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Donne, classe e razza di Angela Davis, Sintesi del corso di Filosofia morale

Riassunto dettagliato, con introduzione, capitolo per capitolo del libro di Angela Davis

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 03/12/2019

Franci1999t
Franci1999t 🇮🇹

4.5

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Scarica Donne, classe e razza di Angela Davis e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia morale solo su Docsity! Donne, razza e classe Eredità dello schiavismo Phillips, nel 1918, dichiarò che la "peculiare istituzione" dello schiavismo aveva reso civili i popoli africani, ma si parlava ancora poco o nulla della condizione della donna-schiava. Negli anni 70 il dibattito sulla schiavitù ritorna in luce, ma ancora nulla sulle loro condizioni (i riferimenti erano solamente a temi quali promiscuità o matrimonio e sesso coatto o volontario con i bianchi). Tra gli studi più recenti, quello di Gutman sulla famiglia Nera fece emergere che, sebbene a differenza delle donne bianche, quelle nereavessero più libertà sessuali prima del matrimonio, si adattavano poi a un matrimonio stabile a cui contribuivano parimenti moglie e marito. Gutman quindi è contro la comune visione del matriarcato, ma esula ancora dalle condizioni della donna nera durante lo schiavismo. La Davis, cosi, propone idee a riguardo. La donna nera è sempre stata lavoratrice (spesso nei campi), lontana dall'ambiente domestico. Le schiave erano viste come "entità lavoratrici" al pari degli uomini, erano "anomale" rispetto all’ideologia femminile sviluppatasi nel XIX secolo (che vedeva la donna casalinga, dolce compagna e madre). Quelle degli stati al confine tra unionisti e confederati potevano essere anche domestiche, ma nella culla della schiavocrazia, nel profondo sud, erano principalmente lavoratrici agricole (testimonianza di J. Proctor p. 31). L’oppressione delle donne era la stessa di quella degli uomini, si andava al di là della differenza di genere. Ma le donne, in più degli uomini, subivano abusi sessuali: se erano redditizie al pari degli uomini le si trattava come loro, altrimenti le si puniva in forme adatte solo al ruolo femminile. In seguito si adottarono anche delle esaltazioni ideologiche di quelle donne che avevano una maggiore fertilità, ma ciò non dava loro uno status migliore di quello delle schiave: per i padroni erano solamente strumenti, "animali da riproduzione che aiutavano ad aumentare la forza lavoro, e i bambini spesso venivano venduti. Addirittura il tribunale del Sud Carolina dichiarò che le schiave non avevano alcun diritto legale sui propri figli. Le donne incinta non avevano nessuna esenzione o semplificazione dal lavoro, dovevano lasciare i bambini incustoditi oppure portarseli nei campi, ma dovevano essere redditizie allo stesso modo di tutti gli altri. L’uomo poteva essere mutilato e fustigato, la donna in più veniva stuprata: lo stupro era espressione esplicita della supremazia economica del proprietario. Il sistema schiavista sCoraggiava la differenza di genere, che avrebbe potuto provocare una pericolosa rottura nella catena di comando. Uomini, donne e bambini rientravano unicamente nella categoria "schiavi Le donne schiave costituivano gran parte della totalità dei lavori nelle industrie, non erano "abbastanza femminili per esimerle da lavori quali taglialegna o nelle fonderie di ferro. Inoltre, erano più redditizie di molti uomini neri e costavano meno. Lontano dalla concezione della donna emersa nel XIX secolo, le schiave nere forse avevano imparato ad estrarre dalle circostanze oppressive la forza necessaria per sopravvivere alla disumanizzazione della schiavitù. Durante l'industrializzazione, le donne bianche vennero sempre di più concepite come lontane dalla sfera produttiva, concezione non contemplata dalle donne nere. Le relazioni maschio-femmina all'interno della comunità di schiavi esulava quindi totalmente dal modello ideologico dominante. Definire la famiglia Nera come una struttura biologica matriarcale ha i suoi fondamenti nello schiavismo: gli atti di nascita di molte piantagioni omettevano il nome del padre riportando solo