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*RIASSUNTO* FELICIANO BENVENUTI, Scritti giuridici, Vol.I, V&P, Milano, 2006, pp 437-535, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

RIASSUNTO PERFETTO: Il testo del Benvenuti -che, scritto anni e anni fa, risulta di ostica lettura e presenta ripetizioni di concetti- è qui estratto in maniera attuale, con un linguaggio più scorrevole e discorsivo, tale da rappresentare un valido aiuto a tutti i colleghi studenti. Il testo è sempre uguale negli anni: questo documento è caricato a fine 2023 ma sarà valevole in eterno in quanto caposaldo dell'esame di diritto amministrativo presso la Cattolica di MIlano. Per il superamento dell’esame, il testo del Benvenuti è da capire e conoscere alla perfezione; il mio riassunto è pertanto completo in tutte le sue parti, senza nulla tralasciare, per agevolarne comprensione e memorizzazione e consentire una rapida ripetizione. Scrupolosamente diviso negli stessi capitoli che, al fine di rendere più omogenea la spiegazione dei concetti, raggruppano i paragrafi presenti nelle 98 pagine del testo da studiare. Riassunto perfettamente in 19 pagine e testato più che positivamente.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 10/10/2023

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Scarica *RIASSUNTO* FELICIANO BENVENUTI, Scritti giuridici, Vol.I, V&P, Milano, 2006, pp 437-535 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! pag. 1 DIRITTO AMMINISTRATIVO. Riassunto personale per lo studio e la ripetizione delle pagine (da 437 a 535) del Benvenuti. Il testo del Benvenuti -che, scritto anni e anni fa, risulta di ostica lettura e presenta ripetizioni di concetti- è qui estratto in maniera attuale, con un linguaggio più scorrevole e discorsivo in modo da rappresentare un valido aiuto a tutti i colleghi studenti. Per il superamento dell’esame, il testo del Benvenuti è da capire e conoscere alla perfezione; il mio riassunto è pertanto completo in tutte le sue parti, senza nulla tralasciare, per agevolarne comprensione e memorizzazione e consentire una rapida ripetizione. Scrupolosamente diviso negli stessi capitoli che, al fine di rendere più omogenea la spiegazione dei concetti, raggruppano i paragrafi presenti nelle 98 pagine del testo da studiare. Riassunto perfettamente in 19 pagine e testato più che positivamente. È consigliato studiarlo dopo aver almeno letto il manuale (Clarich). N.B. il seguente testo è frutto di lavoro personale e di estrapolazione concettuale, in larga parte con parole proprie, di un testo di studio. NON È E NON VUOLE ESSERE un documento non originale, una copia di libri, articoli o manuali non miei. Ogni diritto del testo originale è riservato all’autore dello stesso. Nota di A.G., autore. Settembre 2023, MILANO TESTO DI RIFERIMENTO IN ESAME: FELICIANO BENVENUTI, Scritti giuridici, Vol.I, V&P, Milano, 2006, pp 437-535 (estratto dagli Appunti di diritto amministrativo. Parte generale, Cedam, Padova, 1987). pag. 2 III. La sovranità Comprendente: 7. Determinazione giuridica della sovranità 8. Sovranità e potere d’imperio 9. La funzione sovrana e la divisione dei poteri 10. La distinzione delle funzioni sovrane La posizione sociologica “autorità”, in quanto originaria, si chiama SOVRANITÀ. Essa è la capacità dello Stato di porsi come soggetto di un ordinamento e titolare di posizioni giuridiche. Nello Stato di diritto anche la sovranità va sottoposta alla legge. Lo Stato esercita la sua sovranità attraverso il POTERE, che è configurabile come un’energia capace di spostare le posizioni giuridiche dei soggetti di un ordinamento mediante un atto, esercizio di quel potere. Questa energia, che nella norma giuridica si esprime attraverso un COMANDO o PRECETTO, è espressione della forza dell’autorità e della forza della libertà ed in termini giuridici si chiama POTERE D’IMPERIO (se esercitato da Enti che ricevono autorità dallo Stato) o POTERE D’IMPERIO SOVRANO, se esercitato direttamente dallo Stato. La sottoposizione