Scarica Economia della gestione bancaria – EGB e più Appunti in PDF di Economia solo su Docsity! Politiche gestionali delle banche, con riferimento agli aspetti evolutivi dell’operatività tradizionale Nel corso di Economia delle gestioni bancarie andremo a studiare le varie ASA (Aree Strategiche di Affari) delle banche. Ragionare in base alla suddivisione data dalle ASA significa ragionare sulle esigenze, manifeste e/o potenziali, della clientela. A seconda dei bisogni che vanno soddisfatti, la banca costruisce la sua area strategica di affari. Le ASA sono quindi aree in cui è possibile organizzare, rappresentare e configurare l’attività bancaria. Ma allora, quando si parla di “modelli di business”, ci si riferisce alla situazione in cui la banca orienta le sue attività o all’instaurazione di rapporti duraturi con la clientela, o al sostegno dello sviluppo dell’impresa. Oggi, ogni banca deve assolutamente dichiarare il modello di business adottato, il quale deve essere validato dalla Banca d’Italia mediante una procedura di autovalutazione del capitale denominata “SREP” (Supervisory Review and Evaluation Process). Detto questo, le ASA sono: - Retail: è l’area che la banca costruisce in funzione delle esigenze della clientela retail (o “al dettaglio”). L’area retail è l’unica ASA dove si confrontano le due unità del mercato di sbocco della banca, ossia l’unità in surplus e quella in deficit. L’area retail è quindi l’unica ASA che definisce un’offerta sia per i soggetti in surplus, che per quelli in deficit. Vedremo presto le caratteristiche di quest’ASA, soffermandoci soprattutto sulle novità (= prodotti innovativi). I clienti al dettaglio, lo ricordiamo, sono le famiglie e le imprese con esigenze finanziarie molto semplici. - Private: è l’area che la banca costruisce in funzione di un segmento di clientela tipicamente solo in surplus, ossia avente esigenze d’investimento, anche complesse. L’elemento qualificante dell’area private è il trustee, e cioè il “soggetto fiduciario”. Ciò avviene perché l’ara private si costruisce in base ad un rapporto di fiducia fra il segmento di sbocco e il personale addetto ai servizi private. La qualità del trustee è ciò che fa la differenza fra una banca e l’altra. - Corporate: è l’area costruita per le medie e grandi imprese. Studieremo, inizialmente, i parametri con cui individuare la “classe dimensionale” di una società, per poi passare all’analisi di quest’ASA, la quale è un’area strategica che vede come sbocco un segmento di clientela in deficit con esigenze di finanziamento articolate. - Institutional banking: è un’area molto peculiare, dove l’attività della banca è orientata al sostegno delle istituzioni dello Stato. Perché le banche devono ragionare per aree strategiche d’affari? Le banche, così come le aziende di produzione, sono multi-business e multiprodotto, configurazione facilitata dallo stesso Testo Unico nel momento in cui disciplina, da un lato l’attività bancaria1, e dall’altro la possibilità per gli istituti bancari di svolgere anche attività finanziarie connesse e strumentali. Le banche hanno tutto l’interesse a svolgere la loro attività a 360°; i fattori che hanno spinto la banca a cercare fonti alternative di guadagno sono dovuti alla globalizzazione e alla disintermediazione; il 1 La raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono l'attività bancaria. Essa ha carattere d'impresa. (TUB, art 10, comma 1) mercato globalizzato rende infatti i mercati finanziari contendibili, ossia pregni di elevate spinte concorrenziali2 che erodono i margini di profitto degli intermediari bancari. Quali sono le forme alternative di guadagno? Se andiamo a leggere il bilancio di una banca, i ricavi sono garantiti dal margine di intermediazione complessivo, il quale si divide in due parti: - il margine d’intermediazione primario, detto “margine d’interesse”; - il margine d’intermediazione secondario, il quale deriva dall’attività di negoziazione (ossia dall’attività finanziaria). A seconda di come impattano queste due voci sul risultato complessivo dell’attività d’intermediazione della banca, è possibile dedurre il business model dell’intermediario. Quando è il margine d’interesse ad impattare in maniera maggiore, siamo di fronte ad una banca orientata al dettaglio (commercial bank). La banca svolge invece “investment banking” se, sui ricavi, ha un impatto maggiore il margine d’intermediazione secondario. In conclusione, le banche, per poter sopravvivere al suo mercato altamente concorrenziale, si sono dovute organizzare affiancando il margine d’intermediazione secondario ai ricavi dell’attività tradizionale. Questi margini hanno un peso più o meno marcato sul risultato d’esercizio a seconda del business model adottato dall’istituto bancario in esame. Si evince, infine, come sia stata anche la stessa normativa a spingere le banche verso l’intermediazione finanziaria (si pensi anche agli orientamenti dell’EBA, o alla creazione della Capital Market Union, interventi normativi che sottendono la volontà dei policy makers di orientare l’attività della banca verso il mercato). Oggi, anche se la banca continua ad avere un ruolo esclusivo nel rapporto con la clientela e nella concessione del credito (soprattutto alle imprese, che molto spesso dipendono dal canale bancario), le autorità regolamentazione e di vigilanza stanno cercando di spostare la banca dalla sua veste di “ente finanziatore”, per trasformarla piuttosto in un “collaboratore” capace di sostenere le imprese a tutto tondo (sostegno durante emissione e distribuzione titoli; sostegno per ingresso nelle borse; sostegno durante passaggio generazionale ecc.). Ciò è reso possibile attraverso i loro interventi normativi, i quali hanno reso necessario l’affiancamento dell’attività finanziaria a quella di raccolta del risparmio ed esercizio del credito. Questo cambiamento è alla base del motivo per il quale il corso affronta lo studio dell’Economia della gestione bancaria affidandosi alle ASA. ✩Andiamo adesso ad analizzare gli aspetti propri delle diverse aree strategiche, analizzando, per ogni ASA, il mercato (segmento) di riferimento e gli aspetti più caratteristici. Successivamente, si tratteranno gli aspetti evolutivi delle aree, i quali riguardano la gestione delle problematiche legate al segmento di sbocco da intercettare. Vedremo quindi i profili organizzativi messi in piedi dalla banca per ogni data ASA, i prodotti ed i fattori critici di successo3. Ad esempio, il rafforzamento del rapporto con la clientela rappresenta un fattore critico di successo per la banca. 2 La concorrenzialità impatta in maniera positiva sull’efficienza del mercato bancario (costi di produzione e distribuzione sono contenuti). 3 Non è detto che l’attività tradizionale sia meno redditizia di quella finanziaria (semmai vale il contrario). L’attività tradizionale rimane l’unica capace di instaurare rapporti duraturi, i quali sono essenziali per avere adeguati margini di profittabilità. Questo punto di forza va dunque sempre rafforzato. Questa legge, però, va vista anche alla luce degli ultimi turbolenti anni che hanno scosso l’economia mondiale. Detto questo, il corso esaminerà l’organizzazione adottata dalle banche per poter far fronte alla conformità a tutte le regole, e cioè andremo a studiare la Circ. Bankitalia 285. Questa circolare è l’evoluzione di quella n. 263/2006. Per Bankitalia, per poter rispettare tutte le normative europee, era ed è necessario delineare delle regole di governance delle banche. Devono, in altre parole, sussistere dei meccanismi di checks and balance, ossia meccanismi di governo e di controllo di quello che governo. La Circolare 285 è stata già aggiornata 36 volte, aggiornamenti che andremo a studiare strada facendo. Parleremo, poi, delle regole di governance interna dell’EBA, ossia della European Banking Authority. Queste sono regole obbligatorie per le banche most significant, ossia quelle vigilate direttamente da Francoforte. Le regole di governance si rifanno alle EBA Guide Lines, indicazioni sul cosa le banche devono fare per svolgere bene l’attività bancaria. Le linee guida però non dicono il come si debbano raggiungere certi risultati, anche perché ogni Nazione ha un proprio ordinamento, così come un proprio processo legislativo. Possiamo già dire che esistono delle linee guida sulla compliance e sull’antiriciclaggio per cui il capo di questi due reparti deve essere integerrimo al 100%, ossia ad un livello tale che, se per caso si sospetta che possa essere corruttibile, questi va rimosso. Un altro elemento molto importante, di cui parleremo, è la legge 231/2001, la quale si occupa della responsabilità amministrativa dell’impresa. La legge cerca di punire le imprese: non potendo incarcerare una persona giuridica, si usa il concetto di responsabilità oggettiva. Dal criterio oggettivo di imputazione, la legge prevede i cosiddetti “reati presupposto”, ossia una tipologia di reato che, a sua volta, diventa propedeutico ad un altro atto colposo. Sulla base di questi reati presupposto, se non viene dimostrato che l’azienda si era dotata del modello previsto dalla legge 231/2001, questa viene condannata. Ad esempio, in un giudizio penale, in caso di colpevolezza, c’è la galera per l’amministratore delegato, mentre invece, per l’impresa, c’è la sanzione amministrativa per 231. Vedremo poi la normativa sulla privacy, così come i concetti che regolano i conflitti d’interesse1, il codice etico e quello di autodisciplina. Queste sono tutte regole obbligatorie attraverso le quali una società (e quindi non solo quelle bancarie) andrà poi ad enunciare le regole di comportamento agli stakeholders. Vedremo poi Assonime, direttiva Shareholders’ Rights, EBA – Membri del personale con un impatto sostanziale sul profilo di rischio. Un altro degli errori che è stato fatto nel corso della storia delle aziende, ma anche delle banche, è di mettere le persone a ricoprire incarichi per via di fattori quali anzianità, percorso ecc. e non per competenze. 1 Ad esempio, se in una banca un dipendente è consigliere d’amministrazione sia della banca, sia di un importante cliente della banca stessa, questi lo deve dichiarare ai sensi del cc, perché deve poter essere chiaro sia che egli non ha preso parte alla votazione, sia che non ha il potere di influenzarla. Se, per caso, egli fosse in grado di influenzare la votazione, questo dipendente va allontanato, abbandonando l’assemblea. Ma allora, nelle banche, tutto quello che noi studieremo costituisce, per legge (dal 30 dicembre scorso) i requisiti di conoscenza e professionalità richiesti per fare il capo della compliance, il capo dei rischi, il CFO. Infine, il corso si occuperà di Cybersecurity e Outsourcing2. Il sistema dei controlli interni: il contesto regolamentare europeo Dopo aver introdotto il corso, partiamo con la prima lezione. Esiste oggi una gerarchia di controlli sulle società bancarie: Questi che vediamo sono i famosi tre pilastri di Basilea. I pilastri sono tutti importanti, e nessuno può venir meno. Come abbiamo detto, questa normativa di Basilea è una normativa incrementale, e questo perché si è sviluppata attraverso una serie di evoluzioni, soprattutto dal punto di vista del requisito patrimoniale. Col tempo, a questo primo pilastro si è aggiunta la gestione dei rischi e la vigilanza sulla stessa. Ciò significa che la banca ha delle funzioni che governano il rischio; in particolare, nelle banche troviamo la figura del Chief Risk Officer (CRO), il quale controlla, in maniera capillare e con dei sistemi di controllo del rischio, tutto il capitale assorbito dalla rischiosità che la banca presenta in un dato momento. Se questo capitale non dovesse rivelarsi sufficiente, non solo a livello attuale, ma anche nel caso di un cosiddetto “shock idiosincratico”, la banca deve subito trovare una soluzione (la compliance è stata sviluppata proprio per evitare a monte che questi problemi, calcolati dal CRO, si verifichino). Sui meccanismi di gestione dei rischi troviamo poi una robusta vigilanza, ossia le JSTs, le Joint Supervisory Teams. Il terzo pilastro, anch’esso introdotto in seguito al primo, è dato dalla disciplina sulla trasparenza. Questa disciplina fa sì che la banca faccia sapere tutto al mercato. Questo obiettivo è raggiunto grazie a tutta una serie di norme; una fra tutte è la market abuse, la quale stabilisce che il Chief Compliance Officer (CCO) deve valutare se una qualsiasi decisione riservata, e quindi sconosciuta al mercato, presa dalla banca vada resa nota con comunicato stampa o meno. Il terzo pilastro, quindi, deve sapere tutto ciò che è rilevante di un’istituzione vigilata. Le disposizioni di vigilanza prudenziale applicabili alle banche e ai gruppi bancari sono operative dal 1° gennaio 2014, e sono finalizzate a adeguare la normativa nazionale alle novità intervenute nel quadro regolamentare internazionale a seguito delle riforme negli accordi del comitato di Basilea 2 L'insieme delle pratiche adottate dalle imprese o dagli enti pubblici di ricorrere ad altre imprese per lo svolgimento di alcune fasi del proprio processo produttivo o fasi dei processi di supporto. (cd. Basilea 3), con particolare riguardo al nuovo assetto normativo e istituzionale della vigilanza bancaria dell’Unione Europea. In particolare, i contenuti del cosiddetto “framework di Basilea” sono stati recepiti in ambito comunitario mediante: • CRR (Capital Requirement Regulation) – Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per fli enti creditizi e le imprese d’investimento che modifica il Regolamento UE n. 648/2012. • CRD IV (Capital Requirement Directive) – Direttiva 2013/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese d’investimento, la quale modifica la Direttiva 2002/87/CE ed abroga le Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE. • Misure di esecuzione, contenute in norme tecniche di regolamentazione o di attuazione (Regulatory Technical Standard – RTS e Implementing Technical Standard – ITS), adottate dalla Commissione Europea su proposta delle Autorità europee di Vigilanza. Queste ultime norme servono a comunicare alle banche gli standard che devono avere per essere conformi alle regole. Senza queste misure di esecuzione, si rischierebbe di avere banche che adottano ognuna delle regole proprie e disomogenee. A cosa è funzionale il nuovo framework? - Per quanto riguarda il primo punto, le banche devono sempre poter essere in grado di calcolare le possibili conseguenze economiche di una qualsiasi tensione finanziario- economica, anche se l’origine è, tanto per cambiare, una pandemia; - Per il secondo punto, invece, dobbiamo dire che la gestione del rischio non è banale, ma è estremamente sofisticata. Ciò deve presumere delle regole di governance; - Questo ultimo punto dello schema è molto importante. Ad esempio, cosa ha insegnato il covid a livello economico? Tutto quello che dobbiamo cambiare in questo periodo diventa una “lesson learned”, ossia ogni nuova avversità che viene superata aggiunge, come conseguenza, un nuovo livello di controllo extra, prima inesistente. Nei controlli interni vi sono, poi, alcune gerarchie. A prescindere dalle strutture dove sono collocate, si possono individuare le seguenti tipologie di controllo: Introduzione Gli accordi di Basilea sono un set di regole di vigilanza prudenziale, derivato da quelle applicate per la prima volta nel 19881, il quale ha il fine di rafforzare la stabilità del sistema finanziario internazionale, attuando nel contempo principi di regolamentazione applicabili in modo omogeneo a tutte le banche. Il set dispone poi regole di misurazione dei rischi e del capitale allocato, regole sulle quali si innestano le connesse azioni di vigilanza. ✰La disciplina imposta da Basilea II obbliga le banche ad una gestione attenta del proprio attivo, prescrivendo livelli di capitale adeguati all’ammontare ed alla rischiosità del proprio attivo. In estrema sintesi, e come si vedrà in seguito: 𝐶𝐸𝑇 1 = 𝐶𝐸 𝑅𝑊𝐴 In altre parole, le banche devono avere un patrimonio di vigilanza minimo pari al rapporto fra il capitale di prima qualità (CE = Common Equity o mezzi propri) e le attività di bilancio ponderate per la propria rischiosità (RWA = Risk Weighted Assets). CET 1 è una sigla che sta per Common Equity Tier 1. L’assunto è che, non solo il calcolo del capitale deve essere fatto partendo dal dato di bilancio e applicando tutta una serie di operazioni, ma anche le attività vanno ponderate, utilizzando come peso la rischiosità delle stesse. Il rispetto di questo requisito avviene un po’ in tutte le aziende, ma nelle banche gioca un ruolo particolare. 1 Si tenga conto che il set di regole è stato implementato da Basilea III, il quale sta entrando progressivamente in vigore. In una situazione di carenza patrimoniale, cosa può fare la banca per ridurre la carenza? Dalla formula si evince che la banca deve o aumentare il numeratore, o diminuire il denominatore (ma naturalmente vale anche un mix fra le due soluzioni). Se per aumentare il numeratore si volesse però percorre la strada dell’aumento di capitale, si andrebbe necessariamente incontro a non pochi problemi. Date le condizioni dell’intermediario e dei mercati, non è detto che il capitale sia facilmente reperibile a buone condizioni o disponibile. Anche un accantonamento di utili potrebbe avvenire non senza sacrificare gli interessi degli azionisti. Ma allora, si può guardare ad una soluzione alternativa, ossia il deleveraging, il quale va a ripagare il capitale di credito (debt), riducendo la leva finanziaria. La riduzione del valore del debt rispetto all’equity può avvenire tramite l’utile, o tramite la vendita degli assets in portafoglio, riducendo così il denominatore RWA. Per poter ridurre in maniera consistente il denominatore, tuttavia, la banca deve intervenire sui crediti concessi ai clienti. La soluzione migliore è quindi quella di ridurre la concessione dei crediti, così che la chiusura delle posizioni creditorie già esistenti, unita alla riduzione dei prestiti, abbia l’effetto di diminuire RWA. Il credit crunch, però, ha naturalmente un impatto negativo sull’economia reale, soprattutto se questo avviene durante una fase recessiva dell’economia (effetto pro-ciclico), determinando quindi un inasprimento della crisi. Il credit crunch non solo riduce RWA, ma anche, di converso, la redditività della banca, e questo perché si va a colpire l’attività tipica delle banche (intermediazione del credito e trasformazione delle scadenze). La redditività, poi, non si lega solo al capitale, ma si lega anche al ciclo economico: se questo è sfavorevole, si va incontro a maggiori perdite. Lo stesso accade se la banca centrale adotta una politica monetaria accomodante, la quale prevede tassi d’interesse bassi. Ciò implica infatti che il “margine della gestione denaro”, ossia lo spread o differenza fra il prezzo per il denaro raccolto ed il prezzo che conseguo per il denaro che impiego, si assottigli. Un altro tema importante, sempre rientrante nella sfera più ampia della “redditività”, è il cost/income. Questo è uno dei parametri con cui misuriamo l’efficienza della banca. In un mondo dove la forbice del margine della gestione del denaro si restringe, ed i costi rimangono stabili, è ovvio che si verifichi un problema di redditività. La situazione si può aggravare se si è abituati a percepire la banca come un’azienda con stabilimenti diffusi, e con delle strutture fisiche importanti. Tutto questo comporta di dover andare verso modelli di business2 diversi e sostenibili, anche attraverso una ristrutturazione dei costi. La sostenibilità del modello di business è uno dei leitmotiv nelle imprese di oggi, un tema che è pure sottolineato dall’autorità di vigilanza, ossia la BCE3. 