Scarica Esempi tracce svolte prova scritta TFA sostegno per la scuola secondaria di I e II grado e più Dispense in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! TRACCE SVOLTE TFA SOSTEGNO SECONDARIA DI PRIMO E SECONDO GRADO. ESEMPI 1. Didattica inclusiva e strategie per una didattica inclusiva L’obiettivo della didattica inclusiva è far raggiungere a tutti gli alunni il massimo grado possibile di apprendimento e partecipazione sociale, valorizzando i diversi stili cognitivi e le diverse forme di intelligenza presenti nel gruppo classe. I compagni di classe sono la risorsa più preziosa per attivare processi inclusivi. Fin dal primo giorno è necessario incentivare e lavorare su collaborazione e cooperazione. In particolare, sono da valorizzare le strategie di cooperative learning e la flipped classroom. Per valorizzare le differenze individuali è necessario adattare i propri stili di comunicazione, le forme di lezione e gli spazi di apprendimento, variare i materiali rispetto ai diversi livelli di abilità e ai diversi stili cognitivi presenti in classe, dando aiuti aggiuntivi e attività a difficoltà graduale. Per attivare dinamiche inclusive è fondamentale potenziare le strategie logico-visive, in particolare grazie all’uso di mappe mentali e mappe concettuali. Per gli alunni con maggiori difficoltà sono di grande aiuto tutte le forme di schematizzazione, i diagrammi, le linee del tempo, le illustrazioni significative e le flashcards delle regole, ma anche la valorizzazione delle risorse iconografiche, degli indici testuali e dell’analisi delle fonti visive. Di grande aiuto sono le nuove tecnologie. Esistono software gratuiti in grado di supportare e facilitare la creazione di mappe e diagrammi. In una prospettiva inclusiva, la valutazione deve essere sempre formativa, finalizzata al miglioramento dei processi di apprendimento e insegnamento. È poi necessario personalizzare le forme di verifica nella formulazione delle richieste e nelle forme di elaborazione da parte dell’alunno. La valutazione deve sviluppare processi metacognitivi nell’alunno e, pertanto, il feedback deve essere continuo, formativo e motivante e non punitivo. 2. Le Indicazioni Nazionali 2012, nel delineare l’ambiente di apprendimento, suggeriscono di utilizzare la didattica laboratoriale. Il candidato esponga come questo approccio possa favorire l’inclusione. La didattica laboratoriale incoraggia attivamente gli studenti nella ricerca e costruzione della conoscenza attraverso attività costruttive, concrete e pratiche. Favorisce l’inclusione se gli studenti, in gruppo, agiscono, riflettono, sperimentano nuove soluzioni assieme e con il contributo di tutti. Il docente crea le condizioni per le quali lo studente approfitta dei materiali, dei tempi e degli spazi per apprendere e al contempo, sviluppare le capacità mediali con i compagni, come saper ascoltare, chiedere l’opinione degli altri, riflettere e interagire costruttivamente. Questa didattica, quindi, s’impegna sia a potenziare le dinamiche di coesione, socializzazione, partecipazione e comunicazione in aula, sia a promuovere i talenti, animare la creatività e la riflessività, sviluppare diversi stili d’apprendimento e stimolare l’autonomia. Il laboratorio può essere anche d’aiuto nel prevenire le difficoltà d’apprendimento. Consente, infatti, ai docenti di personalizzare alcuni percorsi di apprendimento, venendo incontro alle esigenze di tutti gli alunni e in particolar modo di quelli con bisogni educativi speciali. Questi ultimi possono, anche con l’aiuto e il confronto con gli altri, essere protagonisti del loro apprendimento, far parte del gruppo in modo attivo, svolgere lo stesso compito degli altri con strategie di facilitazione, semplificazione e riduzione degli obiettivi. Le tecniche laboratoriali che valorizzano l’inclusione possono essere attività di gruppo o a classe intera, metodi simulativi, risoluzione di problemi, apprendimento cooperativo e condiviso, attività di ascolto, attività manuali, ludiche e audiovisive. Attraverso queste attività, l’approccio alla disciplina risulta più concreto e meno teorico e agevola la comprensione di alcune situazioni o concetti che per gli studenti con BES risultano troppo complessi. 