dialetto veneziano, ma anche in italiano, a seconda del pubblico che le deve vedere. Giuseppe Parini (1729-1799) Giuseppe Parini nasce a Bosisio, in Brianza, nel 1729. Nel 1752 termina gli studi ed entra nell’Accademia dei Trasformati, che appoggia il moderato rinnovamento culturale ed economico del governo asburgico. Entra come precettore in casa dei duchi Serbelloni, dove resta fino al 1762. Qui viene in contatto con i maggiori intellettuali e con la società milanese, e conosce le opere degli illuministi francesi. Nel 1763 pubblica il Mattino, la prima parte del poema Il Giorno. Nel 1765 pubblica il Mezzogiorno, la seconda parte del poema. Con essa termina il periodo di Illuminismo moderato che aveva caratterizzato la sua attività culturale. Quando il governo asburgico dà un impulso più radicale alle riforme, gli intellettuali milanesi filogovernativi si dividono: il gruppo del “Caffè”, che segue la nuova linea di governo; e Parini e l’Accademia dei Trasformati, che si dimostrano più cauti, in nome di una visione tradizionale dell’economia, che puntasse sull’agricoltura e non sui commerci. Dietro a queste scelte stanno classi diverse: l’aristocrazia latifondista e la borghesia dedita ai commerci. Parini scrive il poemetto Il Giorno, che doveva essere composto di tre parti: Mattino (1763), Mezzogiorno (1765) e Sera. Scrive inoltre numerose Odi di ispirazione civile o autobiografica e numerosi componimenti d’occasione, come era di moda nel Settecento. Parini risente da una parte della cultura illuministica proveniente dalla Francia, dall’altra da precise concezioni politiche. Egli è illuminista quando vuole usare la letteratura per fini di rinnovamento morale e civile. Dietro a queste prospettive riformistiche stanno però alcune idee che lo portano lentamente a posizioni di disimpegno pubblico e a una maggiore attenzione verso motivi privati. Egli è convinto che soltanto l’aristocrazia sia portatrice di valori e garante della stabilità sociale. Tale classe non svolge più adeguatamente il suo compito all’interno della società. Essa perciò va stimolata a riprendere il suo ruolo e la sua importanza. Questo è il senso de Il Giorno. Il poeta quindi non si propone di criticare l’aristocrazia per sostituirla con una nuova classe sociale, cioè con la borghesia, come aveva cercato di fare l’Illuminismo francese fin dal 1730. Si propone invece, e consapevolmente, di restaurane l’antico ordine sociale. Il Neoclassicismo Il Neoclassicismo sorge nella seconda metà del Settecento, si diffonde con estrema rapidità in tutta Europa e si conclude verso il 1830. La rapidità della sua diffusione è legata al fatto che è in sintonia con la mentalità ed i valori del razionalismo illuministico, si inserisce nella polemica antibarocca e propone un concetto di arte come imitazione, che è profondamente radicata nella cultura occidentale. Esso recupera l’arte del passato per reinterpretarla secondo i gusti e le esigenze del presente. L’autore che dà i maggiori contributi alla diffusione del Neoclassicismo è l’archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768). Nel 1755 egli si trasferisce a Roma, e tra il 1758 e il 1762 compie alcune visite ad Ercolano e a Pompei, i cui scavi, iniziati agli inizi del secolo. L’anno dopo pubblica a Dresda la Storia dell’arte nell’antichità.Essa è la prima storia dell’arte. L’autore non esamina soltanto la personalità individuale dell’artista, ma inserisce anche l’artista nel contesto storico, sociale e culturale in cui opera. Secondo l’estetica neoclassica il bello è definito in termini tradizionali come armonia delle parti; e l’arte è definita come imitazione della natura. L’armonia neoclassica ha due componenti: la grazia ed il sublime. Per l’uomo, come per l’artista, il mondo greco antico diventa il “paradiso perduto” ma anche la “terra promessa”. Il Neoclassicismo tedesco e quello anglosassone sostituiscono il culto del mondo romano, privilegiato dalla cultura francese, con quello del mondo greco. Ciò avviene grazie ad una più precisa conoscenza dell’arte e dei siti archeologici greci, e a un rinnovato interesse verso la poesia omerica, la tragedia e le istituzioni democratiche della pólis ateniese. Il Romanticismo Il Romanticismo si radica nella sensibilità e nei motivi che la letteratura britannica di metà Settecento diffonde in tutta Europa. I temi della sua poesia sono la notte, la malinconia, la ricerca della solitudine in mezzo alla natura. Il manifesto della poesia romantica inglese è costituito dall’introduzione che Samuel Taylor Coleridge (1772- 1834) e William Wordsworth (1770-1850) premettono alla seconda edizione delle loro Ballate liriche (1800). Il termine romantico deriva dall’aggettivo romantic, che si diffonde in Inghilterra nel sec. XVII; e indicava tutto ciò che aveva attinenza con il romance, cioè con la narrazione fantastica, che caratterizzava la letteratura medioevale. Esso perciò si contrapponeva alla narrazione realistica. Romantico diveniva così sinonimo di medioevale, gotico. Nella cultura tedesca sono presenti autori come Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) e Friedrich Schiller (1759-1805), che si pongono tra Illuminismo e Romanticismo. Goethe scrive il romanzo I dolori del giovane Werther (1775-77), che costituisce un punto di riferimento ineludibile per la nuova sensibilità romantica. Alle opere giovanili di Goethe, caratterizzate da un ribellismo prometeico contro tutto ciò che opprime l’uomo, si ispira il gruppo dello Sturm und Drang (Tempesta ed impeto, cioè tempesta di sentimenti). I limiti ideologici e ideali dell’autore emergono immediatamente se confrontati con le coeve prospettive politiche e culturali indicate ed attuate da Alessandro Manzoni, che è soltanto di pochi anni più giovane. Foscolo risulta ancora legato al Neoclassicismo settecentesco e a un Romanticismo individualistico ed eroico; Manzoni apre la letteratura all’impegno politico e civile, che si deve attuare con la fine dell’epopea napoleonica. Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1798, 1802, 1816) è un romanzo epistolare a carattere autobiografico, scritto sul modello del romanzo di Johann Wolfgang Goethe, I dolori del giovane Werther (1775-77). Il protagonista, Jacopo Ortis, invia delle lettere all’amico Lorenzo Alderani, che le raccoglie e poi le pubblica. Jacopo è un giovane romantico che ha due ideali: la patria e l’amore per Teresa, vissuti con passionalità romantica. Ambedue questi ideali vengono delusi: Napoleone consegna la Repubblica di Venezia all’impero asburgico; Teresa, che pure lo ama, accetta di sposare il nobile Edoardo, a cui il padre l’aveva promessa. Jacopo perciò si suicida con un colpo di pugnale. In una lettera famosa Jacopo parla del suo incontro con Giuseppe Parini, il “vecchio venerando”, modello di virtù e di impegno civile. Il carme De’ Sepolcri (1807) è scritto in seguito alle discussioni provocate dall’editto napoleonico di Saint Cloud (1804). Tale editto imponeva che le tombe fossero allontanate dall’abitato per motivi igienici e che fossero tutte uguali per motivi di uguaglianza. In un primo momento Foscolo, che professa posizioni atee e materialistiche, condivide l’editto e critica l’amico Ippolito Pindemonte, che nel poemetto I cimiteri (1807) lo accusava di scristianizzare la morte. In un secondo momento però, approfondendo il suo pensiero, giunge a conclusioni diverse, che fa confluire nel carme. Il testo si può così riassumere: La ragione ci dice che le tombe sono inutili sia ai morti sia ai vivi. Il sentimento però si ribella a queste conclusioni e cerca una funzione per esse: le tombe permettono una “corrispondenza d’amorosi sensi” tra i vivi e i morti; inoltre le tombe dei grandi spingono gli animi forti a compiere grandi imprese. Tuttavia il tempo distrugge le tombe fin nelle rovine. Nel sonetto A Zacinto il poeta rivolge il pensiero alla sua isola natia, nella quale non potrà più tornare. La sua patria reale lo porta subito a pensare alla sua patria ideale: la Grecia, i suoi eroi ed i suoi miti (Venere e la bellezza, Omero e la poesia, Ulisse e l’eroe perseguitato dal destino avverso). Giacomo Leopardi (1798-1837) Nato a Recanati il 29 Giugno del 1798 da una famiglia di una nobiltà terriera in cattive condizioni patrimoniali, Leopardi diventa presto insofferente all’ambiente conservatore. La sua vita era dominata soprattutto dalla madre, donna dura e gretta, dedita interamente alla gestione delle finanze per permettere alla famiglia di mantenere almeno il decoro esteriore. Di intelligenza acutissima, si chiuse nei celebri sette anni di studio disperatissimo che minarono la sua salute fisica già fragile. Nel 1815, stanco del puro lavoro filologico, inizia ad esaltarsi per la bellezza dei grandi poeti: passa dall’erudizione al bello. Nasce in questo contesto l’amicizia con Pietro Giordani e in lui trova non solo uno dei più grandi intellettuali del tempo ma anche un affetto che non poteva avere altrove. Ora che si è aperto al mondo esterno, però, Recanati gli sta ancora più stretta. Nell’estate del 1819 tenta la fuga, nottetempo: un servo fa la spia e il padre lo riacchiappa per un pelo. Per il giovane Leopardi è un colpo duro. Nel 1822 si reca a Roma ma rimane profondamente deluso e torna a Recanati. Inizia la stesura delle operette morali. Nel 1825, arriva il primo lavoro con l’editore milanese Stella che gli fissa una retribuzione per una serie di lavori. Dieci scudi è il suo primo stipendio, ritenuto umiliante dal padre; a Giacomo non importa, quel che conta è essere ormai lontano da casa. Soggiorna prima a Milano e Bologna poi a Firenze e a Pisa dove, grazie alla mitezza del clima e una tregua dai mali, torna con sua grande sorpresa a scrivere poesia. Nasce “A Silvia” che apre la serie dei grandi idilli. Questa stagione felice dura poco: nel 1829 la sua salute peggiora, il lavoro gli viene sospeso, è costretto a tornare con grande dolore a Recanati dove trascorre “sedici mesi di notte orribile”, vivendo da solo nel suo palazzo, consumandosi nella malinconia. Nell’aprile del 1830, accetta l’assegno mensile che gli amici di Firenze gli offrono. Lascia Recanati, questa volta per sempre. È di nuovo rinascita, per Giacomo: liberato dai limiti ingombranti del suo io, si apre al mondo, partecipa ai dibattiti, si innamora di Fanny Targioni Tozzetti. La delusione che gli viene dal rifiuto di lei è comunque terreno fertile: inizia il ciclo di Aspasia. Una scrittura che sembra perdere colore nel lessico: la delusione lo porta ormai a credere che non serva illudersi, l’uomo deve guardare il vero in volto: la natura è male, e l’unico riparo- ci dirà ne “La Ginestra” – è la collaborazione civile tra umano e umano. Conosce il giovane Antonio Ranieri e con lui stringerà un’amicizia fraterna indispensabile: vivranno insieme a Napoli dove la morte lo coglierà il 14 giugno 1837. I temi della poesia di Leopardi sono: il paesaggio e la natura,la giovinezza e l’amore,il senso della vita umana e del dolore,la solitudine,la noia,il pessimismo ,il “natio borgo selvaggio”. I diversi motivi sono spesso compresenti, sono costantemente ripresi e riesaminati, e sono continuamente collegati tra loro. Essi si inseriscono in una visione atea e materialistica della vita, che nega Dio e la Provvidenza divina, ma che ironizza anche la fede laica nelle “magnifiche sorti e progressive”, proclamate dal pensiero illuministico. Il tema della Natura conosce questa evoluzione: la Natura si presenta nella sua estrema bellezza e fa all’uomo promesse di felicità, che poi non mantiene. Le principali opere di Leopardi sono:  Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1818): espone alcuni punti base della sua poetica  Zibaldone (1817-1832): è una raccolta di appunti e annotazioni scritte da Leopardi dal 1817 al 1832 di carattere filosofico, letterario, linguistico, sociale ed etico. È un’opera fondamentale per la filosofia dell’Ottocento per la sua vicinanza alle posizioni di Schopenhauer e per avere anticipato anche posizioni nietzschiane. Grazie a quest’opera, Leopardi si può definire come l’iniziatore del nichilismo.  