dello Stato alle leggi è stata possibile poiché i giuristi sono partiti dall’osservazione di un dato: in ogni agire umano è possibile distinguere 3 momenti fondamentali: 1) l’affermazione di ciò che si vuole; 2) l’attuazione del voluto; 3) il controllo circa l’idoneità dell’attuazione (fatto o atto) al voluto. Trasportando questo dato ai momenti di esplicazione della sovranità da parte dello Stato, si è identificato il primo momento (1) con l’enunciazione della regola di comportamento, il secondo (2) come l’esecuzione della regola ed il terzo (3) come il confronto tra l’enunciazione e l’esecuzione della regola. A questi tre momenti di esplicazione del potere sovrano si è dato il nome di FUNZIONI SOVRANE: rispettivamente (1) legislativa, (2) esecutiva e (3) giudiziaria. La prima si esplica attraverso un atto statutale normativo, la seconda attraverso un atto statutale di concretizzazione di una norma giuridica, la terza attraverso un atto statutale decisorio della corrispondenza atto/norma. Bisogna però trovare un espediente per evitare che un singolo individuo o un solo gruppo di individui eserciti tutte e tre le funzioni. L’espediente fu teorizzato da Montesquieu e va sotto il nome di Principio della separazione dei poteri. Essendo tale principio soltanto politico-organizzativo e non essendo possibile distinguere gli atti soltanto dalla provenienza, è necessario distinguere se un atto è legislativo, esecutivo o giudiziario in base ad un principio diverso da quello della provenienza da un Potere sovrano. Il CRITERIO MATERIALE (contenuto materiale dell’atto) risulta insufficiente e talvolta fuorviante, dunque, da un punto di vista giuridico, ai fini di questa determinazione è molto più importante la FORMA che l’atto assume, in quanto alla forma corrisponde una particolare quantità ed intensità di effetti giuridici. Pertanto, si può anche dire che la natura delle Funzioni sovrane, e quindi gli atti di sovranità, si individuano non per la provenienza da un Potere o dal contenuto materiale, ma soltanto dalla forma o EFFICACIA FORMALE. Se la distinzione materiale tra le Funzioni corrisponde ad un criterio sicuramente logico, soltanto la distinzione formale e sostanziale corrisponde ad un criterio giuridico. pag. 5 Gli ENTI PUBBLICI (EP), dotati di personalità giuridica e potere d’imperio derivato: sono soggetti che lo Stato pone accanto a sé ma distanti de sé, per perseguire finalità che sono anche sue proprie, mediante l’uso di poteri d’imperio. Essi sono caratterizzati da tre particolarità che li contraddistinguono: 1) AUTONOMIA (darsi leggi da sé) 2) AUTARCHIA (amministrarsi da sé) 3) AUTOTUTELA (risolvere da soli i conflitti insorgenti dai loro atti) La Classificazione degli EP operata da Benvenuti distingue, intanto tra corporazioni, che tendono ad uno scopo di loro comune vantaggio, e fondazioni, che destinano un patrimonio da usare nell’interesse di terzi. La seconda e più importante distinzione riguarda: 1) ENTI TERRITORIALI 2) ENTI NON TERRITORIALI I primi sono capaci di usare poteri d’imperio rispetto a tutti coloro che si trovano nel loro territorio e vi appartengono necessariamente. Essi sono Regioni, Province e Comuni. Gli enti non territoriali sono tutti gli altri enti che non appartengono alla categoria degli enti territoriali. Data questa classificazione appena effettuata, si può operare una tripartizione tra: a) ENTE PUBBLICO TERRITORIALE SOVRANO (lo Stato) b) ENTI PUBBLICI TERRITORIALI NECESSARI (Regioni, Province, Comuni) c) ENTI PUBBLICI NON TERRITORIALI NON NECESSARI (tutti gli altri. Essi possono essere Nazionali o Locali) Gli enti pubblici territoriali necessari (Regioni, Province e Comuni) sono anche definiti ENTI AUTARCHICI TERRITORIALI. Si distinguono, infine gli Enti di Autogoverno che sono tutti quelli che hanno organi designati da loro stessi e non direttamente dallo Stato. Riguardo i rapporti intercorrenti tra Stato ed Enti Pubblici va chiarito che perseguono gli stessi fini. L’insieme degli EP si chiama anche