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disturbi specifici dell'apprendimento, Dispense di Psicologia Generale

la vita del bambino con disturbi specifici di apprendimento

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 08/07/2018

Pia_virgilio88
Pia_virgilio88 🇮🇹

4.6

(20)

27 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica disturbi specifici dell'apprendimento e più Dispense in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 177 E S P E R I E N Z E Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e storia di vita del bambino: riflessioni su possibili interferenze nello sviluppo del disturbo Stefania Cogno (Psicologo Dirigente SC di NPI ASLCN1, sede di Fossano) Francesca Ragazzo (Neuropsichiatra Infantile, Direttore SC di NPI ASLCN1, Savigliano-Fossano- Saluzzo) Ramona Tardivo (Psicologo Consulente SC di NPI ASLCN1, sede di Fossano) 1. Introduzione. Sappiamo da tempo che il DSA è un disturbo specifico che si basa su chiari criteri di esclusione di inclusione (Consensus Conference, 2007/2011). Inol- tre, è ormai scontato che i bambini diagno- sticati DSA vengano giustamente «protetti» attraverso l’uso di strumenti compensativi e dispensativi finalizzati a sostenere il benessere scolastico. Da qualche tempo ci stiamo però chie- dendo se l’etichetta di DSA non possa a volte coprire realtà di altro tipo e pertanto farci per- dere altre opportunità di trattamento. Sempre più spesso, infatti, durante il percorso diagno- stico osserviamo difficoltà trasversali sia di tipo cognitivo/neuropsicologico che emotivo/rela- zionale e carenze in alcune abilità, solitamente acquisite in età prescolare. Abbiamo pertanto iniziato a riflettere sul ruolo che quest’ultime ri- coprono nella comparsa del DSA in età scolare e sulla loro eventuale importanza sia all’interno del percorso di presa in carico sia in un’ottica di «prevenzione». Ci siamo dunque poste i seguenti questiti: 1. Quali sono le esperienze di vita dei bambini che alla scuola primaria svilupperanno un DSA? 2. Il bambino ha manifestato qualche disa- gio in età prescolare? 3. Quanto lo stile educativo-genitoriale influenza l’apprendimento? Crescere in famiglie diverse espone infatti ad esperienze di vita dif- ferenti ed ad elaborazioni dei significati della quotidianità anche molto diverse rispetto ad uno stesso evento. Partendo da questi interrogativi, abbiamo concentrato la nostra attenzione sullo sviluppo delle competenze esperienziali («life skills») e sugli stili educativi ad esse correlate. La nostra ipotesi è che queste due aree siano implicate nella crescita emotiva, cogni- tiva e sociale del bambino e che, fin dalla più tenera età, costituiscano la base per la succes- siva competenza scolastica. Con il termine life skills s’intendono tutte quelle abilità sociali e relazionali che è necessa- rio apprendere per affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi PSIcologIA clInIcA Dello SvIluPPo / a. XIX, n. 1, aprile 2015 S. Cogno, F. Ragazzo, R. Tardivo 178 con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità (Marmocchi et al., 2004). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ne identifica dieci e le raggruppa in tre aree: – Emotiva: consapevolezza di sé, ge- stione delle emozioni, gestione dello stress. – Cognitiva: risolvere i problemi, prendere decisioni, senso critico, creatività. – Sociale: empatia, comunicazione effi- cace, relazioni efficaci. Iniziare la scuola primaria con un discreto bagaglio di «abilità esperienziali» costituisce senz’altro un valido passaporto per un buon funzionamento emotivo, cognitivo e sociale, ma anche per un buon rendimento scolastico. – Competenze emotive: gestire lo stress (es: gestire la competizione con i compagni, accettare la valutazione degli insegnanti, i primi voti), consapevolezza di sé (es: essere capaci di autovalutarsi sul piano dell’apprendimento e del gioco, dare un nome alle emozioni che si provano e che «informano» l’altro sulle proprie preferenze/gusti/bisogni, autoefficacia) e ge- stione delle emozioni positive e negative (es. accettare di non essere scelti dai compagni per un lavoro di gruppo, gestire la frustrazione per un brutto voto, l’autostima e la fiducia in sé). – Competenze cognitive: risolvere i pro- blemi (es: affrontare le difficoltà e trovare so- luzioni in modo autonomo), prendere decisioni (es: fare scelte in prima persona senza chie- dere all’adulto, prendere decisioni o iniziative come rispondere ad una domanda dell’inse- gnante), senso critico (es: sapersi adattare alle richieste contestuali come seguire la lezione senza farsi distrarre dal compagno) e creatività (essere flessibili nella soluzione di un problema, inventare nuove strategie, aggirare gli ostacoli). – Competenze sociali: empatia (es: saper riconoscere l’emotività/l’intenzionalità dell’altro e modulare di conseguenza il proprio compor- tamento), comunicazione efficace (es: saper risolvere piccoli conflitti tra pari senza la media- zione dell’adulto, intervenire in classe in modo contestualizzato, come alzare la mano per rispondere ad una domanda o per chiedere di andare in bagno) e relazioni efficaci (es.: saper allacciare rapporti di amicizia, non isolarsi, par- tecipare ai giochi di gruppo, essere capaci ad interrompere relazioni amicali disadattive). Lo sviluppo delle life skills inizia dalla na- scita e prosegue per l’intero ciclo di vita. Tali competenze vengono promosse in età presco- lare soprattutto attraverso uno stile educativo stimolante e ricco di esperienze condivise (Reddy, 2010; Trevarthen, 1998). La prevenzione dell’insuccesso scolastico, quindi, può essere affrontata già in età pre- coce aiutando i genitori a proporre ai bambini esperienze quotidiane che li rendano capaci di trasformare le conoscenze in reali competenze (sapere cosa fare e come farlo). In questa sede, ci occupiamo di quelle competenze esperienziali di base che si acqui- siscono nei primi anni di vita e che sono indi- spensabili all’inizio della scuola, quando il bam- bino dev’essere in grado di affrontare richieste sociali, esperienziali e didattiche, previste alla scuola primaria. Il lavoro che presentiamo è frutto dell’ana- lisi delle storie di bambini con diagnosi di DSA, provenienti dal territorio di Fossano (CN) e Cu- neo, giunti al Servizio di NPI dell’ASL CN1 (sede di Fossano) tra il 2010 ed 2013 con richiesta di prima diagnosi o di aggiornamento diagno- stico. Il nostro è un contributo empirico, frutto di esperienza sul campo e pratica clinica, che vuole non tanto dare risposte, quanto piuttosto attivare riflessioni e magari stimolare percorsi di ricerca che abbiano maggiore rigore scienti- fico (es: gruppo di controllo). 2. Il campione. Il campione è compo- sto da 100 soggetti con diagnosi di DSA che hanno effettuato una valutazione neuropsicolo- gica tra il 2010 ed il 2013 nella nostra NPI. A tutti sono stati somministrati: WISC III o IV (Orsini et al., 2012; Padovani, 2009) e test tarati e standardizzati per la valutazione delle abilità di letto-scrittura e di calcolo (Cornoldi, 2007). Fattori di inclusione: – soggetti italiani appartenenti ad un li- vello socioeconomico medio/medio-alto; – QI totale > 85; – cadute negli apprendimenti, compatibili con diagnosi di DSA, secondo i criteri diagno- E S P E R I E N Z E 181 Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e storia di vita del bambino 5. Risultati sottocampione. 