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DISPOSITIVI ELETTRONICI, Appunti di Dispositivi elettronici

Transistor mosfet e tecnologia planare

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 19/03/2021

Giuliaroms
Giuliaroms 🇮🇹

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Scarica DISPOSITIVI ELETTRONICI e più Appunti in PDF di Dispositivi elettronici solo su Docsity! TRANSISTOR MOSFET Condensatore MOS L’ultimo dispositivo che andiamo a vedere e descrivere è il transistor MOSFET. L’acronimo MOS indica: Metallo-Ossido-Semiconduttore e si usa per il condensatore. L’acronimo MOSFET indica: Metal-Oxide-Semiconductor Field-Effect Transistor (transistor metallo-ossido- semiconduttore a effetto di campo) Alla base del principio di funzionamento del transistor MOSFET vi è un condensatore, realizzato mediante l’accostamento di tre strati differenti di dispositivo che sono, appunto, uno strato metallico uno strato di ossido e uno di semiconduttore. Capito il funzionamento del condensatore MOS, si partirà con la realizzazione del transistor. Dunque, all’interno di ciascun transistor di tipo MOSFET sta un condensatore MOS che definisce il principio di funzionamento del transistor stesso. Il transistor MOSFET è più usato rispetto al transistor bipolare grazie alla sua facile integrazione, soprattutto nel campo della tecnologia planare. Per realizzare questo dispositivo è necessario avere un metallo, un ossido e un semiconduttore. Partendo da una barretta di semiconduttore (silicio) attraverso semplici passaggi di processo vedremo come è possibile formare un ossido di silicio (biossido di silicio SiO2) il quale ha significative proprietà di stabilità e sempre partendo dal silicio è possibile realizzare una struttura metallica in polisilicio. Attraverso un polisilicio molto drogato possiamo equiparare questo strato ad uno strato metallico e si è visto che il polisilicio drogato ha delle ottime proprietà in termini di conduttività, che è ciò che interessa quando si va ad utilizzare del metallo. Dunque, a differenza del transistor bipolare che del punto di vista del processo di realizzazione è abbastanza complesso e soggetto a diversi effetti parassiti legati alla tecnologia planare, il transistor MOSFET è invece un dispositivo molto semplice soprattutto dal punto di vista della sua realizzazione, ecco perché molto più largamente utilizzato. Oggi la maggior parte dei circuiti digitali e analogici vengono realizzati con transistor MOSFET. (NB: Il termine MOS si usa per il condensatore, il termine MOSFET si usa invece per il transistor). Il campo di applicazione dove viene utilizzato il transistor bipolare è il campo dell’alta potenza, in virtù dell’elevato guadagno che abbiamo visto. Esso è in grado di sopportare correnti più alte rispetto al transistor MOSFET, ecco perché nelle applicazioni ad elevata potenza dove si ha molta potenza in carico si preferisce usare un transistor bipolare a discapito della difficoltà di integrazione. La struttura MOS è la seguente: Il comportamento di questa struttura si basa esclusivamente sulla differenza di potenziale che si viene a stabilire tra il metallo e il semiconduttore. Gli elettrodi del dispositivo sono due, l’elettrodo collegato al metallo prende il nome di elettrodo di Gate, l’elettrodo collegato al semiconduttore prende invece il nome di elettrodo di Bulk. In base alla tensione che VGB che applichiamo tra il gate e il bulk, essa farà variare la carica nel bulk all’interfaccia tra il bulk e l’ossido. Tutta l’attenzione va, dunque, nella zona al confine tra l’ossido e il semiconduttore (zona tratteggiata). A seconda della carica che riusciamo a portare nel bulk sotto l’ossido, il transistor che andremo a realizzare si comporterà in maniera differente. Ciò che è importante è capire se vi è in quella zona una carica netta. Sappiamo che la carica in un semiconduttore è pari a: 𝑄𝑆 = 𝑞 ∗ (𝑝 − 𝑛+𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑟𝑜𝑔𝑎𝑛𝑡𝑒) Sappiamo che sotto l’ossido, nel bulk, per la legge di neutralità della carica (essendo una struttura nata come una struttura neutra) la carica netta all’interno del dispositivo deve essere zero. Tuttavia, abbiamo visto che in base agli effetti che si manifestano all’interno di un semiconduttore, è possibile avere delle zone che localmente hanno una carica netta pari a zero. A noi interessa capire come si comporta questa carica, che chiameremo carica QB (carica del bulk) al variare della tensione VGB. Perché in questo modo vogliamo capire se agendo sui due opportuni terminali di gate e di bulk possiamo andare a pilotare la carica all’interno di quella regione tra l’ossido e il semiconduttore, per andare a formare quello che viene detto canale del transistore. Immaginiamo di inserire due sacche di silicio drogato dello stesso tipo (ad esempio n+), identiche anche dimensionalmente e di inserire due elettrodi A e B Gate A B Bulk Applicando una differenza di potenziale tra A e B possiamo vedere questo dispositivo che c’è tra A e B come una resistenza? Quindi ci chiediamo se passerà corrente in quella direzione (che verrà detta direzione y). Affinché passi corrente è di fondamentale importanza la tipologia di carica che passa nel bulk sotto l’ossido. Questo perché tra A e B se sono drogati ad esempio di tipo n+, passerà corrente solo se possiamo vedere quella zona del bulk come una prosecuzione di A e una prosecuzione di B, quindi passerà corrente tra A e B (se sono di tipo n+) solo quando sotto l’ossido, nel bulk, siamo in grado di avere tante cariche mobili di tipo elettroni. Se riusiamo a fare in modo da attirare nella zona del bulk sotto l’ossido tante cariche di tipo n e quindi riusciamo a vedere quella zona come una zona n+, allora possiamo dire che vi è continuità elettrica tra l’elettrodo A e B e se vi applico una differenza di potenziale, passerà corrente. metallo ossido Silicio ss Silicio drogato Ciò significa che essendo che nel silicio ci sono le cariche fisse negative che altro non sono se non i nuclei degli atomi accettori che hanno perso le loro lacune, questa carica negativa fa allontanare quei pochi elettroni che ci sono nel bulk. Dunque, avremo un accumulo di cariche mobili di tipo n nella zona del silicio vicino all’ossido. Queste cariche vengono compensate da altrettante cariche positive che si vengono a depositare nell’altra armatura dell’ossido. Dunque, in questo modo vediamo che, abbiamo cariche negative dal lato dell’ossido, le quali sono gli elettroni allontanati dall’interfaccia semiconduttore metallo e cariche positive che si sono originate nel metallo e si sono avvicinate all’ossido perché attratte dagli elettroni che ci sono dall’altra parte dell’ossido. Questa struttura genera quindi un campo elettrico interno all’ossido, l’integrale di questo campo elettrico cambiato di segno è una tensione, questa tensione ha esattamente lo stesso valore della tensione che cade all’interfaccia tra il silicio e il metallo, ma ha segno opposto e non fa altro che riequilibrare dal punto di vista elettrostatico la situazione. Quindi quando applichiamo una tensione VGB nulla, nel bulk sotto l’ossido vediamo che ci sono delle cariche negative mobili, quegli elettroni che si sono allontanati dall’interfaccia metallo-silicio. Siamo in grado di capire qual è l’intensità di questa tensione VSM applicando la teoria del potenziale di contatto. In generale, poiché si parla di V gate bulk si preferisce utilizzare la VMS piuttosto che la VSM Quindi si ha: VMS= potenziale di contatto intrinseco del metallo- potenziale di contatto intrinseco del semiconduttore. Parliamo di potenziali di contatto intrinseci perché essendo il gate un metallo, non siamo in grado di applicare la teoria del potenziale di contatto così come l’avevamo definita, in quanto non sappiamo con precisione quante lacune ci sono nel metallo, allora poiché sappiamo dalla definizione del potenziale di contatto che esso è il potenziale che quel determinato materiale ha rispetto al potenziale del silicio intrinseco→ il potenziale di contatto di un silicio drogato di tipo p è dato da: Φ𝑆,𝑝 = −𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) Se invece il semiconduttore è drogato di tipo n è: Φ𝑆,𝑛 = +𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐷𝐵 𝑛𝑖 ) Conoscendo la concentrazione di lacune e di elettroni nel silicio del bulk che è pari a NAB o NDB rispettivamente se abbiamo un silicio di tipo p o di tipo n, allora sappiamo qual è il potenziale intrinseco del semiconduttore. Per quanto riguarda il potenziale del metallo essi sono stati determinati empiricamente e quindi sono delle funzioni che possiamo indicare con Φ𝑚=potenziale di contatto di del metallo rispetto al silicio intrinseco. Per il silicio drogato il potenziale di contatto coincide con il potenziale di Fermi. Vediamo dunque quali sono i potenziali di contatto intrinseci sia del metallo sia del semiconduttore. metallo ossido Silicio ss Silicio p - VSM + + VSM - E quindi trovare la 𝑉𝑠𝑚 = −𝑉𝑚𝑠 = Φ𝑚 − Φ𝑠 Se il silicio è drogato di tipo p, si ha: 𝑉𝑚𝑠,𝑝 = Φ𝑚 − Φ𝑠,𝑝 = Φ𝑚 + 𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) Se il silicio è drogato di tipo n, si ha: 𝑉𝑚𝑠,𝑛 = Φ𝑚 − Φ𝑠,𝑛 = Φ𝑚 − 𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐷𝐵 𝑛𝑖 ) Questa è la Vsm che si viene a generare all’interno di questo sistema e che determina una determinata quantità di cariche nel bulk sotto l’ossido. Una proprietà negativa legata alla realizzazione di questo dispositivo è data dal fatto che, quando si viene a realizzare l’ossido con il processo di tecnologia planare, alcune cariche rimangono sempre intrappolate all’interfaccia ossido-silicio. In questo dispositivo, viene realizzato prima il bulk poi l’ossido, poi il metallo. Quando viene realizzato l’ossido sopra il silicio drogato (di tipo p), inevitabilmente vengono intrappolate delle cariche positive che andranno ad attrarre delle cariche negative sotto il silicio. Dunque, a causa di queste cariche positive intrappolate nell’ossido, si vengono a stabilire delle ulteriori cariche negative che rimangono nel bulk al di sotto dell’interfaccia con l’ossido. Si viene quindi a generare una tensione nell’ossido VP dovuta alla carica che inizialmente è rimasta intrappolata all’interno dell’ossido. Supponendo che la carica all’interno dell’ossido sia pari a QOX, sappiamo dalla relazione per la quale la capacità di un condensatore a facce piane e parallele è caratterizzato dalla seguente relazione: 𝐶𝑂𝑋 = 𝑄𝑂𝑋 𝑉𝑃 La differenza di potenziale che si viene a stabilire tra le armature di un condensatore è pari alla carica del condensatore stesso diviso la sua capacità, in virtù di questa relazione, la 𝑉𝑃 = − 𝑄𝑂𝑋 𝐶𝑂𝑋 (assumendo che 𝑄𝑂𝑋 > 0). In generale la capacità 𝐶𝑂𝑋 ′ = 𝜀𝑂𝑋 ∗ 𝑊∗𝐿 𝑡𝑂𝑋 dove 𝑊 ∗ 𝐿 altro non è se non l’area delle facce del condensatore e 𝑡𝑂𝑋è la distanza che vi è tra le facce del condensatore. (altezza parte grigia) in genere si preferisce parlare di capacità per unità di area e quindi avremo: 𝐶𝑂𝑋 = 𝜀𝑂𝑋/𝑡𝑂𝑋 questa capacità dipende quindi, dalla costante dielettrica dell’ossido che nel biossido di silicio vale circa 10-14 farad*cm-1 e dalla distanza tra le armature del condensatore. metallo ossido Silicio ss Silicio p + + + + + + - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - + + + + + + + + + + + + tox tox - VP + Sapendo la distanza tra le armature e sapendo qual è la carica rimasta intrappolata all’interfaccia dell’ossido con il silicio, sappiamo anche qual è la tensione VP. A questo punto, quando applichiamo una tensione VGB nulla al dispositivo accade che si sovrappongono i due effetti descritti finora. Quindi, applicando VGB=0 si viene a generare una differenza di potenziale intrinseca tra gate e bulk VGB0 che sarà uguale alla somma di tutte le quantità: 𝑉𝐺𝐵,0 = 𝑉𝑚𝑠 + 𝑉𝑃 = Φ𝑚 + 𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) − 𝑄𝑂𝑋 𝑡𝑂𝑋 Questo significa che le cariche che si hanno nel bulk al di sotto dell’ossido sono tutte originate da questa VGB che si viene a generare in condizioni di corto circuito tra il gate e il bulk. Questo significa che se vogliamo fare in modo che nel dispositivo non ci siano cariche nel bulk all’interfaccia con l’ossido, dobbiamo applicare una tensione che è in grado di contrastare tutti questi effetti e che di fatto ci permette annullare complessivamente la quantità di cariche che ci sono all’interno del dispositivo. Questa tensione viene detta TESIONE DI BANDA PIATTA ed è pari a: (FB sta per flat band) 𝑉𝐹𝐵 = 𝑉𝑚𝑠 + 𝑉𝑃 = Φ𝑚 + 𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) − 𝑄𝑂𝑋 𝑡𝑂𝑋 Poiché nel dispositivo quando non applichiamo alcuna tensione, si ha comunque una quantità di cariche nel bulk originate dalle tensioni -Vms -VP ai capi dell’ossido, per annullare questa tensione si applica una tensione che contrasti la tensione che si ha ai capi dell’ossido. Quindi andremo ad applicare una VGB che riesce a modulare le cariche che ci sono nel bulk sotto l’ossido. In particolare, queste cariche saranno zero quando la VGB sarà pari alla VFB di flat band. Riusciamo così a resettare il sistema. Questo significa che la VFB rappresenta una situazione di limite tra un determinato comportamento delle cariche nel bulk e un altro determinato comportamento delle cariche nel bulk, nel senso che, quando VGB è più piccola della tensione di banda piatta, di fatto è come se stessimo complessivamente applicando al sistema una tensione negativa, perché la tensione complessiva che questo condensatore vede, non è solo la VGB che stiamo applicando ma è la VGB meno questa tensione iniziale che il condensatore ha per le sue proprietà intrinseche. Quindi questa VFB è come se fosse una tensione memorizzata nel sistema, una proprietà intrinseca del sistema. È come se il sistema nascesse con una propria tensione, un po' come la tensione di built in intrinseca del diodo. Nel condensatore MOS la situazione è simile ma per un principio un po' differente. Il condensatore MOS nasce con una tensione già memorizzata ai capi dell’ossido quando non si applica nessuna tensione ai suoi terminali, cioè quando lo cortocircuitiamo. Quindi applicando una tensione più piccola della tensione di banda piatta, si avrà una complessiva situazione di tensione negativa nel circuito. Se applichiamo una VGB più grande della tensione di banda piatta, il circuito vede complessivamente, una tensione positiva applicata ai suoi capi. Dunque, il discriminante di questo circuito non è una VGB maggiore o minore di zero al fine di capire qual è la tipologia di carica che abbiamo sotto il bulk, ma il discriminante di questo circuito è una VGB più grande o più piccola della tensione di banda piatta, al fine di capire qual è il segno della carica che abbiamo intrappolata sotto l’ossido dalla parte del bulk. NB: Se VFB ha il più dalla parte del metallo e il meno dalla parte dell’ossido si ha: 𝑉𝐹𝐵 = −𝑉𝑚𝑠 − 𝑉𝑃 = −Φ𝑚 − 𝑉𝑇 ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) + 𝑄𝑂𝑋 𝑡𝑂𝑋 Dunque, applicando una tensione nulla tra gate e bulk non possiamo dire di non avere cariche nel bulk sotto l’ossido in quanto, per i due fenomeni che abbiamo visto, si viene a stabilire una tensione ai capi dell’ossido che genera delle cariche sulle due armature dell’ossido, poiché una delle due armature dell’ossido è proprio il bulk al confine con l’ossido, per poter annullare queste cariche dobbiamo applicare Ciò che sicuramente sappiamo è che nella zona dell’ossido cadrà una tensione, in quanto sull’ossido cade una tensione che dipende dalla carica che vi è sulle sue armature, quindi dipenderà dalla carica che abbiamo portato al gate. Dunque, nel silicio, oltre un determinato punto x0 avremo un valore di tensione nullo e sappiamo che tutta la tensione VGB- VFB cade ai capi della struttura ossido bulk sotto l’ossido. Quindi questa tensione che cade, VGB-VFB, sarà data da una parte Vox più una Vsemiconduttore. 