Scarica Femminismo, black feminism e Angela Davis e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Sociologia di Genere solo su Docsity! Femminismo e Black Feminism Laboratorio di lineamenti di genere Francesca Mori Informazione, editoria e giornalismo. Saggio su Angela Davis 2 Femminismo e Black Feminism La storia ufficiale del femminismo inizia nell’Ottocento, è stata divisa in tre diverse fasi, dette “ondate”. La prima ondata, le suffragette e il diritto di voto: Il termine “femminismo” viene coniato nell’Ottocento per battezzare il ne- onato movimento per l’emancipazione delle donne. A incarnarlo erano le suffragette, che lottavano per ottenere l’allargamento del suffragio (cioé del diritto di voto) anche alle donne. L’epicentro delle loro battaglie è la Gran Bretagna: è qui che nel 1865 nasce il primo comitato per l’estensione del diritto di voto. All’epoca solo gli uomini potevano partecipare alla vita po- litica, mentre le donne erano relegate in casa, in questa fase il femminismo si concentra quasi esclusivamente su rivendicazioni di natura politica, ma le suffragette vogliono anche la parità tra uomini e donne nel diritto di fami- glia. Bisogna aspettare decenni per vedere risultati concreti: il suffragio viene esteso alla popolazione femminile solo nel ‘900. In Europa il primo Stato a permettere alle donne di votare è la Finlandia nel 1906. La Gran Bretagna concede il suffragio alle sue cittadine solo nel 1918, mentre le italiane e le francesi devono aspettare fino al secondo dopoguerra. Negli Stati Uniti le donne arrivano al traguardo nel 1920. La seconda ondata, gli anni Sessanta / Settanta: Il movimento femminista si risveglia negli Stati Uniti negli anni ‘60 del Novecento. I temi cari alle femministe della seconda ondata sono nuovi, e spesso scan- dalosi per l’epoca: si parla di sessualità, di stupro e violenza domestica, di diritti riproduttivi, ma anche di parità di genere sul posto di lavoro. Sono anni di cambiamenti rivoluzionari, basta pensare che nel 1961 negli Stati Uniti viene messa in commercio la pillola contraccettiva, che permette alle donne di controllare la propria fertilità in modo facile, discreto e soprattutto autonomo. 5 La sua famiglia era impegnata politicamente e da bambina la Davis conobbe molti attivisti comunisti che ebbero influenza sulla sua formazione. Grazie a un programma per favorire l’integrazione, frequentò la scuola superiore a New York, nel quartiere del Greenwich Village. Alla Brandeis University studiò francese e filosofia, conobbe e fu allieva di Herbert Marcuse, con il quale instaurò un rapporto stretto, fatto di discussio- ni filosofiche settimanali. Oltre alla militanza (era infatti fortemente attiva politicamente), Angela era anche una studiosa e un’accademica, e, dopo es- sersi laureata in lettere, studia dalla metà degli anni ’60, a Francoforte, per poi tornare negli USA, dove insegnerà all’Università della California. Nel 1968 era iscritta al Partito Comunista degli Stati Uniti (CPUSA) e aveva dei legami con il movimento delle Black Panthers (Pantere Nere). Fu nel 1969 che si cominciò a parlare di lei, prima solo in California e poi in tutto il mondo. Inizialmente perché la direzione dell’Università della Ca- lifornia, su pressioni dell’allora governatore dello stato Ronald Reagan, la licenziò per via della sua appartenenza al CPUSA. Un giudice stabilì che non era una ragione valida per licenziarla e Davis riottenne il suo posto, per poi perderlo nuovamente, nel giugno del 1970, quando si adoperò in difesa dei fratelli Soledad. Essi verranno accusati di un omicidio di una guardia carceraria, e, poiché una pistola a lei intestata sarà usata dal fratello di uno dei tre ragazzi per il sequestro di un giudice che finirà in un bagno di sangue, la Davis verrà accusata di cospirazione, rapimento e omicidio e verrà infine incriminata. Passerà 16 mesi in carcere, tra cui molti in isolamento (1970/1972). Dice che le carceri erano pensate per far diventare le persone “animali da zoo”. Il 5 gennaio dell’anno successivo, si dichiarò innocente. L’appassionata difesa che condusse personalmente ed efficacemente nel cor- so del processo, le consentì di diffondere le sue idee in tutto il mondo, diven- tando così popolare da mobilitare a suo favore un gran numero di persone che si riunirono in comitati e organizzazioni, non solo negli Stati Uniti, ma anche in molti altri paesi. 