AMMINISTRAZIONE INDIRETTA e/o AMMINISTRAZIONE DECENTRATA. Il decentramento si distingue in necessario (operato degli Enti Autarchici Territoriali) e non necessario (da tutti gli altri Enti). Il decentramento, oltre che da ragioni di necessità organizzativa è effettuato perché l’art. 5 Cost. enuncia il Principio del pluralismo amministrativo, che ammette che gli EP possano esercitare la funzione di pubblica amministrazione, funzione che non è esclusiva dello Stato. Questo pluralismo, però, non porta al disordine perché si esplica nell’ambito di un altro principio della pubblica amministrazione che è il principio dell’unità dell’ordinamento amministrativo. Sotto l’aspetto della relazione tra soggetti, basta dire che, tendenzialmente, i soggetti della PA sono tra loro indipendenti ma sussiste necessariamente la collaborazione. In generale, vige il principio dell’autogoverno (elezioni ecc.). Riguardo le relazioni tra attività, si può dire che non vi è nessun collegamento tra loro, essendo ognuna espressione di un soggetto giuridico indipendente. Lo Stato, tuttavia, si riserva il potere di sorveglianza (mediante ispezioni, invio di atti, sostituzione di organi) e di controllo (sia di legittimità sia di merito). In definitiva: ogni Ente ha soltanto fini propri anche se concorrenti son quelli degli altri e con questi coordinati nell’ambito dell’unico ordinamento complessivo. pag. 6 Può verificarsi, ed è ammesso, che in certi casi dei privati svolgano sostanzialmente un’attività di pubblica amministrazione. Esempi sono: 1) il procuratore, il notaio e talvolta anche il medico nell’espletamento del proprio lavoro; 2) nell’erogazione di un servizio pubblico (es. ferrovie) per concessione; 3) nell’agire in giudizio per l’interesse di un EP (es. azione popolare); 4) altre forme, seppur vaghe, come il cittadino che deve rendere testimonianza o si vede costretto ad eseguire un arresto in caso di assenza di forze dell’ordine ecc. Il più importante è, invece, l’esercizio di attività privata nell’interesse pubblico: 1) Le Banche e le Assicurazioni 2) Quando lo stesso Stato interviene nell’attività economica privata per soddisfare un interesse pubblico. Ne sono esempi le SPA IN MANO PUBBLICA, dove è lo stesso Stato che crea persone giuridiche private da esso gestite ma che non sono EP. VII. L’organizzazione amministrativa Comprendente: 24. Attribuzione e competenza 25. Differenziazione delle competenze 26. Il concetto di ufficio 27. Organizzazione propria e organizzazione impropria 28. Principali schemi organizzatori Con il termine ORGANIZZAZIONE si designa il modo in cui una persona giuridica ordina i propri organi. In ogni Ente, un principio sempre rispettato è quello della divisione del lavoro: esso comporta che l’attività dell’Ente venga ripartita tra più organi, facendo di essi degli ORGANI SPECIALIZZATI. Questa ripartizione dell’attività di un Ente tra i suoi organi si definisce con il concetto di COMPETENZA dell’organo, ossia quella parte di capacità di agire dell’Ente che l’organo è chiamato ad esplicare. Si parla, invece, di ATTRIBUZIONE con riferimento all’attività dello Stato tra i Poteri, ossia dell’insieme delle competenze spettanti agli organi di uno stesso Potere. Nel nostro ordinamento i criteri per la ripartizione delle competenze sono: 1) PER MATERIA (cioè l’oggetto dell’attività) 2) PER TERRITORIO 3) PER GRADO (ossia la posizione di un organo nei confronti di un altro organo) Competenza per materia significa la determinazione dell’attività amministrativa di un organo in relazione all’oggetto. Si distinguono, così, tre grandi rami di PA: pag. 7 a) ORGANI DI AMMINISTRAZIONE ATTIVA. Ai quali spetta di agire nei confronti dei terzi (cittadini, Enti Pubblici e privati). b) ORGANI DI AMMINISTRAZIONE CONSULTIVA. Forniscono all’amministrazione attiva consigli sulle vie da prendersi e i provvedimenti da emanare. c) ORGANI DI AMMINISTRAZIONE DI CONTROLLO. Seguono l’amministrazione attiva per assicurare legittimità e opportunità degli atti. Competenza per