Gli idilli (1819-1821): è una serie di componimenti lirici brevi che trattano di vicende relative alla vita campestre e contadina. Tra gli Idilli, il più famoso è l’immortale poesia L’infinito, ma celebri sono anche Odi, Melisso, Alla Luna, La sera del dì di festa, Il sogno e La vita solitaria.  Operette Morali (1824-1832): le Operette Morali sono 24 brevi scritti per lo più sotto forma di dialoghi tra personaggi reali o immaginari, tra cui il Dialogo della Natura e di un Islandese.  I Canti (1828-1830): altra raccolta di idilli, composti a partire dal 1828. I Canti, conosciuti anche con il nome di Grandi idilli, contiene alcune delle poesie più celebri di Giacomo Leopardi, tra cui A Silvia, Il Risorgimento, Il passero solitario, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.  Pensieri (1831-1835): è una raccolta di 111 pensieri in cui Leopardi riprende molte affermazioni poetiche e filosofiche.  Epistolario: è una raccolta di lettere, circa 940, che Leopardi inviava ai suoi amici e familiari, scritte tra il 1810 e il 1837. Alessandro Manzoni (1785-1873) Manzoni,traslando le problematiche del suo tempo in questo contesto romanzesco lascia inoltre una morale di grande importanza: è il popolo, nella sua condizione povera e umile, il vero protagonista della storia. Dio istituisce secondo Manzoni una Provvidenza che non decide al posto dell'uomo ma determina un perpetuo equilibrio, pertanto il popolo deve giustamente cercare di riscattarsi e reclamare il proprio diritto di vivere e lasciare un proprio segno nella storia. Giosuè Carducci (1835-1907) Giosuè Carducci nasce a Val di Castello in Versilia nel 1835.Dopo gli studi ginnasiali nel 1853 viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa e si laurea in filosofia e filologia. Si dichiara scudiero dei classici e costituisce insieme ad alcuni amici (Giuseppe Torquato Gargani, Ottavio Targioni Tozzetti e Giuseppe Chiarini) la Società degli Amici pedanti (l’aggettivo pedante è utilizzato in tono polemico dato che con quel termine i poeti romantici bollavano i poeti classicisti) il cui intento è di rivendicare il valore del classicismo contro tutte le tendenze romantiche e modernizzanti. Nel 1859 sposa Elvira Menicucci e ottiene una cattedra al Liceo di Pistoia. Si trasferisce con la famiglia a Bologna dove ha ottenuto la cattedra di eloquenza (più tardi chiamata letteratura italiana) all’università. Si iscrive alla massoneria e si dichiara repubblicano, anticlericale e favorevole ad uno sviluppo del processo risorgimentale in senso mazziniano. Arriva ad avere atteggiamenti anarchici e socialisteggianti e per queste sue posizioni radicali viene sospeso dall’insegnamento per due mesi. Dal 1872 al 1889 è la fase della maturità: la delusione per la politica trasformista e l’incontro con i regnanti, colpito in particolare dalla regina Margherita (alla quale dedica l’ode Alla Regina d’Italia), lo portano progressivamente ad abbandonare le idee radicali e giacobine e ad avvicinarsi a ideali monarchici. Diventa il poeta ufficiale, il poeta-vate dell’Italia umbertina. Sul piano privato si innamora di Carolina Cristofori Piva a cui dedicherà varie liriche con il nome di Lina o Lidia, con la quale inizia una relazione amorosa nel 1872 che dura fino al 1878. Nel 1890 Carducci viene nominato senatore del Regno, dopo che per due volte era stato eletto anche deputato. Ha grandi riconoscimenti, come quello di Cavaliere di Gran Croce, che culminano nel Nobel per la letteratura nel 1906, primo poeta italiano a ricevere tale premio. Il periodo bolognese che va dal 1860 al 1871 è caratterizzato da opere che sono: in aspro contrasto con la Chiesa, contro la monarchia,di denuncia della corruzione nella vita politica e di polemica civile. Molte delle composizioni di questo periodo confluiranno successivamente nella raccolta Giambi ed epodi. La produzione poetica di Carducci dal 1872 segna una svolta:  Si dedica a comporre poesie ispirate a temi più intimi e autobiografici, alla storia (l’Italia comunale e la Rivoluzione francese) e al paesaggio (la maremma toscana);  Inizia a comporre con la metrica barbara, ovvero tenta di rendere in versi italiani la metrica latina e greca, Odi denominate per questo barbare. Pubblica in questo periodo:  Primavere elleniche (1872)Nuove poesie(1873) che confluiranno poi in Rime nuove;  Odi Barbare (1877) cui seguirà Nuove odi barbare (1882) e Terze odi barbare (1889);  Giambi ed epodi(1882);  Rime nuove(1887) Nel 1890 ha inizio il periodo di completa affermazione del poeta, le sue poesie appaiono più retoriche e celebrative, per quanto riguarda le liriche intime l’incombere della morte determina un tono più cupo e malinconico pervaso dalla fugacità della vita. Carducci ha ormai assunto il ruolo di poeta-vate, poeta ufficiale che con la sua poetica retorica e nazionalistica è garante della continuità della tradizione. La sua ultima raccolta è del 1899, ha il titolo Rime e ritmi e comprende sia poesie basate sulla metrica italiana sia poesie con la metrica barbara. Giovanni Pascoli (1855-1912) Giovanni Pascoli nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna. L'infanzia fu segnata dall'uccisione del padre e da un periodo di miseria e lutti: in breve tempo il piccolo Giovanni perse la madre, la sorella maggiore e due fratelli. Queste perdite segnarono per sempre il suo modo di fare poesia. Studia all'università di Bologna dove si laurea in lettere e insegna in vari licei italiani e all'Università di Bologna dove prese la cattedra di Giosuè Carducci. Grande amico di Gabriele D'Annunzio, ebbe come compagna di vita domestica la sorella Maria. Morì a Bologna nel 1912. La sua produzione poetica è racchiusa nelle Myricae, che prendono il titolo da un'opera di Virgilio e nei “Primi Poemetti” e “Nuovi Poemetti” in cui, oltre ai temi soliti, trovano posto anche le vicende degli emigranti verso l'America. Ne I Canti di Castelvecchio, Pascoli trasforma il paesaggio in uno scenario su cui proiettare le proprie inquietudini. Altre opere da ricordare sono i Poemi Conviviali, Odi e Inni e i poemetti latini Carmina. La prematura morte del padre segnò il crollo della fede in un mondo giusto, delle speranze e degli indeali. La sua concezione della vita era fondata sulla tragicità del destino che travolge gli uomini con la sua forza superiore e misteriosa. Non aveva fede religiosa ma nella poesia non ci sono atteggimenti di disperazione o di ribellione. Nel componimento X Agosto, incluso in Myricae, Pascoli ripercorre la notte di San Lorenzo del 1867, in cui è stato assassinato suo padre in circostanzepoco chiare. Per lui erano importanti le piccole cose e gli aspetti più semplici del vivere. Ne “Il Fanciullino”, il suo manifesto poetico, si ritrova questa concezione di semplicità e di capacità di stupirsi anche delle piccole cose. A livello linguistico conferì nuova libertà al verso superando il linguaggio tradizionale e arricchendolo di accenti sonori attraverso l'uso delle onomatopee. I motivi della sua poesia sono molteplici: a) il paesaggio e la natura; le analogie, il simbolismo e le corrispondenze tra realtà e stati d’animo; b) il motivo autobiografico (l’infanzia, la famiglia, il “nido”, il suo dolore, la morte del padre, i lutti familiari, la ricostruzione della famiglia con le due sorelle, il vittimismo); c) la morte e il mistero che avvolge le cose; d) il mondo classico greco, latino e cristiano, e i suoi miti; e) la sistematica sperimentazione di schemi metrici della tradizione letteraria, da tempo dimenticati; f) la sperimentazione linguistica (pastiche, termini popolari, scientifici, aulici ecc.). Il verismo Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 si sviluppa prima in Francia e poi in Italia un nuovo movimento letterario che prende il nome di naturalismo/verismo. L’affermazione del socialismo in Europa, con la conseguente attenzione per le fasce sociali più deboli (contadini, operai, minatori, pescatori) fa sì che anche gli scrittori rivolgano la propria attenzione a queste realtà, e che sentano il bisogno di trovare uno stile quanto più realistico possibile, ovvero di scrivere romanzi che dipingano ‘esattamente’ la realtà che si vuole raccontare, imitando addirittura il modo di parlare dei più poveri e ignoranti, abbandonando il ‘bello stile’ che ad esempio Manzoni stesso aveva adottato pur dando voce a gente umile. Così nascono i romanzi veristi, in cui si fa uso perfino delle forme dialettali, e il cui esponente più illustre è sicuramente Giovanni Verga, autore de I Malavoglia. Nel 1881 si trasferisce a Roma per iniziare gli studi universitari, che abbandona, per dedicarsi alla vita mondana. Frequenta con successo i più importanti salotti letterari della capitale e si dedica all’attività di giornalista e di scrittore. Nel 1882 pubblica Canto novo e si mette in luce per le sue scelte di vita che vanno contro la morale dominante. Nel 1883 si sposa con Maria Hardouin di Gallese dopo una romantica fuga. Nel 1887 inizia una relazione amorosa con Barbara Leoni, che gli ispira alcuni personaggi femminili dei suoi romanzi. Nel 1889 pubblica il romanzo Il piacere. Nel 1891 si trasferisce a Napoli con la nuova compagna, Maria Gravina Cruyllas di Ramacca. Negli anni successivi pubblica i romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L’innocente (1892), scritti sotto l’influsso dei grandi narratori russi dell’Ottocento. Legge però anche le opere di Friedrich Nietzsche (1844- 1900), da cui deriva l’ideale del superuomo e la convinzione di poter interpretare il ruolo di poeta-vate. Pubblica poi la raccolta poetica Poema paradisiaco (1893) e i romanzi Il trionfo della morte (1894) e La vergine delle rocce (1895), che risentono delle letture nietzschiane, di atteggiamenti antisocialisti ed ostili all’incipiente società di massa. Queste idee sono ben accolte dal suo pubblico, la borghesia, che attraverso le sue opere evade dal grigiore della realtà quotidiana. D’Annunzio inizia una relazione con Eleonora Duse, con la quale risiede nella villa lussuosissima della “Capponcina”, presso Settignano. Nel 1897 è eletto deputato della Destra. Nel 1900 passa però nelle file della Sinistra in occasione dell’opposizione parlamentare alle leggi Pelloux, che riducevano le libertà civili. Nel 1900 pubblica Il fuoco, il suo romanzo più innovativo; nel 1903 il dramma teatrale La figlia di Iorio, e la raccolta di poesia Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, che comprende tre opere, Maia, Elettra e Alcyone. D’Annunzio quindi sostituisce la Duse prima con Alessandra Starabba di Rudinì, che era divenuta morfinomane; quindi con Giuseppina Mancini, che in seguito impazzisce e che ispira un personaggio del romanzo Forse che sì forse che no (1910). Nel 1910 è travolto dai debiti ed è costretto a riparare in Francia. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, si schiera a fianco dell’Intesa. Così nel 1915 può ritornare in Italia, dove partecipa alle manifestazioni a favore dell’entrata in guerra. Durante la guerra è utilizzato dai comandi militari per scopi di propaganda. D’Annunzio costruisce la figura del “poeta-soldato”. Egli però dà effettive prove di valore, per quanto amplificate, come il volo su Trieste (1915), la penetrazione nel porto di Bùccari con alcune motosiluranti e l’affondamento di due navi (la “beffa di Bùccari”, 1918) e il volo su Vienna (1918). Nel 1916 durante un atterraggio si ferisce ad un occhio, che perde; durante la convalescenza scrive appunti che poi rielabora nel romanzo Notturno (1921). Durante la conferenza di pace di Versailles la Francia e l’Inghilterra rifiutano di riconoscere all’Italia la Dalmazia e la città di Fiume. D’Annunzio allora con un gruppo di “legionari” occupa Fiume (1919), di cui si nomina governatore, e lancia la parola d’ordine della “vittoria mutilata”. Nel 1920 il governo Giolitti invia l’esercitò che allontana il poeta. Negli anni successivi D’Annunzio si schiera con il Fascismo e partecipa attivamente alla vita politica fino al delitto Matteotti. D’Annunzio vive il ruolo di poeta ufficiale del regime nella sua villa Thode, che sarebbe divenuta il “Vittoriale degli Italiani”, a Gardone, dove si era stabilito fin dal 1920. D’Annunzio scrive la raccolta poetica giovanile Canto novo (1892), i romanzi Il piacere (1889), Giovanni Episcopo (1891), L’innocente (1892), poi la raccolta poetica Poema paradisiaco (1893), i romanzi Il trionfo della morte (1894), La vergine delle rocce (1895), Il fuoco (1900), il dramma teatrale La figlia di Iorio (1900), le Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, che comprendono tre opere (Maia, Elettra e Alcyone) (1903), i romanzi Forse che sì forse che no (1910) e Notturno (1921), e numerosi drammi teatrali. L D’Annunzio è attento al suo pubblico, in genere borghese e piccolo-borghese, non soltanto per le sue esigenze economiche, ma anche per un fortissimo desiderio di autoaffermazione. A tale pubblico egli propone la sua vita eccezionale, inimitabile e scandalosa. In essa i lettori vedevano realizzarsi le loro aspirazioni, più o meno segrete, a cui dovevano rinunciare in nome della rispettabilità e del decoro. Già dalle prime prove emerge il suo vitalismo radicale, che sarà il motivo conduttore anche della produzione successiva. Esso si esprime ora con una adesione arazionale e immediata alla vita della natura, ora con l’esaltazione delle forze istintuali e di modelli primitivi e violenti di vita. Il poeta scopre poi l’estetismo raffinato ed il simbolismo dei poeti decadenti francesi; assimila le opere di molti altri scrittori del tempo; riprende i romanzi realisti e naturalisti (Victor Hugo, Emile Zola), ma anche i grandi romanzi russi (Fedor Dostoevskij e Lev Tolstoj); si appropria e rielabora la filosofia nichilista e incentrata sulla figura del superuomo, di Friedrich Nietzsche. A una simile varietà di fonti e di suggestioni corrisponde un’altrettanta varietà di forme letterarie: poesie, romanzi, drammi teatrali (sia in prosa che in versi), ed una straordinaria capacità di rinnovamento linguistico e metrico. Italo Svevo (1861-1928) CONCETTI FONDAMENTALI:  Si interessa alle teorie di Freud sull’incoscio e la Psicanalisi  Diventa amico di James Joyce che lo stimola a scrivere di nuovo  Le opere principali sono: Una vita, Senilità e La coscienza di Zeno  Il tema principale è l’inettitudine, l’antieroe che subisce la realtà  Lo stile è ironico Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz, nasce a Trieste nel 1861. Per tutta la vita lavora in banca e si dedica a scrivere romanzi e racconti, che per la sua collocazione ai margini dell’Impero austro-ungarico non hanno particolare accoglienza. Scrive una trilogia, che ha protagonisti diversi, ma affronta la stessa problematica: Una vita (titolo iniziale Un inetto, 1892), Senilità (1898, 1927) e La coscienza di Zeno (1923). È “lanciato” al livello nazionale e internazionale da Eugenio Montale, che lo recensisce sulla rivista milanese “L’esame” Contro i cantori del super-uomo o dell’aristocratico che si dedica a una vita estetica Svevo inventa un eroe rovesciato o un anti-eroe: la figura dell’inetto, che non sa decidere, che rimanda le decisioni al futuro, che si lascia vivere dalla vita e dagli imprevisti, che subisce il caso senza reagire. L’inetto si sente inadatto a vivere, poiché non riesce ad aderire alla vita, non ha valori in cui credere, non ha scopi, non ha un ruolo nella società in cui riconoscersi, quindi non riesce a dare un senso alla propria vita. Inoltre si sente malato di quella malattia che è il disagio del sec. XX: l’incapacità di provare sentimenti, che provoca nell’uomo un forte sentimento di tristezza e di infelicità. Tutti i protagonisti dei romanzi di Svevo sono degli inetti, tuttavia c’è una profonda differenza tra Alfonso ed Emilio, protagonisti di Una vita e di Senilità, e Zeno, protagonista de La coscienza di Zeno. I primi due sono personaggi tragici, sono rappresentati in una dimensione cupa e triste, e il loro destino è la morte o, in alternativa, la rinuncia a vivere. Zeno invece riesce a non essere tragico poiché, data la sua età matura, è divenuto consapevole della sua “malattia” e usa l’ironia per sdrammatizzare se stesso e la sua condizione. Luigi Pirandello (1867-1936) CONCETTI FONDAMENTALI:  Scrittore e drammaturgo  Tema della Crisi dell’Io, del Relativismo psicologico e conoscitivo  Opere principali: Il Fu Mattia Pascal, Così è se vi pare, Sei personaggi in cerca di autore, Uno nessuno e Centomila  Indaga la psiche dei suoi personaggi, che sono spesso anti-eroi Luigi Pirandello nasce ad Agrigento, in Sicilia, nel 1867. Studia a Palermo, a Roma e a Bonn, in Germania, dove si laurea con una tesi sul dialetto siciliano. Tornato in Italia si stabilisce a Roma e inizia a collaborare a diverse riviste, con articoli e poesie. All’inizio del nuovo secolo una grave crisi economica colpisce la famiglia e la moglie impazzisce. Per Pirandello è un periodo drammatico, ma lo scrittore reagisce mettendosi a insegnare e diventando autore di novelle e romanzi. Il primo grande successo arriva nel 1904 con la grande opera di Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, storia di un uomo che finge di essere morto e quando vorrebbe tornare alla vecchia vita scopre di non poterlo fare. Negli anni intorno alla Prima Guerra Mondiale Pirandello si dedica soprattutto alla produzione teatrale, prima con opere in dialetto siciliano, tratte dalle sue stesse novelle, poi con opere di carattere più sperimentale, in italiano. Anche in questo campo il grande successo arriva dopo alcuni anni. Nel 1922 Luigi Pirandello mette in scena Sei personaggi in cerca d’autore, una strana storia in cui sei personaggi, protagonisti di una torbida e drammatica vicenda, si presentano a una compagnia di attori chiedendo di rappresentare la loro storia. Diventando ormai uno scrittore famoso, Pirandello riceve il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Muore due anni più tardi, lasciando incompiuto il dramma I giganti della montagna. L’Ermetismo Pochi mesi dopo, in quello stesso anno, prende posizione contro il regime fascista, sottoscrivendo il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti promosso dal filosofo Benedetto Croce. Nel 1927 si trasferisce a Firenze: lavora dapprima presso la casa editrice Bemporad, successivamente passa alla direzione del Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux. Da qui è allontanato nel 1938 per non aver accettato di iscriversi al Partito fascista. Nell’anno successivo, il 1939, pubblica la seconda raccolta di poesie, Le occasioni. Nel dopoguerra, si trasferisce definitivamente a Milano. Lavora in qualità di redattore e critico letterario presso il “Corriere della Sera”; successivamente come critico musicale presso il “Corriere dell’Informazione”. 1956 pubblica la terza raccolta, La bufera e altro. 1962 Eugenio Montale sposa con rito religioso Drusilla Tanzi (Mosca), alla quale è legato da decenni. L’anno seguente Drusilla muore, lasciando un profondo vuoto nell’esistenza del poeta. 1967 riceve la laurea honoris causa a Cambridge e, in patria, la nomina a senatore a vita per meriti letterari. 1971 pubblica la raccolta Satura. Seguono: Diario del ’71 e del ’72 (1974); Quaderno dei quattro anni (1977); Altri versi (1980). Intanto nel 1975 riceve il Premio Nobel per la Letteratura. Muore a Milano, il 12 settembre 1981. La poetica “Il male di vivere” è forse la definizione più nota della visione della vita di Eugenio Montale. “Il male di vivere” è la sofferenza, il dolore che è presente in tutti gli uomini. L’unico rimedio è l’indifferenza, considerata dal poeta un meraviglioso dono divino perché ci consente di resistere al dolore ignorandolo. La poesia di Eugenio Montale è dunque incentrata sul tema della negatività. La sua unica certezza è quella di sapere «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Una delle caratteristiche del poeta Montale è l’uso particolare che egli fa del paesaggio, soprattutto di quello ligure che gli è più familiare. E lo rappresenta nella sua concretezza fisica, riconoscibile dal lettore: mare, sole, muretti di orti, sterpi e arbusti della collina diventano mezzi per esprimere la dolorosa solitudine dell’uomo. Quindi ogni immagine, ogni oggetto, pur conservando la sua spiccata evidenza visiva o di suono, ha anche un altro significato: esprime emozioni, sentimenti, concetti. La critica ha parlato a questo proposito di correlativo oggettivo: l’oggetto richiama un’emozione, ad esempio gli ossi di seppia abbandonati sulla spiaggia assolata evocano sensazioni di morte. Nella scelta delle parole e nel ritmo dei versi, Eugenio Montale procede per contrasti, accostando termini rari, di uso letterario, ad altri quotidiani e banali; introduce le rime laddove il lettore non se le aspetterebbe (per esempio nell’interno del verso invece che alla fine). Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.» Letterato di complessa personalità e autore del noto romanzo Il Gattopardo, fu un personaggio taciturno e solitario e trascorse gran parte del suo tempo nella lettura. Cultura storica La Preistoria La preistoria va dalla comparsa della specie umana sulla Terra (circa due milioni di anni fa) al momento in cui l’uomo inventa la scrittura e inizia a lasciare testimonianze scritte (3.500 anni circa prima della nascita di Cristo). I popoli della Mesopotamia Con la civiltà dei Sumeri, inventori della scrittura, inizia la Storia. Quando i Sumeri (nel 7.000 avanti Cristo) giunsero in Mesopotamia, la vasta pianura solcata dai fiumi Tigri ed Eufrate (la terra oggi occupata dall’Iraq), trovarono una terra fertile e ricca d’acqua. Essi si dedicarono quindi soprattutto all’agricoltura e all’allevamento. I Sumeri si organizzarono in città-stato indipendenti, ciascuna governata da un re-sacerdote, che agiva in nome della divinità protettrice della città. A un certo punto un re divenne il sovrano dell’intero territorio e creò quindi il primo impero della storia. Ai Sumeri è attribuita, oltre a quella della scrittura, l’invenzione della ruota. Altre popolazioni conquistarono la Mesopotamia alla fine del terzo millennio. Dopo gli Accadi giunsero i Babilonesi che, sotto il re Hammurabi, crearono la prima raccolta di leggi scritte. Contemporaneamente gli Assiri penetrarono nella valle, che conquistarono nei secoli successivi, diventando famosi per la crudeltà con cui trattarono le popolazioni sottomesse. Gli Egizi La Valle del Nilo, nell’Africa nord-orientale, era un territorio molto fertile per la presenza dell’acqua portata dal fiume. Verso il 5.000 avanti Cristo vi giunsero genti che conoscevano