1) Passeggino: dieci bambini hanno smesso di usarlo entro i 2 anni, tre a 3 anni, otto a 4 anni, quattro a 5 anni e tre a 6 anni, anche se tale autonomia andrebbe raggiunta entro i 2 anni/2 anni e mezzo. 2) Biberon: due soggetti non l’hanno mai usato, sei fino a 2 anni, otto fino a 3 anni, quat- tro fino a 4 anni, due fino a 5 anni, tre fino a 6 anni e tre fino a 8/9 anni, nonostante il bam- bino a 18 mesi circa sia in grado di bere in ma- niera più matura. 3) Vestizione autonoma: cinque bambini hanno raggiunto tale competenza entro i 4 anni, due a 5 anni, nove a 6 anni, sei a 7 anni, cinque a 8 anni e uno a 10 anni. Il bambino do- vrebbe divenire autonomo nel vestirsi entro i 4/5 anni d’età, dato che trova conferma solo nel 25% del campione. 4) Fare la doccia in autonomia: un sog- getto ha raggiunto tale capacità a 3 anni, sette a 5/6 anni, cinque a 7 anni, sette a 8 anni, uno a 9 anni, cinque a 10 anni, uno a 11 anni. Un genitore non ha risposto. Tale competenza do- vrebbe essere raggiunta a 5/6 anni. 5) Ritirare i giochi dopo l’uso: abbiamo chie- sto quando il genitore ha smesso di riordinare i giochi, chiedendo ed ottenendo che fosse il bam- bino a farlo. Quattro genitori non hanno mai fatto questa richiesta ai propri figli. Due bambini hanno raggiunto tale abilità verso i 2,5 anni, quattro a 4/5 anni, cinque a 6/7 anni, sei a 8 anni, quattro a 9 anni, due a 10 anni, ma tale competenza an- drebbe insegnata in età prescolare. 6) Allacciasi le scarpe: due soggetti hanno imparato a 5 anni, cinque a 6 anni, tre- dici a 7 anni, cinque a 8 anni, due a 9/10 anni. I bambini possono imparare a fare «il fiocco» a 4/5 anni. Molti genitori ci hanno scritto che i figli non hanno avuto difficoltà ad apprendere tale competenza, ma hanno usato a lungo le scarpe con il velcro e pertanto sono stati espo- sti tardi a tale richiesta. 7) Preparazione della cartella: tre bambini sono divenuti autonomi a 6 anni, tre a 7 anni, cinque a 8 anni, tre a 9 anni, sei a 10 anni, cinque a 11/12 anni, uno a 14 anni e due (di 9 e 11 anni) non hanno ancora raggiunto tale competenza. 8) Dormire dai parenti: undici soggetti non hanno mai fatto questa esperienza. Tredici an- davano già in età prescolare e quattro hanno iniziato nel periodo della scuola primaria. 9) Dormire a casa di amici, senza i ge- nitori: sedici soggetti non ci sono mai andati. Due hanno dormito per la prima volta da amici a 7/8 anni, due a 9/10 anni, tre a 11 anni e cinque a 12/13 anni. 10) Campeggi estivi: quindici soggetti non hanno mai partecipato. I genitori, nella maggior parte dei casi, riferiscono che sono stati i ra- gazzi ad aver rifiutato a priori tale possibilità. In qualche caso, invece, non vi è stata stimo- lazione da parte della famiglia. Tra quelli che hanno partecipato, un bambino è andato per la prima volta a 8 anni, tre a 9 anni, uno a 10 anni, cinque a 11 anni, uno a 13 anni. Due ge- nitori non hanno risposto. 11) Età in cui il bambino ha iniziato a chie- dere di poter invitare gli amici a casa: cinque a 4/5 anni, otto a 6 anni, quattro a 7 anni, tre a 8 anni, quattro a 9 anni, due a 10 anni, uno a 11 anni e uno a 12 anni. 12) Bisogno di incoraggiamento/conferme alla scuola dell’infanzia: abbiamo chiesto se le insegnanti della scuola materna riferivano che il bambino avesse bisogno di più incoraggiamenti e conferme rispetto ai pari. Il 57% ha risposto «sì», il 39,3% ha risposto «no» e un genitore non si è espresso. 