territorio significa la determinazione dell’attività amministrativa di un organo in relazione allo spazio. Si distinguono pertanto: a) ORGANI A COMPETENZA CENTRALE, con attività in tutto il territorio dell’Ente. b) ORGANI A COMPETENZA LOCALE, con attività in una sola parte dell’Ente. La ripartizione di competenze per territorio può essere attuata da qualunque Ente; particolarmente importante è se attuata dallo Stato, nel cui caso si usa l’espressione “decentramento burocratico”. Con esso lo Stato disloca i suoi organi su tutto il territorio, costituendo circoscrizioni amministrative nel cui ambito agisce un solo organo. Competenza per grado agisce quando tra due organi vi è identità di competenza per materia e per territorio. In questa situazione di “parità” supplisce la competenza per grado. Ripartendo gli organi per gradi, si dà luogo ad una GERARCHIA tra organi di uno stesso Ente. Al superiore in grado spettano poteri sull’inferiore, in ordine a: a) DIREZIONE b) SOSTITUZIONE c) DELEGAZIONE d) CONTROLLO SUGLI ATTI Volendo esaminare il concetto di UFFICIO, occorre distinguere tra ufficio persona fisica che soggettivizza l’organo e “ufficio” come insieme di mezzi, persone e cose che rendono possibile all’ufficio persona fisica esplicare la sua attività. Normalmente l’organo di amministrazione attiva ha sotto di sé un ufficio tanto più complesso quanto più è vasta la sua competenza. Spesso, poi, accanto all’organo attivo ci sono una pluralità di organi interni che non appartengono all’ufficio dell’organo attivo, ma hanno a loro volta propri uffici. Dell’ORGANO, invece, si possono dare varie classificazioni. Si distinguono così: 1) ORGANI INDIVIDUALI E COLLEGIALI 2) ORGANI OBBLIGATORI E VOLONTARI 3) ORGANI ONORARI E BUROCRATICI È importantissimo sottolineare come l’organo non agisce per rappresentanza, ma in nome e per conto proprio, e cioè in nome e per conto dell’Ente di appartenenza, con il quale è unica cosa. Quando un Ente ha una sua organizzazione esclusiva e i suoi organi sono dediti esclusivamente al perseguimento degli scopi dell’Ente del quale soggettivizzano la volontà, si parla di ORGANIZZAZIONE PROPRIA. Ciò è possibile soltanto quando ad impersonare un ufficio è chiamata una persona fisica. Se, invece, ad impersonare un ufficio è una persona giuridica, essa può perseguire sia gli interessi dell’Ente sia i propri. Se non agiscono esclusivamente come organi dell’Ente, si parla di organi impropri e di ORGANIZZAZIONE IMPROPRIA. Tipica figura di organizzazione impropria è, ad pag. 10 si parla di validità degli atti amministrativi. L’atto è valido se corrisponde pienamente alla fattispecie astratta costituita dalla norma. In caso di difformità si parla di invalidità, che in base al grado di difformità può essere assoluta e dare vita alla NULLITÀ o relativa e dare vita all’ANNULLABILITÁ. Gli elementi essenziali degli atti amministrativi sono: a) COMPETENZA b) CAUSA c) FUNZIONE Per CAUSA si intende il rapporto tra l’interesse protetto dalla norma e l’interesse immanente nella fattispecie reale. Questo rapporto diventa misura dell’atto e perciò suo elemento essenziale e determinatore. Per FUNZIONE si intende la stessa trasformazione del potere in atto. Questo elemento non è neutro ma viene di volta in volta condizionato dalle caratteristiche degli altri presupposti dell’atto amministrativo. Così, infatti, la fattispecie reale condiziona la trasformazione del potere imponendogli precisi limiti sostanziali quali sono equità e logicità; il soggetto la condiziona imponendole, in particolare, il limite dell’osservanza dei principi soggettivi e organizzatori propri del soggetto. *La Forma, invece, è soltanto estrinsecazione sensibile della funzione, quindi non può essere considerata come un elemento essenziale! Dal punto di vista degli elementi, gli atti amministrativi si possono qualificare: 1) DAL PUNTO DI VISTA DELLA COMPETENZA. Da questo punto di vista, cioè dal punto di vista dell’organo agente, si distinguono atti semplici o individuali, a