l’agricoltura e che fondarono villaggi organizzati per controllare le inondazioni del fiume: la costruzione di dighe e canali infatti richiedeva la collaborazione di molte persone. Sovrano dell’Egitto era il faraone, considerato la personificazione del dio Horus, che aveva un potere assoluto su tutta la popolazione. Gli Egiziani erano distinti in caste: le più importanti erano quelle dei sacerdoti e dei funzionari. Ai sacerdoti era affidata la religione, mentre i funzionari avevano il compito di amministrare la popolazione per conto del faraone. Importanti erano anche gli scribi, che conoscevano la scrittura geroglifica e avevano l’incarico di registrare le tasse pagate dai lavoratori allo stato. Dopo venivano i guerrieri e la maggior parte della popolazione: gli artigiani, i contadini e infine gli schiavi. L’agricoltura era la principale attività degli Egiziani. I contadini tuttavia lavoravano anche come operai per costruire canali o edifici richiesti dal faraone. I Cretesi e i Micenei Tra le isole del Mar Egeo, intorno al 2.000 avanti Cristo, assunse una grande importanza Creta. I Cretesi si arricchirono grazie al commercio del grano, dell’olio e del vino, prodotti nell’isola, e di oggetti di finissimo artigianato. Nello stesso periodo la Grecia era stata invasa dagli Achei, una popolazione guerriera ancora piuttosto rozza, che dopo l’arrivo nel territorio greco si dedicò all’agricoltura e all’allevamento. I Cretesi cominciarono subito a commerciare con gli Achei e a trasmettere loro la propria cultura. L’influsso cretese fece sviluppare in modo notevole le città-stato greche: tra esse divenne particolarmente potente Micene, che ben presto estese il suo controllo su gran parte della Grecia meridionale e conquistò la stessa Creta. I Greci La migrazione dei Dori provocò l’impoverimento e la decadenza della regione greca. Dopo i primi secoli di crisi, però, si ebbe proprio nella penisola greca un’esperienza molto importante, quella della polis. La polis, sorta tra l’VIII e il VII secolo a. C., è la “città-stato”, o meglio la “città dei cittadini”, cioè una comunità basata sull’autogoverno dei cittadini. Nella polis non esisteva più il re; a decidere le questioni di pubblico interesse erano i cittadini stessi che si riunivano in assemblea nella piazza centrale, l’agorà. Gli aristocratici (i nobili) furono quei cittadini che si sostituirono al re nel governo della città, dando origine alle Repubbliche aristocratiche. Le conquiste caratterizzarono la politica estera della Roma repubblicana. Essa estese il suo dominio, prima sui territori dei popoli italici confinanti, come i Latini, gli Equi, i Volsci e i Sabini, poi sulle città dell’Italia meridionale. Quando Roma estese le sue conquiste fino allo stretto di Messina diventò inevitabile lo scontro con Cartagine, la potente città fenicia dell’Africa settentrionale che aveva importanti scali commerciali in Sicilia. I Romani, nel 264 a. C., approfittando di un incidente, sbarcarono in Sicilia; scoppiò così la Prima guerra punica (Punicus in latino vuol dire Cartaginese). Grazie a tre vittorie navali i Romani sconfissero i Cartaginesi e occuparono la Sicilia prima e poi la Sardegna e la Corsica. Dopo vent’anni, tuttavia, Cartagine riprese la lotta. Questa volta le battaglie non si svolsero sul mare. Protagonista della Seconda guerra punica fu il cartaginese Annibale, che, dopo aver attraversato la Spagna, varcò le Alpi e portò la guerra nel cuore dell’Italia. Roma subì una serie di sconfitte che la portarono sull’orlo della disfatta. Resse però l’organizzazione che essa aveva dato all’Italia: sebbene alcuni popoli fossero passati dalla parte di Annibale, molti alleati rimasero con Roma e la aiutarono a battere i Cartaginesi. Publio Cornelio Scipione (che sarà poi detto l’Africano) decise addirittura di portare la guerra sotto le mura di Cartagine, in Africa. Annibale lasciò l’Italia e corse in aiuto della patria minacciata, ma nella battaglia di Zama fu sconfitto pesantemente. Cartagine si arrese e dovette cedere la Spagna, consegnare la flotta militare. Sconfitta Cartagine, nessuna potenza sembrava più in grado di fermare l’espansione romana. Alla prima serie di province si aggiunsero la Macedonia, la Siria e la Grecia. Restava il problema di Cartagine, che stava rifiorendo dopo le sconfitte e ciò preoccupava i Romani. Nel 146 la città africana fu quindi rasa al suolo e il suo territorio divenne provincia romana. Le conseguenze delle conquiste di Roma furono numerose. Le guerre avevano fruttato alla città molte ricchezze, ma la plebe era rimasta la classe sociale più svantaggiata. A questa situazione di disuguaglianza cercarono di porre rimedio i fratelli Tiberio e Caio Gracco, che proposero leggi a favore dei contadini; le loro iniziative però non ebbero successo perché i due fratelli vennero fatti assassinare dall’aristocrazia romana. A Roma si erano ormai delineati due opposti partiti: l’aristocratico, appoggiato dai senatori, e il democratico, sostenuto dai plebei. Il I secolo a. C è il secolo della crisi delle istituzioni repubblicane. Per togliere dalla miseria la plebe romana Mario, capo dei democratici, cambiò la composizione delle legioni, che per la prima volta furono composte anche dai cittadini più poveri. A Mario, però, si oppose Silla, il generale del partito aristocratico che aveva stroncato la rivolta degli alleati italici. Silla, per limitare il potere dei militari, scatenò una guerra senza quartiere contro i democratici e si fece nominare dittatore a tempo indeterminato. Dopo il ritiro dall’attività politica di Silla la situazione si aggravò ulteriormente, lo scontro tra il senato e i generali continuò, finché questi, forti delle loro conquiste, riuscirono a imporre il loro potere con l’istituzione del triumvirato, un accordo privato tra cittadini per governare lo stato. Il primo triumvirato fu infatti formato da tre generali nel 60 a. C.: Pompeo, Cesare e Crasso. Cesare in Gallia ottenne una serie di clamorose vittorie, conquistando terre fino alle coste atlantiche e, oltre la Manica, fino all’Inghilterra. Pompeo e il senato decisero di richiamare Cesare a Roma, con l’intenzione di porre fine alla sua carriera politica, Cesare se ne rese conto e tornò sì in Italia, ma con l’esercito in armi. Nonostante l’ingiunzione di lasciare le armi e di tornare a Roma come semplice cittadino, Cesare guidò l’esercito fino a Roma, costringendo Pompeo a fuggire in Grecia. Per tre anni Roma fu sconvolta dalla guerra civile tra pompeiani e cesariani. Abbattuta la resistenza degli ultimi pompeiani, Cesare divenne padrone assoluto di Roma. Cesare nella sua fulminante carriera accumulò in poco tempo più cariche di quante mai ne avesse avute qualunque uomo politico romano. I senatori, temendo la trasformazione della dittatura in monarchia assoluta, ordirono un complotto contro Cesare che, nel 44 a. C., venne ucciso in senato da un gruppo di congiurati capeggiati da Bruto, suo figlio adottivo, e dal pretore Cassio. Ad Azio nel 31 a. C. Ottaviano sconfisse la flotta di Antonio e della regina d’Egitto Cleopatra, che si uccisero. Ottaviano, che si fece chiamare anche princeps e Cesare Augusto, accentrò tutti i poteri nelle sue mani (comandante supremo dell’esercito, primo tra i senatori, pontefice massimo): l’epoca della Repubblica era finita, iniziava l’epoca dell’Impero. L’Impero Augusto governò con prudenza, non abusò dei suoi poteri e non privò del tutto di autorità il Senato di Roma. In questo periodo Augusto valorizzò la cultura tradizionale romana, favorendo l’opera di poeti e letterati (come Virgilio, l’autore dell’Eneide). Alla morte di Augusto, nel 14 d. C., l’Impero fu governato da dinastie di imperatori. In questo periodo l’Impero raggiunse la sua massima estensione, con la conquista della Dacia da parte di Traiano (106 d. C.). Iniziarono le persecuzioni contro gli Ebrei e i Cristiani e l’Impero si avviò a trasformarsi in una monarchia assoluta di tipo orientale: con Adriano tutte le province divennero proprietà assoluta dell’Imperatore. L’economia italiana decadde per la scarsa resa del sistema di produzione schiavista e per la continua richiesta di articoli di lusso da parte di Roma, in un periodo in cui l’Italia non produceva più come prima (le guerre di conquista e la cattiva amministrazione dell’agricoltura avevano mandato in rovina la piccola proprietà privata, estendendo a dismisura i latifondi; nessuna riforma inoltre, dai tempi dei Gracchi, era riuscita a far rinascere la proprietà terriera). Dopo la morte di Marco Aurelio, nel 180 d. C., una grave crisi politica ed economica investì l’Impero romano. In 100 anni si ebbero 27 imperatori, che poterono governare per brevissimi periodi e solo con l’appoggio dell’esercito. La necessità di difendere i confini da continui attacchi fece aumentare il numero dei soldati e quindi le spese dello Stato, per far fronte alle quali furono aumentate le tasse. Migliaia di giovani contadini arruolati nell’esercito furono così sottratti al lavoro dei campi, che cominciarono a essere abbandonati anche per la mancanza di schiavi. Nel 285 divenne imperatore Diocleziano, che governò per 20 anni e fu quindi in grado di attuare alcune riforme per riorganizzare lo Stato. L’Impero romano si era dovuto confrontare ben presto con la religione cristiana, una religione che i Romani cercarono di contrastare con ogni mezzo. I Romani non accettavano l’idea cristiana che tutti gli uomini fossero uguali e fratelli e che la religione dovesse essere distinta dallo Stato. Infatti il cittadino romano era convinto che l’imperatore stesso dovesse essere considerato come una divinità. Quando al Cristianesimo cominciò a convertirsi un gran numero di cittadini romani, lo Stato si sentì minacciato. Esso temeva infatti che i Romani convertitisi al Cristianesimo non avrebbero più rispettato le sue leggi. Tra il 249 e il 304 gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano ordinarono violente persecuzioni, che però rinsaldarono ancora di più le comunità cristiane. Nel 313 l’imperatore Costantino riconobbe ai Cristiani la libertà di culto e da quel momento i valori e la cultura cristiani si intrecciarono sempre più con quelli romani. La larga diffusione del Cristianesimo provocò però le prime difficoltà alla Chiesa: tra i Cristiani si ebbero divisioni e contrasti, che portarono alla nascita delle eresie (dottrine che non accettano le verità sostenute dalla Chiesa). Per risolvere questi contrasti con l’appoggio di Costantino si tenne un concilio a Nicea nel 325 (in quell’occasione vennero stabilite le verità della Chiesa cristiana, che vennero raccolte nella preghiera del Credo). Nel 380 l’imperatore Teodosio con un editto proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dello Stato romano e da quel momento cominciarono a essere perseguitati i pagani, quelli cioè che praticavano gli antichi riti romani. Alla morte di Teodosio, per suo volere, l’Impero venne diviso in due parti (Impero d’Occidente con capitale Roma e Impero d’Oriente con capitale Costantinopoli, l’antica Bisanzio). Il crollo dell’Impero romano Fin dall’inizio del terzo secolo d. C. i Romani avevano dovuto affrontare il problema dei rapporti con le popolazioni germaniche stanziate lungo i confini settentrionali e orientali dell’Impero. Queste popolazioni erano organizzate in clan e tribù di agricoltori e allevatori ed erano governate da un reguerriero dotato di ampi poteri. I Romani dapprima arruolarono alcuni Germani come soldati, poi impiegarono intere tribù a difesa dei confini. A est, alle spalle dei Germani delle grandi