3. Quali sono le caratteristiche didattiche peculiari del “laboratorio”? Le caratteristiche fondamentali del laboratorio sono: fisicità, il laboratorio è strutturato in uno spazio-tempo caratterizzato da strumentazioni, oggetti, materiali; personalizzazione e collaborazione, il laboratorio è sviluppo individuale e collaborativo, in vista di prodotti ed esiti diversificati; trasformazione, modifica i pensieri, le idee, gli oggetti; originalità, il laboratorio intende allenare alla creatività in senso cognitivo, linguistico, pratico; cognitività, il laboratorio è orientato allo sviluppo di metodi di ricerca e di indagine. Per didattica laboratoriale intendiamo un luogo in cui è possibile sviluppare una dimensione progettuale e operativa, capace di mobilitare il sapere. Fare laboratorio significa saper orchestrare, in maniera consapevole, i propri saperi, le conoscenze e le abilità affrontando una situazione complessa. Le caratteristiche didattiche del laboratorio sono: luogo di costruzione della conoscenza, affinché i contenuti e le procedure proposti non si sovrappongono semplicemente alle conoscenze già possedute, ma interagiscono con queste, è necessario trovare collegamenti tra contenuti dell’insegnamento e le esperienze diversificate degli alunni; avventura conoscitiva, nell’insegnamento-apprendimento l’insegnante e l’allievo si costituiscono entrambi come viaggiatori, il cui viaggio è il percorso formativo; luogo dove si realizza la metacognizione, il laboratorio mira ad un processo di apprendimento che non incida solamente sulle abilità di base o acquisite, ma anche sulle modalità della loro comprensione ed utilizzazione; luogo di approccio cooperativo, il laboratorio è l’ambiente in cui si concretizza un nuovo modello di insegnamento/apprendimento fondato sulle interazioni fra gli attori del processo didattico. 4. Didattica speciale per gli alunni con DSA I soggetti con DSA necessitano di tempi di esecuzione lunghi. Essi hanno diritto ad una riduzione del lavoro scritto e dei compiti a casa. Devono poter disporre di più tempo per lo svolgimento delle prove orali e potersi avvalere di metodi compensativi, come la calcolatrice, il computer, il registratore e tabelle o schemi. Gli alunni con DSA conclamato, inoltre, hanno diritto ad avere percorsi didattici personalizzati, concordati con genitori e specialisti. In caso di alunni dislessici è utile semplificare i testi evitando testi troppo lunghi, adoperando le intestazioni di paragrafo, usando un lessico semplice, frasi brevi forme verbali attive e all’indicativo, evitando l’abuso dei pronomi, corredando il testo di immagini, allegate sottolineano che i soggetti affetti da DSA possiedono capacità cognitive adeguate, non hanno patologie neurologiche o deficit sensoriali, ma esibiscono gravi limitazioni e ritardi in alcune abilità sviluppate durante le attività scolastiche. Si tratta di difficoltà che possono compromettere non solo le prestazioni scolastiche, ma anche la qualità della vita quotidiana. In particolare, la L. 170/2010 individua quattro disturbi: dislessia (lettura), disgrafia e disortografia (scrittura), discalculia (calcolo). Nell’ICD stilata dall’OMS, i DSA sono inseriti nella categoria F, più precisamente nella sottocategoria F81 che comprende i disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche, descritti come disturbi nell’ambito dei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione sono compromesse sin dalle fasi iniziali dello sviluppo. Si tratta di disturbi più frequenti nei ragazzi che nelle ragazze che cominciano a manifestarsi già a partire dalla scuola dell’infanzia. 8. Si chiarisca come il riferimento all’ICF possa modificare l’approccio ai bisogni educativi speciali e quali attenzioni l’insegnante debba porre nella progettazione dei relativi interventi Nel quadro dei BES in relazione all’ICF, la dimensione essenziale risulta quella della salute del soggetto globalmente e sistematicamente intesa. L’idea di BES non fa riferimento alle origini eziologiche dei disturbi né alle classificazioni patologiche, bensì parte dalla situazione complessiva di funzionamento educativo e apprenditivo del soggetto, qualunque siano le cause che originano una difficoltà di funzionamento. Il funzionamento umano (concetto chiave dell’ICF) è determinato dalle differenze di ciascuno nel proprio