6 Il 23 febbraio 1972 due uomini bianchi, l’allevatore Rodger McAfee e l’im- prenditore Steve Sparacino, pagarono oltre 100mila dollari di cauzione per Davis, che poté così uscire dal carcere. Dopo l’assoluzione (4 giugno 1972) Davis viaggiò in tutto il mondo facendo attività politica. Tra i paesi che visitò ci furono Cuba, l’Unione Sovietica e la Germania dell’Est. Nel 1974 fu pubblicata la sua autobiografia, Autobiogra- fia di una rivoluzionaria, che uscì anche in Italia l’anno successivo. Successivamente Davis si impegnò in varie battaglie di sinistra: contro la guerra in Vietnam, il razzismo, il sessismo, le discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali e il trattamento della popolazione palestinese da parte di Israele. In tutta la sua vita la Davis ha sempre insegnato. Oggi insegna Storia della Coscienza all’Università della California, dove dirige anche il Women Institute. Nel 1991 ha lasciato il Partito Comunista, ma ha continuato ad avere dei legami con l’organizzazione. Nel 1997 ha fatto un coming out pubblico dicendo di essere lesbica sulla rivista Out. 7 Riflessioni sul Ruolo delle Donne Nere nella Co- munità di Schiavi In un saggio scritto e pubblicato mentre si trovava in prigione, nel 1971, e che costituisce il nucleo originario di Donne, razza e classe, Angela Davis spiega le motivazioni principali che la spinsero a intraprendere uno studio storico della condizione delle donne afroamericane durante lo schiavismo. Si trattava soprattutto da un lato di sfatare un mito, quello del matriarcato nero, in base al quale le donne durante la schiavitù avrebbero beneficiato di un potere relativo rispetto agli uomini neri, mostrando invece che la schia- vitù era oppressione e sfruttamento da parte degli schiavisti bianchi, incluso lo stupro sistematico. Dall’altro, voleva mettere in luce il ruolo dimenticato delle donne nere nelle ribellioni contro lo schiavismo e nel movimento abolizionista sfatando il mito in cui le donne sarebbero state meno propense alla resistenza e alla lotta. Meno di sei anni dopo la pubblicazione del saggio di Davis, un collettivo di femmine lesbiche afroamericane, il Combahee River Collective, pubblicò un testo che può essere considerato come uno dei documenti politici semi- nali del femminismo nero americano. Questo scritto dell’aprile del 1977, che cita il saggio di Davis ([…] La relazione estremamente negativa delle donne Nere con il sistema politico americano, un sistema di regole dell’uo- mo bianco, è sempre stata determinata dalla nostra appartenenza a due caste oppresse, per razza e sesso. Come Angela Davis precisa in “Reflections on the Black Women’s Role in the Community of Slaves”, le donne nere han- no sempre rappresentato fosse unicamente attraverso la loro manifestazione fisica, una presa di posizione avversaria alle regole del maschio bianco ed hanno attivamente resistito alle sue offensive su di loro e sulla loro comuni- tà. Sia in modo drammatico, sia in modo sottile. […]), rappresenta una delle prime esplorazioni femministe dell’intreccio di oppressione razziale e sfrut- tamento di classe. Il Combahee River Collective era nato nel 1974 a Boston e si era distinto, per le sue battaglie attorno a questioni specifiche riguardanti le donne di colore, come la sterilizzazione forzata delle donne portoricane e afroamericane. 