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economia monetaria riassunto Pittaluga, Sintesi del corso di Economia Monetaria

economia monetaria, moneta, stabilità e istituzioni

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 16/11/2021

alessandrounipg
alessandrounipg 🇮🇹

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Scarica economia monetaria riassunto Pittaluga e più Sintesi del corso in PDF di Economia Monetaria solo su Docsity! RUOLO E ORIGINE DELLA MONETA La moneta è una istituzione sociale e in quanto tale richiede un minimo livello di fiducia per svolgere la propria funzione; nello specifico, la moneta può essere accettata solo se vi è fiducia nel suo valore futuro e quindi particolare attenzione va riservata ai fattori e ai meccanismi che ne garantiscono la fiducia. egli ultimi decenni, dopo la Grande Inflazione degli anni Settanta, la teoria e la prassi si sono focalizzate sulle insidie che possono derivare al valore della moneta dall’inflazione. L’enfasi su questo aspetto si è tradotta, a livello di policy, el diffuso ricorso a forme di inflation targeting. Si è così finito per trascurare le minacce alla fiducia nella moneta che ossono derivare da crisi finanziarie e bancarie. Ad oggi, dopo la crisi finanziaria globale del 2007-2008, l’attenzione è romata a privilegiare i meccanismi che possono garantire la stabilità finanziaria. Le teorie della moneta possono essere ricondotte principalmente a due filoni: 1) Ilprimofilone, in accordo con le idee espresse da Menger (1892), ritiene che la moneta consista in un bene che, affermandosi come mezzo di pagamento, tende a ridurre i costi di transazione associati al baratto. In questo contesto i soggetti operano negli scambi su un piano di assoluta parità. 2) Ilsecondo filone, per contro, considera la moneta come una forma di relazione sociale e tende, dunque, ad enfatizzarne il significato della moneta come unità di conto in cui sono “misurati” i rapporti di credito e debito tra i soggetti. La moneta rappresenta qui una forma di relazione tra soggetti diversi, in particolare tra coloro che devono ottemperare a determinate obbligazioni e coloro verso cui tali obbligazioni vanno soddisfatti; qui nasce un problema di fiducia (e le forme in cui questo problema è stato risolto sono alla base dell’evoluzione del sistema dei pagamenti). La moneta rappresenta un mezzo di pagamento ma anche una riserva di valore. Infatti, poiché gli scambi hanno carattere sequenziale (piuttosto che istantaneo) la moneta consente di trasferire valore nel tempo. In un modello di equilibrio economico generale à la Walras, poiché in esso gli scambi tra i soggetti possono avvenire in ‘un unico istante, la moneta non ha alcun ruolo. Solo qualora introduciamo l’ipotesi che, data l'assenza di alcuni tipi di mercati, gli scambi non possono avvenire in un unico istante, ma avvengono in una successione di istanti, vale a dire in un processo sequenziale, la moneta consente di trasferire valore nel tempo (tuttavia, questa funzione può essere esplicata anche da altre attività). È facendo riferimento all’esistenza di scambi decentrati e di costi di transazione che Menger spiega il passaggio dal baratto diretto (in cui i beni sono scambiati per il loro valore d’uso) al baratto indiretto (in cui i beni sono scambiati per il loro valore di scambio) e, infine, alla moneta merce. Lo schema di Menger non consente però di dare una soddisfacente spiegazione al vantaggio derivante dall’introduzione della carta-moneta. Introducendo l’ipotesi di una imperfetta distribuzione delle informazioni sul merito di fiducia dei soggetti, in questo contesto, l’esistenza di una Autorità come lo Stato, che emette e garantisce l’accettabilità da parte di tutti, permette di risolvere il problema della domanda di fiducia. L’ipotesi di asimmetrie informative consente non solo di spiegare il ruolo dello Stato nell'origine della moneta senza valore intrinseco, ma anche di capire per quali ragioni sia preferibile un sistema basato sulla produzione monopolistica di moneta rispetto ad un sistema in cui la moneta venga prodotta in modo competitivo. LE FUNZIONI DELLA MONETA In un’economia senza moneta gli scambi avvengono nella forma di baratto. Nel baratto un soggetto acquista un certo bene (o servizio) cedendogli in cambio un altro bene (o servizio) e ciò avviene quando vi è piena coincidenza tra la volontà nell’acquisto e nella vendita in entrambi i soggetti (istantaneità degli scambi che implica ancora assenza di credito); abbiano inoltre la coincidenza tra mezzi di scambio e mezzi di pagamento (assenza di credito). Tale forma di scambio può perdurare nel tempo solo a fronte di elevati costi di transazione. La funzione basilare della moneta è di realizzare la separazione tra le due volontà: la moneta permette di effettuare uno scambio tra due soggetti senza che vi sia la doppia coincidenza delle volontà, vale a dire l’improbabile circostanza che due individui abbiano ciascuno il bene che l’altro desidera, nel momento e nel posto giusto. La moneta assolve tre funzioni: - MEZZO DI PAGAMENTO (moneta transattiva), potere liberatorio che estingue l'obbligazione La separazione dell’atto di vendita dall’atto di acquisto presuppone l’esistenza di un qualcosa che sia accettato come mezzo di pagamento, vale a dire come strumento che estingue ogni obbligazione dell’acquirente nei confronti del venditore. Mezzo di pagamento = permette di estinguere ogni obbligazione dell'acquirente (es. moneta legale) Mezzo di scambio = consente lo scambio, ma lascia in essere l'obbligazione dell'acquirente (es. cambiale) - RISERVA DI VALORE (moneta speculativa), conservata per essere utilizzata in transazioni successive Alla funzione di mezzo di pagamento della moneta è connessa quella di riserva di valore. Poiché tra la decisione di vendere un bene e quella di acquistarne un altro può intercorrere un intervallo temporale, è necessario disporre di una attività che incorpori in sé potere di acquisto. La detenzione di tale attività permette al possessore di scegliere quando effettuare lo scambio; il soggetto può infatti tesaurizzare una certa somma e spenderla in un momento futuro a sua scelta. - UNITA’ DI CONTO (moneta numeraria), unità di misura che definisce il valore dello scambio (numerario Oltre quelle di mezzo di pagamento e di riserva di valore, la moneta esercita una terza funzione: quella di unità di conto. In quanto tale essa rappresenta una unità di misura rispetto a cui viene determinato il valore di scambio dei beni. L’utilizzo di una unità di conto (di misura) consente di ridurre il numero dei rapporti di scambio e quindi, abbassando i costi di informazione sul valore di un determinato bene, facilita le transazioni. In una economia in cui esistano n beni e manchi una unità di conto, il numero dei valori di scambio è pari a (n)\(n-1) /2; l’utilizzo di una unità di conto consente di ridurre il numero dei valori di scambio a n-1. L’unità di conto può essere costituita da una moneta astratta, che fisicamente non esiste, o come avviene più spesso può essere costituita da una moneta concreta, che ha consistenza fisica e che viene utilizzata come mezzo di pagamento. Il prezzo monetario di un bene è dato dal numero di unità del mezzo di pagamento cedute in cambio di una unità di quel bene. Quando unità di conto e mezzo di pagamento coincidono, il valore di conto e il prezzo monetario coincidono. Ciò facilita ulteriormente gli scambi. In economie contraddistinte da inflazione elevata avviene che la funzione della moneta come mezzo di pagamento sia separata dalla funzione di unità di conto; in queste economie la funzione di mezzo di pagamento è svolta dalla moneta intema, mentre la funzione di unità di conto è svolta da una valuta esterna, in genere dalla valuta di un Paese di grandi dimensioni e con prezzi stabili. Moneta Legale: quando la accettazione della moneta è diffusa e il suo valore intrinseco è stabile. Inflazione (con l’inflazione avviene, come abbiamo visto, la separazione tra la funzione di mezzo di pagamento, svolta dalla moneta interna, e la funzione di unità di conto, la quale viene svolta da una valuta esterna). In presenza di inflazione i prezzi perdono la loro funzione segnaletica sulla scarsità dei beni. La BCE ha come obiettivo la stabilità dei prezzi. Infatti, con la stabilità dei prezzi: 1) I prezzi relativi mantengono la funzione informativa garantendo l’efficienza produttiva e allocativa del sistema, massimizzando di conseguenza il benessere sociale; 2) Le attività finanziarie si mantengono attrattive; nel lungo periodo rimane efficiente il livello degli investimenti e l’efficienza nel mercato dei capitali. Si minimizzano i premi al rischio e le risorse risparmiate possono essere spese per finalità produttive; 3) Noncisono effetti distorsivi nella redistribuzione della ricchezza e del reddito, con conseguente pace sociale. {I gruppi sociali più poveri sono quelli che hanno meno possibilità di tutelarsi nei confronti dell’inflazione (soprattutto in assenza di indicizzazione)]. @ Teoria Neodassica si focalizza sulle funzioni di unità di conto e di mezzo di pagamento della moneta. I neoclassici ribadiscono che un’economia di mercato può funzionare in modo efficiente solo se i prezzi segnalano la scarsità relativa dei beni. Laddove il sistema dei prezzi non eserciti questa funzione segnaletica per l’assenza di una unità di conto stabile nel tempo, risulta compromessa la capacità dei mercati di assicurare l’allocazione ottimale delle risorse. Focus sul problema di come assicurare la stabilità nel tempo dell’unità di conto, e quindi sulla funzione di mezzo di pagamento di una moneta che facilita gli scambi, ma ha una utilità marginale pari a zero. proprietà), gli emittenti saranno incentivati a salvaguardare la qualità della moneta e, di riflesso, a evitarne sovraemissioni. Un regime di produzione competitiva di moneta può quindi stabilizzare il livello dei prezzi, in quanto tentativi di sovraemissione sarebbero scongiurati dall’esigenza degli emittenti di salvaguardare la marca della moneta. Analogamente, secondo Hayek l’instabilità dell'economia di mercato riscontrata in passato deriva dall’aver impedito che la moneta (il più importante regolatore del meccanismo di mercato) sia regolata essa stessa dal processo di mercato. Il funzionamento del sistema di produzione competitiva di moneta sarebbe assicurato dal fatto che i depositanti, quando si accorgono che una banca sta emettendo una quantità eccessiva di moneta rispetto al valore delle proprie attività, chiedono il rimborso dei fondi depositati Tentativi di sovraemissione di moneta, in un regime di produzione competitiva di moneta, sarebbero quindi scongiurati da un controllo sulla qualità dell’attivo delle banche esercitata dai depositanti. Diverse obiezioni possono essere mosse all’approccio del free banking: 1) Tale approccio presuppone che i depositanti conoscano il valore di mercato della banca e, quindi, la qualità della moneta da essa emessa. Questa convinzione è difficilmente accettabile dal momento in cui larga parte dell’attivo delle banche è costituito da attività non negoziali (soprattutto prestiti), il cui valore di mercato non può essere determinato; 2) Nonè chiara la ragione per la quale le banche private siano più lungimiranti delle istituzioni governative, ragionino nel lungo periodo e abbiano un minore incentivo a sfruttare le pressioni inflazionistiche; 3) Storicamente si è osservato che i sistemi monetari basati sulla produzione competitiva di moneta abbiano dato luogo, quasi sempre, a sovraemissione di moneta e fallimenti bancari; 4) Se sussiste una imperfetta distribuzione delle informazioni tra i soggetti, le stesse banche posso regolare le transazioni reciproche solo ricorrendo ad un mezzo di pagamento il cui valore e la cui accettabilità siano garantiti dallo Stato. In questo contesto emerge dunque che il ruolo dello Stato nella introduzione e diffusione della moneta-segno è cruciale: esso assicura la fiducia dei soggetti in un mezzo di scambio rappresentato da un bene che di per sé non ha uti Il meccanismo istituzionale attraverso cui lo Stato produce fiducia nella moneta-segno e, quindi, ne favorisce l’accettabilità, è rappresentato dalle Banche centrali cui è affidato il compito di garantire nel tempo la stabilità del valore della moneta-segno. EVOLUZIONE STORICA DEL SISTEMA DEI PAGAMENTI Chi voglia effettuare una transazione deve sostenere innanzitutto costi per trovare la controparte disposta allo scambio; questi costi, denominati costi di transazione, sono direttamente proporzionali al numero degli scambi. i 7” L’andamento dei costi di transazione è quello rappresentato dalla curva Ct; quanto più breve è l’intervallo tra una transazione e la successiva, tanto più elevati sono i costi di transazione. Anche la non effettuazione degli scambi comporta costi, denominati costi di attesa, Ca: tali costi possono essere di natura soggettiva (connessi al fatto di non poter consumare o possedere ciò che si vorrebbe) e di natura oggettiva (connessi essenzialmente all’immagazzinamento delle scorte). I costi complessivi degli scambi Cs, sono dati dalla somma dei costi di transazione e di quelli di attesa. © baratto E moneta-merce moneta bancaria Ù I l’introduzione di una merce utilizzata come mezzo di pagamento (la moneta-merce) sicuramente consentì di ridurre i costi di transazione degli scambi rispetto ad una situazione di baratto. L’uso della moneta-merce negli scambi, tuttavia, presenta degli svantaggi: a) La quantità di moneta-merce presenta una elasticità pressoché nulla rispetto al livello di attività produttiva: ad un aumento delle transazioni, essendo date la quantità di moneta-merce e la sua velocità di circolazione, dovrebbe corrisponde una diminuzione del livello assoluto dei prezzi. Nella realtà i prezzi della gran parte dei beni non sono perfettamente flessibili, presentando anzi un elevato grado di rigidità. Pertanto, un aumento del livello di attività produttiva può essere, almeno in parte, ostacolato dal fatto che la quantità della moneta-merce è data. b) Le variazioni della quantità di moneta-merce, oltre che indipendenti dal ciclo dell’attività produttiva, sono del tutto erratiche: p.e., nel caso in cui la moneta-merce sia l’oro, la crescita della quantità di moneta del sistema dipende dal grado di sfruttamento delle miniere esistenti e dalla scoperta di nuove miniere. A seguito di ciò, shock erratici sulla quantità di moneta tendono a tradursi in shock sul livello dei prezzi e, almeno nel breve periodo, dato un certo grado di rigidità dei primi, sul ciclo produttivo. L’affiancarsi della moneta bancaria alla moneta-merce permette di accrescere l’elasticità dell’offerta di moneta rispetto al livello di attività produttiva. Tuttavia, anche in un sistema con moneta bancaria e moneta-merce l’elasticità dell’offerta di moneta è contenuta: la quantità di moneta bancaria, infatti, è strettamente legata a quella della moneta- merce. È solo con l’introduzione nel sistema della moneta cartacea, il cui valore è garantito dallo Stato, che possono essere superati gli svantaggi della moneta-merce. I costi di produzione della moneta cartacea a corso legale sono pressoché nulli e il controllo delle Autorità sulla quantità di moneta a corso legale è assoluto; pertanto, non solo non possono darsi shock erratici, ma le Autorità acquisiscono anche la capacità di adeguare la quantità di moneta all'evoluzione dell’attività produttiva e di controllare l'andamento dei prezzi. AI presente, i mezzi per effettuare i pagamenti risultano diversi. Essi consentono di ridurre in misura differente i costi di transazione legati agli scambi. È noto che all'aumentare dell'importo medio della transazione si manifesta una crescente tendenza alla sostituzione del contante con assegni e con metodi elettronici, data la necessità di minimizzare i costi di detenzione connessi alla trasmissione monetaria. Tuttavia, solo la moneta legale garantisce il pagamento immediato e definitivo delle transazioni, non presentando così, rispetto agli altri strumenti di pagamento diversi dal contante, problemi legati alla lunghezza dei tempi necessari per il perfezionamento del pagamento e quello del grado di definitività. La moneta legale costituisce tuttora un mezzo di pagamento molto diffuso in tutte le economie, anche in quelle più industrializzate. L'importanza di questo strumento di pagamento tende a ridursi allorché un sistema economico si sviluppa sotto il profilo sia reale che finanziario. La diffusa accettazione e il potere liberatorio assoluto attribuito a questo strumento costituiscono i principali fattori che ne incentivano l’utilizzo, rendendo i costi di informazione legati alla sua accettazione pressoché nulli. Inoltre, è da considerare la comodità d’uso legato all’uso della moneta legale, la quale offre un immediato potere di acquisto senza esigere alcun contatto con l’emittente, e nella sua impersonalità (aspetto che, garantendo l'anonimato al pagante, assume rilievi determinanti per settori come l'economia sommersa e le attività condotte in evasione di imposte e contributi). La moneta bancaria: gli assegni e i bonifici rappresentano le due tipiche modalità di trasferimento dei fondi rese disponibili dal settore bancario e da quello postale. Sia nel caso dell’assegno che in quello del bonifico si ha un ritardo temporale tra il momento in cui viene effettuata la transazione e il momento del regolamento finale. L’assegno rappresenta un mezzo di trasferimento dei fondi privo di potere liberatorio assoluto; la sua circolazione all’interno del sistema dei pagamenti assume, perciò, connotati creditizi ed è necessariamente basata su elementi di natura fiduciaria. In particolare, il destinatario del pagamento, accettando un assegno, si espone al rischio che il debitore non disponga sul proprio conto di fondi sufficienti a garantirne la copertura; d’altra parte, il creditore non sa se la banca onorerà l’obbligazione di saldare il pagamento effettuato dal proprio cliente. Di fatto, l’accettazione di un assegno comporta per il destinatario l'erogazione di un credito all’acquirente e il pagamento mediante assegno genera una relazione di credito tra le banche dei due operatori coinvolti, che si estingue solo al momento della compensazione. Gli aspetti fiduciari insiti nell’assegno fanno sì che questo strumento non abbia un’agevole circolazione all’interno del sistema dei pagamenti. I vantaggi dell’assegno rispetto alla moneta legale sono comuni anche ai bonifici bancari e postali. A differenza dell’assegno, nel caso del bonifico l’ordine di pagamento viene inoltrato direttamente dal debitore alla propria banca. Poiché in questo caso l’addebito del conto del debitore è immediato, il bonifico non comporta l’insorgere di posizioni debitore. Accanto ai mezzi di pagamento tradizionali appena illustrati, negli anni recenti si è affermato un utilizzo sempre più esteso dell'automazione e alla diffusione della c.d. moneta elettronica (e-money). Quest'ultima consente il pagamento per l’acquisto di beni e servizi senza che vi sia uso di circolante. Distinguiamo due tipi di moneta elettronica: - La moneta elettronica basata sulle “carte” (carte di credito, debito, pre-pagate); - La moneta elettronica che grazie a software consente a compratori e venditori di trasferire fondi elettronicamente (POS). Diversamente dalla moneta convenzionale (legale e bancaria) al presente la moneta elettronica adempie solo la funzione di mezzo di pagamento. La diffusione della moneta elettronica ridurrà notevolmente la domanda di moneta tradizionale ma non la sostituirà completamente: la moneta bancaria, essendo garantita dallo Stato, ha carattere di “definitività” (esaurendo ogni obbligazione dell’acquirente nei confronti del debitore) e la domanda di un mezzo di pagamento “definitivo” è destinata a permanere dato il permanere di asimmetrie informative e, quindi, problemi di fiducia tra privati. MONETA LEGALE Diffusa accettazione Potere liberatorio assoluto, definitività legata alla garanzia posta in essere dallo Stato (costi di informazione legati alla sua accettazione nulli) Comodità d’uso e impersonalità No remunerazione, la detenzione comporta un elevato costo-opportunità MONETA BANCARIA Gap temporale tra l’effettuazione della transazione e il regolamento finale ASSEGNO: privo di potere liberatorio assoluto, basato su elementi di natura fiduciaria Con le preferenze rappresentate dalle curve U1 e U2 l’individuo raggiunge la massima utilità risparmiando Y1- C*1 che verrà consumato al tempo 2. Nel caso in cui il soggetto conseguirebbe una più elevata soddisfazione se consumasse nel primo periodo un ammontare di risorse superiore al reddito introitato, vale a dire se C*1>Y1. c M o no 41 Questa situazione non può darsi per l'assenza di un mercato finanziario: il soggetto è vincolato a consumare C1=Y1. Se esistono mercati finanziari la situazione si modifica profondamente. Con riferimento al primo caso, quello in cui C1<Y/1, si ha che il reddito del primo periodo, se non consumato, può essere investito in strumenti finanziari e dare un rendimento pari a Y1i, dove tasso di interesse. Pertanto, nel secondo periodo, il soggetto può effettuare una spesa massima pari a A2= Y2+Y1I(1+}). Contrariamente, se nel primo periodo il soggetto decide di indebitarsi per consumare di più di quanto consentito dal suo reddito corrente Y1, la spesa massima per il soggetto nel primo periodo è pari a AI=Y1+Y2/(1+i). [In presenza di mercati finanziari l’inclinazione della retta di bilancio è data da (1+i)] b)LA FUNZIONE DI ACQUISIZIONE DI INFORMAZIONI Il processo di acquisizione di informazioni attraverso i mercati finanziari permette un più facile controllo sulla gestione delle imprese. Distinguiamo: - La funzione di informazione ex-post: se i mercati sono sviluppati e il prezzo azionario ha funzione segnaletica, imprese mal gestite vedono cadere il valore delle proprie azioni. - La funzione di informazione ex-ante: diffusione di informazioni circa la profittabilità di progetti innovativi per i quali è necessario il finanziamento; la presenza di mercati finanziari e di strumenti (obbligazioni e azioni) consente l’incontro tra opinioni diverse (circa la redditività prospettica), dei vari potenziali investitori, rende possibile un processo decisionale ad ampio spettro. C)LA FUNZIONE DI GESTIONE DEI RISCHI FINANZIARI La terza importante funzione dei mercati finanziari consiste nel facilitare la gestione del rischio. Nello specifico, facciamo riferimento a: - Rischiodi mercato: per il rischio derivante da ampie oscillazioni dei prezzi delle attività, il mercato rende possibili forme di divisione del rischio attraverso l’esistenza di una pluralità di strumenti con caratteristiche di rischio diverse. - Rischiodi liquidità: per il rischio di perdite in conto capitale quando vi è la necessità di smobilitare liquidità, la presenza di mercati efficienti (con scambi intensi ed elevato numero di partecipanti) si ha una relativa facilità a trovare chi è disposto ad acquistare un’attività in vendita. DIVERSE TIPOLOGIE DI MERCATI FINANZIARI Se da un lato il funzionamento dei mercati richiede strutture organizzative (comportando costi), dall’altro, il funzionamento dei mercati può essere efficiente solo se ricorrono determinati requisiti, tra cui principalmente un numero significativo di scambi. Allorché il numero degli scambi è ridotto, infatti, anche transazioni di piccolo ammontare possono determinare ampie fluttuazioni dei prezzi. Per questo motivo esistono i mercati borsistici; nella realtà concreta si incontrano due tipi diversi di mercato: i mercati ad asta ed i mercati basati sulle relazioni di clientela. m Nei mercati ad asta (avvicinandosi al prototipo di mercato di Walras) esiste un banditore cui i soggetti fanno pervenire le proprie proposte (in termini di prezzi e quantità) di domanda e di offerta; sulla base delle proposte ricevute, il banditore fissa poi il prezzo al quale la domanda e l’offerta complessive si eguagliano. I mercati ad asta non possono funzionare nel continuo in quanto in alcuni periodi potrebbe aversi assenza (ridotta presenza) di offerenti o di richiedenti e ciò determinerebbe ampie fluttuazioni di prezzo. Di necessità, allora, i mercati ad asta funzionano nel discreto, consentendo al banditore di ricevere proposte di domanda e di offerta in numero significativo e di determinare prezzi con un elevato potere informativo. In questi mercati non c’è quindi immediatezza negli scambi (non si possono effettuare scambi quando lo si desidera); i costi di attesa connessi all’assenza di immediatezza