Scarica Federica Rovati - L'arte del primo Novecento (Schede) e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! Henri Matisse Femme au chapeau 1905 Nel 1905, Matisse riceve il battesimo fauve al Salon d’Automne. Intraprende un percorso rischioso per l'assenza di modelli di riferimento. Esaspera la ricerca sul colore, in modo impudente e volgare. La pittura acquisisce un’evidenza brutale sulla tela, con spessori irregolari che accentuano la disarmonia delle tinte inverosimili. L’opera raffigura la moglie di Matisse con una violenza irritabile: se nel linguaggio impressionista era accettabile lo snaturamento mimetico del paesaggio descritto, ciò diviene inaccettabile in ambito ritrattistico. Costretta a subire l'aggressività del pittore, la figura rigetta a sua volta sull’osservatore il suo aspetto sgradevole. Con la sua accozzaglia di colori irragionevoli il dipinto costituisce una sfida alle capacità di comprensione dell'osservatore. Pablo Picasso Les demoiselles d’Avignon 1907 In origine il dipinto doveva accogliere cinque figure femminili e due personaggi maschili, dediti alla frequentazione di postriboli (marinaio, studente, scrittore). La retrospettiva su Ingres del 1905 contribuisce a determinare l'esito dell’opera, per via dei nudi addensati nella tela circolare. Riscontriamo fonti visive disomogenee. Arte egizia e scultura iberica dialogano, generando i volti tipicamente elementari e privi di tratti chiaroscurali. Michelangelo, Ingres o Cézanne probabilmente rappresentano le fonti stilistiche per le figure sulla sinistra, mentre nelle figure a destra il tratteggio chiaroscurale ricordava invece le scarificazioni dei reliquiari kota e conferiva ai volti l'aspetto di maschere tribali innestate con violenza sui corpi, con una drastica torsione frontale nella dona seduta, la cui postura citava la figura centrale nel Bagno turco ingresiano. L’opera era di fatto incomprensibile fuori dalla pressione di contenuti scabrosi e di paure assillanti che filtravano attraverso le citazioni primitiviste: a essi alludeva il titolo, in riferimento a una strada di Barcellona fitta di postriboli, frequentati dal pittore negli anni giovanili, o alla proverbiale sconcezza della “cattività avignonese”. Nelle deformazioni dei volti sembravano impresse le alterazioni somatiche provocate dalla sifilide. Georges Braque Maison à l’Estaque 1908 L’opera venne realizzata nell’estate del 1908 quando l’autore si trovava in Provenza, nei luoghi in cui aveva vissuto e lavorato Cézanne. Per Braque, segnò l’avvio di un processo di astrazione pittorica più risentito: egli abbandonò la cromia vivace dei dipinti precedenti in favore dei tre valori cézanniani (ocra, azzurro, verde). In questo caso ravvisiamo un'ulteriore mortificazione del colore e un grado più elevato di astrazione. Tutti i paesaggi eseguiti da Braque in quella stagione di lavoro furono rifiutati dal Salon d’Automne del 1908 e confluirono nella galleria Kahnweiler con una presentazione di Guillaume Apollinaire. Braque sembrava disprezzare la forma, riduceva tutto, luoghi e figure e case a degli schemi geometrici, a dei cubi. Georges Braque L’homme au violon 1912 La riflessione analitica sul linguaggio della pittura, sostenuta dalla lezione cézanniana ormai assimilata, condusse Braque, in un dialogo ravvicinato con Picasso, a esiti di progressiva smaterializzazione del motivo pittorico prescelto, in genere nature morte, oppure ritratti. Gli esiti raggiunti compromettevano la riconoscibilità immediata del soggetto. In alcuni casi la decifrazione del soggetto proponeva un percorso intricato, se non arduo, per gli slittamenti semantici offerti dai singoli segni. L'homme au violon costituisce uno dei casi più affascinanti della stagione analitica braquiana. Il formato ovale esalta la raffinatezza del dipinto. È relativamente semplice individuare lo strumento musicale disposto in orizzontale, un violino o una viola, con le quattro corde parallele e le caratteristiche “effe” intagliate nella cassa’ armonica. L’interpretazione è affidata alle facoltà evocative, non descrittive della pittura. Verosimilmente potrebbe esserci un uomo seduto, ma potrebbe anche essere una natura morta di strumenti musicali. Carlo Carrà | funerali dell’anarchico Galli 1911- 1912 14 maggio 1906: il titolo venne intagliato dal “Corriere della sera” per commentare il corteo funebre che condusse al cimitero milanese la salma di Angelo Galli, ucciso durante una colluttazione mentre tentava di imporre un blocco allo