quello della madre. Probabilmente, il fatto che il padre-padrone non riconoscesse il figlio avrebbe condotto direttamente a una forma di famiglia matriarcale. A riguardo è stato fatto uno studio, "The Moynihan Report, che sosteneva che ciò abbia contribuito direttamente ai problemi sociali ed economici attuali della "Negro Family" avendo proiettato un peso schiacciante sia sul maschio che sulla donna. Questo studio invitava a riesumare la supremazia maschile nella famiglia Nera che diede origine all'oppressione. Il sociologo Rainwater sostenitore "liberal di Moynihan, invitava piuttosto ad attuare riforme economiche, incoraggiando proteste per diritti civili; egli però, sosteneva comunque che la famiglia Nera fosse stata distrutta dallo schiavismo, a causa della prevalenza di relazioni tra madre e figlio, con 'esclusione del padre. Solo negli anni Trenta, con "The Negro Family", l'autore Frazier espresse la teoria del deterioramento intrinseco della famiglia Nera sotto lo schiavismo, che trovo però dei punti di critica avendo travisato lo spirito di indipendenza e di fiducia in se stesse o sottostimando la capacità dei Neri di resistere allo schiavismo. Dai dubbi sulla teoria di Frazier e dalle critiche a Moynihan Report, Gutman iniziò le sue ricerche sulla famiglia Nera pubblicando nel 1976 "The Black Family in Slavery and Freedom". Egli aveva visto una famiglia in cui agiva non solo la donna, ma moglie, marito, figli e altri parenti allo stesso modo. Inoltre Gutman sottolineò come piccole azioni come dare il nome del padre al figlio o sposarsi con una donna che aveva un figlio avuto da un padre anonimo rendevano molto umano l'ambiente disumanizzante dei campi di schiavi. Egli distrusse quindi la tesi di una famiglia nera matriarcale, non mettendo in discussione però che la donna dominasse l'uomo. La dimensione domestica era molto importante, era I'unico luogo in cui ci si poteva sentire esseri umani, ma ciò ha finito per distorcere la realtà degli schiavi (citazioni di Elkins e Stampp, p.44). Davis sottolinea come l'uomo svolgesse importanti attività domestiche al pari della donna, ma ciò non significava che lei lo dominasse: questa divisione di compiti non era di tipo gerarchico, entrambi erano egualmente importanti e necessari. L'aspetto che emerge è l'uguaglianza di genere, un'uguaglianza positiva che caratterizzava le loro relazioni sociali. Genovese, in "Roll, Giordan, Roll prese come tesi il fatto che l'uomo nero accettasse il paternalismo associato alla schiavitù, con la presenza di un elemento di supremazia maschile, ma comunque fece emergere un'interessante riflessione: riscontrava uguaglianza tra uomo e donna, come la donna nera dava l'esempio alla figlia, il ragazzo nero aveva bisogno dell'esempio dell’uomo nero. Le donne nere, ponendosi sempre in posizione egualitaria rispetto all'uomo, hanno anche resistito alle aggressioni sessuali degli uomini bianchi, difeso le proprie famiglie e partecipato attivamente alle rivolte non accettando mai il destino di schiave (tema evidente in "American Negro Slave Revolts" di Aptheker). Descrizioni dettagliate sulle rivolte delle donne e le molto spesso conseguenti punizioni ci vengono fornite da Douglas. Molte donne cercavano di scappare verso il Nord, molte ce la fecero, altre vennero ricatturate. Un caso è quello di Ann Wood (capa di un carro di uomini e donne neri in fuga per la libertà): partirono il 24 dicembre 1855, furono coinvolti in una sparatoria di cacciatori di schiavi, ma solo due rimasero uccisi, gli altri riuscirono a raggiungere il Nord. Sara Grimke invece riporta un caso più sfortunato. Le comunità Maroon, formate da schiavi in fuga e i loro discendenti, erano molto in voga in quel tempo e combattevano, uomini donne e bambini, contro i bianchi. Ma la resistenza andava oltre le pratiche di fuga e guerra, ad esempio si insegnava a leggere e scrivere. Un caso importante è quello di Harriet Tubman, che condusse più di 300 persone lungo la Ferrovia sotterranea. Il padre le diede un'educazione importante (le insegnò a nutrirsi e curarsi con le piante, a camminare silenziosamente...Questo dimostra che le donne Nere erano forti e perseveranti egualmente