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Filosofia del Diritto, Sbobinature di Filosofia del Diritto

Riassunto dei primi quattro capitoli del libro "Lineamenti di sociologia del diritto" a cura di Amedeo Cottino

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 24/05/2023

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Scarica Filosofia del Diritto e più Sbobinature in PDF di Filosofia del Diritto solo su Docsity! 1 Capitolo I L’APPROCIO SOCIOLOGICO AL DIRITTO Franco Prina 1.I fondamenti della sociologia del diritto L’obbiettivo che si propone è di guidare il lettore a comprendere in che modo la sociologia ha “guardato” al diritto, facendo un oggetto di studio e di riflessione teorica con le categorie concettuali che le sono proprie e ha sviluppato una tradizione di ricerche empiriche che hanno analizzato una molteplicità di ambiti: dai comportamenti individuali e collettivi, alle relazioni, alle istituzioni, che hanno riferimento al diritto Al centro del discorso sarà un settore specialistico della sociologia, ovvero uno dei campi degli studi e delle ricerche sociologiche che si differenzia dagli altri campi. Dobbiamo riconoscere che l’interesse per le norme, le regole e i vincoli (considerati indispensabili fondamenti della convivenza tra individui in comunità e società) è tra gli interessi della sociologia come scienza sociale. Il problema delle condizioni che garantiscono l’ordine e la coesione sociale, appare infatti tema centrale per i “padri fondatori” della sociologia Renato Treves, ne ricostruire l’origine della sociologia del diritto, non manca di sottolineare come i due autori che sono considerati i fondatori della sociologia (ossia TÖNNIES e DURKHEIM) abbiano posto il diritto al centro della loro elaborazione teorica. •FERDINAND TÖNNIES Il suo pensiero ha alla base il problema “dell’insufficienza dell’individualismo e dell’esigenza del solidarismo”, richiama la fondamentale distinzione tra relazioni sociali che caratterizzano le Comunità e quelle proprie della Società. Rese possibile dall’esistenza di norme di diritto: Il diritto comunitario (prevale il diritto di famiglia) e il diritto societario (domina il diritto delle obbligazioni). •EMILE DURKHEIN Pensiero che si muove dalla condizione della “indissolubile unione della società col diritto”, dal momento che la vita sociale non può organizzarsi se non attraverso il diritto, che appare il “simbolo visibile” della solidarietà sociale. Per richiamare la ricostruzione della nascita della disciplina fatta Renato Treves, delle dottrine “conflittualistiche” espresse da autori come Gumplowicz e Oppenheimer, vedono nel diritto lo strumento, da parte di chi detiene il potere, non solo per porre un freno ai conflitti che permeano le società e all’instabilità che ne deriva, ma soprattutto per imporre a tutti le proprie regole a tutela dei propri interessi. Queste due diverse concezioni (“consensuale” e “conflittuale”) hanno caratterizzato sul piano teologico il pensiero sociologico in ordine al rapporto tra diritto e società, nelle loro espressioni possano oggi essere considerate in gran parte superate a favore, di quella che è stata definita da William Joseph Chambliss e Robert B. Seidman la “prospettiva dialettica”. La prospettiva dialettica, pur non negando le differenze di potere nella determinazione dei contenuti delle norme giuridiche, richiama come tali contenuti siano influenzati e influenzabili 2 dalla dialettica tra le diverse forze contrapposte e dunque possano avere un ruolo, nel determinarli, anche le forze dotate di minor potere. Bisogna considerare che nonostante le distinzioni, le prospettive diverse, hanno contribuito a consolidare la sociologia come scienza autonoma da altre scienze sociali, la riflessione sul diritto appare costitutiva di ogni possibile riflessione generale sulle condizione di esistenza, di funzionamento e di mutamento di qualunque società. Il tema del rapporto tra diritto e società ha avuto una forte rilevanza e ha dato luogo a molti sviluppi sul piano della riflessione teorica e su quello delle ricerche empiriche. Max Weber, Emile Durkheim e Vilfredo Pareto, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, hanno dato un contributo fondamentale al processo di consolidamento della sociologia come scienza ed è considerato riferimento essenziale per la visione del rapporto tra individui (attori sociali), e società. Max Weber può essere considerato il FONDATORE DELLA SOCIOLOGIA DEL DIRITTO, andando oltre la divisione