stabilimento metalmeccanico Macchi, nei giorni in cui dilagavano in città scioperi e manifestazioni operaie. Nel disegno iniziale Carrà riporta una massa compatta di anarchici senza tensione. Decise poi di conferire al dipinto un significato del tutto nuovo all'episodio, trasformandolo in una scena drammatica dal significato memorabile: le scomposizioni volumetriche di radice cubista offrivano un’interpretazione convincente dell’aspirazione anarchica a travolgere gli assetti stabili della società contemporanea. Nel capovolgimento pressoché parodistico di ogni valore ingaggiato dal movimento futurista, l’osservatore doveva immedesimarsi nella scena evocata, non per condividere le ragioni della protesta anarchica, estranea alle convinzioni marinettiane, ma per Arturo Martini La puttana Terracotta dipinta con base in gesso patinato 1913 Con dei precedenti discutibili e controversi, l’opera confermava la predilezione dell’autore per soggetti scabrosi che era generalmente condivisa dall’avanguardia futurista, dalla quale Martini rimase comunque indipendente. Martini lavorava in quegli anni a sculture in gesso e terracotta modellate da un solo lato e incise con la stessa. La puttana mostrava un'articolazione spaziale più complessa, per quanto sembrasse lavorata in successione sui singoli lati anziché scaturita da un unico gesto plastico: nel profilo, i segni della stessa sottolineano la definizione bidimensionale del volto; di fronte, quest’ultimo svela la sua matrice pittorica nei visi allungati dal Derain bizantino. Giorgio de Chirico Nature morte. Turino printanière 1914 Il primo piano appare come una ribalta teatrale su cui sono posati un carciofo, un uovo, un libro giallo; sullo sfondo emergono una statua con cavallo, un paesaggio collinare e un palazzo alto. L’opera rappresenta il soggiorno torinese del 1911. Il monumento non è dedicato a Vittorio Emanuele II, come recita la scritta parzialmente visibile sul basamento, ma a Carlo Alberto. La torre angolare ricorda i torrioni della Conciergerie a Parigi. Il velato omaggio a Nietzsche risiede nell’ambigua follia che aveva portato il filosofo a identificarsi con Carlo Alberto o Vittorio Emanuele Il. La mano nera riprendeva le insegne dei negozi nelle vie cittadine, ma con il dito puntato costringeva a indagare il significato degli oggettiin primo piano e delle loro relazioni. L'uovo era simbolo di rinascita. Il carciofo alludeva a un sogno rivelatore che de Chirico aveva già trasferito in pittura nel 1913, quando aveva iniziato a sconnettere i nessi sintattici delle composizioni per allestire confronti inediti fra elementi incongrui. Il libro con la copertina gialla era Also sprach Zarathustra di Nietzsche o Le avventure di Pinocchio: entrambi i testi restituiscono un’irrazionalità chiaroveggente del sogno e l’impertinenza del mondo infantile. Carlo Carrà Festa patriottica “Dipinto parolibero' Collage ” 1914 Riprodotto su “Lacerba”, l’opera costituì l'approdo più originale raggiunto dai futuristi nella tecnica del collage, svincolata dai modelli cubisti conosciuti nei mesi precedenti a Parigi. Sebbene l’opera fosse stata letta in chiave interventista, essa voleva evocare il disordine festoso di una città coinvolta nelle celebrazioni dello Statuto albertino che si svolgevano ogni anno. Lo spettro percettivo si dilatava per la pressione di stimoli acustici spesso violenti e di impressioni visive ugualmente imperative e disordinate, in un capogiro di sensazioni disparate in cui lo spettatore doveva precipitare per la forza centripeta dei cerchi concentrici. La girandola dei settori circolari si offriva a interpretazioni molteplici, con una prima corrispondenza nell'impianto urbanistico di Milano. La barra diagonale, fissa sul perno centrale su cui ruota l’intera composizione, poteva essere l’elica di un aeroplano che, sorvolando la città, lasciava cadere manifesti e volantini, ossia, per traslato, le carte depositate sul collage. Henri Matisse Vue de Notre-Dame 1914 Dopo essersi trasferito a Parigi, Matisse osserva la cattedrale e la ritrae in più circostanze. Il dato percettivo si fece sempre meno ingombrante in quanto sottoposto a un processo di astrazione. Ciò che interessava al pittore era il dialogo che si instaurava fra la superficie della tela e la profondità della veduta prospettica. La tela e la finestra qui coincidono: la struttura arcuata del ponte, le linee prospettiche del lungofiume producevano sul primo piano il fragile diaframma di una ringhiera, il vetro della