pianure vivevano gli Unni, un popolo di guerrieri eccezionalmente abili nel cavalcare e nel tirare con l’arco. Sul finire del quarto secolo gli Unni cominciarono una grande migrazione verso ovest, coinvolgendo tutti i popoli germanici d’Occidente che, spinti dagli Unni, si riversarono nei territori dell’Impero romano. Dalla disintegrazione dell’Impero romano d’Occidente (476 d. C , anno in cui il generale Odoacre capo degli Eruli, depose l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo) nacquero i regni romanogermanici, controllati politicamente e militarmente dai Germani, ma con struttura amministrativa romana. Solo la parte orientale dell’Impero continuerà a sopravvivere (per circa un millennio). Nel 527 Giustiniano, diventato imperatore d’Oriente, decise la riconquista dell’Italia. Al termine di una guerra durata 20 anni (contro i Goti) l’impresa gli riuscì: l’Italia divenne una provincia dell’Impero bizantino (l’Impero romano d’Oriente) e dovette subire l’imposizione di pesantissime tasse. I Bizantini, occupati a difendere i confini orientali dell’Impero, non riuscirono però a impedire che in Italia giungessero i Longobardi, che, nel 568, guidati dal re Alboino, occuparono buona parte della penisola italica. Con la pace del 603 l’Italia venne divisa in due parti, una longobarda (Longobardìa) e l’altra bizantina (Romània). Polonia. Sotto la guida di Guglielmo il Conquistatore nel 1066 i Normanni sconfissero i Sassoni nella battaglia di Hastings e occuparono l’Inghilterra. Il condottiero normanno fondò uno stato basato sul sistema feudale, donando una parte delle terre ai vassalli in cambio dell’obbligo di fornirgli cavalieri armati in caso di guerra, ma limitò la loro autonomia e mantenne gran parte dei territori sotto il suo diretto controllo. Stabilì inoltre il pagamento delle tasse in base ai beni che ogni suddito possedeva. Nell’undicesimo secolo i Normanni guidati da Roberto il Guiscardo e Ruggero d’Altavilla occuparono l’Italia meridionale, cacciando i Bizantini e gli Arabi. Ruggero II fondò il Regno di Sicilia, che organizzò intorno a un forte potere centrale. L’espansione dei Normanni nel Nord della Francia provocò la caduta dell’ultimo re carolingio, Carlo il Grosso. Dopo un secolo di lotte tra i feudatari, nel 987 salì al trono Ugo Capeto, fondatore della dinastia capetingia. Nel 936 in Germania divenne re e imperatore del Sacro Romano Impero di nazione germanica (che aveva inglobato la Lotaringia) Ottone I di Sassonia, che limitò il potere dei vassalli affidando gran parte delle terre ai vescovi-conti da lui stesso nominati (la mancanza di eredi dei vescovi-conti, dovuta al fatto che i membri del clero dovevano osservare il celibato, garantiva il ritorno delle terre in mano al re). Nel 962 Ottone, con il Privilegio ottoniano, proclamò il diritto imperiale di intervenire sulla nomina dei nuovi papi, stabilendo così la supremazia dell’autorità imperiale su quella papale. A differenza delle altre principali nazioni europee, nell’undicesimo secolo l’Italia era ancora divisa in tre zone: il settentrione, denominato Regno d’Italia, era stato riassorbito nel Sacro Romano Impero di nazione germanica; l’Italia centrale apparteneva alla Chiesa di Roma e quella meridionale alla dinastia normanna. 21. Comuni, crociate, commerci Intorno all’anno Mille l’aumento della produzione agricola e la ripresa dell’allevamento diedero un forte impulso alle attività commerciali. Le merci più vendute erano il grano, il sale, il vino, la lana e il cotone, insieme agli schiavi, che erano molto richiesti dai paesi islamici. Le prime città ad aprirsi ai traffici con l’Oriente furono le Repubbliche marinare italiane - Amalfi, Pisa, Genova e Venezia - e quelle della Lega, detta Hansa, che riuniva alcune grandi città del Nord Europa, che si amministravano autonomamente rispetto all’autorità imperiale. In Oriente il commercio seguì la cosiddetta Via della seta, grazie anche al lungo periodo di pace imposto da Gengis Khan, capo dei Mongoli, che aveva unificato in un vasto regno quasi tutta l’Asia. In Europa nei luoghi in cui i mercanti si incontravano più frequentemente (le Fiandre; la regione della Champagne, in Francia) sorsero le fiere. Vennero introdotte nuovissime tecniche finanziarie, come le lettere di cambio (antenate dei moderni assegni), il prestito a interesse, le assicurazioni. I cambiavalute fecero la comparsa in ogni mercato cittadino con la loro tavola mobile, il banco, su cui facevano i conti. Da questo nome derivò loro l’appellativo di banchieri. La ripresa delle attività commerciali favorì la rinascita dell’artigianato cittadino. Le manifatture tessili si svilupparono soprattutto in Italia e nelle Fiandre; altri settori produttivi furono quelli della carta, dell’industria navale, della metallurgia, dell’oreficeria, del vetro e delle ceramiche artistiche. Gli artigiani, chiamati maestri, erano aiutati nelle botteghe da giovani apprendisti e facevano parte delle corporazioni di arti e mestieri (chiamate Gilde in Germania). Queste associazioni di categoria tutelavano gli interessi dei propri membri, fissando i prezzi di vendita e i salari dei lavoratori, controllando la qualità delle merci e assicurando mutua assistenza ai soci. Tra le Arti maggiori (quelle più importanti) vi erano le associazioni dei banchieri, dei pellicciai, degli orefici, dei medici e dei giuristi; tra le Arti minori vi erano quelle dei calzolai, 25 dei fabbri, dei fornai e dei falegnami. Grazie al loro peso economico alcune corporazioni erano in grado di influenzare anche le scelte politiche delle autorità cittadine. Le attività artigianali e mercantili favorirono l’espansione delle città, nelle quali sorsero sedi di botteghe e di magazzini pieni di prodotti preziosi. Queste zone della città, chiamate borghi, furono cinte di mura: i loro abitanti furono chiamati borghesi. In varie città europee, per difendere i loro interessi dalle interferenze del padrone del feudo in cui si trovavano, i borghesi si unirono e ottennero dal feudatario una serie di libertà in campo economico e politico. Nacquero così i primi Comuni medievali. Con il tempo la popolazione cittadina si divise in due categorie: i magnati, rappresentati dai mercanti e dagli artigiani più ricchi, e il popolo, costituito da piccoli commercianti, artigiani e salariati. I magnati, grazie al loro potere economico, riuscirono a occupare le cariche politiche più importanti delle città, a svantaggio del popolo. Nei Comuni spesso scoppiavano rivalità e lotte armate tra opposte fazioni di cittadini. Quando non si riusciva a frenare queste lotte si nominava un podestà, scelto solitamente all’esterno del Comune affinché governasse con imparzialità. Nonostante l’intervento dei podestà, all’interno dei Comuni continuarono le lotte: ecco perché si passò gradualmente alla Signoria. La crescita delle attività mercantili favorì la diffusione della cultura, che non fu più riservata quasi esclusivamente ai membri del clero, come nell’Alto Medioevo. L’esigenza di una più accurata preparazione fece sorgere le prime università. Nel Medioevo il sentimento religioso aveva un ruolo fondamentale nella vita delle persone, che attribuivano grande valore al culto dei santi e delle reliquie. Il terrore della dannazione eterna condizionava la vita quotidiana e per assicurarsi la remissione dei peccati si compivano pellegrinaggi nei Luoghi santi. Nel corso dell’undicesimo secolo la Chiesa di Roma perse la propria autorità religiosa in parte del mondo cristiano. Per motivi religiosi e politici si era infatti creata una divisione tra i cattolici della Chiesa di Roma e gli ortodossi della Chiesa di Costantinopoli. Questa divisione portò nel 1054 allo Scisma d’Oriente. Per recuperare prestigio il Papato incitò i sovrani spagnoli a ricacciare gli Arabi musulmani dalla Spagna con una guerra di riconquista. Per quanto riguarda l’Oriente invece, quando i Turchi Selgiuchidi 26 occuparono Gerusalemme, papa Urbano II indisse le Crociate per liberare il Santo Sepolcro dagli Infedeli, promettendo a ogni partecipante la remissione dei peccati. In Europa la carestia spinse grandi masse di contadini a partecipare alla crociata popolare guidata da Pietro l’Eremita nel 1096 per ricercare terre fertili in Oriente, ma la spedizione fallì. Alle Crociate, che tra il 1096 e il 1270 furono complessivamente otto, parteciparono nobili, uomini di chiesa e re, soprattutto per procurarsi ricchezze e conquistare nuovi territori dove trapiantare il sistema feudale. Con la prima Crociata, guidata da Goffredo di Buglione, nel 1099 Gerusalemme venne conquistata e furono fondati i Regni latinocristiani d’Oriente, che resistettero però solo fino al 1144. Le altre Crociate furono nel complesso un fallimento. Esse si rivelarono però un grande affare soprattutto per le città marinare italiane, che misero a disposizione le loro flotte e conquistarono il dominio del Mediterraneo. Nel corso del ‘200 Venezia divenne la città egemone e riuscì a dirottare una crociata contro Costantinopoli: i Veneziani saccheggiarono la capitale bizantina e si sostituirono a essa nel dominio politico e commerciale sulle coste del Mediterraneo orientale. In Occidente le conseguenze delle Crociate furono la disgregazione dell’organizzazione feudale e lo sviluppo di Comuni indipendenti, l’introduzione di nuovi prodotti (come lo zucchero di canna e l’indaco, una tinta per stoffe) e lo sviluppo delle conoscenze matematiche e mediche grazie agli scambi culturali con il mondo arabo. 22. Guelfi e ghibellini - La casa di Svevia Nel dodicesimo secolo l’Impero germanico era dilaniato dalla lotta per la corona imperiale tra la casa di Svevia, sostenuta dai Ghibellini, e la casa di Baviera, appoggiata dai Guelfi. Nel 1152 salì al trono Federico I di Svevia, detto il Barbarossa. Egli mirava a riportare sotto l’autorità imperiale i liberi Comuni dell’Italia settentrionale e a ripristinare il Privilegio ottoniano, riaffermando la supremazia dell’imperatore sul papa. I piani di Federico Barbarossa fallirono per la resistenza opposta dai Comuni italiani, che rifiutarono di sottomettersi all’imperatore. Dopo aver subito La società feudale La società nell’epoca feudale era distinta in tre gruppi sociali: la nobiltà guerriera, il clero e i lavoratori. Secondo la mentalità dell’epoca ogni gruppo si differenziava per i compiti che svolgeva nell’ambito della società. Ai nobili era riconosciuto il compito di dedicarsi all’uso delle armi e di combattere in difesa di tutta la popolazione. Il clero doveva pregare e si doveva impegnare negli offici divini e nella guida spirituale di tutti gli individui per condurli alla salvezza. Gli altri, soprattutto contadini e artigiani, avevano il compito di lavorare per produrre tutto ciò che serviva per la sopravvivenza sia loro sia dei nobili e del clero. I feudatari vivevano nei castelli, costruzioni fortificate, in cui risiedevano con la loro famiglia, i servi e i cavalieri armati per difendersi dagli assalti nemici. Combattere era l’attività principale della nobiltà, che anche quando non era impegnata in guerra si dedicava alla caccia e ai tornei con i quali si manteneva in esercizio. I guerrieri che ne entravano a far parte si impegnavano a usare le armi solo per nobili scopi, come la difesa dei deboli e la lotta contro gli infedeli. Spesso potenti signori e gli stessi sovrani donavano terre e beni a chiese e monasteri. Alla Chiesa era affidata anche l’istruzione; le scuole presso i monasteri e le chiese cittadine erano le uniche organizzazioni in grado di istruire monaci e chierici e qualche figlio delle