tra “lo studio della posizione e delle funzioni del diritto nella società”, e quello dei “fenomeni sociali visti attraverso gli schemi delle norme e degli istituti del diritto positivo”, ha consentito “l’aspetto macrosociologico quanto quello microsociologico della disciplina, tanto il diritto nella società, quanto la società attraverso il diritto”. Alla Sociologia del diritto Weber dedica il Capitolo VII della sua opera “Economia e società”. Riferimento essenziale è il concetto di “agire sociale”. Per ”agire” si deve intendere “un atteggiamento umano”, se e quando l’individuo o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Un “agire sociale” è quello riferito (secondo il suo senso, intenzionale dell’agente/agenti) all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso. Può essere orientato, in base alla rappresentazione della sussistenza di un ordinamento legittimo, il diritto, la cui validità è garantita dall’esterno, mediante la possibilità di una coercizione, da parte dell’agire, diretto a ottenerne l’osservanza o a punire l’inflazione. A Weber si deve inoltre la distinzione tra gli interessi coltivati, dalla scienza del diritto e dalla sociologia del diritto: •SCIENZA DEL DIRITTO guarda al dover essere ideale (validità ideale della norma) •SOCIOLOGIA DEL DIRITTO guarda le validità empiriche, al divenire reale del diritto, ossia hai fatti e hai comportamenti concreti degli individui che hanno riferimento e si relazionano con le norme da essi considerate come valide Max Weber sviluppa molte altre tematiche: il rapporto tra diritto ed economia, i quattro tipi ideale di diritto ( materiale irrazionale, materiale razionale, formale irrazionale formale razionale), il prevalere della formalizzazione di tipo razionale del diritto e il contributo degli operatori del diritto a tale processo, la distinzione tra diritto privato e diritto pubblico, il potere degli apparati amministrativo-burocratico. Il processo di specializzazione della sociologia del diritto, vede una specificazione progressiva dei temi e dei problemi propri. Vediamo operarsi: • La differenza tra sociologia del diritto e scienza del diritto (sotto il profilo degli oggetti di interesse e delle competenze richieste) • La distinzione tra punto di vista “interno” e punto di vista “esterno” (con cui si osserva, studia, analizza, tratta il diritto) 5 culturalmente e accettati/condivisi dagli appartenenti a una certa socialità o a parte di essa, proviste di sanzione predefinite informalmente, esistenti/vincolanti fino a quando sono seguite dalla collettività o dalla maggioranza di essa. L’esistenza di sanzioni appare elemento intrinsecamente correlato alle norme. Se le concepiamo essenzialmente come regole che orientano e guidano i comportamenti degli individui, appare evidente che la forza della loro prescrittività, risiede precisamente nelle sanzioni previste, ma soprattutto applicate, nel caso di scostamento dagli obblighi o di infrazione dei divieti che ne costituiscono il contenuto. Ciò vale per le sanzioni negative e le sanzioni positive. Esempi: -campo penale- alle riduzioni di pena garantite al detenuto per buona condotta -campo della tutela dell’ambiente- alla riduzione di tasse prevista per un’azienda che introduce sistemi che limitano l’inquinamento atmosferico Queste considerazioni non riguardano solamente le norme riferite a comportamenti di singoli cittadini. Si possono anche riferire alle scelte di osservanza o, al contrario, di non rispetto di obblighi loro imposti, da norme di tipo procedurale o organizzativo finalizzate alla tutela di diritti, interessi e beni collettivi o alla predisposizione di servizi, da parte di istituzioni e amministrazioni. Si tratta di sanzioni più difficilmente applicabili e applicate. A integrare queste considerazioni, delle sanzioni istituzionali o formali, di tipo penale o amministrativo e, dall’altro, delle sanzioni sociali o informali, che si manifestano sul piano relazionale, delle opportunità negate o dell’immagine pubblica del soggetto che trasgredisce le norme. Ѐ spesso scontato che una sanzione formale/istituzionale sia più onerosa per chi la subisce di una sanzione sociale e che le due sanzioni siano in genere abbinate e reciprocamente in grado di rafforzarsi. Osservazioni della realtà, evidenziano il contrario, come in molti casi possa essere più gravoso una sanzione informale di una sanzione formale. Soprattutto quando un processo si conclude con una pena sospesa oppure, come nel caso di “crimini dei