2 Modello di business: date le mie dotazioni patrimoniali, il mio capitale umano e tecnologico, il modello di business è cosa faccio e come lo faccio. 3 L’Unione bancaria (Banking Union) poggia su tre pilastri: il Meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism, SSM), il Meccanismo unico di risoluzione (Single Resolution Mechanism, SRM) ed il Sistema europeo di assicurazione dei depositi (European Deposit Insurance Scheme, EDIS), l’unico pilastro non ancora in vigore. I fattori di convergenza Nei sistemi finanziari, da un po’ di tempo ormai, esistono nuovi modi di fare finanza, nuovi intermediari e nuove regole i quali, tutti insieme, rendono questa distinzione non più così netta. Un fattore di convergenza è dato dagli strumenti e sistemi di trasferimento dei rischi. Ma come mai? Vediamolo insieme: in un sistema bancocentrico, la conseguenza di questa impostazione è che una banca che eroga mutui si assume dei rischi. Nel tempo, sono stati implementati e attuati (anche in maniera sempre più sofisticata) strumenti capaci di trasferire questo rischio. Esaminando gli strumenti ed i sistemi di trasferimento dei rischi, possiamo distinguere tra: ➢ STRUMENTI TRADIZIONALI: a. Project finance: tipologia di finanziamento che non finanzia l’azienda, ma il progetto, con il rischio che viene controllato e mitigato tramite vari strumenti, tra cui le garanzie contrattuali. b. Prestiti sindacati: sono prestiti fatti da pool di banche. Anche qui abbiamo una mitigazione del rischio, e questo perché uno stesso rischio è frazionato fra più istituti bancari. c. Assicurazioni del credito (ad es., i CDS, Credit Default Swap7, un derivato che, nella sostanza, ha gli effetti di un’assicurazione). ➢ STRUMENTI INNOVATIVI E DI MERCATO: a. Securization o “cartolarizzazioni” b. Credit derivatives (o derivati del credito) c. Altri strumenti di mercato ✰Altri fattori di convergenza che avvicinano i sistemi finanziari sono le info e gli standard regolamentari e di mercato, come ad esempio: ➢ Covenants contrattuali. I covenants possono prevedere il rispetto di dati requisiti, i quali sono tenuti sotto controllo tramite il rilascio di info che solitamente non sono richieste ai debitori, e con scadenze più frequenti rispetto al bilancio. Si possono richiedere, per esempio, indici o rapporti. Il mancato rispetto dei covenants può comportare la richiesta, da parte del debitore, di un “waiver”, così da poter rientrare nei parametri richiesti. Questo continuo passaggio di informazioni avvicina i sistemi bank-oriented a quelli market-oriented. La stessa cosa può essere detta per i… ➢ Sistemi e requisiti di governance e mercato. Le società quotate, trimestralmente, devono pubblicare le proprie informazioni finanziarie → i sistemi e requisiti di governance/mercato avvicinano i due sistemi finanziari: quando una società quotata va a concordare un finanziamento con la banca, magari per un’operazione che non richiede la comunicazione di info particolari (ad es. una facilitazione creditizia per lo smobilizzo del portafoglio), la banca è in ogni caso a conoscenza di tutte le info che vengono rilasciate al mercato. ➢ Informativa al pubblico (mercati regolamentati e terzo pilastro di Basilea II). Con la piena entrata in vigore di Basilea II, le banche, invece di presentare l’informativa patrimoniale nel fascicolo di bilancio, oggi la presentano come un fascicolo a parte. 7 https://www.investopedia.com/terms/c/creditdefaultswap.asp Gli accordi di Basilea In questo quadro generale, un altro fattore che condiziona i sistemi finanziari sono le regole di vigilanza, i quali trovano le loro radici negli accordi di Basilea. Questi ultimi nascono negli anni Ottanta, ed hanno l’obiettivo di rendere più sicuro il settore bancario ed evitare il default degli intermediari creditizi. Su certe tematiche, è in atto un percorso di convergenza; ad esempio, fra regole prudenziali e regole contabili nella valutazione dei crediti. Bisogna però tener presente che i fini sono diversi: al di là del fatto che calcolare la perdita di un credito secondo le regole prudenziali o secondo quelle contabili è, oggi, più o meno la stessa cosa, il fine ultimo delle regole prudenziali è assicurare la stabilità del sistema finanziario, la quale viene perseguita a livello micro e macroprudenziale. Le regole contabili, invece, hanno un fine differente, ossia l’assicurare la veridicità, l’affidabilità e la completezza dell’info finanziaria. L’architettura di Basilea III poggia su tre pilastri; questi vengono da Basilea II, e sono stati integrati da B3 con alcuni requisiti, soprattutto nell’ambito della liquidità. In base alla natura dei rischi ed alle connesse azioni di vigilanza, si distinguono tre pilastri sui quali poggia l’architettura di Basilea: ➢ PILLAR I: requisiti patrimoniali minimi o Rischio di credito ▪ Ponderazione del rischio ▪ Garanzie ▪ Forme di trasferimento del rischio (securization, credit derivative, ecc.) ▪ Validazione modelli interni di valutazione del rischio ▪ Effetti di portafoglio o Rischio di controparte8 o Rischio di mercato o Rischio operativo (i rischi inerenti alla gestione della banca, come furti, errori operativi ecc.) ➢ PILLAR II: Processo di vigilanza prudenziale (ICAAP; SREP). Questo è un aspetto molto importante del Pillar 2. Cos’è l’ICAAP (Internal capital adequacy assessment process)? È un processo, compiuto dalla banca stessa, per verificare l’adeguatezza del patrimonio bancario, ed è fatto segmentando l’attivo e ponderando i rischi. Cos’è invece lo SREP? La Banca d’Italia e la BCE fanno a loro volta un’attività di revisione, la quale prende il nome di Supervisory review and evaluation process (SREP). Al termine dello SREP, e cioè dopo aver esaminato l’ICAAP, l’andamento contabile, i flussi periodici d’informativa; dopo aver condotto eventuali ispezioni in loco ed aver esaminato 8 Un esempio di rischio di controparte: in un contratto di acquisto a termine di valuta, il rischio risiede nella possibilità che la controparte non mi dia, a scadenza, la valuta. Anche il rischio di controparte è simile al rischio di credito, ma il primo se ne distingue perché è specifico di date situazioni. Secondo bancaditalia.it, il rischio di controparte è un caso particolare di rischio di credito, caratterizzato dal fatto che l'esposizione, a motivo della natura finanziaria del contratto stipulato fra le parti, è incerta e può variare nel tempo in funzione dell'andamento dei fattori di mercato sottostanti. Il rischio di controparte assorbe meno capitale del rischio di credito. l’andamento del mercato attuale e prospettico, si stabilisce se il coefficiente patrimoniale minimo è adeguato o meno. Il Pillar 2 stabilisce regole anche per i seguenti rischi: o Rischio di liquidità o Rischio di tasso (il rischio di tasso non identifica solo l’effetto che la variazione di un tasso ha sul sottostante, ma anche l’effetto che la variazione di un tasso può provocare su tutto l’attivo e sui bond emessi). o Rischio strategico o Rischio reputazionale ➢ PILLAR III: Trasparenza e disciplina di mercato ☆L’influenza delle regole di vigilanza macro e macroprudenziale si riflette su tutto il processo del credito, avvicinandolo a criteri più vicini a quelli di mercato. Tutto ciò avviene quindi: - Nella gestione del rischio; - Nella valutazione del rapporto rischio/rendimento9 - Nell’adozione di strumenti di rating (interni ed esterni10) - Nell’adozione di prassi standard sia di tipo tecnico che informativo. Per quanto riguarda più nello specifico la misurazione del rischio di credito, sono consentiti metodi diversi. All'aumentare della profondità ed affidabilità del modello (cui corrisponde, per forza di cose, una maggiore complessità del modello stesso e degli strumenti adottati, ed una più ampia base informativa disponibile per l'elaborazione) corrisponde, a parità di condizioni, una minore valutazione del rischio e, di conseguenza, un minor assorbimento patrimoniale. Per esempio, uno stesso credito potrà avere una ponderazione del rischio differente per due banche A e B se la prima utilizza il metodo standard e la seconda il metodo IRB. Anticipando quello che verrà poi ripreso successivamente, abbiamo: ➢ Metodo standard o Ponderazione in base a: a. Rating esterni b. Classe di attività (grandi imprese, PMI, famiglie consumatrici, enti pubblici ecc.) ➢ Metodo IRB (Internal Rating Based): o IRB Foundation o IRB Advanced Il Metodo IRB deve essere valutato da un’autorità di vigilanza prima di essere adottato; se questo modello ottiene il via libera, allora può essere utilizzato. 9 Ad un più alto rendimento atteso corrisponde sempre un rischio maggiore e viceversa. 10 Le agenzie di rating stabiliscono il rating di aziende, del debito delle società breve e medio termine, e di una singola emissione. Il rating influisce sulla possibilità da parte di date istituzioni finanziarie di acquistare certi titoli (prime fra tutti le banche centrali). Le banche hanno poi rating interni, cioè un set di indicatori capaci di dirci l’affidabilità dei clienti (e la loro probability of default). Tanto più il modello è approfondito e affidabile, tanto più la valutazione dei rischi si considera accurata. Come abbiamo detto la volta precedente, il corso affronterà lo studio della parte gestionale della banca, e quindi la sua operatività, e ciò sarà compiuto, per semplicità, per aree strategiche d’affari (ASA). Questo approccio alla materia di studio si rende necessario perché la banca è un’impresa multi-business, ossia che affianca, all’attività bancaria classica, un’operatività innovativa, la quale abbraccia l’intermediazione finanziaria a 360°. Ciò è possibile grazie all’art 10 del TUB, che qui riportiamo: <<1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l'esercizio del credito costituiscono l'attività bancaria. Essa ha carattere d'impresa. 2. L'esercizio dell'attività bancaria è riservato alle banche. 3. Le banche esercitano, oltre all'attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge.>> La banca può, quindi, fare tutto; il come lo possa fare è una scelta che spetta all’istituto bancario stesso. A livello macro abbiamo gruppi bancari e banche universali, a livello micro invece i modelli di business che la banca dovrà scegliere. Secondo la nuova normativa vigente, c’è quindi l’obbligo per la banca di dover definire il modello di business adottato e, sulla base dello stesso, viene anche redatto lo SREP, documento di valutazione supervisionato dall’autorità di vigilanza. L’ASA si presenta quindi come un’area nella quale viene rappresentata una peculiare attività bancaria. Le ASA sono la Retail, Private, Corporate e Institutional Banking. Il corso si occuperà solo delle prime 3 aree; l’area IB non presenta caratteri organizzativi e gestionali differenziati rispetto alle altre. Ciò che cambia piuttosto il destinatario dell’offerta bancaria, ossia i soggetti pubblici e gli organismi istituzionali. Andiamo adesso ad affrontare le problematiche dell’ASA Retail. Retail Come organizzeremo lo studio delle singole ASA? Partiremo innanzitutto con l’evidenziare le caratteristiche dell’area strategica d’affari in esame, per poi passare ai caratteri evolutivi, i profili organizzativi (e cioè come poi di fatto le banche organizzano la produzione e l’offerta di prodotti tipici specifici dell’ASA), l’offerta di prodotti/servizi (ossia come viene strutturata l’offerta, tralasciando però l’analisi dei prodotti “innovativi”) e i fattori critici di successo (i quali attengono a quelle che sono le strategie della banca nel presidiare con successo l’area strategica). Non è detto che le banche vadano a presidiare tutte le ASA con la stessa intensità, infatti ogni banca, in base al modello di business prescelto, andrà posizionarsi nelle ASA diversamente, e con strategie operative più o meno incisive. L’analisi dei fattori critici attiene quindi allo studio di questi ultimi aspetti. Detto questo, quali sono le caratteristiche dell’area Retail? L’area Retail è quella che abbraccia la, cosiddetta, “clientela al dettaglio”, e quindi nello specifico piccole imprese, consumatori, ecc. Le offerte e le strategie pensate per quest’area sono già abbastanza noti, per cui soffermiamoci in special modo sulle sue caratteristiche; queste sono: - Bassa sofisticazione delle esigenze finanziarie della clientela: il mercato Retail raccoglie una clientela con esigenze finanziarie poco sofisticate. Ciò ha anche delle conseguenze sul livello di sofisticazione del prodotto, il quale deve sempre rispecchiare le esigenze della clientela di sbocco. - Relativa offerta di prodotti e servizi di natura non complessa: le esigenze finanziarie poco sofisticate sono il simbolo di una clientela che richiede prodotti di tipo tradizionale. I prodotti/servizi dell’area Retail sono quindi non complessi. La ragione di esigenze poco sofisticate risiede anche nel fatto che la clientela retali possiede risorse finanziarie di importo limitato. Ma a cosa si fa riferimento quando si parla di “sofisticazione”? Si fa riferimento alla complessità di un prodotto. I prodotti complessi sono quelli che uniscono componenti di natura bancaria a componenti di natura non finanziaria (ad es. i servizi1). La complessità del prodotto dipende quindi dalla strutturazione dello stesso, e nella diversa combinazione tra le due componenti. Esempi di prodotti complessi sono le obbligazioni strutturate, ossia un bond a cui viene agganciata un’opzione (bond equity-linked, index linked ecc.). Altri prodotti complessi sono i fondi comuni d’investimento (alternativi o meno), gli hedge funds e le asset- backed securities. - Scarsa mobilità della clientela: la clientela retail non ha interesse a scegliere fra i prodotti offerti dalle banche. Ciò è vero perché i prodotti non complessi sono prodotti standardizzati, uguali per tutte le banche. La clientela retail tende quindi a privilegiare molto il rapporto che ha costruito con la banca, e non cambia spesso il proprio intermediario. C’è però da sottolineare poi che, nonostante siano sempre più informati, i clienti retail non sono diventati più esigenti (una clientela informata è solitamente più esigente). Questo è dovuto sempre al fatto che i prodotti richiesti sono standard, se non elementari. - Dimensione locale dei mercati: l’area Retail alimenta il “localismo bancario”, ragion per cui ancora oggi, nei luoghi dove l’intermediazione creditizia è l’attività principe delle banche, c’è forte competizione tra le banche di uno stesso territorio. Questo spiega la coesistenza delle grandi e piccole banche: nonostante gli alti costi di gestione a fronte di un numero ridotto di operazioni, le banche di piccole dimensioni resistono grazie al forte legame col territorio (= clientela retail). La necessaria vicinanza allo sportello richiesta dai clienti retail è quindi un punto di forza per le piccole banche. A luce di tutto ciò, in Italia si è soliti affermare che il localismo bancario è ancora una strategia perseguita da molte banche. Per capire come le banche di piccole dimensioni possano presidiare il territorio, spostiamoci alla trattazione del prossimo elemento. - Rete distributiva capillare: la vicinanza al cliente si realizza mediante la predisposizione e l’utilizzo di una rete distributiva, ossia tramite un numero di filiali elevato. La modalità di configurazione della rete distributiva è un indicatore della volontà di presidiare il territorio. Più è alto il numero degli sportelli, più è alta la volontà di presidiare il territorio. Ad esempio, 1 C’è differenza fra prodotto e servizio bancario: il prodotto è il risultato dell’intermediazione creditizia (es. impieghi e depositi); i servizi sono invece operazioni accessorie, le quali non derivano dall’intermediazione creditizia, ma piuttosto vi si agganciano. Questa differenza appena enunciata è data dal punto di vista “funzionale”; dal punto di vista invece “contabile”, la differenza fra prodotto e servizio bancario è la seguente: il primo impatta sul margine d’interesse; il secondo invece si presenta come un ricavo accessorio. I servizi vanno quindi ad alimentare il margine di intermediazione finanziario la Banca di Pisa e Fornacette ha molte filiali nel pisano, ma il numero tende a diminuire progressivamente nelle aree non limitrofe. Ma allora, la banca in questione intende servire la clientela retail principalmente nel territorio del riferimento. Una modalità con cui si può presidiare il territorio è attraverso l’apertura degli “sportelli leggeri”, i quali sono (praticamente) privi di back-office, ma con un front office pronto ad occuparsi del rapporto immediato con la clientela. Questo snellisce la struttura della filiale, impattando meno sulle componenti di costo della banca, ma garantisce un eguale presidio del territorio. Alla luce di quanto abbiamo appena visto, quali osservazioni si possono fare? Il retail non è un business omogeneo e unitario, ma piuttosto eterogeneo: non è un business unitario perché il retail contempla la presenza di due diversi operatori, le unità in surplus e quelle in deficit. La banca presidiante quest’area dovrà strutturare un’offerta rivolta sia al segmento dei risparmiatori, sia il segmento delle imprese. Ma allora, la banca presidia contestualmente la raccolta di risorse (presso il pubblico) e l’esercizio del credito. L’occuparsi di due categorie di clienti così diverse rende il business retail non unitario. Ma perché è un business non omogeneo? L’eterogeneità della clientela richiede politiche di differenziazione: Le due classi di clientela non richiedono politiche di “omogenizzazione” dell’offerta, ma piuttosto una differenziazione della stessa, e questo perché ogni classe si suddivide a sua volta in varie sottoclassi, ognuna con esigenze differenti. Se quindi la banca vuol presidiare strategicamente quest’ASA, essa deve procedere ad una differenziazione dell’offerta2. Ecco quindi venir meno l’omogeneità del business. Andiamo adesso a vedere quali sono i caratteri evolutive dell’area Retail. Quest’ASA si è evoluta nel tempo, per cui è giusto esaminare i caratteri evolutivi. Evoluzione dell’attività di Retail Banking: da una visione di “mercato di massa” ad un approccio orientato alla differenziazione Fino agli anni ’90, il segmento retail era indifferenziato, ovvero la banca non procedeva, assolutamente, alla differenziazione del prodotto, ma offriva alla clientela i prodotti tradizionali. La funzione dei servizi, che va a qualificare diversamente il prodotto stesso, non era ancora eccessivamente spinta. La clientela, dunque, si accontentava di quello che veniva offerto loro dalle banche. Come veniva organizzata la produzione? La produzione era organizzata in un’ottica di massimizzazione dell’efficienza operativa3. In questa maniera, le banche contenevano l’aumento dei costi e, di conseguenza, potevano lavorare in condizioni di efficienza. 