13) Il bambino era troppo dipendente/ indipendente dalla figura materna: abbiamo do- mandato quanto, secondo i genitori, il bambino fosse attaccato/dipendente oppure distaccato/ indipendente dalla figura materna. Dieci sog- getti non sembrano aver mai dimostrato un coinvolgimento eccessivo, uno è stato molto attaccato alla mamma fino a 4 anni e quattro fino a 5/6 anni. Tredici sono tuttora troppo le- gati alla figura materna (due di 9 anni, sette di 10/11 anni e quattro di età superiore ai 12 anni). 14) Possibilità di scegliere: abbiamo, infine, indagato la capacità di «scegliere», ov- vero quanto i bambini siano stati chiamati a prendere piccole decisioni nel quotidiano e/o stimolati ad esprimere un’opinione. Come si os- serva nella figura 2, i genitori hanno richiesto S. Cogno, F. Ragazzo, R. Tardivo 182 solo tardivamente ai propri figli di esprimere una preferenza rispetto ai vestiti da indossare durante la giornata (vestiti casa), agli abiti da acquistare (vestiti negozio) ed ai cibi da con- sumare ai pasti (es: Preferisci il gelato o il bu- dino?). Abbiamo riportato alcuni esempi di ciò che osserviamo nella pratica clinica, ovvero di come l’adulto talora tenda involontariamente a conferire al bambino un ruolo passivo, fornen- dogli soluzioni già pronte (es: abiti e cibi scelti dal genitore) e negando in tal modo al minore l’opportunità di riconoscere ed esprimere le proprie preferenze. 6. Discussione. Si fa esperienza e si cresce dal primo giorno di vita ed il ruolo del genitore inizia da subito, non solo come accu- dimento, ma anche come «educatore» inteso come «ti insegno a...», «ti aiuto a capire», «ti leggo/interpreto il mondo», «ti stimolo a...». L’adulto deve «esser-ci» con il proprio bambino nella quotidianità condivisa, secondo le tappe di sviluppo del proprio figlio (Heidegger, 2005). Riportiamo alcuni dati sugli stili educativi e alcune riflessioni sull’importanza che ha per noi l’abilità da parte dei genitori di trasmettere delle competenze e non solo delle conoscenze. Consideriamo ad esempio il dato sulle anomalie linguistiche (eloquio ridotto, sintetico, caratte- rizzato dalla scarsa narrazione degli eventi quo- tidiani): escludendo i bambini con DSL, il 16% del campione presenta questa peculiarità. Se la capacità di raccontare nasce all’interno della re- lazione nel senso che inizialmente è l’adulto che «racconta il mondo» al bambino e poi il piccolo inizia a fare osservazioni che il genitore arric- chisce e struttura, fino a quando raggiunge la capacità di «raccontarsi» (Arciero, 2012; Rico- eur, 1986; Trevarthen, 1998), cosa succede se un bambino non viene stimolato a raccontare in Fig. 2. Età a cui i soggetti del sottocampione sono stati esposti a scelte quotidiane. Colazione/merenda ≤ 3 anni 4/5 anni 6/7 anni 8/9 anni 10/11 anni 12/13 anni mai Pranzo/cena Vestiti casa Vestiti negozio E S P E R I E N Z E 183 Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e storia di vita del bambino termini narrativi (cronologia, sequenzialità, cau- salità, emozioni, collegamenti tra gli eventi)? Consideriamo, come secondo esempio, i bambini che dormono nel letto con i genitori per 8-10 anni (15%): talvolta ciò assume un va- lore affettivo vero e proprio, tuttavia potrebbe anche essere una condotta infantilizzante da parte dei genitori, oppure un evitamento della fatica che la contrattazione con il bambino comporta. Allo stesso modo, somatizzazioni, enuresi notturna, disturbi della sfera del sonno, inap- petenza, difficoltà di separazione e/o di inte- grazione con i pari, difficoltà comportamentali e facile distraibilità sembrano tutti sintomi già presenti in età prescolare in molti dei bambini