10 - Domestiche, bambinaie (mommy) soprattutto nel Nord; dove si occupano di tutti i lavori della casa delle famiglie bianche: pulivano, cucinavano e si occupavano dei figli. A livello manuale un lavoro meno pesante che nei cam- pi, ma anche qui le donne subivano la violenza della supremazia maschile bianca. A partire dall’industrializzazione le donne nere vengono impiegate anche a lavorare nelle industrie. Inoltre, erano più redditizie di molti uomini neri e costavano meno. Durante l’industrializzazione, le donne bianche invece vennero sempre di più concepite come lontane dalla sfera produttiva, dal contribuire all’economia del paese, finalizzate alla cura dei bambini e ad occuparsi della casa, per questo concepite come inferiori. Tra le svariate conseguenze dello schiavismo sui neri, probabilmente anche dovuta al fatto che gli atti di nascita di molte piantagioni omettevano il nome del padre riportando solo quello della madre, si diffuse presto l’idea che la famiglia Nera avesse una struttura matriarcale: una famiglia dove entrambi i genitori lavorano e provvedono al mantenimento dei figli, l’uomo è sottova- lutato e sembra incapace di prendersi carico delle responsabilità paterne. Al centro della famiglia nera c’è la madre. In verità si potrebbe dire che questa concezione non è del tutto vera, il fatto che l’uomo svolgesse importanti attività domestiche al pari della donna, non significava necessariamente che lei lo dominasse: questa divisione di compiti non era di tipo gerarchico, entrambi erano egualmente importanti e necessari. L’aspetto che emerge nelle famiglie nere è invece un aspetto molto positivo, quello dell’uguaglianza di genere. Angela Davis scrive: “Mentre la donna cucinava e cuciva, l’uomo si occupava dell’orto e cacciava […]. Questa divisione di genere del lavoro domestico non sembra essere di tipo gerar- chico: i compiti degli uomini non erano certamente superiori né inferiori al lavoro realizzato dalle donne. Erano entrambi egualmente necessari. Inoltre, ogni indica- zione sembra suggerire che la divisione del lavoro tra i sessi non fosse sempre così rigorosa, perché gli uomini potevano a volte lavorare nella capanna e le donne curare l’orto e forse anche partecipare alla caccia. 11 L’aspetto rilevante che emerge dal lavoro domestico negli alloggi degli schiavi è quello dell’uguaglianza di genere. […] I Neri […] hanno trasformato un’uguaglian- za negativa – che promanava da un’uguale oppressione patita in quanto schiavi – in una qualità positiva: l’egualitarismo che caratterizzava le loro relazioni sociali”. I capitoli successivi si propongono un obiettivo più ambizioso: vogliono fare una critica dei limiti fondamentali del movimento femminista americano. Attraverso la ricostruzione sia della collaborazione tra il movimento suffra- gista e il movimento abolizionista, sia delle successive tensioni tra un movi- mento femminista prevalentemente bianco e la lotta delle donne nere per la liberazione da oppressione razziale e sessista. Davis riesce a mostrare come queste tensioni e contraddizioni, anziché essere risolte, si siano ripresentate all’interno del rapporto tra il movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta e le donne afroamericane. In particolare, ciò che emerge dal libro è la persistente cecità di larga parte del movimento femminista americano rispetto alle differenze di esperienze e di politicizzazione tra donne bianche e donne afroamericane. Ricostruendo la storia dell’ideologia eugenetica sta- tunitense nei primi decenni del ventesimo secolo e le successive pratiche di sterilizzazione forzata di donne portoricane e nere, Davis sfata il mito dell’indifferenza delle donne afroamericane rispetto alla mobilitazione fem- minista attorno al diritto all’aborto e alla contraccezione. Con l’industrializzazione la maggior parte delle mansioni che spettava alle donne bianche in casa erano sparite, e così, si iniziava a confermare