2 Differenziare l’offerta non vuol dire “personalizzarla”: la differenziazione attiene alle diverse caratteristiche intrinseche del prodotto. Ad es., ad un prodotto di finanziamento (come l’apertura di credito) può avere più o meno servizi. Questo è ciò che si intende con “differenziazione”. La personalizzazione del prodotto attiene invece alla diversa tipologia di relazione tra banca e cliente. 3 L’efficienza operativa attiene al contenimento dei costi legati alla produzione ed offerta del prodotto (costi del personale, costi distributivi ecc.). L’efficienza operativa si raggiunge quando il costo incide in maniera minore in funzione della q.tà di prodotto offerto, ossia il costo unitario incide in maniera minore. Segmentazione della domanda proveniente dal settore retail Abbiamo visto quali sono i caratteri evolutivi dell’attività del Retail Banking, così come l’importanza che, all’inizio degli anni 2000, si comincia a dare alla relazione banca-cliente, la quale ha imposto alle banche la necessaria segmentazione del mercato di sbocco, allo scopo poi di differenziare l’offerta. Abbiamo studiato inoltre come il mercato retail è molto concorrenziale, dove i prodotti bancari finiscono quasi per fare le veci di beni perfettamente scambiabili (= commodities). Il segmento Retail contempla due diverse figure di operatori economici, le unità in surplus e le unità in deficit. La variabile di segmentazione maggiormente utilizzata, la quale ha anche un impatto immediato sul processo di segmentazione stesso, è la variabile patrimoniale (q.tà di risorse finanziarie detenute dagli operatori economici). La clientela viene quindi suddivisa in base al patrimonio finanzairio detenuto; almeno per quel che concerne le unità in surplus. Per quel che riguarda invece le unità in deficit, la variabile patrimoniale attiene alla voce “fatturato” o, in alternativa, al totale annuo di bilancio. Unità in surplus Le unità in surplus, nell’ambito del segmento retail, vengono suddivise in “Mass market” e “Affluent”, grazie al discrimine della variabile patrimoniale. I soggetti “mass market” sono quelli che detengono un patrimonio finanziario minore od uguale a 100.000 euro. Gli “affluent” invece detengono un patrimonio superiore ai 100.000 euro, fino ad un max di 1 mln di euro.1 Questi due macro-segmenti possono poi subire un’ulteriore sotto-segmentazione in funzione di altre variabili, come ad esempio l’età, la professione svolta, la natura giuridica ecc. Un’altra variabile di segmentazione, la quale contempla un aspetto più qualitativo, è relativa al tipo e la qualità di relazione che la banca intende intrattenere con la clientela. È chiaro che le politiche di offerta (distributive e di marketing) sono differenziate già in questi due segmenti, e questo perché la clientela presenta esigenze finanziarie diversificate. Normalmente, chi detiene un patrimonio inferiore ai 100 mila euro cerca prodotti a basso grado di sofisticazione, ossia standardizzati. Alla luce di ciò, la politica distributiva della banca è quella di andare ad incidere, ossia influenzare, la variabile ‘prezzo’, ossia offrire i suoi prodotti ad un prezzo competitivo. Ciò è reso possibile dalle banche andando a contenere i costi, dunque perseguendo obiettivi di economie di scala e di economie di scopo. La politica distributiva è perciò ‘capillare’, e in un certo senso potrebbe anche essere vista in contrasto con quelli che sono gli obiettivi di efficienza operativa (contenimento costi), infatti questo genere di rete comporta la presenza di costi di struttura abbastanza elevati. *In questo senso, c’è stata una forte pressione dell’authority per contenere i costi distributivi, e quindi per spingere le banche verso una politica di razionalizzazione della rete distributiva. Anche a Pisa molte filiali stanno chiudendo, magari lasciando spazio agli sportelli di nuovi istituti di credito. La sollecitazione proveniente dall’autorità di vigilanza è infatti quella, come abbiamo detto in precedenza, di contenere i costi distributivi, così da raggiungere livelli di efficienza operativa maggiori. Avrete quindi sentito parlare di contenimento dei costi del personale, anche attraverso l’uso di politiche di remunerazione più parche, a cui si affianca, come visto prima, la razionalizzazione della rete sportellare. *A seguito di questa sollecitazione, come hanno reagito le banche che hanno sempre voluto dare rilevanza al presidio del segmento mass market? Le banche si sono affidate allo sportello leggero, il quale garantisce la presenza della banca, ma con un personale molto contenuto e rivolto, prevalentemente, all’attività del front-office. 1 I confini fra le varie tipologie di clienti sono poi, nella realtà dei fatti, molto più labili di quelli descritti in teoria. Alcuni clienti mass market molto facoltosi possono avere esigenze assimilabili ad un cliente “affluent”, così come i cosiddetti clienti “Upper affluent” possono benissimo essere assimilati, per le loro esigenze, a quelli che definiremmo clienti “private”. Quando affronteremo il Private banking, vedremo infatti che, dopo un’evoluzione terminologica, la terminooìlogia indicante la classe di clientela di sbocco è cambiata nel tempo, ed oggi i clienti private devono possedere un patrimonio finanziario complessivo di più di 1 mln di euro. Le linee di demarcazione fra clienti sono quindi da considerare solo come indicative, così come il processo di presidio della clientela, ed il rapporto con la stessa, è da vedersi come fluido. Ma allora, non c’è alcun controsenso rispetto alla politica dell’autorità di vigilanza: le banche che intendono presidiare questo segmento utilizzano un approccio di vicinanza al cliente, ma lo fanno ricorrendo alla formula distributiva dello sportello leggero. Potremmo a questo punto domandarci come mai le banche non facciano direttamente affidamento a forme quali phone banking, internet banking ecc., le quali consentono di risparmiare ancor di più dello sportello leggero. La risposta è che quella parte di clientela ancora poco “tecnologica”, la quale è anche quella avente il più basso bisogno di sofisticazione dei prodotti bancari, tende a privilegiare un approccio più “analogico”, ossia preferisce lo sportello. ✩Passiamo invece ad esaminare le unità in surplus dette “affluent”, in virtù di un patrimonio finanziario elevato. In funzione della più alta variabile patrimoniale2, le esigenze di questi clienti differiscono da quelle del mass market, rendendo l’approccio della banca verso questi soggetti molto simile a quello attuato verso i clienti con patrimoni ben più cospicui. Questi clienti richiedono, a differenza dei mass market, un approccio personalizzato.3 Entra quindi in gioco, per i clienti affluent, un fattore rilevante della personalizzazione del servizio, ossia l’elemento fiduciario. Oltre a quanto detto finora, è da notare come i bisogni consulenziali dei clienti affluent sono, a volte, al limite del cliente private. Ad esempio, gli upper affluent tendono a richiedere alla banca un prodotto “base”, a cui si agganci però un’attività consulenziale spinta, la quale è una caratteristica tipica dell’offerta Private. *La parte consulenziale (comprendente l’elemento fiduciario) è la parte qualificante del rapporto tra banca e clientela private. La categoria di cliente Retail per gli upper affluent comincia, quindi, ad essere un po' stretta. Unità in deficit La clientela dal lato della “domanda” di denaro prevede la segmentazione fra Piccoli operatori economici (POE) e Small Businesses. I POE sono quei soggetti (ad es. imprenditori o lavoratori autonomi) che registrano annualmente un fatturato nei limiti di 1 mln di euro. Trattandosi di piccoli operatori, la banca offrirà loro i prodotti base dell’intermediazione tradizionale. Ad es., se un POE ha bisogno di un finanziamento, rendere liquido il portafoglio crediti, oppure ha bisogno di un c/c di corrispondenza attivo4, la banca andrà a fornire prodotti base, aventi una complessità molto contenuta. Le Small Businesses sono invece ulteriormente sotto-segmentate, e consentono di garantire la differenziazione del prodotto bancario. Le Small Businesses, in generale, hanno un fatturato annuo compreso fra 1 mln e 2.500.000 euro, e in generale richiedono alla banca un approccio più articolato nel definire i propri prodotti, e questo perché le imprese richiedono un servizio di tipo consulenziale. *Quando parleremo di “prodotti ad elevato valore aggiunto”, vedremo che si farà riferimento a quei prodotti che hanno una forte componente consulenziale. Questa componente è quella che fa, oggi, 2 Il patrimonio è da intendere come “patrimonio complessivo”. 3 L’approccio personalizzato attiene alla relazione; la differenziazione invece attiene alla qualità intrinseca del prodotto. 4 https://www.facile.it/conti/guida/conto-corrente-di-corrispondenza-cos-e-come-funziona.html nel suo customer database. L’elaborazione dei dati serve a delineare il profilo finanziario comportamentale del cliente. Conoscere il comportamento del cliente consente alla banca di posizionarsi in maniera “proattiva” verso il mercato. b) Partizionamento: consiste nell’andare a classificare la clientela in funzione del profilo finanziario comportamentale. Ciò consente di anticipare le esigenze finanziarie del segmento prescelto dalla banca. c) Selezione: è una fase strategica per la banca; una volta suddivisa la clientela in fasce, la banca deve andare ad individuare quella parte di clientela che vuole presidiare in maniera più incisiva. Ciò è necessario perché, nella prassi operativa, non sempre tutte le banche che svolgono retail banking pongono la stessa attenzione nella costruzione di un’offerta ad hoc per tutti i segmenti individuati. Alcuni istituti bancari potrebbero infatti preferire un segmento piuttosto che un altro. Un esempio può essere la presenza di una banca orientata verso la creazione di prodotti per attrarre il risparmio familiare. d) Posizionamento: attiene alle strategie che le banche pongono in essere per presidiare il territorio. Abbiamo detto che la segmentazione rappresenta un passaggio fondamentale per arrivare alla diversificazione. Lo scopo di quest’ultima è contrastare la concorrenza nell’ASA Retail, tipica di quest’area, e portare la banca verso margini di profitto durevoli. Chiediamoci adesso: quali sono i fattori di differenziazione? Come si differenzia l’offerta? I principali fattori di differenziazione possono essere: - Servizio (ormai lo abbiamo capito: uno stesso prodotto, ma affiancato da più o meno servizi, determina un prodotto differenziato. Al di là del fatto che un servizio sia più o meno costoso per l’intermediario, quel che cerca la banca è la creazione di una relazione duratura col cliente) - Marchio - Qualità - Ampiezza dell’offerta - Efficienza - Tecnologia - Abilità nell’introdurre nuovi canali distributivi Questi fattori si distinguono tra tangibili e intangibili; quello che possiamo notare è che tutti questi aspetti finiscono per influenzare il rapporto di relazione banca/cliente. Tutti quegli elementi di natura consulenziale, professionale ecc. sono tutti fattori che influenzano sia la qualità della relazione, sia i risultati di periodo della banca. Come vedete, nella lista non compare la variabile “prezzo”; ciò è normale perché quando un prodotto è diverso da un altro, esso non è confrontabile → il prezzo lo fa la banca. Questo non è un elemento da sottovalutare (nelle politiche strategiche): oggi, dati i nostri tassi d’interesse, il profitto sul credito è praticamente assente. Ciò però è anche dovuto al fatto che i contraenti sono più informati che in passato. Ma allora, le banche sono sempre alla ricerca di nuovi margini di guadagno, e per far ciò utilizzano sempre più spesso fattori intangibili. ★Una volta compiuto il processo di segmentazione, cosa succede? Il processo di segmentazione è un processo “soggettivo”, il quale non è uguale per tutte le banche. Anche se, tipicamente, la variabile di prima segmentazione è quella patrimoniale, ossia l’aspetto finanziario; la sotto-segmentazione, tuttavia, avviene attraverso l’utilizzo di una serie di variabili le quali cambiano da banca a banca. La sotto-segmentazione, quindi, finisce per variare a seconda dell’intermediario bancario considerato. Il processo di segmentazione della clientela è anche “relativo”, perché si basa solo su alcune variabili quali l’età del cliente, il sesso, la professione ecc., e “dinamico”, e questo perché il mercato di sbocco muta costantemente. Per quest’ultima caratteristica, il processo di segmentazione viene ripetuto con scadenze periodiche. In generale, il processo viene ripetuto semestralmente, ma in presenza di mercati assolutamente volatili, il processo di segmentazione viene revisionato ogni tre mesi. I profili organizzativi dell’attività di Retail Banking Dopo aver studiato i caratteri evolutivi, andiamo a vedere come si implementa il processo di distribuzione dell’offerta delle banche. Nell’area Retail, gli approcci nella distribuzione del prodotto sono essenzialmente due, uno “tradizionale” ed uno “innovativo”. L’approccio tradizionale viene definito quando la clientela di sbocco è data da mass market (per le unità in surplus) e POE (per le unità in deficit). Questi sono normalmente soggetti che richiedono un’elevata standardizzazione dei prodotti, per cui l’offerta è gestibile tramite quei canali distributivi che sono comuni a più intermediari. Le operazioni a cui la banca dà maggior attenzione sono le operazioni di sportello, per cui nell’approccio tradizionale il back office gioca un ruolo di secondo piano. Diverso invece è l’approccio innovativo, il quale è rivolto a quella clientela che comincia ad aver necessità di una differenziazione dell’offerta. La differenziazione è legata al servizio offerto congiuntamente al prodotto, per cui gioca un ruolo importantissimo la consulenza commerciale e l’utilizzo di canali distributivi innovativi. Un esempio di canali innovativi sono le operazioni automatizzate (es. internet banking). Nell’approccio innovativo, quindi, la banca si orienta all’erogazione di un prodotto secondo una logica di approccio innovativo nella distribuzione, e fa ciò per i clienti affluent e gli Small Businesses. A questo punto, iniziamo lo studio dei prodotti innovativi… dalla prossima volta. L’altra volta abbiamo fatto una lezione di carattere generale, così da vedere quale sarà il percorso che affronteremo insieme. Come abbiamo già visto, la compliance è l’ossatura di ogni azienda, non necessariamente bancaria, la quale si trovi nella posizione di rispettare delle regole esterne. La funzione di conformità è quindi quella che sorveglia l’aderenza alla normativa esterna dell’attività aziendale svolta. La funzione di conformità ha una doppia funzione, una ex ante ed una ex post: 1. La funzione ex ante consiste nell’interpretazione della normativa esterna, e nel comunicare all’azienda cosa si possa fare o non fare. La funzione ex ante si esplica anche al contrario: l’azienda si rivolge alla funzione di compliance per sapere se è ammessa o meno una determinata azione; ad es., se una banca, per arrotondare i propri guadagni, decide, nell’ambito dell’attività bancaria, di fare scommesse online o comprare bitcoins1, andrà a chiedere se queste attività sono legali alla compliance. L’ex ante della compliance, quindi, consiste nel dire se e come si può portare a termine un’attività. 2. La funzione ex post, invece, consiste in un piano di controlli che cerca di stabilire se le attività compiute dalla banca sono conformi alla legge. Se qualche attività va contro la legge, la compliance deve far “correggere il tiro” all’intermediario e misurare un rischio sanzionatorio. Ma che cosa si intende per “rischio sanzionatorio”? Il peso della compliance oggi sta diventando notevole anche perché, stando alle regole della BCE e della vigilanza europea, se la banca sbaglia deve pagare sanzioni pecuniarie cha vanno dal 4 al 10% del fatturato. In questa maniera, la BCE sa che le banche (così come ogni altra azienda), pur di non dover lavorare un mese gratis solo per ripagare una sanzione, si rivolgeranno alle loro compliance per essere sempre in regola. *Oggi la compliance fa anche “alerting normativo”, ossia la funzione di conformità non lavora solo sulle leggi che sono già in vigore, ma anche su quelle che devono uscire. Il problema delle norme in ambito finanziario è che comportano spesso grandi cambiamenti. In particolare, i grandi cambiamenti sul lato della tutela dell’investitore sono tali che, nel progettare nuovi prodotti finanziari, è meglio rivolgersi alla compliance prima (= compliance by design). L’alerting normativo è una parte molto importante del lavoro della compliance e questo perché, a seguito delle numerose innovazioni in ambito finanziario e tecnologico in generale, vi è una grande produzione di normative europee, così come dell’aggiornamento di quelle già esistenti. L’aggiornamento spesso avviene ancor prima che la norma si stata portata a compimento. A tal proposito, a livello europeo troviamo lo strumento della “consultazione”: se la BCE, o altre autorità europee come l’EBA o l’ESMA2, vogliono emanare una normativa, compiono prima una consultazione, ossia rendono noto il disegno di legge e attendono le opinioni di chi vuole partecipare 1 La tecnologia blockchain alla base dei bitcoins viene usata oggi anche per le tracciature di tipo contabile, operativo ecc. Addirittura, la tecnologia blockchain, in futuro, potrebbe sostituire l’odierna metodologia di contabilizzazione dei crediti e debiti della banca, così come potrebbe far scomparire la figura del notaio. Tutte le banche centrali, così come le autorità di vigilanza nazionali, stanno poi studiando i bitcoins per la seguente motivazione: ci potrebbero essere delle opportunità per fare una criptovaluta di Stato, mettendo all’angolo truffatori e criminalità organizzata. 