agli uomini. I padroni cercavano di rompere questa uguaglianza utilizzando dei trattamenti repressivi unici per il genere della donna: ricordiamo che i castighi inflitti alle donne superavano di intensità quelli inflitti agli uomini. Lo stupro diventava un'arma di dominio, il cui fine era quello di reprimere la voglia di ribellione delle donne e demoralizzare i loro uomini. In Vietnam lo stupro diventa un'arma politica di massa sessista (per rivendicare il fatto che la guerra fosse prettamente maschile), "moralmente accettata". I padroni bianchi avrebbero potuto adottare lo stesso ragionamento: lo stupro era un'arma per riportare la donna a una condizione di passività, debolezza e acquiescenza. Genovese, nella raccolta "Roll, Jordan, Roll", sosteneva la tesi paternalistica per cui gli schiavisti bianchi finissero per amare la donna Nera e il suo bambino. La mescolanza razziale aveva a che fare con un nucleo di umanità, senza contare il profondo senso dello stupro che emerge in moltissime testimonianze. Molte donne bianche partecipavano al movimento anti schiavista, sentendosi profondamente offese per il trattamento delle donne Nere, ma non avrebbero mai capito realmente la posizione di queste ultime: le donne Nere avevano sviluppato tratti della personalità diversi da quelli delle bianche a causa delle circostanze in cui si sono trovate. Ad esempio, è interessante il caso di Eliza (ne "La capanna dello zio Tom" di Stowe) dove l'autrice descrive come, prima del figlio, Eliza non opponesse resistenza alla sua condizione, ma quando il figlio sta per essere venduto tira fuori un coraggio inimmaginabile. Stowe accetta totalmente l’idolatria del ruolo materno del XIX secolo, ma fallisce nel descrivere la realtà della resistenza delle donne Nere schiave: l'origine del potere e della forza di rivolta non risiedeva nel sentore materno, bensì nella loro concreta condizione di schiave. Il movimento abolizionista e l'origine dei diritti delle donne. Frederick Douglas fu il più importante abolizionista Nero e uno dei più grandi sostenitori maschili dell'emancipazione delle donne. Perché tante donne bianche fecero parte del movimento abolizionista nel XIX secolo? Stando a quanto dice Stowe ne "La capanna dello zio Tom", per il loro istinto materno (il culto della maternità in quel periodo era particolarmente in auge). Nel suo romanzo schiavi e donne erano descritti come docili, indifesi: sostanzialmente l’autrice intrise le sue parole di inferiorità di schiavi e donne Nere. Le donne dovevano quindi essere madri e casalinghe, dovevano eludere dalla sfera politica ed economica, soprattutto dopo l’avvento della rivoluzione industriale che modificò profondamente la società. Lo status sociale delle donne, così, iniziava a deteriorarsi, si iniziava a confermare l'idea di inferiorità femminile. Molte donne abbienti, sebbene non fossero sfruttate nelle fabbriche, tendevano a supportare la causa contro la schiavitù perché c’era una tendenza generale a sovrapporre quest’ultima con il matrimonio. Questo paragone tra schiavitù e matrimonio era stato fatto perché, paragonandoli, le donne sposate potevano sostenere una causa precedente stato di schiavitù, stava per diventare legge, ma non comprendeva ancora la discriminazione di genere. (La citazione a p. 118 sottolinea quanto effettivamente le donne non subissero la medesima oppressione degli schiavi.) Il significato dell’emancipazione secondo le donne Nere Alle nere del 1890 la libertà doveva sembrare ancora più lontana che nel periodo schiavista: lavoravano nella degradazione più assoluta svolgendo le mansioni peggiori. Per ogni minimo pretesto venivano arrestati e dato in custodia all’autorità locali per svolgere lavori forzati. Alcuni latifondisti arrivavano ad utilizzare la forza lavoro di un centinaio di prigionieri neri, e da qui aumentava la voglia di incrementare il popolo penitenziario. Dopo lo schiavismo, le donne nere che lavoravano nei campi furono costretti a diventare domestiche, cosa che continua per molto tempo. Nel 1919 quando la leader degli stati del sud della National Association of Colored Woman esposero le loro lamentele, in cima alla lista c’erano le condizioni del