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = 𝑉𝑂𝑋 + 𝑉𝑆 Sapendo che QG è la carica indotta sull’armatura di gate a causa dell’applicazione della tensione VGB-VFB, allora possiamo dire che la VOX che cade ai capi dell’ossido sarà pari a: 𝑉𝑂𝑋 = 𝑄𝐺 𝐶𝑂𝑋 e sarà una tensione costante perché all’interno dell’ossido non ci sono cariche→𝜌𝑠,𝑂𝑋 = 0 e per il teorema di Gauss se la densità di carica è pari a zero, il campo elettrico è costante → 𝐸𝑂𝑋 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 e allora la funzione potenziale che cade ai capi dell’ossido sarà una funzione lineare e chiaramente decrescente. →𝑉𝑂𝑋 = 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑖𝑛𝑒𝑎𝑟𝑒. A questa funzione lineare, si aggiunge una funzione che sarà sicuramente non lineare. La tensione nel bulk sotto l’ossido non sappiamo come cade. Infatti, se quella è una zona di carica spaziale, la tensione ha un andamento quadratico, viceversa se quella zona è una zona dove vi sono dei portatori liberi, la tensione che cade ai capi della regione sarà molto piccola e decrescerà improvvisamente a zero. Quindi capiamo bene che mentre l’andamento della tensione nell’ossido è un andamento lineare pari a 𝑉𝑂𝑋 = 𝑄𝐺 𝐶𝑂𝑋 , l’andamento della tensione nel semiconduttore dipende dalla tipologia di carica che abbiamo accumulato nel bulk sotto l’ossido. Indichiamo quindi un andamento generico tratteggiato che non sarà un andamento reale ma che sarà una tensione VS che cade ai capi del semiconduttore. (NB: la tensione VGB-VFB cade complessivamente dal metallo al semiconduttore. Questa tensione sicuramente non cade nel metallo, né nella parte di semiconduttore normalmente drogata dove non c’è rimescolamento di cariche, quindi, sicuramente questa tensione cade, nello specifico, tra l’ossido e quella parte di semiconduttore che a seconda della VGB applicata può avere un rimescolamento di cariche.) Supponiamo che VGB-VFB< 0 accade che stiamo immettendo cariche negative sull’armatura dalla parte del gate e si distribuiscono sulla superficie dell’armatura lungo uno spazio che abbiamo detto essere infinitesimo. Quindi, in corrispondenza del punto -tOX abbiamo una carica negativa che si va a distribuire lungo l’armatura de condensatore e che si va a distribuire lungo una sezione abbastanza piccola perché si tratta di cariche mobili. 𝜌𝑠 -tox 0 x0 x Dall’altra parte del condensatore, dal lato del silicio, avremo sicuramente delle cariche positive. Queste cariche positive, se il silicio è drogato di tipo p saranno delle cariche mobili che andranno ad equilibrare le cariche negative che si trovano nell’altra armatura. Quindi anche in questo caso questa estensione sarà infinitesima. In queste condizioni, questa regione prende il nome di regione di accumulo e questa configurazione di polarizzazione del condensatore MOS si chiama polarizzazione in regione di accumulo in quanto siamo riusciti ad accumulare nel bulk sotto l’ossido una tipologia di carica che è la carica propria con la quale abbiamo drogato il bulk e siamo riusciti ad accumulare tutte queste lacune nel bulk sotto l’ossido. In regione di accumulo il grafico delle tensioni è tale per cui, essendo cariche mobili quelle accumulate nel bulk, possiamo considerare la tensione nel semiconduttore pari a zero. Il semiconduttore non regge, quindi, nessuna tensione poiché si configura dal punto zero in poi, direttamente come una regione neutra. Quindi, il punto 0 e il punto x0 di fatto coincidono e tutta la tensione che stiamo applicando dall’esterno VGB-VFB cade sull’ossido. V(x) -tox 0 x0 x Quindi VOX coincide di fatto con tutta la tensione che stiamo applicando dall’esterno. Questo è quindi il grafico della tensione in regione di accumulo. In regione di accumulo quindi, quando applichiamo una tensione VGB<VFB induciamo una carica positiva nel bulk sotto l’ossido che è di fatto una carica positiva mobile e il dispositivo funziona di fatto come se fosse un condensatore vero e proprio, perché ciò che abbiamo fatto è rendere il bulk un’intera regione neutra piena di lacune nella quale non cade alcuna tensione. Vediamo cosa accade invece quando applichiamo una tensione VGB>VFB. Supponiamo dunque che VGB-VFB>0 e supponiamo che sia per poco maggiore di zero. In questo caso, questa configurazione prende il nome di configurazione in regione di svuotamento. Vediamo il grafico della densità di carica. Avremo, stavolta, un accumulo di cariche positive nel metallo che si vanno a posizionare nell’armatura del condensatore dalla parte del metallo. Chiaramente, quindi, avremo delle cariche negative dalla parte del semiconduttore e queste cariche stavolta sono delle cariche fisse, che sono i nuclei degli atomi accettori che hanno perso le lacune in quanto queste lacune si sono allontanate a causa dell’accumulo di cariche positive nell’armatura dalla parte del metallo. La concentrazione delle cariche fisse nel bulk sarà una concentrazione pari a NAB. Quindi la densità di carica 𝜌𝑠,𝐵 = −𝑞𝑁𝐴𝐵. Il punto 𝑥𝑑 sarà la zona svuotata dei portatori mobili, entro la quale si viene a determinare localmente una densità di carica negativa pari, a −𝑞𝑁𝐴𝐵. VOX 𝜌𝑠 -tox x Il grafico delle tensioni cambia completamente. Mentre in regione di accumulazione avevamo che il bulk non era in grado di sopportare nessuna tensione in quanto costituito quasi interamente da cariche mobili, in questo caso invece il bulk non si comporta più come un’intera regione quasi neutra ma si comporta invece come una parte di regione quasi neutra, cioè la parte oltre xd ma la parte tra 0 e xd si comporta invece come una regione svuotata la quale permette di trattenere tensione perché si comporta come una regione svuotata che abbiamo visto nel diodo e quindi applicando il teorema di Gauss si può capire qual è la parte di tensione che sta reggendo il silicio. Sappiamo che ha un andamento quadratico per cui si ha: V(x) -tox 0 xd x0 Dunque, a questo punto la tensione non è più sostenuta soltanto dall’ossido, ma è sostenuta sia dall’ossido sia dal silicio. Sappiamo che la tensione trattenuta dal silicio, per il teorema i Gauss è pari a: 𝑉𝑠 = ∬ 𝜌𝑠(𝑥) 𝜀𝑠 𝑑𝑥 = 𝑥𝑑 0 ∬ |𝑞| ∗ 𝑁𝐴𝐵 𝜀𝑠 𝑑𝑥 = 𝑞 𝜀𝑠 ∗ ∬ 𝑁𝐴𝐵𝑑𝑥 𝑥𝑑 0 𝑥𝑑 0 = 𝑞 𝜀𝑠 ∗ 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑥 2 + 𝐶 La costante C si trova imponendo le condizioni al contorno, cioè che nel punto xd la funzione VS (xd)=0 per mantenere la continuità e in corrispondenza del punto 0 Vs (0) = VGB-VFL-VOX 𝑉𝑆(0) = 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 − 𝑄𝑂𝑋 𝐶𝑂𝑋 xd NAB VOX VS Ma vediamo cosa accade quando incrementiamo ancora di più la tensione VGB rispetto alla tensione VFB; ciò che accade è che aumentando sempre più la VGB rispetto alla VFB altro non facciamo se non mettere sempre più carica positiva in corrispondenza dell’interfaccia di gate dell’ossido di silicio. Tutta questa carica ad un certo punto comincerà ad attrarre quei pochi elettroni che ci sono all’interno del substrato. Sappiamo che in condizioni di equilibrio la concentrazione di elettroni che c’è nel substrato di tipo p, dalla legge di azione di massa, sarà pari ad 𝑛𝑝 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 . Concentriamoci sul fatto che abbiamo una regione di carica spaziale che ha uno spesso xd. In questo spessore xd questa regione regge una tensione VS. Dunque, abbiamo una regione di carica spaziale con delle cariche negative all’interno fisse, equidistanti tra loro ed essendo cariche fisse sono in grado di reggere la tensione VS. Sappiamo che a destra abbiamo una porzione di silicio drogato di tipo p con una concentrazione di drogante NAB e quindi sappiamo che la quantità di elettroni che abbiamo in tutto questo silicio di tipo p, a partire dal punto xd, è pari a 𝑛𝑝 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 . A sinistra della regione di carica spaziale abbiamo invece l’ossido di silicio. VS xd Dalla teoria del potenziale di contatto, conoscendo qual è la differenza di potenziale che sta cadendo tra due punti di qualunque materiale e conoscendo la concentrazione di un determinato tipo di portatore in uno dei due punti, possiamo conoscere la concentrazione di quel portatore che abbiamo nell’altro punto. Quindi, poiché VS altro non è se non la differenza di potenziale nei punti 0 e xd 𝑉𝑆 = 𝑉𝑆(0) − 𝑉𝑆(𝑥𝑑), la conoscenza del potenziale permette di conoscere la concentrazione degli elettroni nel punto zero. Essa sarà: 𝑛(0) = 𝑛(𝑥𝑑) ∗ 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 Osserviamo che aumentando la tensione applicata tra gate e bulk, aumenta anche la caduta di tensione ai capi del silicio secondo le relazioni precedenti che legano la VGB alla VS. In particolare, accade che all’inizio nel semiconduttore, in tutto il bulk, considerando che il bulk è un pezzo di silicio drogato di tipo p, in condizioni di equilibrio anche nella regione che ora è la regione di carica spaziale la concentrazione di elettroni era pari a 𝑛𝑝 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 e quindi una concentrazione molto bassa. Ad un certo punto però esisterà un valore del potenziale VS in corrispondenza del quale si dice che il bulk si inverte e questa zona si dice zona di inversione, ciò significa che ad un certo punto la concentrazione di elettroni nel punto zero comincia ad essere uguale e poi maggiore della concentrazione intrinseca ni. È come se il bulk inizialmente drogato di tipo p, si comportasse come un pezzo di silicio drogato di tipo n, diventa quindi in grado di attrarre in corrispondenza dell’interfaccia silicio- ossido di silicio una quantità di elettroni che cominciano ad eguagliare la concentrazione intrinseca del silicio per poi superarla, questo perché la quantità di carica positiva che si accumula nel gate, diventa talmente grande da avere la forza per strappare elettroni anche ad un silicio di tipo p. Se vogliamo capire qual è quel potenziale VS in NAB 𝑛𝑝 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 - h g - h g - h g - h g corrispondenza del quale accade questo fenomeno, basta sostituire ad n(xd) il valore che ha nel silicio intrinseco. Dobbiamo porre: 𝑛𝑖 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 Dunque, si ha: 1 = 𝑛𝑖 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 → 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 = 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 → 𝑉𝑠 = 𝑉𝑇 ∗ ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) Quindi il valore del potenziale che cade interamente nel substrato altro non è se non il potenziale di fermi del substrato, cioè il potenziale che un substrato di tipo p drogato con una concentrazione di atomi accettori pari a NAB ha rispetto al silicio intrinseco. Ciò significa che quanto il potenziale VS diventa uguale al potenziale di fermi F il condensatore MOS esce dalla regione di svuotamento ed entra in una regione che si chiama regione di inversione nella quale non tutto il silicio ma solo la porzione di silicio che sta sotto l’ossido, comincia ad invertire il proprio funzionamento, cioè si comporta come se fosse una regione di silicio drogata di tipo n. La rimanente parte continua a comportarsi come una regione drogata di tipo p quale è. Quindi, questo fenomeno rappresenta soltanto quello strato di bulk che si trova immediatamente sotto l’ossido di silicio la quale comincia a poco a poco a riempirsi di elettroni che si disporranno in una regione esigua del bulk in quanto chiaramente si tratta di portatori mobili, quindi, riescono a posizionarsi all’interfaccia tra il bulk e l’ossido esattamente come accade anche alle cariche che sono depositate al gate. Vediamo in questo caso l’equazione che comanda l’elettrostatica del dispositivo. In regione di debole inversione continua a mantenersi valida la relazione tra QB e VS cambia solo il fatto che sono intervenuti degli elettroni in corrispondenza dell’interfaccia tra l’ossido e il silicio. Questi elettroni, rispetto alla concentrazione della carica fissa, quindi alla concentrazione legata agli accettori, è una carica significativa? Dipende dal valore di VS. Poiché NAB rappresenta la concentrazione degli atomi che drogano il semiconduttore, sicuramente NAB per far si che il substrato sia di tipo p, sarà molto maggiore di ni, altrimenti il substrato non sarebbe di tipo p. (NAB>>ni) Quindi, poiché la carica fissa sta in una concentrazione NAB mentre la carica mobile sta in una concentrazione la quale è ancora orientativamente pari a ni (abbiamo detto che per VS=F la concentrazione è pari ad n) è vero che siamo entrati in regione di inversione, ma questa regione viene ancora detta regione di debole inversione in quanto, cominciano a comparire degli elettroni nel bulk sotto l’ossido ma l’effetto di questi elettroni può essere trascurato rispetto alla carica fissa dovuta agli atomi accettori ionizzati. Possiamo quindi dire che nella relazione che descrive l’elettrostatica del condensatore MOS QB rappresenta