finestra aperta si annullava nel riflesso azzurro, mentre il volume della cattedrale, con le sue torri, si isolava in alto come un'icona. L’azzurro era una scelta necessaria, così come era ovvia la macchia verde degli alberi in prossimità della cattedrale. La stesura discontinua delle pennellate contribuiva a configurare l’opera come una sorta di palinsesto pittorico, in cui lo sguardo dell’osservatore doveva essere sollecitato a reagire in un percorso di scoperta continua. Umberto Boccioni, Carlo Carrà, po Tommaso Marinetti, Ugo Piatti, Luigi Russolo Sintesi futurista della guerra Milano 20 settembre 1914 1914 La data simbolica rimandava all’anniversario della presa di Porta Pia: la guerra contro l’Austria doveva contemplare il processo risorgimentale liberando i territori di Trento e Trieste. La lotta “Futurismo contro Passatismo” rovesciava sul sistema delle alleanze militari gli argomenti polemici con cui il futurismo si era affacciato sulla scena artistica: uno scontro militare che inglobava uno scontro ideologico e contrapposto. Lo schema grafico con il vertice acuto interpreta la manovra a cuneo contemplata dalla tattica militare. Kazimir Malevit Quadrato nero 1915 Opera capitale del suprematismo: la soluzione finale di tutti gli sforzi compiuti dalle avanguardie per sottrarsi all’attitudine mimetica della pittura tradizionale, quindi l'avvio di un percorso fondato sull'identità autonoma e sul valore assoluto dell’arte. L'allestimento dell’esposizione collocava il dipinto in alto, in un angolo fra due pareti, nella posizione normalmente riservata alle icone religiose nelle case russe. L’opera è un'icona svincolata da qualsiasi possibilità di confronto con il mondo delle apparenze naturali e pure sottratta alla sensibi soggettiva dell'artista; il colore portato al punto estremo in cui veniva bruciata ogni qualità percettiva, così come qualsiasi associazione immaginifica. È un grado zero della pittura. Spiritualismo e profetismo convergono nell’opera, scevra da contenuti religiosi o filosofici da interpretare in chiave artistica e che avrebbero relegato la pittura in posizione subordinata: l’arte è processo creativo. Quadrato nero era un atto di resistenza verso ogni lenocinio formale o contenutistico, e di fronti a ogni oltraggio confermava il suo significato assoluto. Francis Picabia Ici, c'est tieglitz 1915 All’inizio del 1915 il pittore ritornò a New York per sfuggire l’arruolamento in guerra: vi erano anche Duchamp, Man Ray e altri. Collaborò alla nuova rivista “291” e travasò dentro la cultura statunitense le provocazioni più audaci dell'avanguardia parigina. L’opera rivela tratti meccanomorfi e la singolarità delle immagini consisteva nella negazione della fisionomia individuale, che veniva sostituita da apparecchi elettrici o congegni meccanici allusivi all'identità professionale dei personaggi chiamati in causa. Gli oggetti erano desunti dalle inserzioni pubblicitarie, tuttavia Picabia non si limitò a riprodurre le immagini trovate, ma ne semplificò i contorni accentuando il processo di banalizzazione formale tipico del linguaggio pubblicitario, la cui forza persuasiva è affidata a icone di nitida evidenza. In /ci, c'est ici Stieglitz la scritta “IDEAL” in caratteri gotici contrastava, per la desuetudine del contenuto e della veste formale, con la limpida definizione dell'oggetto meccanico, quasi volesse riverberare una patina antica sul lavoro di Alfred Stieglitz. Marcel Duchamp Fountain 1917 Duchamp si presenta con la firma “R. MUTT | 1917” alla mostra della Society for Indipendents Artists di New York e rifiutata dal comitato organizzatore. La vicenda fu discussa nell'articolo The Richard Mutt Case, con una fotografia scattata da Alfred Stieglitz nei locali della galleria 291 in cui l’opera era stata dirottata. Si respingevano le accuse di volgarità morale e concettuale provocate dalla natura dell'oggetto, ossia un orinatoio, osservando che articoli simili erano normalmente esposti nelle vetrine degli idraulici della città. Lo pseudonimo di Duchamp parodizzava l'insegna del negozio J. L. Mott Iron Works in Fifth Avenue. L’opera presumibilmente ironizzava sulle velleità degli artisti locali asserendo che il talento artistico degli americani si esauriva in due attività: la produzione di sanitari e la costruzione di ponti; fuori di queste categorie Otto Dix Prager Strasse Olio e collage su tela 1920 Nessuna guerra era paragonabile alla carneficina del primo conflitto mondiale, né aveva precedenti l’oltraggio