2 European Banking Authority e European Securities and Markets Authority. La Capital Requirement Directive IV (Directive 2013/36/EU) La CRD IV è la madre di tutte le direttive del sistema bancario e, in generale, degli intermediari finanziari. La direttiva stabilisce le regole di accesso all’attività degli enti creditizi e la vigilanza prudenziale sia sugli enti creditizi, sia sulle imprese d’investimento. Cosa significa questo? Significa che vi sono delle regole per l’accesso all’attività creditizia, così come delle regole per rimanerci. L’attività di vigilanza è infatti un’attività svolta continuamente sul sistema finanziario, e serve a monitorare sia il mantenimento dei requisiti patrimoniali richiesti agli intermediari, sia i meccanismi che soggiacciono ai requisiti stessi. La CRD IV nasce a seguito di modifiche e aggiornamenti apportati a testi di legge precedenti. I requisiti patrimoniali richiesti sono notevolmente cambiati a seguito della CRD IV, soprattutto includendo diverse attività di controllo. Andiamo quindi a leggere i “Considerando” che aprono il testo della direttiva 2013/36/EU, cioè la CDR IV, così da capire meglio di cosa tratta. La CDR IV apre affermando che la direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio, così come la direttiva 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio3, relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese d’investimento e degli enti creditizi, sono state notevolmente modificate in varie occasioni. (Molte disposizioni delle direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE si applicano sia agli enti creditizi che alle imprese d’investimento). Il regolatore, resosi conto che, rispetto alle direttive precedenti, era nata una pletora di nuove normative per le quali (al di là della compliance) l’operatore finanziario, per sapere se avesse potuto lavorare, avrebbe dovuto studiarsi un numero elevato di leggi, ha deciso di accorpare le varie norme nella CRD IV. Sempre per ragioni di chiarezza, e per assicurare l’applicazione coerente di tali disposizioni, è stato anche emanato un Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013. Oggi sono quindi due i testi di legge di riferimento: il CRD IV e il CRR, o Capital Requirements Regulation. I due testi impongono una serie di requisiti molto capillari. La presente direttiva CRD IV contiene poi: - disposizioni che disciplinano l’autorizzazione all’attività; - l’acquisizione di partecipazioni qualificate; - l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi; - i poteri in materia delle autorità di vigilanza dello Stato membro d’origine e di quello ospitante; - le disposizioni disciplinanti il capitale iniziale e la revisione prudenziale degli enti creditizi, ma anche delle imprese d’investimento. *La CRD IV ha come obiettivo e come oggetto il coordinamento delle disposizioni nazionali relative all’accesso all’attività degli enti creditizi e delle imprese d’investimento, le modalità della loro governance e il quadro di vigilanza. Le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE contenevano anche requisiti prudenziali relativi agli enti creditizi e alle imprese d’investimento. Detti requisiti sono oggi previsti nel regolamento (UE) n. 575/2013, il quale fissa requisiti prudenziali uniformi e direttamente applicabili a carico degli enti creditizi e delle imprese d’investimento, dato che detti requisiti sono strettamente correlati al funzionamento dei mercati finanziari per quanto riguarda una serie di attività detenute dagli enti creditizi e dalle imprese d’investimento. La CRD IV dovrebbe pertanto essere letta in tandem con il disposto del Regolamento n. 575/2013 e, unitamente a tale regolamento, formare il quadro normativo di disciplina delle attività bancarie, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento. 3 Entrambe le leggi sono state emanate il 14 giungo 2006. *Dopo la CRD IV, l’accesso all’attività creditizia è regolato o dalla BCE, se si è vigilati direttamente da Francoforte, o Bankitalia, e sempre seguendo i requisiti della direttiva e della CRR. I requisiti prudenziali generali fissati nel regolamento (UE) n. 575/2013 sono integrati da dispositivi specifici decisi dalle autorità competenti a seguito del programma permanente di revisione prudenziale di ogni singolo ente creditizio e di ogni singola impresa d’investimento. Come afferma il legislatore nel Considerando n. 3, è opportuno, tra l’altro, che la gamma di tali dispositivi di vigilanza sia stabilita nella CRD IV e che le autorità competenti possano scegliere in merito ai dispositivi da imporre. Per quanto riguarda i dispositivi specifici riguardanti la liquidità, le autorità competenti dovrebbero tener conto, fra l’altro, dei principi fissati negli orientamenti sull’allocazione dei costi e dei benefici in materia di liquidità (Guidelines on Liquidity Cost Benfit Allocation) del 27 ottobre 2010 del Comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria. *Ma che cos’è il “programma permanente di revisione prudenziale”? Questo programma è chiamato SREP (Supervisory Review and Evaluation Process), ed è un percorso di revisione dei requisiti creditizi che la BCE assegna ad ogni singola banca europea. A seguito dello SREP, la BCE stabilisce se i requisiti in essere sono sufficienti o se, invece, qualcosa vada cambiato, non solo a livello di capitale (ad es., la BCE può dire ad un intermediario: - Queste attività la banca deve svolgerle diversamente; la compliance deve introdurre il rispetto di altre regole, non abbastanza considerate ecc.). Tutto questo viene tradotto in soldi: nel processo SREP, ogni anno viene assegnato alle banche un obiettivo per essere promosse, affiancando a ciò una valutazione su quel che è stato fatto l’anno precedente. Così come riporta il sito www.bankingsupervision.europa.eu: <<Le autorità di vigilanza svolgono un regolare esercizio di valutazione e misurazione dei rischi a livello di singola banca. Questo momento fondamentale dell’attività di vigilanza, denominato “processo di revisione e valutazione prudenziale” (supervisory review and evaluation process, SREP), consiste nel sintetizzare i risultati emersi dall’analisi per un dato anno e nell’indicare alla banca le azioni da intraprendere. Nello specifico, lo SREP mette a fuoco la situazione dell’intermediario in termini di requisiti patrimoniali nonché di gestione dei rischi. Nella decisione SREP, che l’autorità di vigilanza invia alla banca a conclusione del processo, si definiscono gli obiettivi fondamentali per fronteggiare le problematiche riscontrate. La banca deve quindi effettuare un intervento correttivo nei tempi previsti. Le Joint Supervisory Teams (JST), impegnate nel processo SREP in modo continuativo, preparano una decisione SREP per ogni banca una volta l’anno. La banca riceve una lettera nella quale si specificano le misure che dovrà attuare l’anno seguente. La decisione SREP è calibrata in base al profilo della singola banca. In generale, ogni banca è tenuta a rispettare i requisiti normativi concernenti l’ammontare minimo di capitale che deve detenere (cosiddetto “primo pilastro”). Qui entra in gioco lo SREP. Nella decisione SREP, messa a punto per la singola banca, l’autorità di vigilanza può richiedere di detenere capitale aggiuntivo e/o fissare requisiti qualitativi (cosiddetto “secondo pilastro”). Questi ultimi possono riferirsi alla struttura di governance o alla gestione della banca. Le singole decisioni SREP supportano anche altre attività di vigilanza e contribuiscono al monitoraggio accurato e continuo delle banche. Confluiscono altresì nella pianificazione strategica e operativa per il L’Evoluzione della normativa regolamentare Nelle prossime lezioni, tutto ciò che vedremo ha avuto origine nei primi 10 anni del 2000, anni in cui ha avuto luogo un percorso di convergenza degli ordinamenti UE. Oggi, qualsiasi cosa si faccia nel campo della gestione degli intermediari finanziari, tutti gli intermediari seguono la stessa base normativa. Dal punto di vista delle banche, invece, l’evoluzione normativa ha a che fare con la BRRD, la direttiva che regola non la fase ex ante, ma quella ex post. Si regola, in altre parole, il comportamento delle banche nel caso debbano affrontare delle crisi (siano esse riferite alla singola istituzione creditizia o al tutto il sistema), stabilendo anche delle regole in caso di fallimento delle banche. *Qual è l’incastro normativo vigente? Pur non essendo ancora tutto in essere (e questo perché ancora non tutte le normative sono entrate in vigore), possiamo affermare quanto stiamo per vedere. • Vi ho detto che, per i requisiti patrimoniali, era stato emanato un regolamento unico n. 575/2013 – CRR. È però entrato tra poco in vigore il CRR II, il quale inasprisce alcune regole, così come ne precisa altre, sempre nell’ambito dei requisiti patrimoniali. • Il Regolamento sul meccanismo di risoluzione unico (n. 806/2014 – SRMR4), il quale fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico, è stato sostituito. • La CRD V va a modificare la CRD IV La tabella nella slide è l’odierna ossatura della normativa sui requisiti patrimoniali per gli intermediari bancari. 4 Single Resolution Mechanism → con questo nome si indica che la BCE detta delle regole generali per la risoluzione della singola banca. Come abbiamo detto, ogni banca europea viene vigilata; in particolare, la BCE si avvale dell’aiuto dei JST. Se una banca ha dei problemi tali che, nonostante lo SREP e tutti i percorsi previsti, non possono essere risolti, la banca non fallisce dalla sera alla mattina, ma deve seguire un percorso di risoluzione (resolution). Questo percorso è delineato dal regolamento SRMR. La BRRD Il
BRRD 2: principali modifiche (1/4)
ECO
Descrizione
apportate
Ampliamento del perimetro delle passività escluse dal baik-in, tra
Ambito di . n) alirioae er lncma sd
‘applicazione CCP di paesi terzi, riconosciute dall'ESMA;
del bail-in * le passività nei confronti di enti o altre società finanziarie, appartenenti allo stesso gruppo di
risoluzione ma che non sono entità di risoluzione, salvo diversamente previsto dal diritto nazionale.
AI fine di garantire un'efficace attuazione della strategia di risoluzione prescelta (Single Point of Entry
- SPE o Multiple Point of Entry - MPE), la BRRD Il introduce il concetto di «entità di risoluzione»,
ossia l'entità del gruppo a cui si applicherebbero le procedure di risoluzione, e «gruppo di
risoluzione», composto dall'entità di risoluzione e dalla sue filiazioni.
» Sel'ente è una “entità di risoluzione”, il MREL (c.d. External MREL) si applicherà solo a livello di
zoo del gruppo di risoluzione su base consolidata. Le entità di risoluzione saranno obbligate ad emettere
OR, strumenti ammissibili ai fini MREL, a favore di creditori terzi (estemi al gruppo) che sarebbero
A sottoposti al bail-in qualora venga avviata la risoluzione dell'entità di risoluzione (cioè il gruppo di
livello di risoluzione).
applicazione del» se rente non è una “entità di risoluzione”, il MREL (cd. Internal MREL) sarà applicato a livello
lia individuale e sarà costituito da passività computabili emesse internamente al gruppo e acquistate
MREL) dali ‘entità di risoluzione. Tuttavia, l'Autorità di risoluzione può:
‘consentire di soddisfare il requisito, interamente o parzialmente, mediante la concessione di
una garanzia fornita dall’entità di risoluzione, assistita da una garanzia reale mediante un
‘contratto di garanzia finanziaria per almeno il 50% del suo ‘importo;
* derogare completamente all’applicazione dell’ Internal MREL (waiver), purché sia l'entità di
risoluzione che le sue filiazioni siano stabilite nello stesso Stato membro, e l'entità di risoluzione
‘soddisfa il requisito MREL consolidato.
; principali modifiche (2/4)
| BESIECIO
ECCO
* Il requisito è determinato, caso per caso, dall'Autorità di Risoluzione (AR) ed è espresso come
percentuale degli RWA e della misura dell'esposizione complessiva del /everage ratio
(Leverage Ratio Exposure — LRE) e non più del totale dei fondi propri e delle passività ammissibili
(TLOF);
È di bau fico a pari ala co dei Sia
|. l'importo delle perdite previste in caso di risoluzione, corrispondenti ai requisiti di fondi propri
dell'ente (Loss Absorption Amount = P1 + P2 / Leverage Ratio),
Nuova 2. l'importo di ricapitalizzazione che consente all'ente di soddisfare, dopo la risoluzione, i requisiti
cali del di ra ODI eco dari covaorcaa pei e esp avion
isito MREL di risoluzione scelta per un periodo di tempo adeguato non superiore a un anno
requisito (Recapitalization pesi = pars Ratio);
3. PE Na A a de ‘a seguito della
di
capital te):
MREL TARGET = LAA + RC + MCB = [2 *(P1+P2) + (CBR-CCyB)]°RWA] e [2° (3% “LRE)]
Requisito di subordinazione espresso come percentuale di RWA e Leverage Ratio Exposure
(LRE)
= TLAC per le G-SIB (18% RWA e 6,75% LRE); possibile sconto del 3,5% RWA dal requisito di
subordinazione;
= Perle banche «Top Tier» (banche non G-SIB con un totale attivo superiore a 100 €/mid) o altre
ivazina banche sistemiche il requisito è pari a 13,5% RWA e 5% LRE;
sito di Requisito di subordinazione espresso come percentuale basata sul Tota/ Liabilities and Own
Foe È Funds (TLOF):
ROTAZIONE = G-SIB, Top Tier Bank e altre banche sistemiche devono soddisfare:
» 8%TLOF;
=» 8% TLOF x (1-—3.5% RWA/(18% RWA + CBR))), in caso di sconto fino a un massimo di 3,5%
RWA (allowance),
* Perle banche «Top Tier» è previsto un cap pari al 27% dei RWA
ELGIN]
Art. 2, par.
1
Art 45
Gi
lil)
Art.45
Art. 45
quater
Tutte le regole sono relative al rischio di tasso d’interesse all’interno della CRD 5. Ma c’è di più: oggi la compliance deve monitorare sul lavoro del CRO, il quale ha, pur sempre, una funzione di controllo all’interno dell’impresa bancaria. Questo è sintomatico della severità raggiunta dalla normativa europea. A tutto questo si va ad aggiungere, come riportato nella slide, ai requisiti aggiuntivi di fondi propri (Pillar 2 Requirement and Guidance). La scorsa lezione abbiamo cominciato a capire quale sia l’ambiente in cui vive l’azienda bancaria, un’azienda (ovviamente) molto particolare. Come disse un vecchio banchiere, Raffaele Mattioli1, la banca è un’azienda particolare, la quale si assume una grande responsabilità verso l’economia. A ciò segue quindi che ogni suo errore è sempre troppo grave, e ogni sua cautela non è mai abbastanza. Attraverso lo studio delle principali aree che compongono la gestione bancaria, impareremo a conoscere le dinamiche più importanti dell’ambiente in cui si muove la banca, così come l’importanza della regolamentazione. Con “regolamentazione” non intendiamo solo quella finanziaria, ossia quella legata alle regole contabili, ma anche alle regole prudenziali. Queste due regolamentazioni hanno dei fini molto diversi: mentre le regole prudenziali hanno come fine ultimo la stabilità del sistema finanziario, le regole finanziarie sono invece dettate per garantire una corretta scrittura dei bilanci, attraverso i quali sarà possibile garantire un’informazione su quel che è stato l’andamento della banca nel periodo considerato. *Nella scorsa lezione abbiamo parlato dei sistemi finanziari, e della loro tradizionale suddivisione in sistemi “bank-based” (bancocentrici) e quelli “market-based”. Fra i due sistemi, i processi sono diversi, ed è per questo che si suole distinguerli, nonostante (come abbiamo studiato) l’evoluzione degli intermediari e degli strumenti/metodologie ha portato a dei fattori di convergenza. Ciò significa che, ad es., in un sistema bank oriented, il quale (come conseguenza sul bilancio) comporta che la banca origini l’operazione e poi la mantenga sui propri libri2 allo scopo di ricavarne un guadagno, il rischio correlato a questa operazione viene mitigato tramite strumenti molto avanzati. *Il rischio legato alle operazioni di finanziamento deve essere attentamente individuato, valutato, misurato, mitigato e monitorato. Come mai si rende necessario tutto ciò? Il rischio, purtroppo, non incide solo in maniera immediata e diretta sulla profittabilità della banca (se il credito è in bonis, mi genererà interessi, commissioni ecc., se il credito è deteriorato (NPL3) mi genererà delle perdite), ma anche sull’adeguatezza patrimoniale della banca, ossia sulla capacità dell’intermediario di fronteggiare, col proprio patrimonio, i rischi che si assume. Se l’adeguatezza patrimoniale non è sufficiente, si deve rimediare. Come abbiamo visto, per stabilire l’adeguatezza del patrimonio, si parte dal Common Equity Tier 14: se il valore di questa grandezza non rientra in dei valori accettabili, non rimane che aumentare il numeratore e/o diminuire il denominatore. Agire sul numeratore, tuttavia, può non essere facile (mancanza di risorse sul mercato, o risorse offerte a condizioni inaccettabili); agire invece sul denominatore porta ad una riduzione della profittabilità dell’attivo, e quindi anche in via indiretta sul patrimonio, il quale non sia alimenta 1 Raffaele Mattioli è stato un banchiere, economista e accademico. Per il suo impegno a favore della cultura è spesso ricordato come il “banchiere umanista”. Entrato nella Banca Commerciale Italiana (COMIT, confluita oggi in Banca Intesa) negli anni ’20, quand’era ancora giovane, ha preso parte alla stesura della Legge Bancaria all’inizio degli anni ’30. È successivamente diventato presidente della COMIT, carica che ha ricoperto fino al 1972. 