famiglie nobili. In ogni feudo vi era una chiesa parrocchiale, che costituiva il centro della vita delle comunità contadine. Al tempo di Ottone I di Sassonia i vescovi divennero veri e propri vassalli del re, occupandosi come feudatari anche di affari di governo. I contrasti tra l’Impero e la Chiesa La nomina dei vescovi-conti provocò l’estendersi di un notevole malcostume tra il clero. Vescovi, abati e parroci erano spesso più interessati ai divertimenti e alla ricchezza che alla guida spirituale delle anime. Molti uomini di chiesa, nonostante i divieti, si davano al concubinato. Per frenare la corruzione morale della Chiesa i monaci di Cluny, in Francia, avviarono un grande movimento di riforma; condannarono i preti che non rispettavano il celibato e coloro che facevano commercio delle cariche ecclesiastiche. Attaccarono inoltre il Privilegio ottoniano e attribuirono al papa il potere temporale, ovvero il potere politico in aggiunta a quello spirituale su tutti i regni cristiani. Con l’elezione del monaco cluniacense Ildebrando di Soana, che divenne papa con il nome di Gregorio VII nel 1075, iniziò la cosiddetta lotta per le investiture. Gregorio VII con il Dictatus papae ribadì che spettava al papa la nomina dei vescovi e stabilì che il pontefice poteva giudicare e deporre i sovrani che non agivano secondo i principi cristiani. Con questo si sosteneva l’ideale teocratico, cioè il principio della superiorità del potere del papa su quello dell’imperatore. L’imperatore Enrico IV convocò un’assemblea di vescovi-conti tedeschi per deporre il papa, ma Gregorio VII rispose con la Spagna con una guerra di riconquista. Per quanto riguarda l’Oriente invece, quando i Turchi Selgiuchidi occuparono Gerusalemme, papa Urbano II indisse le Crociate per liberare il Santo Sepolcro dagli Infedeli, promettendo a ogni partecipante la remissione dei peccati. In Europa la carestia spinse grandi masse di contadini a partecipare alla crociata popolare guidata da Pietro l’Eremita nel 1096 per ricercare terre fertili in Oriente, ma la spedizione fallì. Alle Crociate, che tra il 1096 e il 1270 furono complessivamente otto, parteciparono nobili, uomini di chiesa e re, soprattutto per procurarsi ricchezze e conquistare nuovi territori dove trapiantare il sistema feudale. Con la prima Crociata, guidata da Goffredo di Buglione, nel 1099 Gerusalemme venne conquistata e furono fondati i Regni latino-cristiani d’Oriente, che resistettero però solo fino al 1144. Le altre Crociate furono nel complesso un fallimento. Esse si rivelarono però un grande affare soprattutto per le città marinare italiane, che misero a disposizione le loro flotte e conquistarono il dominio del Mediterraneo. Nel corso del ‘200 Venezia divenne la città egemone e riuscì a dirottare una crociata contro Costantinopoli: i Veneziani saccheggiarono la capitale bizantina e si sostituirono a essa nel dominio politico e commerciale sulle coste del Mediterraneo orientale. In Occidente le conseguenze delle Crociate furono la disgregazione dell’organizzazione feudale e lo sviluppo di Comuni indipendenti, l’introduzione di nuovi prodotti (come lo zucchero di canna e l’indaco, una tinta per stoffe) e lo sviluppo delle conoscenze matematiche e mediche grazie agli scambi culturali con il mondo arabo. 22. Guelfi e ghibellini - La casa di Svevia Nel dodicesimo secolo l’Impero germanico era dilaniato dalla lotta per la corona imperiale tra la casa di Svevia, sostenuta dai Ghibellini, e la casa di Baviera, appoggiata dai Guelfi. Nel 1152 salì al trono Federico I di Svevia, detto il Barbarossa. Egli mirava a riportare sotto l’autorità imperiale i liberi Comuni dell’Italia settentrionale e a ripristinare il Privilegio ottoniano, riaffermando la supremazia dell’imperatore sul papa. I piani di Federico Barbarossa fallirono per la resistenza opposta dai Comuni italiani, che rifiutarono di sottomettersi all’imperatore. Dopo aver subito la La nascita dell’Europa moderna Nel periodo compreso tra il 1300 e il 1500 nacquero le grandi monarchie nazionali di Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo, mentre il papato e l’Impero germanico persero autorità e potere. La Chiesa si scontrò con i sovrani francesi e inglesi, che riuscirono a liberarsi dal controllo papale: essi decisero di amministrarsi autonomamente imponendo leggi e tributi, oltre che alla propria popolazione, anche al clero che risiedeva nei loro Stati. Dal 1305 al 1377 il re francese spostò la sede pontificia ad Avignone (nella Francia meridionale) ed elesse papi obbedienti al suo volere. Contemporaneamente in Germania l’imperatore perse potere e l’Impero si divise senza più influenzare il resto dell’Europa. La borghesia sovvenzionò con prestiti le guerre dei sovrani contro i feudatari. In seguito a queste lotte le monarchie estesero il proprio potere e sorsero così grandi Stati nazionali. La nobiltà feudale decadde e si trasformò in nobiltà di corte alle dipendenze dei sovrani. Il primo Stato nazionale europeo fu l’Inghilterra, dove nacque un nuovo organismo politico che affiancò e limitò i privilegi del re: il parlamento, con la Camera dei Lords (nobiltà) e quella dei Comuni (borghesia). Nobili e borghesi ottennero con la Magna Charta Libertatum del 1215 (primo esempio di carta costituzionale che limitava i poteri del re) il diritto a essere consultati quando si dovevano imporre nuove tasse e amministrare la giustizia. 29 Il re inglese, che possedeva feudi in terra francese, nel 1328 rivendicò addirittura la corona di Francia. Scoppiò così la Guerra dei Cento Anni, che si concluse con la cacciata degli Inglesi dalla Francia, anche grazie all’intervento di Giovanna d’Arco. Nel 1453 crollò l’Impero Romano d’Oriente, che cadde in mano ai Turchi Ottomani. Nel 1492 venne unificata la Spagna, con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. 24. Le Signorie In Italia vi fu il passaggio dal Comune alla Signoria. Alcune famiglie nobili si impadronirono del potere e governarono le città, ingrandendo spesso il proprio territorio con guerre di conquista che portarono alla creazione degli Stati Regionali. I principali Stati Regionali intrapresero nella seconda metà del ‘300 una politica espansionistica che portò a una serie di guerre, guerre che venivano combattute assoldando le Compagnie di ventura (eserciti formati da soldati mercenari). Queste ostilità si conclusero con la pace di Lodi (1454), che segnò il trionfo della politica dell’equilibrio voluta da Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. Il quadro politico dell’Italia, dopo la formazione delle Signorie, era il seguente: - il Ducato di Milano, sotto i Visconti e poi (dopo la metà del ‘400) sotto gli Sforza; - la Repubblica di Venezia, padrona di territori nel Veneto, in Lombardia, nel Friuli e in Istria; - la Repubblica di Firenze, passata nel 1434 sotto la signoria dei Medici; - lo Stato della Chiesa (sotto il Papa), esteso dal Lazio meridionale fino a Ferrara; - il Regno di Napoli, sotto gli Angioini (francesi) fino al 1442, poi sotto gli Aragonesi, che lo unificarono alla Sicilia che già possedevano. Altre Signorie erano quelle dei Savoia in Piemonte, dei Gonzaga a Mantova, degli Scaligeri a Verona, degli Estensi a Ferrara. 30 25. Il Rinascimento - Le scoperte geografiche Con il Rinascimento, il periodo che segue il Medioevo, si riscopre la dignità dell’uomo, che viene considerato signore e padrone dell’universo. Questa nuova fiducia nelle capacità dell’uomo portò allo sviluppo della scienza e della tecnica. Nel 1456 il tedesco Giovanni Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili. Nel corso del ‘500 si affermarono le armi da fuoco (sperimentate fin dal ‘300). Esse si rivelarono fondamentali soprattutto negli assedi e ciò ebbe come conseguenza la modifica dell’architettura delle fortificazioni. L’uso delle armi da fuoco elevò ulteriormente i costi della guerra (soprattutto per il numero delle vittime). La scoperta (o , per meglio dire, conquista) dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 segna per gli storici la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna. Al viaggio di Colombo ne seguirono molti altri, come quelli di Vasco de Gama (che circumnavigando l’Africa giunse in India), Amerigo Vespucci (che diede il nome al continente americano), Ferdinando Magellano (che compì il primo giro del mondo), Bartolomeo Diaz (che per primo superò il Capo di Buona Speranza). Questa attività di esplorazione era dovuta in parte a curiosità e a spirito di avventura, in parte al bisogno di oro dei sovrani europei finanziatori di queste imprese. Fin dal 1494 si definirono con un trattato le aree di sfruttamento dell’America Latina assegnate alla Spagna e al Portogallo, che avevano le flotte più attrezzate d’Europa. Mentre il Portogallo si limitò momentaneamente a occupare piccole zone del Brasile, dalla Spagna partirono i Conquistadores (capitanati da Cortés e Pizarro), avventurieri che si impadronirono di vasti territori dell’America centro-meridionale e sterminarono le popolazioni indigene degli Aztechi, degli Incas e dei Maya. Il declino dell’Italia Il 1494 apre il periodo delle guerre italiane, che durò fino al 1559. Esso segnò per l’Italia l’inizio di una lunga fase di declino. In questi anni essa fu percorsa da eserciti stranieri, che fecero della penisola un campo di battaglia, mentre gli stati italiani non riuscirono a coalizzarsi e ad agire, preferendo allearsi ora con l’una, ora con l’altra potenza, pur di contrastare l’espansione dei propri rivali. Episodi significativi di questa impotenza politica furono la breve amministrazione repubblicana di Firenze sotto Gerolamo Savonarola e l’avventura di Cesare Borgia, che tentò senza fortuna di costituire uno stato unitario nell’Italia centrale. Nel 1494 il re di Francia Carlo VIII scese in Italia e cercò inutilmente di riprendersi il Regno di Napoli, passato dagli Angioini francesi agli Aragonesi di Spagna. Nel 1519 Carlo d’Asburgo divenne imperatore con il nome di Carlo V. Egli ereditò dai nonni materni (i re di Castiglia e di Aragona) la Spagna, la Sicilia, la Sardegna, Napoli e i possedimenti spagnoli in terra d’Africa e d’America; dal nonno paterno (l’imperatore Massimiliano d’Asburgo) i Paesi Bassi, la Germania e l’Austria con la corona imperiale. Su un impero tanto vasto, era solito dire Carlo V, “non tramontava mai il sole”. Il re di Francia Francesco I si sentiva accerchiato dal grande impero di Carlo V e intraprese con lui una serie di guerre (alcune delle quali combattute in Italia). Dopo la morte di Francesco I, Carlo V divise l’impero in due parti: quella spagnola passò al figlio Filippo II, quella austriaca al fratello Ferdinando. Ciò nonostante le guerre tra gli Asburgo e i Francesi continuarono ancora fino al 1559, anno del trattato di Cateau- Cambrésis (pronuncia: Catò Cambresì), che, con la pace, portò la supremazia spagnola in Italia (gli Spagnoli infatti dominavano sul Milanese, sul Regno di Napoli, sulla Sicilia e sulla Sardegna). Riforma e Controriforma Nel ‘500 la Chiesa cattolica entrò in una crisi profonda. Già da tempo molti condannavano la corruzione del clero. Quando il Papa Leone X promosse in Germania una vendita di indulgenze per finanziare i lavori di costruzione della basilica di S. Pietro, il monaco agostiniano Martin Lutero protestò vivacemente, esponendo nella città tedesca di Wittemberg un manifesto contenente 95 tesi (cioè brevi affermazioni) in cui condannava la vendita delle indulgenze. La stampa in pochi anni permise una larga diffusione delle tesi luterane. Intanto Lutero continuò la propria