possono allora essere ridotti dall'esistenza di soggetti che fungono da market-makers, che cioè compensano gli squilibri occasionali tra domanda ed offerta cedendo (o acquisendo) attività detenute in proprio. Nei mercati finanziari questo compito è svolto dai dealers. Così facendo, i market makers (comprando le attività ad un bid-price, per rivenderle ad un ask-price più elevato e guadagnando dal differenziale di prezzo, il bid-ask spread) consentono l’esistenza di scambi nel continuo anche nei c.d. mercati ad asta. I mercati ad asta tendono a prevalere laddove vengono scambiati beni o servizi standardizzati (obbligazioni, azioni, ...) e al suo intemo troviamo una minore rigidità dei prezzi dei prodotti scambiati. m Nei mercatibasati sulle relazioni di clientela, di contro, tendono a prevalere laddove vengono scambiati beni o servizi non standardizzati (assicurazioni, credito, ...) che presentano maggiori costi di informazione sulla qualità del bene o servizio offerto e sul prezzo offerto. Per questo motivo, i rapporti tra le controparti e le transazioni sono di lungo periodo e quindi, all’interno di questa tipologia di mercati, i prezzi sono più stabili. LA CLASSIFICAZIONE DELLE ATTIVITA’ FINANZIARIE I criteri più ricorrenti di classificazione delle attività finanziarie prendono a riferimento: Le caratteristiche oggettive di strumenti i) Liquidità Un'’attività è più liquida di un’altra se è più facilmente realizzabile nell’immediato senza incorrere in perdite in conto capitale; la moneta è quindi una attività perfettamente liquida. Le attività diverse dalla moneta possono essere collocate lungo uno spettro in relazione al loro maggiore o minore grado di liquidità: quanto più sono negoziabili le attività finanziarie, tanto maggiore è il loro grado di liquidità. La negoziabilità di uno strumento dipende dall’ammontare di informazioni disponibili pubblicamente (ossia senza sostenere costi) sulla qualità dello strumento e dall’esistenza di mercati secondari* funzionanti. Questi due fattori sono intercorrelati: p.e. nel caso di beni con elevato grado di eterogeneità (si pensi ai beni immobili) lo sviluppo di un mercato secondario ampio e spesso** è più difficoltoso; in sintesi, la standardizzazione delle attività costituisce un presupposto importante dello sviluppo di mercati secondari funzionanti e, quindi, dell'aumento del grado di liquidità degli strumenti. Lo scarso sviluppo del mercato finanziario italiano è dovuto alla struttura dell'apparato produttivo: il peso elevato che hanno le piccole imprese nell’industria manifatturiera rende difficile l'emissione di un ammontare sufficientemente ampio di titoli con caratteristiche standardizzate e, quindi, negoziabili. ‘mentre nei mercati secondari vengono scambiati titoli già in circolazione, nei mercati primari vengono offerti i titoli di uova emissione *un mercato è spesso quando in esso vi sono sempre ordini di segno opposto in grado di bilanciarsi; se tali ordini sono di importo considerevole, il mercato è anche ampio. ii) Rischio di mercato (prezzo) Sulla propensione dei soggetti a detenere attività (più o meno liquide) influisce l’incertezza circa il valore futuro degli strumenti: quanto più incerto è il valore di mercato che un’attività può avere in futuro, tanto più elevato è il grado di rischio di quella attività. La moneta è una attività, non solo perfettamente liquida, ma anche del tutto priva di rischio; infatti il valore futuro di essa (in termini nominali) è certo. Per contro, il valore futuro delle attività finanziarie diverse dalla moneta risulta incerto; esso dipende dal loro rischio di mercato, vale a dire dalle oscillazioni del loro prezzo di mercato. ili) Rischio di credito (solvibilità) Nel caso dei contratti di debito, il valore delle attività dipende in primo luogo dalla solvibilità della controparte: il datore di fondi, pertanto, si espone ad un rischio di credito. iv) Rischio di interesse Nel caso di determinate attività come i titoli azionari, il tasso di rendimento è connesso alla redditività dell’impresa: ciò rende assai elevato il grado di incertezza sul prezzo futuro di queste attività. Tale grado di incertezza, per contro, è minimo laddove il tasso di interesse sia fissato attraverso una contrattazione bilaterale, come nel caso di depositi bancari. Tra questi due estremi si collocano quelle attività come i titoli obbligazionari, i cui tassi di interesse sono determinati dai mercati. Distinguiamo il caso in cui il tasso di interesse è fisso (ossia quando il tasso di interesse, in termini percentuali, non cambia in relazione al suo valore nominale), dal caso in cui il tasso di interesse è indicizzato (vale a dire quando il tasso di interesse varia in relazione al mutamento di qualche parametro di riferimento). Il prezzo di una attività a tasso di interesse fisso (p.e. BTP) varia al variare dei tassi di interesse di mercato: un aumento (diminuzione) di questi ultimi tende a ridurre (accrescere) il prezzo di mercato di queste attività. Ne segue che le attività a tasso di interesse fisso sono esposte al rischio di interesse, vale a dire a perdite in conto capitale dovute a variazioni dei tassi di interesse di mercato. Allo scopo di evitare questa forma di rischio, si può prevedere che il tasso di interesse sulle attività, principalmente su quella a lungo termine, sia indicizzato ai tassi a breve termine (es. BOT). v) Rischio di inflazione DE Oltre un certo grado di indebitamento ritenuto troppo elevato, i creditori e potenziali azionisti, ritenendo l’impresa più rischiosa, chiederanno rendimenti più elevati e conseguentemente il costo del finanziamento si alzerebbe. Il grafico mostra dunque come esista un livello di indebitamento ottimale D/E che minimizza il costo dell’indebitamento (rA) Modigliani and Miller: in questo modello MM dimostrano che le scelte di finanziamento dell’impresa sono irrilevanti per la determinazione del suo valore. A tale conclusione essi pervengono assumendo ipotesi molto stringenti: - Mercati dei capitali perfetti, senza asimmetrie e frizioni; - Identico trattamento fiscale delle diverse forme di finanziamento; - Nonesistono costi di transazione e investitori e imprese possono indebitarsi allo stesso tasso rD; - Nonesiste il rischio di bancarotta. Quindi, consideriamo due imprese identiche A e B, con un ammontare di profitti di produzione identico e pari a x, ma con un diverso livello di indebitamento, D/E. Per ipotesi, poniamo che l’impresa A si finanzi solo con emissioni di capitale di ammontare complessivo pari a 1000 euro e che l’impresa B si finanzi per 500 euro con capitale e per gli altri 500 euro con debito. Si supponga ora che un investitore possieda 100 euro in azioni dell'impresa B, vale a dire 1/5 del suo capitale. Il rendimento di queste azioni sarà pari a: 1 T- gtoD Il primo termine dell’equazione rappresenta 1/5 dei profitti dell’impresa, mentre il secondo termine rappresenta 1/5 degli interessi passivi. Si ponga alternativamente il caso che un altro investitore detenga 200 euro di azioni dell'impresa A, che non si indebita, acquistate prendendo, tuttavia, a prestito 100 euro. In questo caso l’investitore deterrà ancora 1/5 del capitale dell’impresa e, quindi, a lui spetterà 1/5 dei profitti, ovvero di n. Tuttavia, poiché l'investitore ha contratto un prestito di 100 euro, dovrà pagare su questo prestito un ammontare di interessi passivi con tasso rD pari a quello sostenuto dall’impresa B. Il rendimento di questa posizione nell'impresa A detenuto dall’investitore sarà dato da: I di Proposizioni del Teorema di Modigliani e Miller: @ Ilconfronto delle due ultime equazioni permette di concludere che il rendimento per un risparmiatore è indipendente dalla struttura finanziaria della stessa [R = rE] @ Lltasso di rendimento sulle azioni cresce linearmente al crescere del grado di indebitamento, D/E. Infatti: i) Costo (perl’impresa) /rendimento (del risparmiatore) dell’intero finanziamento: rA =n/(E + D) j) Costo/rendimento del finanziamento tramite azioni: rE = (1- rD*D) /E E quindi: t-rpD_ ra(E+D)-rpD rr= ——"— = & E E Come si nota, al crescere del grado di indebitamento. Il livello di rE aumenta. D = ra+ (ra -ro)F Concludiamo dicendo che, in assenza di imperfezioni di mercato (esistenza di un diverso trattamento fiscale degli strumenti di finanziamento o asimmetrie informative), per un risparmiatore, il rendimento dell’investimento in una impresa è indipendente dalla struttura finanziaria della medesima Se rimuoviamo l’ipotesi per cui il trattamento fiscale delle diverse forme di capitale sia identico: p.e., immaginando che le spese per interessi sul debito sono deducibili e i dividendi non lo siano, l'impresa tenderà a privilegiare il debito piuttosto che l’equity. Se rimuoviamo l’ipotesi di informazioni simmetriche: nel contesto di distribuzione asimmetrica delle informazioni, gli azionisti di una impresa, se ritengono che le loro azioni siano sottoprezzate, non finanzieranno i nuovi progetti con emissioni azionarie, ma con debito. L'emissione di nuove azioni, infatti, sarebbe considerata dai mercati come “segnale” che le azioni siano sovraprezzate e i mercati aggiusterebbero il prezzo delle azioni verso il basso. Il rischio di bancarotta, che aumenta all'aumentare dell’indebitamento, spiega invece la preferenza delle equity Secondo Muers and Majluf (1984), invece, non c’è indifferenza tra le diverse forme di finanziamento ma al contrario esiste un ordinamento di preferenza tra indebitamento e finanziamento tramite azioni: - In presenza di asimmetrie informative, per le imprese è preferibile finanziare nuovi investimenti tramite risorse inteme piuttosto che ricorrere a finanziamenti estemi; - Qualora poi le risorse inteme non fossero sufficienti per finanziare il progetto, l'impresa ricorre al finanziamento esterno privilegiando però l’indebitamento rispetto all’emissione di nuove azioni. Soltanto quando è esaurita la sua capacità di indebitamento e i costi della scarsità di risorse finanziarie sono rilevanti, essa ricorre all’emissione di nuove azioni. LE INNOVAZIONI MONETARIE E FINANZIARIE Le innovazioni monetarie e finanziarie possono essere ricondotte alle seguenti categorie: - Le innovazioni di prodotto, le quali consistono in nuovi strumenti finanziari, contratti, tecniche e mercati; - Le innovazioni volte a trasferire il rischio, le quali consistono nello scorporo di un certo tipo di rischio (di interesse, di cambio di credito...) da un contratto finanziario e l'assemblaggio di questo rischio in un nuovo strumento; - Le innovazioni di processo, le quali consistono nel ricorso a nuovi strumenti di distribuzione dei prodotti finanziari, nelle modalità di condurre le transazioni o in quelle del pricing. Possiamo individuare tre principali cause delle innovazioni finanziarie: - Le reazioni ai vincoli regolamentari, come le imposte e la regolamentazione. Se le imposte esercitano un condizionamento negativo sulla struttura finanziaria ottimale, le imprese tenderanno a ricorrere a innovazioni in modo da rimuovere tale condizionamento. Anche la regolamentazione bancaria e finanziaria può essere di stimolo alle innovazioni: l'incentivo ad innovare dipende dai costi connessi con i vincoli su quantità o prezzi. Negli anni più recenti è da ritenere che l’imposizione di soglie minime al rapporto tra capitale e attivo delle banche abbia indotto queste ultime a ricorrere a strumenti innovativi, come la cartolarizzazione, che consentivano di portare fuori bilancio parte dei prestiti; ciò consentiva loro un più facile rispetto dei vincoli di capitale e, quindi, più ampi margini di discrezionalità nella gestione dell’attivo. - La domandadi nuove caratteristiche, la quale spiega la domanda di strumenti innovativi dal punto di vista della domanda e quindi degli investitori di fondi. - Le innovazioni tecnologiche, le quali sono alla base dei profondi cambiamenti in corso nel sistema dei pagamenti e dei sofisticati schemi di cartolarizzazione. Tali innovazioni consistono in innovazioni materiali, come l’IT, e innovazioni intellettuali, come l’elaborazione di nuovi modelli teorici applicati alla finanza. Nella seconda metà degli anni Settanta l’accelerazione dell’inflazione e l'aumento dei tassi di interesse nominali, elevando il costo-opportunità di detenere strumenti non remunerati (come la moneta legale), ha reso il trade-off tra liquidità e rendimento degli investimenti pressoché intollerabile. Pertanto, larga parte degli strumenti innovativi introdotti negli anni Settanta sono stati volti a tutelare l'investitore contro le perdite in conto capitale connesse ad un processo inflazionistico. Evidente è il caso italiano: Negli anni Settanta il mercato finanziario italiano era poco sviluppato e caratterizzato dalla presenza di solo titoli obbligazionari mentre il mercato monetario era essenzialmente inesistente. A seguito dell'elevata inflazione del 1973-74, i tassi di interesse nominali si impennarono e il prezzo dei titoli obbligazionari (remunerati a tasso fisso) scese con gravissime perdite in conto capitale per gli investitori. Il mercato finanziario andò distrutto. Parallelamente, la crescita del deficit rendeva necessario una copertura monetaria (non inflazionistica) del fabbisogno finanziario dello Stato ma il mercato monetario e finanziario era poco sviluppato e i risparmiatori, memori delle perdite in conto capitale, presentavano una elevata preferenza per la liquidità. Vennero così introdotti nuovi strumenti: i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) annuali e poi i CCT (Certificati di Credito del Tesoro) a 7 anni. I BOT sono titoli pubblici a breve termine privi di cedole (zcb), con scadenza, oggi, da 1 a 12 mesi. A partire dal 1977 il collocamento di BOT presso famiglie e imprese diventa massiccio per l’assenza di strumenti ugualmente liquidi, diventando sostitutivo dei depositi (dato l’elevato differenziale di rendimento con questi). Lo spostamento del pubblico italiano dai depositi ai BOT diede luogo al processo di disintermediazione bancaria, ossia ‘una diminuzione dell’incidenza dei depositi bancari sulle attività finanziarie: la domanda di moneta, a seguito dell’introduzione di nuovi strumenti, si riduce e la sua elasticità rispetto al tasso di interesse aumenta. Il CCT, introdotto successivamente, è invece uno strumento a medio-lungo termine soggetto a indicizzazione finanziaria delle cedole: il rendimento dei CCT è determinato fissando uno spread sul tasso di rendimento dei BOT (semestrali). L’introduzione del BOT e del CCT, con il parallelo incremento del disavanzo pubblico italiano, sono state le principali cause dello sviluppo di un efficiente mercato monetario e finanziario in Italia. A partire dagli anni Novanta il processo di innovazione ha assunto caratteristiche diverse. È indubbio che negli ultimi decenni la crescente globalizzazione finanziaria ha reso imprese e investitori sempre più esposti a molteplici rischi (crescente incertezza sui tassi di cambio, sui tassi di interesse e sui prezzi delle attività finanziarie). In questo contesto gli intermediari hanno cominciato ad emettere innovazioni che permettono ai loro clienti di far fronte ai nuovi rischi. Centrali, tra queste innovazioni, sono i prodotti derivati. L’ammontare complessivo dei prodotti derivati in borsa risultava a fine 1998 superiore a 80 mld di dollari; nel 2005 superiore ai 270 mld di dollari; nel 2010 aveva raggiunto i 707 mld di dollari. La caratteristica fondamentale dei prodotti derivati sta nel fatto che essi permettono di separare un determinato rischio dall’attività finanziaria cui tale rischio è associato; la separazione rende possibile la negoziazione di diversi tipi di rischio, derivandone la possibilità di una migliore allocazione dei rischi tra i soggetti. Mentre i contratti a termine (futures e forward) sono negoziati nei mercati regolamentati, gli swap sono negoziati in mercati non regolamentari, definiti over the counter (OTC). Tra le diverse tipologie di contratti derivati, troviamo: - Credit Default Swap (CDS), attraverso i quali un soggetto, per proteggersi contro l’insolvenza di un soggetto di cui detiene un titolo di credito, si assicura presso un terzo soggetto pagando un premio; - Asset Backed Securities (ABS), sull’emissione delle quali si basa il tradizionale processo di cartolarizzazione. Gli ABS sono strumenti simili ad obbligazioni, con la differenza che il pagamento delle cedole e il rimborso del capitale sono condizionati all’avvenuto incasso dei crediti a sostegno dell’operazione. Un soggetto (originator), in genere una banca, cede crediti non negoziabili ad una società creata ad hoc (Special Purpose Vehicle, SPV); quest’ultima finanzia l’acquisto di questi prestiti mediante l'emissione di titoli negoziali sul mercato secondario, gli ABS. Il processo di cartolarizzazione può essere reso più sofisticato attraverso il ricorso all'emissione di Colaterized Debt Obligations (CDO), vale a dire obbligazioni derivanti dalll’aggregazione di altre attività soggette al rischio di credito, come gli ABS, e suddivise in tranches in relazione al loro profilo di rischio-rendimento negoziate separatamente nel mercato. La tecnica della cartolarizzazione, originatasi alla fine degli anni Settanta ma diffusasi in modo significativo negli anni Novanta, consente alla banca di gestire attivamente il rischio di credito, di diversificare le fonti di provvista della liquidità offrendo l'opportunità di liberare capitale regolamentare per nuovi potenziali impieghi. Il passaggio da un modello “originate to hold”, con la banca che generava il credito per poi trattenerlo in portafoglio, ad uno schema “originate to distribute”, con la banca che ora distribuisce il rischio del credito sul mercato, aumenta meccanismi di moral hazard (con le banche che, come accadde con la crisi dei mutui sub-prime del 2007-08, tendono a sottovalutare il rischio di credito erogato). INTEGRAZIONE FINANZIARIA Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il sistema del gold-exchange standard di Bretton Woods (1944) e dei cambi fissi limitava la libera circolazione del capitale internazionale; si temeva infatti che un’elevata mobilità del capitale potesse compromettere la stabilità dei tassi di cambio. [Nel 1971 gli USA svalutarono il dollaro] Solo con l'abbandono dei tassi di cambio fissi, agli inizi degli anni Settanta, che si avvia nei Paesi industrializzati, e negli anni Novanta anche nei Paesi emergenti, un processo di graduale smantellamento dei controlli sui movimenti di capitali (in un regime di cambi flessibili); da ciò si avviò un’importante crescita dei flussi internazionali. I vantaggi derivanti da una crescente integrazione dei mercati dei capitali sono essenzialmente due: Datori di fondi Mercati Presdiori di fondi "Famiglie evento Lasprese ia foadi | monetario | gondi | - Antenne Pobblica Acta Pubitica | ld | _Stereato 2 Stessa I Nec cesidiensi Smaziorio Nos residenti \ Intermediari Gocuziai È È - Iaiazioni condlizia i Na x 1 Altre istifuzioni monetarie € se / Sace dr - Alto LE BANCHE E LA NEW VIEW Nella teoria tradizionale le banche hanno una funzione monetaria poiché i loro debiti (rappresentati dai depositi), diversamente da quelli degli altri intermediari, sono accettati come mezzo di pagamento (moneta bancaria); inoltre le banche sono in grado di variare il volume dei depositi. Secondo la new view, il compito cruciale degli intermediari (banche comprese) è quello di trasformare i titoli emessi dalle imprese in attività che meglio corrispondono alle preferenze degli investitori finali. Attraverso economie di scala ed una più razionale ripartizione dei rischi, gli intermediari riescono infatti a concedere finanziamenti a tassi di interesse inferiori a quelli che dovrebbero pagare i prenditori di fondi ricorrendo a forme di indebitamento diretto; parallelamente, i creditori degli intermediari, dati i minori rischi che devono fronteggiare, esigono tassi di rendimento a condizioni meno severe di quelle che pretenderebbero da debitori privati. Nello schema appena delineato, dunque, le banche non presentano natura e caratteristiche comportamentali diverse da quelle degli altri intermediari. L'approccio della new view porta anzi a concludere che il processo di sviluppo economico accresce la possibilità di finanziarsi direttamente sui mercati, accrescendo la complessità e l'articolazione del sistema finanziario (financial deepening); in questo conteso le banche sono destinate a perdere di importanza nell’intermediazione del risparmio. LE ASIMMETRIE INFORMATIVE E IL RUOLO DELLE BANCHE La new view, assimilando la banca agli altri intermediari finanziari, non è in grado di spiegare per quale ragione larga parte delle attività bancarie sia costituita da strumenti non negoziabili, e quindi illiquidi. L’approccio basato sull’ipotesi che nel sistema economico esistono asimmetrie informative (una imperfetta distribuzione delle informazioni tra i soggetti) riesce a spiegare questo aspetto. La presenza di - Asimmetrie informative ex ante: rischio dei potenziali prenditori di fondi che riguarda la fase di selezione, screening, dei medesimi. - Asimmetrie informative ex post, inerenti al monitoring sull’esito del progetto o dell’impresa finanziata. ASIMMETRIE INFORMATIVE EX ANTE, LELAND AND PYLE (1977) Gli imprenditori (i potenziali prenditori di fondi) hanno informazioni, circa la qualità dei loro progetti, non accessibili ai datori di fondi. Pertanto, il mercato dei finanziamenti soffre un lemons problem. Gli imprenditori, per superare questo problema, danno luogo a segnali (signalling) sulla qualità dei loro progetti; si sviluppano così imprese che raccolgono questi segnali e producono informazioni sulla qualità dei progetti da finanziare, sfruttando l’esistenza di economie di scala in questo processo produttivo. Questo processo di produzione delle informazioni è efficacie e credibile solo se l'istituzione della banca esercita sia la funzione di raccolta delle informazioni e di finanziamento dei progetti (erogazione del credito) Le principali attività delle banche sono dunque contratti bilaterali, non standardizzati e confidenziali. Non viene però ancora spiegato il perché questi contratti assumono la forma di contratti di debito piuttosto che quella di partecipazioni azionarie (banche hanno sia attività che passività costituite principalmente da CDS). Di questo si occupa: ASIMMETRIE INFORMATIVE EX-POST, DIAMOND (1984) In modello uniperiodale, il ricorso all’intermediario bancario per finanziare le imprese è meno costoso dell’utilizzo del canale diretto; grazie ad economie di scala sull’attività di monitoring e ad una diversificazione del portafoglio, infatti l’intermediazione bancaria è più efficacie del canale diretto nello stipulare contratti di debito con le imprese. Infatti, si ipotizzi che: - K= costo monitoring sostenuto da ciascun datore qualora finanziasse direttamente l'impresa tramite un contratto di debito; - N= numero dei datori di fondi; - S= perdita attesa per gli N datori di fondi se stipulano direttamente un contratto di debito con l'impresa. - D= costo di delega sui depositi, ossia i costi sostenuti dai depositanti per valutare la credibilità dell’impegno assunto dall’intermediario a rimborsare ad una certa scadenza la somma prefissata (capitale+interessi maturati) In questo contesto, un intermediario che raccogliesse fondi dai datori finali e finanziasse con questi una impresa, sosterrebbe un costo complessivo di monitoring sull’impresa finanziata pari a K; tale costo risulta inferiore a quello sostenuto dai privati, pari a NK, se finanziassero direttamente l’impresa. K<NK in quanto l’intermediario può evitare le duplicazioni nell’attività di monitoring in cui incorrono inevitabilmente i privati. Tuttavia, con il ricorso all’intermediario bancario si ricreano i problemi di moral hazard tra datore e banca: i datori finali, se cedono i fondi all’intermediario, dovrebbero esercitare monitoring sugli investimenti della banca. Questi possono essere limitati qualora i datori stipulassero contratti di debito (CDS) con la banca, che prendono la forma di depositi, come meccanismo di incentivo e allineamento di interessi tra datore (principale) e banca (agente). K+D < min(5, NK) Ren pin) rage Costo Intermediazione Costo Canale Diretto Dalla formula, si evince che la probabilità di intermediazione è tanto più elevata quanto più basso è D; il livello dei costi di delega (D) si riduce quando aumenta la diversificazione del portafoglio prestiti (D tende a 0 al tendere all’infinito del numero degli imprenditori finanziari dall’intermediario). L’intermediazione delle banche, dunque, viene spiegata da fattori dimensionale, in particolare dal fatto che l’intermediario finanzia un numero più ampio di prenditori di fondi rispetto ai privati; ciò gli consente, da un lato, di sfruttare economie di scala nell’attività di monitoring e, dall’altro, di pervenire ad una efficiente diversificazione del portafoglio. Nello schema appena illustrato le relazioni economiche tra i soggetti durano solo un periodo; per quale ragione allora tra banca e prenditori di fondi tendono ad instaurarsi relazioni di lungo periodo? Contratti pluriennali consentono innanzitutto di ridurre i costi di screening e ciò permette alle banche di finanziare solo le imprese meritevoli (escludendo in ogni periodo quelle più rischiose); inoltre, una relazione di lungo periodo consente di raccogliere maggiori informazioni sui prenditori, ridurre i costi di signalling e incentiva al rispetto delle clausole contrattuali (l’interruzione del rapporto comporterebbe costi aggiuntivi per entrambe le parti). Una relazione di lungo periodo permette, in ultimo, la rinegoziazione delle condizioni in modo da adeguarle al variare degli stati di natura (cosa non possibile sui mercati, in cui il datore di fondi dovrà passivamente sostenere il prenditore di fondi nei cattivi stati di natura). LA FUNZIONE MONETARIA DELLE BANCHE NELLO SCHEMA DI DIAMOND E DYBVIG Nei precedenti modelli ci si è concentrati sulla funzione creditizia delle banche svolta attraverso l’attività di erogazione del credito (la natura dell’attivo dello stato patrimoniale di questi intermediari); Diamond e Dybvig (1983) si concentrano sulla funzione monetaria svolta dalle banche commerciali, quindi sul ruolo che queste svolgono nel sistema dei pagamenti (la natura del passivo dello stato patrimoniale). Collegando la funzione creditizia al ruolo nel sistema dei pagamenti osserviamo che le banche, diversamente dagli altri intermediari, svolgono una funzione monetaria, ovvero emettono passività (deposito) a più breve termine delle attività; è proprio questo mismatching tra attività e passività che consente a queste istituzioni di svolgere un ruolo cruciale anche nell’ambito del sistema dei pagamenti, creando liquidità. La specialità della banca risiede nel carattere speciale che hanno le sue passività. Solo di recente sono stati dati rigorosi fondamenti microeconomici attraverso modelli in cui si spiega come la banca crei liquidità (modello di Diamond e Dybvig). Questo modello contempla delle ipotesi di lavoro: 1) Esistenza di tre periodi nel modello: il periodo iniziale (periodo 0), il periodo intermedio (periodo 1), il periodo finale (periodo 2); 2) Nel sistema economico si ipotizza che i soggetti siano avversi al rischio; 3) Nel periodo0 ciascun individuo ha in dotazione 1 unità di moneta; 4) L’individuo può investire l’unità di moneta in un’attività liquida a rendimento nullo o in un'attività da cui, dopo due periodi dal momento dell’investimento, ottiene R > 1; 5) Disinvestire una quota i dell’attività redditizia dopo un periodo comporta un costo di dismissione pari a t; 6) Visono due tipi di consumatori: i consumatori impazienti (che consumano al periodo 1) e i consumatori pazienti (che consumano al periodo 2); i consumatori non sanno anticipatamente se saranno impazienti o pazienti. 