2 Si guardi al finanziamento e alle sue caratteristiche: negoziazioni one-to-one, personali, non pubbliche ecc. 3 Non-performing Loan. 4 CET1 deriva dal rapporto fra il capitale di prima qualità (il quale non coincide esattamente col dato contabile) col totale delle attività ponderate per il rispettivo rischio. tramite gli utili di esercizio (la struttura dei costi, poi, tende (almeno nel breve) a rimanere invariata, soprattutto in presenza di costi fissi)5. Uno dei costi fissi è dato dal personale, al quale abbiamo accennato parlando del modello di business; il personale è nativo di un’epoca in cui la digitalizzazione e la smaterializzazione non erano presenti, così come di alcune attività che richiedono preparazione e capacità di utilizzazione di alcuni strumenti complessi. *La volta scorsa abbiamo parlato anche della regolamentazione anche sotto l’aspetto macro e micro-prudenziale. Le regole macroprudenziali sono quelle norme che si riferiscono al tutto il sistema, e quindi a tutti gli intermediari indistintamente; le microprudenziali, invece, sono regole (soprattutto di vigilanza) che si applicano ai singoli intermediari. A tal proposito, vedremo che, ad es., per la determinazione dell’adeguatezza patrimoniale, esiste un coefficiente base, ma l’autorità di vigilanza si riserva la possibilità di imporre misure addizionali. Tutto questo avviene in funzione di due driver fra di loro collegati, ovverosia la rischiosità e la redditività. *Sempre facendo degli accenni su quelle che sono le regole di vigilanza, abbiamo visto che queste ultime derivano dagli accordi di Basilea. Le regole di vigilanza hanno quindi origine dalla fine degli anni ’80, ma sono state implementate costantemente nel corso degli anni, o introducendo un nuovo set di regole, o andando ad aggiornare regole preesistenti. Attualmente siamo sotto il regime del, cosiddetto, Basilea III, la cui impalcatura regolamentare deriva da Basilea 2. Basilea III ha aggiunto, rispetto alla normativa precedente, nuove regole, soprattutto dal punto di vista della liquidità e sull’informativa, e stiamo viaggiando verso ulteriori misure. L’informativa, denominata anche “Terzo Pilastro”, è soprattutto di natura patrimoniale. Oggi, l’informativa patrimoniale è stata arricchita al punto da non essere più contenuta nel fascicolo di bilancio, ma su un fascicolo a parte, detto “informativa di Terzo Pilastro”. *Abbiamo poi visto la distinzione fra i vari rischi; abbiamo infatti i rischi di primo pilastro (i quali devono essere tutti fronteggiati tramite una porzione di capitale). Il rischio di 1° pilastro che assorbe più capitale è il “rischio di credito”. Mediamente, nelle banche italiane, il rischio di credito assorbe quasi 2 3 del capitale adibito ai rischi di primo pilastro. Passando adesso ai rischi di secondo pilastro, possiamo affermare che, dopo Basilea 3, oltre ai rischi di tasso, strategici e reputazionali, vengano ricompresi in questa categoria anche i rischi di liquidità. Il secondo pilastro prevede poi due processi, ugualmente importanti, per la valutazione dell’adeguatezza del patrimonio. Il primo, compiuto dalle banche internamente, è l’ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment Process), un processo che consente all’istituto finanziario di valutare in autonomia la propria adeguatezza patrimoniale. La responsabilità della stesura dell’ICAAP ricade sulle spalle del CdA6; a ciò segue che gli amministratori devono essere professionisti in grado di individuare, da soli, non solo le linee guida strategiche (= piani industriali), l’adeguatezza degli assetti organizzativi, il risk appetite (o propensione al rischio) della banca (e quindi il tipo di operazioni che la banca può fare), 5 Ancora oggi, le reti distributive fisse (es. fabbricati) sono ancora presenti e molto estese. 6 Il CdA è denominato da Bankitalia come “l’organo di supervisione strategica”. Il CdA è quindi sì un organo gestionale, ossia che si occupa di date operazioni di grande rilevanza, ma anche della supervisione dell’intermediario creditizio. *La norma contabile, molto spesso, lascia anche molta discrezionalità nella sua applicazione. Da questa caratteristica non era esente nemmeno nell’IAS 39. Ciò ha fatto sì che in passato alcune perdite, sfruttando i cavilli della discrezionalità, non fossero registrate nelle scritture contabili delle banche (→ non-reported losses). Ciò ha però avuto la seguente conseguenza: sempre durante la fase di backward-looking, nei periodi in cui le cose sembravano andare bene, non venivano effettuati copiosi accantonamenti, esponendo le banche al rischio di ritrovarsi numerosi NPLs nei loro attivi non appena il ciclo economico fosse diventato negativo (così come è poi successo più di una volta nel corso degli anni 2000). Queste perdite, naturalmente, se di alto valore, non possono che intaccare anche il valore del patrimonio netto e, conseguentemente, il patrimonio di vigilanza. Questo porta (nelle situazioni più estreme) non solo a cercare nuovi fondi, non solo a svendere gli attivi bancari, ma anche a diminuire la cessione di prestiti (→ credit crunch). Questa situazione, come abbiamo detto in precedenza, si sviluppa durante fasi decrescenti del ciclo economico → una stretta alla concessione dei prestiti peggiora la situazione di crisi finanziaria del Paese, portando ad effetti pro-ciclici. Capite bene, adesso, come mai le regole, non solo contabili, ma del sistema bancario siano divenute, dopo la crisi del 2008, sempre più prudenziali. Ma c’è di più: se noi andiamo a confrontare la q.tà media di CET1 del sistema bancario italiano oggi, con quella che era la media del 2007, si può osservare come il CET1 odierno abbia un valore assolutamente maggiore. La dotazione patrimoniale attuale, rispetto ad un decennio fa, è circa il doppio. A questo, come abbiamo detto inizialmente, si è aggiunta una modifica delle regole contabili, così da calcolare quelle che sono le perdite future attese, con un’analisi molto più rigorosa degli andamenti del rapporto finanziario della banca con la controparte. Ne segue che la banca deve vedere come si muovono le transazioni della controparte. Ad es., se l’intermediario fa un affidamento di conto corrente (tipo uno scoperto per elasticità di cassa) per 100 mila euro e, dopo l’utilizzo da parte del cliente, il conto non viene più movimentato, la banca deve porsi il dubbio di trovarsi o meno di fronte ad un credito “immobilizzato”. La banca dovrà, in altre parole, domandarsi: - Ci sono elementi tali da vedere quel credito come deteriorato? Questo è, in buona sostanza, il cambiamento che ha apportato la nuova normativa e la sua filosofia forward-looking. Gli accordi di Basilea: oltre Basilea 2 e verso Basilea 4 Abbiamo parlato del funzionamento dell’attività creditizia con uno sguardo rivolto verso il mercato ed il capitale. Passiamo adesso ad esaminare meglio l’autorità che regola l’attività della banca. Una delle ultime variazioni significative apportate alle leggi sulle banche, ed in particolare con riferimento al capitale, è il CRD8 IV Package, approvato il 20 giugno 2013 dal Consiglio dell’UE ed entrato in vigore per fasi successive9. 8 Capital Requirement Directive. 9 Una delle caratteristiche delle regole di vigilanza emanate tramite direttiva europea è che il loro recepimento richiede tempo, e questo per dare tempo agli ordinamenti nazionali di prepararsi ad accogliere questa nuova norma, e questo perché non devono esserci contrasti fra direttiva recepita e ordinamento recepente. Per questo motivo, ad es., nell’informativa di Terzo Pilastro, le banche hanno la buona abitudine di presentare i propri dati patrimoniali sia secondo le regole attualmente in vigore, sia secondo le direttive che verranno recepite molto presto. Il CRD IV Package è composto da una direttiva e da un regolamento: ➢ CRD – Capital Requirements Directive – Dir. 2013/36/UE del 26 giugno 2003 ➢ CRR – Capital Requirements Regulation – Reg. UE n. 575/2013 del 26 giugno 2013 Questi due sono documenti molto complessi e molto tecnici, quindi c’è una frequente comunicazione fra banche e autorità per fare in modo che le regole vengano applicate correttamente. La Direttiva e il Regolamento recepiscono gli standard definiti dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria – c.d. framework Basilea III – e abrogano le precedenti direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE che riproducevano le disposizioni di Basilea II. Alla CRD e alla CRR si aggiunge la Circolare n. 285/2013 di Bankitalia, a sostituzione della previgente Circolare 263/2006.10 In particolare, Bankitalia ha insistito su alcuni aspetti: 1. Governo e gestione del rischio di liquidità 2. Obbligazioni bancarie garantite 3. Sistema dei controlli interni (i quali richiedono adeguamenti continui, personale specializzato e l’utilizzo di strumenti statistici per l’elaborazione dei dati)11 4. Sistema informativo 5. Continuità operativa Le nuove “Disposizioni di vigilanza per le banche” sono indirizzate in particolare a: 1. Rafforzare la capacità degli intermediari di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, anche con rafforzamenti patrimoniali 2. migliorare la gestione dei rischi, con particolare riguardo al rischio di liquidità 3. migliorare la governance 4. rafforzare la trasparenza e l'informativa 10 Oggi, all’interno della Banking Union, esiste un unico meccanismo di vigilanza, chiamato Single Supervisory Mechanism. Vi sono tuttavia delle attività che vengono svolte dalle Banche centrali nazionali; ad es. le banche non sistemiche (less significant banks) sono vigilate da Bankitalia per conto della BCE. 11 Il sistema dei controlli interni è l’insieme delle strutture organizzative, dei processi e delle procedure necessarie, all’interno della banca, a controllare l’effettivo valore dei rischi. Il sistema dei controlli interni è unico e integrato. All’interno dei controlli interni troviamo: la funzione di compliance, l’internal audit, (in una certa misura) il risk management, il collegio sindacale, così come gli organi di controllo esterno quali le società di revisione. Si trova poi anche il Comitato per i controlli interni, il quale ha natura endoconsigliare nel sistema tradizionale. Volendo, possiamo includere anche l’organismo di vigilanza per la prevenzione dei reati 231 → Così come si legge su www.dlgs231.eu: << La novità più importante introdotta dal D.Lgs. 231/01 nel sistema giuridico italiano è la “responsabilità amministrativa dipendente da reato” della persona giuridica per una serie di reati puntualmente indicati dalla normativa, quando questi sono commessi da una persona fisica operante all'interno della società con lo scopo di procurare un vantaggio o nell'interesse dell'ente medesimo. Alla responsabilità penale del soggetto, autore del reato, si affianca quella dell'ente che il legislatore considera, in senso omissivo o commissivo, partecipe della condotta delittuosa. Attraverso il Modello di organizzazione, gestione e controllo (Modello 231), l'impresa predispone una sorta di codice comportamentale indirizzato ai propri funzionari e dipendenti al fine di scoraggiare la commissione dei reati previsti dal decreto. Si tratta di un programma d'azione dettagliato in cui l'azienda delinea le procedure, la modulistica, i processi, i sistemi informatici, un codice etico che, insieme, guidano i membri dell'ente nell'espletamento della loro attività in modo corretto e ossequioso della legge 231.>> Vediamo adesso cosa dice il quadro normativo odierno rispetto a quello che risulta da Basilea 2. Le nuove norme completano e integrano il framework di Basilea 2, rafforzando le attività di vigilanza microprudenziale e macroprudenziale, anche con l’intento di evitare effetti pro-ciclici. Per quel che riguarda il Primo pilastro, Basilea 3 non altera l’impalcatura su cui si basa questo pillar, ma vengono in ogni caso irrigidite le regole e le definizioni preesistenti. Gli interventi riguardano: a) migliore definizione del “capitale di prima qualità” o CET1, ossia quello costituito dal capitale sociale e dalle riserve di utili12 (più altre residuali, come ad es. le riserve sovrapprezzo azioni); b) istituzione di buffer addizionali di conservazione del capitale, in funzione anticiclica: 1. riserva di conservazione del capitale, volta a preservare il livello minimo di capitale regolamentare nei momenti di tensione del mercato; 2. riserva di capitale anticiclica, volta a proteggere il capitale nelle fasi di eccessiva crescita del credito; 3. riserve aggiuntive per gli enti con rilevanza sistemica13 globale (G-SII buffer) e gli altri enti a rilevanza sistemica (O-SII buffer) c) limiti alla leva finanziaria14* d) requisiti e sistemi di supervisione del rischio di liquidità: 1. a breve termine → LCR – Liquidity Coverage Ratio 2. strutturale (un anno o più) → NSFR – Net Stable Funding Ratio *Volendo, possiamo legare il problema della leva finanziaria anche ad una questione di adeguatezza patrimoniale: se considero la leva finanziaria come il rapporto fra attività e capitale, chiamato appunto leverage ratio, nel caso in cui, ad es., una banca abbiamo un ratio di 30 (ossia l’attivo è trenta volte il valore del patrimonio netto), basta una svalutazione dell’attivo poco sopra al 3% per perdere totalmente il capitale proprio. Se poi il bilancio bancario, non solo è pieno di crediti, ma anche di titoli, derivati ecc., i quali sono estremamente sensibili al fair value, anche oscillazioni repentine e negative del mercato possono portare ad effetti patrimoniali negativi di grave entità. Ma allora, limiti alla leva finanziaria si sono rivelati essenziali anche per queste motivazioni. Per quel che riguarda invece le modifiche al Secondo pilastro, il legislatore è intervenuto come segue: a) rafforzamento dei sistemi di controllo. Il motivo dovrebbe essere chiaro: un sistema che obbliga le banche ad una mentalità forward-looking, all’analisi ed elaborazione dei dati ecc. deve poggiare, per forza di cose, su sistemi di controllo robusti. b) rafforzamento della governance. La “governance” oggi va intesa come il luogo dove ha luogo una dialettica su quel che viene in azienda. Ciò implica che il CdA metta su dei Comitati specialistici che studino i rischi, le parti correlate, la remunerazione dei dirigenti15 ecc. Ciò 12 E cioè il patrimonio netto contabile. 13 Una istituzione finanziaria è detta “sistemica” quando una crisi della stessa può minacciare l’intero sistema finanziario. 14 Questo limite si è rivelato necessario dal momento che, oltre alla dimensione economica e patrimoniale, esiste anche la dimensione finanziaria, e cioè la capacità di far fronte alle proprie scadenze. 15 La remunerazione dei dirigenti bancari, se legata ai risultati d’esercizio può portare a comportamenti di moral hazard, e questo perché i dirigenti sono incentivati a massimizzare il risultato di esercizio in ogni modo, così da guadagnare di Ma allora, ove si determini una situazione di crisi, la risoluzione poggia sul principio del burden- sharing, col sacrificio che viene graduato in base alla posizione legata alle aspettative di rimborso. L’azionista, avendo lo strumento più rischio, è quello che ci rimette di sicuro in caso di crisi. *Quanti casi di bail-in ci sono stati in Italia? Un bail-in vero e proprio in Italia non è mai avvenuto, e questo perché il bail-in è solo uno degli strumenti utilizzabili per risolvere una crisi bancaria. Il bail- in, inoltre, si applica solo alle banche di grandi o grandissime dimensioni, e lo si fa solo quando le alternative non sono praticabili. I casi di salvataggio bancario italiano hanno utilizzato modalità di risoluzione differenti dal bail-in; ad es., le banche venete sono state “risolte” mettendole in liquidazione. Vi è poi stato un intervento del governo considerato ammissibile, e questo perché era un aiuto circoscritto ad una data area geografica ed effettuato con un ammontare finito di risorse, con l’intento di salvaguardare il sistema. Carige è un altro caso ancora: commissariata, per la sua risoluzione è intervenuto il FITD, e lo ha fatto utilizzando lo schema volontario. Oggi il 70% di Carige è in mano al Fondo, in attesa di “maritarla”, ossia di collocarla sul mercato. MPS è un altro caso ancora: si prevede, prima di utilizzare il bail in, di provare a ricorrere ad una ricapitalizzazione precauzionale. In questo caso, la ricapitalizzazione è effettuata dallo Stato, a patto che la banca dimostri di non essere “likely to fail”. Se la banca quindi dimostra che, pur avendo una situazione di carenza patrimoniale, è in grado, per un certo periodo, di stare sul mercato da sola, è ammesso l’intervento dello Stato, anche a fronte del rischio di perturbazione di mercato. Il DG COMP, che ha dovuto analizzare la situazione (per evitare che la cosa sfociasse nell’aiuto di Stato), ha accordato l’aiuto solo se MPS rispetta tutta una serie di restrizioni. La ricapitalizzazione precauzionale prevede poi che l’intervento del governo sia transitorio, per cui MPS deve, a fine di quest’anno, essere venduta ad un acquirente20. 20 Lo Stato interviene anche con altri tipi di agevolazioni (sulle imposte anticipate, per esempio). Vedremo infatti che, all’interno dei bilanci bancari, vi sono delle voci che sono interessanti da esaminare. Tra queste, vi sono le imposte anticipate e, a seconda del periodo che si attraversa, sono elementi che assumono molte sfumature. In caso di aggregazione, il tema delle imposte anticipate diventa cruciale *All’interno della BRRD è previsto anche l’obbligo, soprattutto per le banche sistemiche, di emettere strumenti “ibridi” (aventi cioè caratteristiche sia di strumenti di capitale, sia di strumenti finanziari) capaci di assorbire le perdite. Ma se questi strumenti sono i primi (dopo le azioni) che vengono sacrificati per assorbire le perdite, chi mai li andrà a sottoscrivere? Il rendimento di questi strumenti, chiaramente, sarà molto alto. Sono poi stati stabiliti dei limiti all’importo che possono assumere questi strumenti. Oltre a questi si prevedono programmi di conversione → aumentare la capacità patrimoniale della banca, implementare la strategia di risoluzione. Il prezzo di un credito ed il rischio legato alla cessione dello stesso devono essere correlati. Il tasso d’interesse richiesto dalla banca deve: 1. remunerare il rischio (coprire le perdite attese) 2. tenere conto del costo del capitale (il quale è dato dalla somma tra il tasso risk free, il premio per il rischio e il coefficiente beta. Quest’ultimo è tanto più alto quanto più alta la leva operativa, ossia il rapporto fra i costi fissi e i costi totali). Attualmente, il costo del capitale per una banca è, in media, del 9%, a fronte di un ROE del 4%. Ciò fa sì che la capitalizzazione di mercato delle banche sia la metà del valore del suo equity. Focus on – Leva finanziaria (leverage ratio)
La scelta della leva finanziaria. Cominciamo con due definizioni:
sid quella di quo-
itale sugli impieghi (dall'inglese, capzzal ratio) c quella di leva finanziaria finanziaria
» La quota di capitale sugli impieghi di una banca è banca è
tra il suo capitale e le sue attività. Per la banca riportata
figura 6.4 è pari a 20/100 tao i pani
ta invece come il rapporto tra sue attività e il suo capitale. È quindi l'inverso
giore di copiale soli impiea
que alii , nel nostro caso «semplfiativo, è uguale a
100/20 = 5. Viene naturale ragionare in termini di leva finanziaria e concentrarsi su
questo valore, piuttosto che a quota di capitale sugli impieghi. Tuttavia, data la
semplice relazione tra ques indicatori, la discussione che le potrà essere
lo riferimento ad uno o all’altro.
equivalentemente espressa facend l’altro. i
Nel decidere quale leva finanziari Ja banca deve valutare. due fattori.