violento inferto al corpo dei soldati dagli ordigni bellici. Nel 1920, Dix dedica quattro opere ai mutilati di guerra. AI centro dell’opera troviamo due mutilati, l’uno costretto a muoversi con un carrellino di fortuna, l’altro accucciato a terra perché privo di piedi, mentre fuori campo un terzo reduce impugna con una protesi un bastone per ciechi. Abbiamo contraddizioni polemiche, a partire dal confronto paradossale fra le immagini totali dei mutilati e quelle parziali delle persone integre: le classi agiate non avevano combattuto, mentre le classi popolari, nolenti, erano state costrette a recarsi al fronte. Soltanto i ricchi potevano permettersi protesi adeguate, ma non ne avevano bisogno. Al danno si aggiungeva la beffa. La bambina sul fondo indica nella vetrina alcune pubblicità di contraccettivi e strumenti abortivi dichiarati illegali nel 1915. Pregiudizi raziali, terrore di contagi da malattie veneree, intrighi politici animano l’opera di Dix, consegnando al pubblico un drammatico e disilluso retroscena del primo dopoguerra. George Grosz Die Besitzkròten 1921 ca. Appartiene agli anni più intensi dell'impegno politico di Grosz, il quale riversò lo sdegno irreprimibile per la società tedesca, i cui squilibri erano stati esasperati nel dopoguerra dalla depressione economica, fra la corruzione della classe dominante, viziosa e violenza, e la disperazione inane del proletariato. In città c'erano i grassi borghesi arricchitisi con la guerra, sempre occupati ad arraffare denaro, banchettare e palpare prostitute, mentre i militari infilzavano nuove vittime nelle strade per assicurare l'ordine pubblico. Gli strumenti linguistici dell'avanguardia rafforzavano questi stridori, con interferenze ravvicinate fra ambienti privati e vedute urbane: qui, l'orizzonte molto alto consente un lungo indugio sul primo piano di giungere in alto alla cesura finale, dove scatta la contraddizione polemica che svela il vero contenuto della scena principale. Felice Casorati Silvana Cenni Tempera su tela 1922 L’opera appartiene alla serie di ritratti immaginari dipinti da Casorati nel primo dopoguerra: un nome di pura invenzione era imposto a singole figure femminili in posa in ambienti domestici. Il luogo era in questo caso la scuola di pittura aperta dallo stesso Casorati nel 1921 a Torino. La modella indossa un camice bianco tipico dell’allieva. Si aggiunge un’altra deviazione dalla verità nella veduta del Monte dei Cappuccini che era impossibile cogliere dall'ambiente reale: anche in questo caso, una risorsa formale diretta a consolidare la concretezza di una narrazione pittorica intessuta di citazioni colte. Il riferimento immediato è con Piero della Francesca, dato anche dalla rigorosa impostazione simmetrica della figura. La soluzione finale rese più incombente ed enigmatica la presenza femminile che i critici dell’epoca vollero paragonare a un personaggio pirandelliano, per l’indole fantastica e cerebrale. La scelta di prelevare figure di alta tradizione deriva anche dal linguaggio metafisico di Carrà, Morandi e de Chirico che stava circolando in quel periodo. Naum Gabo Column Originale perduto (replica del 1937) 1923 ca. La realtà della pittura e della scultura risiedeva nella concretezza dei rispettivi mezzi linguistici, non nelle virtù mimetiche o descrittive, e il compito dell’artista nulla concedeva all’improvvisazione istintiva, ma seguiva una disciplina di natura scientifica. Colonne e torri furono rappresentazioni frequenti nella produzione di Gabo degli anni Venti: esprimevano la volontà condivisa degli scultori astratti di confrontarsi con il linguaggio dell’architettura contemporanea, di cui condividevano il fondamento geometrico e l’esigenza di controllare in modo razionale la progettazione dell’oggetto. La scultura non era modellata o scolpita nelle materie tradizionali, ma costruita con materiali di produzione industriale. In questo lavoro il volume è scomposto nei rapporti fondamentali: i due piani verticali, intersecati a croce, individuano l’asse centrale, mentre tracciano le direttrici essenziali che situano l'oggetto nello spazio; la sottile corona circolare, appoggiata obliqua alla base, indica la possibile circonferenza della colonna. La base nera e lucida potrebbe costituire il basamento per un'eventuale declinazione dell’opera in chiave monumentale. Fernand Léger Ballet mécanique Fotogrammi del film 1924 Il filmato nacque in collaborazione con il regista americano Dudley Murphy, che gli fornì l'assistenza