vissuto esistenziale, in relazione ai fattori personali e ambientali. La performance o competenza di «funzionamento» dell’alunno emerge dalla risultanza dell’interazione tra caratteristiche personali (capacità), BES (deficit o difficoltà) e contesto. Si opera un’estensione del campo di azione a scuola verso un campo integrato di interconnessioni, di cui l’allievo e gli altri soggetti fanno parte e ne condividono le interconnessioni. L’oggetto da osservare e sul quale intervenire non sarà più il singolo allievo concepito in modo scollegato dal resto delle componenti del campo, ma la relazione o rete di relazioni tra elementi. La scuola deve predisporre nuovi contesti di apprendimento e di valutazione che consentano di osservare e mettere in moto le relazioni tra le diverse componenti, per favorire il funzionamento globale dello studente e realizzare competenze di successo. Viene così rafforzata l’idea della didattica e valutazione per competenze come didattica coerente con la didattica inclusiva: una didattica ordinaria in grado di favorire la messa in moto di competenze e il successo formativo di tutti, anche degli allievi con difficoltà. La ricerca educativa e didattica propone l’uso di ambienti di apprendimento «immersivi», basati su compiti realistici, tratti dalla vita quotidiana o lavorativa, allo scopo di affinare la capacità di «leggere i problemi». 9. Definisca i concetti di individualizzazione e personalizzazione L’individualizzazione è l’intervento calibrato sul singolo, anziché sull’intera classe o sul gruppo, che diviene personalizzato quando è rivolto ad un particolare discente. L’azione formativa individualizzata pone obiettivi comuni per tutti i componenti del gruppo-classe, ma è concepita adattando le metodologie in funzione delle caratteristiche individuali dei discenti, con l’obiettivo di assicurare a tutti il conseguimento delle competenze fondamentali del curricolo. L’azione formativa personalizzata permette, in più, di sviluppare al meglio le proprie potenzialità, quindi, può porsi obiettivi diversi per ciascun discente, essendo strettamente legata a quella specifica persona. La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l’alunno per potenziare o acquisire abilità e competenze, anche nell’ambito delle strategie compensative e del metodo di studio; tali attività possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente. La didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge 53/2003 e nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l’offerta didattica e le modalità relazionali sulla specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; ciò permette l’accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue ‘preferenze’ e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia attraverso l’impiego di metodologie e strategie didattiche come l’uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l’attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti per promuovere un apprendimento significativo. La sinergia fra didattica individualizzata e personalizzata determina per l’alunno e lo studente con DSA, le condizioni più favorevoli per il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. 10. Quali sono le misure dispensative per gli alunni con DSA? Le Linee Guida allegate al D.M. 12 luglio 2011 definiscono le misure dispensative come interventi che consentono all’alunno o allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura. In generale, rientrano in tali misure: l’esonero dalla lettura ad alta voce in classe, dalla lettura autonoma di brani la cui lunghezza non sia compatibile con il livello di abilità dello studente, dalle attività in cui la lettura viene valutata; la semplificazione del testo da studiare, attraverso la riduzione della complessità lessicale e sintattica; il dispensare dal leggere i quesiti dei test, le consegne dei compiti, le tracce dei temi o i questionari con risposta a scelta multipla (in tal caso, vi può essere la presenza di una persona che legga allo studente con DSA le tracce dei test e dei compiti, oppure il docente può fornire una registrazione audio della lettura delle tracce; la concessione di un tempo maggiore nella realizzazione dei compiti scritti, intorno a un 30% in più rispetto a quello dato ai compagni di classe; la somministrazione di una prova su di un contenuto ridotto ma disciplinarmente significativo, per limitare il carico di lavoro relativo alla decodifica di items della prova, facendo restare l’alunno nei tempi di consegna previsti per il resto della classe. 