due termini di carica in regione di inversione (mentre in regione di svuotamento QB rappresenta soltanto le cariche fisse) una componente dovuta allo svuotamento che chiameremo QD e una componente dovute a cariche mobili che chiameremo QC e saranno quelle cariche in grado di formare successivamente il canale. Quindi, abbiamo una componente QD che sono cariche di deflection, cioè cariche dovute ad una regione svuotata e una componente QC che è invece data da cariche mobili. NAB 𝑛𝑝 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 - h g - h g - h g - h g La relazione che lega QB a VS è chiaro che vale solo quando QB è data da cariche fisse, perché quando QB è data da cariche mobili, la relazione che abbiamo applicato considerando che la densità di carica fosse pari a -q*NAB è chiaro che non è più pertinente al caso in questione. In regione di debole inversione, poiché NAB>>ni e la concentrazione di elettroni è circa ni, ciò significa che in regione di debole inversione possiamo dire che QC<<QD in quanto QC è proporzionale a ni e QD è proporzionale a NAB e di conseguenza in regione di debole inversione, la relazione: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶+𝑄𝐷 𝐶𝑂𝑋 + 𝑉𝑆 Si può approssimare a: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐷 𝐶𝑂𝑋 + 𝑉𝑆 Per risolvere problemi legati al potenziale che cade sul silicio, anche in regione di debole inversione possiamo applicare la relazione per cui la carica QB è proporzionale alla radice quadrata di VS. In questa relazione possiamo dire che QC è trascurabile rispetto a QD fin tanto che la concentrazione degli elettroni n non raggiunge il valore della concentrazione delle cariche fisse. Quando n, cioè la concentrazione deli elettroni nel punto zero, diventa maggiore della concentrazione NAB, allora a quel punto il dispositivo entra in una ragione di funzionamento detto regione di forte inversione In questa regione di funzionamento cambia la relazione 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶+𝑄𝐷 𝐶𝑂𝑋 + 𝑉𝑆 Se n(0)>>NAB accade che QC>>QD vedremo che variazioni anche piccole di VS inducono forti variazioni di n(0) in quanto la relazione che sussiste tra VS e n(0) è una relazione di tipo esponenziale. In regione di forte inversione è come se ad un certo punto il potenziale che cade sul semiconduttore satura in quanto si deposita all’interfaccia tra il bulk e l’ossido, una quantità di elettroni così grande rispetto a NAB che anche se aumentiamo la tensione VGB, la quantità di tensione che cade all’interno del semiconduttore è sempre la stessa. La relazione 𝑛(0) = 𝑛(𝑥𝑑) ∗ 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 è sempre valida. In questo caso dobbiamo porre che: n(0)=NAB la concentrazione 𝑛(𝑥𝑑) è sempre pari alla concentrazione di elettroni che abbiamo all’equilibrio, quindi, per la legge di azione di massa è sempre pari a 𝑛(𝑥𝑑) = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 e quindi sostituendo si ha: 𝑁𝐴𝐵 = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑒 𝑉𝑆 𝑉𝑇 Risolviamo sempre rispetto a VS che è il valore di tensione che vogliamo trovare in corrispondenza del quale si entra in regione di forte in versione e otteniamo che: 𝑉𝑠 = 𝑉𝑇 ∗ ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 )2 → 𝑉𝑠 = 2 ∗ 𝑉𝑇 ∗ ln ( 𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 ) anche in questo caso abbiamo il potenziale di fermi del bulk, quindi, la funzione di fermi di un silicio drogato di tipo p con una concentrazione di atomi accettori pari a NAB. → 𝑉𝑆 = 2 ∗ Φ𝐹 Quindi fin quando il valore della tensione che cade al punto zero del bulk eguaglia il valore del potenziale di fermi, il silicio entra in una regione che viene detta regione di inversione in quanto in corrispondenza dell’interfaccia tra l’ossido e il silicio si presentano una carica mobili negative che hanno una concentrazione superiore a ni e di conseguenza è come se avessimo un silicio di tipo n e non p. Tuttavia, queste cariche mobili hanno una concentrazione trascurabile rispetto alla concentrazione delle cariche fisse NAB, ciò è vero fin tanto che il potenziale del silicio non raggiunge nel punto zero un valore pari a 𝑉𝑆 = 2Φ𝐹 in questo caso la concentrazione degli elettroni ha eguagliato la concentrazione della specie drogante di tipo p, quindi il dispositivo è entrato in forte inversione e visto che le cariche mobili diventano predominanti rispetto alle cariche fisse, un ulteriore aumento della tensione VGB non è in grado di fare ulteriormente aumentare anche il potenziale di superficie, il potenziale di superficie rimane fari a 2Φ𝐹 e Anche in questo caso definiamo la tensione VFB come quella tensione che dobbiamo applicare affinché il dispositivo possa essere resettato dalle cariche che si sono depositate nel bulk sotto l’ossido a causa dei processi produttivi e a causa delle tensioni di contatto. Le cariche depositate sotto l’ossido rimangono sempre delle cariche positive, quini abbiamo sempre un QOX che è una carica positiva, si tratta di un processo nel quale l’ossido ingloba delle cariche positive indipendentemente dal fatto che sotto l’ossido abbiamo un bulk drogato di tipo p o di tipo n. → la tensione di banda piatta sarà sempre uguale a: 𝑉𝐹𝐵 = 𝜙𝑚𝑠 − 𝑄𝑂𝑋 𝐶𝑂𝑋 L a cosa importante però è il valore del potenziale di fermi, il quale sarà pari in questo caso a: Φ𝐹 = −𝑉𝑇 ∗ ln ( 𝑁𝐷𝐵 𝑛𝑖 ) Poiché la funzione di fermi assume un valore fondamentale per capire il passaggio all’interno delle varie regioni di funzionamento di un condensatore MOS, il fatto che la tensione di fermi sia positiva o negativa diventa fondamentale per capire come bisogna applicare la VGB per formare il canale. Nel caso del substrato di tipo p abbiamo visto che la tensione di fermi era positiva, quindi, per arrivare al valore di 2Φ𝐹 come potenziale del silicio dobbiamo applicare una tensione VGB positiva, quindi, il gate deve trovarsi ad un potenziale più alto del potenziale del bulk. In questo caso , dal momento che in un substrato di tipo n la tensione di fermi è negativa, accade che bisogna applicare delle tensioni sempre più negativa. Ciò significa che saremo: • In regione di accumulazione: quando VGB>VFB riuscendo ad indurre delle cariche positive al gate e negative nel bulk, queste cariche negative al bulk saranno gli elettroni che sono i portatori maggioritari nel bulk drogato di tipo n. Il valore del potenziale che cade nel bulk, cioè il valore di VS(0), come nel caso di un bulk drogato di tipo p, sarà pari a zero essendoci all’interfaccia tra l’ossido e il silicio cariche negative di tipo mobile, queste cariche non saranno in grado di supportare tensione e quindi tutta la tensione positiva VGB-VFB cade ai capi dell’ossido. Quando VGB comincia a diminuire rispetto a VFB e assume il valore pari a VFB, annulliamo tutte le cariche in corrispondenza dell’interfaccia tra l’ossido e il bulk. • In regione di svuotamento: quando VGB<VFB, in questo caso mettiamo delle cariche negative che si appiccicano al gate in corrispondenza con l’interfaccia dell’ossido e dalla parte del bulk cominciamo a svuotare il bulk vino l’ossido. Poiché abbiamo impiantato degli atomi donori, questi atomi donori privi dei loro elettroni sono delle cariche fisse positive. Otteniamo quindi una QB>0 e sarà paria a 𝑄𝐵 = 𝑞 ∗ 𝑁𝐷𝐵 ∗ 𝑥𝑑 dove 𝑥𝑑 sarà l’ampiezza della regione svuotata nel bulk immediatamente sotto l’ossido e quindi otteniamo la stessa relazione che abbiamo ottenuto prima, nella quale 𝑥𝑑 2 dipende da VS e poiché l’elettrostatica del diodo è sempre la stessa si ha che 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = 𝑉𝑂𝑋 + 𝑉𝑆 anche in questo caso otterremo delle equazioni analoghe a quelle ottenute precedentemente. • In regione di debole inversione: quando 𝑉𝑆 < Φ𝐹 che è un valore negativo, comincia a formarsi uno strato di lacune che vengono attirate dal dispositivo e queste lacune in concentrazione diventano superiori a ni ma non riescono ancora ad eguagliare la concentrazione NDB del substrato. Ancora in questa regione possiamo dire che l’elettrostatica del dispositivo è regolata dalle cariche fisse QD che ci sono all’interno della regione svuotata. • In regione di forte inversione: quando 𝑉𝑆 < 2Φ𝐹 anche in questo caso possiamo dire che si è formato il canale di tipo p, in questo caso la quantità di carica che abbiamo nel canale sarà una carica positiva che sarà pari a: 𝑄𝐶 = 𝐶𝑂𝑋(−𝑉𝐺𝐵 + 𝑉𝑇𝐻,0) quindi la VGB che dobbiamo applicare è una VGB negativa. VTH,0 è anch’essa una tensione negativa e otteniamo complessivamente una quantità QC>0. In questo caso, 𝑉𝑇𝐻,0 = 𝑉𝐹𝐵 + 2Φ𝐹 − 𝛾 ∗ √−2Φ𝐹 . VFB può essere un valore sia positivo sia negativo poiché dipende dal tipo di materiale che utilizziamo ma la tensione di soglia VTH,0 è sempre una tensione negativa perché la tensione VFB è sempre minore in modulo di 2Φ𝐹. Perché si possa ottenere un canale formato è necessario che la tensione VGB che viene applicata sia ancora più piccola della tensione di soglia per far sì che −𝑉𝐺𝐵 + 𝑉𝑇𝐻,0 > 0 Dunque, tutti i segni delle tensioni, nel dispositivo che ha una polarità complementare vengono invertiti. Le uniche quantità che non cambiano le loro polarità sono QOX COX in quanto abbiamo a che fare con una tipologia di carica intrappolata nell’ossido che è una carica sempre positiva e il potenziale di estrazione del metallo m perché essendo un metallo non è né drogato di tipo p né drogato di tipo n. TRANSISTOR MOSFET Cominciamo ora il transistor MOSFET che basa il principio di funzionamento sull’attivazione di un canale di tipo n da parte di un condensatore MOS. Il transistor MOS prende il nome di transistor a canale n nel momento in cui viene realizzato con un bulk di tipo p, la ragione di questo è dovuta al fatto che in un substrato di tipo p si viene a formare un canale di tipo n e di conseguenza il nome del transistor diventa nMOS che indica appunto un transistor MOS a canale n . Un transistor è formato dai due terminali che abbiamo finora visto, il terminale di gate e il terminale di bulk, a cui si aggiungono altri due terminali che sono quelli che vanno invece nella direzione opposta, nella direzione y, il terminale di source e il terminale di drain. Quindi possiamo dire che il transistor ha un principio di funzionamento in due direzioni, l’asse x che va dal gate verso il bulk (seguiamo le convenzioni fatte finora dove il punto zero era il punto in cui si interfacciavano il bulk e l’ossido di silicio, il punto -tOX era il punto in cui si interfacciavano gate e metallo) e l’asse y che è rivolto dal terminale source al terminale drain. Il principio di funzionamento del transistor è quindi un principio di funzionamento bidimensionale, lungo l’asse x facciamo agire le tensioni tra gate e bulk che sono in grado di formare il canale, lungo l’asse y si sviluppa invece il principio di funzionamento del transistor, cioè il passaggio di cariche, ovvero il flusso di corrente dal source al drain all’interno del canale che si viene a realizzare nello spazio sottostante il biossido di silicio nel bulk. L’asse z è l’asse orientato secondo la W del dispositivo, quindi è l’asse che ci restituisce la larghezza del canale, quindi, più grande è la dimensione W maggiore è la larghezza del canale, quindi, maggiore è la corrente che può fluire tra source e drain. Risulta comodo ragionare in termine di densità di corrente, quindi, di corrente che attraversa una sezione del canale che ha una larghezza W e che ha un’altezza dx che è l’altezza del canale stesso. Per quanto riguarda invece un dispositivo a canale p, esso è un dispositivo nel quale il substrato è drogato di tipo n con una concentrazione di atomi donori NDB e successivamente si vengono a formare i terminali di source e drain all’interno del bulk. Sia nel transistor pMOS sia nel transistor nMOS per prima cosa viene realizzato il substrato di tipo p e successivamente si vanno ad impiantare due sacche che hanno una tipologia di drogante opposta alla tipologia di drogante del substrato in quanto sappiamo che nel momento in cui si forma il canale il substrato viene invertito fortemente, quindi in quella zona avremo una concentrazione di elettroni se il substrato di tipo p che sarà pari a n+, quindi sarà una zona molto ricca di elettroni, accade che di fatto il canale va a creare una continuità elettrica tra la sacca di source e la sacca di drain nel momento in cui il dispositivo si trova in zona di forte inversione e quindi nel momento in cui è presente questa concentrazione di elettroni in gran quantità. Capiamo quindi bene che necessariamente queste sacche devono avere una polarità opposta rispetto a quella del bulk, perché se le sacche di un transistor con un substrato di tipo p fossero di tipo p+, non si creerebbe una continuità elettrica con il canale, bensì si verrebbero a formare due diodi, uno in corrispondenza della giunzione source canale e uno in corrispondenza della giunzione drain canale. Nel momento in cui queste sacche sono di tipo n+, vi è appunto continuità elettrica. È necessario però che non si abbia passaggio di cariche tra la sacca di source e il substrato, in particolare tra il bulk e il source dove si forma un diodo e l’altro diodo tra bulk drain. Se noi vogliamo che non vi sia passaggio di corrente dal source al bulk e dal drain al bulk bisogna assicurarsi sempre che queste giunzioni siano inversamente polarizzate e quindi in un transistor nMOS bisogna sempre assicurarsi del fatto che ci sia il bulk abbia un potenziale più basso rispetto a quello del source e rispetto a quello del drain. Se andiamo a vedere il dispositivo pMOS, esso è esattamente complementare rispetto al dispositivo nMOS, la parte di gate in metallo e biossido di silicio rimane invariata sia per nMOS sia per pMOS, mentre per quanto riguarda la parte sottostante all’ossido di silicio si viene a creare la formazione di due giunzioni pn dal source al bulk e dal drain al bulk. In un transistor di tipo pMOS la polarizzazione del bulk che è di tipo n, deve essere sempre più grande della polarizzazione del source e del drain, solo in queste maniera il diodo source bulk e il diodo drain bulk saranno polarizzate inversamente e non ci sarà flusso di cariche dalle sacche di source e drain al bulk drogato di tipo n. in questo caso di viene a determinare una continuità elettrica non appena viene formato il canale quindi in condizioni di forte inversione tra il source e il drain grazie