7) Tuttavia, livello aggregato, la quota di individui pazienti è nota e pari a Possiamo ora porre a confronto due situazioni: a) Situazione di autarchia, in cui la banca è assente; b) Situazione di presenza di banche, le quali assicurano i consumatori che si scopriranno impazienti. a) Inautarchia il problema degli individui sarà quello di massimizzare la loro utilità attesa scegliendo la quota ottimale i del loro portafoglio da investire nell’attività illiquida tenendo conto dei vincoli di bilancio (s.t.): max; E(U)=7U(G)+(1-7)U(G) sE Gst_s G=1-i+iR C1=consumo dell’impaziente effettuato al tempo 1; C2=consumo del paziente effettuato al tempo 2 Se i=0 si ha C1=C2=1; Se i=1, si ha C1= 1- te C2 = R. Tenendo conto di ciò, possiamo tracciare la retta di bilancio. & a Retta di bilancio in autarchia b) Si ponga ora l’ipotesi che esista una banca la quale conosce preventivamente la quota di soggetti impazienti e pazienti, ovvero il valore di 1 l'individuo non può tenere però conto di questo valore in quanto non è a conoscenza della sua posizione individuale (se è paziente o impaziente). Nel caso di esistenza della banca, il problema di massimizzazione del consumatore può essere così espresso: max; E(U)= 7U(G)+(1-mU(G) st. qG=1-i (1-7)G=1iR Il vincolo di bilancio (s.t.) differisce da quello nel caso di autarchia. In particolare, la banca, non dovendo confrontarsi con una situazione di incertezza, accantona già inizialmente le risorse per soddisfare i soggetti impazienti in misura pari a 1-i: infatti, i bisogni di liquidità sono incerti solo a livello individuale ma non aggregato. Ciò significa che la banca non incorre in costi di dismissione. Se i=0 si ha C1=1/me C2=0; Se i=1 si ha che C1=0 e C2= R/(1- 7. Poiché, dato che r < 1, si ha R/(1-m > Re 17 > 1. In presenza di una banca, la retta di bilancio del consumatore giace sopra quella del consumatore in autarchia. Ne segue che il punto ottimale per il consumatore è comunque superiore nel caso esista una banca piuttosto che in autarchia. INTERMEDIARI FINANZIARI (NON BANCARI) Accanto alle banche esistono altri intermediari finanziari i quali rivestono un ruolo sia complementare alle banche (offrendo servizi aggiuntivi), sia di concorrenza, inducendole ad essere più efficienti e rispondenti ai bisogni dei clienti. Le funzioni di questi intermediari fanno riferimento a: - Riduzione del rischio e dei costi di transazione data la presenza di economie di scala, incidendo sulla divisibilità delle attività finanziarie e sulla possibilità di diversificare il portafoglio ma anche in quanto l’incidenza unitaria di questi costi diminuisce all’aumentare della ricchezza disponibile; - Riduzione dei costi di informazione: sfruttando le informazioni pubblicamente disponibili, questi contribuiscono ad accrescere l’efficienza informativa (ossia la capacità del mercato di raccogliere e diffondere informazioni in modo che si riflettono sui prezzi degli strumenti) e a migliorare l'efficienza allocativa (facendo in modo che le risorse finanziarie vengano indirizzate verso investimenti più produttivi. Se i mercati fossero di per sé efficienti, vale a dire se i prezzi delle attività riflettessero in ogni istante e pienamente tutte le informazioni disponibili, il contributo degli intermediari non bancari al miglioramento dell’efficienza informativa sarebbe nullo. Se le banche si concentrano sulla raccolta di informazioni private dei debitori di lungo periodo tramite screening and monitoring, gli intermediari non bancari si concentrano sulla raccolta di informazioni pubbliche. Tra gli intermediari finanziari non bancari un ruolo rilevante rivestono: - Le imprese assicurative: esse vendono contratti di polizza che, dietro il pagamento periodico di un premio, rimborsano il danno quando l’evento rischioso si realizza; - I fondi pensione: che si occupano della raccolta di contributi durante la vita lavorativa di un individuo per poi offrire una rendita regolare successivamente al pensionamento; - Gli intermediari nella gestione del risparmio: Ex. Fondi Comuni di investimento, i quali raccolgono fondi tramite la sottoscrizione di quote del fondo a soggetti il cui rendimento pagato sulle quote dipende dal rendimento del portafoglio titoli che il fondo costituisce. In questo contesto, le banche di investimento e le cosiddette banche ombre cercavano di procurarsi liquidità sul mercato interbancario, il quale però, aveva iniziato ad annusare la criticità dei sub-prime e, temendo una crisi finanziaria, tratteneva più riserve (era più restio a dare a prestito) riducendo il valore del moltiplicatore monetario, cioè dell’offerta di moneta. Dall'altra parte le banche commerciali, a seguito di una caduta di fiducia sulla solvibilità del sistema, iniziano a razionare il credito e a richiedere garanzie molto maggiore del valore del credito stesso. La rarefazione del credito interbancario, oltre che sulle banche ombra, si riflesse sulle banche di investimento, vale a dire sulle banche che fanno provvista all’ingrosso anziché al dettaglio. Quando nel 2008 Lehman Brothers dichiara bancarotta, la crisi diventò globale: in tutti i paesi industrializzati, le banche cominciarono ad accumulare riserve di liquidità (temendo l’illiquidità, si blocca il sistema di prestiti nell’interbancario) e questo ha determinato una crescita della quota di base monetaria detenuta nella forma di riserve liquide. Nello stesso tempo è aumentata la propensione dei risparmiatori a sostituire la moneta detenuta sottoforma di depositi con circolante. Questi cambiamenti determinano una riduzione del moltiplicatore monetario. La contrazione del credito, poi, fa sì che le banche smobilizzino titoli (con perdite in conto capitale) e a cui segue una ulteriore riduzione del prezzo di queste attività (dei valori di mercato) compromettendo ulteriormente l’attivo delle banche, le quali presentano una minore propensione ad erogare credito Tutto questo, unito ad altri fattori, come le perdite in conto capitale subite dai consumatori in corrispondenza della caduta dei prezzi delle attività, hanno trasformato la crisi finanziaria in una recessione profonda e duratura. LE CAUSE DELLA CRISI 1) Lavigilanza e la regolamentazione finanziaria Secondo gli economisti della public choice, le crisi finanziarie (e altre forme di fallimento del mercato) sono il derivato di una regolamentazione eccessiva: questa ultima indebolirebbe gli incentivi di proprietari e amministratori ad esercitare con adeguata cura il controllo e la gestione delle imprese; peraltro, forme estese di regolamentazione finanziaria sarebbero l’esito delle pressioni degli intermediari sulla classe politica per impedire l'ingresso nel mercato di potenziali concorrenti. Nello specifico, diversi economisti hanno sottolineato il fatto che il quadro regolamentare dei sistemi finanziari prima della crisi presentava gravi imperfezioni, in particolare: - I vincoli di capitale previsti da Basilea I avrebbero spinto le banche a forme di securitizzazione dei prestiti che riducevano il grado di rischio del loro attivo per potere erogare maggiore credito nel rispetto dei vincoli; la cartolarizzazione, in uno schema “originate to distribute”, scaricava il rischio di insolvenza al mercato. - Il quadro regolamentare in essere, inoltre, nel favorire ampi processi di consolidamento del sistema bancario, avrebbe contribuito all’affermazione del principio “too big to fail”; le banche di grandi dimensioni a rilevanza sistemica (il cui fallimento avrebbe contagiato tutto il sistema), sicure che le Autorità non le avrebbero fatte fallire, assumevano rischi maggiori (dando vita a fenomeni di moral hazard). 2) L’eccesso di risparmio dei Paesi emergenti Nel corso degli ultimi decenni, il modello di sviluppo dell'economia mondiale è stato caratterizzato da una progressiva diminuzione del tasso di risparmio dei Paesi industrializzati, in particolare USA, e da un elevato tasso di risparmio di alcuni Paesi emergenti, come la Cina, Giappone e Paesi esportatori di petrolio. Gli ampi disavanzi di parte corrente degli Stati Uniti sono stati coperti quindi da ingenti afflussi di capitale dall’estero (in particolare dalla Cina); tali afflussi, assumendo la forma di acquisti di attività finanziarie, hanno contribuito in modo determinante alla riduzione dei tassi di interesse a lungo termine. In questo contesto i prezzi delle attività mobiliari e immobiliari tendevano ad aumentare; l'espansione del credito è stata quindi sostenuta dall'aumento dei prezzi delle attività immobiliari date in garanzia, che riduceva il rischio di insolvenza. 3) La politica monetaria accomodante degli Stati Uniti Negli ultimi decenni la politica monetaria dei paesi industrializzati, in particolare USA e UK, è stata orientata al proseguimento di un obiettivo di inflazione; tale obiettivo prendeva però a riferimento i prezzi dei beni e servizi; non teneva cioè conto dell'andamento dei prezzi né delle attività finanziarie né di quelle immobiliari. Permanendo il tasso di inflazione così definito contenuto e sotto controllo, la politica monetaria americana rimase espansiva: i bassi tassi di interesse reali favorirono un’elevata domanda di credito e la bolla immobiliare cresceva. Se alcuni economisti sostengono che l’obiettivo di stabilità dei prezzi doveva riferirsi anche ai prezzi delle attività, altri contrariamente argomentavano che stabilizzando i prezzi di beni e servizi, implicitamente si teneva conto dei prezzi delle attività: questi, infatti, si ripercuotevano sui primi attraverso effetti ricchezza, inducendo una più elevata domanda interna e, quindi, una più elevata crescita dell’output. 4) La sottovalutazione del rischio di credito È indubbio che le Agenzie di Rating e Vigilanza sottostimarono il rischio di credito riconducibile al processo di cartolarizzazione e dei mutui sub-prime. Minsky (1975) sostiene la tendenza della natura umana a sovrareagire rispetto alle fasi del ciclo: le fasi di boom sarebbero associate a forme di euforia e quindi a sottovalutazione del rischio, e quelle di recessione a fasi di panico, e quindi a sopravvalutazione del rischio. Se la teoria tradizionale ritiene che gli operatori utilizzino correttamente le informazioni a loro disposizione (e quindi i prezzi delle attività finanziarie riflettono il valore dei fondamentali), Minsky sostiene che la struttura finanziaria di una economia capitalistica diventa sempre più fragile nelle fasi espansive del ciclo. Nelle fasi di espansione economica le imprese intravedono elevate possibilità di profitto e per questo si indebitano in misura crescente. La fase espansiva del ciclo porta, infine, a quello che è definito come il Minsky moment, vale a dire il momento in cui molte imprese, essendo percepite come sovraesposte, sono costrette a vendere attività per far fronte ai loro impegni di pagamento. Si viene così a creare una situazione in cui i prezzi delle attività diminuiscono e la propensione delle banche a erogare prestiti si contrae. Si determina cosi una fase di panico: Riduzione dei prezzi delle attività > le banche peggiorano la qualità del loro attivo (common shock) + razionamento del credito — crollo investimenti e recessione economica. LE RISPOSTE DELLA FED E DELLA BCE ALLA CRISI Tenendo conto di quanto appreso dalla Grande Depressione, la crisi del 2007-2008 è stata contrastata con misure di politica fiscale e di politica monetaria marcatamente espansive. In questo contesto è stato decisivo il ruolo delle banche centrali, in primis la Federal Reserve e la BCE. Nella fase iniziale la Fed è stata più pronta della BCE a ridurre i tassi di interesse (differenza di mandato). La diminuzione del tasso d’interesse di mercato monetario è avvenuta a seguito di ‘una ingente immissione di liquidità nel sistema, la quale ha consentito di contrastare la caduta del moltiplicatore monetario (evitando che quest’ultima fosse accompagnata, come avvenne negli anni Trenta, da una diminuzione consistente del tasso di crescita della moneta e dagli inevitabili riflessi negativi di questa sull’output). Fino a settembre 2008 questa politica è stata perseguita prevalentemente attraverso variazioni della struttura di bilancio delle banche centrali; in questa prima fase, hanno di fatto ampliato la gamma delle garanzie collaterale “elegibili” e allungato la durata delle operazioni di rifinanziamento. Dopo il fallimento di Lehman, tuttavia, essendosi interrotto il funzionamento del mercato interbancario, Fed e BCE sono state costrette a espandere il loro attivo. L'azione delle due banche centrali assumeva caratteristiche differenti. Se la Fed ha aumentato i prestiti e la durata dei finanziamenti verso istituzioni e mercati non bancari (settore privato con prestiti a favore di società di credito al consumo e banche d’investimento con immissione di liquidità nei mercati di finanziamento a breve), per contro, la BCE si è focalizzata esclusivamente sulle banche a cui veniva dato sostegno attraverso le seguenti misure: aumenta del numero e della durata delle operazioni di rifinanziamento principale (ORP); accettazione come garanzia collaterale anche gli ABS. L’ingente offerta di liquidità da parte della BCE al sistema bancario era volta principalmente a contrastare il cattivo funzionamento del mercato interbancario (prestatore in ultima istanza delle banche). FED e BCE hanno comunque infranto una regola fondamentale del prestito in ultima istanza: si offre alle istituzioni illiquide, non insolventi (sempre con le opportune garanzie per evitare fenomeni di moral hazard). LA REGOLAMENTAZIONE I free bankers ritengono che le crisi finanziarie e altre forme di fallimento del mercato siano il derivato di una regolamentazione eccessiva che indebolirebbe gli incentivi di proprietari e amministratori a esercitare una gestione efficiente delle imprese; inoltre, forme estese di regolamentazione sarebbero l’esito delle pressioni degli intermediari sulla classe politica per impedire l’ingresso di nuovi potenziali concorrenti. Tuttavia, il fatto che la classe politica persegua il consenso non le impedisce di proporsi obiettivi coerenti con l’interesse generale; parte di questi gruppi sociali sono infatti, oltre che le banche e gli intermediari finanziari, anche i risparmiatori (anche loro gruppo di interessi) che domandano forme di regolamentazione per prevenire fallimenti di mercato, come le crisi finanziarie, per vedere tutelati i loro diritti di proprietà. Alla domanda di regolamentazione corrisponde una pluralità di offerte volte a raccogliere il maggior numero di consensi intorno alle loro proposte in modo da conquistare o mantenere il potere. Vi sono tre ragioni principali per perseguire una regolamentazione dei mercati e degli intermediari: a) LA PROTEZIONE DEI CONSUMATORI DA SITUAZIONI DI MONOPOLIO Diversi aspetti del sistema finanziario sono soggetti all’esistenza di economie di scala e di network. In riferimento a quest’ultima, (es.) quanto più diffusamente una carta di credito è utilizzata, tanto più facilmente essa è accettata come mezzo di scambio; la crescente diffusione di una singola carta tende a generare una situazione di monopolio. Definire un sistema di regole tese a preservare un elevato grado di concorrenzialità dei mercati e libertà di ingresso negli stessi è compito dei regolatori. b) IL PROBLEMA DEL RISCHIO SISTEMICO o Definiamo rischio sistemico un’ampia gamma di shock che, colpendo nello stesso tempo intermediari finanziari e mercati, determinano una situazione di grave disordine nel sistema finanziario. Due sono gli aspetti fondamentali di un rischio sistemico: gli shock e i meccanismi di trasmissione. Gli shock sono eventi che possono colpire una/o ampio spettro di istituzioni (o il prezzo di una/più attività). Vediamo i principali meccanismi di propagazione di uno shock: i) Una rilevante forma di contagio nel caso delle banche, vale a dire intermediari con un elevato mismatching di scadenze tra attivo e passivo, è rappresentata dal contagio informativo: se una banca fallisce, può diffondersi il dubbio che altre banche possano fallire; ciò favorisce l’insorgere di gravi problemi di liquidità per l’intero sistema bancario; ii) Altra forma di contagio è rappresentata dai c.d. common shock: una o più grandi istituzioni che soffrono problemi di liquidità possono essere indotte a vendere attività finanziarie per procurarsi risorse; tali vendite possono riflettersi negativamente sul prezzo di mercato di queste attività e quindi far registrare perdite in conto capitale (mettendone a rischio la solvibilità) ad altre istituzione che detengono le stesse. ili) La mancanza di liquidità può inoltre indurre le banche a ridurre il credito ai privati. Ne può derivare una caduta della domanda aggregata e quindi una recessione, la quale, se grave, può determinare fallimenti di imprese e mettere a repentaglio la stabilità del sistema finanziario. L’obiettivo di prevenire l’insorgere di un rischio sistemico è perseguito attraverso tre proposte per prevenire i run bancari e renderli impossibili: 1) Promuovere lo sviluppo di narrow bank, ovvero di banche che investono soltanto in titoli privi di rischio, p.e. in titoli pubblici a breve termine. È indubbio che le narrow bank non siano soggette a run, tuttavia esse non esercitano una delle funzioni cruciali delle banche, vale a dire la creazione di liquidità; 2) Una seconda proposta prevede che le banche si procurino le risorse attraverso l’emissione di capitale piuttosto che depositi a vista; i depositi a vista sono però preferiti alle azioni in quanto assicurano i consumatori rispetto a shock casuali sulle loro preferenze intertemporali di consumo; 3) Terza proposta consiste nell’interruzione della convertibilità dei depositi da parte delle banche, le quali, dopo una certa quota (quota aggregata dei depositanti impazienti) si impegnano a non rimborsare pi depositi, evitando la conversione di depositi in circolante e il crollo del moltiplicatore monetario; la minaccia di sospensione della conversione assicura che nessun depositante paziente chieda il rimborso. LA TUTELA DEI CONSUMATORI MENO INFORMATI I risparmiatori fronteggiano due rischi: la possibilità che le istituzioni, presso cui i risparmiatori depositano la loro ricchezza, falliscano (da ciò deriva la vigilanza prudenziale); la possibilità di un comportamento scorretto degli intermediari verso i clienti o di un modo di condurre le operazioni nel mercato finanziario non soddisfacente per i risparmiatori (da ciò deriva la regolamentazione della conduzione delle operazioni). i) La regolamentazione e la vigilanza prudenziale Le forme di regolamentazione esercitano l’attività di monitoring sulle banche al posto dei depositanti, i quali non sono in grado di svolgerla correttamente date le loro competenze minori. D'altro lato la regolamentazione è volta a difendere le banche stesse che, come le altre imprese, sono soggette a problemi di moral hazard e di adverse selection. ii) La regolamentazione della conduzione delle operazioni Questo tipo di regolamentazioni si focalizza sul modo in cui le imprese conducono le operazioni con i loro clienti; si tratta di stabilire regole e principi affinché il comportamento delle istituzioni finanziarie sia appropriato e le operazioni con la clientela siano condotte secondo la best practice (metodo, processo, forme di incentivazione che consentono di conseguire il risultato più efficiente). Es. l'autorizzazione a svolgere una determinata attività, la definizione di standard comportamentali. Va tenuto presente che i problemi della tutela del consumatore nei servizi finanziari sono più rilevanti rispetto ad altri settori, in quanto, dato l'ammontare di ricchezza in gioco, la probabilità dell’emergere di conflitti di interesse tra principale e agente è più elevata. LO SVILUPPO DEI SISTEMI FINANZIARI Una spiegazione dell’evoluzione dei sistemi finanziari è stata proposta dagli economisti della new view. Questi ritengono che l’intermediazione finanziaria vada ricondotta al fatto che, data l’esistenza di costi di transazione e l’indivisibilità dei tioli, i privati non sono in grado di diversificare e ripartire adeguatamente i rischi, di qui la trasformazione da parte degli intermediari dei titoli diretti, quelli emessi direttamente dal debitore finale, in titoli diretti, vale a dire quelli emessi dall’intermediario a fronte dell’acquisizione da parte di questi di titoli diretti (trasformazione delle scadenze, raccolta fondi a breve termine e finanziamenti di lungo termine e diversificazione del rischio da parte degli intermediari). Riprendendo la tesi della new view, nell’evoluzione dei sistemi finanziari individuiamo tre fasi: 1) Durante la prima fase dell’industrializzazione di un sistema, gli investimenti tendono ad essere concentrati soprattutto nell’industria pesante, in particolare nei trasporti (principalmente le ferrovie), nell’industria di base (principalmente l’acciaio) e delle risorse naturali (carbone e ferro). Questa fase dello sviluppo corrisponde al periodo in cui il sistema finanziario è orientato alle banche; in questo periodo non vi è alcuna separazione tra proprietà e controllo; inoltre, il grado di concentrazione della proprietà è molto alto e la tecnologia tende a favorire le grandi dimensioni d’impresa. 