seconda che vengano emanati da un organo individuale o collegiale, ma sempre espressione della volizione di un solo organo. Sono, invece, collettivi quelli che risultano da una somma di manifestazioni di volontà di più organi. In tal caso l’atto è unico solo in apparenza poiché in realtà si è in presenza di tanti atti quanti sono gli organi che si sono riuniti. Si hanno, dunque, atti collettivi quando gli organi di uno stesso Ente danno vita ad un unico atto perseguendo un identico fine. Infine, sono complessi quegli atti nei quali non si ha una semplice somma ma una collaborazione di più organi: occorre in questo caso la volizione di più organi. Questi atti rimangono comunque unilaterali. 2) DAL PUNTO DI VISTA DELLA FUNZIONE. Spesso nell’applicare un potere ad una realtà concreta, il soggetto agente deve seguire determinate forme poste a garanzia della retta trasformazione del potere in atto. Queste forme di estrinsecazione della funzione si chiamano “procedimento di formazione dell’atto” (es. sopralluoghi preliminari, pareri, ecc.). Tutti questi momenti o questi atti formano il procedimento, ma finché l’organo agente non manifesta la propria volizione con il provvedimento, questo non è valido. Un atto può essere qualificato come perfetto solo nel momento in cui si è perfezionato il procedimento necessario alla sua formazione. La perfezione è la qualificazione dell’atto dal punto di vista della funzione. 3) DAL PUNTO DI VISTA DELLA CAUSA. Non sempre la fattispecie astratta della norma è completa; spesso la norma lascia al soggetto agente di completarla in alcuni elementi. Questa libertà si chiama discrezionalità e di conseguenza gli atti saranno discrezionali o vincolati in base a quanta libertà la norma avrà lasciato al soggetto agente. Un limite fondamentale alla discrezionalità è dato dal fine dell’interesse pubblico che la PA deve sempre perseguire. pag. 11 X. Validità degli atti di amministrazione Comprendente: 37. Concetto di validità e tipi di validità 38. L’illegittimità per incompetenza e per violazione di legge 39. L’illegittimità per eccesso di potere 40. L’inopportunità e i vizi di merito VALIDITÁ sta ad indicare che l’atto corrisponde pienamente alla fattispecie astratta costituita dalla norma. Se l’atto è difforme dalla norma allora sarà invalido. L’invalidità può essere assoluta e rendere l’atto NULLO (atto al quale manca del tutto un presupposto o un elemento essenziale) o relativa e rendere l’atto ANNULLABILE (atto che per avendo tutti i presupposti essenziali, abbia tuttavia uno dei suoi elementi parzialmente difforme da come dovrebbe essere. In questo caso l’atto si dice essere viziato e le difformità si chiamano VIZI.) L’ordinamento giuridico considera l’atto nullo come mai venuto in vita, quindi inidoneo a produrre effetti; l’atto viziato, quindi annullabile, l’ordinamento lo considera efficace fino al momento in cui, con un provvedimento di annullamento, esso non venga tolto dal mondo giuridico (non venga cioè annullato). Se l’atto è viziato in un suo elemento vincolato, vuol dire che un suo elemento vincolato è difforme dalla fattispecie astratta vincolante, ed il suo vizio si chiama VIZIO DI LEGITTIMITÁ; l’atto si dice dunque illegittimo. A questa categoria appartengono i vizi che il nostro ordinamento chiama: 1) incompetenza e 2) violazione di legge. La prima (1) consiste in un difetto di competenza, e cioè nella provenienza dell’atto da un organo che, pur appartenendo al Potere al quale è astrattamente concesso l’esercizio della funzione in cui quell’atto è esplicato (attribuzione), tuttavia non è abilitato ad agire nel caso concreto. In tutti questi casi di incompetenza che possono essere per materia, per territorio e per grado, si configura un’ipotesi di vizio di legittimità. La seconda (2) viene invece usualmente riferita alle ipotesi di vizio del momento vincolato della funzione, il quale si manifesta nelle sue forme: sia nella forma di esternazione dell’atto (es. mancata sottoscrizione) sia nella forma di