Scarica Don Milani scienze umane e più Dispense in PDF di Scienze Umane solo su Docsity! DON MILANI BIOGRAFIA Lorenzo Milani nacque in una colta e agiata famiglia a Firenze il 27 maggio 1923. Il padre era un chimico, appassionato di letteratura e impegnato ad amministrare i possedimenti e le terre della famiglia; la madre, una donna ebrea estremamente colta originaria della Boemia, negli anni della giovinezza aveva conosciuto James Joyce e gli studi di Sigmund Freud. Il nonno paterno di Lorenzo fu docente di archeologia e numismatica; il bisnonno, Domenico Comparetti, un esperto filologo e senatore. In questo ambiente ricchissimo dal punto di vista culturale, Lorenzo Milani fu educato con i suoi due fratelli, Adriano e Elena. La famiglia era agnostica e di cultura laica. Quando Lorenzo aveva sette anni, nel 1930, la famiglia lasciò Firenze e si trasferì a Milano. La crisi economica aveva infatti colpito l’agiata famiglia Milani: nel capoluogo lombardo il padre accettò l’incarico di dirigere un’azienda, e Milano divenne la città dove Lorenzo trascorse parte dell’infanzia e la sua adolescenza. L’ascesa del nazismo in Germania e la minaccia antisemita nell’Italia fascista spinsero i genitori di Lorenzo a sposarsi con rito religioso in chiesa e a far battezzare i figli. Lorenzo Milani non era uno studente particolarmente brillante, iscritto al liceo Berchet di Milano, non eccelleva nel rendimento. Deciso a rompere con la tradizione di famiglia, non volle iscriversi all’università dopo aver ottenuto il diploma. Questa scelta fu accettata con estrema difficoltà in famiglia e creò numerosi contrasti e litigi tra il giovane e il padre. Lorenzo Milani e la madre, invece, nonostante un iniziale dissidio, mantennero un rapporto strettissimo per tutta la vita. Appena diplomato, nel 1941, si trasferì a Firenze per frequentare lo studio del pittore Hans Joachim Staude; nell’autunno dello stesso anno fece ritorno a Milano per iscriversi all’Accademia di Brera, i cui corsi furono seguiti dal giovane fino alla primavera del 1943. La famiglia decise di abbandonare Milano e tornare a Firenze, convinta che la città fiorentina sarebbe stata risparmiata dai bombardamenti. Di questo periodo è la scelta radicale di Milani. Egli decise di convertirsi al cattolicesimo. L’Arcivescovo di Firenze, Dalla Costa, lo cresimò nel giugno 1943. Pochi mesi dopo entrò in seminario. Era molto critico rispetto all’esteriorità di alcuni riti: secondo lui, centrale nella vita religiosa, doveva essere una rigorosa ricerca tutta interiore della verità. Il contesto, la guerra e il fascismo, e la consapevolezza di un'origine estremamente privilegiata, dalla quale voleva liberarsi, lo portarono a assumere posizioni radicalmente critiche verso l’ingiustizia sociale e l’autoritarismo. Terminata la Seconda Guerra Mondiale, divenne sacerdote nel luglio 1947. Il suo primo incarico fu quello di cappellano nella parrocchia di San Donato a Calenzano, un paesino tra Prato e Firenze. Qui creò la sua prima scuola popolare: una scuola aperta e gratuita per gli operai e per i contadini. Egli maturò alcune riflessioni fondamentali sulla lingua e sull’insegnamento. Padroneggiare la lingua è lo strumento primo e imprescindibile per qualsiasi lotta indirizzata alla realizzazione dell’uguaglianza e al superamento delle ingiustizie sociali. Comprendere e farsi comprendere è la base dell’emancipazione individuale e collettiva. L’istruzione è uno strumento politico di liberazione e di riscatto. Le sue posizioni radicali non gli costarono solo critiche, ma addirittura un trasferimento. Infatti, in occasione delle elezioni amministrative del 1951 e poi delle politiche nel 1953, egli non rispettò la direttiva vaticana del voto non contrario alla Chiesa, ma anzi si espresse in pubblico sostenendo la libertà del voto e affermando che ognuno avrebbe dovuto votare secondo coscienza. L’assumere questa posizione fu visto come un atto provocatorio dalla Chiesa: costretto ad abbandonare Calenzano, fu mandato nell’isolata Barbiana nell’autunno del 1954. Barbiana è una frazione di Vicchio nel Mugello, paese che a metà degli anni Cinquanta era ancora senza scuola media. Era una terra povera alle pendici del Monte Giovi, coltivata da mezzadri, senza strada, senza acqua, senza elettricità. Don Milani decise di realizzare una scuola per i giovani del luogo, figli di contadini poveri e con pochi strumenti per emanciparsi. Il suo metodo fu assolutamente innovativo e radicale. La scuola impegnava i ragazzi tutto il giorno, tutti i giorni dell’anno. Non c’era la ricreazione, considerata inutile e uno sperpero del tempo. Si praticava la tecnica della scrittura collettiva; si leggevano i quotidiani, si discutevano e si scriveva insieme il commento. Erano previste conferenze e incontri settimanali con sindacalisti, politici, intellettuali. I primi a porre domande agli intervenuti dovevano essere coloro che avevano il titolo di studio più basso. L’obiettivo di questo progetto educativo era l’emancipazione delle classi subalterne, un insegnamento volto a compensare quelle differenze di classe che nella scuola pubblica italiana avevano fortemente penalizzato i ragazzi più poveri e provenienti da contesti di disagio. Barbiana era una scuola totale, un impegno volto all’emancipazione e alla realizzazione dell’uguaglianza. Durante il periodo a Barbiana, egli pubblicò tre testi: Esperienze pastorali, L’obbedienza non è più una virtù, Lettera a una professoressa che fecero molto discutere e influenzarono il dibattito sulla scuola, sulla necessità di rinnovamento della Chiesa, sul modo di intendere le ingiustizie sociali e gli strumenti per superarle. Don Milani, malato da tempo di leucemia, nell’aprile del 1967 si trasferì a Firenze nella casa della madre, dove morì il 26 giugno dello stesso anno. Fu sepolto a Barbiana. PENSIERO Ancora oggi è citata la frase inglese "I care", (in italiano “mi interessa”, “ho a cuore”), scritta sul muro d'ingresso della scuola di Barbiana, con cui si ricordano il senso di responsabilità, l’impegno e la dedizione che Don Milani investì nel suo progetto educativo. Le opere di don Milani in cui emerge il suo pensiero sono: - Esperienze pastorali (1958): raccolta di riflessioni sul senso e sulle funzioni della Chiesa nella società e sul ruolo dell’istruzione. - L’obbedienza non è più una virtù (1965), in difesa dell’obiezione della coscienza. - Lettera a una professoressa (1967), testo scritto con i ragazzi di Barbiana, è una dura condanna del sistema scolastico italiano, giudicato antidemocratico e classista. Propone una riforma della scuola che sappia incidere sulla società guidando e sostenendo quegli studenti che provengono da contesti di povertà e disagio.