lavoro domestico. Ovviamente le lavoratrici domestiche della Georgia appoggiavano appieno queste lamentele. I padroni bianchi ritenevano che i lavori domestici dovessero essere svolti dalle donne nere in quanto lavoro degradante e loro erano altrettanto “inette” e “promiscue”. Secondo il censimento del 1890 il Delaware era l’unico Stato in cui i neri erano contadini e braccianti e non domestici. La ricerca di Isabel Eaton contenuta nel saggio di Dubois “The Philadelphia Negro” dimostrava che in Pennsylvania il 60% dei lavoratori neri era occupato in attività domestiche; le donne Nere erano messe peggio ancora, quasi il 100% erano domestiche. Nelle interviste della Heaton, i padroni preferivano i domestici neri a quelli bianchi, come se fosse un complimento. In realtà stava significare che i neri erano destinati ad essere schiavi. Dubois sosteneva che finché il servizio domestico dei neri fosse rimasto la regola, l’emancipazione sarebbe rimasta un concetto astratto. Educazione e liberazione: le prospettive delle donne Nere Milioni di neri, soprattutto le donne, pensavano che l’emancipazione sarebbe stata “la venuta del signore“. Come F. Douglas da giovane schiavo voleva studiare, i 4 milioni di neri che pretendevano di emancipazione avevano compreso da tempo che “la conoscenza rende un bambino inadatto ad essere schiavo“. La comunità nera di Memphis si riunì e decise che l’educazione era la priorità. Secondo l’ideologia razzista i neri erano considerati incapaci di progredire intellettualmente, ma in realtà già nel 1787, in Massachusetts, i neri, sotto l’iniziativa di Pince Hall presentarono delle petizioni per il diritto a frequentare le scuole libere di Boston, ma la petizione fu respinta e al fonda una scuola nella propria abitazione. Nello stesso anno, un ex schiavo fondò a New York la Katy Ferguson’s School for the Poor, e i suoi studenti erano sia bianchi che neri. Anche Myrtilla Miner rischio la vita per garantire l’istruzione ad alcune ragazze nere. Apri la scuola nel 1851, dopo pochi mesi aveva già 40 studenti. Secondo Douglas, pochi bianchi avrebbero sostenuto la causa della Miner: la solidarietà verso i neri, in quel periodo, andava diminuendo. Infatti, l’edificio della scuola venne distrutto da un incendio. Dopo la rivolta di Nat Turner, nel 1931, in tutto il sud fu resa più severa la legge che proibiva l’istruzione agli schiavi. Quasi la metà degli insegnanti che parteciparono alla campagna educativa del Freedman’s Bureau erano donne: le donne bianche durante la Ricostruzione, andarono al sud per assistere le sorelle nere (con cui c’era una reciproca stima) per spazzare via l’analfabetismo tra gli ex schiavi (Dubois affermò che il tasso di analfabetismo raggiungeva il 95%). La storia della lotta contro l’analfabetismo raggiunse l’apice proprio quando le donne bianche e nere si unirono, negli anni successivi alla guerra civile. La loro solidarietà confermava una delle più fruttuose speranze della nostra storia: il suffragio universale. Il suffragio femminile tra Ottocento e Novecento: l’influenza crescente del razzismo Da un dialogo tra la leader delle suffragiste Susan B. Anthony a Ida B. Wells si prese spunto per fondare il primo club per il suffragio femminile delle nere. Wells ammirava la resistenza individuale contro il razzismo di Anthony e rispettava i suoi contributi nella campagna per i diritti delle donne, ma critico il fatto che non sovrappose mai la lotta contro il razzismo con il movimento suffragista. Anthony non voleva accogliere nel movimento delle donne di colore, perché temeva che le associate bianchi del sud avrebbero potuto ritirarsi dall’organizzazione. Il razzismo, aldilà di questo episodio, stava obiettivamente crescendo e in questi anni si misero in atto proteste fondate contro il razzismo, che ad esempio Anthony definiva come una debole giustificazione per l’indifferenza delle suffragista verso le richieste dei diritti dei neri. Nel 1888 il Mississippi emanò delle normative che rendevano lecita la segregazione razziale e nel 1890 in ieri non avevano diritto di voto; successivamente altri Stati seguirono queste emanazioni, come il Nord Caroline a, la Virginia, Giorgia… Wells inoltre