estrinsecazione della funzione o procedimento. Rientra nella violazione di legge anche il vizio della causa se la causa è vincolata e rigidamente prevista dalla legge. Quando, invece, il vizio attiene ad una difformità dalla norma degli elementi discrezionali, questo vizio viene chiamato eccesso di potere (che è vizio della causa degli atti amministrativi poiché la discrezionalità non è mai libertà assoluta ma la legge stessa determina, in principio, la causa dell’atto, intesa come rapporto funzionale tra fattispecie astratta e fattispecie reale. L’agente opera la discrezionalità sempre all’interno di questo rapporto.) Se l’agente nel compiere la sua discrezionalità esce fuori dal vincolo imposto dalla legge, allora si ha l’eccesso di potere. Per non confondere questa figura con l’eccesso di potere per incompetenza assoluta, va chiamato eccesso di potere per sviamento di potere, indicandosi così che l’agente ha sviato dalla causa dell’atto soddisfacendo un interesse funzionale diverso da quello protetto dalla norma attributiva del potere. Oltre che viziata la causa dell’atto, può pure avvenire che la deviazione dalla relazione causale tra fattispecie astratta e fattispecie reale avvenga in un momento anteriore, quando cioè si esplica la funzione. pag. 12 Va anche evidenziato che un atto amministrativo può, oltre ai vizi di legittimità, essere viziato da vizi di merito. A riguardo si parla di inopportunità (quando l’atto contravviene alle regole di buona amministrazione). Non contravvenendo principi giuridici, queste ipotesi di vizi di merito sono solitamente irrilevanti, anche perché non sono rilevabili dal destinatario dell’atto. Si parla, infatti, di insindacabilità nel merito degli atti. XI. La procedura amministrativa Comprendente: 41. Nozione di procedimento in senso ampio 42. Procedimento in senso stretto e processo 43. Tipi e fasi procedurali 44. Le operazioni amministrative L’atto amministrativo costituisce esplicazione terminale dell’esercizio di un potere. Tale esercizio di un potere ha una sua autonomia concettuale e viene indicato con l’espressione FUNZIONE. A sua volta la funzione è l’insieme dei momenti successivi di concretizzazione del potere. Si è perciò detto che l’estrinsecazione sensibile della funzione come insieme di atti elaborativi della trasformazione del potere in atto si chiama PROCEDIMENTO. Ogni funzione si estrinseca in un procedimento; la funzione esecutiva si estrinseca nel procedimento amministrativo. La necessità di questa estrinsecazione formale è per esigenze di garanzia poiché estrinsecando gli atti procedimentali e dando a questi pubblicità, si permette un controllo da parte dei cittadini e, in generale, di tutti gli interessati dall’esercizio del potere. È possibile individuare due tipi fondamentali di procedimenti: 1) PROCEDIMENTI IN SENSO STRETTO. Con i quali si indicano i casi in cui i. veri organi o soggetti cui compete l’esercizio della funzione, tendono a soddisfare in via principale l’interesse sostanziale dello stesso organo o soggetto che pone in essere l’atto. 2) PROCESSO. Si ha ogni qualvolta nelle trasformazioni del potere intervengono soggetti diversi da quello cui compete emanare l’atto, ma questi, con i loro atti processuali, perseguono un interesse che non è proprio dell’autore dell’atto, ma quello dei suoi destinatari. Questo, ovviamente, avviene nell’esercizio della funzione materialmente giurisdizionale (es. in autotutela, in ricorsi amministrativi, procedure disciplinari ecc.), ma è possibile che avvenga pure nell’esercizio della funzione materialmente esecutiva, tutte le volte che il potere esercitato tende a soddisfare un interesse obiettivo, piuttosto che soggettivo dell’autore dell’atto. pag. 15 Esistono anche altri atti che tendono ad ottenere una organizzazione non tanto della struttura quanto dell’attività dell’Ente, con norme che riguardano il comportamento futuro dei terzi. A questo tipo di atti si può dare il nome di PROGRAMMI e sono: a) BILANCI. Manifestazioni di volontà