11. Descrivi le modalità di organizzazione di un istituto scolastico che offre un efficace ambiente di apprendimento La scuola offre un ambiente di apprendimento innovativo, curando gli aspetti organizzativi, metodologici e relazionali del lavoro d'aula. Gli insegnanti efficaci usano le loro conoscenze e competenze per trasformare le aule in ambienti stimolanti, in grado di massimizzare le occasioni di apprendimento, motivare gli studenti e facilitare l'organizzazione dell'apprendere. L’organizzazione di spazi e tempi risponde in modo ottimale alle esigenze di apprendimento degli studenti. Essi possono fruire degli spazi laboratoriali e dei luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue, ecc. Sono disponibili risorse e supporti didattici nelle classi come la biblioteca di classe, computer, materiali per le attività scientifiche, materiali per le attività espressive, ecc. Anche il tempo è considerata una risorsa e l’articolazione dell’orario scolastico come della durata delle lezioni è adeguata alle esigenze di apprendimento degli studenti. La scuola promuove l’utilizzo di modalità didattiche innovative. Gli studenti lavorano in gruppi, utilizzano le nuove tecnologie, realizzano ricerche o progetti come attività ordinarie in classe. Promuove le competenze trasversali attraverso la realizzazione di attività relazionali e sociali, come l’assegnazione di ruoli e di responsabilità, lo sviluppo di attività di cura degli spazi comuni, del senso di legalità e di responsabilità, la collaborazione e lo spirito di gruppo. Le regole di comportamento sono definite e condivise in tutte le classi e i conflitti sono gestiti in modo efficace. È necessario, inoltre, attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità, per fare in modo che non diventino disuguaglianze. La scuola si impegna a progettare e realizzare percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli studenti. 12. Cos’è il PDP - piano didattico personalizzato? Quando si attua? Il PDP (piano didattico personalizzato), previsto dall’art. 5 del D.M. 12 luglio 2011, è il documento di programmazione contenente le metodologie didattiche, gli interventi formativi le misure e gli strumenti che la scuola ha intenzione di adottare per garantire il successo formativo degli alunni con DSA. Le Linee Guida allegate al decreto esplicitano la struttura del PDP che deve riportare: i dati anagrafici dell’alunno, cui si possono aggiungere informazioni sul suo percorso di istruzione e una breve descrizione dei rapporti scuola-famiglia; la tipologia del disturbo e una descrizione delle abilità d lettura, scrittura e calcolo. Inoltre, per ciascuna delle discipline coinvolte nel disturbo, il Piano deve esplicitare le attività didattiche individualizzate, le attività didattiche personalizzate, gli strumenti compensativi utilizzati, le misure dispensative adottate, le forme di verifica e valutazione personalizzate, di cui si terrà conto anche in sede di esame conclusivo del ciclo. Il Piano deve essere elaborato entro il termine del primo trimestre dell’anno scolastico. Generalmente le fasi di redazione sono due: una prima fase nella quale i singoli docenti compiono osservazioni nella loro disciplina e inferiscono informazioni sullo stile di apprendimento dell’alunno; una seconda fase nella quale il consiglio di classe elabora Facilitano la partecipazione, l’autonomia e le possibilità di comunicazione e, dunque, i processi di apprendimento. Di conseguenza, fare informazione e formazione sui vari aspetti connessi all’acquisizione e all’utilizzo a scuola degli ausili e dei sussidi didattici riveste un’importanza cruciale per realizzare una didattica pienamente inclusiva. Gli ausili didattici messi a disposizione più frequentemente per facilitare il processo di inclusione e di apprendimento degli alunni con disabilità sono gli apparecchi informatici e multimediali per la personalizzazione della didattica (pc, tablet, registratori, lettori cd/dvd, fotocamere), i software didattici per l’apprendimento e, a seguire, i sistemi informatici per la facilitazione dei testi. 