l’idea di inferiorità femminile, perché non partecipavano all’economia del paese, ma a loro spettava soltanto occuparsi della casa e dei figli: essere madri e mogli. Anche le donne lavoratrici venivano comunque considerate inferiori all’uo- mo, percependo ad esempio un salario inferiore, in quanto donne. Allora sia le casalinghe che le lavoratrici bianche decisero di unirsi al mo- vimento abolizionista, visto come occasione per protestare anche per la loro condizione di oppressione. Nel 1833 nacque la philadelphia female anti-slavery society, donne bianche e Nere si unirono e cominciarono a lottare insieme contro la schiavitù, il razzismo e a favore dei diritti delle donne. Icona di questo movimento fu Frederick Douglass (1818-1995), il più im- portante abolizionista nero del paese e sostenitore maschile dell’emancipa- 12 zione delle donne. Molte donne partecipano alla 1° assemblea per i diritti delle donne a Seneca Falls, il Congresso di Seneca Falls (1848), dove si propose il suffragio anche femminile, appoggiata da Frederick Douglas, il quale si mobilitò pubblica- mente per l’uguaglianza politica sulle donne. Tuttavia, la dichiarazione che rispecchia il femminismo dell’epoca, riguar- dava soprattutto le donne bianche e ricche, escludendo così oltre che le don- ne operaie e bianche, anche le donne nere (questa era l’idea di femminismo dell’Ottocento): non c’era neanche una donna nera tra il pubblico e nemme- no venivano citate nella dichiarazione. Con il diritto di voto agli uomini neri le donne bianche posero fine all’alle- anza con le donne nere, perché “ritenevano che fosse umiliante concedere il diritto di voto ai Neri e non alle donne bianche”. Ma Douglas non era d’accordo, nonostante fosse un grande sostenito- re maschile dell’emancipazione delle donne e del suffragio femminile, affermò che fosse più urgente il potere elettivo ai Neri rispetto che alle donne bianche, lo voleva per una questione di sopravvivenza, invece le vite delle donne bianche non erano ancora fisicamente in pericolo: “Quando le donne, in quanto donne, saranno trascinate fuori dalle proprie case e impiccate ai lampioni; quando i loro figli saranno strappati dalle loro braccia e sbat- tuti con la testa per terra; quando verranno continuamente fatte oggetto di insulti e di violenze; quando le loro case correranno il pericolo di essere incendiate; quando ai loro figli non sarà concesso entrare a scuola, allora avranno la stessa priorità di ottenere il diritto di voto”. Alla fine dell’Ottocento l’abolizione della schiavitù e il diritto di voto erano avvenuti solo a livello formale ed erano stati usati come azione politica da parte dell’Unione; infatti i neri non potevano comunque votare. In seguito all’abolizione della tratta internazionale inoltre l’unico modo per la soprav- vivenza degli schiavi era la riproduzione delle donne che divennero “animali 15 che, per fare ciò era necessario pianificare le gravidanze. Questo appello di controllo delle nascite vedeva coinvolte le donne dei ceti elevati; le lavora- trici facevano fatica ad identificarsi in tutto ciò poiché erano impegnate nella lotta per la sopravvivenza economica e anche le nere erano escluse. - La più importante vittoria del movimento fu nei primi anni ’70 con la le- galizzazione dell’aborto. All’interno del movimento emerse un elemento di tipo razziale: poca presenza di donne Nere. Le donne nere hanno sempre abortito da sole, fin dalla schiavitù, epoca in cui le donne compivano infan- ticidi e aborti come gesti di disperazione motivati dal non voler mettere al mondo i figli in quelle condizioni misere. - Cominciò la sterilizzazione forzata fra le persone nere, le donne venivano minacciate dai medici stessi (ricattate se non si fossero sterilizzate). Davis chiama colorito pallido la battaglia contro lo stupro degli anni ’70, nel senso che non ha avuto molto frutto. C’era tanta