alla presenza di questo canale ricco di lacune nella zona immediatamente sotto il biossido di silicio. del canale che ha una minore concentrazione di elettroni, nel momento in cui si forma il canale, esso viene formato perché applichiamo una tensione al gate che è omogenea su tutto il gate, quindi, la concentrazione di elettroni nel canale, nel momento in cui formiamo il canale, è uguale su tutta la dimensione y e su tutta la dimensione z. Queste cariche si muovono non per diffusione ma per deriva, in quanto applichiamo una VDS (tensione tra drain e source) maggiore di zero. Osserviamo che il dispositivo è simmetrico rispetto all’asse y, cosa che sappiamo non accadere nel bipolare dove il terminale di collettore e il terminale di emettitore non possono essere interscambiabili tra loro, infatti abbiamo visto che le prestazioni del dispositivo in configurazione forward sono nettamente superiori alle prestazioni in configurazione reverse, ciò significa che rispetto alla direzione longitudinale il transistor bipolare non può essere invertito. Guardando invece come funzione il transistor MOSFET, esso è simmetrico rispetto all’asse y, quindi, potremmo tranquillamente scambiare il source con il drain e non cambierebbe in nessun modo la prestazione del dispositivo. Convenzionalmente si utilizza sempre il transistor in maniera tale che la corrente entri dal drain ed esca dal source, quindi, una volta determinati i terminali di drain e di source, convenzionalmente il drain viene sempre polarizzato ad un potenziale maggiore del source. Vediamo ora le relazioni corrente tensione che vi sono in questo dispositivo. in questa figura abbiamo uno spaccato di quello che accade nelle regioni diffuse di tipo n+ e nel bulk. Vediamo che la regione in grigio chiaro è una regione che possiamo dire svuotata in quanto è una regione che si trova al confine tra il bulk che è drogato di tipo p, la regione diffusa che è una regione di tipo n+ e anche in canale che possiamo dire essere come un silicio drogato di tipo n che si trova a potenziale VC perché poiché questo canale determina una continuità elettrica tra la regione diffusa (sia essa di drain o di source) e un qualunque punto del canale, nel momento in cui applichiamo una tensione VC nella regione diffusa, questa tensione VC viene applicata su tutto il canale quindi VC è la tensione alla quale si trova il canale. Questo determina, quindi, la presenza di una regione svuotata al confine tra la regione diffusa e il canale e il substrato di tipo p. ci saranno quindi delle cariche QD che saranno delle cariche fisse, come abbiamo visto anche nella trattazione del condensatore MOS e saranno delle cariche negative fisse in questo caso. Se consideriamo un condensatore MOS, lasciando perdere le sacche di drain e di source, abbiamo visto che in condizioni di forte inversione, il potenziale di superficie è un potenziale che assume il valore di 2Φ𝐹 perché è quello il valore in corrispondenza del quale la concentrazione di elettroni eguaglia la concentrazione NAB e solo a quel punto si può dire che il silicio si sia fortemente invertito. Nel momento in cui in un transistor nMOS un potenziale VC alla regione diffusa, questo potenziale, come abbiamo detto, per continuità elettrica si applica a tutto il canale e quindi di fatto il potenziale a cui si trova il canale è il potenziale 2Φ𝐹 incrementato della quantità VC. Questo significa che incrementando di una quantità VC il potenziale di superficie, in corrispondenza di questo incremento del potenziale di superficie, avremo anche un incremento dell’estensione della regione svuotata, avevamo infatti visto che in condizioni di forte inversione si determina il massimo valore della regione svuotata rispetto alla dimensione x e avevamo visto che esso era pari a: 𝑥𝑑,𝑚𝑎𝑥 = √ 2𝜀𝑠2Φ𝐹 𝑞𝑁𝐴𝐵 → in questo caso diventa: 𝑥𝑑,𝑚𝑎𝑥 = √ 2𝜀𝑠(2Φ𝐹+𝑉𝐶) 𝑞𝑁𝐴𝐵 È chiaro che in questo caso si ottiene anche un ulteriore incremento della larghezza della regione svuotata e a questa corrisponde anche un incremento della carica fissa presente nella regione svuotata che risulterà pari a: 𝑄𝐷,𝑚𝑎𝑥 = −√2𝜀𝑠𝑞𝑁𝐴𝐵(2Φ𝐹 + 𝑉𝐶) Analogamente, andando a valutare la relazione che determina l’elettrostatica del condensatore MOS abbiamo che la tensione che cade all’interfaccia tra il gate e l’ossido sappiamo essere VGB-VFB e sappiamo che questa deve essere uguale alla tensione che cade ai capi dell’ossido più la tensione che cade ai capi del bulk quindi nel punto zero in corrispondenza del canale. Quindi si ha: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶 𝐶𝑂𝑋 − 𝑄𝐷,𝑚𝑎𝑥 𝐶𝑂𝑋 + 2Φ𝐹 → 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶 𝐶𝑂𝑋 + √2𝜀𝑠𝑞𝑁𝐴𝐵(2Φ𝐹 + 𝑉𝐶) 𝐶𝑂𝑋 + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶) Abbiamo adattato la relazione dell’elettrostatica del condensatore MOS al caso in cui il dispositivo si trova in regione di forte inversione e il potenziale di superficie inizialmente pari a 2Φ𝐹 viene incrementato di 𝑉𝐶 In base al potenziale VC tutte le regioni di funzionamento che abbiamo visto per il condensatore MOS, a causa del potenziale VC si determina uno spostamento della loro definizione. Basandoci sempre sulla teoria del potenziale di contatto avremo che la concentrazione di elettroni nel punto 0, quindi la concentrazione degli elettroni nell’interfaccia tra il bulk e SiO2 sarà pari a: 𝑛(0) = 𝑛𝑖 2 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑒 𝑉𝑆−𝑉𝐶 𝑉𝑇 Mentre la concentrazione delle lacune sarà: 𝑝(0) = 𝑁𝐴𝐵 ∗ 𝑒 −( 𝑉𝑆−𝑉𝐶 𝑉𝑇 ) Si ha che: • Se S - VC<0 ci troviamo in regione di accumulazione • Se 0 < S- VC < Φ𝐹 ci troviamo in regione di svuotamento • Se Φ𝐹< S - VC <2Φ𝐹 ci troviamo in regione di debole inversione • Se 2Φ𝐹 < S- VC ci troviamo in regione di forte inversione Cerchiamo ora di capire come funziona la carica nel canale perché per determinare la relazione tensione corrente del transistor MOSFET diventa fondamentale comprendere l’espressione della corrente nel canale al variare della tensione. Consideriamo che nel punto y=0 abbiamo una VC, una tensione nel canale che è pari a zero e che è appunto la polarizzazione nulla del source VS=0. Nel punto y=l abbiamo una 𝑉𝐶 ≠ 0 ed è pari al potenziale del drain. Poiché il canale agisce da resistenza accade che il potenziale nel canale andrà a diminuire spostandoci dal drain verso il source passando dal valore VD al valore 0. Questo perché poiché il canale non è altro che una resistenza quindi quando la corrente fluisce nel canale si perde tensione e si avrà un potenziale variabile nel canale lungo l’asse y e che assumerà il valore minimo al source, pari a zero, e il valore massimo al drain, pari a VD. Lungo l’asse x il potenziale è imposto dalla tensione al gate perché lungo l’asse x si ha che il potenziale deve rispettare in qualunque momento la relazione che descrive l’elettrostatica del condensatore MOS dove la parte variabile è la VC. Quindi nel canale avremo che in qualunque momento la relazione deve sempre valere 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶 𝐶𝑂𝑋 + √2𝜀𝑠𝑞𝑁𝐴𝐵(2Φ𝐹+𝑉𝐶) 𝐶𝑂𝑋 + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶) con una VC variabile tra 0 e VD. Variando VC si ha una variazione anche della carica QD e QC al variare del punto y nel canale. Abbiamo visto che l’applicazione contemporanea di VG VD e VS fa sì che il potenziale di superficie S sia un potenziale variabile lungo l’asse y e sarà pari a: 𝜙𝑆(𝑦) = 2𝜙𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦) (F perché ovunque sotto l’ossido il canale è formato e quindi sicuramente il potenziale deve essere almeno pari a 2F¸valore che consente di raggiungere la forte inversione) Anche QD e QC dipendono dal punto lungo l’asse y in quanto anch’essi dipendono va VC la quale è una tensione variabile. Ricordando la relazione dell’elettrostatica del condensatore si ha che: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶 𝐶𝑂𝑋 + √2𝜀𝑠𝑞𝑁𝐴𝐵(2Φ𝐹+𝑉𝐶) 𝐶𝑂𝑋 + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶) → 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶(𝑦) 𝐶𝑂𝑋 + √2𝜀𝑠𝑞𝑁𝐴𝐵𝜙𝑆(𝑦) 𝐶𝑂𝑋 + 𝜙𝑆(𝑦) Esplicitando la relazione si ha: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶(𝑦) 𝐶𝑂𝑋 + 𝛾√(2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) Accade quindi che la carica complessiva al gate è una carica costante lungo l’asse y e quindi non possiamo supporre che al gate la carica si distribuisca maggiormente in 0 e minormente nel punto l. La carica al gate si distribuisce in maniera omogenea lungo la gate metallica. Ciò significa che per ogni punto y, la somma di QD e QC in valore assoluto deve essere sempre una costante pari a QG, quindi procedendo dal drain verso il source si assisterà ad un incremento di QC e ad una riduzione di QD in quanto QD= 𝛾√(2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) e come abbiamo visto VC ha il suo valore massimo al drain pari a VD e il suo valore minimo al source pari a 0. Quindi si ha che 𝑄𝐷 = 𝛾√2Φ𝐹 al source e 𝑄𝐷 = 𝛾√(2Φ𝐹 + 𝑉𝐷) al drain. Quindi, questa carica avrà un valore minimo in corrispondenza del drain e avrà un valore massimo in corrispondenza del source. Riscrivendo la relazione dell’elettrostatica del condensatore MOS vediamo che questa espressione è un’espressione complessa in quanto rispetto a y abbiamo una variazione sia di QC sia di QD. 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶(𝑦) 𝐶𝑂𝑋 + 𝛾√(2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) Per rendere più semplice la trattazione supponiamo che non vi sia variazione della carica fissa QD ma vi sia variazione soltanto della carica mobile QC. D’altra parte, ai fini della trattazione della corrente che scorre nel drain abbiamo visto che la carica che assume un significato più importante è la carica QC in quanto la carica QC fa variare la conduttività del canale perché fa variare la concentrazione degli elettroni n e con essi la conduttività del canale. Trascuriamo, quindi, la variazione di QD rispetto all’asse y in quanto ci interessa marginalmente in questa fase. Dovendo scegliere un valore in corrispondenza del quale fissare la carica fissa QD nel canale, per semplicità fissiamo il valore di QD al source quindi 𝑄𝐷 = 𝛾√2Φ𝐹 in quanto il potenziale VS sappiamo essere 0. A questo punto l’elettrostatica del condensatore MOS lungo l’asse y sarà pari a: 𝑉𝐺𝐵 − 𝑉𝐹𝐵 = − 𝑄𝐶(𝑦) 𝐶𝑂𝑋 + 𝛾√2Φ𝐹 + (2Φ𝐹 + 𝑉𝐶(𝑦)) QC dipende da y per mezzo della relazione che descrive la differenza tra la tensione applicata tra gate e bulk e la tensione di soglia. Quindi si ha: 𝑄𝐶(𝑦) = −𝐶𝑂𝑋[ 𝑉𝐺 − (𝑉𝐹𝐵 + 2Φ𝐹 + 𝛾√2Φ𝐹 + 𝑉𝑠) − 𝑉𝐶(𝑦)] Dove questa volta la tensione di soglia è: 𝑉𝑇𝐻 = 𝑉𝐹𝐵 + 2Φ𝐹 + 𝛾√2Φ𝐹 + 𝑉𝑠 e non sarà più 𝑉𝑇𝐻,0 perché in questo caso si assume che VS può anche essere diversa da zero. Quindi 𝑄𝐶(𝑦) = −𝐶𝑂𝑋[ 𝑉𝐺 − 𝑉𝑇𝐻 − 𝑉𝐶(𝑦)] Quindi in questo modo possiamo ottenere la variabilità di QC rispetto ad y che dipende dalla variabilità di VC rispetto ad y. Riassumendo le varie regioni si ha: Risulta utile ai fini della maglia di ingresso e della maglia di uscita andare a definire queste regioni di funzionamento in funzione, non tanto di VGS e VGD, quanto in funzione di VGS e VDS perché cosi come accade anche nel transistor bipolare, il dispositivo è utilizzato spesso in una configurazione che viene detta a source comune. Quindi come nel caso del transistor bipolare abbiamo scelto e utilizzato la configurazione ad emettitore comune e quindi abbiamo definito le regioni di funzionamento rispetto a VBE e VCE e non rispetto VBE e VCB, anche in questo caso scegliendo la configurazione a source comune risulta conveniente passare da una VGD a una VDS attraverso le seguenti relazioni: 𝑉𝐺𝐷 = 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝐷𝑆 Dunque, si ha: 𝑉𝐺𝐷 > 𝑉𝑇𝐻 → 𝑉𝐷𝑆 < 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 (Triodo) 𝑉𝐺𝐷 < 𝑉𝑇𝐻 → 𝑉𝐷𝑆 > 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 (Saturazione) Quindi riassumendo si ha: In analogia a ciò che avviene nel transistor bipolare, si definisce la tensione VDSsat cioè la tensione drain- source di saturazione. Essa si definisce come: 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 = 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 E allora le relazioni diventano: Osserviamo però che, mentre nel transistor bipolare la tensione VCEsat è una costante pari a 0.2 V indipendente dalle condizioni di polarizzazione perché per come è fatto il transistor, nella giunzione base emettitore cade sempre una tensione VBE di 0.7 V e nella giunzione base collettore cade sempre una tensione VBC di 0.5 V ragione per cui 𝑉𝐶𝐸𝑠𝑎𝑡 = 𝑉𝐵𝐸 − 𝑉𝐵𝐶 = 0,7 − 0,5 = 0,2𝑉, in questo caso invece VDSsat dipende dalla polarizzazione, non è una tensione costante, in quanto VTH dipende dai parametri geometrici e fisici del dispositivo e VGS dipende invece dalle tensioni che di volta in volta applichiamo tra gate e source. Ecco perché non possiamo dire che sia una tensione costante ma è una tensione di comodo che si utilizza per sintetizzare le relazioni che descrivono le regioni di funzionamento del dispositivo. Analizziamo ora il dispositivo in regione di triodo. In questa regione il dispositivo deve essere polarizzato in modo tale da ottenere 𝑉𝐺𝑆 > 𝑉𝑇𝐻 in modo da assicurare il fatto che nel source il canale sia formato e poi un’altra polarizzazione per ottenere una 𝑉𝐷𝑆 < 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 il che equivale a dire che 𝑒 𝑉𝐺𝐷 > 𝑉𝑇𝐻. Quindi anche in corrispondenza del drain il canale è formato. Abbiamo visto che la carica QC diminuisce però passando dal source al drain in quanto essa è funzione di y. Per ottenere la corrente dobbiamo trovare la conduttività del canale, la quale dipende dalla concentrazione di elettroni che abbiamo nel canale, concentrazione che varia con x e con y. Vogliamo capire qual è la corrente che scorre in una qualunque sezione A(y) del canale. Considerando una qualunque sezione lungo l’asse y, genericamente possiamo dire di avere canale formato tra il punto x=0 e xc(y) e la carica QC, che sarà ora solo funzione di y, nel canale sarà pari a: 𝑄𝐶 = ∫ −𝑞𝑛(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥 𝑥𝑐(𝑦) 𝑥=0 Possiamo dire allora che la densità di corrente sarà pari a: 𝐽𝑛𝑦(𝑥, 𝑦) = 𝑞𝜇𝑛𝑛(𝑥, 𝑦)𝐸𝑦 Poiché il campo elettrico è pari a: 𝐸 = − 𝑑𝑉 𝑑𝑥 allora si ha: 𝐽𝑛𝑦(𝑥, 𝑦) = 𝑞𝜇𝑛𝑛(𝑥, 𝑦)𝐸𝑦 = −𝑞𝜇𝑛𝑛(𝑥, 𝑦) 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑑𝑦 Questa è ovviamente una corrente di deriva, quindi non dobbiamo aggiungere