condannò il silenzio che circondava numerosi episodi di violenza squadrista. La neutralità della National America Woman Suffrage Association nei confronti della questione raziale, in realtà, incoraggiò le idee esplicitamente razziste nel movimento suffragista. Henry Blackwell sosteneva che il suffragio femminile avrebbe portato numerosi vantaggi alla supremazia bianca, poiché il voto alle donne poteva eliminare l’incombente peso politico della popolazione nera. In realtà, però, il suprematismo bianco viene accettato dal movimento suffragista solo nell’ultimo decennio del XIV secolo, rifiutando totalmente i diritti di uomini e donne nere, eludendo dagli ideali democratici che tanto proclamavano. La giustificazione a ciò quindi era di stampo capitalista: questi ideali razzisti erano inseriti nella logica capitalista monopolista la cui ricerca indiscriminata di profitti non conosceva limiti umani. Se le donne bianche medio borghesi avessero ottenuto il diritto di voto, avrebbero sicuramente superato la working class statunitense (neri, immigrati operai bianchi analfabeti). Questi tre gruppi erano obbligati a lavorare da schiavi, con salari minimi e condizioni deleterie. Nel 1893 si inaugurò la dottrina del “ separati ma uguali“, che consolidava il nuovo sistema di segregazione del sud. Nel 1899 le suffragista e non mancarono di dar prova della loro fede al capitalismo, che fece emergere Anna Garlin Spencer leggendo un discorso intitolato “doveri delle donne dei nostri nuovi possedimenti“. Così si lancia un appello alle donne del sud a non rinunciare alla loro inclinazione verso il suprematismo bianco. Anthony non fu responsabile diretta del razzismo nei movimenti suffragista e bianchi, ma era la leader e di certo la sua neutralità sull’argomento fomenta il pensiero. Molti neri in quel periodo venivano oggettivamente aggrediti. Nel frattempo, razzismo e maschilismo si rafforzavano a vicenda e il culto della maternità all’interno delle organizzazioni suffragista e stava agendo per eliminare la supremazia maschilista. Al convegno del 1901 del National American Woman Suffrage Association, Carry Catt affermò che l’emancipazione della donna bianca era la via per la salvezza della razza, mettendo in evidenza che i ostacoli per il suffragio delle donne erano il militarismo, la prostituzione e la fretta nel dare il diritto di voto anche i neri. Questa associazione non mancò di dare affermazioni razziste che confermavano l’alleanza tra questo e il sessismo. La lotta tra lavoratori bianchi e neri era inevitabile, e il capitalismo voleva provocarla per facilitare i progetti di sfruttamento delle working class multiculturali da parte delle classi economiche in ascesa. Quello che doveva essere preservato non erano i diritti delle donne, ma la superiorità della razza bianca che non doveva essere intaccata. Le donne nere e il movimento dei club Nel 1900 la General Federation of Women’s Clubs Si dichiarò razzista decidendo di escludere dal congresso la delegata nera del Boston’s Women’s Era Club. Le organizzazioni pro all’abolizionismo esistevano già dagli ultimi anni del novecento, ma, mentre le donne bianche erano spinti da sentimenti di carità, le donne nere erano spinti e soprattutto dalla motivazione di sopravvivenza del popolo nero. I club nacquero intorno alla fine degli anni 60 dell’ottocento, e nel 1890 erano talmente tanti che poté costituirsi una federazione nazionale, la General Federation of Women’s Club. I club attraevano le donne bianche di classe media perché proponevano attività ricreative esterne ma comunque è collegata al loro ambito tradizionale domestico. La maggior parte di queste donne non avevano un lavoro: il problema del vuoto della vita domestica non esisteva per le donne nere. Dopo che Ida Wells fece un discorso circa un linciaggio di tre neri, iniziarono ad emergere i primi club unicamente formati da donne nere. La Wells fondò il primo club di neri a Chicago e a fianco Douglas nell’organizzazione della protesta contro l’esposizione universale del 1893. Il Women’s Era club, dopo aver sottolineato la privazione di spazi di formazione e cultura subita dalle donne nere, fomentarono una protesta di massa contro