potenti”, quando il reato si estingue per prescrizione. La stessa osservazione empirica inducono a sottolineare, la non scontata compresenza delle sanzioni formali/istituzionali e di quelle sociali. Sul piano sociale e relazionale, verso chi “sfortunatamente” è incapace nelle maglie della giustizia non si esprimerà riprovazione ed esclusione bensì, consenso e solidarietà. Possiamo pensare (in tutt’altro ambito) a un “colletto bianco”, a un imprenditore che si muove normalmente tra legalità e illegalità e che riesce a difendersi dalle conseguenze sociali della scoperta della sua “disonestà”, mantenendo, anche in presenza di indagini o condanne, stima e approvazione da parte degli altri. 2.2 Il rapporto tra mutamento sociale e mutamento normativo Come si forma e come si modifica il diritto in conseguenza del mutamento sociale? Più in generale il rapporto tra dinamiche sociali ed evoluzione del diritto, guardando “alla capacità che i fatti hanno di mutare le norme e che, correlativamente, le norme hanno di apprendere dai datti” (Alberto Febbrajo). 6 Chi e che cosa, nella società, concretamente promuove, sostiene, conquista una innovazione normativa, ad esempio, l’introduzione di un nuovo reato, il riconoscimento di un diritto soggettivo in campo a una certa categoria di individui prima non considerati, oppure il mutamento di norme esistenti ritenute superate? La sociologia del diritto considera in questo caso le norme giuridiche, di diritto positivo, come variabili “dipendenti” dalle dinamiche sociali e ha sviluppare un settore di analisi teoriche e di ricerche empiriche, che porta lo sguardo per così dire “a monte” di quella norma o complesso di norma che, in un certo momento e secondo procedure definite, sono elaborate e promulgate dal legislatore e dunque entrano, almeno formalmente, in vigore. Attori sociali che, avendo “pretese” nei confronti dei decisori e, riuscendo a imporle nell’agenda politica, possono contribuire al prodursi di specifiche norme giuridiche. Con riferimento alle diverse concezioni, la costatazione da cui si può partire è che, come affermava Karl Olivecrona (giurista e filosofo svedese), “il sistema giuridico non è mai statico, e la formazione e trasformazione delle norme costituiscono un processo continuo”. Ciò avviene: •Il senso di una legge ”non è mai fissato in via definitiva, ma soggiace a sottili modificazioni per i cambiamenti che sempre intervengono nel significato delle parole, nelle condizioni di fatto alle quali le leggi fanno riferimento, nella struttura sociale del paese, nelle opinioni dominanti su ciò che è giusto e sbagliato e nel generale ambiente culturale” •Sia perché “agenti innumerevoli sono al lavoro per proporre nuove norme, o modificazioni delle vecchie”. Il modo in cui ciò avviene non è lineare, meccanico o scontato. I problemi e i bisogni (nel mutare delle loro condizioni economiche, culturali, sociali), si manifestano nelle diverse società e le spinte ad adeguare il quadro normativo, non può non essere riconosciuta, soprattutto in società caratterizzate da elevata complessità, una “relativa autonomia” del diritto e delle dimensioni sociali. Questa autonomia relativa è testimoniata dal fatto, che non necessariamente, l’emergere di nuove esigenze o nuovi problemi in una data società o il manifestarsi di conflitti oggettivamente rilevanti, vede prodursi norme che favoriscano o impongano modalità per affrontarli o regolarli. Non è solo il potere economico o politico a determinare il mutamento normativo. Anche settori della società portatori di interessi forti, non sempre vedono soddisfatte le loro pretese. All’ opposto, il principio della relativa autonomia è l’unico in grado di spiegare la capacità del diritto di occuparsi di interessi deboli, di affermare diritti per individui e categorie minoritarie o marginali, di intaccare istituti giuridici posti a baluardo dei più forti. Queste constatazioni, ci consentono di sostenere una visione “dialettica” dei rapporti tra struttura economico-sociale, distribuzione del potere e diritto. Facciamo riferimento alla distinzione tra tre diverse concezioni, richiamate da William J. Chambliss (criminologo) e Robert B. Seidman (studioso di diritto americano), del rapporto tra società e diritto: •LA TEORIA CONSENSUIALE trova espressione nella sociologia dello struttural- funzionalismo (in primis nel lavoro di Talcott Parsons). Il diritto appare espressione della sollecitazione dello Stato (neutrale, al di sopra degli interessi delle parti, equilibratore) verso