tecnica, e con il musicista George Antheil, che compose la colonna sonora. Figure geometriche e congegni meccanici gli servirono per definire l’avveniristico laboratorio dell'ingegnere protagonista del film. In modo più radicale per l'assenza di trama, Léger concepì il film come uno spettacolo puramente visivo in cui sequenze di immagini diverse, giustapposte in un montaggio molto ritmato, si imponevano allo sguardo con un effetto di crescente tensione. Si succedono anche effetti di diffrazione luministica su superfici metalliche che vengono poi alternati agli occhi spalancati della modella, alle bottiglie e ai numeri, a una sedia rovesciata. Sfruttando le risorse proprie del linguaggio cinematografico Léger confermò nell’opera le scelte formulate nei dipinti coevi: i dettagli ingranditi degli oggetti, per cogliere ciò che lo sguardo non può altrimenti vedere; la struttura paratattica, per esaltare i contrasti fra le singole forme; il confronto perentorio fra luce e ombra per tradurre nel bianco e nero della pellicola i contrasti cromatici protagonisti delle tele. La spazio urbano si confermava come il luogo privilegiato per sperimentare la realtà contemporanea nella sua vitale incoerenza. Giorgio de Chirico Autoritratto Tempera su tela 1924- 1925 Era eloquente l'accostamento del volto del pittore a busti classici e ad epigrafi dal significato programmatico. La consuetudine di avvicinare personaggi viventi e statue in gesso era già stata sperimentata negli anni parigini. Negli anni Venti, il confronto tra figura umana e simulacro plastico assunse una diversa connotazione. La realtà doveva spogliarsi degli aspetti effimeri per acquisire una dimensione atemporale, e la presenza delle sculture contribuiva alla sostenutezza formale e ideologica del risultato finale. “Invitiamo i pittori redenti e redentori alle statue. Sissignori, alle statue [...] per disumanizzarvi un po’ ché malgrado le vostre puerili diavolerie, eravate ancora umani troppo umani”. L’auto-ritrattistica di De Chirico si avvicina alla statuaria, vista come una dimensione dell'immortalità e della gloria artistica, in quanto la statuaria è l'ambito artistico in cui si attua la disumanizzazione e la conseguente eternizzazione, attraverso lo svestirsi dei tratti umani e l'avvicinarsi ad un canone estetico eternizzante. De Chirico attua questo sviluppo studiando i busti classici e le opere della tradizione. Governate con estremo rigore, le composizioni di Mondrian non scaturivano dall’istintiva capacità del pittore di giudicare con lo sguardo la tenuta del loro equilibrio, e come fatti visuali, non concettuali, dovevano essere apprezzate. Arturo Marti Il figliuol prodigo Gesso 1927 Dell’opera, spiaceva il sapore arcaico della scultura, per la quale si chiamarono a confronto modelli di epoche diverse, dai bronzi ercolanensi alla statuaria tardoromana, dai reperti pompeiani alla plastica romanica. Elementi della tradizione estetica classica venivano utilizzati per rappresentare una parabola evangelica. L’opera nasceva da una rilettura della Deposizione duecentesca custodita nel duomo di Tivoli. Era la difficile articolazione plastica dei personaggi, nella soluzione a tutto tondo, a sostenere l’effetto patetico del Figliuol prodigo, come se la trepidazione dell'incontro lungamente atteso non permettesse all’abbraccio di concludersi. Karl Hubbuch Hilde con asciugacapelli, bicicletta e sedia da birra Acquerello su litografia su cartone 1928- 1929 La precisione analitica del disegno veniva applicata con uguale intensità alle figure femminili e agli oggetti tipici della modernità: la moglie Hilde con un asciugacapelli elettrico e la poltrona B3 progettata nel 1925 da Marcel Breuer. Come altri mobili, essa prevedeva l’uso del tubo metallico curvato per la struttura, su cui erano impostati i piani inclinati della seduta e dello schienale. Per Hubbuch, il dominio della figurazione non comportava citazioni dai maestri antichi, come avveniva per gli altri autori; il taglio ravvicinato delle immagini, gli angoli di ripresa spesso inusuali, la forza dinamica del segno grafico, connotavano piuttosto la piena assimilazione dei valori tipici del proprio tempo, con umorismo. La posa scomposta della donna sembrava interpretare lo spirito irriverente della modernità, quasi fossero i nuovi oggetti di produzione industriale a determinare nuovi comportamenti. L’asciugacapelli era impugnato come una pistola, puntata verso un personaggio che si deve immaginare al di là del letto sfatto. Max Ernst Se nourrissant souvent de réves liquides et tout à fait semblables à des feuilles endori s, voici mes sept soeurs ensemble. (Spesso nutrendosi di sogni liquidi e piuttosto come foglie addormentate, ecco le mie sette sorelle insieme.) 