il linciaggio. Wells fece appello sia alle donne nere che a quelle bianche perché in massa si opponessero al regime del linciaggio. Mentre le donne nere combattevano per la liberazione dei neri, le donne bianche attuavano spesso atteggiamenti elitari nei confronti delle masse popolari. Ad esempio, Fannie Barrier Williams concepiva il club delle donne come “la nuova intelligenza, la conoscenza illuminata“ della propria razza. Nel 1895 nacquero due federazioni rivali, che però si fusero negli anni successivi. Ida Wells era un’esperta di tattiche di agitazione e di conflitto, ma Mary Church Terrell aveva come armi il ragionamento logico e la persuasione. Entrambe comunque furono donne grandiose per quel periodo, da soli hanno raggiunto obiettivi in immaginabili per la libertà delle donne e del popolo nero. Lavoratrici, donne nere e la storia del movimento suffragista Nel gennaio 1868 Susan B. Anthony pubblicò Revolution e, in quel periodo il movimento operaio si stava sviluppando fortemente (Le donne iniziarono a lavorare al di fuori delle attività domestiche, rivendicando i propri diritti), ma in questi prevaleva il maschilismo. Al congresso della National Colored Labor Union del 1869 le donne furono accolte fin da subito: nato a seguire dall’esclusione delle altre associazioni bianche, i neri di questa associazione si impegnarono fin da subito mostrano maggiore serietà per la lotta per i diritti delle lavoratrici. Anthony, nel primo numero di Revolucion affermò, che qualora si avesse raggiunto il suffragio universale, si sarebbe realizzato il trionfo della morale in tutta la nazione. Benché fosse incentrato sul voto, in realtà emersero molti argomenti che comprendevano anche i diritti della rivendicazione anche se esista e delle lotte operaie delle lavoratrici. Anthony non si limitò alla solidarietà giornalistica, ma diede avvio alla formazione di una seconda associazione di donne lavoratrici del tessile. Ma lei, insieme ad altri colleghi come Elizabeth Candy Stanton, non accettò mai fino infondo i principi del sindacalismo: per loro la donna aveva la priorità, quindi erano disposte anche a fare le crumire (Crumiraggio: sostituire gli scioperanti al lavoro), prendendosela con gli uomini della classe operaia che scioperavano. Inoltre, le nere rimasero sempre escluse dalla loro lotta per il suffragio femminile: erano troppo occupati a combattere per il loro salario e le condizioni di lavoro per poter difendere una causa così astratta come quella dei neri. L’uguaglianza politica non apriva le porte all’uguaglianza economica, ma Anthony si concentro molto diritto di voto criticando coloro che si concentravano sul soddisfacimento dei bisogni immediati. Lei lottava per l’abolizione delle differenze sessiste più che per i diritti della work in classe. È solo nel 1909 che, quando le lavoratrici dell’industria tessile a New York scese in campo per superare nella “insurrezione delle 20.000“, le lavoratrici iniziarono a capire che avevano bisogno del voto per garantire la propria stessa sopravvivenza. Leonora O’Reilly, rivolgendosi ai politici contrari al suffragio, mise in discussione il culto dominante della maternità: le donne volevano il diritto di voto per poter avanzare nella lotta di classe. Le donne nere lavoratrici subivano l’oppressione triplice combinata di sesso, classe e razza e quindi possedevano argomentazioni potenti a sostegno del diritto di voto, ma non ebbero l’aiuto delle sorelle bianche suffragista e a causa del razzismo radicato in queste associazioni. Ma le donne nere combatterono fino alla fine per il diritto di voto. A differenza delle sorelle bianche, lenire ebbero il supporto di molti uomini neri, come Douglas che nel 19º secolo e Dubois nel 20º. Quest’ultimo in un suo articolo sottolineò la differenza abissale tra la rispettabilità degli uomini neri che non erano assolutamente chiassosi ho volgari nelle loro manifestazioni, al contrario dei bianchi. Egli, in un altro articolo intitolato “voto alle donne: un simposio dei grandi pensatori dell’America di colore“, in cui trascriveva un convegno in cui furono presentati personaggi molto importanti (p.192). Nannie H. Burroughs difese le donne nere, ma