anche una componente di diffusione. (NB: il campo elettrico è rivolto rispetto ad y, quindi, la derivata va fatta rispetto ad y) La corrente allora non sarà altro se non l’integrale di J sulla superficie A(y) 𝐼𝐷 = 𝑊 ∗ ∫ −𝐽𝑛𝑦(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥 𝑥𝑐(𝑦) 𝑥=0 = −𝜇𝑛𝑊 ∗ (∫ −𝑞𝑛(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥 𝑥𝑐(𝑦) 𝑥=0 ) ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑑𝑦 Il termine ∫ −𝑞𝑛(𝑥, 𝑦)𝑑𝑥 𝑥𝑐(𝑦) 𝑥=0 altro non è se non QC(y), densità di elettroni che abbiamo in un qualunque punto y del canale. → si ha 𝐼𝐷 = −𝜇𝑛𝑊 ∗ 𝑄𝐶(𝑦) ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑑𝑦 Osserviamo che questa relazione, individuando un volumetto che abbia uno spessore dy, un’altezza xC e una larghezza W, di fatto questa relazione è l’applicazione della legge di Ohm al volumetto nel quale abbiamo che 𝐼𝐷 = −𝜇𝑛𝑊 ∗ 𝑄𝐶(𝑦) ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑑𝑦 anche se vi è un segno meno, esso è compensato dalla carica 𝑄𝐶(𝑦) negativa, quindi la corrente è complessivamente positiva. Avendo, il volumetto, uno spessore infinitesimo dy anche la tensione applicata sarà una tensione infinitesima dVc. Ecco che questa rappresenta la legge di Ohm applicata a questo volumetto. Una volta ottenuta la relazione della corrente possiamo integrare lungo l’asse y entrambi i membri per ottenere tutta la corrente ID. Allora si ha: 𝐼𝐷 ∗ 𝑙 = −𝜇𝑛𝑊 ∗ ∫ 𝑄𝐶(𝑦) ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑑𝑦 𝑙 𝑦=0 𝑑𝑦 A questo punto possiamo cambiare la variabile di integrazione da y a VC e semplificare dy e dy→ al posto di y=0 dobbiamo mettere il valore di VC(0)=VS e VC(l)=VD. Dunque, si ottiene: 𝐼𝐷 = − 𝜇𝑛𝑊 𝑙 ∗ ∫ 𝑄𝐶(𝑦) ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑉𝐷 𝑉𝑐(𝑦)=𝑉𝑆 Sapendo che in regione di forte inversione 𝑄𝐶(𝑦) = −𝐶𝑂𝑋[𝑉𝐺 − 𝑉𝑇𝐻 − 𝑉𝐶(𝑦)] si ha che: 𝐼𝐷 = − 𝜇𝑛𝑊 𝑙 ∗ ∫ −𝐶𝑂𝑋[𝑉𝐺 − 𝑉𝑇𝐻 − 𝑉𝐶(𝑦)] ∗ 𝑑𝑉𝐶(𝑦) 𝑉𝐷 𝑉𝑐(𝑦)=𝑉𝑆 𝑉𝐺 𝑒 𝑉𝑇𝐻 sono costanti al variare di VC, l’unica variabile è VC(y). Integrando si ottiene − 𝑉𝑐 2 2 da calcolare tra 𝑉𝑠 𝑒 𝑉𝐷 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 ∗ 𝑊 𝑙 [(𝑉𝐺 − 𝑉𝑇𝐻) ∗ 𝑉𝐷𝑆 − (𝑉𝐷 2 − 𝑉𝑆 2) 2 Poiché 𝑉𝐷 2 − 𝑉𝑆 2 = (𝑉𝐷 + 𝑉𝑆)𝑉𝐷𝑆 si ha: 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 ∗ 𝑊 𝑙 [(𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 − 𝑉𝐷𝑆 2 ) ∗ 𝑉𝐷𝑆 Osserviamo che si ha una variabilità di ID sia da VGS sia da VDS, in particolare, poiché in regione di triodo VDS ha tipicamente valori molto piccoli, perché ricordiamo che la regione di triodo è definita come quella regione in cui VDS< VDSsat in genere quindi si può trascurare il termine 𝑉𝐷𝑆 2 rispetto a 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 e considerare che la variabilità di ID rispetto sia a VDS sia a VGS sia un comportamento di tipo lineare. In generale queste relazione nel piano ID VDS al variare della tensione VDS rappresenta un fascio di parabole concave passanti per l’origine, ognuna di queste variabili ha un punto massimo che si trova facendo la derivata di ID rispetto a VDS imponendo che questa sia pari a zero e il punto in corrispondenza del quale questo fascio di parabole ha il valore massimo, lo si trova per VDS= VDSsat E il punto massimo è: 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝑙 𝑉𝐷𝑆 2 𝑑𝐼𝐷 𝑑𝑉𝐷𝑆 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 ∗ 𝑊 𝑙 [(𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 − 𝑉𝐷𝑆)] = 0 → → 𝑉𝐷𝑆 = 𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻 = 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 Sappiamo tuttavia che questa relazione non ha una validità lungo tutto l’asse VDS perché incrementando la tensione VDS il canale si restringe, quindi aumentando il potenziale al drain rispetto al potenziale al source, VDS aumenta, ma questo incremento del potenziale al drain fa si che VGD- VTH cominci quanto metteva in relazione la corrente e la tensione nella maglia di uscita. Nel transistor MOSFET abbiamo ottenuto una relazione importante in saturazione, in quanto, se la dipendenza di L’ da VDS non è molto elevata otteniamo che ID è completamente indipendente da VDS e dipende solo da VGS-VTH in maniera quadratica. Quindi, se applichiamo una tensione tra gate e source, questa tensione diminuita di una quantità VTH si presenta in uscita amplificata di un fattore 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿′ elevata al quadrato, quindi questo fa pensare che il dispositivo può essere utilizzato come amplificatore in regione di saturazione, dove il dispositivo non fa altro che prendere la tensione VGS-VTH incrementarla in maniera quadratica e moltiplicarla per un guadagno pari a 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿′ Se la dipendenza di L’ da VDS non è molto marcata si può approssimare L’ con L e di conseguenza 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 questa diventa l’espressione della corrente del transistor MOSFET in regione di saturazione. In generale quando il canale del transistor è lungo, quindi, quando L ha dimensioni abbastanza grandi, l’approssimazione è sempre valida. Quando il canale comincia a ridursi e le dimensioni del dispositivo sono sempre più piccole, la dipendenza di L’ da VDS è più marcata. Dunque, vediamo che l’espressione di ID al variare di VDS diventa la seguente: nella regione di saturazione si ha una perfetta continuità della corrente con la corrente in regione di triodo e vediamo che le curve della corrente risultano completamente piatte in regione di saturazione, in quanto la corrente risulta indipendente dal variare di VDS. Il passaggio da una curva all’altra è determinato dal diverso valore di VGS. Aumentando VGS aumenta la corrente, questo è dovuto al fatto che la corrente dipende da VGS in maniera quadratica. L’analisi di questo grafico ci fa capire che la regione di funzionamento che cerchiamo per fare lavorare il dispositivo per l’elettronica analogica è la regione di saturazione, così come nel transistor bipolare era la regione attiva diretta. In questo caso abbiamo un’amplificazione tra la corrente in uscita e la tensione in ingresso, quindi, il dispositivo si comporta come una transconduttanza in quanto la conduttanza sappiamo essere quel parametro elettrico per cui possiamo dire che la corrente è pari alla conduttanza per la tensione. Transconduttanza perché non è una conduttanza tra una corrente e una tensione della stessa maglia, ma è una conduttanza che mette in relazione la tensione di una maglia con la corrente di un’altra maglia. Quindi il prefisso trans sta ad indicare appunto questo spostamento dalla maglia di ingresso alla maglia di uscita. Il dispositivo, dunque, in regione di saturazione si comporta come una transconduttanza non lineare in quanto VGS-VTH è elevato al quadrato. Ciò che abbiamo finora detto è tuttavia parzialmente vero, infatti, nella realtà esiste una dipendenza di ID da VDS, quindi non possiamo dire che in saturazione ID dipenda soltanto da VGS. Questa dipendenza risiede nel termine L’. sappiamo che all’aumentare di VDS L’ diminuisce e si avvicina sempre di più al source . Si può quindi parlare di una modulazione della lunghezza del canale. Per ottenere questa modulazione dobbiamo capire come varia ID al variare di VDS. Deriviamo ID rispetto a VDS: 𝜕𝐼𝐷 𝜕𝑉𝐷𝑆 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 ∗ (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 ∗ 𝑑(1 𝐿′⁄ ) 𝑑𝑉𝐷𝑆 = 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑖𝑝𝑙𝑖𝑐𝑜 𝑒 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝐿′𝑒 𝑜𝑡𝑡𝑒𝑛𝑔𝑜 = − 𝐼𝐷 𝐿′ ∗ 𝑑𝐿′ 𝑑𝑉𝐷𝑆 La relazione che descrive la derivata di L’ rispetto a VDS non la conosciamo in maniera compiuta, ciò che però possiamo dire è che L’ diminuisce all’aumentare di VDS, quindi 𝑑𝐿′ 𝑑𝑉𝐷𝑆 è una quantità sicuramente negativa, allora 𝜕𝐼𝐷 𝜕𝑉𝐷𝑆 è sicuramente positiva. Ciò significa che le curve che in regione di saturazione abbiamo approssimato con delle rette perfettamente orizzontali e parallele all’asse VDS in realtà avranno una leggera pendenza positiva. Inoltre, vediamo che più piccolo è L’ maggiore sarà l’incremento, quindi più lavoriamo con canali corti, maggiore sarà la pendenza della curva e quindi maggiore sarà la dipendenza di ID rispetto a VDS. Per cercare di integrare in modo semplice la dipendenza di ID da VDS nella caratteristica tensione corrente, possiamo sviluppare in serie di Taylor ID rispetto a VDS. Abbiamo che: 𝐼𝐷 = 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 + ( 𝜕𝐼𝐷 𝜕𝑉𝐷𝑆 ) |𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 ∗ (𝑉𝐷𝑆 − 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡) = = 𝐼𝐷 |𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 + (− 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 𝐿′ ∗ 𝑑𝐿′ 𝑑𝑉𝐷𝑆 ) |𝑉𝐷𝑆 =𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 + (𝑉𝐷𝑆 − 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡) Dove 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 altro non è se non il caso in cui L’=L e dove si ha: 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 Mettiamo in evidenza il termine 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 e otteniamo: 𝐼𝐷 = 𝐼𝐷|𝑉𝐷𝑆=𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 ∗ [1 + 𝜆(𝑉𝐷𝑆 − 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡)] dove 𝜆 = − 1 𝐿 ∗ 𝑑𝐿 𝑑𝑉𝐷𝑆 ed esso prende il nome di coefficiente di modulazione di canale, esso è l’inverso di una tensione e si misura in Volt-1. Esso modula il canale, infatti, al posto di L’ abbiamo sostituito L in quanto questo coefficiente deve essere calcolato per la definizione di serie di Taylor quando VDS=VDSsat e quindi in questa definizione L’ assume il valore di L. A questo punto possiamo dire che la relazione tensione corrente in regione di saturazione che tiene conto della dipendenza di ID non solo da VGS ma anche da VDS è: 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 ∗ [1 + 𝜆(𝑉𝐷𝑆 − 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡)] Poiché solitamente in regione di saturazione VDS>VDSsat la relazione si approssima: 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 ∗ [1 + 𝜆𝑉𝐷𝑆] Osserviamo quindi che rispetto al caso precedente, le curve in saturazione non sono più perfettamente parallele all’asse VDS ma aumentando VDS aumenta anche il valore della corrente ID in maniere lineare secondo la legge 𝜆𝑉𝐷𝑆. Vediamo ora la dipendenza della tensione di soglia dal potenziale che si viene a stabilire tra source e bulk. Abbiamo finora detto che la tensione di soglia è pari a: 𝑉𝑇𝐻 = 𝑉𝐹𝐵 + 2𝜙𝐹 + 𝛾√2𝜙𝐹 + 𝑉𝑆 Quando VS è zero, la tensione di soglia del MOSFET coincide perfettamente con la tensione di soglia del condensatore MOS: 𝑉𝑇𝐻,0 = 𝑉𝐹𝐵 + 2𝜙𝐹 + 𝛾√2𝜙𝐹 Questo perché incrementando la tensione al source bisogna applicare una tensione gate più alta perché il canale si possa formare, quindi, la VTH si incrementa soltanto nella parte 2𝜙𝐹 + 𝑉𝑆 perché questa è la parte della tensione di soglia dovuta alla carica presente nella regione di carica spaziale QD e poiché QD dipende dall’ulteriore svuotamento che si ha tra il bulk e il source, più grande è la differenza di potenziale che abbiamo tra il bulk e il source maggiore sarà la QD nel canale, cioè riusciamo a svuotare ancora di più una regione di carica spaziale e ad allontanare ancora di più le lacune da questa regione di carica spaziale privando ulteriormente gli atomi accettori di questa loro lacuna. In generale possiamo mettere in relazione tra loro, la tensione di soglia del transistor MOS con la tensione di soglia del condensatore MOS in quanto osservando la tensione di soglia del transistor coincide perfettamente con la VTH,0 quando la tensione reciproca che abbiamo tra source e bulk è pari a zero (in questo caso VS in quanto avevamo posto il bulk a polarizzazione nulla). Quindi, immaginando di applicare al source una tensione più alta di quella del bulk accade che il diodo bulk-source avrà una tensione inversa di saturazione più grande di quella che si ha quando VSB è pari a zero. Ciò significa che riusciamo ad avere una xdmax maggiore di quella che si ha nel condensatore MOS e di conseguenza riesco ad avere una QDmax ancora più grande di quella del condensatore MOS. Quindi, accade che aumentando la VSB aumenta anche la VTH. La relazione che sussiste tra le due tensioni è la seguente: 𝑉𝑇𝐻 = 𝑉𝑇𝐻,0 + 𝛾(√2𝜙𝐹 + 𝑉𝑆𝐵 − √2𝜙𝐹) Quindi, la VTH dipende dalla reciproca polarizzazione che c’è tra source e bulk, ricordiamo che per affermare ciò abbiamo supposto che la QD sia costante lungo il canale anche se in effetti ciò che accade è che la QD è più piccola in corrispondenza del source e più grande in corrispondenza del drain, ma ciò lo abbiamo trascurato supponendo che la QD sia costante lungo tutto il canale e per comodità abbiamo supposto di misurarla in corrispondenza del source. (il drain ha una polarizzazione sempre più grande di quella del source e quindi se VSB ha un certo valore allora VDB avrà un valore più grande, quindi al drain sicuramente si ha una regione svuotata maggiore di quella che abbiamo al source e quindi anche la QDmax è maggiore al drain rispetto al source, ma abbiamo detto che per non complicare troppo l’analisi si può considerare che la QDmax sia costante lungo il canale e pari al valore minimo che questa assume in corrispondenza del source. Vediamo ora cosa accade quando si utilizza un transistor pMOS, intanto si ha che in elettronica analogia il transistor pMOS è scarsamente utilizzato in quanto è un transistor in cui si sfrutta un canale di tipo p, poiché abbiamo detto che la corrente che fluisce all’interno del canale è una corrente di deriva, è una corrente proporzionale alla mobilità, è chiaro, quindi, che a parità di tensione con un canale di elettroni si raggiunge una corrente sempre maggiore rispetto alla corrente di lacune che possiamo raggiungere perché intrinsecamente la mobilità delle lacune è più bassa della mobilità degli elettroni. Il pMOS lo si utilizza in un tipo di tecnologia che si chiama CMOS (complemetary MOS) ed essa sfrutta le proprietà dei due transistor nMOS e pMOS perché serve in quel caso avere due transistor che funzionano in maniera complementare (uno acceso l’altro spento e viceversa). Nell’elettronica analogica interessa principalmente il guadagno dei dispositivi e allora si utilizzano sempre transistor di tipo nMOS e non transistor di tipo pMOS in quanto il canale n è più performante del canale p. Analogamente in regione di saturazione si