2) Nella fase in cui il sistema risulta orientato al mercato larga parte dei finanziamenti estemi è ottenuta attraverso il mercato dei capitali. Attraverso questi ultimi passa una parte crescente del risparmio dei privati e di quello raccolto da intermediari non bancari, come le assicurazioni e i fondi comuni. In questa fase, la proprietà e il controllo delle imprese tendono gradualmente a separarsi e il possesso della ricchezza, reale e finanziaria, diventa più diffuso. 3) Nella terza fase la maggior parte dei finanziamenti esterni delle imprese deriva dai mercati, in particolare dal collocamento di titoli direttamente presso i risparmiatori finali o presso investitori istituzionali non bancari (come i fondi pensioni). In questa fase anche le banche vengono a dipendere in misura crescente da forme di provvista di mercato (es. obbligazioni o strumenti di mercato monetario). Le istituzioni bancarie indirizzano larga parte delle loro risorse a prestiti personali e privati. Lo schema interpretativo della new view è stato sottoposto a severe critiche da parte di economisti che si riconoscono nella visione orientata alle banche. Secondo Allen e Gale (1988), le banche, prendendo a riferimento un orizzonte temporale più lungo dei singoli e instaurando con i clienti relazioni di lungo periodo, da un lato, sarebbero in grado di finanziare investimenti a redditività differita nel tempo, dall’altro, sarebbero disposte nelle fasi recessive a sostenere le imprese in difficoltà, accettando una riduzione temporanea dei profitti. In questa prospettiva, non vi sarebbe una evoluzione dei sistemi finanziari che riflette lo sviluppo economico, riflettendo più semplicemente la struttura economica nel suo complesso e, quindi, i diversi tipi di relazioni industriali, di governance, delle imprese... Contro la tesi di una evoluzione progressiva dei sistemi finanziari sta anche la posizione di quanti ritengono che l’efficienza delle varie strutture finanziarie vada posta in relazione con le diverse fasi dello sviluppo economico. In particolare, i sistemi orientati ai mercati, per le ragioni già viste, sarebbero preferibili nei periodi caratterizzati dall’introduzione di diffuse innovazioni nell'economia, mentre i sistemi orientati alle banche risulterebbero “superiori” in termini di efficienza nelle fasi in cui prodotti e processi produttivi sono standardizzati. LA DOMANDA DI MONETA @ LA DOMANDA DI MONETA NELLA TEORIA NEOCLASSICA Quanti enfatizzano la funzione di mezzo di pagamento della moneta tendono a stabilire una stretta connessione tra quantità di moneta domandata e livello del reddito nominale; ciò è particolarmente evidente nelle diverse versioni della teoria neoclassica della domanda di moneta (EQUAZIONE DEGLI SCAMBI DI FISHER e EQUAZIONE DI CAMBRIDGE). L’enfasi sul fatto che la moneta sia il mezzo di pagamento per eccellenza, porta a considerare la moneta come un unicum rispetto alle altre attività finanziarie e come uno strumento che presenta un elevato grado di sostituibilità sia rispetto alle attività reali che alle attività finanziarie. L’ipotesi che la moneta sia unica rispetto agli altri strumenti spiega la trasmissione della politica monetaria neoclassica, nell’ambito della quale svolge un ruolo centrale l’effetto ricchezza, legato ai riflessi sulla spesa dei privati di variazioni della quantità di moneta in termini reali da essi detenuta (effetto delle scorte liquide o real balance effect). @ Glieconomisti di matrice keynesiana sottolineano il ruolo di riserva di valore della moneta e la considerano, quindi, un’attività finanziaria tra le altre. In questo contesto, la moneta presenta un elevato grado di sostituibilità rispetto alle attività finanziarie e un basso grado di sostituibilità rispetto alle attività reali: nella domanda di moneta riveste dunque un ruolo rilevante il tasso di interesse sulle attività alternative. Ciò risulta particolarmente evidente nella: DOMANDA DI MONETA IN KEYNES e nell’ APPROCCIO DI PORTAFOGLIO ALLA DOMANDA DI MONETA (TOBIN). @ Untentativo di recuperare la tradizione neoclassica, tenendo conto, tuttavia, del contributo di Keynes, è stato operato da Friedman: LA DOMANDA DI MONETA IN FRIEDMAN. L’Approccio neoclassico (sia quello dell'equazione degli scambi di Fisher e dell'equazione di Cambridge, che quello più recente di Friedman) e quello keynesiano, nello spiegare la domanda di moneta, adombrano una spiegazione della trasmissione della politica monetaria e del funzionamento del sistema economico aq livello macroeconomico: - Laddove, come nell’economia neoclassica, la moneta è sostituibile sia con attività finanziarie che con attività reali, un aumento della sua offerta si riflette immediatamente sulla domanda di beni e servizi; - Percontro, nell’approccio keynesiano, essendo la moneta una atti finanziaria, un aumento della sua offerta si riflette sulle variabili reali solo in via mediata attraverso variazioni del tasso di interesse. Pertanto, alle diverse spiegazioni della domanda di moneta corrisponde una diversa concezione dei canali di trasmissione della politica monetaria. Accanto a quelle di natura macroeconomica, vi sono spiegazioni della domanda di moneta di natura microeconomica; esse sono particolarmente utili al fine di spiegare la domanda di liquidità di determinati settori economici e di determinate istituzioni. In questo contesto vedremo la DOMANDA DI MONETA TRANSATTIVA NEI MODELLI DELLE SCORTE, il cui modello mostra come, in presenza di una sfasatura tra incassi e pagamenti, la domanda di moneta transattiva dipenda non solo dal reddito, ma anche dal tasso di interesse. A conclusioni analoghe si perviene nell’analisi della DOMANDA DI MONETA PRECAUZIONALE. LA DOMANDA DI MONETA NELLA TEORIA NEOCLASSICA Nell’economia neoclassica la moneta ha esclusivamente la funzione di mezzo di pagamento. La moneta non ha alcuna utilità intrinseca: utilità marginale della moneta pari a zero (moneta transattiva). La sola ragione che induce soggetti a detenere moneta consiste nella mancanza di sincronia tra i loro incassi e i loro pagamenti. Tali presupposti, seppur implicitamente, erano già presenti in economisti classici come Hume, secondo i quali variazioni della quantità di moneta influiscono esclusivamente sul livello dei prezzi (moneta neutrale). Tuttavia, la prima formulazione di queste conclusioni si ebbe con l’EQUAZIONE DEGLI SCAMBI DI FISHER. Secondo questi, l'ammontare di moneta che è detenuto dai soggetti per far fronte alla sfasatura tra incassi e pagamenti dipende dal numero delle transazioni (T) e dal loro valore unitario, vale a dire dal livello generale dei prezzi (P): quanto più elevati sono il numero degli scambi e il livello dei prezzi, tanto più elevata è, ceteris paribus, la quantità di moneta domandata. Sull’ammontare di moneta detenuto dai soggetti influisco, oltre ai fattori appena ricordati, gli aspetti istituzionali (la frequenza degli incassi e degli esborsi, il grado di sviluppo del sistema bancario, il grado di asincronia tra incassi e pagamenti...), che determinato il numero di passaggi di mano della moneta in un determinato arco di tempo, vale a dire la velocità di circolazione della moneta (V). PT MV=PT>V=+ con M che indica la quantità di moneta, per ipotesi esogenamente data. L’equazione di Fisher costituisce il presupposto su cui sono basate la c.d. teoria quantitativa della moneta e la conclusione di questa che la quantità di moneta influisce esclusivamente sul livello dei prezzi. Infatti, per i neoclassici: - Il valore di T è costante (in quanto pari in ogni istante a quello cui corrisponde la piena occupazione; T è una proxy dell’output di piena occupazione y*); - Il valore di V è costante (in quanto determinato da fattori istituzionali che non sono soggetti a cambiamento nel breve periodo); Posto che T e V siano dati, variazioni di M decise dalla Banca centrale influiscono esclusivamente su P. pei Te TEORIA NEOCLASSICA (Modello Ad-As #Beni: y=!/p+/p y = &/p= S( Me )fp Ip=4{)/p=S/p #Produzione: y=f(N°) N°(‘W/p) = N°(4W/p) #Moneta: M= kPy {y indica l’output in termini reali, I e S rispettivamente l'ammontare degli investimenti e del risparmio in termini nominali, P il livello dei prezzi e r il tasso di interesse reale] Guardando il mercato dei beni: il risparmio in termini reali, S/P, dipende positivamente da r e negativamente dalle scorte monetarie in termini reali, M/P; la domanda di investimenti in termini reali, /P, dipende negativamente dal tasso di interesse reale. Marshall dà una rappresentazione della curva di domanda di moneta: data l’ipotesi che l'elasticità della domanda di moneta al reddito nominale sia unitaria e nello schema neoclassico y è costantemente al livello di piena occupazione (e quindi è dato), la curva di domanda di moneta in termini reali (Md) rispetto a P è rappresentata da una iperbole equilatera. Ms indica l’offerta di moneta. 1 Equilibrio Mercato Moneta Secondo Marshall Gli economisti di Cambridge, pur riconducendo la domanda di moneta principalmente a ragioni transattive, avevano maturato la convinzione che gli individui considerassero la moneta, oltre che mezzo di pagamento, anche riserva di valore. In questa prospettiva, sulla domanda di moneta influivano inevitabilmente anche variabili come la ricchezza e il tasso di interesse. Questi aspetti furono successivamente sviluppati da Keynes. LA DOMANDA DI MONETA IN KEYNES Nella Teoria generale (1936), Keynes si allontana dall'approccio neoclassico e, approfondendo le intuizioni Pigou e Marshall, individua le tre principali moventi della detenzione delle scorte monetarie: Md = Md T+ Md P+MdS - Il movente transattivo (Md 7), in cui ripropone l’approccio neoclassico. - Il movente precauzionale (Md P), riproponendo ancora l'approccio neoclassico; - Il movente speculativo (Md S), novità assoluta che gli consente di evidenziare la funzione di riserva di valore della moneta e di sviluppare un approccio originale alla domanda di attività finanziarie. La quantità di moneta è condizionata dal tasso di interesse delle attività finanziare e dal tasso d’interesse atteso © Ilmovente transattivo: Md T = f (Y) La moneta domandata a scopo transattivo è quella necessaria per dar corso agli scambi di beni data l’assenza di sincronizzazione tra incassi e pagamenti. Keynes riteneva che questo tipo di domanda fosse determinata Ri prevalentemente dal livello del reddito corrente: la moneta domandata aumenta all'aumentare del reddito nominale. Il movente precauzionale: Md P = g(Y) Il movente precauzionale è legato al fatto che il soggetto può essere nella condizione di dover far fronte a pagamenti imprevisti o a cambiamenti nella successione di incassi e pagamenti. Come la domanda di moneta transattiva, la domanda di moneta per motivi precauzionali è legata al livello del reddito corrente. [Md P dipende in misura marginale dalla capacità di prendere credito a condizioni convenienti allorché abbisognino di liquidità; ciò consente a questi soggetti di ridurre l'ammontare medio delle scorte monetarie e il costo opportunità del detenere moneta]. Il movente speculativo: Md S mostra la moneta come riserva di valore. Secondo Keynes l’esistenza di incertezza circa il livello futuro del tasso di interesse induce il pubblico a domandare moneta nella sua qualità di riserva di valore. In questo contesto, in cui i soggetti speculano nella convinzione di conoscere meglio del mercato ciò che il futuro arrecherà, l'incertezza deriva dal fatto che i soggetti hanno opinioni diverse circa il livello futuro dei tassi di interesse. Ciascun soggetto, tuttavia, ha ‘un’opinione sicura in merito al tasso di interesse normale, quello prevalente nel lungo periodo; perciò, se il tasso d’interesse effettivo diverge da quest’ultimo, egli si aspetta che nel futuro il tasso di interesse torni al suo livello normale. Questo comporta guadagni o perdite in conto capitale attesi dalla detenzione di titoli. Nell’analisi del movente speculativo, Keynes considera come alternative solo due attività: la moneta, attività finanziaria con rendimento nullo, e i titoli pubblici irredimibili, privi di rischio (lo Stato per definizione non può fallire) e con un tasso d’interesse fisso nel tempo. Il tasso di rendimento atteso dei titoli, R., è dato dal tasso di interesse i fissato all'emissione, e dai guadagni in conto capitale attesi g.: sisi ESE +g=i+ db SeRt-0+i (il tasso moneta) allora per l'individuo è indifferente detenere moneta: FI endimento dei titoli uguaglia il rendimento della 1 ndimento dei titoli è maggiore del rendimento della moi viduo domanderà solo titoli e M£=0 » SeRt<0DI<H (il tasso di rendimento doi titoli è minore del rendimento della moneta) allora l'individuo domanderà solo moneta speculativa Mé e nessun titolo [domanda di moneta speculativa (individuale)] Possiamo indicare il valore di i con ic, vale a dire il tasso di interesse critico ovvero il livello di tasso di interesse in corrispondenza del quale per un dato individuo è indifferente detenere titoli o moneta. Dato che i soggetti hanno diverse aspettative circa il livello futuro del tasso di interesse, ne segue che a ciascun soggetto corrisponde un diverso livello di ic. Tuttavia, è evidente che, data una certa distribuzione dei tassi di interesse critici, quanto più elevato è il livello corrente del tasso di interesse, tanto più ampio è il numero di soggetti il cui tasso di interesse critico si trova al di sotto del tasso di interesse corrente e che, quindi, ritengono conveniente investire in titoli. Ne segue che la domanda di moneta aggregata sarà rappresentata da una curva inclinata negativamente. Per i singoli la M£ è una variabile dicotomica che dipende dal soggettivo i° > Tanto minore è i corrente, Lanto è più probabile che esso sia minore del termine #5, tanto maggiore sarà il numero di persone che domandano MÉ » La domanda di moneta speculativa è finzione decrescente del tasso di interesse corrente sui titoli i: MY(iT). » i> max(î) > M£=0> s0/5;=0; < max(î) + MÉ 70 605/670; i < min(i) > MI = 00 > AMi/i;= 00 Relazione inversa tra il tasso di interesse e la domanda di moneta speculativa: se i scende, un numero maggiore di individui mostrerà un tasso di interesse critico maggiore di quello corrente e quindi la domanda di moneta aggregata aumenta. La domanda di moneta speculativa (Md S) è funzione decrescente rispetto a i. È 4 [domanda di moneta speculativa a livello aggregato] Per livelli di i superiori al max ic, tutti i soggetti deterranno la loro ricchezza esclusivamente in titoli; inferiori al min ic, tutti i soggetti deterranno la loro ricchezza esclusivamente in moneta, in quanto avremo uno stato delle aspettative in cui tutti gli individui prevedono un aumento del tasso di interesse e, di conseguenza, un rendimento negativo dei titoli (il prezzo dei titoli diminuirà generando una perdita in conto capitale) [caso limite della c.d. trappola della liquidità]. Mm FIG.: Equilibrio nel Mercato della moneta Dal momento che, in Keynes, l'offerta di moneta è considerata esogena, in quanto determinata dalla Banca Centrale, l’equilibrio nel mercato della moneta può essere così espresso: MS = Mi( v+ MEV) hi MS(i) Il tasso di interesse di equilibrio può cambiare per due motivi: - Peruna variazione dell’offerta di moneta (Ms): se l'offerta di moneta aumenta (da Ms0 a Ms1), si avrà una diminuzione di i (da i0 a i1) [conclusione sempre vera a parte che nel caso di trappola di liquidità, in cui aumenti dell’offerta di moneta non si riflettono sul tasso di interesse in quanto il tasso di equilibrio è così basso che i soggetti assorbono interamente la quantità di moneta aggiuntiva offerta]. - Peruno spostamento della curva di domanda di moneta, in particolare della domanda di moneta speculativa, il quale deriva da cambiamenti delle aspettative dei soggetti e quindi dal livello del tasso di interesse critico, ic. Se i soggetti si attendono tassi futuri più elevati, i valori dei tassi di interesse critici risultano più alti e la curva di domanda aggregata di moneta speculativa si sposta verso dx: ne discende un innalzamento del livello del tasso di interesse di equilibrio, p.e. da i0 a i2. La velocità di circolazione della moneta varia al variare dell’offerta di moneta: infatti, un aumento della quantità di moneta, nel favorire una diminuzione del tasso di interesse, induce un aumento della domanda di moneta speculativa e, quindi, una diminuzione della velocità di circolazione della moneta. [Es. t Ms =>Ji-t MdS +4 V] {La moneta non è neutrale} L’APPROCCIO DI PORTAFOGLIO ALLA DOMANDA DI MONETA TEORIA DEL PORTAFOGLIO DI TOBIN (1958) L’incertezza cui fa riferimento Keynes deriva dalla diversità di opinioni dei soggetti circa il tasso di interesse futuro. Ciascun soggetto singolarmente preso, avendo aspettative certe in merito al livello futuro del tasso di interesse, detiene la sua ricchezza o esclusivamente in titoli o esclusivamente in moneta. Tuttavia, questa conclusione mal si accorda con la realtà e in particolare con il fatto che i soggetti detengano portafogli diversificati. Un'analisi teorica delle ragioni della diversificazione della ricchezza è stata proposta da Tobin (1958), la cui analisi costituisce un caso speciale della teoria delle scelte di portafoglio sviluppata da Markowitz. In questo contesto, la domanda di moneta è ricondotta alla domanda di una qualunque atti che offra un flusso di servizi. Il costo opportunità del detenere moneta è, perciò, rappresentato dal flusso di servizi derivante dalla detenzione di attività alternative alla moneta. La proposta di Friedman allarga l’ambito di Tobin (approccio di portafoglio) considerando la moneta come sostituibile anche con i beni reali (e non solo con le attività finanziarie), in quanto anch'essi danno un flusso di servizi. Pertanto, la domanda di moneta deve essere considerata nello stesso modo della domanda di ogni altro bene. In particolare, dato un vincolo di bilancio costituto dalla ricchezza (W), la domanda di moneta dipende dal suo prezzo (Pm), dal prezzo dei suoi sostituti più prossimi (Ps) e dalle preferenze dei soggetti (u): Me = F(W, Py, Pu) Andiamo ora ad analizzare le singole componenti per giungere infine all’equazione di domanda di moneta di Friedman: La ricchezza (W) è data dall’aggregazione degli ammontari di attività finanziarie e reali detenuti dai soggetti (ricchezza non umana, la quale può essere ceduta, è altamente liquida), ma comprende anche la ricchezza umana, ossia il valore attuale dei flussi futuri di reddito derivanti dal grado di professionalità dei soggetti (la quale, poiché derivata dallo studio/esperienza acquisita nell’esercizio di un dato lavoro, presenta un basso grado di liquidità, può essere difficilmente ceduta). Poiché il valore della ricchezza è pari al valore attuale del reddito che da essa deriva, si può scrivere W=Y?P/i, dove i è il tasso di interesse e Yp il reddito permanente. Quanto più è elevata la quota di ricchezza non umana sul totale (indicata con h), vale a dire quanto più elevato è il grado di liquidità della ricchezza detenuta, tanto più bassa è la domanda di disponibilità liquide e, quindi, di moneta. Le attività alternative alla moneta (Ps) sono costituite dalle obbligazioni (titoli di stato a lungo termine), dalle azioni e dalle attività reali (in primis gli immobili): i) Il tasso di rendimento delle obbligazioni può essere suddiviso in due parti: un tasso di interesse nominale ir, fissato all’atto dell’acquisto del titolo; i guadagni (perdite) in conto capitale derivanti, al tempo t, da un aumento (diminuzione) del prezzo delle obbligazioni. 1 dir pre it dt ii) Il tasso di rendimento delle azioni è costituito da tre fattori: il tasso di rendimento nominale ik, dato dal rapporto tra dividendi pagati e capitale investito; i guadagni (perdite) in conto capitale derivanti da ‘un aumento (diminuzione) del prezzo delle azioni; le variazioni del prezzo delle azioni che derivano da variazioni del livello generale dei prezzi. ; 1 dk fp 1 dP VEE e Lr K° igdt° Pdt ili) Il tasso di rendimento dei beni reali, derivante dal fatto che, come per le azioni, il valore dei beni reali varia con il livello generale dei prezzi. 1 dP Pdt Infine, Friedman ritiene che la domanda di moneta sia influenzata dai gusti e dalle preferenze del pubblico (u). In particolare, egli considera plausibile che la domanda di moneta aumenti al crescere della mobilità geografica dei soggetti e dell’incertezza. Detto ciò, consideriamo due ipotesi semplificatrici di lavoro: Db 2) Il tasso di interesse i, poiché interpretabile come una media ponderata dei tassi di mercato, può essere eliminato; si può infatti ipotizzare che la sua influenza sulla domanda di moneta sia colta da ir e ik. I tassi di interesse siano stabili. Possiamo ora presentare l’equazione di domanda di moneta, la quale risulta: 1 dP MÎ=f(PiiriiizihivYio VD Ig Notiamo che l’inclusione di P tra le variabili indipendenti va ricondotta al fatto che Friedman, assimilando la domanda di moneta a quella di ogni altra attività, fa riferimento alla domanda di moneta in termini reali. Ne segue che, se il livello dei prezzi raddoppia, raddoppia anche l'ammontare della moneta domandata. Mentre in Keynes la moneta è sostituibile solo con attività finanziarie, in Friedman essa presenta un elevato grado di sostituibilità sia con le attività reali che con quelle finanziarie. Ne segue che un eventuale aumento dell’offerta di moneta dà luogo non solo ad aggiustamenti del portafoglio finanziario e quindi ad una diminuzione dei tassi di interesse, ma anche ad un’accresciuta domanda di beni reali. LA DOMANDA DI MONETA TRANSATTIVA NEI MODELLI DELLE SCORTE L’approccio di Keynes, quello di portafoglio e quello di Friedman alla domanda di moneta hanno una valenza macroeconomica; le loro conclusioni in merito alle determinanti della domanda di moneta hanno riflessi sulla concezione della trasmissione di politica monetaria. Altri contributi invece, in particolare Baumol (1952) e Tobin (1956) adottano invece un approccio microeconomico, secondo il quale le disponibilità di moneta sono assimilate a scorte che i possessori detengono per essere pronti a finanziare le transazioni quando se ne presenti la necessità (moneta come scorte smobilizzate in caso di transazioni). La domanda di moneta, vedremo, è l’aggregato della domanda individuale, ottenuto dalla soluzione del problema di minimizzazione dei costi delle transazioni. Le ipotesi di base del modello delle scorte sono: 1) I soggetti ricevono in pagamento un certo ammontare di moneta predeterminato e noto, pari a T, all’inizio di ‘un periodo t e lo spendono nell’arco di quello stesso periodo; 2) I soggetti possono scegliere tra due tipi di investimento dei fondi: i) Titolo non rischioso B con rendimento i ii) Moneta, il cui rendimento è nullo = il tasso di interesse i rappresenta il costo-opportunità del detenere moneta 3) A cadenze regolati, nel periodo t, i soggetti cedono titoli per ottenere una quantità di moneta pari a K necessaria alle transazioni 4) La vendita di titoli comporta per i soggetti il pagamento di una commissione fissa pari a b 5) le ncessioni suddividono il periodo totale in n sottoperiodi 6) Spesa monetaria costante in ciascun sottoperiodo > la quantità di moneta media in ciascun sottoperiodo è K/2 Sulla base delle ipotesi poste, il soggetto nel periodo opera n = T/K cessioni di titoli per ottenere moneta, pari al numero di sottoperiodi, sostenendo per le negoziazioni un costo complessivo pari a (bT)/K. Dato che in ciascuno degli n sottoperiodi si ha una quantità media di moneta pari a K/2, il costo opportunità di detenere moneta risulta per il soggetto pari a (iK)/2. L’individuo sceglie dunque K che minimizza il costo totale dell’uso della moneta (CT= costi di negoziazione + costo opportunità) CT SCT SRO K*= y(26T/î) che è la quantità di moneta che il soggetto detiene in modo tale da minimizzare CT. e quindi, considerando che la moneta mediamente domandata in ogni sottoperiodo è pari a K/2, si ottiene: d = VIBT/RÌ) Mr= bI, o che è la domanda ottima di moneta in ciascun sottoperiodo. Tenuto conto che il reddito mediamente detenuto nel periodo è pari a T/2, una volta determinata la quantità di moneta mediamente domandata, si può determinare a residuo la domanda di titoli, Ba, vale a dire la domanda dell'attività alternativa alla moneta: BÎ=(T/2)- M4=(7/2)- V(bT/2) Sulla base delle conclusioni raggiunte, della gestione della somma ricevuta inizialmente dal soggetto e della allocazione di essa in titoli può darsi la seguente rappresentazione grafica: Dato che molte attività finanziarie sono sostituibili e che le funzioni delle attività finanziarie cambiano nel tempo, non è chiaro a priori come la moneta dovrebbe essere definita e quali attività dovrebbero essere comprese in essa. Per questo motivo le Banche centrali fanno riferimento ad una pluralità di aggregati monetari. Nella definizione di un aggregato monetario occorre effettuare scelte in merito a tre aspetti: 1) SCELTA DEI SETTORI DETENTORI i cui strumenti devono essere inclusi nell’aggregato. L’aggregato deve essere connesso alla propensione alla spesa. Per questo motivo pare appropriato non tenere conto né del settore statale né del settore finanziario in quanto, per nessuno di questi due settori, un aumento delle disponibilità monetarie determina un aumento della propensione a spendere. In merito alla tipologia dei detentori, altra opportuna distinzione è quella tra residenti e non residenti: poiché i saldi monetari di questi ultimi non hanno alcun riflesso sulla domanda intema di un dato Paese, in genere si includono nell’aggregato monetario solo gli strumenti dei residenti. 