con le quali l’Ente impegna una propria attività finanziaria futura. b) PIANI. Manifestazioni di volontà con le quali l’Ente impegna una propria attività futura di carattere prevalentemente giuridico. Tipici sono i piani urbanistici. c) PROGETTI. Manifestazioni di volontà con le quali l’Ente impegna un proprio comportamento futuro di carattere prevalentemente materiale e tecnico. Anche in ambito regolamentare, accanto ai provvedimenti, vi sono dei meri atti che pur non essendo esercizio di un potere d’imperio, perseguono lo stesso fine dei provvedimenti regolamentari, e cioè la disciplina in via generale dell’attività amministrativa. Tali sono le c.d. ORDINANZE AMMINISTRATIVE, emanate di solito da un organo superiore e dirette agli organi inferiori e, talvolta, pure ai cittadini. Le ordinanze amministrative assumono varie denominazioni: circolari, istruzioni, ecc. ormai consacrate nella pratica. XIII. L’esplicazione dell’autarchia Comprendente: 49. Natura e limiti dell’autarchia 50. Nominatività e tipicità dei provvedimenti amministrativi 51. Il contenuto dei provvedimenti amministrativi 52. Classificazione dei provvedimenti amministrativi (comprensivo di nota a piè) 53. Classificazione dei meri atti amministrativi L’AUTARCHIA è quella capacità che permette alla PA di agire nell’esecuzione di una legge. Per il raggiungimento dei suoi fini, la PA compie una continua concretizzazione delle norme giuridiche costituendo, modificando o estinguendo unilateralmente, mediante l’uso dei poteri d’imperio, posizioni e rapporti giuridici di altri soggetti, onde soddisfare primariamente il proprio interesse. Proprio per questo, dunque, le norme che attribuiscono alla PA i singoli poteri per la soddisfazione del proprio interesse, ne disciplinano positivamente l’uso, sia ponendo dei limiti alla funzione attraverso cui quei poteri diventano degli atti, sia ponendo agli stessi atti dei confini ben definiti quanto alle ipotesi in cui possono essere usati. Questo, però, non vuol significare che la PA è semplice esecutrice materiale delle leggi. Ad essa è infatti lasciata un’ampia sfera di libertà nell’attuazione della legge. Questa libertà, per differenziarla da quella dei privati, è detta DISCREZIONALITÁ. pag. 16 Gli atti con i quali la Pubblica Amministrazione esplica la sua autarchia, usando i poteri d’imperio, si chiamano PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI e si differenziano dai regolamenti e dalle decisioni per il fatto di essere esercizio della funzione materialmente esecutiva. I provvedimenti amministrativi sono tutti tipici e nominati: tipici significa che ogni provvedimento amministrativo è esattamente idoneo a disciplinare una fattispecie e a soddisfare un interesse determinato dalla norma giuridica. La PA, cioè, non può scegliere tra i provvedimenti quello che ritiene più idonea a disciplinare una fattispecie, ma deve usare solo quello che, in relazione al caso particolare, la norma le prescrive di usare. Nominati vuol dire che la PA non ha la possibilità di creare figuri di provvedimenti che non siano già previsti in una norma giuridica, onde il numero dei provvedimenti amministrativi è sempre definito. È con riguardo agli effetti dei provvedimenti che l’amministrazione non è completamente vincolata. Ogni provvedimento può essere considerato come un insieme di effetti giuridici che l’amministrazione non può mutare, ma può in vario modo aumentare o diminuire; essa può, cioè, diversamente atteggiare il contenuto dell’atto. La PA può disporre i c.d. ELEMENTI ACCIDENTALI, cioè può apporre ai propri atti: A) CONDIZIONI. Le abbiamo già viste; esse sono determinazioni accessorie che fanno dipendere il verificarsi degli effetti di un atto da un evento futuro (condizioni sospensive) oppure cessano la produzione di quegli effetti (condizioni risolutive). Possono essere dettate dall’autore dell’atto (condiciones hominis) o dalla legge (condiciones juris). B) TERMINI. Consistono nel decorso di un tempo entro il quale possono o debbono, o