i cittadini e luogo di valori condivisi e di beni comuni da tutelare nell’interesse del funzionamento del sistema e del benessere di ciascun conosciuto. Un diritto capace di 7 garantire a tutti uguaglianza di opportunità e di trattamento quando si verifichino conflitti o prevaricazioni. •LA TEORIA CONFLITTUALE Insiste sulla differente distribuzione della ricchezza materiale e del potere, che ne è correlato, di regolare le dinamiche sociali tutelando esclusivamente gli interessi delle classi dominanti. Più fondata della prima, in varie forme e con riferimenti a culture e analisi politiche critiche e alternative alla cultura dominante nelle società capitalistiche, in primo luogo quella di matrice marxista, afferma la non neutralità dello Stato e delle sue istituzioni. E quando richiamo la natura ideologica del diritto, che cela il suo essere espressione degli interessi dominanti sotto il velo dei valori che si pretendono condivisi e dell’interesse generale che lo stesso diritto diffonderebbe. O ancora quando denuncia l’applicazione disuguale della legge (“uguale per tutti”) nei confronti di cittadini dotati di diverse risorse economiche, sociali, culturali, così garantendo e rinforzando le relazioni di dominio di una parte della società sulle altre parti. Questa prospettiva rischia tuttavia di non considerare adeguatamente il rapporto tra le mutevoli dinamiche dell’interazione tra le istituzioni formalmente deputate alla decisione e settori della società, capaci, ad esempio: generare movimenti sociali o politici di lotta per la rivendicazione di diritti o condizioni di vita diverse; per attenuare il potere e l’arbitrio nelle relazioni sociali e nel mondo del lavoro; per “contare” nelle sedi della produzione dello stesso diritto o in quelle della sua applicazione giurisdizionale. Appare necessaria un’attenzione particolare al ruolo degli attori singoli e associati, presenti sulla scena sociale e politica, alle forme dello “scambio politico” che caratterizzano la produzione di norme, ai risvolti simbolici dell’attività legislativa. •LA TEORIA DIALETTICA Prospettiva dotata di una migliore capacità esplicativa, empiricamente fondata, che cerca di ovviare il modello consensuale e quello conflittuale. Ciò che manca a quest’ultimo modello è il riconoscimento della rilevanza delle scelte e del confronto, nei processi decisionali, tra attori sociali portatori di interessi diversi. L’ordinamento giuridico si strutturi storicamente come un sistema che “permette ad una parte della popolazione di servirsi dello stato per coercere un altro segmento di essa”. Le leggi, in quanto comprendono “obbiettivi, progetti, indirizzi politici, desideri, finalità, scopi, previsioni”, sono “l’espressione di una scelta cosciente”: il diritto, incarna le scelte di coloro che prendono decisioni (è solo in senso metaforico che la “società” o lo Stato compiono delle scelte, essendo la creazione vera e propria delle leggi affidata a determinate persone). L’esistenza di margini di scelta, costituisce un elemento non trascurabile nel determinarsi del diritto. Occorre considerare che “le istituzioni legiferanti e quelle sottese a far rispettare il diritto non agiscono in un vuoto; anch’esso sono costituite da persone le quali compiono le proprie scelte in un determinato ambito di forze materiali ed ideologiche, comprendenti anche quelle norme giuridiche che definiscono la loro posizione”. Ne consegue che “se non si può negare che vaste aree del diritto risentano degli interessi e dell’influenza della classe dominante, è però errato affermare che la classe dominante sia l’unica responsabile della creazione e della sanzione del diritto”. Ѐ necessario prendere atto tanto della forza che dei limiti della classe dominante nel suo influenzare l’ordinamento giuridico. La prospettiva con cui Chambliss e Seidman guardano al nostro oggetto di interesse trova un riscontro empirico se si analizzano i piccoli e grandi mutamenti normativi in contesti di fermento e cambiamento sociale. Nelle vicende che connotano tali mutamenti giocano un ruolo importante attori diversi, protagonisti del processo di sollecitazione del mutamento 10 diritto l’esito di questo “lavoro” è un corpo legislativo molto amplio, il che determina non pochi problemi di effettività di quanto in essa contenuto in particolare sotto il profilo del reale esigibilità dei diritti enunciati. Questo significa che se anche i movimenti che si battono per il diritto di determinate categorie di persone svantaggiate realizzano non poche “vittorie” a livello normativo, sul piano applicativo tali vittorie possono essere largamente vanificate. Il conflitto si rinnova incessantemente, assumendo forme nuove e investendo anche la realtà istituzionale o gli apparati burocratici (dove si compiono continuamente scelte, non sempre scontate e coerenti). Si conferma l’utilità di un approccio che si forma su un’ottica processuale e che riconosce, lo svilupparsi di un complesso processo dialettico, a seconda dei ruoli che svolgono i diversi attori presenti sulla scena (non solo nel momento della produzione delle norme, ma anche in quello della loro applicazione e implementazione). 