1929 L’opera appartiene a La femme 100 tétes. In questo ambito, Ernst capovolse la relazione fra scrittura e immagine, per la priorità conferita all'apparato iconografico, con centoquarantasette tavole, provviste di didascalie. di carattere evocativo, raccolte in nove capitoli. Alcuni elementi iconografici ricorrenti e alcune concordanze nelle didascalie servivano a irretire il lettore nello sforzo di individuare una linea narrativa coerente nella sequenza di immagini, nonostante ogni possibilità di dominio razionale sui contenuti venisse continuamente frustrata. La moltiplicazione delle chiavi interpretative era del resto adombrata nella declinazione polisemica del titolo, la cui interpretazione letterale doveva confrontarsi con le letture suggerite dalla pronuncia omofonica, che alludeva alle diverse identità della protagonista. Nella nostra tavola era forse evocata, con la moltiplicazione delle figure, la “donna dalle cento teste” in quanto miniata da una dissociazione della personalità. René Magritte Les mots et les images “La Révolution surréaliste” 15 dicembre 1929 1929 Magritte dichiarò di aver compreso il fondamento intellettuale della pittura davanti ai dipinti di De Chirico: la pittura non era soltanto creazione di immagini, era anche una forma di pensiero: leggibilità immediata delle immagini e l'assurdità delle loro reciproche relazioni. Alla base c’era la consapevolezza del carattere artificioso della pittura e della sua inutile pretesa di rappresentare la realtà. Magritte preferì lavorare in termini contraddittori sulla dimensione illusionistica della pittura, per svelarne l’inganno. Magritte non poneva degli enigmi irraggiungibili, produceva piuttosto un discorso di carattere metalinguistico, facendo scattare nell’osservatore delle considerazioni sull’irrimediabile alterità dell’arte rispetto al mondo visibile. Nel suo lavoro, la finestra della pittura non si apriva sull’irrazionalità del sogno, ma sull’oggettiva irrealtà della pittura stessa. Nel dicembre 1929 Magritte pubblicò sulla “Révolution surréaliste” una casistica esemplificativa delle relazioni che si intrecciano fra sistemi linguistici di natura differente, iconici e verbali, quando sono posti in reciproco confronto oppure in rapporto alle cose reali. Le diciotto vignette dal tratto elementare mettevano in scena situazioni in gran parte affrontate nei dipinti, in cui la seduzione mimetica della pittura era contraddetta nel momento stesso in cui veniva affermata. La misura razionale con cui Magritte dipanava le sue logiche dimostrazioni nasceva sotto il segno di una dissociazione irrazionale e assurda. Objects mobiles et muets “Le Surréalisme au service de Révolution' Dicembre 1931 ” 1931 Trasferitosi a Parigi nel 1922, cominciò a frequentare il gruppo surrealista. Alla dimensione irresponsabile della creatività artistica che i manifesti di Breton presentavano in termini di “automatismo psichico” oppose nel suo lavoro un'attitudine meno innocente, se non feroce, per dare corpo a pulsioni distruttive e violente. Nel dicembre 1931, su due pagine di una rivista surrealista, Giacometti ritrasse i lavori recenti sotto il titolo di “oggetti mobili e muti”, ossia sculture dotate di potenzialità cinetiche e di una singolare eloquenza che dovevano essere sollecitate a rivelarsi dall'intervento diretto dell’osservatore. Toccare l'oggetto è un’operazione propedeutica alla sua conoscenza. Impugnare una forma fallica o scuotere una sfera di gesso evocavano un rapporto di natura erotica che implicava nell’osservatore un atteggiamento voyeuristico, lo obbligava a concretarsi attraverso la spinta impressa dell'oggetto sospeso, lo turbava per il contatto sempre eluso. Un'opera d’arte può farsi incarnazione di desideri e di perversioni. Otto Dix Der Krieg (pannello centrale) Tecnica mista su tavola 1929- 1932 Dopo aver combattuto in trincea durante il conflitto mondiale, l'entusiasmo patriottico che aveva accompagnato l'arruolamento si capovolse in rabbia feroce. Nella nostra opera, Dix fa convergere elementi e personaggi della drammatica sfera bellica e iconografie prelevate dal Quattro e Cinquecento, realizzando un’iconografia cristiana della Passione: la salita al Calvario nell’anta sinistra, dove i soldati marciano verso