non possono o non debbono verificarsi gli effetti dell’atto. Possono essere termini perentori (l’inosservanza produce decadenza) oppure termini ordinatori. C) MODI. In diritto pubblico sono dei particolari oneri imposti in connessione con particolari effetti dell’atto. Condizioni e modi non sono assolutamente consentiti nei provvedimenti a contenuto vincolato e i termini non possono essere apposti a quei provvedimenti per i quali è previsto rigidamente un inizio e una cessazione. Il corpo degli elementi accidentali corrisponde sostanzialmente alla discrezionalità consentita alla PA. Volendo ora classificare i provvedimenti amministrativi avendo riguardo agli effetti, si possono distinguere due macrocategorie: 1) PROVVEDIMENTI AMPLIATIVI della sfera giuridica del cittadino 2) PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI della sfera giuridica del cittadino. Alla prima categoria appartengono le autorizzazioni, le concessioni, le ammissioni, le nomine e il reciproco delle nomine che sono le dispense. Alla seconda categoria appartengono gli ordini (comandi e divieti) e gli atti ablativi (ad esempio l’espropriazione). Tuttavia, il miglior metodo/criterio di classificazione pare sia quello che si imposta sui risultati che gli atti tendono a raggiungere. Da questo punto di vista, si possono distinguere due grandi categorie: (A) a seconda che con essi l’amministrazione ottenga direttamente i risultati voluti, oppure (B) che per il raggiungimento dei risultati abbia bisogno o si avvalga del concorso dell’attività di terzi soggetti. All’interno di queste due macrocategorie si deve, poi, distinguere a seconda che i risultati voluti riguardano l’organizzazione, i beni o i servizi. pag. 17 A1) Alla prima categoria, e con riguardo all’ORGANIZZAZIONE abbiamo: le costituzioni (e il reciproco: le dissoluzioni); gli atti di attribuzione e le distribuzioni di competenze; le assunzioni (e il reciproco: le esclusioni). A2) In ordine ai BENI ci sono gli atti di appropriazione (in particolare demanializzazione ed atti ablativi); la dichiarazione di pubblica utilità. Anche i loro reciproci: sdemanializzazione e gli atti di dismissione (ad es. retrocessione dei beni espropriati). A3) In relazione ai SERVIZI abbiamo gli atti di pubblicizzazione (es. municipalizzazione), con il loro reciproco che sono gli atti di restituzione e gli atti di privatizzazione. Infine, atti di ammissione e di estromissione, loro reciproco. B1) Alla seconda categoria, con riguardo all’ORGANIZZAZIONE, troviamo gli atti di istituzione (tra i quali la creazione di Enti Pubblici); gli atti di investitura (che conferiscono qualità o status, incarichi, onorificenze). I loro reciproci che sono atti di estinzione e atti di destituzione. Sempre con riferimento all’organizzazione abbiamo gli atti di decentrazione, con i quali si trasferiscono compiti di un’amministrazione ad altra amministrazione. B2) Nel campo dei BENI vengono in evidenza le utilizzazioni: l’attribuzione a terzi di utilizzo dei beni demaniali si chiama concessione; l’uso speciale di detti beni si chiama autorizzazione. B3) Riguardo i SERVIZI PUBBLICI: le concessioni traslative (quando si trasferisce ad un terzo un diritto spettante all’Amministrazione di esercitare un pubblico servizio) e le concessioni costitutive (quando l’amministrazione attribuisce ad un terzo un diritto che non ha ma che spetterebbe a lui di creare. Ad es. la concessione farmaceutica). B4) riguardo i SERVIZI PRIVATI, si individuano due grandi categorie, a seconda che con quegli atti la PA attui un esame preventivo (licenze) o un esame ex post. Di tutti questi provvedimenti, con i quali si attuano direttamente i risultati voluti, esiste normalmente un reciproco generico che può essere la revoca o il riscatto. Anche nell’esplicazione della sua autarchia la Pubblica Amministrazione si avvale di una serie numerosissima di meri atti amministrativi, che sono di solito raggruppati in categorie a seconda che siano ATTI DI DESIDERIO, DI GIUDIZIO O DI SCIENZA.