2.4. L’incidenza del mutamento normativo sulle dinamiche sociali, sulle relazioni e sui comportamenti Lo studio e ricerca della sociologia del diritto è rappresentato da quello che possiamo definire l’impatto delle norme sulla società. Ѐ questo l’ambito che, più fa apparire utile il lavoro del sociologo del diritto laddove svela la distanza tra diritto “sulla carta” e diritto “in azione”. Sul piano generale e teorico, il teme è declinato da molti sociologi del diritto nei termini delle funzioni che il diritto assolve nell’ambito del sistema sociale. L. Friedman elenca tra le funzioni del diritto quelle di composizione delle controversie, di esercizio del controllo sociale, di allocazione di risorse e di beni scarsi, di promozione di processi di cambiamento della società (della così detta “ingegneria sociale”), sul piano morale, di definizione di confini e standard di condotta e di affermazione di valori che si propongono come ispirati a principi di giustizia. Friedman sottolinea che il richiamo a tali funzioni non può dimenticare che la “sociologia” è un’astrazione e che dunque ogni ragionamento va riportato alle differenziazioni di potere che la strutturano e alla conflittualità che lo pervade. Se facciamo riferimento a V. Ferrari, leggiamo che sono essenzialmente tre le funzioni “universali” del diritto: • L’orientamento sociale • Il trattamento dei conflitti dichiarati • La legittimazione del potere Ad esse si possono ricondurre altre più specifiche: - Le funzioni allocativa o distributiva - Organizzativa - Educativa - Integrativa - Repressiva - Promozionale 11 L’analisi sociologico-giuridica è chiamata a osservare più da vicino le pertinenze di ciascuna di essa in società e momenti diversi. Assumendo la prospettiva che considera il diritto come “variabile indipendente” e la società, o gli individui che la compongono, come “variabile dipendente”. Note difficoltà metodologiche della ricerca sociale allorquando si propone di “dimostrare” nessi causali nel campo delle scelte e degli orientamenti degli individui in presenza di una molteplicità di possibili elementi degli individui in presenza di una molteplicità di possibili elementi incidenti sulle situazioni e delle possibili diverse razionalità dei soggetti agenti. Qui, il sociologo del diritto si avvicina al giurista più attento che si pone il problema di andare al di là della dogmatica e di riflettere sulle cose che accadono nel mondo reale, in conseguenza del mutamento di una determinata norma giuridica. Il sociologo del diritto assume il principio che l’impatto o l’incidenza delle norme sulla società nel suo insieme, sul funzionamento delle istituzioni e sui comportamenti degli individui non è scontata, non è “data” per il solo fatto che esista una norma. Possiamo dire che se i rapporti e le dinamiche sociali in trasformazione cambiano il diritto, lo stesso diritto (in quanto istituzione viva), può cambiare la società o incidere sulla stessa. Tuttavia la prudenza di chi ha come obiettivo l’osservazione del diritto “in azione” impone di considerare ogni legge in grado di provocare un cambiamento sociale, come elemento la cui influenza sulla società è solamente “potenziale”. Servono programmi di ricerca empirica, che sappiano far tesoro di contributi che derivano da altri saperi. Si pensa, ad esempio, alla rilevanza della psicologia sociale se si riflette sul rapporto degli individui. Si pensa ai molteplici contributi offerti dalla sociologia della devianza e alla criminologia in ordine ai fattori sociali e relazionali che sono all’origine dei comportamenti criminali. All’analisi delle politiche pubbliche o agli studi sulle organizzazioni e le loro reazioni o resistenze ai cambiamenti normativi. Il tema delle scelte appare rilevante anche nel caso di norme che attribuiscono compiti a organismi o soggetti titolari di