2) SCELTA DEI TIPI DI EMITTENTI Laddove sia avvertita l’esigenza di esercitare un efficace controllo sulla quantità di moneta nel Paese, può essere opportuno fare riferimento alle sole banche residenti, vale a dire a quelle soggette a riserva obbligatoria. Peraltro, se si è preoccupati della stabilità del rapporto tra moneta e variabili finali, può essere preferibile considerare gli intermediari operanti sul territorio nazionali. 3) SCELTA DI STRUMENTI Nella scelta degli strumenti, il criterio informatore è costituito dall'esistenza di un legame stabile tra l’aggregato e le variabili finali. Ne segue che i requisiti degli strumenti prescelti come componenti dell’aggregato dovrebbero essere immediatamente utilizzabili dai soggetti negli acquisti di beni e servizi, ovvero essere facilmente trasformabili in strumenti che possiedono la proprietà appena menzionata. Vediamo ora le scelte dell’area euro riguardo questi tre aspetti: 1) Ilsettore degli emittenti di moneta comprende gli intermediari finanziari monetari residenti nell’area. 2) Ilsettore dei detentori di moneta include tutti i residenti nell’area dell’euro, esclusi gli intermediari finanziari monetari e gli Stati. 3) L’Eurosistema fa riferimento a tre tipi di aggregati monetari, i quali differiscono per il diverso grado di liquidità delle attività in esso escluse. 1) AGGREGATO MONETARIO STRETTO (M1) M1 comprende il circolante e i depositi in conto corrente, i quali possono essere convertiti immediatamente in circolante o utilizzati come forma di pagamento al posto del circolante. Il) AGGREGATO MONETARIO INTERMEDIO (M2) M2 comprende M1 e i depositi con durata prestabilita fino a due anni e i depositi rimborsabili con preavviso di 3 mesi. Si tratta di un aggregato più controllabile di M1 in quanto soggetto a riserva obbligatoria. Il) AGGREGATO MONETARIO AMPIO (M3) M3 comprende M2, pronti contro termine, quote di fondi comuni monetari, titoli di mercato monetario e obbligazionari con scadenza originaria fino a due anni (in generale parliamo di strumento con un elevato grado di liquidità, tale da rendere questi strumenti sostituti prossimi dei depositi). Si tratta di un aggregato ancora più controllabile di M2 e con una elevata correlazione con il PIL. La specificazione generale della relazione di lungo periodo della domanda di moneta risulta la seguente: M/P = f (S; CO) dove M/P è la quantità di moneta in termini reali domandata, S la variabile di scala che indica il livello di attività economica, CO il costo opportunità del detenere scorte monetarie e P il livello dei prezzi. Sulla base di questa funzione, si comprende come nella stima della domanda di moneta sia necessario preliminarmente definire la variabile dipendente, ovvero l’aggregato di moneta, e scegliere la variabile di scala e il costo opportunità. Della moneta possono darsi due definizioni principali. Secondo una definizione stretta la moneta è costituita dall’insieme di strumenti finanziari che possono essere utilizzati come mezzo di pagamento. Un aggregato così definito dovrebbe presentare un’elevata correlazione con il livello degli scambi ovvero la sua proxy costituita dal PIL. Nell’UME tale definizione corrisponde a M1. In sistemi finanziari sviluppati, tuttavia, il grado di sostituibilità tra strumenti di pagamento e attività liquide è molto elevato. Inoltre, se, come accade in Italia, i c/c sono remunerati, parte degli stessi strumenti di pagamento può essere utilizzata anche come una forma di investimento. Per queste ragioni la relazione tra aggregati ampi di moneta e PIL tende ad essere più stabile di quella tra moneta in senso stretto e PIL. La caratteristica della stabilità riveste grande importanza allorché si voglia utilizzare la crescita della moneta come un indicatore anticipatore dell'andamento del reddito nominale o addirittura come un obiettivo intermedio. In questo ultimo caso un’altra caratteristica dell’aggregato di moneta prescelto come obiettivo intermedio assume grande rilievo: la sua controllabilità da parte della Banca Centrale. In genere gli aggregati ampi di moneta possono essere controllati dalle autorità con maggiore precisone degli aggregati stretti. AI di là delle questioni appena considerate in merito agli aggregati, va tenuto presente che nel lungo periodo si ritiene che l’elasticità della domanda di moneta nominale ai prezzi sia unitaria. Perciò, nelle stime si fa riferimento a M/P. STIMA EMPIRICA DELLA DOMANDA DI MONETA Forma log-lineare della domanda di moneta in forma matematica che prevede che la moneta, la variabile di scala e il livello dei prezzi siano espressi in logaritmi, mentre i tassi di interesse siano espressi in livelli: M hp) =a + BInS+yC0+e Nella seguente espressione, CO indica il costo opportunità di detenere moneta (dato dal differenziale tra il tasso di interesse su un’attività alternativa e quello sulla moneta), S rappresenta il reddito in termini reali o la ricchezza (o qualche altra variabile che funga da variabile di scala, P il livello dei prezzi e infine un errore stocastico. STIMA DELL’AGGREGATO M3 Viene presa a riferimento, nella gran parte delle stime di domanda di moneta dell’area dell’euro, M3 data la più stabile relazione di questo aggregato con il PIL rispetto agli aggregati monetari più stretti. In queste stime la domanda di moneta in termini reali è posta in relazione al PIL reale, yt, al proprio tasso di interesse, im, al tasso di interesse a breve termine, iB, al tasso di interesse a lungo termine, il, e al tasso di inflazione, Pi. Mo ety,M 18 5 n) - L’elasticità della domanda di moneta al PIL reale è quasi sempre uguale o lievemente superiore all’unità; - L’effetto del tasso di interesse sulla moneta è in molte stime prossimo a uno; - Il segno del tasso di interesse a breve termine su attività alternative alla moneta è quasi sempre negativo. L’OFFERTA DI MONETA Elemento distintivo delle teorie dell’offerta di moneta è la concezione della moneta come variabile esogena o come variabile parzialmente/totalmente endogena. - Moneta esogena (Teoria quantitativista. La quantità di moneta in circolazione è indipendente dal comportamento delle banche e dei privati ed è perfettamente controllabile da parte della Banca centrale (dato il moltiplicatore, variando la base monetaria); l’offerta di moneta ha effetto solo sui prezzi. - Moneta endogena La quantità di moneta in circolazione è condizionata 0, nel caso estremo, determinata dal comportamento di banche e privati, i quali condizionano l’offerta di moneta facendo variare il moltiplicatore. L’equilibrio nel mercato della base monetaria può essere determinato solo se si considera l’interazione tra Banca centrale, banche e privati (modello integrato in economia chiusa). TEORIA QUANTITATIVISTA (Ms esogena) La moneta in circolazione è data dai depositi D e dal circolante CIRC (M= CIRC+D) La base monetaria è data dalle riserve R e circolante CIRC (BM=CIRC+R) R = ROB + RL: le riserve bancarie costituiscono una parte della base monetaria, BM, disponibile; l’altra componente è costituita dal circolante, CIRC, detenuto dai privati. Pertanto, la base monetaria è data dalle passività dello Stato usate dai privati per acquistare beni e servizi (il circolante) e dalle attività (le riserve) usate dalle banche per regolare i loro obblighi con la Banca centrale (riserva obbligatoria, quota di depositi detenuta presso BCN con/senza rendimento) e le loro transazioni con le altre banche (riserve libere, con funzione precauzionale). Esiste un rapporto fisso (moltiplicatore monetario) tra base monetaria controllata dalla BC e la moneta in circolazione. Il processo di moltiplicazione dei depositi, basato sul presupposto che il pubblico non tesaurizzi bensì depositi in banca la moneta legale che riceve, può essere rappresentato algebricamente: 1 A4D= AROZ con AD che indica l’espansione dei depositi della banca, AR l’incremento delle riserve di moneta legale, k l’aliquota di riserva (quota dei depositi obbligata), 1/k rappresenta il moltiplicatore dei depositi. Considerando però che le banche detengono anche riserve in eccesso, o libere, RL, per far fronte a situazioni di illiquidità impreviste e che tali scorte siano in proporzione pari a q dei depositi: AD= AR klg 2: moltiplicatore sui depositi —Poniamo ora l’ipotesi che il circolante sia detenuto dai privati in una data proporzione ari fissa rispetto ai depositi CIRC = cD C “Gipi Possiamo ora pervenire alla definizione del moltiplicatore monetario che costituisce una semplice estensione del moltiplicatore dei depositi. La moneta in circolazione è data, infatti, da: M = CIRC + D;j mentre la base monetaria è data da: BM = CIRC + RL + ROB = CIRC+R Dividendo le due equazioni: M _ CIRC+D ERI BM * CIRCER Lo __BM BM CIRC+R ga cui ctk+q M = m BM, dove m indica il moltiplicatore monetario. In questo contesto, la Banca centrale è in grado di controllare l'ammontare di M controllando BM. Nella realtà si osserva che i fattori che influenzano il valore del moltiplicatore monetario, la propensione del pubblico a detenere circolante e quella delle banche a detenere riserve, mutano nel tempo. da cui si ha: clip)D+glic:it)D+ kD — RIF — RIM =0 BeMi BM: Questa equazione permette alla banca centrale, regolando RIFM e fissando iS, di determinare il tasso di interesse overnight, iO, di equilibrio. Tale tasso di interesse non può superare la soglia rappresentata da iS; se ciò accadesse, infatti, le banche commerciali si rifinanzierebbero in via bilaterale presso la banca centrale (RIF). Dall’equazione notiamo che un aumento del tasso di interesse di policy, iO, determina: a) Una diminuzione della domanda di depositi; b) Una diminuzione della domanda di riserve bancarie sia per la diminuzione dei depositi che, nel caso di riserve libere, per la diminuzione di q. Nella figura sotto, l’asse orizzontale misura la quantità totale delle riseve, quella verticale i tassi di interesse di mercato. Il tasso di interesse iS indica il tasso di sconto, ossia il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento bilaterali; il livello del tasso di interesse di policy, iO, ossia il tasso interbancario overnight, non può essere superiore a iS. Per quanto detto al punti b), la curva che rappresenta la domanda di riserve bancarie (obbligatorie e libere) è inclinata negativamente rispetto al tasso di interesse di policy (curva RD). L’offerta di riserve, RS: l'ammontare di riserce RO è offerto dalla Banca centrale con operazioni di mercato aperto, con immissioni (prelievo) di liquidità sul (dal) mercato attraverso acquisti (vendite) di titoli; oltre RO ulteriori finanziamenti sono offerti alle banche commerciali dalla Banca centrale attraverso operazioni di rifinanziamento bilaterale al tasso di interesse di sconto, iS. L’equilibrio nel mercato delle riserve bancarie è dato dall’incontro della curva RD e della curva RS: in corrispondenza di esso si determina il tasso di interesse overnight. Ro R FiG.: Domanda e offerta di riserve bancarie Il tasso di interesse overnight, iO, può essere variato dalla Banca centrale attraverso tre tipi di intervento: 1) Conoperazioni di mercato aperto: i) Operazioni di mercato aperto in acquisto: aumenta l’offerta di riserve bancarie, la curva Rs si sposta a destra e il livello di equilibrio di iO diminuisce. ii) Operazioni di mercato aperto in vendita: riduzione dell’offerta di riserve bancarie, la curva Rs si sposta a sinistra e il livello di equilibrio di iO aumenta. & R R Quando una Banca centrale effettua operazioni di mercato aperto, il suo bilancio si modifica: se acquista titoli pubblici, aumenterà l'ammontare delle poste relative e il totale dell’attivo; nello stesso tempo, si avrà un aumento di pari importo della base monetaria, in particolare delle riserve delle banche commerciali, e quindi del totale del passivo. Attività Passività Attività interne (AI) Base monetaria (BMs) [= CIRC + R] Titoli pubblici Circolante Prestiti alle banche commerciali Riserve delle banche commerciali Attività estere (AE) Capitale Oro Sub totale Valute estere Profitti 2) Convariazioni del tasso di sconto iS Una diminuzione di iS determina una riduzione del livello di equilibrio del tasso di interesse overnight e un aumento delle riserve delle banche | iS —t RIF(i+O,i-S)LiO 3) Convariazione dell’aliquota di riserva obbligatoria k Se la banca centrale aumenta il livello di k, la curva RD si sposta a destra e il tasso di interesse overnight di equilibrio aumenta t k -t RO -t BMd>ti0 Le banche possono conseguire un più elevato ammontare di depositi, per data base monetaria, attraverso un innalzamento di iD: manovrando il tasso di interesse sui depositi, le banche possono mobilizzare base monetaria. Infatti, un aumento di iD, dal momento che determina una diminuzione della domanda di circolante, tende a ridurre la base monetaria. Ovviamente all’aumentare di iD aumenta l'ammontare di D e, dunque, quello di ROB (proporzionalmente al valore di k, valore dell’aliquota di riserva obbligatoria). Questo tipo di politiche (politiche di raccolta aggressive poste in essere dalle banche) ha riflessi sulla capacità delle banche centrali di controllare la quantità di moneta (ma non sulla loro capacità di controllare i tassi di interesse. LE PROCEDURE OPERATIVE DELLA BCE La BCE gestisce la politica monetaria ricorrendo al c.d. “schema del corridoio”. Questo schema poco si discosta da quello illustrato precedentemente (usato dalla Fed): anche in esso, ingatti, la banca centrale ha come obiettivo operativo il tasso di interesse interbancario overnight. Nello schema del corridoio, tuttavia, la Banca centrale non solo fissa un tasso di interesse sul rifinanziamento (iS, marginal lending facility rate, attualmente allo 0%), ma remunera anche i depositi presso di essa delle banche commerciali (iD, deposit facility rate, attualmente negativo). Il tasso di interesse su questi ultimi costituisce il limite inferiore del corridoio, mentre quello di sconto, iS, ne è il limite superiore: iD < iO < iS R FIG.: Domanda e offerta di riserve BCE (lo schema del “corridoio”) Se iO < iD, esisterebbe una opportunità di arbitraggio: una banca potrebbe prendere a prestito fondi nell’interbancario e depositarli presso la banca centrale. L'esercizio di questa forma di arbitraggio porterebbe in breve tempo il tasso di interesse overnight, iO, a eguagliare quello dei depositi, iD. [processo analogo si avrebbe per iO > iS: la banca si rifinanzia solo tramite rifinanziamento bilaterale al costo iS e presta nell’interbancario al tasso iO > iS = i0] Lo schema adottato dalla BCE consente di assorbire meglio di quello adottato dalla FED eventuali tensioni che possono mamnifestarsi tra la politica monetaria e altri obiettivi. P.e. in corrispondenza di uno shock, un efficiente funzionamento del sistema finanziario può richiedere un aumento dell’offerta di riserve. Ne deriverebbe inevitabilmente uno spostamento a destra della curva RS. Nello schema seguito dalla FED ciò comporta un progressivo allontanamento dal livello di iO obiettivo; per contro, nello schema del corridoio il tasso di interesse overnight non potrebbe scendere al di sotto di iD, ovvero del tasso di interesse dei depositi presso la banca centrale. L’OFFERTA DI RISERVE DELLA BCE Di quanto esposto si può dare una illustrazione grafica: la domanda di prestiti che è rappresentata dalla cruva Ld, mentre la domanda di depositi è rappresentata dalla curva Dd; le curve del ricavo marginale sui prestiti e del costo marginale dei depositi sono rispettivamente decrescenti e crescenti. toi în Costo marginale dei depositi Rendimento marginale dei prestiti stor @@@@!@@@<<@@(@@ LD LD Le banche mirano a massimizzare il profitto e questo obiettivo è conseguito quando esse eguagliano il costo marginale dei depositi e il rendimento marginale dei prestiti al tasso di interesse sull’interbancario, iO. Quest'ultimo rappresenta il rendimento (o il costo) al margine della detenzione di un’attività (di una passività) alternativa ai prestiti (ai depositi). Esso è per la banca esogenamente dato poiché, per ipotesi, nel mercato interbancario prevalgano condizioni di concorrenza perfetta diversamente da quanto accade, come visto, nel mercato dei prestiti e quello dei depositi. La conclusione dello schema illustrato è che il livello dei tassi bancari (iL e iD) è determinato rispettivamente attraverso un mark-up ed un mark-down rispetto al tasso di interesse intebancario overnight (iO): - Il tasso d’interesse sui prestiti ottimo applica un mark-up a i. - Il tasso d’interesse sui depositi ottimo applica un mark-down a i. Il livello del mark-up e livello del mark-down dipendono rispettivamente dalla elasticità della domanda di prestiti e dall’elasticità della domanda di depositi e, dunque, dal grado di concorrenza esistente nei mercati relativi. Il tasso di interesse sui prestiti è determinato indipendente dal tasso di interesse sui depositi. Dal momento che l'ammontare dei depositi è determinato indipendentemente da quello dei prestiti, le attività delle banche diverse dai prestiti vengono a costituire una posta residuale, in cui sono impiegate le risorse eccedenti. Ne segue che il controllo della quantità dei depositi da parte della Banca centrale non comporta il controllo della quantità dei prestiti erogati: le banche, infatti, dispongono di una variabile “cuscinetto”, p.e., i prestiti sull’interbancario o i titoli, cui possono ricorrere per procurarsi risorse aggiuntive. {Lo schema appena illustrato si basa sull’ipotesi che le banche operino in un contesto privo di incertezza, ossia che kibbiano piena coscienza della domanda di depositi e quella di prestiti. ‘ella realtà le banche sono esposte all’incertezza dei flussi di cassa e quindi al rischio di illiquidità. Tale rischio può fssere fronteggiato essenzialente in due modi: - Attraverso la riduzione del fabbisogno di liquidità Il fabbisogno di liquidità può essere ridotto principalmente da fattori come: i) Una conveniente struttura per scadenze di attività e passività: a riguardo, una perfetta coincidenza di scadenza annulla il rischio di illiquidità, tuttavia implica per la banca la rinuncia alla possibilità di creare liquidità aggiuntiva attraverso la trasformazione delle scadenze; ii) La dimensione della banca. - Attraverso il ricorso a strumenti e politiche che consentano di provvedersi la liguidità necessaria La banca può ridurre, anche se non annullare, il suo fabbisogno di liquidità, ricorrendo a politiche gestionali utili a far fronte ad inattese necessità di risorse liquide. Nell'ambito di queste politiche distinguiamo: i) L’asset management (gestione delle attività), il quale consente di detenere tra le attività strumenti facilmente liquidabili sul mercato [1 attività liquide] ii) Il liability management (gestione delle passività), il quale si concreta nella variazione dei tassi sui depositi al fine di indurre ampie modificazioni nella composizione delle attività del pubblico e procurarsi risorse aggiuntive [t depositi] ili) L’asset liability management (gestione integrata delle attività e delle passività) facendo riferimento alle operazioni di cartolarizzazione, attraverso cui le banche cedono a terzi (al mercato) prestiti, i quali diventano in questo modo negoziabili al pari dei titoli. IL RAZIONAMENTO DEL CREDITO Nello schema presentato precedentemente, l’offerta di prestiti è presentata attraverso l'equazione del tasso di interesse iL applicato su di essi: le banche soddisfano del tutto la domanda di fondi che si ha in corrispondenza del tasso di equilibrio. Nella realtà, tuttavia, possono darsi situazioni in cui al tasso vigente parte della domanda di prestiti resta insoddisfatta. Tale situazione prende il nome di razionamento. La domanda di prestiti non viene completamente soddisfatta a causa delle asimmetrie informative; questo è il motivo per il quale le banche dovrebbero razionare permanentemente alcuni clienti. [Razionamento del credito: le banche non aumentano il tasso di interesse perchè se lo facessero resterebbero solo soggetti rischiosi] 0 il i FiG.: Relazione tra rendimento atteso e i, Supponendo che i*L sia il tasso in corrispondenza del quale il rendimento atteso del datore viene massimizzato, la banca non ha convenienza ad applicare un tasso maggiore a i*L. Ci sono due ragioni di base per cui la relazione tra tasso effettivo e rendimento atteso non è monotonica: - L'effetto di selezione avversa (adverse selection, Allorché il tasso di interesse iL aumenta, la composizione della clientela della banca si modifica; più precisamente i clienti meno rischiosi, per i quali il rendimento atteso dei progetti è più basso, abbandonano il mercato. È questo il c.d. lemon's principle sviluppato da Akerlof: in un contesto di informazioni asimmetriche, i clienti con meno rischio reputano il tasso di interesse iL troppo elevato; i progetti di cattiva qualità spazzano via dal mercato quelli di cattiva qualità (ove la qualità si riferisce al rischio di insolvenza), per cui la banca si trova a finanziare progetti più rischiosi. A causa dell’esistenza di asimmetrie informative, la probabilità di insolvenza è dunque è una funzione crescente del tasso applicato sui prestiti e, conseguentemente, il profitto atteso della banca aumenta in modo non monotono rispetto a iL. - L'effetto di incentivo avverso (moral hazard) Allorché il tasso di interesse si eleva, non cambia solamente la struttura della clientela, cambia anche il comportamento della medesima. In particolare, se esistono asimmetrie informative, i prenditori di fondi saranno indotti ad intraprendere progetti più rischiosi. In questo contesto, i datori di fondi potrebbero non avere interesse ad accettare tassi più elevati dalla clientela, dal momento che ciò potrebbe implicare una riduzione dei loro rendimenti attesi (tassi più alti e maggiore rischio, infatti, non necessariamente aumentano il profitto atteso) In ultima analisi, la figura sottostante mostra come può verificarsi il razionamento di equilibrio. Se la curva di domanda di prestiti è LdO, esiste un equilibrio nel mercato dei prestiti in corrispondenza del tasso di interesse iLO; per contro, se la curva di domanda di prestiti è Ld1k domanda e offerta di prestiti non si intersecano. Esisterà allora un equilibrio con razionamento in corrispondenza del tasso di interesse i*L e l'ammontare di domanda di prestiti razionata sarà pari a BC. FiG.: Razionamento del credito I TASSI DI INTERESSE A LUNGO TERMINE Nei paragrafi precedenti si è mostrato come la Banca centrale possa determinare i tassi di mercato monetario e, attraverso questi, influire sul livello dei tassi bancari e, in definitiva, sull’offerta di depositi e prestiti. Quando ci si riferisce a orizzonti temporali via via più lunghi il controllo del livello dei tassi di interesse diventa per le Banche centrali sempre più complesso. Infatti, i tassi di interesse a lungo termine dipendono in via principale dalle scelte di risparmio e investimento dei privati. Essi, pertanto, sono difficili da controllare da parte delle Banche centrali. Ricordiamo come nella teoria delle scelte di portafoglio la domanda di titoli sia normalmente funzione positiva del tasso di interesse e come l’offerta ne sia funzione negativa. Pertanto, domanda e offerta di titoli possono essere rappresentate dalle curve Td e Ts della figura sotto presentata (nella quale i*T costituisce il tasso di interesse di equilibrio di lungo termine). o n T Fic.: Domanda e offerta di titoli di LP I fattori che determinano gli spostamenti della curva di domanda di titoli (Td): Variazioni della ricchezza dei soggetti: a parità di altre condizioni, un aumento della ricchezza, ovvero del volume dei risparmi, determina uno spostamento a destra della Td e, quindi, una diminuzione di i*T. Variazioni del tasso di rendimento atteso dei titoli: se i soggetti si aspettano per il futuro