indifferenza, e false accuse: “Quando si pose il problema dell’assenza delle donne oppresse dal razzismo nella lotta per il diritto all’aborto […] venivano date due spiegazioni: le donne Nere era- no sovraccaricate dalla lotta contro il razzismo oppure non avevano ancora preso coscienza della centralità del sessismo. Ma il reale motivo del “colorito pallido” di questa lotta non risiedeva nella scarsa coscienza o nella miopia politica delle donne di colore. La verità è nascosta nelle fondamenta ideologiche del movimento per il controllo delle nascite. L’incapacità della campagna per il diritto all’aborto di produrre un’analisi storica del proprio percorso condusse a una valutazione pe- ricolosamente superficiale della diffidenza delle persone Nere verso questo tema. Sicuramente quando alcuni Neri equipararono senza esitazione il controllo delle nascite a un genocidio, fu una reazione esagerata, se non paranoica. Ma le attiviste bianche per l’aborto ignorarono un argomento centrale: queste accuse di genocidio erano importanti sintomi delle modalità di sviluppo del movimento, che per esempio aveva difeso la sterilizzazione forzata, una forma razzista di “controllo di massa delle nascite”. Le donne non potranno mai godere del diritto di pianificare le proprie gravidanze fino a quando le misure legali e accessibili di controllo delle nascite non si accompagneranno alla fine della sterilizzazione forzata. Le donne di colore […] rispetto alle loro sorelle bianche avevano molta più familiarità con i bisturi, che spesso nelle mani di incapaci alla ricerca di profitti clandestini ne provocavano maldestramente la morte”. 16 Infine, la Davis analizza l’idea della donna come domestica e serva del ma- rito che si è sviluppata con il capitalismo. In quanto epoca coloniale il lavoro domestico non riguardava solo l’ambito privato della casa, le donne erano lavoratrici a pieno titolo (filavano, erano sarte, tessitrici, panettiere, produttrici di burro). Man mano che l’industria- lizzazione avanzò il lavoro domestico delle donne perse importanza perché sostituito dai macchinari; visto che il lavoro domestico non generava pro- fitto cominciò ad essere considerato inferiore rispetto al lavoro salariato. E questo comportò la nascita della categoria della casalinga che fu poi imposta come modello universale di femminilità; il lavoro domestico era considerato come una vocazione di tutte le donne; coloro che invece si occupavano di un lavoro salariato erano considerate al di fuori del loro mondo naturale quindi si meritavano un trattamento differente in termini di salario e ore di lavoro. Il lavoro casalingo per alcune diventa ripetitivo e non gratificante. Perciò le donne casalinghe erano insoddisfatte, avevano complessi di inferiorità e si sentivano in prigione. In alcuni paesi capitalisti così si iniziano a diffondere movimenti per il lavoro domestico salariato che richiede salari per l’eman- cipazione delle casalinghe. Le Nere sono escluse dalla volontà del lavoro domestico salariato; la famiglia nera è vista come una famiglia matriarcale e la donna nera non viene sottovalutata nella propria funzione domestica come accade alla bianca. In conclusione Le vicende personali di Angela Davis e il rilievo che ebbero in tutto il mon- do la portarono ad essere, in quanto donna e afroamericana, un simbolo sia del femminismo che dell’uguaglianza razziale. Aveva fatto capire alle donne che il lavoro fuori casa non solo rappresentava un importante sostegno eco- nomico e motivo di indipendenza, ma anche l’importanza di avere una vita all’esterno della famiglia, con l’opportunità di svolgere un lavoro interes- sante e realizzare le proprie aspirazioni. Angela insieme ad altre figure, quali Shirley Chisholm, prima donna afroamericana eletta al Congresso ameri- cano, hanno mostrato alle donne afroamericane la strada e la possibilità di modificare la propria vita.