ha: 𝐼𝐷 = 𝜇𝑝𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (|𝑉𝐺𝑆| − |𝑉𝑇𝐻|) 2 ∗ [1 + 𝜆(|𝑉𝐷𝑆| − |𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡|)] Simboli circuitali Il transistor MOSFET è un transistor a quattro terminali, si hanno le seguenti rappresentazioni: Essendo a quattro terminali bisogna sempre andare a riportare qual è il bulk nel dispositivo, il modello più corretto è il primo che vediamo nella figura, cioè il modello nel quale abbiamo il gate come se non fosse connesso a nulla ed è lasciamo come flottante (da floating) proprio perché sotto il gate c’è l’ossido, poi ci sono i terminali di drain e di source i quali sono interscambiabili proprio perché dal punto di vista costruttivo il dispositivo è completamente simmetrico per l’asse y, semplicemente si sceglie una convenzione per cui si misura il potenziale più basso, il potenziale di riferimento del canale come il potenziale di source e poi il bulk è rappresentato come se fosse un diodo, con il so triangolo tipico, rispettando la polarità di anodo e catodo e quindi nel dispositivo a canale n il bulk è di tipo p e di conseguenza la punta del diodo è rivolta verso il canale, viceversa l’anodo è rivolto verso il bulk. Le altre due rappresentazioni (sempre in alto) sono delle varianti che vengono utilizzate quando si da come ipotesi il fatto che la tensione tra source e bulk sia nulla, quindi facendo funzionare il dispositivo cortocircuitando tra loro source e bulk possiamo anche omettere di rappresentare circuitalmente il bulk perché sappiamo che il potenziale del bulk è lo stesso potenziale del source. La differenza tra la rappresentazione centrale e la rappresentazione a destra (sempre in alto) è che nella rappresentazione del centro compare una freccia un po’ simile a quella che troviamo nel transistore bipolare npn ed è una freccia che dice qual è il potenziale di source, quindi la freccia è sempre presente in corrispondenza del terminale di source, nell’altro dispositivo invece non si specifica qual è il source e qual è il drain proprio sfruttando il fatto che il dispositivo è simmetrico rispetto all’asse y. Lo stesso si vede nelle rappresentazioni in basso, cioè nel dispositivo con canale p quindi con un bulk di tipo n, il primo modello circuitale è sempre quello più completo in cui il gate è sempre flottante, il bulk è rappresentato con una freccetta la cui punta è rivolta verso il bulk perché appunto il substrato è di tipo n quindi appunto nel diodo canale-bulk che si viene a formare, l’anodo sta nel canale e il catodo sta nel bulk. Il secondo modello è un modello in cui si omette di rappresentare il bulk perché si suppone cortocircuitato con il source e si capisce che è un dispositivo a canale p piuttosto che a canale n perché la freccia è sempre in corrispondenza del source ma stavolta è entrante mentre nel modello centrale della prima linea la freccia è uscente dal canale, questa freccia rappresenta il verso della corrente, in un dispositivo a canale n la corrente va dal drain al source perché VDS>0, in un dispositivo a canale p la corrente va dal source al drain perché VDS<0. Infine, nell’ultima tipologia di modello circuitale del MOSFET, ciò che distingue un transistor a canale p da un transistor a canale n è la presenza di un pallino che è presente in adiacenza al gate che è presente nel transistor a canale p e che non è presente invece nel transistor a canale n. Di solito il dispositivo che viene più spesso rappresentato nei sistemi circuitali è il dispositivo centrale perché tipicamente il bulk è sempre cortocircuitato con il source e si va a riconoscere il verso della corrente attraverso la freccetta nel terminale di source. Andiamo a vedere ora la curve caratteristiche del dispositivo nella configurazione a source comune, che è la configurazione nella quale il dispositivo è principalmente utilizzato nei dispositivi analogici, in quanto richiama le curve del transistor bipolare. Utilizziamo ad esempio un transistor nMOS: possiamo dire che questo dispositivo è un dispositivo a source comune in quanto nel bipolo che si viene a formare in cui si hanno due grandezze in ingresso e due grandezze in uscita, il terminale che sta a comune tra la maglia di ingresso e la maglia di uscita è il source. Quindi, come grandezze di ingresso utilizziamo quelle tra gate e source e come grandezze di uscita utilizziamo quelle tra drain e source. Vediamo che a differenza del transistore bipolare in cui in effetti possiamo andare a valutare due grandezze in ingresso (VBE e IBE), in questo caso il gate è flottante, è un circuito aperto perché sotto il gate vi è l’ossido, quindi, intrinsecamente nella maglia di ingresso possiamo solo andare ad applicare una tensione e non una corrente. Quindi, il dispositivo è un dispositivo in cui la grandezza fornita in ingresso è sempre una VGS (mentre nel transistor npn per valutare le prestazioni del dispositivo, in ingresso si dava sempre una corrente IB in quanto sapevamo che la tensione VBE si regolava automaticamente una volta mettiamo in ingresso una corrente IB in quanto la VBE altro non è se non la tensione che cade ai capi di una giunzione pn). Il dispositivo MOSFET è quindi un dispositivo comandato da una grandezza in ingresso che è una tensione, non possiamo comandarlo in corrente in quanto la sua corrente di ingresso è una corrente nulla. Ciò è fondamentale nel dispositivo MOSFET in quanto l’assenza di una corrente di ingresso rappresenta una minore potenza consumata dal dispositivo, sapendo che la potenza è data dal prodotto della tensione e della corrente, quindi possiamo dire che la potenza dissipata dalla maglia in ingresso di questo dispositivo è una potenza nulla perché non vi è nessuna corrente assorbita dal dispositivo. Ecco perché è sempre preferibile utilizzare dispositivi MOSFET in quanto sono caratterizzati da una minore potenza dissipata. Fin tanto che VDS< VDSsat=VGS-VTH si ha un andamento della curva parabolico, cioè la corrente dipende in maniera quadratica dalla VGS secondo la relazione (VGS-VTH)2, quindi abbiamo una famiglia di curve paraboliche che trovano il loro punto di massimo, facendo la derivata, proprio laddove VDS=VGS-VTH. In quel punto accade che si strozza il canale in corrispondenza del drain, cambia la forma delle curve e le curve saturano con VDS e compare, in regione di saturazione, una lieve dipendenza lineare da VDS. Vediamo che queste curve sono curve parametriche in quanto facendo variare VDS ID varia secondo una diversa VGS sempre più grande di VTH, quindi, sempre in grado di formare il canale. Chiaramente, più grande è VGS più alte sono le curve. ANALISI DI PICCOLO SEGNALE Supponiamo ora di metterci all’interno della regione di saturazione che è quella nella quale il dispositivo è utilizzato come amplificatore e facciamo un’analisi di piccolo segnale al transistor MOS, supponendo che sia a canale n. Ricordiamo che fare un’analisi di piccolo segnale significa applicare delle tensioni date dalla somma di due tensioni, una tensione di ampio segnale tempo invariante e una tensione di piccolo segnale tempo variante. Dunque, si ha: in ingresso: 𝑣𝐺𝑆(𝑡) = 𝑉𝐺𝑆 + 𝑣𝑔𝑠(𝑡) in uscita: 𝑣𝐷𝑆(𝑡) = 𝑉𝐷𝑆 + 𝑣𝑑𝑠(𝑡) come sovrapposizione di questi due effetti otterremo una corrente nel canale, una corrente di drain che entra dal drain ed esce al source. Questa corrente sarà sicuramente variabile nel tempo e ampia 𝑖𝐷(𝑡), la corrente di gate è invece sempre nulla, sia nel caso di piccolo che di ampio segnale 𝑖𝐺(𝑡) = 0 perché l’ossido si comporta sempre da ossido sia in condizioni di segnale piccolo o segnale ampio. Quindi andiamo ad individuare un punto di lavoro nel circuito, che è il punto di lavoro che si ottiene quando facciamo agire soltanto le componenti fisse e non le componenti variabili. Vediamo a quanto sono pari queste resistenze o transconduttanze, consideriamo la prima 𝑔𝑚. Si ha: 𝑔𝑚 = ( 𝜕𝑖𝐷 𝜕𝑣𝐺𝑆 )| 𝑄 siamo in regione di saturazione e sappiamo che in regione di saturazione possiamo approssimare la relazione della corrente a: 𝑖𝐷 ≈ 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑣𝐺𝑆 − 𝑣𝑇𝐻) 2, stiamo approssimando perché stiamo omettendo la dipendenza della corrente da vDS. Facendo la derivata di questa grandezza rispetto a vGS (valutata nel punto di lavoro Q) e otteniamo: 𝑔𝑚 = 𝜕 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑣𝐺𝑆 − 𝑣𝑇𝐻) 2 𝜕𝑣𝐺𝑆 | 𝑄 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 ∗ 𝑊 𝐿 ∗ (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) Poiché di solito si preferisce utilizzare la corrente ID che è il parametro di progetto rispetto alla tensione VGS, dalla relazione 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 → (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) = √ 𝐼𝐷 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 E quindi andando a sostituire otteniamo: 𝑔𝑚 = √2𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 𝑊 𝐿 𝐼𝐷 𝑔𝑚 = 2𝐼𝐷 (𝑉𝐺𝑆−𝑉𝑇𝐻) = 𝐼𝐷 (𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 2 ) Per quanto riguarda, invece, la resistenza di drain rd sappiamo che essa è pari a: 𝑟𝑑 = [( 𝜕𝑖𝐷 𝜕𝑣𝐷𝑆 )| 𝑄 ] −1 Sapendo che 𝑖𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑣𝐺𝑆 − 𝑣𝑇𝐻) 2 ∗ [1 + 𝜆𝑣𝐷𝑆] (relazione corretta in quanto dobbiamo derivare rispetto a vDS) per cui abbiamo: 𝑟𝑑 = [(𝜆 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑣𝐺𝑆 − 𝑣𝑇𝐻) 2)| 𝑄 ] −1 = 1 (𝜆 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆−𝑉𝑇𝐻) 2) dove VGS e VTH sono le quantità fisse calcolate nel punto di lavoro. Tenendo conto che 𝐼𝐷 = 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 2 ∗ 𝑊 𝐿 (𝑉𝐺𝑆 − 𝑉𝑇𝐻) 2 → 𝑟𝑑 = 1 𝜆𝐼𝐷 Per la terza transconduttanza detta di effetto body (In quanto il bulk è il corpo del dispositivo), quindi è la transconduttanza dovuta ad una differenza di piccolo segnale tra la tensione al source e la tensione al bulk. Ovviamente questo accade in tutti quei casi in cui source e bulk non sono cortocircuitati tra di loro, quindi si può pensare di applicare una differenza di potenziale piccola e variabile tra source e bulk e vedere qual è l’effetto di questa differenza di potenziale sulla corrente di drain. Questo effetto si manifesta proprio nel parametro di transconduttanza di effetto body. Questa transconduttanza è definita come: 𝑔𝑚𝑏 = (− 𝜕𝑖𝐷 𝜕𝑣𝑆𝐵 )| 𝑄 poiché la dipendenza di vSB sta all’interno di vTH possiamo scrivere per il principio delle derivate: 𝑔𝑚𝑏 = (− 𝜕𝑖𝐷 𝜕𝑣𝑇𝐻 )| 𝑄 ∗ ( 𝜕𝑣𝑇𝐻 𝜕𝑣𝑆𝐵 )| 𝑄 Ricordiamo che (− 𝜕𝑖𝐷 𝜕𝑣𝑇𝐻 )| 𝑄 = 𝑔𝑚 infatti, a meno del segno, è equivalente a derivare iD per vGS Il termine ( 𝜕𝑣𝑇𝐻 𝜕𝑣𝑆𝐵 )| 𝑄 sapendo che la dipendenza di vTH da vSB sta sotto radice quadrata 𝑣𝑇𝐻 = 𝑉𝑇𝐻,0 + 𝛾(√2𝜙𝐹 + 𝑣𝑆𝐵 − √2𝜙𝐹) Si ha che ( 𝜕𝑣𝑇𝐻 𝜕𝑣𝑆𝐵 )| 𝑄 = ( 𝛾 2 ) √2𝜙𝐹+𝑣𝑆𝐵 Quindi in definitiva 𝑔𝑚𝑏 = 𝑔𝑚 ∗ ( 𝛾 2 ) √2𝜙𝐹+𝑣𝑆𝐵 In questo modo otteniamo un dispositivo nel quale la maglia di ingresso è una maglia flottante, dobbiamo tenere in considerazione la polarizzazione tra source e bulk per avere tutti gli effetti delle tensioni ai vari terminali sulla corrente iD. il modello di piccolo segnale prevede una resistenza che è la resistenza di drain 𝑟𝑑 = 1 𝜆𝐼𝐷 , una conduttanza che pone in relazione la corrente alla tensione di ingresso 𝑔𝑚 = 𝐼𝐷 (𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 2 ) e una conduttanza che pone invece in relazione la corrente con la differente polarizzazione che c’è tra source e bulk 𝑔𝑚𝑏 = 𝑔𝑚 ∗ ( 𝛾 2 ) √2𝜙𝐹+𝑣𝑆𝐵 La resistenza di drain è sempre il valore più grande 𝑟𝑑 ≫ 1/𝑔𝑚 In un parallelo di resistenze quella che prevale è sempre quella più piccola in quanto è quella che consente alla corrente di fluire più facilmente nel parallelo. Nel nostro caso la resistenza più piccola è 1 𝑔𝑚 , supponendo che il transistore abbia un rapporto 𝑊 𝐿 = 20 e un prodotto 𝜇𝑛𝐶𝑂𝑋 = 95 𝜇𝐴/𝑉 2 e supponendo anche che la sua funzione di fermi sia 𝜙𝐹 = 0.41 𝑉 e 𝛾 = 0.81 𝑉 1/2 e dati i valori di polarizzazione 𝑉𝑆𝐵 = 1𝑉 𝑒 𝐼𝐷 = 200 𝜇𝐴 otteniamo una 𝑔𝑚 = 870 𝜇𝐴/𝑉 una 𝑟𝑑 = 100 𝑘Ω e una 𝑔𝑚𝑏 = 260 𝜇𝐴/𝑉 Mettendo in relazione tra loro le grandezze del MOSFET rispetto a quelle del bipolare otteniamo che: 𝑔𝑚(𝐵𝐼𝑃) > 𝑔𝑚(𝑀𝑂𝑆) 𝑟𝑐(𝐵𝐼𝑃) > 𝑟𝑑(𝑀𝑂𝑆) Dunque, dal punto di vista elettrico le proprietà del transistor MOSFET sono un po' più scadenti di un transistor bipolare.(avere un’elevata resistenza di uscita significa dire che la dipendenza della corrente dalla tensione di uscita è piccola, maggiore è la resistenza meno influisce la tensione di uscita sulla corrente di uscita) Per quanto riguarda un transistor pMOS, diciamo che tutto resta inalterato e possiamo utilizzare le stesse relazioni che abbiamo utilizzato per l’nMOS consapevoli del fatto che quelle relazioni sono sfasate di 180° 𝑔𝑚 = √2𝜇𝑝𝐶𝑂𝑋 𝑊 𝐿 𝐼𝐷 , 𝑟𝑑 = 1 𝜆𝐼𝐷 , 𝑔𝑚𝑏 = 𝑔𝑚 ∗ ( 𝛾 2 ) √−2𝜙𝐹 + 𝑉𝐵𝑆 Cominciamo ora a trattare l’ultimo argomento che riguarda i MOSFET ovvero il comportamento dei MOSFET ad alta frequenza dove sappiamo che per il fatto che aumenta la frequenza operativa, l’impedenza associata alle capacità diminuisce, quindi, ad alta frequenza sappiamo che si manifestano gli effetti capacitivi. Manifestandosi gli effetti capacitivi bisogna capire quali sono le capacità in gioco nel sistema metallo-ossido-semiconduttore e in particolare nel transistor MOSFET. TRANSISTORE MOS IN TECNOLOGIA PLANARE L’immagine rappresenta un transistor MOSFET visto dall’alto. Lateralmente a sinistra e a destra abbiamo i due contatti di source e di drain, ancora più a destra abbiamo il contatto di bulk e in alto abbiamo il contatto di gate. Vediamo come realizzare un contatto di questo tipo. Il transistor è l’immagine sotto, infatti vediamo che abbiamo un gate che è immerso nel biossido di silicio, quindi il contatto di gate si vede in fondo, facendo riferimento al layout, quindi alla parte vista da sopra, da sopra vediamo tutta una platea di biossido di silicio che non fa altro che proteggere il dispositivo (può anche essere messa una superficie in plastica sopra il biossido di silicio per proteggere il dispositivo. Nel momento in cui realizziamo lo stato finale del dispositivo che sappiamo essere il gate, andiamo alla fine a ricoprire tutto con biossido di silicio, in maniera tale che il dispositivo non si rovini e il biossido di silicio funzioni proprio come uno strato passivante, che permette di mantenere integre le proprietà del dispositivo senza alterarle. Quindi, accadrà che se ci muoviamo lungo la direzione z negativo (la direzione che buca il foglio verso l’interno) vedremo una gate che cammina parallela alla direzione z, ad un certo punto accadrà che dopo una lunghezza z pari a W, non appena finisce il canale del dispositivo, eseguiamo una “finestra” sull’ossido (grigio scuro) e immediatamente sotto l’ossido troviamo la gate. Quindi, lo strato che vediamo nello schema trasversale del dispositivo, quello più in alto, che è quello di gate si va a realizzare in questa maniera, si incapsula questa gate tutta nell’ossido, la si fa camminare lungo la direzione W, quando si ritiene che il dispositivo sia finito, quindi quando si ritiene di aver oltrepassato tutta la lunghezza W si va a incidere una perforazione in questo biossido di silicio e in una finestrella piccola si va a scoprire la gate e si va a contattare con il metallo, in questa maniera si intercetta lo strato di polisilicio di tipo p+ o n+ in base al valore che si vuole dare alla tensione di banda piatta e quindi andiamo a realizzare una gate di un materiale piuttosto che un altro perché sappiamo che ogni materiale è caratterizzato da un proprio potenziale di contatto intrinseco. Per realizzare i contatti di drain e source si parte da un substrato di tipo p e “selettivamente” si individuano delle finestre dentro le quali andiamo ad impiantare una dose massiccia di atomi donori in corrispondenza di una sacca posta a sinistra, un’altra dose massiccia di atomi donori in corrispondenza di una sacca posta più o meno al centro e una dose massiccia di atomi accettori in una sacca posta nell’estrema destra del dispositivo. In questo modo abbiamo realizzato, dove abbiamo per W che rappresenta l’estensione del dispositivo lungo la dimensione z e una lunghezza LD che è la lunghezza di diffusione delle regioni diffuse al di sotto della gate. 