opera di riforma preparando una nuova dottrina cristiana basata su a)giustificazione per fede (solo la fede può salvare il cristiano, non le opere - es. il “comprare” indulgenze); b) sulla libera interpretazione delle Sacre Scritture; c) sul sacerdozio universale di tutti i credenti (ogni uomo di fede può essere considerato un sacerdote). Nacque così il rito luterano o protestante, che aboliva tutti i Sacramenti tranne il Battesimo e l’Eucaristia, sopprimeva il Sacerdozio, semplificava la Messa, aboliva i dogmi (cioè le “verità” che la Chiesa riteneva indiscutibili), tra cui quello dell’esistenza del Purgatorio, dal quale derivava la vendita delle indulgenze per i defunti. Leone X scomunicò Lutero e l’imperatore Carlo V lo dichiarò eretico. Ma alcuni Principi Elettori tedeschi, affascinati dalle idee di Lutero, ma anche interessati a togliere alla Chiesa cattolica le vaste proprietà che possedeva in Germania, protessero il frate, che si mise a lavorare alla traduzione della Bibbia dal latino al tedesco. Nel 1534 il Re inglese Enrico VIII (approfittando del fatto che il Papa non gli aveva concesso il divorzio da Caterina d’Aragona) si staccò dalla Chiesa cattolica, fondando la Chiesa anglicana, di cui si pose a capo. In questo modo Enrico abolì i privilegi di cui godeva il clero e si impossessò dei beni della Chiesa di Roma in terra inglese. In pochi anni il dilagare della Riforma spaccò l’Europa in due e sottrasse molti stati al dominio della Chiesa cattolica. Questa, tuttavia, riuscì a reagire subito e a rafforzare la propria autorità nei paesi che erano rimasti cattolici. La prima mossa fu l’istituzione di nuovi ordini monastici (come i Gesuiti) per contribuire alla diffusione del Vangelo e per combattere le eresie e la corruzione. La seconda fu la convocazione del Concilio di Trento (1545-1563), che procedette alla Controriforma, cercando di moralizzare i costumi della Chiesa e ribadendo i dogmi che Lutero aveva contestato. Per combattere le eresie il Nel XVII secolo la scienza occidentale, bloccatasi nel mondo antico, rinacque su basi del tutto nuove, dando inizio a una corsa che non si è ancora arrestata. Tali basi furono gettate da Galileo Galilei (1564-1642), fondatore del metodo sperimentale. Grazie ad esso e alla messa a punto di strumenti tecnici (come il cannocchiale e il telescopio) adatti all'osservazione e alla misurazione dei fenomeni, furono scoperte le prime leggi che regolano la natura. Tra le molte scoperte di Galileo, la più famosa è quella che riguarda la conferma sperimentale delle teorie di Copernico, il quale, contro la teoria geocentrica di Tolomeo, aveva dimostrato per via matematica che non la Terra, ma il Sole è al centro dell'universo (teoria eliocentrica). Ciò valse a Galileo la condanna da parte dell'Inquisizione nel 1633. Isaac Newton proseguì poi sulla via tracciata dal metodo sperimentale e scoprì la legge di gravitazione universale. Per tutto il secolo, altri studiosi misero a punto il linguaggio matematico, le leggi della geometria, nuovi sistemi di calcolo, nuovi strumenti scientifici (a un allievo di Galileo, Evangelista Torricelli, si deve l’invenzione del barometro, uno strumento per la misurazione della pressione atmosferica). I vantaggi della scienza non sfuggirono ai capi di Stato, che fondarono Accademie destinate a favorire la comunicazione tra scienziati. Ben presto questa grande attività teorica avrebbe dato frutti eccezionali sul piano tecnico. Ciò accadde quando, verso la fine del Seicento, le ricerche si concentrarono sul calore e vi riconobbero una fonte di energia alternativa a quella muscolare, dell'acqua e del vento. La fine dell’egemonia spagnola in Italia La guerra di successione spagnola, che era scoppiata in quanto il re di Spagna era morto senza eredi diretti e che vide coinvolte la Francia e l’Austria, si concluse portando un Borbone sul trono di Spagna e segnò contemporaneamente la fine del predominio spagnolo in Italia. La Lombardia e il Regno di Napoli passarono infatti agli Asburgo d’Austria, mentre grazie alla Sicilia, che fu poi scambiata con la Sardegna, i Savoia assumevano per la prima volta il titolo di re. La Rivoluzione industriale Le ricerche scientifiche sul calore come fonte di energia trovarono la prima importante applicazione tecnica con la macchina a vapore di James Watt. Essa fu usata, all’inizio, per mettere in moto, con l’energia prodotta dal vapore, le pompe per aspirare acqua dalle miniere; in seguito venne utilizzata per fornire energia alle macchine tessili e questo diede l’avvio a quella che gli storici chiamano Rivoluzione industriale (cioè il passaggio dalla produzione artigianale all’industria). Le macchine tessili erano in precedenza manovrate a mano o messe in moto dall’energia dell’acqua. Una volta mosse dal vapore, esse produssero quantità molto maggiori di tessuto, creando quindi un’offerta di stoffe a basso prezzo. Nello stesso tempo il fatto che molti contadini si fossero trasferiti nelle fabbriche, aveva creato anche una forte domanda di prodotti: merce a basso prezzo trovava così un numero sempre maggiore di compratori e ciò scatenò un meccanismo produttivo in rapida crescita. Iniziò allora il “capitalismo” (il capitale è formato nell’industria da macchinari, edifici, operai, merci e infine dal denaro per pagare gli uni e le altre e da quello che si ricava dalla vendita dei prodotti). Gli imprenditori cominciarono a investire il capitale per migliorare le attrezzature e costruire nuovi impianti, in modo da produrre sempre meglio e sempre di più. La maggiore produzione fece aumentare a sua volta il capitale e così via. Il nuovo tipo di produzione (non più singoli lavoranti ognuno nella propria casa, bensì decine di macchine riunite in una grande fabbrica) ebbe come conseguenza la divisione del lavoro: ogni operaio era addetto a una sola fase della produzione e non seguiva più l’intero ciclo, come l’artigiano, che produceva da sé l’intero oggetto. I salari degli operai all’inizio erano bassissimi, i bambini e le donne erano sottoposti a turni di lavoro massacranti ed erano inoltre sottopagati; il lavoro poteva essere perso da un momento all’altro, perché non c’erano leggi che lo regolamentavano e su tutto valevano sempre gli interessi dei padroni. All’inizio i lavoratori reagirono in modo disordinato, ma poi cominciarono a organizzarsi in leghe operaie, dalle quali sarebbero in seguito sorti i sindacati. La Rivoluzione industriale decollò realmente quando l’energia del vapore fu applicata anche ai trasporti. Ciò accadde a partire dal 1829, quando George Stephenson costruì la prima locomotiva. 38 Nello stesso periodo le macchine a vapore vennero applicate anche alle navi. La Rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra e diede a questo paese un enorme vantaggio, rispetto al resto dell’Occidente. I motivi per i quali fu proprio l’Inghilterra a raggiungere per prima quel traguardo sono molteplici: l’Inghilterra era uno stato nazionale già da diversi secoli, aveva stabilità politica e un ceto borghese forte e attivo; possedeva in grandi quantità materie prime come ferro e carbone; aveva facilità di trasporti e grosse disponibilità di capitali accumulati con l’agricoltura e con il commercio (v. ciò che era avvenuto durante l’età elisabettiana). Dalla fine del ‘600, inoltre, aveva visto crescere fortemente la popolazione (poiché terminarono le epidemie di peste e inoltre la gente meno ricca poté nutrirsi a sufficienza grazie alle nuove coltivazioni della patata e del mais introdotte dall’America), e ciò ebbe come conseguenza una sempre maggiore domanda di prodotti. L’Illuminismo Ciò che sul piano tecnico, sociale ed economico stava accadendo con la Rivoluzione industriale fu accompagnato da un grande movimento intellettuale che varcò i confini dell'Inghilterra, diffondendosi in tutta Europa (e poi anche in America), ma soprattutto in Francia. Questo movimento fu chiamato Illuminismo perché sosteneva l’importanza dei “lumi” della Ragione. Esso cioè affermava che l’uomo doveva affidarsi alla luce della Ragione e rifiutare tutto ciò che dalla Ragione non poteva essere spiegato, comprese, per alcuni filosofi, le religioni (alcuni illuministi negarono l’esistenza di Dio, altri accettarono la presenza di un essere supremo, che aveva dato all’uomo l’intelligenza per poter agire al meglio e per migliorare le proprie condizioni di vita). Proprio in considerazione del fatto che ogni uomo è dotato della Ragione, gli illuministi proposero una società basata sull’uguaglianza e sostennero gli ideali di libertà e tolleranza, contro ogni autoritarismo. Tra i principali illuministi francesi occorre ricordare Voltaire, Rousseau e Montesquieu, il quale teorizzò la separazione dei tre poteri - legislativo, esecutivo, giudiziario - che è alla base degli stati democratici odierni. Alcuni sovrani accolsero il messaggio degli illuministi più moderati, attuando una politica riformista volta in particolare a ridurre i 39 privilegi del clero e dell’aristocrazia e a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Tra questi sovrani “illuminati” vi furono Federico II di Prussia (uno stato della Germania settentrionale), Maria Teresa d’Austria e Caterina II di Russia. Il periodo fu caratterizzato anche da numerose guerre di successione, dalle quali trasse vantaggio soprattutto la Prussia alle spese dell’Austria. L’ultima di queste guerre, la Guerra dei Sette anni, ebbe conseguenze soprattutto oltreoceano, perché stabilì anche sui mari il primato inglese (già consolidato in campo commerciale e industriale). Con la svolta storica prodotta dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione industriale si chiude l’era moderna e inizia l’era contemporanea. Il colonialismo e l’indipendenza americana Gli Europei avevano proceduto alla “conquista” dell’America convinti della superiorità dell’Europa sul resto del mondo (eurocentrismo). Questa convinzione aveva fatto sì che i Conquistadores ritenessero giusto e naturale impadronirsi delle terre d’oltreoceano e di tutte le loro risorse. Le popolazioni indigene erano state depredate delle ricchezze e in gran parte sterminate. I sopravvissuti, impiegati come schiavi nei campi e nelle miniere di metalli preziosi, morivano per la fatica o per le nuove malattie portate dagli Europei, contro cui non avevano sufficienti difese immunitarie. Il colonialismo (lo sfruttamento di stati extraeuropei da parte di alcuni stati europei) portò con sé un fenomeno che nel Seicento e nel Settecento assunse dimensioni impressionanti: la tratta degli schiavi. Il bisogno di schiavi era nato sin dalla metà del ‘500, quando Spagnoli e Portoghesi si erano accorti che gli Indios americani, decimati, come si è detto, dagli stenti e dalle malattie, non fornivano manodopera sufficiente per il lavoro nelle miniere e nelle piantagioni. Con il permesso dei rispettivi governi essi si rivolsero ai “negrieri”, uomini che per mestiere rapivano i neri d’Africa e li trasportavano sulle proprie navi in America come schiavi. Verso la fine del Settecento la domanda di schiavi si estese anche alle piantagioni dell’America del Nord, dove gli Inglesi avevano scoperto la possibilità di coltivare il tabacco. Il flusso degli schiavi si diresse quindi verso l’America settentrionale e fu ancora più 40 massiccio. Nel 1865, quando la schiavitù fu abolita, l’America ospitava ormai quattro milioni e mezzo di schiavi. Sebbene la presenza di colonie europee in America, Africa e Asia risalga agli ultimi anni del Quattrocento, il fenomeno del colonialismo esplose nella seconda metà del