Da un lato, una maggiore leva fin ziaria implica ‘a un n più elevato tasso di profitto
nell’ambito dei segmenti individuati, un’ulteriore attività di sotto-segmentazione in funzione delle variabili che le banche utilizzano per segmentare la propria clientela. La segmentazione che riportiamo nella slide è quella “tradizionale”, basta sulla variabile patrimoniale. Di fatto, però, la variabile patrimoniale viene subarticolata attraverso altre variabili, tipicamente quelle che attengono allo stile di vita comportamentale del cliente (ovviamente, con riferimento all’aspetto finanziario). Leggendo la matrice, le banche arrivano a poter realizzare un prodotto differenziato. Quest’ultimo, lo ricordiamo, non è un prodotto nuovo. Vi sono diversi pacchetti di prodotti rivolti ai diversi segmenti che rappresentano un esempio di differenziazione dell’offerta. *Cosa possiamo osservare sulla matrice? Le attività che rientrano nell’ambito del retail sono o attività d’investimento (per le unità in surplus) o di finanziamento (per le unità in deficit). Unità in surplus Con riferimento alle unità in surplus, l’offerta della banca nei confronti di questa tipologia di clientela è assimilabile a quella che è definita dalla letteratura, ma anche dalla prassi operativa, come “tecniche di asset management”, e cioè quelle tecniche utilizzate per la gestione del risparmio di una clientela avente un patrimonio finanziario nei limiti di un milione di euro1. Tutte le tecniche di asset management vengono ricomprese in quelle operazioni di raccolta tradizionali. *Facciamo un passo indietro: per le unità in surplus, si individuano due componenti del portafoglio di investimento, una “core” ed una satellite. L’asset management rientra nella componente “core”, ossia la componente che garantisce al risparmiatore un rendimento certo nel tempo. La componente “core” è quindi quella componete del patrimonio che presenta, relativamente alle caratteristiche degli strumenti ad essa rivolti, prodotti non eccessivamente rischiosi e, per questo, meno redditizi. Queste tecniche di asset management vanno a rivolgersi soprattutto a quella parte di clientela che ha una propensione limitata al rischio. Vi sono poi gli strumenti di investimento che vanno a costituire la componente satellite del portafoglio, e cioè quella che ha la caratteristica di spingere i rendimenti. Questi strumenti presentano infatti una elevata rischiosità, alla quale però corrisponde un più alto rendimento atteso. →Nell’ambito dell’ASA retail, a differenza del private, la componente satellite praticamente non esiste, se non per i soli soggetti upper affluent. I clienti affluent, infatti, tendono ad avere una propensione al rischio limitata, per cui prodotti più rischiosi non vengono loro offerti dalla banca. 1 Sono quelle che noi abbiamo studiato, fra le forme di raccolta di primo livello, parlando di “risparmio gestito” (economia e tecnica bancaria). *Con riferimento alle unità in surplus (affluent), nell’ambito del retail, la banca configura l’attività di asset management → vengono individuate tre macroaree di investimento (i prodotti seguono un ordine di complessità crescente insito nello strumento): 1. GPM (gestioni patrimoniali); è l’intermediazione finanziaria per conto della clientela, o tutt’al più la gestione individuale del risparmio. Nelle gestioni patrimoniali, l’investitore ha la facoltà di scegliere la tipologia di strumento che preferisce.2 2. FCI (fondi comuni d’investimento) e SICAV 3. F.DI alternativi; tra questi fondi rientrano gli hedge funds. Sono i fondi che vanno ad occuparsi della componente satellite del portafoglio. L’offerta retail per le unità in surplus è quindi composta da prodotti che già conosciamo; per questo motivo, si dà per scontata la conoscenza di questi strumenti di raccolta. Unità in deficit – Le operazioni speciali Per quel che riguarda le unità in deficit, avrete sicuramente studiato i prodotti tradizionali (rivolti, ad es., anche alle famiglie come il mutuo per la casa), ma sicuramente non avete mai studiato le operazioni di credito “particolari”. Andremo perciò a concentrare la nostra attenzione su queste operazioni. Queste ultime sono chiamate, nella slide, “prodotti speciali”. Questi erano considerati crediti speciali fintanto che non è entrato in vigore il Testo unico bancario, il quale stabilisce che vi è un solo intermediario (la banca) che svolge tutte le operazioni relative all’attività creditizia a 360°. Ciò significa quindi anche quelle operazioni speciali che erano, in passato, destinate ai soli istituti di credito speciale (es. istituto credito agrario, peschereccio ecc.). 2 La banca non può fare gestione collettiva in maniera autonoma, ma si deve affidare alle SGR di emanazione bancaria. L’art. 39 TUB invece ci dice che: << Quando la stipulazione del contratto e l'erogazione del denaro formino oggetto di atti separati, il conservatore dei registri immobiliari, in base alla quietanza rilasciata dal beneficiario del finanziamento, esegue, a margine dell'iscrizione già presa, l'annotazione dell'avvenuto pagamento e dell'eventuale variazione degli interessi convenuta dalle parti; in tal caso l'ipoteca iscritta fa collocare nello stesso grado gli interessi nella misura risultante dall'annotazione stessa>>. Ma allora, in caso di credito fondiario, è possibile apportare variazioni, anche quando l’ipoteca è già stata iscritta. 3. Abbiamo poi l’adeguamento automatico della garanzia alle clausole di indicizzazione. Al comma 3 si legge quanto segue: << Il credito della banca relativo a finanziamenti con clausole di indicizzazione è garantito dall'ipoteca iscritta fino a concorrenza dell'importo effettivamente dovuto per effetto dell'applicazione di dette clausole. L'adeguamento dell'ipoteca si verifica automaticamente se la nota d'iscrizione menziona la clausola di indicizzazione>>. Ma allora, è possibile adeguare, in maniera automatica, il valore delle garanzie a tutte quelle clausole di indicizzazione del credito e degli interessi laddove previsto nel contratto stesso. Questa possibilità è una deroga all’art. 2909 del cc, dove si vieta di modificare, tramite adeguamento automatico della garanzia, le condizioni stabilite contrattualmente fra le parti. 4. È poi previsto, per il credito fondiario, l’esonero dalla revocatoria fallimentare della garanzia ipotecaria. È un aspetto assolutamente innovativo; voi sapete che quando viene resa pubblica una sentenza dichiarativa di fallimento, tutto ciò che appartiene all’azienda entra a far parte del processo fallimentare, così da ripagare i creditori. Nel caso in cui si sia stipulato un contratto di credito fondiario almeno 10 gg prima la dichiarazione di fallimento, tuttavia, non perde di efficacia giurisdizionale la garanzia ipotecaria, nonostante si debba rispettare la par condicio creditorum. L’art. 39, al comma 3, recita come segue: << Le ipoteche a garanzia dei finanziamenti non sono assoggettate alla revocatoria di cui all'articolo 166 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza quando siano state iscritte dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. L'articolo 166 del codice della crisi dell'insolvenza non si applica ai pagamenti effettuati dal debitore a fronte di crediti fondiari>>. 5. Altra deroga è la riduzione proporzionale del finanziamento e del valore dell’ipoteca. Voi sapete che, quando si concede un finanziamento, lo si fa verso uno o più soggetti. Nel secondo caso, la concessione viene fatta in maniera solidale. Ciò significa che rispondo degli obblighi verso la banca tutti i contraenti del credito, solidalmente. Quando il soggetto, chiunque egli sia, rimborsa il finanziamento pagandone le rate, la garanzia ipotecaria si estingue solo dopo essersi estinto tutto il debito verso la banca. nel caso però del credito fondiario, la logica dell’irrevocabilità e dell’incondizionabilità della garanzia rilasciata viene meno. Le regole del credito fondiario concedono di ridurre proporzionalmente il valore dell’ipoteca in funzione della riduzione del finanziamento. Ma allora, a seguito del pagamento di n rate, puoi chiedere di liberare l’ipoteca per la parte di finanziamento rimborsata. Vi è però un limite a questa regola: si può ridurre il valore dell’ipoteca solo dopo aver rimborsato almeno 1/5 del valore del credito ottenuto. L’art. 39 afferma che: << I debitori, ogni volta che abbiano estinto la quinta parte del debito originario, hanno diritto a una riduzione proporzionale della somma iscritta. Essi hanno inoltre il diritto di ottenere la parziale liberazione di uno o più immobili ipotecati quando, dai documenti prodotti o da perizie, risulti che per le somme ancora dovute i rimanenti beni vincolati costituiscono una garanzia sufficiente ai sensi dell'art. 38>>. 6. Per quanto riguarda, invece, la frazionabilità dell’ipoteca, nel diritto comune tutti gli intestatari del credito concesso dalla banca sono obbligati solidalmente verso quest’ultima per l’intera quota da rimborsare a scadenza. Similmente, il valore del bene ipotecato è liberabile dall’ipoteca solo se viene rimborsato tutto il finanziamento. Secondo l’art. 39 del TUB, invece, in funzione del contributo di ciascuno nell’acquisizione delle risorse finanziarie, l’ipoteca si spalma sul totale dei soggetti. È quindi possibile frazionare il credito fondiario, individuare i soggetti sui quali grava, pro quota, il rimborso del finanziamento e l’ipoteca sul bene stesso. In conclusione, al credito fondiario è concessa la frazionabilità dell’ipoteca su un numero di acquirenti diverso da uno. Questo favorisce il credito edilizio, così come la nascita e lo smobilizzo della proprietà immobiliare. L’art. 39 al comma 6 recita: << In caso di edificio o complesso condominiale per il quale può ottenersi l'accatastamento delle singole porzioni che lo costituiscono, ancorché in corso di costruzione, il debitore, il terzo acquirente, il promissario acquirente o l'assegnatario del bene ipotecato o di parte dello stesso, questi ultimi limitatamente alla porzione immobiliare da essi acquistata o promessa in acquisto o in assegnazione, hanno diritto alla suddivisione del finanziamento in quote e, correlativamente, al frazionamento dell'ipoteca a garanzia>>. 7. L’ultimo aspetto, a deroga del diritto comune, riguarda gli oneri notarili calcolati sempre su un solo atto. Come sapete, gli atti sono due, mutuo e atto di compravendita. Gli oneri notarili, tuttavia, vengono conteggiati su un solo atto. Questa possibilità è stata vista da alcuni critici come un’agevolazione di fatto. L’agevolazione, però, è un’altra cosa, e si configura come un intervento pubblico nell’economia privata. L’art. 39 al comma 7 afferma pertanto che: << Agli effetti dei diritti di scritturato e degli emolumenti4 ipotecari, nonché dei compensi e dei diritti spettanti al notaio, gli atti e le formalità ipotecarie, anche di annotazione, si considerano come una sola stipula, una sola operazione sui registri immobiliari e un solo certificato. Gli onorari notarili sono ridotti alla metà>>. Adesso cambiamo argomento e, sempre in tema di credito fondiario, andiamo ad analizzare meglio il limite di finanziabilità. Come abbiamo visto, il limite è stabilito da Bankitalia e, come anche stabilito dalla Del. CICR del ’95 su proposta di Banca d’Italia, corrisponde all’80% del valore (prezzo di mercato) dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi5. Questa percentuale può essere elevata fino al 100% qualora vengano prestate garanzie integrative, come ad esempio le fideiussioni bancarie e assicurative, le polizze di compagnie assicurative, le cessioni di annualità o contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, i fondi di garanzia, così come altre idonee garanzie, secondo i criteri previsti da Bankitalia. In poche parole, la banca innalza il limite solo se riceve garanzie accessorie per il rimborso del finanziamento. Per le imprese, normalmente, le garanzie accessorie riguardano: 4 Emolumento: retribuzione per una prestazione d'opera, spec. professionale (di solito al pl.); non com., compenso occasionale. 5 Ciò viene fatto attraverso la presentazione dei SAL, ossia lo Stato Avanzamento Lavori. ➢ Imposizione di aumento di capitale sociale ➢ Inserimento negli organi della società dei rappresentanti degli enti finanziatori. In questo modo, la banca ha la possibilità di controllare, sotto il profilo gestionale, le strategie ed i risultati dell’impresa. ➢ Imposizione di politiche di accantonamento degli utili *Un altro aspetto importante del credito fondiario sono i finanziamenti integrativi. Fino al ’95, non era possibile avere un finanziamento integrativo, e cioè avere qualcun altro che subentri nella garanzia ipotecaria del bene. Il CICR però, proprio per favorire il credito edilizio, ha cambiato la disciplina, sostenendo che tutte le volte in cui il destinatario del finanziamento riusciva ad ottenere la parziale liberazione dell’immobile dall’ipoteca, la quota di bene non gravato dall’ipoteca poteva essere utilizzata a garanzia di un nuovo finanziamento. Ad es., se un’impresa ha, di 100 mila euro di credito fondiario, già rimborsato 20 mila euro (1/5 del credito originario), questa può procedere all’integrazione del finanziamento esistente per quel 1 5 liberato, senza che vi sia una cancellazione e poi una successiva reiscrizione dell’ipoteca nel registro immobiliare. Il nuovo finanziamento è presentato, a margine, come integrativo di un credito già esistente. Ciò ha reso possibile anche la rivisitazione della struttura finanziaria dell’impresa. *In ultima analisi, andiamo a vedere come si estingue il credito fondiario. Le modalità di estinzione sono disciplinate dall’art. 40 TUB. Il credito può essere estinto a scadenza, dietro pagamento di tutte le rate da parte del debitore, il quale avrà l’onere di dover procedere all’estinzione della garanzia ipotecaria dal registro immobiliare. Su iniziativa del soggetto debitore, tuttavia, il credito può essere anche estinto prima della scadenza, corrispondendo alla banca un compenso onnicomprensivo (ossia comprensivo anche di spese, oneri residuali ecc.). Se però il contratto nulla ci dice su questo compenso, l’estinzione anticipata del credito fondiario non può essere accolta. Infine, la banca può benissimo tutelarsi da creditori insolventi o poco virtuosi attraverso la risoluzione del contratto. Tuttavia, ciò può essere fatto solo dopo sette morosità (non per forza consecutive). L’art. 40 recita come segue: << 1. I debitori hanno facoltà di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito, corrispondendo alla banca esclusivamente un compenso onnicomprensivo per l'estinzione contrattualmente stabilito. I contratti indicano le modalità di calcolo del compenso, secondo i criteri stabiliti dal CICR al solo fine di garantire la trasparenza delle condizioni. 2. La banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. A tal fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centoottantesimo giorno dalla scadenza della rata>>. La slide che vedete, inerente alla CRR 2, CRD 5 e BRRD 2, vi ricorda che l’altra lezione si è parlato di come oggi l’impianto normativo per le istituzioni finanziarie si basa, sostanzialmente, su tre norme: - La Capital Requirements Regulation II, la quale prevede una serie di regole sul come calcolare i requisiti di capitale. - La Capital Requirement Directive V (noi guarderemo però molto la CRD IV perché la 5 ha introdotto delle cose, ma non ha cancellato l’impianto ad essa precedente) - La Banking Recovery and Resolution Directive II (se, sfortunatamente, la banca vigilata non rispetta i requisiti dalla CRD, e non riesce a rimediare, si avvia un percorso di Resolution, ossia un percorso fallimentare per le banche). La Resolution è un processo ordinato, attraverso il quale si cerca di rimborsare i risparmiatori e si liquidano gli asset della banca. Alcune istituzioni finanziarie sono però considerate “Too big to fail”; soprattutto negli Stati Uniti, alcuni salvataggi hanno riguardato grandi istituzioni bancarie perché considerate troppo importanti (sistemiche). *Le direttive guardano i requisiti di capitale, a fronte di una serie di rischi (e sarà interessante poi vederli) che cambiano o che tornano. Ho letto due libri molto importanti; il primo scritto da Joseph Stigliz, il secondo invece da Paul Krugman, entrambi aventi una base Keynesiana all’interno delle loro impostazioni teoriche. Questa base, attualmente, sta diventando nuovamente di moda; ad esempio, si veda il PNNR (piano nazionale di ripresa e resilienza). Questo altro non è che un intervento pubblico che gli Stati europei hanno deciso di approvare per poter risanare l’economia dopo la pandemia. Questo causerà un innalzamento del debito pubblico, il quale però verrà tollerato (anche in presenza dei parametri di Maastricht, ossia un debito pubblico non superiore al 60% del Pil, disavanzo annuale pari al 3% del Pil e inflazione contenuta). Anche se queste manovre si sono rese necessarie, comincia però oggi a serpeggiare il rischio di inflazione, la quale è “veleno” per la CRD e per i requisiti di capitale delle banche. Vi sono però in vigore anche normative che riguardano il rischio di tasso. Dobbiamo anche sottolineare che il mercato si trova pure in una fase nella quale è assistito dalle procedure del QE (quantitative easing), il che ha l’effetto di esacerbare l’intera situazione. Ma allora, il mestiere di chi fa compliance (osservatore normativo) non deve limitarsi al presente, ma deve assicurarsi che vi siano le tutele necessarie per proteggersi da vari rischi, anche da quelli più remoti. Purtroppo però, ciò non sempre viene fatto. A tal proposito, possiamo citare un libro scritto da Tommaso Padoa-Schioppa, il quale è stato dirigente di Bankitalia e istituzioni europee nonché, successivamente, anche ministro. Questo libro si intitola “La veduta corta”, e lamenta come i politici, nel proporre la politica economica, non siano lungimiranti. *Tornando alla normativa regolamentare, se da una parte molte (se non tutte) le norme che vedremo cambieranno, l’impianto alla loro base non cambierà. Provare a cambiare questo assetto è difficile, spesso controproducente; un po’ come uscire dall’euro. Se l’Italia tornasse alla Lira e volesse operare in Europa, dovrebbe rispettare dei requisiti di capitale che, se calcolati con un cambio euro/lira, finirebbe per creare situazioni di instabilità (i requisiti europei tradotti in lira sarebbero sproporzionatamente alti). Dopo la CRD, la CRR e la BRRD, cominciamo a vedere una serie di requisiti che sono stati previsti. Tra questi, ho aggiunto la Loan Origination and Monitoring (LOM) e la Definition of Default (DOD) perché hanno aspetti legati alla CRD e al mondo del risk management. Queste due sigle sono diventate “l’incubo” di chi si occupa dei prestiti bancari. Il LOM e la DOD vengono fuori dalle guidelines dell’EBA2. Cosa introducono queste norme? Secondo quanto scritto nel Final Report EBA/GL/2020/06: << The guidelines introduce requirements for assessing the borrowers’ creditworthiness, together with the handling of information and data for the purposes of such assessments>>. Le linee guida, in poche parole, hanno introdotto per le banche la necessità di classificare i clienti secondo la loro salute finanziaria, così come la gestione di tutte quelle info necessarie a creare una banca dati sui clienti stessi. La creazione di una banca dati, soprattutto per quel che riguarda il risk management, è tale per cui ogni decisione della banca rispetto ad un cliente deve essere coerente con il tipo di classificazione a questi assegnata. 