𝐶𝑜𝑣 = 𝐶𝑂𝑋𝑊𝐿𝐷 Ovviamente abbiamo due capacità di overlap essendo il dispositivo simmetrico rispetto all’asse y, quindi si ha sia in corrispondenza dell’overlap di source sia in corrispondenza dell’overlap di drain. Le capacità finora descritte sono tutte dovute al fatto che esiste l’ossido al di sotto della gate, quindi sono capacità dovute al fatto che abbiamo un ossido che presenta delle armature a facce piane e parallele ai propri capi. Ma il dispositivo presenta delle regioni, anche abbastanza estese, di giunzione e queste giunzioni sono tutte polarizzate inversamente in quanto così devono essere affinché il dispositivo possa funzionare bene. Sappiamo che a regioni polarizzate inversamente, corrispondono delle capacità di giunzione. Andando ad individuare l’area delle giunzioni possiamo andare a determinare le capacità che si vengono a formare tra source e bulk e tra drain e bulk. In particolare, abbiamo una capacità di giunzione tra il drain e il bulk e le capacità di giunzione laterali. Andiamo a vedere come si presenta una qualunque delle regioni diffuse, sia la regione di drain che la regione di source. Possiamo approssimare la regione diffusa ad un parallelepipedo che ha una base compresa tra i vertici ABEF, una faccia laterale compresa tra i vertici BFGC e poi la faccia inferiore a contatto con il substrato, che presenta estremi ABCD. Questo è il dispositivo che presenta un’altezza pari a W, una dimensione corta dell’area di base pari a xj e una dimensione lunga dell’area di base pari a Lj. Si indica il contributo delle facce inferiori con CjS e CjD, con “faccia inferiore” ci si riferisce alle faccia ABCD tutta interamente al contatto con il substrato. Quindi CjS e CjD rappresentano la capacità dovuta alla giunzione che si viene a stabilire tra la faccia inferiore del substrato ABCD e il bulk. Mentre con CjD,sw e CjS,sw (sw=sidewall) si indicano le capacità di giunzione che si vengono a stabilire le capacità di giunzione che si vengono a stabile tra le due facce laterali (AEHD e BFGC) e il substrato. In questo modo, andando a capire quali solo le dimensioni delle regioni diffuse, possiamo andare a valutare le capacità di giunzione che si vengono a stabilire tra le regioni diffuse e il bulk. in particolare, avremo che, per quanto riguarda le due facce inferiori si ha: 𝐶𝑗𝑆 = 𝐶𝑗0𝐴𝑗 (1 + 𝑉𝑆𝐵 𝑉𝑏𝑖 ) 𝑚𝑗 Dove 𝐶𝑗0 è la capacità di giunzione per unità di area quando la differenza di potenziale applicata al diodo è pari a zero, quindi, quando l’unico potenziale ai capi della giunzione è il potenziale di built in della giunzione stessa. 𝐴𝑗 è l’area della faccia inferiore. 𝑉𝑏𝑖 è il potenziale di built in della giunzione e 𝑉𝑆𝐵 è il potenziale applicato tra source e bulk. Capiamo che quando source e bulk sono cortocircuitati tra loro, la capacità di giunzione corrisponde alla 𝐶𝑗0𝐴𝑗. Poi si ha 𝐶𝑗𝐷 = 𝐶𝑗0𝐴𝑗 (1 + 𝑉𝐷𝐵 𝑉𝑏𝑖 ) 𝑚𝑗 Dove 𝐶𝑗0 è la stessa in quanto dal punto di vista costruttivo dipende da parametri geometrici e parametri fisici del diodo che si viene a realizzare sapendo che source e drain sono identici dal punto di vista geometrico e dal punto di vista dei livelli di drogaggio e delle proprietà fisiche del silicio. Anche l’area è la stessa. 𝑉𝐷𝐵 è la tensione tra drain e bulk, in questo caso se source e bulk sono cortocircuitati tra loro coincide con la stessa 𝑉𝐷𝑆 e quindi essendo, in regione di saturazione, 𝑉𝐷𝑆 > 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 otteniamo che la 𝐶𝑗𝐷 pesa meno della 𝐶𝑗𝑆 in quanto al denominatore nella 𝐶𝑗𝑆 tendenzialmente abbiamo solo il fattore 1 se source e bulk sono cortocircuitati, mentre nella 𝐶𝑗𝐷 𝑉𝐷𝐵 è una quantità positiva e che può essere anche molto grande perché appunto , 𝑉𝐷𝑆 > 𝑉𝐷𝑆𝑠𝑎𝑡 e quindi al denominatore compare un numero più grande di uno. Si ha che: 𝐴𝑗 = 𝑊𝐿𝑗 e , 𝑉𝑏𝑖 = 𝑉𝑇𝑙𝑛 ( 𝑁𝐷𝑋𝑁𝐴𝐵 𝑛𝑖 2 ) dove 𝑁𝐴𝐵 è il drogaggio del bulk, 𝑁𝐷𝑋 è il drogaggio della regione diffusa di source e di drain. Ovviamente 𝑁𝐷𝑋 ≫ 𝑁𝐴𝐵 e quindi di solito la zona svuotata legata alla polarizzazione inversa del diodo source bulk e del diodo drain bulk, non incide, di solito, sull’estensione della zona neutra ma è principalmente sviluppata dalla parte dell’anodo, che è appunto la parte meno drogata, e di conseguenza si estende principalmente sul bulk. in una giunzione a gradino il coefficiente mj è solitamente pari a ½ e quindi abbiamo al denominatore una radice quadrata e la capacità Cj0 è pari a: 𝐶𝑗0 = √ 𝑞𝜀𝑠𝑁𝐴𝐵 2𝑉𝑏𝑖 considerando sempre che il drogaggio della regione diffusa è molto più elevato del drogaggio del substrato. In questo modo andiamo a trovare la capacità di giunzione dovuta alla faccia sottostante delle regioni diffuse. Per quanto riguarda le facce laterali si fa lo stesso ragionamento della faccia inferiore, la Cj0 è la stessa, il denominatore è lo stesso in quanto le tensioni di polarizzazione sono sempre le stesse, cambia solo l’area 𝐴𝑗 = 𝑊𝑥𝑗 sia per quanto riguarda la faccia laterale di sinistra, sia per quanto riguarda la faccia laterale di destra. In questo modo riusciamo a calcolare anche le altre due capacità. È chiaro che quando andiamo a considerare la capacità drain-bulk e la capacità source-bulk pesa sempre di più la capacità dovuta alla faccia inferiore in quanto è quella caratterizzata da una maggiore area rispetto alle due facce laterali che di solito sono caratterizzate da un 𝑥𝑗 abbastanza stretto. Andiamo ora a definire gli EFFETTI PARASSITI legati alle resistenze distribuite e alle capacità del substrato. Il transistore bipolare analizzato rappresenta un modello ideale di quanto concretamente realizzato con la tecnologia planare. Per questo motivo viene detto transistore prototipo. Vedremo ora quali sono gli effetti parassiti relativi sia ad un transistore bipolare, sia ad un transistore MOSFET legati alla tecnologia planare. Vediamo com’è fatto innanzitutto un transistore bipolare in tecnologia planare. TRANSISTORE BJT IN TECNOLOGIA PLANARE Vedendolo sempre dall’alto, osserviamo che il contatto di emettitore è al centro, poi abbiamo un contatto di base e poi un contatto di collettore. Sappiamo che questi sono i tre contatti che vanno a descrivere il funzionamento del dispositivo. Poi abbiamo un ulteriore contatto che solitamente nel transistore bipolare viene cortocircuitato con la base, che è il contatto di substrato, il quale può essere presente o meno perché non è di fondamentale importanza per il funzionamento. Nell’immagine al di sotto di vede rappresentato il dispositivo npn e seguendo le linee (rosse) nell’immagine al centro si vede che il dispositivo npn è presente soltanto lungo quella piccola dimensione. Quindi, quello che viene chiamato transistor, dove si verifica l’effetto transistore, cioè emettitore, base e collettore, è racchiuso all’interno del quadrato rosso dove si ha una sacca di emettitore molto drogata (in questo caso di tipo n+) poi si ha uno strato di tipo p che ha una larghezza WB sotto lo strato di emettitore e alla fine si ha uno strato di tipo n- che costituisce lo strato di collettore. Quindi, il dispositivo che di solito noi abbiamo visto con l’emettitore a sinistra, la base al centro e il collettore a destra, immaginando di ruotarlo, lo vediamo in questo modo con l’emettitore posto sempre in alto, la base al centro e il collettore sotto. Dunque, quello è il transistore. Tuttavia, per poter andare a prendere i contatti di base, il contatto di collettore, dobbiamo capire come fare nel processo di tecnologia planare. Nel processo di tecnologia planare dobbiamo immaginare che tutte le cose che stanno sopra vengono realizzate alla fine perché tutto il processo di tecnologia planare parte da una base, un substrato di silicio, sulla quale a poco a poco vengono fatti crescere degli altri strati che consentono piano piano di arrivare ai contatti. Infatti, si ha che la tecnologia planare è caratterizzata dal fatto che gli strati non superficiali non sono direttamente accessibili dall’esterno, quindi andando a realizzare in questo dispositivo il collettore al di sotto (infatti, viene chiamato strato sepolto di collettore) poi bisogna in qualche modo andare a contattarlo e non si può direttamente mettere un contatto metallico che va a perforare il dispositivo e a toccare gli strati sepolti, ma si deve via via far crescere degli strato quanto caratterizzata dalle geometrie più grandi del dispositivo è la resistenza distribuita di collettore, essa si ottiene dalla soma delle tre componenti rc1 rc2 rc3 legate ad un differente livello di drogaggio del collettore in quanto rc1 ed rc3 sono delle resistenze distribuite in una regione drogata di tipo n- e il problema principale è che per le ragioni legate all’effetto transistore il collettore deve essere debolmente drogato e quindi è soggetto ad una resistenza distribuita rc1 e rc3 molto elevate, per questo motivo la resistenza distribuita di collettore rcc è una resistenza che può raggiungere anche qualche migliaio di ohm, quindi è l’effetto indesiderato più elevato all’interno del dispositivo. Vi è poi un ulteriore diodo che non avevamo tenuto in considerazione quando abbiamo parlato delle capacità C e C del dispositivo e non lo abbiamo tenuto in considerazione perché è un diodo che viene fuori solo quando si vede com’è realizzato dal punto di vista effettivo il dispositivo. Affinché possa funzionare, abbiamo detto che il dispositivo deve essere realizzato su un substrato che ha un drogaggio di tipo opposto rispetto al drogaggio del collettore, questo significa che esiste una giunzione parassita che determina un’ulteriore capacità. Affinché il dispositivo funzioni sia chiaro che il substrato si deve trovare al potenziale più basso di tutti cosicché la giunzione sia sempre inversamente polarizzata. Essendo una capacità di giunzione ha un’espressione del tipo: 𝐶𝑐𝑠 = 𝐶𝑗𝑐𝑠0𝐴𝐶𝑆 (1 + 𝑉𝐶𝑆 𝑉𝑏𝑖(𝐶𝑆) ) 𝑚𝑗𝑐𝑠 Dove 𝐶𝑗𝑐𝑠0 è la capacità in condizioni di assenza di polarizzazione ed è pari a 𝐶𝑗𝑐𝑠0 ≈ √ 𝑞𝜀𝑠𝑁𝑆𝑈𝐵 2𝑉𝑏𝑖(𝐶𝑆) mentre il potenziale di built-in è 𝑉𝑏𝑖(𝐶𝑆) = 𝑉𝑇ln ( 𝑁𝐷𝐶𝑁𝑆𝑈𝐵 𝑛𝑖 2 ) Poiché in genere in substrato è debolmente drogato, nella capacità di giunzione in assenza di polarizzazione, il drogaggio che prevale è il drogaggio del substrato. quindi, questa capacità di giunzione sarà più spostata dalla parte del substrato piuttosto che dalla parte del collettore. Includiamo ora tutti questi effetti indesiderati all’interno del modello di piccolo segnale. Si ha che il terminale di base non è immediatamente attaccato alla resistenza incrementale 𝑟𝜋 ma di fatto si deve andare a interporre una resistenza diffusa 𝑟𝑏𝑏 tra 𝑟𝜋 e il terminale vero e proprio di base. analogamente per quanto riguarda il collettore si deve andare ad interporre una resistenza distribuita 𝑟𝑐𝑐 tra il terminale di 𝑟𝑐 e il terminale effettivo di collettore e parallelamente bisogna anche mettere un’ulteriore capacità che è la capacità collettore-substrato 𝐶𝐶𝑆 tra il terminale di collettore e il potenziale di riferimento. Per quanto riguarda il terminale di emettitore anche in questo caso bisogna inserire una resistenza 𝑟𝑒𝑒 tra il terminale inferiore di 𝑟𝜋 e l’emettitore. Quindi vediamo che la tensione 𝑣𝜋 non coincide con la tensione 𝑣𝑏𝑒 in quanto quest’ultima è la tensione che c’è tra il terminale di base e il terminale di emettitore, mentre la tensione che va a comandare il generatore comandato responsabile dell’effetto transistore 𝑔𝑚 𝑣𝜋 non coincide con tutta la 𝑣𝑏𝑒 ma coincide solo con quella parte di tensione che cade sulla 𝑟𝜋. Quindi, per far si che la tensione che applichiamo possa contribuire tutta all’amplificazione del dispositivo dobbiamo fare in modo che 𝑟𝑏𝑏 e 𝑟𝑒𝑒 siano molto piccole perché altrimenti si rischia di applicare una tensione 𝑣𝑏𝑒 in ingresso e solo la piccola parte di essa che cade ai capi di 𝑟𝜋 sarà amplificata mediante il generatore 𝑔𝑚 𝑣𝜋. Per questo motivo si ha che questi elementi descritti finora sono elementi parassiti e indesiderati in quanto non fanno altro che ridurre il guadagno effettivo del dispositivo perché riducono le grandezze utili del dispositivo e quindi fanno si che il dispositivo abbia delle prestazioni più scadenti rispetto alle prestazioni con le quali lo avevamo progettato. TECNOLOGIA PLANARE Il fatto che una tecnologia sia planare dipende dal fatto che è una tecnologia che si muove su una direzione bidimensionale, quindi si agisce sul silicio sempre dall’altro cercando di capire ciò che è cresciuto o si è formato piano piano sempre agendo soltanto dall’altro. Quindi ì, trattiamo il silicio come se fosse un piano su cui lavorare (piano del silicio). Il silicio è stato scelto come materiale principale in quanto si è visto che dal silicio è possibile