17. Cooperative Learning L’utilizzo di queste procedure normalmente gli studenti lavorano insieme in gruppi di dimensioni sufficientemente piccole ed eterogenei in modo tale che ognuno possa partecipare attivamente allo svolgimento di compiti che sono stati assegnati dall’insegnante. Il lavoro in gruppo del cooperative learning è un lavorare insieme per realizzare obiettivi condivisi, all’interno di situazioni cooperative, dove ogni membro del gruppo cerca di ottenere risultati per se stesso e per gli altri. Il cooperative learning, permette agli studenti di acquisire sia le conoscenze indispensabili delle discipline sia le competenze sociali derivanti dal lavoro continuo con gli altri. Gli studenti apprendono perché esercitano la propria responsabilità personale ma anche perché imitano gli altri e apprendono dai pari. Così interpretato il cooperative learning trasforma la classe da un insieme di individui a una rete di gruppi che, in virtù del particolare clima che si genera, modificano la struttura sociale della classe. Quest’ultima diviene un sistema inclusivo di tutte le parti in interazione, piuttosto che una serie di interpreti individuali, focalizzati per un lungo periodo di tempo sulla propria esclusiva performance. 18. Peer tutoring Peer tutoring di pari livello (same-level). Questo tipo di peer tutoring vede impegnati in genere allievi della stessa classe, che godono dello stesso status nel gruppo, mentre c’è un divario nell’attività oggetto di tutoring. Ad esempio, un allievo può avere buone abilità in tante attività ed essere in difficoltà per varie ragioni in matematica. In questa attività interpreterà il ruolo di tutee facendosi aiutare da un compagno tutor. b) Peer tutoring di livello diverso (cross-level). In questo caso il tutor appartiene a una classe superiore o è più grande d’età.Un tipico esempio avviene con le esperienze di classi aperte dove i ragazzi più avanti con gli apprendimenti (tutor) aiutano i loro compagni delle classi inferiori (tutee). 19. Creatività, pensiero divergente e pensiero laterale La prima teorizzazione sistematica del concetto di pensiero divergente risale allo psicologo statunitense Joy Paul Guilford. Secondo Guilford (1950) il pensiero convergente opera entro schemi stabiliti, affronta il problema con un determinato metodo e, attraverso quest’ultimo, trova l’unica soluzione possibile; il pensiero divergente, invece, agendo fuori dagli schemi stabiliti, consente di approcciarsi al problema con un’impostazione nuova, pervenendo a soluzioni originali ed identificando il processo creativo con le dinamiche tipiche del problem solving. Guilford (1967), nell’analizzare e nel valutare le capacità e le abilità del pensiero divergente, identifica quattro fattori fondamentali: • fluidità e speditezza del pensiero (facilità a rispondere ad un problema dato con un gran numero di idee e con un linguaggio ricco e fluido); • flessibilità e facilità ideativa (abbandonare schemi di pensiero consueti e rispondere con idee di categorie varie); • originalità (offrire risposte inusitate, rare e difficilmente evidenziabili in situazioni intricate); • elaborazione (capacità di aggiungere dettagli alla prima risposta data arricchendola e rendendola complessa). Il pensiero divergente, dunque, si esprime non solo nella ricerca di soluzioni esatte, ma anche nella molteplicità e nell’originalità delle risposte fornite, nella ricchezza di idee e nella ristrutturazione della materia. La creatività consente all’essere umano di adattarsi e di cercare nuove soluzioni ai problemi più svariati. Edward de Bono, studioso impegnato nel campo della creatività e dei meccanismi della mente, ritiene che il pensiero creativo sia un’abilità che può essere rapidamente aumentata ed incrementata; è la capacità di pensare e di agire diversamente che può essere sviluppata in modo sistematico e deliberato da chiunque voglia mettere in pratica i principi del pensiero laterale”. Uno dei metodi teorizzati ed utilizzati da Edward de Bono per lo sviluppo di abilità di problem solving creativo è quello dei “Sei Cappelli per Pensare” (1985). Lo studioso, attraverso la metafora dei cappelli, insegna ad affrontare i problemi assumendo punti di vista differenti e propone sei diverse