il fronte; la Crocifissione nella scena di devastazione al centro; la Deposizione a destra, dove un soldato regge il cadavere di un compagno; infine, il sepolcro, nella predella. Dix non aveva mutato la convinzione di dover affrontare con sguardo critico la realtà contemporanea, per denunciarne le tragedie. La tomba era una trincea in cui i soldati dormivano allineati; in guerra, l’unico conforto era la solidarietà fra commilitoni: nell’anta destra la citazione del gruppo ellenistico di Menelao che sorregge il corpo di Patroclo conferiva una dimensione eroica alla pietà umana. Mario Sironi Il lavoro Murale (distrutto) 1933 In occasione dell’allestimento di forme di arte che rappresentassero la civiltà italiana, Sironi scelse il tema del lavoro. In una dimensione atemporale, in cui dialogavano figure e edifici di epoche diverse, dall'antichità all’età contemporanea, il dipinto esprimeva la sostanziale continuità della storia civile italiana: tra le figure c'erano un centauro e una canefora, un contadino e un falegname, una modella e una donna che legge; sul fondo, gru e ciminiere, una cupola rinascimentale, un acquedotto romano. Sironi rimodulava linguaggi d’avanguardia, traducendo in termini pittorici la composizione paratattica dei fotomontaggi. Dell’opera si denunciò la contraddizione fra il proposito dichiarato di rinnovare la tradizione italiana dell’affresco e il linguaggio prossimo dell’avanguardia internazionale. Alexander Calder Arc of Petals Alluminio naturale e dipinto, filo di ferro IN'Yx 1941 Calder arrivò a Parigi nel 1926 e cominciò a creare piccole sculture con filo di ferro, legno, latta e stoffa: erano attori del circo, acrobati, trapezisti, contorsionisti in equilibrio precario, vivi nello spazio per una definizione essenzialmente grafica. Generò sculture liberamente oscillanti nel vuoto per la leggerezza delle forme e dei materiali, e per l'equilibrio instabile della loro composizione. Nei mobiles le sagome sospese ai fili metallici non avevano una forma geometrica, ma nascevano dal taglio istintivamente praticato con le cesoie nelle lamine sottili. In questo caso è la sagoma spigolosa fissata all'estremità del secondo arco, dall'alto, a fare da timone, mentre una vibrazione più rapida è concessa agli elementi minori, in basso. La struttura complessiva era articolata su punti minimi di connessione: gli anelli ottenuti con la torsione dei fili di ferro, i fori praticati nelle sagome metalliche per infilarvi, e quindi fissarvi, l'estremità del filo metallico. Arturo Martini Donna che nuota sott'acqua Marmo di Carrara 1941- 1942 Maturò la convinzione che il significato storico della scultura fosse ormai esaurito e affidò le proprie amare riflessioni al libro La scultura lingua morta, edito nel 1945. Di fronte alla libertà di cui fruiva la pittura nella scelta e persino nell’abolizione dei soggetti, e nell’invenzione dei propri strumenti espressivi, la statuaria gli appariva schiava della figura e costretta a funzioni illustrative. Nella nostra opera, la definizione della figura vi era formulata in modo completamente nuovo perché svincolata dai condizionamenti della statuaria antica. La continuità dei piani plastici, insieme alla sconnessione anatomica del nudo, restituivano in modo sintetico quell’impressione di un movimento fluido e variato con la chiarezza imposta dalla lavorazione del marmo. All’effetto dinamico contribuivano l'abolizione del basamento, con la sospensione del volume su tre sostegni lineari, e lo spazio vuoto liberato fra le singole parti della figura per evitarne la reciproca aderenza, così da contraddire la compattezza del blocco plastico e modellare un'immagine dinamica. Ma fu la decisione improvvisa di mozzare la testa della figura a conferire al nudo un significato più astratto. “Il passato è morto e con esso tutte le sensibilità, compresa quella greca”. Jackson Pollock Stenographic Figure 1942 Il dipinto doveva il suo valore alla duplice natura adombrata nella doppia titolazione: il disordine apparentemente incomprensibile nasceva dalla sovrapposizione di almeno due livelli percettivi, l'uno ancorato alla presenza della figura nella profondità spaziale, l’altro alla presenza pervasiva dei segni pittorici sulla superficie della tela. In entrambi i casi rifluivano le esperienze decisive dell’avanguardia europea accostate dal pittore nelle mostre al MoMA. La violenta disarticolazione del nudo femminile chiamava in causa l’esempio autorevole di Picasso. In quest'opera la composizione