un innalzamento del tasso di interesse, la domanda di titoli a lungo termine, ceteris paribus, diminuisce e la curva Td si sposta a sinistra; il tasso di interesse a lungo termine aumenta. Variazioni del rischio dei titoli: un aumento del grado di rischio dei titoli determina, ceteris paribus, una diminuzione della domanda di essi e, quindi, uno spostamento a sinistra della Td e un conseguente aumento di i*T. Variazioni della liquidità dei titoli: un aumento della liquidità dei titoli determina uno spostamento a destra della Td e, quindi, una diminuzione di i*r. (p.e. i titoli con mercati secondari spessi presentano normalmente tassi di interesse più bassi dei titoli più difficilmente negoziabili). Variazioni del trattamento fiscale dei titoli: un aumento (diminuzione) delle imposte sul rendimento dei titoli determina, ceteris paribus, una diminuzione (aumento) della domanda di titoli, vale a dire uno spostamento a sinistra (a destra) della Td e, quindi, un aumento (una diminuzione) di i*T. I fattori che determinano gli spostamenti della curva di offerta di titoli (Ts): Variazioni della redditività attesa degli investimenti: quanto più elevata è la redditività attesa degli investimenti, tanto maggiore è, ceteris paribus, la propensione delle imprese a chiedere finanziamenti e ad emettere titoli. Nella fase espansica del ciclo reale le opportunità di investimento risultano accresciute; la curva Ts, pertanto, si sposta a destra determinando un innalzamento di i*T. In particolare: - Sela curva è inclinata positivamente, è da ritenere che i soggetti si attendano per il futuro un aumento dei tassi di interesse a breve termine; in particolare, è plausibile che la curva dei rendimenti presenti una inclinazione positiva quando i tassi di interesse a breve termine sono bassi. In questo contesto i soggetti tendono ad aspettarsi che nel futuro i tassi di interesse aumenteranno: ciò in quanto essi si apettano che la politica monetaria espansiva in atto (evidenziata dal basso livello dei tassi di interesse a breve termine) finirà per determinare un’accelerazione del tasso di crescita dei prezzi; - Allorchèi tassi di interesse a breve termine sono elevati e la curva dei rendimenti è inclinata negativamente, è plausibile che i soggetti si attendano per il futuro una diminuzione dei tassi di interesse a breve termine, vale a dire che l'impostazione restrittiva della politica monetaria (segnalata dall’elevato livello dei tassi di interesse a breve termine) determini una decelerazione del tasso di inflazione. LA TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA @ APPROCCIO NEOCLASSICO (AD-AS e Teoria quantitativa) La moneta è una merce tra le altre che esercita la funzione di mezzo di pagamento e di numerario. In questo contesto esiste una assoluta dicotomia tra il settore reale, in cui sulla base dei prezzi relativi dei beni si determina l’allocazione delle risorse, e il settore monetario, in cui viene determinato esclusivamente il livello dei prezzi assoluti. Uno degli aspetti fondamentali di questo schema è costituito dall’accettazione della teoria quantitativa secondo cui la moneta è esogena e neutrale, vale a dire che le sue variazioni non hanno riflessi sul livello dell’output ma solo sul livello dei prezzi. @ INTERPRETAZIONE NEOCLASSICA DI KEYNES- SINTESI NEOCLASSICA (IS-LM) L’interpretazione neoclassica della teoria di Keynes data da Hicks (1937) e Modigliani (1944), nota come “sintesi neoclassica” (schema IS-LM) e divenuta dominante nei libri di testo, variazioni della quantità di moneta determinano variazioni del tasso di interesse e queste si ripercuotono nell’output L’interpretazione neoclassica di Keynes porta alla conclusione che la moneta non è neutrale. (la moneta è sostituto delle attività finanziarie, non è neutrale e la sua domanda condiziona i e l’output). @ Secondoi keynesiano, tuttavia, sono frequenti i casi in cui la politica monetaria è inefficace. @ FRIEDMANELA SCUOLA MONETARISTA DI CHICAGO Negli anni Cinquanta e Sessanta, Friedman e la scuola di Chicago assunsero una posizione nettamente contrastante con la tesi dell’inefficacia della politica monetaria affermando che variazioni della quantità di moneta hanno, comunque, riflessi temporanei sull’output: infatti esse, se non hanno riflessi sul tasso di interesse o se la domanda di investimenti è inelastica al tasso di interesse, determinano variazioni della ricchezza e, attraverso queste, variazioni della domanda aggregata. @ Glischemi fino ad ora considerati si basano sul presupposto che i mercati dei capitali siano perfetti (le passività finanziarie delle imprese sono perfetti sostituti); tuttavia, se i mercati dei capitali sono imperfetti e le passività delle imprese sono sostituti imperfetti, il credito bancario assume un ruolo centrale tra gli strumenti di finanaziamento delle imprese. In questo contesto, come evidenziato dalla credit view, variazioni della propensione delle banche ad erogare prestiti tendono ad esaltare le ripercussioni sull’output di variazioni della moneta e dei tassi di interesse. @ Economia dell’informazione e fluttuazioni dell’output. L'esistenza di asimmetrie informative non influisce soltanto sul comportamento tenuto dalle banche nell’erogazione del credito, ma più in genere sulla possibilità di finanziamento delle imprese. @ IL MODELLO MONETARIO NEOKEYNESIANO Elaborazione di uno schema maggiormente aderente alle modalità con cui viene effettivamente condotta la politica monetaria e con cui questa si trasmette alle variabili reali. APPROCCIO NEOCLASSICO (AD-AS e Teoria quantitativa) Abbiamo 3 mercati: il mercato dei beni reali, il mercato della moneta e il mercato della produzione: » Mercato dei beni » Mercato della produzione y=f(N°) Wi _nsW. NF)=N(F) » Mercato della moneta M=kPy (eq. Cambridge) {y indica l’output in termini reali, I e S rispettivamente l'ammontare degli investimenti e del risparmio in termini nominali, P il livello dei prezzi e r il tasso di interesse reale] Guardando il mercato dei beni: il risparmio in termini reali, S/P, dipende positivamente da r e negativamente dalle scorte monetarie in termini reali, M/P; la domanda di investimenti in termini reali, /P, dipende negativamente dal tasso di interesse reale. Guardando il mercato della produzione: l’output è funzione del lavoro domandato dalle imprese; la domanda e l’offerta di lavoro sono funzione del salario reale (W/P). Data l’ipotesi di perfetta flessibilità dei salari nominali W, e quindi dei salari reali W/P, si suppone che y sia sempre a livello di piena occupazione (equilibrio costante di piena occupazione) AT o mn - La curva AD (di domanda aggregata) rappresenta le combinazioni di livello dei prezzi e di output in corrispondenza delle quali il mercato dei beni e quello della moneta sono in equilibrio; - La curva AS (di offerta aggregata) rappresenta le combinazioni di livello dei prezzi e di output in corrispondenza delle quali il mercato del lavoro e quello della produzione sono in equilibrio. La curva AS neoclassica è verticale in quanto, per questa teoria, quantità di moneta e livello dei prezzi non influiscono sull’output il quale, essendo i salari reali perfettamente flessibili ed essendo data la funzione di produzione, è sempre al livello di piena occupazione. Un aumento della quantità di moneta determina un real balance effect positivo: a seguito dell’aumento della disponibilità di moneta in termini reali, si eleva la ricchezza dei soggetti (M/P), la loro domanda di consumi aumenta e, dunque, la domanda aggregata, la curva AD, si sposta in ADI, mentre il livello dei prezzi sale a P1. A questo livello dei prezzi, il salario reale, dato da WO/P1, è inferiore a quello di equilibrio: si ha così un eccesso di domanda di lavoro, a cui consegue un aumento del salario monetario da WO a W1 al fine di tomare in equilibrio sul mercato del lavoro; W/P torna all’equilibrio di piena occupazione. Dal quadrante (b) della figura emerge come nello schema neoclassico vi sia dicotomia tra il settore reale e il settore monetario: un aumento della quantità di moneta offerta crea effetti esclusivamente sul livello assoluto dei prezzi, non ha cioè effetti né sul livello del reddito di equilibrio (sempre al livello di piena occupazione), né sull’allocazione di questo tra risparmio e consumo. In questo contesto il meccanismo di trasmissione della politica monetaria può essere rappresentato: M?î Ct AD? Pt W/Pi Ndt>Ns Wt_ W/Pt Nello schema neoclassico, variazioni della quantità di moneta non hanno riflessi sull’output (y rimane invariato), ma solo sul livello dei prezzi: la moneta è neutrale. Neutralità della politica monetaria: l'espansione monetaria non aumenta y ma solo P. Nel contesto neoclassico, dunque, la presenza di moneta favorisce il funzionamento dell’economia, ma la sua quantità è irrilevante; la conclusione che la moneta è neutrale è basata sull’ipotesi che la moneta non ha alcuna utilità, per cui si soggetti non hanno alcuna ragione per detenere scorte monetarie inutilizzate. TEORIA QUANTITATIVA Uno degli aspetti fondamentali dello schema neoclassico è costituita dall’accettazione della teoria quantitativa. Secondo tale teoria, variazioni del valore della moneta sono determinate esclusivamente da variazioni della sua quantità. La moneta, allorché diventi abbondante, determina un aumento del livello assoluto dei prezzi dei beni: la moneta, pertanto, perde valore, essendo quest’ultimo espresso dall’inverso dei prezzi (1/P). Questa conclusione è il derivato di un insieme di preposizioni: f) Il postulato di proporzionalità tra prezzi e moneta Il livello assoluto dei prezzi varia nella stessa esatta proporzione delle variazioni della quantità di moneta. Derivazione grafica della curva IS (equilibrio nel mercato dei beni > Mercato dei beni reali w #E 4 &-l RZ LU Investimenti s, —Y(1-b)= b-f S —_ Respzimio investimenti li=# _ lo f Yes 163 |Y è funzione decrescente del tasso d’interesse; con inclinazione pari a - (1- b) / f L’inclinazione é inversamente proporzionale alla propensione al consumo (b): maggiore è b, minore sarà l’inclinazione (1-b) /f; se b — 1 + (1-b) /f — 0 + la curva IS è orizzontale. L’inclinazione è inversamente proporzionale all’ elasticità della domanda di investimenti rispetto al tasso ld’interesse i (f): maggiore è f, minore sarà l’inclinazione 1-b/f; se f= 0 — (1-b)/f — co + la curva IS è verticale. IY aumenta con l'aumentare di Io; per Keynes un aumento inatteso della domanda è essenzialmente determinato] ida un incremento degli investimenti, il quale può essere determinato da un incremento del rendimento o marginale dell’investimento stesso. CURVA LM: raffigura l’equilibrio nel mercato della moneta; rappresenta le combinazioni di tasso di interesse e di output in corrispondenza delle quali si ha equilibrio nel mercato della moneta. Diversamente da quanto accade nel modello neoclassico, nello schema IS-LM la domanda di moneta dipende, oltre che dal reddito corrente, anche dal tasso di interesse. Derivazione grafica della curva LM (equilibrio nel mercato della moneta » Mercato della moneta MS = SM Offerta " Moneta LM Mds (domanda di moneta per motivi speculativi) è funzione negativa di i: se il tasso d’interesse sugli investimenti è basso, l’individuo ha più convenienza a detenere moneta anziché titoli; se i si abbassa sotto il livello critico la domanda di moneta Mds diventa infinita. Y è funzione crescente del tasso d'interesse. Nello sc! \ema IS-L M fe combinazioni dì tasso di interesse e di output in corrispondenza delle quali sì ha equilibrio sia nel mercato dei beni sia in quello della moneta (e per la legge di Walras anche in quello dei titoli) sono determinate dal punto di incontro della curva IS e della curva LM: Da questa figura si evince come una manovra monetaria espansiva, vale a dire uno spostamento a destra della curva LM, da LMo a LM1, determini una diminuzione del tasso di interesse, da io a i1, a cui consegue un’espansione dell’output, da Yo a Y1. Pertanto, il meccanismo di trasmissione nello schema IS-LM è quello di Wicksell Se ora analizziamo il mercato della produzione, notiamo che nella sintesi neoclassica il funzionamento di questo si basa sull’ipotesi di rigidità verso il basso dei salari monetari; questa ipotesi deriva dalla convinzione di Keynes che i lavoratori contrattino i salari monetari/nominali (anziché quelli reali) e non adeguano i propri salari nominali al cambiamento del livello dei prezzi. Il mercato della produzione può essere così presentato sotto il profilo analitico: » Mercato della produzione y=f(N°4) Mettendo a confronto il mercato della produzione del modello neoclassico con quello della Sintesi neoclassica di Keynes, si rileva che l’offerta di lavoro mentre nel primo è funzione del salario reale, nel secondo è funzione del salario monetario esogenamente fissato (W0). Di fatto, quest’ultima equazione esprime l’assunto keynesiano che i lavoratori contrattino il salario monetario e che non accettino riduzioni dei salari monetari neanche in condizioni di non piena occupazione. Stante il fatto che domanda e offerta di lavoro dipendono da variabili diverse, il mercato del lavoro può essere in disequilibrio: l’output dipende, perciò, dalla quantità di lavoro domandata. Nella Sintesi neoclassica la Banca centrale può determinare un aumento dell’output e dell’occupazione, inducendo un aumento del livello dei prezzi: da ciò deriva una diminuzione del salario reale e, dunque, una più elevata domanda di lavoro ed una espansione dell’output. La sequenza causale di questo processo è la seguente: tM+ (ii) t1- tAD- tP (e datocheW) — 1W/P-.t Nd-ty [questa sequenza, si vedrà, è basata sulla spiegazione keynesiana della curva di Phillips tradizionale, ossia dal trade-off tra inflazione e tasso di disoccupazione] Una rappresentazione grafica può aiutare a capire quanto appena esposto: 6 ® e Fi F. 9 7 w N N ll Si supponga che il sistema sia in equilibrio di non piena occupazione, p.e. che l’output sia yo e l'occupazione No. Qualora non vi siano interventi delle Autorità, il sistema può permanere in tale situazione: non esistono cioè meccanismi automatici che ristabiliscano la situazione di piena occupazione. In questo contesto le Autorità possono cercare di conseguire la piena occupazione con una manovra monetaria espansiva, possono cioè accrescere l’offerta di moneta. A seguito di questa manovra, come emerge dalla figura, il tasso di interesse diminuisce, conseguentemente gli investimenti e la domanda aggregata aumentano (p.e. la curva ADo si sposta in AD1). Come risulta dalla figura, a seguito di tale spostamento il livello dei prezzi di equilibrio aumenta passando da Po a P1. AI nuovo livello dei prezzi il tasso di salario reale diminuisce da (W/P0) a (W/P)* (si veda la parte (a) della figura). A causa della riduzione del tasso di salario reale l'occupazione può aumentare da No a N* (parte (d) della figura), vale a dire può portarsi al livello di piena occupazione. A quest’ultimo corrisponde un output pari a y* (parti (b) e (c) della figura). Quanto appena esposto dà ragione del fato che gli economisti keynesiani spessi siano indulgenti verso l’inflazione: in presenza di disoccupazione, l’aumento del livello dei prezzi, nel consentire una diminuzione dei salari reali, favorisce l’assorbimento dello squilibrio nel mercato del lavoro. Per Keynes la curva AS non è verticale: per livelli di occupazione inferiori al pieno impiego è inclinata positivamente. Se y <y*, un aumento della domanda tramite un incremento della propensione al consumo tb comporta un incremento dei prezzi t P, una riduzione del salario reale 1W/P , un incremento della domanda t Nd e quindi un incremento di ty. Sey <y*, un aumento della domanda tramite una riduzione dei tassi d’interesse + i comporta un incremento degli investimenti tI, un incremento dei prezzi tP, una riduzione del salario reale 1 W/P , un incremento della domanda tNd e quindi di incremento di t y I CASI DI INEFFICACIA DELLA POLITICA MONETARIA Grande Depressione: tassi d'interesse prossimi allo zero che non riuscivano ad incentivare gli investimenti e quindi la crescita della domanda. f-—0 elasticità della domanda di investimenti al tasso i è bassa — IS è rigida (verticale). Dunque la politica monetaria risulta inefficace; l'espansione della domanda è stata attivata dalla politica fiscale di crescita della spesa pubblica. Trappola della liquidità: Si supponga che per qualche ragione si verifichi una caduta della domanda di investimenti (e quindi uno spostamento a sinistra della IS); si perviene dunque alla nuova posizione di equilibrio (intersezione tra IS e LM) in corrispondenza del tratto orizzontale di LM. Tale situazione viene definita di trappola della liquidità: al tasso di interesse ro la domanda di moneta è infinita. La curva AD (curva di domanda aggregata), data l’ipotesi di trappole della liquidità, è verticale, non è condizionata dal livello dei prezzi (è perfettamente rigida, inelastica rispetto ai prezzi); viene solo traslata a sinistra riducendo l’output di equilibrio. (+1) —(+y) + irimane uguale — P rimane uguale. Se la domanda di investimenti è inelastica al tasso di interesse, la curva IS risulta verticale e conseguentemente risulta verticale anche la curva AD. [nel lungo periodo la moneta è comunque neutrale, non modifica l’output ma solo i prezzi] DALLA MONEY VIEW ALLA CREDIT VIEW MONEY VIEW Il sistema finanziario costituisce solo un velo dell’economia reale: spostamenti nelle preferenze del pubblico tra depositi bancari e titoli non hanno alcun effetto di natura reale; ciò dipende essenzialmente dal fatto che le diverse forme di finanziamento delle imprese sono perfettamente sostituibili. Nella money view gli effetti di una manovra monetaria (es. restrizione monetaria) si manifestano di due stadi: 1) Nel primo stadio, la Banca centrale riduce la base monetaria, cedendo titoli attraverso operazioni di mercato aperto(+Ms). A seguito della contrazione della base monetaria si determina uno squilibrio tra domanda e offerta di base monetaria (Md > Ms). Tale squilibrio può essere riassorbito solo attraverso un aumento dei tassi di interesse di mercato; in corrispondenza del nuovo tasso di interesse di equilibrio l'ammontare dei depositi diminuisce (in quanto i titoli diventano più competitivi). 2) Nel secondo stadio del meccanismo di trasmissione si ha una differenziazione: i) Nel modello neoclassico è la minore disponibilità dei depositi, e quindi di moneta, a comportare una riduzione della domanda aggregata [1 Md —C + JAD]. ii) Nel modello keynesiano è il più elevato livello dei tassi di interesse che induce i privati a ridurre la spesa: in particolare la domanda di investimenti si riduce a fronte di un più elevato costo del prendere a prestito [ti > LI — JAD]. La money view non riesce però a spiegare gli eccessivi crolli di AD: gli effetti di interventi monetari sulla domanda aggregata sono parsi di dimensioni troppo ampie rispetto all'aumento del tasso di interesse reale. Interviene così un differente schema di trasmissione della politica monetaria. CREDIT VIEW Gli impulsi monetari si propagano, oltre che attraverso variazioni del tasso di interesse, attraverso variazioni del differenziale di costo tra finanziamenti esterni (p prestiti) e finanziamenti interni (i dei titoli) e alla quantità di finanziamenti disponibile. In questo schema i prestiti e i titoli non sono perfetti sostituti. Si è già visto come nella letteratura delle asimmetrie informative le banche godano di un vantaggio comparato rispetto ai datori di fondi privati (o altri intermediari) nell’attenuare i costi, godendo di economie di scala nell’attività di screening e di monitoring dei prenditori di fondi. Dall'altro lato, le banche tendono ad avere conoscenza del comportamento dei prenditori di fondi grazie al fatto che intrattengono con questi relazioni di lungo periodo. Tuttavia, per un impresa il costo del finanziamento esterno risulta inevitabilmente superiore a quello del finanziamento intemo (prestiti e titoli non sono perfetti sostituti). In questo modello esistono tre attività: la moneta, i titoli e i prestiti. Essendo imperfetti sostituti, i prenditori di fondi (datori di fondi) scelgono se ricorrere a (detenere) titoli o prestiti in relazione ai tassi di rendimento su queste passività (attività), rispettivamente i (titoli) e p (prestiti). La domanda di presti » Domanda prestiti è deta dalla seguente equazione: 19 = Lp7,it,Y+) Il bilancio della banca è costituto, sul lato del passivo, da depositi (D) e su quello dell’attivo da riserve (R), titoli (Bd) e prestiti (Ls). Le riserve bancarie sono date dalla somma delle riserve obbligatorie (ROB=Kd) e dalle riserve libere (RL). » Bilancio banca: D(i, Y)= BP + L"+ RO+ RL (e Div) = 84 + Ap, (1 — DL V)— (K+ ali) Y) La struttura dell’attivo delle banche dipende dal tasso di interesse sulle diverse attività, pertanto: > Offerta prestiti L°= Apt, M)(1- MD > Riserve libere RL= gli it)(1- K)O = g(i7)(1- K)D Determiniamo ora l'ammontare dell’attivo, ossia l'ammontare dei depositi Se si ipotizza che la moneta sia rappresentata dai depositi, la domanda di moneta è data da: » Depositi Banca D_D(I:Y)_ (Md) Assumendo che gli usi della base monetaria siano rappresentati esclusivamente dalle riserve bancarie, l’equilibrio nel mercato della moneta, ovvero la curva LM, può essere così espressa: » Equilibrio mercato moneta: BM=R=D=M R- DI YI — g(iis)) » Curva LM: Dii.v)= R Sostituendo: » Mercato dei prestiti 1°=L(p.i,Y)=Mp.i(1- DG Y)= 1" {11} 15= L(p.i,Y) = Ap, i)(1- k)Am(i) (12) + p- pli,Y,R) (19) » Curva IS (combinazioni di Y e ? dove mercato dei beni è in equilibrio) Y_ Vip) — Yi, pli, VR) (14) L’equazione della IS mostra che l’output dipende, oltre che dal tasso di interesse sui titoli, dal tasso di rendimento atteso sui prestiti bancari (p). Il livello di quest’ultimo, infatti, incide sulla propensione delle banche ad erogare prestiti. Tale propensione, dunque, varia in relazione a cambiamenti delle condizioni del mercato monetario e finanziario e dei bilanci di banche e imprese. p è il rendimento atteso del prestito e rappresenta gli effetti delle asimmetrie informative che possono causare moral hazard e selezione avversa; p sconta le perdite attese sui prestiti; il differenziale tra p e i rappresenta il premio al rischio pagato alla banca per l'erogazione di credito. FiG.: Equilibrio Mercato dei prestiti SL e DL indicano rispettivamente l'offerta e la domanda di prestiti bancari. Per un fabbisogno finanziario fino a F l’impresa può ricorrere a risorse interne e sostenere un costo opportunità pari a rio. Data l’esistenza di asimmetrie informative e costi di agenzia, la banca non può erogare finanziamenti al tasso di interesse ru; è costretta, anzi, ad applicare a questo tasso di interesse un premio. Questo premio tende ad elevarsi in corrispondenza dell’aumento della quota di finanziamento esterno sul totale delle risorse dell’impresa, vale a dire in corrispondenza di un aumento dell’incentivo di quest'ultima a intraprendere progetti rischiosi e, dunque, della probabilità della sua insolvenza. Ciò spiega l’inclinazione positiva, nel tratto F, della curva SL. In equilibrio, ossia nel punto di incontro tra la curva SL e la curva DL, il valore del premio è dato da r.L0 - rio È presumibile che questo differenziale aumenti all’aumentare del tasso di interesse di mercato (graficamente aumenta l’inclinazione del tratto finale della curva SL). L'aumento del premio rispecchia un innalzamento della probabilità di insolvenza del prenditore di fondi e può essere associato agli shock che un incremento del tasso di interesse di mercato può avere o sul bilancio dei datori di fondi (le banche) o sul bilancio dei prenditori di fondi (le imprese). I cambiamenti del differenziale tra tasso di interesse sui prestiti e tasso di interesse di mercato dipendono da due canali: - IL banklending channel Il bank lending channel è legato al fatto che, in corrispondenza di un aumento dei tassi sui titoli, le banche possono trovarsi impossibilitate a ritoccare nella stessa misura il tasso di interesse sui depositi. Ciò può accadere, p.e., se l'aliquota di riserva obbligatoria, k, è elevata, ed è, quindi, elevato il suo impatto negativo sulla redditività dell’attivo. In questo caso la domanda di depositi diminuisce. Le banche, contraendosi la provvista, riducono l’offerta di prestiti. Conseguentemente il differenziale tra il tasso di interesse sui prestiti e quello sui titoli si amplia: si ha, cioè, quello che viene chiamato un credit crunch, una contrazione dell’offerta di credito. La cartolarizzazione rappresenta un tentativo di limitare gli effetti del meccanismo di trasmissione: le banche impacchettavano e rivendevano come titoli i prestiti, ottenendo liquidità aggiuntiva diversa dalla vendita di titoli o depositi soggetti a obbligo di riserve. Le banche permettevano così alle imprese di finanziarsi tramite il 3) Nel modello IS-LM/AS-AD si fa riferimento a variazioni del livello dei prezzi, non a variazioni del tasso di inflazioni (diversi tra loro). Una caduta imprevista della domanda aggregata determina un rallentamento del tasso di inflazione (non una riduzione del livello dei prezzi, ossia deflazione). Rimane peraltro irrisolto il processo di aggiustamento imperfetto di salari e prezzi e la loro rigidità. A tale proposito, i keynesiani spiegano tale rigidità distinguendo tra: - Rigidità nominali: inerzia al cambiamento delle variabili nominali dell'economia (es. costo sostenuto per cambiare il prezzo nominale di un bene, menu cost); - Rigidità reali: le imperfezioni nel funzionamento dei mercati fanno sì che in alcuni di essi, in primis il mercato del lavoro, gli aggiustamenti a shock avvengano, almeno in parte, sul lato della quantità anziché dei prezzi. Così, con riferimento al mercato del lavoro, il salario è qualcosa di diverso da un prezzo che porta in equilibrio domanda e offerta (teoria dei contratti impliciti); esso infatti incorpora una assicurazione data dall’impresa al lavoratore (inglobando pensione e assicurazione sanitaria). Analogamente, la teoria dei salari di efficienza spiega che il salario è superiore al livello di piena occupazione, perché incide sulla produttività dei lavoratori. Teorie del tipo appena accennato consentono di spiegare la disoccupazione: le rigidità reali spiegano una situazione di equilibrio di lungo periodo in cui esistono squilibri tra domanda e offerta; nel lungo periodo la politica monetaria non altera la strutturale presenza Ns > Nd — disoccupazione. È invece l’esistenza delle rigidità nominali di prezzi e salari che fa sì che variazioni del tasso di interesse nominale, e quindi cambiamenti dell’impostazione della politica monetaria, abbiano riflessi sulle variabili reali. IL MODELLO MONETARIO NEOKEYNESIANO A tale scopo gli economisti delle Nuova Macroeconomia Keynesiana (NMK) danno una spiegazione di tali rigidità assumendo che esse derivino dal comportamento massimizzante di famiglie e imprese con aspettative razionali. In questi modelli si enfatizzano le scelte intertemporali dei soggetti. Il fatto che le scelte di questi ultimi dipendano dalle loro aspettative sul futuro, rendono questi modelli dinamici: le attese dei soggetti influiscono, infatti, sulle scelte correnti. Vediamo lo schema monetario neokeynesiano, oggi ampiamente condiviso, il quale si basa su tre blocchi: 1) Equazione che esprime la curva IS fr con yt-y* che indica l’output gap, ovvero lo scostamento dell’output dal suo livello naturale, mentre u coglie gli shock esogeni. L'effetto negativo del tasso di interesse reale atteso riflette le scelte intertemporali dei consumatori: un aumento di esso riduce la domanda di beni di consumo al tempo t; per questo motivo la curva IS è in questo caso inclinata negativamente. A differenza del tradizionale approccio keynesiano, l'aumento di rt comporta una riduzione della domanda aggregata per effetto delle scelte intertemporali delle famiglie di aumentare il risparmio e posticipare il consumo (e non per una riduzione degli investimenti). 