prospettive dalle quali è possibile generare un’idea. • il cappello bianco riguarda i puri fatti, le cifre, i dati, le informazioni e rispecchia il pensiero verticale; • il cappello rosso fornisce il punto di vista emotivo: non solo emozioni e sensazioni, ma anche presentimenti ed intuizioni; • il cappello nero è relativo agli aspetti negativi ed alle ragioni per cui una cosa non può funzionare; • il cappello giallo comprende l’ottimismo, la speranza, i pensieri positivi e le opportunità; • il cappello verde indica la creatività, il prodursi di nuove idee ed è tipico del pensiero laterale; • il cappello azzurro è connesso al controllo e all’organizzazione del pensiero, è relativo, quindi, anche all’uso degli altri cappelli. Il pensiero laterale si discosta da tale logica e cerca punti di vista alternativi. Il pensiero verticale in tal senso è, quindi, logico, selettivo di idee e sequenziale, mentre il pensiero laterale è generativo di nuove idee e di nuovi concetti, esplorativo, integrativo. Il termine “creatività” indica l'arte o la capacità cognitiva della mente di creare e inventare. La creatività coinvolge non solo il profilo cognitivo e metacognitivo, ma anche l’orizzonte emotivo e affettivo-motivazionale della nostra soggettività, costituito da sentimenti, intuizioni, bisogni, emozioni, pulsioni, passioni, desideri. Un ruolo fondamentale è rivestito dalla dimensione emotiva e affettivo-motivazionale: mettersi in discussione, porsi delle domande, ascoltare le proprie emozioni, cercando di avere un confronto, anziché una negazione, con le dinamiche affettive inconsce, comprendendo anche i vissuti considerati negativi e i bisogni inaccettabili. Questo processo porta l’individuo ad una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità, creando un terreno fertile per la nascita di nuove possibilità di crescita. Pertanto, la creatività non è mai una manifestazione casuale di un fenomeno, ma è sinonimo di ricerca personale, non è quindi una peculiarità di pochi eletti, particolarmente dotati, ma il risultato di una stimolazione sistematica del potenziale creativo, che ogni uomo possiede. 20. Empatia e l’insegnante affettivo Uno dei modi per instaurare un clima di serenità è l’uso dei nostri neuroni specchio – ovvero quelli responsabili del processo empatico (quel che accade dentro di noi quando riusciamo a immedesimarci nell’altro e quasi a sentire quel che prova). L’ascolto empatico (dato dalla volontà di comprendere sia le parole che i sentimenti dell’interlocutore) è una delle caratteristiche che devono caratterizzare l’insegnante moderno, soprattutto di sostegno. Esso infatti permette di dar vita alle tre componenti fondamentali della capacità empatica, ovvero: – empatia cognitiva (intuire quello che l’altra persona pensa e comprendere a fondo il suo punto di vista – senza però badare particolarmente alle sue emozioni); – empatia affettiva (vivere le stesse emozioni dell’altro); – preoccupazione empatica (autentica compassione e desiderio di prodigarsi per l’altro in modo da contribuire al suo benessere). Queste sono alla base della natura del cosiddetto “insegnate affettivo”. L’insegnante affettivo è colui/colei che, nell’azione educativa, sceglie di percorrere la via del dialogo, della reciprocità e dell’integrazione comunicativa. Sceglie questo atteggiamento per sviluppare nel discente le abilità emozionali (quelle di cui parla Daniel Goleman nel suo libro “Intelligenza emotiva”): autoconsapevolezza, capacità di esprimere e di controllare i sentimenti, gli impulsi, la tensione e l’ansia. Un apprendimento efficace ha infatti bisogno di una componente relazionale, nonché di fiducia nel rapporto tra alunno e docente: quest’ultimo si pone distante da autoritarismo ma anche permessivismo, proponendosi come guida autorevole ma non autoritaria. Per far ciò, tuttavia, l’insegnante ha bisogno di mettere in atto un ascolto attivo dei ragazzi, che permetta di comprendere anche le dinamiche di gruppo che nascono in classe e quelle individuali, introspettive. Infine, è importante che mantenga un occhio di riguardo per gli allievi più emotivi o con difficoltà di apprendimento, considerando che la maggior parte degli alunni no potrà soddisfare gli standard di rendimento raggiunti da quelli particolarmente dotati.