2 Le autorità europee si dividono in “autorità di vigilanza”, le quali controllano le varie banche (ad es. la BCE), e “autorità di regolamentazione”, le quali emanano le norme da seguire. In ambito bancario, è l’EBA che generalmente emana delle linee guida, mentre nel campo degli investimenti la stessa funzione viene svolta dall’ESMA. Le linee guida non sono né regolamenti, né direttive, ma servono ad orientare le banche verso una sana e prudente gestione. Le guidelines non sono soggette ad un recepimento automatico. Le linee guida nascono da un periodo di consultazione, dando quindi la possibilità al sistema di confrontarsi con gli obiettivi che le autorità vogliono raggiungere in futuro, con le banche che possono anche dare un loro parere a riguardo. Chiusasi la consultazione, vengono pubblicate le guidelines in inglese, le quali diventano applicabili in una data nazione nel momento in cui, sul sito della singola autorità (in questo caso l’EBA), viene rilasciata la traduzione nella lingua nazionale. Pur sembrando una cosa logica, prima della LOM non sempre quanto abbiamo detto è avvenuto. Se oggi le banche hanno una grande q.tà di crediti in sofferenza (o con altre classificazioni) non è certo perché sono state sfortunate. Per quanto le difficoltà legate al ciclo economico possono aver influito sulla creazione di crediti in sofferenza o deteriorati, è innegabile l’effetto negativo che hanno avuto molte decisioni sull’attivo delle banche, le quali si sono assunte dei rischi imprenditoriali nonostante l’analisi dei dati evidenziasse la presenza di varie red flags. Con la LOM, la banca non può solo guardare come si evolve il proprio portafoglio crediti, ma deve valutare ex-ante, in base ai parametri raccolti nella propria banca dati, se e come accordare un prestito al cliente. Nel caso la banca, nonostante una bassa creditworthiness, decidesse comunque di affidare il cliente, essa dovrà, da un lato, avere la capacità di sopportare una possibile perdita (e cioè dovrà stanziare adeguati requisiti di capitale); dall’altro lato, il premio al rischio deve essere alzato, ossia la banca deve applicare un prezzo al prestito che penalizzi il cliente affidato ma poco virtuoso. Questo passaggio, seppur banale, in termini di vigilanza è stato importantissimo. La vigilanza, in passato, analizzava il portafoglio prestiti, ma senza chiedere conto alla banca dei calcoli e dei requisiti introdotti al momento della concessione del prestito. Oggi invece la LOM “suggerisce” (ma di fatto obbliga) a guardare alla classificazione del cliente non appena il prestito deve essere concesso. → Il LOM vuole scoraggiare l’assunzione del rischio imprenditoriale puro. I prestiti in maniera indiscriminata non sono più ammessi, se non a fronte di requisiti di capitale molto alti. La LOM si lega anche alla Consumer Credit Directive (CCD), e questo perché il primo elemento di approfondimento sui criteri di affidabilità è stato introdotto proprio nel mondo dei consumatori, dove con il termine “consumatore” si indicano le famiglie e le PMI. L’approfondimento, in questo caso, venne raggiunto con l’introduzione di tecniche di scoring. Ad esempio, quando i vostri genitori devono comprare un telefono, vanno ai grandi magazzini, chiedono loro la busta paga e, dopo mezz’ora, hanno loro erogato un prestito per l’acquisto del device. Tutto questo ha però a che fare con meccanismi molto sofisticati di analisi di scoring, i quali mettono insieme il valore dello stipendio, ma anche altre info. Attraverso l’elaborazione dei dati, si arriva ad inserire il consumatore in un campione statistico, così da poterli applicare, a seconda del risultato, un certo grado di rischio. Sempre sulle linee guida si legge: << Furthermore, the guidelines […] incorporate guidance for the creditworthiness assessment in relation to consumer credit, in accordance with Article 8 of Directive 2008/48/EC on consumer credits (Consumer Credit Directive, CCD)>>. Le guidelines sul LOM incorporano i requisiti della CCD, però li sviluppano, chiedendo alle banche di fare un controllo appropriato su tutti i prestatari. Le guidelines sul LOM affermano poi che: << To support the dual focus of the guidelines, bringing together the prudential framework and consumer protection aspects of credit granting, the guidelines, in particular: a. clarify the internal governance and control framework for the credit-granting and credit decision-making process; - Se il Delta PA è negativo, ossia PA < Rettifiche di valore sui crediti (Delta PA < 0), l’eccedenza delle rettifiche di valore viene compiuta nel Tier 2 fino al limite dello 0,6% dei RWA calcolati con la metodologia A-IRB. Il concetto fondamentale alla base del modello avanzato è il concetto di default. DOD Il “default” è una situazione nella quale il cliente si trova in difficoltà, e la cui definizione è stata allargata a diversi stati della vita di un credito. Siamo dunque passati da una situazione in cui il default coincideva con l’impossibilità per il cliente di ripagare il suo debito, ad una situazione in cui, in maniera predittiva, si fa coincidere il default con la possibilità che questo possa effettivamente avvenire. La banca comincia quindi a parlare di default, non quando il cliente è in una situazione di bancarotta, ma quando egli comincia, ad esempio, a non pagare le prime rate, o quando (in caso di un’azienda) rende noti problemi legati alla sua produzione ecc. La nuova DOD, introdotta dalla CRR 2 e anche dalle guidleines EBA del 2016, fa un passo ulteriore, e definisce il default attraverso una serie di parametri capace di fornire una classificazione più precisa per identificare i crediti in sofferenza. Per esempio, oggi sono previste delle “soglie di materialità”: quando il debitore ha delle piccole difficoltà con i pagamenti (ad es., un debitore che non può pagare un addebito sulla carta di credito di 100 euro), la banca deve mettere in conto che il cliente non riesca a ripagare il suo debito. Ma allora, oggi qualsiasi sconfinamento rispetto al prestito viene subito intercettato e valutato. Un altro esempio è il conteggio dei giorni di “past due”. Oggi i giorni in cui è ammissibile un ritardo nei pagamenti prima di parlare di “situazione patologica” è passato da 180 a 90 gg. Non è poi più consentito alla banca compensare gli importi scaduti con i margini non utilizzati su ulteriori linee di credito del debitore. È stata poi identificata la classificazione degli UTP (Unlikley to Pay), ossia di quei clienti che non sono in default, ma che probabilmente non potranno ripagare il loro debito verso la banca. Questa nuova categoria di crediti UTP viene oggi venduta, così come accade per i NPL, a delle società specializzate così da smobilizzarli ed ottenere liquidità. Per quanto riguarda il ritorno in bonis6, è stata introdotta una nuova regola, ossia il “cure period”, un periodo entro il quale il debitore che ha saltato un pagamento, prima di essere classificato come UTP, ha la possibilità di dimostrare che è affidabile, e che quindi ogni sconfinamento era solo una situazione una tantum. Il periodo non deve essere inferiore ai tre mesi per i clienti “performing”, o 1 anno in caso di ristrutturazione. →Tutte queste procedure sono oggi gestite in maniera informatica tramite computer, i quali classificano i clienti dopo aver analizzato i dati di ogni account. Con la nuova DOD, si prevede infine la Propagazione del default, ossia l’estensione dello status di default alle controparti collegate (cointestazioni, persona fisica e ditta individuale). *Tutte queste regole sembrano un’illustrazione cervellotica, ma che in realtà ha a che fare con due presupposti molto importanti. Chi fa attività bancaria deve avere una serie di meccanismi organizzativi (che la compliance deve assicurare che esistano, così come il risk manager si assicura che funzionino) affinché tutto il portafoglio crediti sia da un lato monitorato, e dall’altro conforme ad una definizione di default molto più severa rispetto al passato. *Durante i primi mesi di pandemia, così come adesso, la BCE non ha sospeso le regole che abbiamo visto oggi, per cui esse non hanno potuto essere comprensive verso i propri clienti. È stato, piuttosto, il governo che, tramite decreto, ha concesso degli slittamenti ai pagamenti dei debitori. Lo stato di default dei creditori insolventi, tuttavia, rimane, così come il fabbisogno di capitale per le banche. 6 Si ha la chiusura di una procedura fallimentare con ritorno "in bonis" quando il curatore, con l'attivo recuperato, paga tutti i creditori privilegiati e tutti i creditori chirografari per l'intero importo insinuato nello Stato Passivo fallimentare e tutti i debiti eventualmente contratti dal curatore nell'amministrazione del fallimento. Nelle scorse lezioni abbiamo parlato del modello di business, ed in particolare del capitale e della regolamentazione. Abbiamo poi accennato, in tema di regolamentazione, di due corpi normativi dettati per fini eterogenei, le norme contabili (soprattutto quelle internazionali applicate alle banche), dettate per avere documenti finanziari veritieri e corretti, e le normative di vigilanza, dettate per salvaguardare la stabilità del sistema. Siccome l’attività bancaria, così come l’attivo del bilancio della banca, riflettono le attività rischiose della banca, diventa molto importante, da un lato, saper individuare i rischi incorporati nelle operazioni bancarie; dall’altro, diventa importante anche saper prevedere le, cosiddette, perdite attese. Le perdite attese devono essere fronteggiate con gli accantonamenti di bilancio (→ le perdite attese, attraverso il risultato di esercizio, hanno un effetto indiretto sul patrimonio); le perdite inattese devono essere, invece, fronteggiate col capitale. 𝐸𝐿 = 𝑃𝐷(𝐿𝐺𝐷)(𝐸𝐴𝐷) Questa equazione è molto importante. La perdita attesa è funzione, oltre che della maturity, di tre specifici fattori, e cioè la probabilità di default (la quale è espressa in termini probabilistici); la loss given default, e cioè la percentuale di perdita attesa su una data posizione; exposure at default, ossia l’esposizione al momento in cui viene calcolato il default. C’è qualcosa che deve sempre essere molto chiaro nelle attività svolte dalla banca, e cioè che il prezzo di qualsiasi attività finanziaria (compreso un credito) è funzione diretta del rischio che si assume su di noi. Se sono una banca e faccio credito, quando vado a prezzare l’operazione (a livello di tasso d’interesse, di commissione, ecc., ovvero tutte le componenti reddituali positive per l’ente), devo evidentemente tenere conto del rischio; più alto il rischio, più alto il prezzo che chiederò. Qualsiasi investitore richiederà una remunerazione, per il proprio investimento, tanto più alta quanto è il rischio che si assume. varianza del suo rendimento. In particolare, il rendimento effettivamente osservato di un titolo dipende anche da un termine epsilon di errore statistico con valore atteso nullo. Il rischio complessivo associato ad un investimento può essere perciò scomposto nella somma di un rischio connesso alle fluttuazioni del mercato, chiamato anche rischio sistemico o rischio di mercato, e di un rischio specifico al solo investimento, chiamato anche rischio idiosincratico o rischio non di mercato. Ma come mai, in equilibrio, il rendimento atteso del titolo non dipende dal suo rischio complessivo o, in altri termini, perché la componente di rischio non di mercato non contribuisce a determinare il rendimento atteso? La risposta è che, tramite un’adeguata diversificazione del portafoglio di investimento, il ruolo della componente idiosincratica di rischio delle singole attività che compongono il portafoglio può essere completamente eliminata. Ma allora, in equilibrio, solo la componente di rischio dell’investimento che non può essere eliminata tramite la diversificazione (ossia il beta) giocherà un ruolo rilevante nel determinarne il rendimento atteso. Il beta viene calcolato analiticamente attraverso un diagramma a punti che può essere interpolato da una retta. Sull’asse delle ascisse vengono posti i rendimenti di mercato (rilevanti in un certo lasso temporale); sull’asse delle ordinate vengono invece posti i rendimenti dello specifico investimento. L’inclinazione della retta di regressione ottenuta dal processo di interpolazione è il nostro Beta. Il beta esprime la reattività del rendimento di un’attività rispetto a variazioni del rendimento medio del mercato nel suo complesso. Per investimenti rischiosi, quindi aventi beta positivo, il premio per il rischio prevede un tasso di rendimento aggiuntivo proporzionale alla reattività rispetto al mercato. Quando il beta è pari ad 1, l’investimento ha rendimenti attesi pari a quelli di mercato; investimenti con beta inferiori alla media dovrebbero comportare un premio per il rischio inferiore a quello del mercato nel suo complesso. Viceversa, beta maggiori di 1 dovrebbero comportare un premio per il rischio superiore a quello del mercato. Vediamo uno schema riassuntivo: *Da che cosa può dipendere il rischio sistematico (il Beta) di un singolo titolo azionario? Da tanti fattori, per esempio: a) Dalla correlazione fra il business specifico e fattori macroeconomici (per es., ci sono settori ciclici e settori anticiclici, ma anche pro-ciclici, cioè che seguono il ciclo macroeconomico con maggiore intensità); b) Dalla leva operativa5; è generalmente calcolata come il rapporto fra costi fissi e totale dei costi (= costi fissi + costi variabili). Ricordiamoci che una struttura dei costi più rigida (→ prevalenza dei costi fissi) rende il rischio di quella specifica azienda più elevato. In particolare, considerando la correlazione fra le grandezze di bilancio, più basso è il rapporto fra EBITDA6 e CIN7, e tanto maggiore è il rischio di quella impresa; c) In misura speculare, quanto più alta è la leva finanziaria, che può essere rappresentata come rapporto fra mezzi di terzi e mezzi propri8, tanto più alto è il rischio associato a quella impresa. Attenzione: in alcuni casi il rapporto di leverage è visto come rapporto fra il totale delle attività ed il patrimonio netto (nel settore bancario quando si fa riferimento al leverage si ha presente questo rapporto). A ben vedere, si tratta di due prospettive differenti dalle quali si osserva lo stesso fenomeno. È consigliabile leggere il dato all’interno di un set di indicatori finanziari (come, ad esempio, rapporto fra PFN9 ed EBITDA, stabilità dei flussi finanziari ecc.), per esprimere in modo più accurato il livello di rischio associato ad un maggiore indebitamento. 5 Anche nelle banche vi è un parametro di misurazione, e cioè il rapporto cost-to-income, ossia il rapporto fra i costi operativi della banca e il totale dei ricavi. Tanto più alto il rapporto, tanto più la banca è tendenzialmente inefficiente. 6 Earnings before interest, taxes, depreciation, and amortization. 7 Capitale Investito Netto, pari al capitale circolante commerciale (CCC) più le attività operative non core. Il CCC è invece pari alla differenza fra attività core e passività core. Un CCC negativo è una cosa buona, perché vuol dire che si è incassato in anticipo dai clienti e paghiamo posticipatamente i fornitori. Il CIN ci dice quanto abbiamo investito nell’attività caratteristica al netto delle passività core. 8 Debt-to-Equity (D/E) Ratio (https://www.investopedia.com/terms/l/leverageratio.asp) 9 Posizione finanziaria netta, pari a passività non operative meno cassa e liquidità immediata. LA PFN ci dice quanti debiti finanziari abbiamo al netto di cassa e liquidità immediate. Generalmente, è meglio avere una bassa PFN. Andando nello specifico del settore bancario, si capisce il motivo per il quale il livello di leva finanziaria è uno dei parametri considerati da Basilea III. Vi ho formalizzato anche un modo diverso per calcolare il Beta, stavolta di tipo statistico. Il beta può infatti essere visto come il risultato del rapporto fra la covarianza dell’attività i-esima e il portafoglio di mercato, e la varianza del 𝑃𝑀. In formule: 𝛽𝑖 = 𝜎𝑖𝑀 𝜎𝑀 2 Questo è un modo diverso di rappresentare il beta, e lo si può utilizzare solo se disponiamo di date info, modelli di analisi, base informativa ecc. *Ho aggiunto una slide rispetto all’altra lezione. La slide parla della BRRD (bank recovery and resolution directive), e cioè il secondo pilastro dell’unione bancaria europea. La slide è il seguente schema: Il bail in si applica alle istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica, le quali si trovano in una situazione di “failing or likely to fail”. Per le entità che invece non sono rilevanti, si va verso la liquidazione con le regole nazionali. Del caso dell’MPS, invece, si è optato per la ricapitalizzazione precauzionale. Questa soluzione però richiede la compresenza di alcuni elementi, i quali non riguardano solo l’autorità di vigilanza bancaria, ma anche la Commissione, con questa che deve esaminare se i provvedimenti sono compatibili col Divieto di aiuti di Stato alle banche. Anche per l’individuazione degli strumenti di capitale e delle deduzioni è stato previsto un periodo di “grandfathering” che durerà fino al 2023, con graduale sostituzione degli strumenti e delle deduzioni ammesse in Basilea 2 con quelli definiti da Basilea 3. In particolare, le deduzioni introdotte da Basilea 3 venivano computate per il 20% a partire dal 2014, per poi via via salire fino al 100% nel 2018. Gran parte delle nuove normative di Basilea 3 sono già in vigore, mentre solo alcune regole minori (ma di impatto) sono ancora in fase di recepimento. Il patrimonio di vigilanza secondo Basilea 3 Il patrimonio di vigilanza complessivo è composto dalla somma algebrica di: - Capitale di Calsse 1 o Tier 1, il quel è il patrimonio in grado di assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa (ongoing concern) ed è a sua volta composto da: 1. Capitale Primario di Classe 1 (Common Equity Tier 1 o CET 1) 2. Capitale Aggiuntivo di Classe 1 (Additional Tier 1 o AT 1) - Capitale di Classe 2 o Tier 2, il quale è il patrimonio in grado di assorbire le perdite in condizioni di crisi Questi tre livelli di ratio patrimoniale devono essere calcolati da ogni banca. Questi livelli di patrimonio sono molto importanti, e quindi sono esaminati periodicamente dalle autorità di vigilanza. Vediamo adesso più da vicino il CET 1. Tier 1 CET 1 Il CET 1 (Common Equity Tier 1): si tratta del capitale primario, o di “prima qualità”, e corrisponde sostanzialmente al capitale netto tangibile. Quest’ultimo corrisponde al capitale netto contabile (capitale sociale e riserve da utili e utile di esercizio non distribuito) dedotte le attività intangibili (avviamento14 in primis). La misura regolamentare minima del CET 1 è pari al 4,5% del rapporto fra CE/RWA. Per non avere limitazioni nella distribuzione dei dividendi, le banche devono inoltre tenere buffers addizionali, uno di conservazione del capitale (pari al 2,5%) e uno anticiclico (nella misura massima del 2,5%). Per le banche sistemiche sono previsti invece livelli più alti. *Le banche, inoltre, devono tenere in considerazione, nello stilare i loro piani di conservazione del capitale, sia del calcolo dei requisiti patrimoniali nel caso in cui tutte le nuove normative fossero già in vigore (phased in), sia degli obiettivi a tendere indicati dalla vigilanza (guidance15). Additional Tier 1 Al CET 1 si aggiungono alcuni strumenti (preferred shares diverse da quelle previste dal codice civile italiano e strumenti ibridi) con capacità di assorbimento delle perdite, seppur peggiore di quella 14 L’avviamento me lo ritrovo nell’attivo come “attività intangibile”. L’avviamento, data la sua natura peculiare, non può costituire una parte del patrimonio di vigilanza. 