esaminati. Queste manifestazioni sono espressione di un disturbo neurobiologico (DSA) già in essere o sono aspetti di fragilità psico-educativa che favoriscono l’instaurarsi di un disfunzionamento scolastico? Un altro dato interessante riguarda il rag- giungimento tardivo di alcune tappe evolutive: passeggino e biberon usati anche quando il loro impiego è ormai immotivato; bambini ve- stiti e lavati dai genitori fino a tarda età; ritardo di due o più anni nell’imparare ad allacciare le scarpe, ecc., oppure ancora la ridotta richiesta di prendersi cura dei propri oggetti (es. giochi), riponendoli a posto, dopo l’uso. L’adulto, infatti, dovrebbe insegnare al bambino, fin dalla più tenera età, che ogni azione prevede una fase di preparazione, uno svolgimento e una fase di conclusione. Se il bambino non prova, perché non gli è richiesto, perché c’è chi lo fa al suo posto, imparerà che le difficoltà si possono evitare o delegare agli altri, senza mettersi mai davvero in gioco; non fare però significa non crescere, non progredire, rimanendo dipendente dall’al- tro perché non si sviluppa quella percezione di capacità personale che è fondamentale per muoversi da soli, con sicurezza nel mondo: «Ci sono due modi diversi di “aver cura” posi- tivamente degli altri. Intromettersi nella loro esistenza deresponsabilizzandoli, relegandoli in un rapporto di dipendenza; oppure presuppo- nendoli nel loro poter essere, mettendoli nella condizione di divenire consapevoli di sé e di esercitare liberamente la propria cura» (Heideg- ger, 2005). A sei anni, quando inizia la scuola che ri- chiede autonomie di base consolidate, molti di questi bambini sembrano esperienzialmente immaturi. Come possiamo pretendere che un bambino che ancora utilizza il biberon, che da pochi mesi ha abbandonato il passeggino, che non si veste da solo, che non riordina i propri giochi, possa rispondere con successo a richie- ste scolastiche più complesse? Come si può essere «piccolo» per certi aspetti più basici e dover essere «grande» per richieste più artico- late? E se talvolta la «lentezza» fosse inespe- rienza? Se un bambino non è abituato «a fare lui in prima persona», è verosimile che possa risultare rallentato, impacciato e preoccupato quando si trova a dover essere autonomo. Dormire fuori casa, Estate Ragazzi, cam- peggi estivi, stringere relazioni amicali sono tutte situazioni che richiedono al bambino di essere in parte responsabile di sé, in assenza della presenza costante del genitore. È possi- bile che uno scarso livello di responsabilizza- zione ed autonomia a domicilio porti il bambino a sentirsi a disagio, scarsamente competente, insicuro in contesti poco familiari. Un’altra capacità importante, ai fini delle nostre riflessioni, è quella di saper esprimere opinioni ed effettuare piccole scelte. Sembre- rebbe che i soggetti esaminati siano stati resi partecipi di decisioni riguardanti la propria persona spesso solo in età scolare. Questa capacità, però, si apprende con l’esperienza e pertanto è importante esporre precocemente il bambino di fronte ad un «bivio decisionale», al fine di aiutarlo a sviluppare un’autonomia di pensiero e di espressione di sé. Non permet- tere di scegliere significa fornire «la risposta giusta», non riconoscendo nel bambino un indi- viduo diverso da sé, portatore di idee e punti di vista propri. Consapevoli che sia importante accom- pagnare il bambino nella crescita senza sosti- tuirsi a lui, siamo anche convinte che i genitori vadano aiutati a riconoscere l’ambivalenza che talvolta è presente nel processo di responsa- bilizzazione dei figli. Nella nostra esperienza