fu l’unica sostenere che fossero addirittura superiori agli uomini nella sfera morale (e ciò implicava la loro inferiorità per altri aspetti). Mary Talbert piuttosto preferì affermare che le donne nere a causa delle loro condizioni avevano guadagnato evidenti capacità di osservazione e giudizio, caratteristiche essenziali per la costruzione del loro paese ideale. Ma queste nere vennero sempre tradite nella loro battaglia. Le donne comuniste Quando nel 1948 usciti “il manifesto del partito comunista”di Marx e Engels, l’Europa fu teatro di continuo insurrezioni rivoluzionarie. Joseph Weydemayer fondò la prima organizzazione marxista degli stati uniti, la Proletarian League. Ma risulta che nessuna donna ne fece mai parte, così come in altre organizzazioni comuniste che erano tutte prettamente maschili. Ma con la fondazione del Socialista Party nel 1900 che difese il suffragio femminile, la sinistra marxista inizio a comprendere l’importanza delle donne militanti. Nel 1919 venne fondato il Communist party, le cui prime attiviste furono l’ex militanti del Socialist party come Anita Whiteney, Margret Prevey, Rose Stokes, Janette Pearl. Anche la fondazione degli Wobblies nel 1905, dei sindacati del settore industriale, ammettevano le donne. Più questi che il Socialist party, adattarono una vera e propria lotta contro il razzismo. Helen Holman, uno dei pochi casi di donna nera all’interno dei Socialist party, difese strenuamente Kate Richards, dirigente del partito che si trovava in prigione. Negli anni successivi, però, come riporta lo storico e dirigente del partito William Foster, i comunisti compresero l’importanza della teoria della liberazione, diventando militanti attivi nella lotta contro il razzismo. Lucy Parsons aderì al Socialist Labour Party e scrisse poesie per il giornale anarchico “Socialist”. Il marito venne arrestato per aver manifestato nel maggio 1886 Haymarket Square, dopo gli scontri a fuoco provocati dalla polizia e così diede inizio una campagna per la sua liberazione. Quando il sindaco di Columbus (Ohio) le vietò di attuare un intervento e lei si rifiutò di rispettare il divieto, fu incarcerata. Nonostante fossi una donna nera, sostiene sempre che sessismo e razzismo erano problemi di secondo ordine rispetto allo sfruttamento capitalistico della classe lavoratrice. Lei e Mary Jones furono le prime due donne ad unirsi all’organizzazione radicale operaia degli Industrial Workers of the World e, al congresso di fondazione dei Wobblies Del 1905 rivelò sensibilità per l’oppressione delle donne lavoratrici. Nel 1903 aderì ufficialmente al partito comunista. della maggior parte delle studiose il lotta contro lo stupro. I bianchi, che erano “proprietari“ delle donne nere, approfittarono di queste considerandole come esseri inferiori, legittimati dal loro potere economico. E pure i loro crimini sessuali difficilmente venivano alla luce. Da quando è nata la logica capitalista, gli uomini che possiedono potere politico ed economico sono incentivati a diventare agenti quotidiani dello sfruttamento sessuale. Perciò, questa aggressione economica è fortemente accompagnata da sessismo. Nelle Working class, la subalternità delle donne rispecchia la situazione degradante dei lavoratori di colore e la crescente influenza, nelle politiche di governo, caratterizzate da un colpevole disinteresse verso la condizione dei neri e di altre persone di colore. Le dimensioni critiche della violenza sessuale costituiscono un aspetto di profonda e permanente crisi del capitalismo. Razzismo, controllo delle nascite e diritti riproduttivi Nel XIX secolo, le femministe rivendicarono per la prima volta la “maternità consapevole“. Il controllo delle nascite è stato uno dei requisiti fondamentali, insieme ad altri, per l’emancipazione della donna. Ma questo movimento lascia molto a desiderare sul terreno della lotta razzismo e allo sfruttamento di classe. Le donne di colore non avrebbero mai potuto ignorare l’importanza della campagna per il diritto all’aborto, in quanto erano a favore del diritto dell’aborto (ma non per questo sostenitrici dell’aborto“: se il numero di nere che vi fanno ricorso è molto alto, è a causa delle condizioni