15 La guidance è un consiglio dato dalla BCE alla banca. In sostanza è un’indicazione della banca centrale su degli obiettivi da raggiungere entro un dato periodo di tempo. appartenete al capitale di prima qualità. Questi strumenti rientrano nella categoria definita AT 1 (Additional Tier 1) Cosa nasce dalla somma di CET 1 e AT 1? ★CET 1 e AT 1 formano, insieme, il Tier 1, o anche “il capitale di classe 1”. La misura regolamentare minima del Tier 1 è pari al 6% del rapporto T1/RWA; ciò significa che l’AT 1 non può essere inferiore al 1,5%. In formule: 𝑻𝒊𝒆𝒓 𝟏 = 𝑪𝑬𝑻 𝟏 + 𝑨𝑻 𝟏 Tier 2 Il Tier 2 (TIer 2 capital, T2) è formato da strumenti ibridi di debito con scadenza non inferiore a 5 anni, e il cui ammontare computabile si riduce in base al piano di ammortamento. Il suo valore minimo è pari a T2/RWA = 2%. Total Regulatory Capital Con Basilea 3, il patrimonio di vigilanza totale16 che ogni banca deve detenere è costituito dalle seguenti componenti: 𝑻𝑹𝑪 = 𝑪𝑬𝑻𝟏 + 𝑨𝑻𝟏 + 𝑻𝟐 La misura regolamentare minima del patrimonio di vigilanza è, in formule, pari a TRC/RWA = 8%. A questo si aggiunge il buffer di conservazione del capitale, il buffer anticiclico e quello aggiuntivo per le banche sistemiche. *I requisiti patrimoniali cui i singoli intermediari sono obbligati a livello consolidato (= a livello di gruppi) vengono comunicati dall’autorità di vigilanza a seguito dello SREP (Supervisory review and evaluation process). *L’autorità di vigilanza può sempre intervenire nel calcolo dei filtri c.d. “prudenziali”, nel calcolo delle componenti di capitale, così come può imporre buffer addizionali (Add on) nel caso rilevi situazioni di rischio che richiedono dotazioni patrimoniali più elevate. L’ICAAP e lo SREP: riassunto La banca fa l’esercizio dell’ICAAP (vedo i rischi, quanto capitale mi assorbono, vedo quanto capitale mi rimane “libero”, verifico quale sia il mio risultante coefficiente patrimoniale ecc. A questo punto, mando l’ICAAP all’autorità di vigilanza (Bankitalia o BCE). L’autorità, insieme a tutte le altre informazioni che raccoglie nel corso della sua attività di vigilanza, e tira le sue conclusioni, ovverosia stila lo SREP. L’autorità, a questo punto, attraverso le SREP, può chiedere ad esempio che una banca abbia un patrimonio di vigilanza superiore all’8%. L’autorità può infatti richiedere, alle banche più importanti, requisiti specifici più stringenti di quelli minimi valenti per tutti gli istituti bancari. L’autorità può inoltre dare degli obiettivi da raggiungere (ad es., dovrai avere un patrimonio di vigilanza superiore al 11% fra tre anni). Questa prassi è la “guidance”. 16 Total Regulatory Capital o anche Total Capital Ratio. Cos’è il piano di conservazione del capitale? Così come si legge nella Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013: <<… Le banche che non detengono le riserve di capitale nella misura richiesta sono soggette ai limiti alle distribuzioni; inoltre, esse si devono dotare di un piano di conservazione del capitale che indichi le misure che la banca intende adottare per ripristinare, entro un congruo termine, il livello di capitale necessario a mantenere le riserve di capitale secondo la misura richiesta (cfr. Sez. V).>> Vincolo alla raccolta da destinare ai finanziamenti agrari Secondo la disciplina precedente, la raccolta, e cioè l’attività di funding per la definizione del quadro di risorse da destinare ai finanziamenti per il settore agricolo, doveva avvenire mediante forme di raccolta specifiche rappresentate (in quel momento, ossia i primi anni Trenta) dai Buoni agrari. Questi ultimi erano forme di raccolta cartolarizzata degli istituti di credito speciale, e quindi forme tecniche di raccolta assimilabili all’odierna emissione di prestiti obbligazionari. Questi buoni agrari dovevano essere collocati presso il pubblico dei risparmiatori, e solo in questa maniera era possibile finanziare il settore agricolo. Negli anni Settanta, tuttavia, nonostante l’emissione dei buoni, gli istituti di credito speciale non riuscirono più a raccogliere fondi idonei a soddisfare la domanda di capitali del settore agricolo. Le industrie che caratterizzano il nostro settore produttivo sono, ancora oggi, industrie prevalentemente di piccola o media dimensione, con l’attività agricola che gioca ancora un ruolo importante, seppur non centrale come in passato. Ma allora, il problema dei Buoni agrari era grave ed era dovuto al fatto che questi non risultavano più appetibili per i risparmiatori. Ciò richiese un intervento di Bankitalia con il quale i Buoni furono sostituiti dalle “Cartelle agrarie”, le quali venivano emesse con delle clausole “privilegiate” (ad es., le Cartelle non potevano essere aggredibili in alcun modo, neanche pignorate). Queste clausole garantivano al risparmiatore un rendimento certo, sia in conto capitale che in conto interessi. Anche quando ci fossero state situazioni in cui era impossibile il rimborso, le Cartelle non venivano toccate da effetti negativi. Anche le cartelle tuttavia, col passare degli anni, trovarono sempre più difficoltà nell’essere collocate sul mercato, anche perché la domanda di finanziamenti del settore agricolo era cresciuta nuovamente. Banca d’Italia è dunque intervenuta di nuovo, negli anni Ottanta, ed ha obbligato le banche a destinare una parte della raccolta a vista nell’acquisizione di determinati titoli, tra cui c’erano anche le Cartelle agrarie. Negli anni Novanta, col TUB, questo obbligo viene meno, gli istrutti di credito speciale non ci sono più e le banche possono erogare finanziamenti secondo i propri obiettivi strategici, e non vi sono più vincoli alla destinazione dei finanziamenti in funzione delle tipologie e tecniche di raccolta. Carattere predeterminato delle operazioni finanziabili e delle forme tecniche nelle quali le stesse dovevano essere effettuate Cade anche un secondo vincolo, il quale è rappresentato dal secondo punto in rosso della slide. Allegato alla disciplina del credito agrario, si trovavano elencate anche quali operazioni potevano essere finanziate tramite il credito agrario. Ma allora, le operazioni finanziabili dal credito agrario erano predeterminate per legge, per cui laddove le risorse fossero state utilizzate per operazioni diverse da quelle previste nell’allegato, si sarebbe configurato un illecito. La caduta di questo vincolo fa sì che si rispetti il principio aziendalistico in base al quale non si finanziano le singole operazioni, ma piuttosto l’impresa che richiede il credito. Cade inoltre la forma tecnica di erogazione del credito; era infatti stata prevista inizialmente una forma specifica di finanziamento. Oggi invece, a seconda della durata, il credito agrario può essere erogato attraverso qualsiasi forma tecnica tradizionale. Rimangono ancora in vigore nel TUB le limitazioni in verde della slide, ossia la disciplina del rapporto di finanziamento (diretta a rafforzare la tutela degli enti finanziatori1) e la configurazione del credito agrario come “credito di scopo”. Disciplina del rapporto finanziario Come viene gestito dal legislatore il rafforzamento della tutela dei finanziatori? Il credito agrario si costituisce dietro la presenza di un privilegio. Questa è una condizione necessaria: tutte le forme di credito agrario prevedono la costituzione di un privilegio. Il privilegio non è una garanzia reale, ma è una tra le cause di prelazione che costituisce garanzia patrimoniale su determinati beni del debitore in relazione alla causa del credito. L’art. 2745 del cc disciplina il privilegio come segue: << Il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere subordinata alla convenzione delle parti; può anche essere subordinata a particolari forme di pubblicità>>. Il privilegio può essere legale o convenzionale. Il “privilegio legale” è quello che si costituisce direttamente dalla legge in funzione di quella che è la natura del credito. Ma allora, in base alla natura, automaticamente e legalmente si costituisce il privilegio. Altra modalità di costituzione del privilegio è il “privilegio convenzionale”: laddove la natura del credito non consenta la costituzione di un privilegio legale, la parti contraenti (nel credito agrario) devono porre in essere questa seconda modalità, e cioè un privilegio “convenuto” tra le parti. Nel credito agrario, il privilegio costituisce la conditio sine qua non il credito non può essere erogato. Se il privilegio si costituisce legalmente, non ci sono problemi; se però il privilegio non si dovesse costituire perché la natura del credito non lo consente, questo deve essere convenuto dalle parti. Il privilegio, indipendentemente dal fatto che sia legale o convenzionale, può essere generale o speciale. Il primo, come dice il nome, si costituisce su tutti i beni mobili del debitore, senza dover individuare uno specifico bene su cui costituire il privilegio. Nel caso invece del privilegio speciale, viene costituito un privilegio su uno specifico bene del debitore, sia esso mobile o immobile. La tutela dell’ente finanziatore dipende dalla costituzione di un privilegio, e impedisce lo spossessamento dei beni del debitore, il quale potrà sempre utilizzare i beni sui quali è stato costituito il privilegio. Se vi ricordate, nel pegno abbiamo lo spossessamento dei beni, con questi ultimi che vanno sotto la custodia del creditore-pignoratizio. Questo non avviene nel caso del privilegio; il debitore, non essendo spossessato dei beni “in garanzia”, li può utilizzare, garantendo la continuità del ciclo produttivo. 1 Gli enti finanziatori trovano nella disciplina esistente una forma di rafforzamento giuridico dell’operazione di credito. I finanziatori riusciranno ad essere maggiormente tutelati. Lo spossessamento dei beni dal debitore inadempiente, invece, rischia di aggravare la situazione patrimoniale e/o economica del debitore stesso. Ma allora, il fatto di dover costituire un privilegio configura una tutela per la banca, e questo perché il debitore è messo nelle condizioni di non fermare la continuità del ciclo produttivo. *Come mai vi ho fatto la distinzione fra privilegio speciale e generale? L’ho fatto perché solo il privilegio speciale costituisce il diritto di sequela2. Per questa motivazione, il privilegio generale non può essere considerato una garanzia reale. L’opposto vale per il privilegio speciale, per il quale si determina un diritto di sequela per l’ente finanziatore. *In che rapporto si pone il privilegio rispetto alle altre garanzie reali? Il privilegio può essere considerato “garanzia reale” solo se speciale, e questo proprio in virtù del diritto di sequela. *Nel caso in cui vengano costituiti pegno, privilegio speciale ed ipoteca su uno stesso bene, in caso di insolvenza del debitore, come si soddisfano i vari creditori? Il privilegio speciale su beni immobili prevale sempre sull’ipoteca → il creditore privilegiato ha diritto di prelazione rispetto al creditore ipotecario. Il privilegio speciale, invece, su beni mobili è invece subordinato al pegno. Configurazione del credito agrario come credito di scopo Tutte le operazioni particolari di credito hanno uno “scopo”, ossia è ben delineata la destinazione del finanziamento. Si tende quindi a distinguere fra “credito di esercizio” e “credito di miglioramento”. Il “credito di esercizio” è quel credito che viene erogato alle imprese agricole per garantire la continuità del ciclo produttivo. Il credito viene perciò erogato per l’acquisizione dei fattori produttivi, sia di breve che di medio-lungo periodo. Il credito ha quindi carattere “straordinario”, ma piuttosto “ordinario”. Il credito di esercizio si divide in “credito di conduzione” e “di dotazione”. Il credito “di conduzione” è quel credito che va a sostenere le spese della gestione corrente, ossia gli investimenti che ritornano in forma monetaria nel breve periodo. Il credito “di dotazione” invece viene erogato per l’acquisizione di quei fattori della produzione definiti “a lento rigiro”, come ad esempio gli impianti e tutti i fattori a fecondità ripetuta. Passiamo adesso a parlare del credito di miglioramento. Quest’ultimo serve a migliorare l’attività di produzione caratteristica dell’impresa. In questo credito rientrano tutte quelle forme di finanziamento aventi una durata superiore ai cinque anni. →Tutti i crediti che abbiamo visto si distinguono fra loro per lo scopo del finanziamento. Quando andremo a vedere il sistema di garanzie, vedremo che è richiesto un collateral differente a seconda 2 Il diritto di sequela è un istituto dell'ordinamento giuridico italiano che concerne i diritti reali. In particolare, è il diritto di sottoporre il bene ad un'esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di un terzo; particolarmente rilevante in materia di pegno e ipoteca. Una garanzia ‘sussidiaria’ o ‘mutualistica’ inquadra la situazione in cui l’ente finanziatore, per poter usufruire di tutto il sistema di garanzie che ruota intorno al credito agrario, deve necessariamente escutere prima le garanzie rilasciate in fase di costituzione del credito (= garanzie primarie). Ma allora, se il credito agrario fosse nato senza il rilascio di garanzie, l’ente finanziatore non sarebbe potuto procedere alla richiesta di utilizzo di garanzie sussidiarie. Ecco perché, in passato, il privilegio diventava la condizione necessaria per poter costituire un credito agrario. Il Fondo interbancario di garanzia ha gestito le garanzie sussidiarie fino al 2004. La disciplina di questo fondo non era innovativa per il testo unico, e questo perché all’art. 45 il testo recepisce la disciplina previgente. Il Fondo andava a garantire le banche per le perdite eventualmente subite nella concessione del credito agrario, differenziando il soddisfacimento in funzione della destinazione del credito. Oggi l’art 45 è però stato abrogato ed il sistema di garanzie non è più gestito dal Fondo interbancario, ma da altri organismi appositamente costituiti, ossia l’ISMEA e l’SGFA (di cui parleremo in seguito). Per quel che concerne lo scopo del Fondo, esso atteneva al risanamento delle perdite derivanti dall’acquisto di fattori della produzione a fecondità ripetuta, o da consolidamento di passività onerose. Di fatto, quindi, il fondo interveniva per aiutare le banche soltanto per risanare le perdite derivanti dalla concessione del credito di miglioramento e di dotazione. Anche oggi le garanzie sussidiarie intervengono con questa stessa logica; l’unica cosa che cambia è il gestore di queste garanzie sussidiarie (essendo oggi assente il Fondo interbancario di garanzia). Come scritto su Wikipedia: <<…il "Fondo interbancario di garanzia" […] aveva lo scopo di garantire "la copertura dei rischi derivanti dalla concessione, ai termini delle disposizioni in materia di credito agrario, di mutui di miglioramento fondiario e di formazione di proprietà contadina [...]". Il fondo […] si rivolgeva solamente alle banche che erogavano il "credito agrario di miglioramento" ed era finalizzato ad aiutare le banche che si trovavano in difficoltà in conseguenza dell'erogazione dei crediti suddetti.>> Le operazioni assistibili da garanzie del Fondo (oggi al suo posto c’è SGFA): - Tutte le operazioni di durata superiore ai 18 mesi (→ credito di dotazione e di miglioramento), aventi un importo compreso tra 5.200 e 1.550.000 euro. - Se però il credito agrario è assistito da agevolazioni pubbliche, è possibile inserire fra le operazioni di credito assistite dal fondo anche crediti con durata inferiore ai 18 mesi (→ credito di conduzione) nei limiti però di 775.000 euro. Questo è un aspetto molto importante perché, in passato, si è assimilato il credito agrario col credito agevolato. Ciò però è falso: il credito agevolato è quel credito che prevede una parte dell’onerosità del credito spostata sulle spalle di soggetti pubblici. Si può parlare di intervento pubblico soltanto quando si ha un intervento dello Stato nell’economia privata, e non anche quando il tasso richiesto per un credito viene abbassato per la volontà di sostenere lo sviluppo di un settore. Un credito è agevolato quando una parte dell’onere del finanziamento si sposta su un soggetto pubblico, ossia grava sulla collettività. Ma allora, se il credito agrario nasce come “credito agevolato”, tutte le operazioni di finanziamento (indipendentemente dalla destinazione) sono ammissibili alla garanzia del Fondo interbancario. *Tutte le garanzie aventi carattere sussidiario prevedono l’intervento del Fondo (= soggetto garante), nei limiti di importi definiti dalla disciplina. Di conseguenza, la possibilità, per es., per l’ente finanziatore di ripianare perdite subite a seguito dell’erogazione di crediti di miglioramento/dotazione avviene nei limiti del 75%; il consolidamento di passività onerose, invece, avviene oggi nei limiti del 55%. Lo stesso dicasi per quei finanziamenti che rientrano l’ambito del credito di conduzione, ossia finanziamenti di breve periodo agevolati: possono essere anch’essi assistiti nei limiti del 55% della perdita subita. Queste percentuali, chiaramente, sono state modificate nel tempo, ma ciò che ci interessa è, naturalmente, il tipo di intervento del Fondo (o meglio dell’SGFA). La perdita, come possiamo vedere, non viene rimborsata integralmente → la banca deve comunque effettuare una valutazione del merito creditizio, anche se ha un sistema di garanzie sussidiarie che la tutela, così da evitare una perdita. Si osserva quindi, in conclusione, come la disciplina voglia anche vincolate l’attività della banca. L’ente che si occupava del fondo, e che ancora oggi si occupa del rilascio delle garanzie sussidiarie, è il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF). Vi ricordo che il Ministro dell’economia è anche il presidente del CICR, ed ha anche delle funzioni proprie ecc. Quali sono state le modifiche cha hanno portato alla scomparsa del Fondo? Dal punto di vista del funzionamento del sistema delle garanzie sussidiarie, non vi è stato alcun cambiamento. Il cambiamento più importante è stato l’affiancare alle garanzie mutualistiche quelle dirette. Il Fondo interbancario è andato a confluire in una sezione dell’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare). Nel 2005 l’ISMEA si è trasferita alla SGFA (Società per la gestione dei fondi agroalimentari), la quale controlla la prima al 100%. La struttura e l’impostazione del sistema di garanzie però, come abbiamo detto, è rimasto inalterato. Dal 2005, SGFA gestisce gli interventi per la garanzia diretta e sussidiaria relativa al credito agrario. Come si configurano le due garanzie? Le garanzie dirette sono, come dice il nome, direttamente rilasciate dall’SGFA, la quale si pone come garante dell’impresa agraria rispetto alla banca finanziatrice. Le garanzie dirette, se non rilasciate, non possono essere prese in considerazione dalla banca. Al contrario, le garanzie sussidiarie si attivano subito dopo la comparsa di una perdita, così da ripianarle. Le garanzie dirette si configurano come: - Fideiussioni; garanzie personali per cui SGFA si pone come garante dell’obbligazione assunta dall’impresa vs la banca. Laddove l’impresa fosse insolvente, la banca può agire direttamente nei confronti della SGFA (rimborso fino al max dell’importo garantito); - Cogaranzie; qui SGFA è obbligata solidalmente con l’impresa, e fa ciò tramite l’utilizzo di un consorzio fidi (Confidi). Le piccole imprese, tipicamente, si associano ai consorzi fidi perché, in questo modo, possono “risparmiare” sulle garanzie da rilasciare alla banca (a cui si aggiunge una maggiore facilità di accesso al credito bancario). L’appartenenza al consorzio fidi garantisce alla banca la solvibilità dell’impresa. Ma allora, la SGFA, coobbligata col consorzio fidi, rilascia una garanzia a favore dell’impresa agricola; in caso di insolvenza dell’azienda, la banca ha la facoltà di scegliere dove soddisfarsi (o sulla SGFA, o sul consorzio). Nella coobbligazione, i rapporti fra SGFA e consorzio fidi esulano dalla problematica della garanzia rilasciata, per cui non influiscono sulla scelta della banca finanziatrice. - Controgaranzie; sono garanzie che SGFA rilascia al consorzio fidi. Come sappiamo, quest’ultimo ha la funzione di garantire le imprese associate. La banca chiede una garanzia