2) Equazione che rappresenta la curva di Phillips (PC) con aspettative sui prezzi al tempo t+1 Si può ipotizzare che il tasso di interesse aumenti quando l’output gap è positivo e si è in presenza di un aumento delle aspettative di inflazione: Tm = + SE(T) +w L’equazione coglie il fatto che le imprese operanti in un mercato monopolistico e aggiustano i prezzi in modo scaglionato, nel tempo discreto. Le imprese fissano il prezzo con un mark-up sul costo marginale; tale prezzo resta in vigore per più periodi. Pertanto, le imprese, quando determinano il prezzo, proponendosi di massimizzare il profitto, devono inevitabilmente tenere conto dell’evoluzione attesa del costo marginale e del prezzo. Graficamente l’equazione può essere rappresentata da una curva crescente come la semiretta PC. La corrispondente curva AS è dunque sempre crescente. 3) Equazione che rappresenta la politica monetaria (MP Vediamo le modalità con cui è condotta la politica monetaria. Tali modalità possono essere derivate dalla massimizzazione dell’utilità della banca centrale nell’ipotesi che essa miri a minimizzare lo scostamento dell’inflazione effettiva da suo obiettivo. re = bar + Vi dove Tit è il tasso di inflazione al tempo t, e b è maggiore di 1. L’equazione riflette il comportamento attuale delle Banche centrali, preoccupate principalmente di conseguire la stabilità dei prezzi. Quando il tasso di inflazione si alza, la banca centrale eleva il tasso di interesse reale. Nel modello in esame la Banca centrale conduce la politica monetaria variando il livello del tasso di interesse anziché la quantità di moneta (come invece avviene nello schema IS-LM). Conseguentemente la LM non dipende da y, è piatta. Il modello neokeynesiano il significato della relazione tra livello dei prezzi e output colta dalle curve AD e AS è diversa rispetto a quella basata sullo schema IS-LM. In particolare: - La curva AS ha andamento crescente: un aumento dell’output determina un aumento del costo marginale; le imprese possono proteggere i loro margini di profitto alzando i prezzi. Quanto meno ampia è la frazione di imprese che adeguano immediatamente i prezzi, tanto più bassa è l’inclinazione della curva AS. In questo caso, variazioni dell’attività produttiva hanno scarsi riflessi sul livello generale dei prezzi. - La curva AD è basata su principi diversi: la curva LM è piatta e, in secondo luogo, la domanda aggregata deriva dalle decisioni delle famiglie basate sulla massimizzazione intertemporale della loro utilità. Quando i prezzi si alzano, il tasso di interesse reale aumenta: conseguentemente le famiglie aumentano il risparmio e pospongono il consumo. Ne segue che all'aumentare del livello dei prezzi la domanda aggregata si riduce, come rappresentato dalla curva AD. [t mt- trt-+C+tS-1(-y")] È ’ SCHEMA MONETARIO NEOKEYNESIANO Analizziamo ora gli effetti della politica monetaria in presenza di uno shock negativo sulla domanda aggregata. Tale shock è visualizzato attraverso uno spostamento a sinistra della curva IS: A seguito della caduta della domanda aggregata il tasso di inflazione scende ad un livello inferiore di quello obiettivo perseguito dalla Banca centrale. Se la Banca centrale riduce il tasso d'interesse reale, l’output viene ricondotto al suo valore iniziale e il tasso di inflazione al livello obiettivo della Banca centrale. [ut <0 + IS verso sx+ | (y—y*) + + rit e allora la Banca centrale: Lit > t (y-y*)=0] Analizziamo ora gli effetti della politica monetaria in presenza di uno shock negativo sull’offerta aggregata. Tale shock è visualizzato attraverso uno spostamento a sinistra della curva PC: Ahi A seguito dello spostamento della curva PC, il tasso di inflazione sale al di sopra del valore obiettivo. La banca centrale può allora decidere di elevare il tasso di interesse nominale e il tasso di interesse reale in modo da stabilizzare il tasso di inflazione. In questo caso r aumenta e l'output diminuisce: si ha cioè un output gap negativo. [wt < 0 — AS(PM) verso sinistra + t re allora la Banca centrale: t rt > 1 (y-y*)] NB! La Banca centrale può ovviamente porsi, oltre che un obiettivo di inflazione, un obiettivo di output e quindi scegliere un livello di tasso di interesse che non faccia ritornare ai livelli di inflazione precedenti al fine di evitare l’eccessiva contrazione di y. Criticità del modello neokeynesiano: - Manca il rischio di insolvenza e la possibilità di default dei debitori; gli agenti del modello non fanno mai fallimento e ciò rende gli agenti assolutamente affidabili; vi è dunque un solo tasso di interesse privo di rischio, applicabile a tutti gli agenti. - Preservare il ruolo della moneta ormai implica non solo garantire la stabilità dei prezzi ma anche la stabilità finanziaria. Questo aspetto, dato che i debitori del modello sono sempre in grado di ripagare il debito, il modello non spiega fenomeni di razionamento del credito o credit crunch. MONETA, PREZZI E LIVELLO DELL’OUTPUT - GOLD-STANDARD A partire dagli anni Ottanta, diversi studiosi individuarono nel sistema monetario del tempo, il gold-exchange standard, in vigore tra il 1925 e il 1931, la causa principale della severità della Grande Depressione e della sua diffusione internazionale. A fine anni Venti, a seguito della diminuita fiducia della convertibilità della sterlina, e quindi nella stabilità del sistema del gold-standardi di cui la valuta britannica era una delle due valute chiave, la gran parte dei Paesi aumentò significativamente il peso dell’oro nelle proprie riserve valutarie. Ciò implicò una diminuzione del moltiplicatore monetario internazionale e, essendo l’oro assimilabile alla base monetaria intemazionale, della quantità di moneta intemazionale. Graficamente abbiamo uno spostamento a sinistra della LM. LE CAUSE DELL’INFLAZIONE Nel dibattito delle cause ultime dell’inflazione si tende a distringuere tra inflazione da domanda e inflazione da costi. L’INFLAZIONE DA DOMANDA è rinconducibile ad uno shock positivo sulla domanda aggregata (eccesso di domanda aggregata rispetto all'offerta), p.e. dovuto ad un aumento inatteso delle esportazioni. Lo shock in questione, nel determinare uno spostamento a destra della curva di domanda aggregata (AD) determina una situazione squilibrio in cui c’è un tendenziale aumento del livello dei prezzi. A quest’ultimo consegue inevitabilmente ‘un aumento dei salari e, dunque, la curva AS si sposta verso sinistra: il sistema torna ad una situazione di equilibrio in corrispondenza del reddito di piena occupazione e di un livello dei prezzi più elevato. [Inflazione da domanda: shock positivo sulla domanda — AD verso destra —tP > ty>y* Se i salari sono flessibili tP - tW -— AS verso sinistra tP — ty = y*. Nel lungo periodo aumentano P ma y = y*] La teoria dell’inflazione da domanda prescrive misure volte a ridurre la domanda aggregata (Y1), come, ad esempio, una diminuzione dell’offerta di moneta o un innalzamento delle imposte; ciò determinerebbe infatti un ulteriore aumento di AD che contrasta gli effetti dello spostamento a sinistra di AS. Dell’inflazione da domanda possono darsi diverse spiegazioni: - I monetaristi (Friedman) sono indotti a ritenere che un aumento della domanda aggregata sia sempre riconducibile ad un aumento dell’offerta di moneta. » E' l'incremento di M che causa l'aumento di P AD:y= Se la situazione iniziale era di equilibrio, all'aumento di y corrisponde un eccesso di domanda aggregata a cui consegue una crescita del livello dei prezzi, ovvero inflazione. Quest'ultima è causata dal fatto che i cittadini hanno una capacità di spesa in eccesso rispetto alla capacità produttive del Paese (Real Balance effect). Muovendo da questo assunto i monetaristi individuano nei disavanzi pubblici finanziati tramite emissioni di nuova moneta la principale causa dell’inflazione. - Percontro, Keynes ritiene che le ragioni ultime di un eccesso di domanda aggregata stiano in un aumento dell’efficienza marginale del capitale e in una crescita inattesa degli investimenti privati: » Curva 15 x Ù 1-6 1-b Un aumento dell’efficienza marginale del capitale, colto da un aumento di Io e quindi da uno spostamento a destra della IS, determina inevitabilmente un eccesso di domanda aggregata rispetto all’offerta aggregata. A ciò segue un aumento del livello dei prezzi. ya L’INFLAZIONE DA COSTI. Si supponga ora che rispetto ad una situazione iniziale di equilibrio, si verifichi uno shock negativo sull’offerta aggregata, ad esempio legato ad un aumento dei salari nominali: un aumento di W determina, a parità di P, una diminuzione di y; a livello grafico ciò è rappresentabile attraverso uno spostamento a sinistra della curva AS; a tale spostamento corrisponde una contrazione dell’output e un aumento del livello dei prezzi [- tW/P + Nd -4y=f(Nd)<y*_ spostamento a sinistra della AS] - In presenza di mercati concorrenziali l'eccesso di offerta aggregata rispetto alla domanda tende a determinare ‘una diminuzione di salari e prezzi. Conseguentemente la curva AS torna nella sua posizione iniziale e l'output al livello di piena occupazione [Mercati concorrenziali, salari nominali flessibili e ritorna l'equilibrio nel mercato del lavoro: LW — {W/P > tNd= Ns — ty = f (Nd) =y*] - In presenza di mercati imperfettamente concorrenziali e, dunque, di prezzi e salari rigidi verso il basso, affinchè l’output ritorni al suo livello iniziale si rende necessaria una politica economica espansiva. In particolare, un’espansione dell’offerta di moneta e una riduzione dei tassi di mercato possono favorire uno spostamento della AD verso destra: l’equilibrio finale è raggiunto in corrispondenza di un ulteriore aumento del livello dei prezzi. [àM — AD verso destra — ty — tP] Spirale salari-prezzi in un contesto non perfettamente concorrenziale allorchè l'economia si avvicina alla piena occupazione, l’esercito di riserva dei disoccupati si riduce; conseguentemente la forza contrattuale dei lavoratori si eleva e i salari aumentano. Dato che in una economia contraddistinta da concorrenza imperfetta le imprese fissano i prezzi secondo un meccanismo di mark-up sui costi diretti (in particolare sul costo del lavoro), all’aumento dei salari nominali segue un aumento dei prezzi (al fine di preservare il mark-up). Quando ciò accade, i lavoratori si accorgono che il loro salario reale è rimasto invariato e, dunque, contrattano un nuovo aumento del salario nominale, a cui consegue un ulteriore aumento dei prezzi. Tale spirale è possibile a causa del comportamento accomodante delle Banca centrale che, tramite una politica economica espansiva, vuole ripristinare l’equilibrio. Aspettative che si autorealizzano: l'aumento dei prezzi, conferma le aspettative di apprezzamento; le famiglie e imprese, poiché si riduce la convenienza attesa a detenere moneta, si liberano di moneta in favore di beni reali con conseguente aumento dei loro prezzi. L’INFLAZIONE DEGLI ANNI SETTANTA Nei due decenni successivi alla Seconda Guerra mondiale i paesi industrializzati hanno sperimentato un lungo periodo di stabilità dei prezzi. Tuttavia, a partire dal periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, gran parte di questi Paesi è stata afflitta da quella che è considerata la più grande inflazione in tempo di pace mai verificatasi. A questa si danno diverse spiegazioni: Db 2) SHOCK ESOGENO NEGATIVO SULL’OFFERTA (INFLAZIONE DA COSTI) Una prima interpretazione riconduce l'accelerazione della crescita dei prezzi degli anni Settanta a shock esogeni, in particolare all’aumento del prezzo del petrolio deciso dall’OPEC a seguito della guerra dello Yom Kippur. In sostanza, la Grande Inflazione sarebbe un caso di inflazione dei costi. Questa spiegazione non spiega però né il perché il tasso di inflazione si sia mantenuto in alcuni Paesi per lungo tempi su livelli elevati né perché l’accelerazione inflazionistica non abbia interessato alcuni paesi industrializzati, in particolare Germania e Svizzera. POLITICHE MONETARIE BASATE SU MODELLI ERRATI (LA CURVA DI PHILLIPS) Una seconda interpretazione riconduce l’anomala inflazione degli anni Settanta al fatto che le Autorità della gran parte dei Paesi industrializzati, nella conduzione della politica monetaria, si basassero sulla Curva di Phillips tradizionale, si attenessero cioè ad un modello economico rivelatosi poi sbagliato. Secondo questa interpretazione i policymaker di quel tempo non avevano chiaro il fatto che variazioni della quantità di moneta hanno riflessi sulle variabili reali solo nel breve periodo. A questa spiegazione è stato obiettato che in realtà i banchieri centrali avevano chiaro che la creazione di moneta in eccesso si rifletteva solo sul livello dei prezzi e, tuttavia, perseguivano politiche monetarie inflazionistiche. Questo perché, dopo il 1973, l’inflazione attesa dei privati sarebbe aumentata considerevolmente, pertanto, le Banche centrali sarebbero state costrette ad accomodare con politiche monetarie largamente espansive queste aspettative. In caso contrario, l'output sarebbe diminuito in modo pronunciato e conseguentemente sarebbe aumentata in modo marcato la disoccupazione. LA SINTESI NEOCLASSICA DI KEYNES E LA CURVA DI PHILLIPS TRADIZIONALE Studio dei riflessi della politica monetaria sull’output: - TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA i) Aumenti dell’offerta di moneta determinano esclusivamente aumenti proporzionali dei prezzi; ii) Dicotomia tra settore reale (il cui equilibrio è determinato soltanto da fattori reali) e settore monetario (che non aveva riflessi se non sul livello dei prezzi assoluti); ili) Dati shock negativi sull'offerta, salari flessibili ripristinano l'equilibrio di pieno impiego. - SINTESI NEOCLASSICA DI KEYNES Keynes sosteneva che il meccanismo di mercato non era in grado di ricondurre all’equilibrio di piena occupazione: se ci sono aspettative che la domanda non aumenti, una riduzione del salario reale dovuto ad un incremento dei prezzi da solo non basta ad incrementare l'occupazione e ripristinare il pieno impiego. {In particolare: y è dato dalla domanda di lavoro, che dipende dai livelli produttivi definiti dai capitalisti in base alle aspettative sul consumo; se i capitalisti non si attendono una crescita dei consumi per loro è del tutto irrilevante l’aumentata convenienza dei salari reali. Non sono dunque i salari reali che determinano i livelli produttivi, ma l'inverso]. Egli invocava, perciò, l'avvio da parte del governo di politiche di deficit spending per stimolare la domanda aggregata, la quale, tramite il moltiplicatore, incrementa in misura più che proporzionale y. La teoria di Keynes trova la sua sistemazione formale nella Sintesi Neoclassica. Si pone l’ipotesi che i prezzi non si aggiustano se non lentamente agli squilibri tra domanda e offerta. Poiché anche il salario si aggiusta lentamente, nel mercato del lavoro può determinarsi una situazione di squilibrio tra domanda e offerta e, quindi, disoccupazione. La Sintesi Neoclassica, che trova espressione nel modello IS-LM, implica il rifiuto della dicotomia classica: siccome i salari si aggiustano lentamente al livello di equilibrio, variazioni dell’offerta di moneta possono avere ampi effetti sulle variabili reali quali l'output e l'occupazione. Questa conclusione è basata su due ipotesi: i) Ipotesi neoclassica per cui domanda e offerta di lavoro siano rispettivamente funzione inversa e funzione diretta del salario reale; ii) I salari monetari siano più rigidi dei prezzi dei beni. Date queste ipotesi: Curva di Phillips tradizionale Un aumento della quantità di moneta, dal momento che comporta un aumento del livello dei prezzi, favorisce ‘una diminuzione dei salari reali; a quest’ultima consegue un aumento dell’output e dell’occupazione. Dati salari nominali rigidi: Se tM —tP — 1W/P + tNd > Ns + yt + 4u (tasso di disoccupazione) Relazione inversa tra tasso di inflazione e tasso di disoccupazione [mt = f (u-)] documentata empiricamente da Phillips (in uno studio relativo all'economia inglese nel periodo 1861-1957). curva di Phillips Sull’asse verticale il tasso di variazione percentuale del salario monetario Sull’asse orizzontale il tasso di disoccupazione Nell'ambito dell’approccio keynesiano la curva di Phillips assume il rango di uno strumento di policy. Infatti, in questo ambito il trade-off tra inflazione e disoccupazione viene spiegato alla luce dell’ipotesi della rigitdità verso il basso dei salari monetari. Un eccesso di domanda aggregata determina un aumento dei prezzi. La riduzione dei salari reali che ne consegue induce un aumento della domanda di lavoro, e, quindi, dell’output. Si ha cioè: tM + tAD4tP_1W/P.tNd-yt4iu Il meccanismo appena descritto può essere preso a riferimento dai policymaker per contrastare fasi cicliche recessive. SCELTA DELLA POLITICA ECONOMICA OTTIMA Le Autorità possono stabilire quale sia il livello di disoccupazione associato ad un dato tasso di inflazione. [Trade off: l’aumento/riduzione dei prezzi comporta una riduzione/aumento della disoccupazione] Posto che l’inflazione e la disoccupazione comportano costi sociali, è possibile costruire delle curve di disuti che rappresentano diverse combinazioni delle due variabili cui è associato un dato livello di disutilità. Le Autorità scelgono il menù inflazione-disoccupazione che consente di minimizzare i costi sociali. Dunque Problema di minimizzazione: - Curva di disutilità: combinazioni di x e u che comportano la medesima perdita di benessere sociale - Vincolo di bilancio: Curva di Phillips Lo stato deve scegliere la combinazione (x, u) che minimizza la disutilità sociale dato il vincolo della curva di Phillips. sociale Figura 7.9 - Curve di disutilità sociale e curva di Phillips. L’equilibrio dipende dall’inclinazione delle curve di disutilità ossia quanto peso lo stato attribuisce a te u. Generalmente si ritiene che i governi di matrice ideologica “progressista” siano meno preoccupati del tasso di inflazione e più attenti al tasso di disoccupazione di quanto siano i governi di matrice ideologica “conservatrice”. d Ì curva di Phillips curve di disutilità sociale dei progressisti curve di disutilità sociale dei 0 Mm Mi Ù Figura 7.10 - Curve di disutilità sociale di progressisti e conservatori. Tra la fine degli anni Sessanta e nel corso degli anni Settanta il consenso verso la Sintesi Neoclassica andò incrinandosi: la Grande Inflazione degli anni Settanta suscitò nei policy makers crescenti dubbi sulla validità dei modelli macroeconomici keynesiani nelle scelte di politica economica e, contestualmente, la Sintesi Neoclassica di Keynes fu oggetto di profonde critiche di natura teorica. LA CURVA DI PHILLIPS AUMENTATA DELLE ASPETTATIVE Le principali critiche alla curva di Phillips vennero prima dai monetaristi e poi dai seguaci dell'approccio delle aspettative razionali. Dalla fine degli anni Sessanta, infatti, comincia ad affermarsi la tesi dei monetaristi (Friedman) secondo cui la preposizione della neutralità della moneta, e quindi della dicotomia tra settore reale e settore monetario nel lungo periodo è sicuramente valida: ciò stava a significare che in equilibrio ad un dato aumento della quantità di moneta doveva corrispondere un aumento proporzionale del livello dei prezzi. Dunque, essi sostenevano che uno stimolo di natura pubblica (politiche fiscali attive o politiche monetarie accomodanti) avrebbero avuto solo effetti transitori: nel lungo periodo, esse avrebbero prodotto solo situazioni inflazionistiche senza aumentare l’output. Questa posizione derivava ai monetaristi dalla convinzione che le aspettative rivestono un ruolo molto importante nel comportamento dei soggetti economici: in corrispondenza di politiche attive del governo gli individui aggiusterebbero le aspettative annullando di fatto gli effetti delle stesse politiche. La più importante applicazione di questa idea è rappresentata dall’affermazione di Friedman secondo cui la curva di Phillips è del tutto instabile. Alla base di questa conclusione stava, da un lato, la convinzione che, diversamente da quanto implicito nella curva di Phillips tradizionale, ma in accordo con l’ipotesi di perfetta razionalità dei soggetti, domanda e offerta di lavoro dipendessero dal salario reale e non dal salario monetario. Sulla base di queste premesse, Friedman pervenne alla conclusione che l'inflazione effettiva dipende, oltre che dal tasso di disoccupazione (più precisamente, vedremo, dallo scostamento del tasso di disoccupazione effettivo da quello naturale), dal tasso di inflazione atteso. Nella relazione tra inflazione e tasso di disoccupazione, quindi, devono essere inserite le aspettative (sull’inflazione). Nella prospettiva appena delineata la curva di Phillips risulta profondamente trasformata: si ha cioè la Curva di Phillips aumentata delle aspettative. [nel lungo periodo non c’è correlazione tra inflazione e disoccupazione (la curva di Phillips tradizionale è verticale)] Tre sono gli aspetti innovativi di questa versione della curva di Phillips: 1) Cambiala variabile che indica l’eccesso di domanda: mentre nella curva di Phillips tradizionale questa è rappresentata dall’inverso del tasso di disoccupazione, nella riformulazione della curva di Phillips è definita come lo scostamento tra il tasso naturale di disoccupazione e quello effettivo (un-U). Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di equilibrio del mercato del lavoro, indipendente dal tasso di inflazione (è esogeno) in quanto determinato da fattori strutturali (frizioni e imperfezioni di mercato, informazioni sulle opportunità di lavoro, costi di mobilità del lavoro) e in quanto tale non può essere modificato dalle politiche di domanda. 2) Come già detto, si introduce l’inflazione attesa nella curva di Phillips: T= a(Un—u)+E(m) Da qui vediamo che il coefficiente dell’inflazione è unitario. Ciò significa che: i) Le aspettative sui prezzi sono pienamente incorporate nella variazione effettiva dei prezzi; ii) Assoluta assenza di un trade-off tra inflazione e disoccupazione nell’equilibrio di lungo periodo (vedremo meglio questo ultimo aspetto in seguito). 3) Inultima analisi, vediamo l’introduzione di un meccanismo di formazione delle aspettative. Si pone l’ipotesi che tale meccanismo sia di error-learning, il che comporta aspettative di tipo adattivo. Sulla base di questo meccanismo le aspettative sono adattate per una frazione dell’errore di previsione commesso nei periodi precedenti (7t-1 -.E(7:-1) ; se si fa riferimento ad un solo periodo di ritardo: E(me) = Elma) +01-2- Ea) La seconda ondata di critiche alla Sintesi neoclassica è venuta nel corso degli anni Settanta, dall'approccio delle aspettative razionali e dai suoi esponenti, in primis Lucas e Sargent. Questi economisti hanno focalizzato la loro attenzione sulle modalità con cui i soggetti economici formano le loro aspettative. L’APPROCCIO DELLE ASPETTATIVE RAZIONALI E LA CURVA DI PHILLIPS VERTICALE Coloro che poi denominarono la loro teoria Nuova Macroeconomia Classica (NMC), nel porre l’attenzione sulle modalità con cui i soggetti economici formano le loro aspettative, arrivarono alla conclusione che in questo processo gli individui non si basano solo sull'esperienza passata, bensì su tutte le informazioni a disposizione. Partendo dall’ipotesi delle aspettative razionali (gli agenti, basandosi su tutte le informazioni disponibili oltre che all’esperienza passata, sono in grado di prevedere perfettamente l'inflazione) e data l’ipotesi di mercati perfettamente concorrenziali e quella di mercati sempre puliti (dove sono assenti frizioni e i prezzi sono completamente flessibili), questa metodologia porta a ritenere che variazioni della spesa aggregata hanno riflessi sull’output solo se determinano ‘una struttuta dei prezzi diversa da quella attesa. Le politiche monetarie non possono avere una gestione attiva della domanda aggregata poich’e i prezzi effettivi sono sempre uguali a quelli attesi. Nel monetarismo, come si è visto, si ritiene che nel lungo periodo la moneta sia neutrale (non abbia cioè effetti sulle variabili reali) e che la curva di Phillips sia verticale; tuttavia non si esclude che variazioni della quantità di moneta possano ripercuotersi nel breve periodo sul livello dell’output reale. Per contro, nell’approccio delle aspettative razionali, ciò viene categoricamente escluso. Infatti, poiché i soggetti tendono a sfruttare tutta l'informazione disponibile, i loro errori di previsione possono derivare in linea di principio solo da shock casuali dell’economia (possono darsi situazioni di informazione incompleta e limitata dei soggetti indotti da errori di previsione, p.e. nei casi di avvento di nuovi regimi politici, mutamenti della struttura economica). Tuttavia, questa situazione non è destinanta a durare, dal momento che i soggetti apprendono rapidamente e incorporano le nuove informazioni nelle loro previsioni. In questo contesto, misure di politica economica sistematiche (misure che possono essere dedotte dai soggetti dal comportamento passato delle Autorità, vale a dire dalla loro funzione di reazione), e quindi attese, non possono influenzare le variabili reali, come il tasso di disoccupazione, neanche nel breve periodo: la moneta è, cioè, superneutrale. Pertanto, anche la curva di Phillips di breve periodo è verticale. d Quanto appena esposto può essere evidenziato in un modello composto da tre blocchi: - La domanda aggregata (AD), funzione negativa del livello dei prezzi: yi=a-B(p) - Equazione che rappresenta le modalità di conduzione della politica monetaria: la posizione della curva di domanda dipende dalla politica monetaria; quest’ultima può essere incorporata nell’equazione precedente aggiungendo la variabile mi, che rappresenta l’offerta di moneta al tempot AD :ye = ame — Bpr Con m che è sotto il controllo della banca centrale (base monetaria gestita da quest’ultima): la banca centrale può elevare il livello di y innalzando m. - L’offerta aggregata (AS) AS =y"+d(p.— Ep) +e da questa equazione emerge che, per date aspettative di prezzo, c’è una relazione positiva tra output e prezzi. Se le aspettative di prezzo sono realizzate (p:= Et1pi), si ha yi= y*. utindica una variabile casuale che indica variazioni stocastiche dell’offerta. Attraverso il modello appena delineato possiamo analizzare l’impatto sui prezzi e sull’output di variazioni di m. Allo scopo di ottenere il livello di equilibrio dei prezzi si eguagliano domanda e offerta aggregata: AD— am. — Bp.— y* +5(p.— E(p.))+ e — AS innalzamento del livello atteso dei prezzi. Tenendo conto di ciò: b(m; — E(m.)) +86; 345 _ta(Lome — SE(me)) — 0(1+9)y° + Peo n B+ Dall’equazione emerge con chiarezza che l’output può scostarsi dal suo livello naturale esclusivamente per due ragioni: - per variazioni stocastiche dell’offerta aggregata (ut) - per scostamenti della quantità di moneta offerta dal valore atteso, vale a dire per variazioni inattese di mt. IMPLICAZIONI DI POLITICA ECONOMICA Pertanto, la Banca centrale, se vuole determinare variazioni dell’output, deve agire in modo imprevedibile o cambiare l’impostazione della politica economica senza rendere ciò pubblicamente noto. Le manovre monetarie, per contro, quando attese, influiscono invece sulle variabili nominali, in particolare sul tasso di inflazione [Manovre monetarie attese E(mt)=mt non hanno effetti reali suy = y* ma solo sul livello dei prezzi di equilibrio] Come si è visto, una conseguenza dell’approccio delle aspettative razionali propria della NMC è che misure di politica monetaria hanno effetti sulle variabili reali solo se inattese. Cambiamenti della politica monetaria perfettamente previsti inducono gli individui ad aggiustare immediatamente salari e prezzi così che output e occupazione restano invariati. Questa conclusione, tuttavia, è in contrasto con l'evidenza empirica da cui emerge che cambiamenti dell’impostazione della politica monetaria hanno riflessi sull’attività reale. Di questa evidenza tentono conto i modelli neokeynesiani che, pur accettando l’ipotesi di aspettative razionali, offrono una spiegazione microeconomica del perchè la politica monetaria nel breve periodo ha effetti reali. LA CURVA DI PHILLIPS NEL MODELLO MONETARIO NEOKEYNESIANO La curva di Phillips neokeynesiana deriva da un modello di economia che presenta due caratteristiche: - Le imprese operano in concorrenza imperfetta, ovvero hanno un certo potere nella determinazione dei prezzi. Questa ipotesi è ovviamente in contrasto con quella di concorrenza perfetta sottesa dalla curva di Phillips aumentata delle aspettative sia quella della NMC. Data l’ipotesi di concorrenza imperfetta, le imprese cercano di massimizzare il profitto fissando il prezzo nella forma di un mark-up sul costo marginale di produzione. - Le imprese aggiustano i prizzi in modo infrequente, ovvero i prezzi sono rigi( Le imprese si rendono conto che i prezzi fissati oggi resteranno tali per un certo periodo di tempo. Esse, dunque, nel fissare i prezzi tengono conto non solo del prezzo ottimale del momento, ma anche del prezzo ottimale atteso per il periodo di vigenza del prezzo fissato dall'impresa. Allo scopo di dare una illustrazione formale della curva di Phillips neokeynesiana ipotizziamo, seguendo Calvo (1983), che ogni impresa possa cambiare il prezzo solo con probabilità *4 in ogni periodo, indipendentemente dal tempo passato dall’ultima modifica del prezzo. Pertanto, al tempo t, metà delle imprese aggiustano il prezzo, fissandolo a p*t, e metà mantengono il prezzo invariato rispetto al periodo precedente. Il livello generale dei prezzi al tempo t è dunque: 1 Pi = alpe + pi) Se l’impresa potesse fissare il prezzo in ogni periodo, lo fisserebbe seguendo questa regola: x=pr+ivey) Il prezzo desiderato xt dipende dal livello generale dei prezzi al tempo t (pi), e dal valore dell’output gap (yt-y*). yè un parametro positivo: all'aumentare dell’output gap, aumenta il potere contrattuale dei lavoratori, aumentano i salari e i costi marginali, quindi il prezzo ottimo fissato sarà maggiore. L’impresa, tuttavia, sa che il prezzo che fissa al tempo t può rimanere in vigore anche nei periodi successivi, poiché in ogni periodo può cambiare il prezzo solo con probabilità 14. Essa, quindi, nel fissare il prezzo, tiene conto non solo del prezzo ottimale nel periodo corrente (xt), ma anche del prezzo ottimale nei periodi successivi (Et(xt+1)). Per semplicità supponiamo che l'impresa tenga conto solo del prezzo ottimale nel periodo corrente e in quello immediatamente successivo (2 periodi). L’impresa che fissa il prezzo al tempo t lo fa sulla base della media del prezzo ottimale per il periodo corrente, xt, e delle sue aspettative sul livello ottimale per il periodo successivo, Ext+1. Definendo con p*t il livello del prezzo fissato nel periodo t, si ha: pi = 30 + E(x:41)) E(xe41) = Ep) + (Ev) -Y) PÉ = 3(01+ Ep) + (1 + 061) - 2719) » La variazione dei prezzi è data da: 1 — Pi1 = (El = +3 +E -2y Pe Pra = (E(pu41 — pe)) + 39% + Eva) 27") questa espressione esprime la curva di Phillips neokeynesiana. Da questa emerge una prima differenza con la curva di Phillips tradizionale e con quella aumentata delle aspettative: il tasso di inflazione corrente dipende dalle aspettative dei costi marginali futuri, ovvero dall’inflazione futura attesa, E(pui— pi). Il fatto, poi, che manchi ogni riferimento all’inflazione passata implica che per la curva di Phillips neokeynesiana l’inflazione non è persistente, non vi è correlazione tra il tasso di inflazione attuale e quello dei periodi precedenti. IMPLICAZIONI DI POLITICA ECONOMICA Con riferimento alla politica monetaria la curva di Phillips neokeynesiana consente due conclusioni: 1) La politica monetaria nel breve periodo è efficace. I costi dell’inflazione attesa appena illustrati prendono il nome di shoe-leather costs. Essi derivano dal fatto che gli individui, allo scopo di evitare le perdite derivanti dall’inflazione attesa, detengono un ammontare di scorte monetarie inferiori a quelle ottimali. Pertanto, l'inflazione attesa ha riflessi negativi non solo sul benessere degli individui, ma anche sull’allocazione delle risorse (perdita dell’efficienza allocativa, perdita secca). In particolare, l'esigenza degli individui di economizzare la quantità di moneta detenuta favorisce un’anomala espansione del sistema finanziario. Le banche, per far fronte alle più frequenti “visite” dei clienti, sono indotte ad ampliare sportelli, aprirne di nuovi... Il sovradimensionamento del sistema finanziario comporta una perdita di benessere della collettività, perché le risorse aggiuntive investite in questo settore per far fronte ai più elevati costi di transazione derivanti dall’inflazione potrebbero essere devolute in usi maggiormente produttivi. LI COSTI DELL’INFLAZIONE INATTESA Tali costi sono riconducibili a cinque diversi ti a) L’incertezza sul contenuto informativo dei prezzi relativi Variazioni dei prezzi relativi danno segnali che guidano l’allocazione delle risorse (contenuto informativo dei prezzi relativi). In una situazione inflazionistica gli individui possono scambiare variazioni del livello dei prezzi assoluti con quelle dei prezzi relativi; abbiamo distorsione nei rapporti tra i prezzi relativi dei beni che non permette più di raggiungere il livello di produzione efficiente. [In una economia di mercato, funzioni degli impreditori è quella di produre una quantità maggiore dei beni il cui prezzo relativo è aumentato e produrre una quantità inferiore dei beni il cui prezzo relativo è diminuito] b) Riflessi sul processo di aggiustamento dei prezzi In mercati imperfetti e incompleti i prezzi dei beni possono essere rigidi. In questo contesto, come evidenziato dalla teoria dei menu cost, la frequenza di variazioni dei prezzi è strettamente legata al tasso di inflazione, e poiché l’aggiustamento dei prezzi al livello di equilibrio implica dei costi, quanto più elevata è la crescita dei prezzi tanto più frequenti saranno gli aggiustamenti dei prezzi e i corrispondenti costi (con la distruzione di risorse potenzialmente investibili per fini più produttivi). Se poi l’aggiustamento dei prezzi non è sincronizzato (frequenza diversa da bene a bene), si creano distorsioni sul livello dei prezzi relativi tra beni di settori diversi con conseguente perdita di efficienza allocativa: l’incremento del tasso nominale dovuto all’incremento dei prezzi, corrisponde a tassi reali diversi da settore a settore. L'inflazione altera infatti i prezzi relativi dei beni con prezzi perfettamente flessibili e di quelli con prezzi rigidi: per settori con prezzi rigidi, il tasso di interesse reale risulta infatti più alto. c) L’incertezza sul livello dei prezzi A livello empirico vi è evidenza di una relazione positiva tra livello di inflazione e variabilità dell’inflazione. L'incertezza sul tasso di inflazione futuro tende a distorcere l'allocazione delle risorse in modi differenti: i) In assenza di attività finanziarie indicizzate all’inflazione, l’accresciuta incertezza sul livello futuro dei prezzi può accrescere il grado di attrattività di attività reali intese come bene rifugio. ii) L’incertezza sul livello futuro dei prezzi può scoraggiare gli individui dallo stipulare contratti a lungo termine, disincentivando gli investimenti a redditività protratta nel tempo. ili) I datori di fondi possono reagire all’accresciuta incertezza chiedendo un più elevato premio al rischio, aumentando così il costo reale del finanziamento delle imprese. d) riflessi sulla produttività sociale della moneta L’inflazione può comportare costi rilevanti laddove mina la fiducia nel potere liberatorio della moneta e induce ‘un arretramento nel sistema dei pagamenti (la collettività perde fiducia nel valore della moneta). La velocità di circolazione aumenta poichè gli individui vogliono spendere in beni reali una moneta che a breve perderà valore: fenomeni di demonetizzazione dell’economia alla base dei processi di iperinflazione. e) Inflazione e crescita Vi è crescente consenso sul fatto che tassi di inflazione elevati (superiori al 15%) abbiano un impatto negativo sull’output. Tale legame è meno evidente per tassi di inflazione bassi. f) Il processo di redistribuzione indesiderata di reddito e ricchezza L’inflazione inattesa determina una redistribuzione di reddito e ricchezza. Da essa, infatti, sono svaforiti i creditori a vantaggio dei debitori, i soggetti che percepiscono redditi nominali fissi (in primis i lavoratori) a vantaggio di quelli che li pagano (in primis gli imprenditori). La redistribuzione del reddito e della ricchezza connessa all’inflazione inattesa può avvenire nell’ambito del settore privato o tra soggetti privati e Stato. Per quest’ultimo infatti, nel caso in cui decidesse di fare spesa pubblica finanziata con l'emissione moneta anzichè tramite gettito fiscale, l’inflazione diventa un’imposta impropria. [Signoraggio: redditi che lo stato ricava dall'emissione di moneta, ovvero il risparmio che ricava da emettere moneta anziché titoli di stato remunerati al tasso (i). Non si tratta di redditi infiniti, poichè all’aumentare della moneta aumenta il suo costo opportunità che contrae la domanda stessa di moneta, ovvero lo stock su cui si applica la tassa inflazionistica] Gli effetti redistributivi tra privati fanno riferimento al fatto che una fase inflazionistica, intaccando il rendimento in termini reali di attività finanziarie a tasso di interesse fisso, determina una redistribuzione di reddito a favore dei debitori (il costo reale del debito si riduce) e a sfavore dei creditori. Es. Grande Inflazione: i risparmiatori hanno subito significative perdite di reddito e ricchezza a favore delle imprese e dei salariati. Un modo attraverso cui si può prevenire la redistribuzione delle risorse connessa all’inflazione è quello di indicizzare al tasso di crescita dei prezzi il reddito e la ricchezza (o il suo tasso di rendimento). Se da un lato l’indicizzazione elimina le distorsioni distributive dell’inflazione, dall’altro, l'adozione di un sistema di indicizzazione comporta l’accelerazione dell’inflazione stessa: le tensioni inflazionistiche tendono infatti a riflettersi più rapidamente sul livello generale dei prezzi (es: spirale salari e prezzi: aumento dei prezzi, aumento dei salari, aumento dei prezzi, aumento dei salari...). Le economie indicizzate si caratterizzano per effetti distorsivi dell’inflazione sulla distribuzione del reddito, ma al tempo stesso per livelli di inflazione più elevati. OBIETTIVI DELLA BCE Gerarchia degli obiettivi della BCE: 1) Stabilità dei prezzi di medio e lungo termine [x below but close to 2%] 2) Unelevatolivello di occupazione 3) Crescita sostenibile e non inflazionistica Nel trattato di Maastricht si prevede dunque una gerarchia di obiettivi, con l’obiettivo primario che è il mantenimento della stabilità dei prezzi, nel presupposto che quest’ultimo favorisca di per sé la crescita economica e la piena occupazione. In poche parole, nella costruzione dell’euro sono stati accettati interamente le teorie economiche NMC di aspettative razionali e neutralità della moneta nel breve e nel lungo periodo. Rispetto alla FED non c’è come obiettivo di lungo periodo la garanzia credito per garantire la crescita dell’output. Benefici stabilità dei prezzi 1) I prezzi relativi mantengono la funzione informativa garantendo l’efficienza produttiva e allocativa, massimizzando di conseguenza il benessere sociale: il pubblico individua facilmente le variazioni dei prezzi relativi, poiché queste non sono offuscate dalle fluttuazioni del livello generale dei prezzi. Di conseguenza le imprese e gli investitori possono basare su informazioni migliori le proprie decisioni di spesa e di investimento; in tal modo il mercato può dirigere le risorse verso gli impieghi più produttivi, e, determinando una più efficiente allocazione delle risorse, aumenta il benessere delle famiglie e il potenziale di crescita dell’economia. 2) Il mercato non richiederà premi per il rischio di inflazione a compensazione delle potenziali perdite connesse con la detenzione di attività nominali a più lungo termine; le risorse risparmiate possono essere spese per finalità produttive. Viene così promossa l’efficienza del mercato dei capitali nell’allocare le risorse, stimolando pertanto l’attività di investimento (e migliora il benessere economico). 3) I soggetti non distolgono risorse dagli impieghi produttivi per tutelarsi dall’inflazione. Avviene infatti, in un contesto di alta inflazione, l’incentivo a fare scorta di beni reali, poiché, in tali circostanze, essi conservano il proprio valore meglio della moneta o di talune attività finanziarie. 4) I sistemi previdenziali e tributari sono rigidi in quanto i contributi previdenziali e le aliquote d’imposta non sono indicizzate al tasso di inflazione. Di conseguenza la stabilità dei prezzi riduce gli effetti distorsivi e gli incentivi creati dai sistemi previdenziali e tributari; 5) La quantità di moneta è efficiente, riducendo la perdita di benessere, i costi transattivi e il sovradimensionamento del sistema finanziario; 6) Noncisono effetti distorsivi nella redistribuzione della ricchezza e del reddito con conseguente pace sociale. Tipicamente sono i gruppi sociali più deboli che risentono maggiormene dell’inflazione, poiché hanno limitate possibilità di tutelarsi contro di essa (soprattutto in assenza di meccanismi di indicizzazione). Per quanto appena esposto la BCE si discosta in parte dalle altre Banche Centrali che perseguono contestualmente sia la stabilità dei prezzi che quella dell’output. In particolare, essa si discosta dalla FED, la quale ha il mandato di mantenere, nel lungo periodo, una crescita della moneta e del credito coerente con la crescita potenziale dell’output e con la stabilità dei prezzi. Rispetto alla BCE, dunque, la FED ha un mandato che prevede, di fatto, il perseguimento di due obiettivi e, dunque, ha maggiori margini di flessibilità. Tali margini riguardano anche il concetto di stabilità dei prezzi che per la BCE è stato fissato nel 2%, mentre per la Banca centrale americana è imprecisata. IL TASSO OTTIMALE DI INFLAZIONE Dati i costi dell’inflazione e l'assenza di un’ancora nominale (esistente, invece, sia nel gold standard sia, più di recente, nel gold exchange standard), le Banche centrali, a partire dalla fine degli anni Settanta, hanno dato importanza crescente all’obiettivo finale di stabilità dei prezzi o bassa inflazione; molte di esse hanno perseguito in via principale un obiettivo di inflazione (inflation targeting). Tale obiettivo, tuttavia, è sempre maggiore di zero: quale è il tasso di inflazione ottimale? Il dibattito risale ad un contributo di Friedman. Questi parte dalla costatazione che la moneta se, da un lato, offre servizi poiché rende più facili le transazioni, dall’altro lato, è costosa poiché dà rendimento nullo. La scelta di detenere una maggiore quantità di moneta comporta un minore investimento in titoli pubblici a breve termine, che, pur essendo liquidi quasi quanto la moneta, danno un reddito in termini di interesse. Allorchè l’inflazione si eleva e con essa si elevano i tassi di interesse, i consumatori sono indotti ad economizzare la quantità di moneta detenuta. Tuttavia, economizzare moneta comporta una perdita per la società nel suo complesso: infatti, mentre la detenzione di moneta per i consumatori è costosa, ha cioè un prezzo positivo (i), la sua produzione da parte della Banca centrale ha un costo marginale sostanzialemente nullo. In un economia in cui il prezzo di un bene/servizio differisce dal suo costo marginale vi è una allocazione inefficiente delle risorse. Di qui la proposta di Friedman di rendere nullo il costo-opportunità della moneta, portando a zero il tasso di interesse nominale sui titoli pubblici a breve termine [i=0]. Pertanto, perché il tasso di interesse nominale sui titoli pubblici a breve termine sia zero, è necessario che il tasso di inflazione sia negativo, in misura pari al livello del tasso di interesse reale [II= -r]. Se quest’ultimo fosse intorno al 2-3%, la proposta di Friedman è che la Banca centrale persegua un obiettivo di deflazione del 2-3%. Nonostante l’indicazione di Friedman di un tasso di inflazione ottimale negativo, tutte le Banche centrali che oggi perseguono la stabilità dei prezzi hanno obiettivi di inflazione bassa, ma positiva. ARGOMENTI CONTRO LA PROPOSTA DI INFLAZIONE OTTIMALE NEGATIVA DI FRIEDMAN 1) I salari ei prezzi sono rigidi verso il basso. Ciò significa che situazioni di eccesso di offerta aggregata rispetto alla domanda tendono a persistere nel tempo; situazioni simili, derivanti dal fatto che i prezzi relativi di alcuni beni sono troppo altri, possono essere rimosse solo nel caso i cui i prezzi degli altri beni aumentano, anziché essere costanti o diminuire. Ponendosi in questa prospettiva, Akerlof (1996) e Wyplosz (2001) sostengono che un modesto tasso di inflazione, compreso tra 1,5-4%, contribuisce a ridurre il tasso di disoccupazione. 2) Dalla considerazione che shock imprevisti sulla domanda aggregata possono rendere necessario il ricorso a manovre monetarie espansive, nel caso in cui si accettasse la proposta di inflazione ottimale di Friedman, l’azzeramento del tasso di interesse nominale ufficiale della Banca centrale non consentirebbe alcuna manovra monetaria espansiva. La Banca centrale, se vuole avere margini per contrastare un eventuale shock e dar corso ad una manovra monetaria espansiva, infatti, dovrebbe normalmente mantenere il tasso di interesse monetario ufficiale su livelli positivi (in caso contrario, essa ci si troverebbe nel caso della trappola della liquidità, in cui l'abbassamento del tasso di interesse non determina una crescita della domanda dovuta ad una riduzione del costo degli investimenti). 3) Le banche godono di un certo grado di monopolio nel mercato dei depositi; stando così le cose, esse possono avere convenienza a sottoremunerare i depositi.