miserabili che le dissuadono dal portare nuove vite sulla terra e non tanto perché desiderino veramente interrompere la gravidanza. Le donne nere hanno sempre abortito da sole, fin dalla schiavitù, epoca in cui le donne compivano infanticidi e aborti come gesto di disperazione motivati dalla loro condizione. Il diritto all’aborto era quasi spesso sovrapposto a una posizione favorevole agli aborti, che sono due cose differenti. Solo negli anni 70 si iniziano a mettere a fuoco le necessità specifiche delle donne povere e oppresse dal razzismo in relazione all’aborto. siccome la sterilizzazione chirurgica rimase gratuita per molto tempo, molte donne si sentirono costretta a ricorrere all’infertilità permanente, rinunciando al diritto della riproduzione. Siccome erano le donne a dover partorire, e gli uomini detenevano il dominio sessuale, le donne rimanevano in cinta molto spesso, in un’epoca in cui gli anticoncezionali non avevano legittimità di essere neppure nominati. In questo senso, Sara Grimke difendeva il “diritto all’astinenza sessuale“ per la donna. Nel 1905 il presidente Roosevelt affermò che il tasso di natalità dei bianchi era in declino e sarebbe potuto verificarsi un “suicidio della razza“: per lui la purezza della razza doveva essere salvaguardata e ammoniva donne bianche in buona condizione economica che si ostinavano alla “sterilità volontaria“. Margaret Sanger diede inizio alla sua lunga crociata per il controllo delle nascite. Nella prima fase la campagna fu strettamente connessa al Socialist Party a cui lei era iscritta, ma l’alleanza tra questa campagna e il movimento operaio radicale non durò a lungo, e quindi la Sanger ruppe i rapporti con il Socialist Party. Così costruì una campagna indipendente contro il controllo delle nascite che fu enormemente esposta alla propaganda anti-neri e anti- immigranti. Come i loro predecessori ingannati dalla propaganda del “suicidio di razza”, le fautrici del controllo delle nascite iniziarono ad abbracciare l’ideologia razzista dominante. Verso la fine del lavoro domestico: la prospettiva della working class La presa di coscienza dei lavori domestici e della cura dei figli ha incoraggiato le donne alla richiesta di sgravarsi almeno in parte di questi lavori, che occupavano molte ore. Il lavoro domestico è sempre stato percepito come un “lavoro da donne“. Inoltre questo è un lavoro a tutti gli effetti, ma non è retribuito in quanto l’economia capitalistica è strutturalmente ostile all’industrializzazione del lavoro domestico. Secondo l’ideologia borghese, la donna di casa e la serva del proprio marito per tutta la vita. Durante l’epoca coloniale le donne non erano “donne delle pulizie“, ma lavoratrici a pieno titolo in un sistema economico a base domestica (facevano il pane, tessevano…) Ma man mano che l’industrializzazione avanzava, Il lavoro domestico delle donne per se strutturalmente importanza e veniva sostituito dalle macchine. E questo comportò la nascita della “casalinga”, che fu poi imposta come modello universale di femminilità e che ha sottolineato sempre di più la differenza tra l’economia pubblica del capitalismo e l’economia privata della casa. “La casa non sia sviluppata proporzionalmente alle nostre altre istituzioni” come afferma Gilman, osservando con il lavoro domestico a minacciato l’umanità delle donne. Le origini teoriche del movimento per il salario delle casalinghe si possono riscontrare nel saggio “potere femminile e sovversione sociale“ di Mariarosa dalla Costa, che si basano sull’assunto che le casalinghe producono un mercato fondamentale che ha valore quanto le merci che produce il marito. L’economia industriale ha portato una separazione strutturale tra economia domestica e pubblica, di cui la prima è vista come precondizione della produzione capitalistica. A questo si aggiunge anche la rivendicazione di un sistema di servizi di assistenza all’infanzia. L’abolizione del lavoro domestico in quanto responsabilità individuale di ogni donna è un obiettivo strategico per la liberazione delle donne. Ma la socializzazione del lavoro domestico (che comprende anche la cura dei bambini) presuppone la fine del regime del profitto economico.