Settecento. Dopo la Guerra dei Sette anni, infatti, l'Inghilterra acquistò un primato sui mari di tutto il mondo che le consentì di organizzare le sue basi commerciali fondando un vero e proprio sistema coloniale. Nonostante ciò, la sua storia coloniale registrò un grave scacco a causa della perdita delle sue tredici colonie americane. Gravemente ostacolate nel loro sviluppo economico (potevano commerciare solo con l'Inghilterra), esse si mantennero fedeli alla madrepatria finché tale svantaggio fu compensato dal vantaggio di essere sottoposte a tasse molto basse. L'aumento delle tasse, imposto dal Parlamento di Londra per coprire i costi della Guerra dei Sette anni e non compensato da altre concessioni, vi scatenò quindi proteste come quella del 1770, nota col nome di “massacro di Boston'', o come quella del 1773, causata dall'afflusso di tè indiano sottoposto a tassazione. La protesta sfociò nella Guerra d'indipendenza (1775-1783), le cui operazioni militari furono affidate al comando di George Washington. Mentre l'esercito dei volontari americani si organizzava faticosamente e Benjamin Franklin (l’inventore del parafulmine) si recava in Francia a sostenere la causa americana, le tredici colonie della costa orientale accettavano come nuova Costituzione della futura repubblica la Dichiarazione d'indipendenza, redatta in gran parte da Thomas Jefferson (il documento, ispirato ai principi dell’Illuminismo, sosteneva tra l’altro che “tutti gli uomini sono creati liberi e uguali”). L’intervento a fianco delle colonie prima della Francia e poi della Spagna, venne distrutta ad Abukir ad opera dell'ammiraglio inglese Nelson. L’armata napoleonica si trovò isolata in Egitto, mentre la Gran Bretagna dava vita alla Seconda coalizione contro la Francia. Nel 1799 Napoleone abbandonò l'Egitto e accorse in Francia, dove, 44 sciogliendo con le armi l'Assemblea parlamentare, compì con l’appoggio di parte della borghesia il colpo di Stato che pose fine al decennio della Rivoluzione iniziato nel 1789. Proclamatosi Primo console, Napoleone promosse riforme e iniziative a favore della borghesia, che mettevano in pratica alcuni valori della rivoluzione. Dopo aver battuto gli Austriaci a Marengo (in Italia) firmò la pace prima con l’Austria (1801) e poi con l'Inghilterra (1802). Ciò confermò la sua conquista di parte della Germania, del Belgio e dell'Olanda. In quegli stessi anni egli varò il Codice Napoleonico, un nuovo codice di leggi basato su princìpi illuministici e borghesi. Nel 1804 un plebiscito al quale parteciparono tutti i francesi maschi adulti proclamò la fondazione dell'Impero e l’elezione di Napoleone a imperatore. Nel 1805 si formò la Terza coalizione. Dopo la vittoria della flotta inglese, comandata da Nelson, a Trafalgar (vicino a Gibilterra), seguirono due vittorie napoleoniche sul continente. Contro l'Inghilterra, Napoleone proclamò il Blocco continentale, che proibiva l'attracco in Europa di navi inglesi e ne impediva i commerci. Nel 1807 quando era già nata una Quarta coalizione, Napoleone occupò Spagna e Portogallo e ne affidò la corona a suo fratello, Giuseppe Bonaparte. Dopo averne cacciato i Borboni, diede il trono di Napoli a Gioacchino Murat. Tra il 1809 e il 1812 batté la Quinta e la Sesta coalizione e iniziò la campagna di Russia, che si concluse con una disastrosa ritirata nell'inverno dello stesso anno. Nel 1813 gli eserciti della Settima coalizione sconfissero Napoleone a Lipsia (in Germania). Mentre Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, tornava a Parigi, l'imperatore veniva esiliato all'isola d'Elba. Riuscito a fuggire, nel 1815 Napoleone veniva definitivamente battuto a Waterloo (in Belgio) dai Prussiani e dagli Inglesi ed esiliato a Sant'Elena (un’isola dell’Atlantico a occidente dell’Africa), dove morì nel 1821. L’Europa all’inizio dell’Ottocento Nella prima metà dell'Ottocento si verificò in alcuni paesi europei, come la Prussia, il Belgio e la Francia, un forte sviluppo industriale. La disponibilità di materie prime, in particolare di carbone e ferro, fu una delle cause più importanti di questo processo. Tuttavia, il paese più industrializzato rimase l’Inghilterra. In questo periodo si ebbe un enorme sviluppo dei trasporti su ferrovia, soprattutto nei paesi industrializzati e in via di 45 industrializzazione. L'Italia, invece, accusava ancora un grave ritardo dal punto di vista economico. La divisione della penisola in piccoli Stati non favoriva lo sviluppo del commercio e quindi neanche della produzione, che continuava a rimanere affidata alle botteghe artigianali invece che ai grandi stabilimenti industriali. Solo nelle regioni settentrionali era da tempo fiorente l’industria tessile e in particolare la produzione di tessuti di seta. Inoltre, sempre in queste regioni, si era diffuso lo spirito capitalistico che spingeva a una maggiore iniziativa privata in economia. Invece, nelle regioni meridionali, la mentalità economica era ancora legata allo sfruttamento delle rendite terriere (soprattutto dei grandi latifondi, proprietà di poche ricche persone) e non all'investimento o all'ammodernamento delle strutture produttive. Il Congresso di Vienna e la Restaurazione Dopo la sconfitta di Napoleone ebbe inizio il Congresso di Vienna (1814-1815). Vi parteciparono tutti gli Stati d'Europa. Ma fu voluto dalle grandi potenze che avevano sconfitto la Francia di Napoleone: l’Inghilterra, l’Austria, la Russia e la Prussia. Lo scopo del congresso era semplice: doveva ristabilire l'ordine e la pace in Europa. Quell'ordine e quella pace messe così profondamente in crisi dalla Rivoluzione francese e da Napoleone. Quando il congresso ebbe inizio, Napoleone si trovava in esilio nell‘isola d'Elba. Nel marzo del 1815 riuscì a fuggire e a sbarcare nuovamente in Francia. Ma venne definitivamente sconfitto il 18 giugno 1815 a Waterloo. Questa vicenda non turbò affatto il Congresso di Vienna, che proseguì i suoi lavori e li concluse qualche giorno prima di Waterloo, il 9 giugno 1815. Da tempo, ormai, Napoleone era uno sconfitto e non aveva più futuro politico. Con il Congresso di Vienna iniziava l'epoca della Restaurazione. Con questa parola i vincitori intendevano il completo ritorno al passato. Tutti i princìpi della rivoluzione dovevano essere negati. Anzi, si vollero cancellare tutte le idee moderne che si erano affermate nel corso del XVIII secolo. Il Congresso decise di seguire due princìpi: il principio di legittimità ; e il principio di equilibrio. In molti casi fu applicato il principio di legittimità: erano legittimi (cioè secondo la legge e quindi validi) quei governi che erano stati al potere da lungo tempo e avevano per così dire messo le radici nella società. Il principio di legittimità venne difeso dai reazionari, coloro che volevano “reagire” a tutte le novità per tornare alla situazione precedente l'età rivoluzionaria e napoleonica. In tutta Europa, i sovrani e i vecchi aristocratici tornarono dall'esilio per riprendere i loro antichi possedimenti e privilegi. In Francia salì al trono Luigi XVIII: era il fratello minore e il legittimo erede di Luigi XVI, decapitato ventidue anni prima. Ma non sempre il principio di legittimità era conveniente: poteva essere causa di nuove guerre. In questi casi fu applicato il principio di equilibrio. L’Impero di Napoleone fu spartito tra le potenze vincitrici; si evitò tuttavia che uno stato diventasse troppo forte e minacciasse quelli vicini e venne creata una serie di stati-cuscinetto a dividere le grandi potenze. In Italia la maggior parte degli antichi stati fu ricostituita, ma scomparvero la Repubblica di Genova, annessa al Regno di Sardegna, e la Repubblica di Venezia, annessa al LombardoVeneto sotto il dominio austriaco. Fu ricostituito lo Stato della Chiesa e il Papato, per paura dell’ateismo, condannò tutte le idee moderne. Le aspirazioni alla libertà dei popoli furono ignorate, ma questa situazione era destinata a non durare. Le conclusioni del Congresso di Vienna infatti lasciarono molti scontenti. Nell’età della Restaurazione le forze di opposizione non potevano esprimersi liberamente. Per questo si organizzarono in società segrete. Queste società, che sorsero numerose in tutta Europa, imitavano il modo di agire della Massoneria (un’associazione nata nel Settecento in Inghilterra, che operava per la diffusione delle idee di libertà e tolleranza). La più importante società segreta italiana fu la Carboneria. I moti del 1820-’21 e l’indipendenza della Grecia I primi moti rivoluzionari scoppiarono nel 1820-21, per iniziativa delle società segrete. In Spagna, in Campania e in Sicilia i moti ebbero come obiettivo la richiesta di una costituzione e di un parlamento (due diritti negati dalle monarchie assolute); in Piemonte e in Lombardia, oltre alla costituzione, i rivoluzionari chiedevano che i Savoia muovessero guerra all'Austria e liberassero la Lombardia. Il principe Carlo Alberto, in qualità di reggente (al posto di Carlo Felice, lontano dal regno), concesse la costituzione ai piemontesi e sembrò favorevole all'idea della guerra. Il successo degli insorti tuttavia fu di breve durata: gli insorti spagnoli furono sconfitti (anche per l'intervento della Francia) e la costituzione venne ritirata; l'Austria arrestò i rivoltosi lombardi (tra cui anche il Pellico e il Maroncelli) e disperse i napoletani; il re di Sardegna Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto e ritirò la costituzione. Nel 1821 la Grecia iniziò a lottare per ottenere l'indipendenza dall'Impero Ottomano. Aiutata da Inghilterra, Russia e Francia (interessate a indebolire il colosso turco), la Grecia nel 1829 riuscì a liberarsi dai Turchi. I moti del 1830-31 e il Cartismo Nel 1830 iniziarono nuovi moti rivoluzionari. Negli anni successivi violente agitazioni sociali scossero l'Inghilterra, dove i vecchi partiti whig e tory avevano assunto rispettivamente il nome di Partito liberale e Partito conservatore. Le agitazioni ebbero come protagonisti gli operai inglesi, che nel 1838 presentarono al parlamento una Carta in cui avevano elencato le loro richieste (tra cui il suffragio universale maschile). La Carta fu respinta e da ciò si sviluppò un movimento che prese appunto il nome di Cartismo. Democratici e moderati in Italia Il fallimento dei moti carbonari in Italia indusse molti italiani a una riflessione per elaborare nuovi sistemi di lotta. Questa riflessione si svolse tra il 1830 e il 1848 e fece emergere due schieramenti: democratici e liberali. I democratici facevano capo a Giuseppe Mazzini, che fondò la Giovine Italia, un'associazione che puntava sulla propaganda e sul reclutamento di una gran massa di persone. Sul piano militare sosteneva la guerra per bande, cioè l'insurrezione popolare delle città, seguita da guerriglia sulle montagne. Nella pratica però questi tentativi fallirono ripetutamente. Tra i liberali laici si distinse ben presto Cavour, uomo politico piemontese. Questi sosteneva la necessità di una guerra regia, condotta dai Savoia e appoggiata dalla Francia per liberare l'Italia dagli Austriaci. Cavour voleva inoltre la trasformazione della monarchia assoluta sabauda in una monarchia costituzionale di tipo inglese. Egli reputava molto importanti le riforme di tipo economico: sosteneva infatti la necessità di abolire i dazi doganali e di sviluppare le ferrovie per dare impulso all'industria. A Milano si verificarono incidenti antiaustriaci e lo stesso Mazzini, in esilio all'estero, si disse pronto a rientrare in Italia e ad aiutare Carlo Alberto contro gli Austriaci, accantonando le proprie idee repubblicane.