ottenere un cristallo molto puro e ciò permette di partire da un substrato privo di difetti, cristallino quindi, un tetraedro che cresce sempre più andando a determinare quello che abbiamo chiamato sempre substrato o bulk. da questo bulk è poi possibile andare a realizzare dei tagli che non contengano delle impurità, quindi andare a realizzare un wafer, quella che è chiamata “fetta di silicio” che rappresenta poi la materia prima su cui andare a realizzare tutti i processi successivi che consentono di ottenere i dispositivi. Le tecniche della tecnologia planare sono principalmente cinque: 1. Ossidazione termica: crescita dell’ossido sulla fetta di silicio in maniera omogenea e controllata 2. Tecniche fotolitografiche: consentono di aprire all’interno dell’ossido, cresciuto in maniera termica, quelle finestre che abbiamo visto ad esempio nel dispositivo MOSFET in corrispondenza delle quali rimuovere selettivamente dell’ossido 3. Diffusione dei droganti: immessa della specie drogante nella superficie riusciamo a farla diffondere in profondità 4. Impiantazione ionica: consente di impiantare selettivamente e con una cerca concentrazione ben precisa di drogante della specie drogante all’interno della fetta 5. Tecnica di epitassia: consente di far crescere strati epitassiali e drogati su geometrie più vaste rispetto a quelle che caratterizzano l’impiantazione ionica Diciamo poi le tecniche di deposizione che riguardano la deposizione ad esempio della gate, dei dielettrici e i contatti e quindi le metallizzazioni. Quindi, si ha: • Silicio policristallino: risulta utile per la gate dei dispositivi • Dielettrici e passivazione: strati di ossido e gli strati per terminare anche delle sacche passivate in maniera tale che abbiano meno difetti possibili • Metallizzazioni Attraverso queste tecniche possiamo andare a realizzare in nostro dispositivo. Inizialmente non era stato scelto il silicio come elemento principale per l’elettronica, ma era stato scelto il germanio, anch’esso un elemento del quarto gruppo che permetteva di fare delle giunzioni tramite delle leghe di germanio e in particolare si era scelto il germanio perché si poteva far fondere il germanio a temperature più basse rispetto a quelle del silicio e quindi i processi erano caratterizzati da una energia di processo più bassa rispetto a quella che sarebbe servita per il silicio. I diodi realizzati con il germanio erano caratterizzati da un gap più piccolo e quindi le correnti inverse erano più elevate, avevano un campo operativo limitato ad alta temperatura perché poteva al massimo raggiungere i 70°C e aveva basse tensioni di break-down, quindi utilizzando delle basse funzioni inverse di saturazione il dispositivo si rompeva facilmente. Quindi i dispositivi al germanio erano più sensibili rispetto a quelli del silicio. Ma soprattutto ciò che andava contro all’utilizzo del germanio rispetto al silicio nella tecnologia dei dispositivi a semiconduttore è il fatto che dal germanio non è possibile ottenere un ossido stabile e vedremo che l’ossido è di fondamentale importanza sia per passivare i dispositivi ma ha un ruolo fondamentale soprattutto nei dispositivi MOSFET. Quindi, un elemento che non ha un ossido stabile è fortemente penalizzato. Le caratteristiche elettriche del germanio rispetto al silicio sono quelle di una maggiore mobilità degli elettroni e delle lacune (questo era stato il motivo iniziale per il quale il germanio era stato preferito al silicio) e quindi poteva dar luogo ad una maggiore corrente di deriva in un semiconduttore a parità di tensione applicata, un’energia di gap più bassa di quella del silicio (0,67 eV contro 1,12 eV), una concentrazione di portatori intrinseci superiore a quella del silicio e un campo elettrico critico notevolmente più basso rispetto a quello del silicio. La caratteristica più importante a sfavore del germanio oltre al non avere un ossido stabile, è soprattutto quest’ultima, si hanno infatti quattro ordini di differenza tra il campo elettrico del germanio che è intorno a 80 V/cm e il campo elettrico del silicio che è introno a 3,5*105. Abbiamo finora sempre visto il diodo rappresentato nel seguente modo: anodo a sinistra, catodo a destra, metallizzazioni ai lati. Un diodo però non è come quello che abbiamo finora visto, ciò che abbiamo finora visto sarebbe confinato soltanto sotto la N dell’immagine sotto. Il diodo vero e proprio dove si manifesta l’area di giunzione AD sta immediatamente al di sotto di quella N, tutto il resto è tecnologia planare. Quindi, per realizzare un diodo si parte da una wafer drogato di tipo p, all’interno di esso si realizza per impiantazione ionica e successivamente per diffusione, una zona drogata di tipo n, dopodiché facciamo crescere l’ossido (verde) che serve a fare in modo che i contatti metallici non si tocchino tra loro, quindi facciamo crescere l’ossido all’interno sia della zona di tipo p sia della zona di tipo n. Mediante il processo fotolitografico andiamo ad individuare delle geometrie mediante le quali eliminare selettivamente l’ossido e tolto l’ossido passiamo sopra il metallo e a questo punto avremo delle inserzioni metalliche che non si toccano vicendevolmente tra di loro al di sopra della fetta di silicio, ma che permettono di contattare l’anodo in due punti (sia a destra che a sinistra) e il catodo riusciamo a contattarlo al centro. Quindi, il diodo è un dispositivo che si sviluppa sempre verticalmente rispetto al piano della tecnologia planare, non si sviluppa mai orizzontalmente come lo abbiamo sempre visto finora. Una volta prodotta la fetta di silicio, essa deve essere trattata per poter essere successivamente lavorata, quindi, il monocristallo è pronto per essere successivamente rettificato. Successivamente vengono incisi dei bordi nella fetta circolare per individuare visivamente il tipo di silicio, quindi, se è un silicio di tipo p o di tipo n e l’orientazione del cristallo, quindi, i flat servono per capire la tipologia del wafer che si è andato a creare. In particolare, abbiamo una fetta di tipo p se il lato del piatto principale è inciso e una fetta di tipo n se abbiamo un’incisione sia sul piatto principale sia sul piatto secondario (con orientazione di tipo 1 1 1). Quando abbiamo un orientamento di tipo 1 0 0 andiamo ad incidere due flat, uno nel piatto principale e uno nella direzione diametralmente opposta se è di tipo n, se invece è di tipo p con un orientamento 1 0 0 andiamo ad incidere un flat sul piatto principale e un flat in un piatto che si trova a 90° rispetto al piatto principale. Dopo avere inciso i flat su tutto il lingotto, andiamo a tagliare il lingotto ottenendo il wafer con una macchina taglierina, quindi si prende il lingotto lo si mette all’interno della macchina e si vanno a fare i tagli con la taglierina in corrispondenza dello spessore della fetta che si vuole ottenere. questo è poi il meccanismo della barra e osserviamo che la fetta una volta tagliata non presenta un’omogeneità di taglio, ma l’aspetto della superficie della fetta si presenta leggermente zigrinato. A questo punto bisogna effettuare un primo processo, un primo trattamento superficiale della fetta che è trattamento detto di lappatura e che consente di rimuovere tutte le rughe superficiali che ci sono sopra la fetta. Per far questo si usa una sospensione di allumina in acqua, l’allumina consente di rimuovere selettivamente le rughe che sono presenti nella fetta e di consentire ad essa una maggiore omogeneità superficiale. Dopo la lappatura si fa un secondo trattamento con un attacco chimico, la fetta viene trattata con degli acidi per rimuovere eventuali danni che si trovano ancora sulla fetta. Dopo questi due processi la superficie della fetta presenta ancora delle lievi irregolarità che sono delle irregolarità naturali, molto piccole che non possono essere ulteriormente eliminate. Il passo successivo alla lappatura e all’attacco chimico è la lucidatura. La fetta viene posta su un piano e viene fatto un lavaggio abrasivo con questa testa sotto la quale viene posto un piatto che serve appunto a pulire e lucidare la fetta. Dunque, ricapitolando si ha che: ➢ Immediatamente dopo il taglio la fetta presenta effetti superficiali e quindi una disomogeneità legata appunto al taglio ➢ Successivamente dopo il processo della lappatura e dell’attacco chimico la fetta comincia ad avere una maggiore omogeneità in superficie ➢ Dopo la lucidatura la fetta presenta una riduzione di tutte le rughe superficiali e la coloritura in superficie. A questo punto è necessario pulire il wafer e questo lo si fa con soluzioni di azoto ed acqua e rimuovere con acido fluoridrico ulteriori metalli che possono essere in superficie. Alla fine di tutto questo processo il wafer si presenta perfettamente lucido e quanto più piatto possibile e può quindi essere sottoposto al primo processo di trattamento che è il processo di realizzazione dell’ossido termico sopra il silicio. Ossidare termicamente il silicio significa far legare gli atomi di silicio superficiale con l’ossigeno. Si formerà un ossido caratterizzato da una stechiometria Sio2, per ogni atomo di silicio si legano due atomi di atomi di ossigeno quindi si forma una molecola di ossido la quale ha una buona qualità dell’interfaccia Si SiO2, quindi abbiamo detto che gli stati superficiali tra Si e SiO2 sono molto ridotti. Le proprietà elettriche di quest’ossido sono molto stabili e controllabili. Sia il silicio che l’ossigeno sono trasportati sulla superficie del wafer dove reagiscono tra di loro formando degli strati di passivazioni. Ciò che si fa è mettere in un tubo al quarzo ad elevate temperature tra 850°C e 1100°C l’ossido e il silicio, quindi si arricchisce la camera di questo tubo al quarzo con ossigeno e ci sono essere due diversi tipi di reazioni, una reazione di tipo dry all’interno della quale nel tubo di quarzo viene introdotto ossigeno secco e una reazione di tipo wet all’interno della quale si introduce vapore acqueo, l’ossidazione di tipo wet avviene più velocemente dell’ossidazione di tipo dry, tuttavia l’ossidazione di tipo dry è più precisa e si riesce in maniera più lenta ad ottenere degli strati di ossido che sono caratterizzati da un maggiore controllo dello spessore tox. In ogni caso, sia nell’ossidazione di tipo dry sia nell’ossidazione di tipo wet, otteniamo biossido di silicio. Nella dry otteniamo biossido di silicio in fase solida, nel caso wet si ottiene biossido di silicio in fase solida e idrogeno in fase gassosa. L’ossigeno introdotto in entrambi i casi è in fase gassosa. A questo punto ciò che si ottiene è un biossido che si va a porre sopra il l’ossido di silicio. Dopo tutto il processo per la realizzazione dell’ossido di silicio accade che l’ossido occupa parte del wafer ma si estende anche per una superficie superiore del bordo del wafer di silicio, quindi, complessivamente la fetta finale raggiungerà uno spessore complessivo superiore a prima e il wafer si sarà leggermente ritratto per far posto all’ossido di silicio. Lo spessore di silicio consumato è circa 0,44 volte lo spessore del biossido di silicio che si forma. Quello che accade dopo è la realizzazione del biossido di silicio sopra l’ossido di silicio. Di solito si realizza una zona isola tramite ossido di campo e una zona attiva tramite ossido sottile, quindi, andando ad incidere con azoto e silicio facendo reagire il biossido di silicio con SiN4 si ottiene che possiamo anche controllare lo spessore del biossido di silicio facendo in modo di creare delle zone di ossido di campo più grandi e delle zone dove vi sono invece degli strati di ossido che sono più sottili. Quindi, l’azoto riesce a rimuovere selettivamente alcune parti di ossido di silicio. A questo punto sulla fetta si va a realizzare sulla fetta la tecnica di deposizione chimica da fase vapore. Si tratta di una tecnica epitassiale, quindi, la si può realizzare sul silicio, la si può realizzare anche su materiali dielettrici quindi su ossidi e si può deporre anche sul silicio policristallino. La struttura del film depositato: o Può essere di tipo amorfo o cristallino o La si fa a temperatura ambiente o Con una certa velocità di deposizione La deposizione chimica avviene per epitassia, cioè il substrato lo si fa crescere in maniera epitassiale a temperature che vanno dai 900 a 1200 °C, è una tecnica molto costosa e viene utilizzata soltanto quando è necessario. La deposizione chimica con fase vapore con successiva crescita epitassiale viene fatta di solito quando si deve realizzare uno strato drogato abbastanza grande con un drogaggio controllato come ad esempio quello del collettore immediatamente sotto lo strato sepolto di collettore. Di solito il modo per ottenere sacche di drogante in maniera poco costosa ed efficiente è quella della fotolitografia. Con questa tecnica si va a incidere selettivamente delle zone di biossido di silicio mediante una maschera di fotoresist, quindi si va ad inserire un fotoresist sopra tutto il biossido di silicio, si vanno a disegnare delle geometrie sul fotoresist e a quel punto si va ad imprimere un flusso luminosa sopra tutto il fotoresist. Accade che ci saranno delle zone che rimarranno impressionate dalla radiazione luminosa e alcune zone invece no. Conseguentemente accade che andando a mettere dell’acido nelle zone non impressionate dal fotoresist, in esse non riusciamo ad attaccare il biossido di silicio. Viceversa, nelle zone che sono impressionate dal fotoresist, andando a mettere dell’acido riusciamo ad impiantare la specie drogante al di sotto della zona bucata del biossido di silicio. In questo modo riusciamo a creare selettivamente le geometrie che vogliamo. La fotolitografia può essere sia positiva sia negativa, siamo in gradi sia di rimuovere parti di silicio se dobbiamo, ad esempio, andare a realizzare l’ossido di gate serve lasciare ossido soltanto al di sopra del canale e quindi è una fotolitografia positiva, viceversa, se dobbiamo andare a rimuovere soltanto una zona di biossido di silicio bisogna fare una fotolitografia negativa. Quindi si utilizza la fotolitografia sia per rimuovere l’ossido di silicio e lasciare l’ossido di silicio lì dove deve avere una funzione attiva ma possiamo anche utilizzare la fotolitografia in maniera negativa per eliminare il biossido di silicio laddove dobbiamo realizzare dei contatti metallici.