del nudo avviene per nuclei distinti, la testa di profilo, le braccia con le mani ad artiglio, le gambe divaricate e allineate in verticale all'estrema destra. Si genera un effetto complessivo di instabilità nervosa ed eccitata, ulteriormente amplificato dalla disseminazione sulla tela di segni aritmetici, numeri e tracce senza significato apparente, se non quello di complicare la percezione dell'immagine. In Stenographic Figure la trama segnica galleggia sulla profondità illusoria della scena come se fosse tracciata su uno schermo trasparente posto davanti alla figura, se non sul dipinto già concluso, come rivela la sua sovrimpressione alla firma del pittore, e costringe la nitida partizione cromatica del fondo a emergere in primo piano, dilatando la percezione dello spazio. Piet Mondrian Broadway Boogie Woogie 1942- 1943 Mondrian arrivò a New York nell'ottobre 1940 per sfuggire la guerra. La città esaltò in Mondrian l'attrazione per l’universo dinamico della metropoli, sollecitando una variazione decisiva nel suo sistema pittorico, con la declinazione in chiave cromatica delle griglie ortogonali. L’opera fu l’esito più sorprendente del suo linguaggio: le ortogonali persistevano ma erano animate da vibrazioni impulsive prodotte dai contrasti ravvicinati dei colori primari, che interpretavano lo staccato ritmico del boogie-woogie. Amante della musica jazz, l’opera esprimeva la felicità della musica da ballo americano. | rettangoli di colore interpretavano “la melodia sincopata del boogie-woogie”, le brevi linee interrotte traducevano “le increspature degli accordi di base”. Giorgio Morandi Paesaggio 1944 Morandi si dedicò alla pittura di paesaggio. Nutrito da un'osservazione dei paesaggi di Cézanne, del doganiere Rousseau, di Seurat e Corot, il pittore sembrava prediligere il taglio ravvicinato di un’immagine, senza’ linea d’orizzonte, per concentrarsi sui giochi grafici generati da luci e ombre sul primo piano. Dopo esser ritornato a Grizzana e dopo la caduta del regime fascista, Morandi si dedicò quasi esclusivamente alla pittura di paesaggio. Per paura dei bombardamenti aerei e per le irruzioni belliche, Morandi trovava il confronto nella pittura. Questo paesaggio fu dipinto nel marzo 1944, dopo una nevicata tardiva. Il severo confronto fra valori positivi e negativi assume un senso drammatico per l'evidenza dei segni pittorici scavati nella materia. LészI16 Moholy-Nagy Spiral Plexiglas 1946 Fondò il New Bauhaus a Chicago, per rinnovare l'esperienza didattica della scuola cui era approdato nel 1923 e per confermare il fondamentale slancio utopico: non aveva infatti deposto la convinzione che il costante rinnovamento dei linguaggi artistici potesse produrre, attraverso un'estensione dei modi della percezione e della conoscenza dell’uomo, una trasformazione positiva della società. L'autore utilizza principalmente prodotti industriali per via dei vantaggi che potevano offrire. L’uso del plexiglass, per la sua malleabilità, indusse Moholy- Nagy a verificare un'articolazione più complessa del linguaggio plastico, fuori dalla disciplina geometrica che dominava le opere precedenti. L'artista lavorava manualmente il prodotto industriale: la lastra di plexiglas veniva dapprima incisa e perforata in alcune parti, per arricchire il dialogo fra pieni e vuoti, e veniva quindi introdotta nel forno, dove subiva una forte deformazione per effetto termico. Ne derivava una configurazione più libera dell'oggetto plastico nello spazio e una complicazione della sua definizione, poiché le estroflessioni, le curvature, le concavità e le convessità alternate rendevano irriconoscibile la superficie di partenza, non soltanto per le sovrapposizioni dei profili arabescati, ma anche per le interferenze della luce e dei riflessi deformati dell'ambiente circostante sulle parti ricurve e lucide. Henri Matisse Vénus Papier découpé 1952 Apollinaire riconosce la peculiarità di Matisse nella capacità di conciliare le due risorse fondamentali della pittura, cioè il disegno e il colore, in genere percepite come antitetiche, in una relazione esatta che faceva apparire fortuita qualsiasi altra combinazione. Impugna le forbici e il pennello, durante una convalescenza obbligata a causa di un'operazione chirurgica. Alcuni assistenti coloravano dei fogli di carta in cui egli ritagliava poi figure umane, che venivano in seguito composte e fissate alle pareti dello studio, incollate su fogli bianchi. Linea e colore interagivano in modo inedito. Nel 1952 eseguì la