determinati ruoli. Da questa scelta, possono derivare mutamenti nelle condizioni di persone o gruppi cui si riferisce quel dispositivo normativo. Sono espressione di un complesso intreccio di fattori, o non attuazione, nella “implementazione” delle leggi. Degli enunciati normativi, si operano scelte e si assumono impegni e, spesso discrezionali e culturalmente e politicamente connotati, tali da rendere effettivo e possibilmente efficaci il dettato normativo. I due aggettivi (effettivo ed efficace) ci consentono di ricordare che nelle analisi e nelle ricerche in questo campo si devono distinguere due piani: • EFFETTIVITÀ Ovvero delle azioni volte ad applicare quanto previsto dalla dalle norme, a dare attuazione alle indicazioni di azione che vi sono prefigurate, a dare cioè sostanza al dettato normativo attraverso scelte e impegni. Questo vale per le azioni di controllo da parte delle forze dell'ordine tese a scoprire reprimere le violenze di divieti, come per tutte le normative che sono alla base della formale garanzia di rispetto di diritti soggettivi. le normative che si sostanziano in politica, messa a disposizione dei titolari degli stessi di risorse e servizi da parte di istituzioni pubbliche o altre istituzioni comunque implicate. • EFFICACIA Ovvero la verifica che essa abbia raggiunto gli obiettivi dichiarati, abbia soddisfatto le domande avanzate, abbiamo modificato nel senso auspicato le condizioni dei problemi, abbia risolto i conflitti Che suscitavano domanda di regolazione. Nesso tra effettività ed efficacia: risulta evidente che una norma non effettivamente non può essere efficace, ma che tale in realtà non è. 12 Esempio: Una norma prodotta per interessi che sono solo di consenso e legittimazione del decisore magari formulata in modo che la rende contraria a principi di valore o alla deontologia professionale di chi è chiamato ad applicarla. Può emergere con evidenza la distinzione tra: -piano sostanziale- interessi affermati, tutelati, difesi -piano simbolico- viene coltivato nello stesso processo di decisione al fine di garantire il consenso e legittimazione, anche indipendentemente da effetti reali nell'ambito ho problema oggetto di attenzione. L'esempio più clamoroso è rappresentato dall’impostazione di fondo delle normative proibizioniste in materia di droga. Si possono distinguere norme intenzionalmente ineffettive (inefficaci sul piano sostanziale, ma rispondenti all'interesse di legittimazione di chi le ha prodotte) e norme che si dimostrano inefficaci nonostante siano effettive e siano stati implementate, per errori di valutazione degli strumenti normativamente definiti. 2.5. Altri campi di interesse e ricerca della sociologia del diritto Molti sono i campi di interesse e ricerca della sociologia del diritto. a) IL RAPPORTO TRA I CITTADINI E IL DIRITTO: L'interesse si sviluppa attraverso ricerche che pongono attenzione alla conoscenza, da parte degli individui, delle norme, sostanziali e procedurali, e, soprattutto, alle opinioni e agli atteggiamenti che hanno su di esse gli stessi individui, nella cornice del rapporto tra diritto e morale, del valore attribuito al rispetto delle leggi ovvero, delle posizioni sui fondamenti della legalità e della Giustizia. sia nel campo dello studio della aperta "cultura giuridica esterna". Questo tema comprende gli orientamenti di azione che hanno riferimento a singole specifiche norme, che riguardano i comportamenti di singoli o di insiemi di individui, o strumentali, che possono essere utilizzate per risolvere conflitti, perseguire interessi, rapportarsi a istituzioni e procedure, ecc… . Questo interesse ha dato luogo (in particolare negli anni ‘60 e ‘70) a studi e di ricerche note come ricerche KOL, cui è seguito, alla fine degli anni Ottanta, negli Stati Uniti, un insieme di analisi e ricerche note come i Legal Consciousness Studios. Nella stessa area interesse possiamo collocare le ricerche sulla socializzazione giuridica con particolare attenzione ai bambini. b) L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: Un altro campo di rilevante interesse è quello dell'amministrazione della Giustizia nei diversi settori in cui si esercita la sua competenza e nei diversi livelli in cui si articola. Variano a seconda degli ordinamenti nazionali, nel caso italiano, vedono tribunali ordinari e per minorenni, corti di appello, corte di cassazione, corte costituzionale, ecc… . L'attenzione dei sociologi del diritto dall'estrazione sociale e formazione dei magistrati, alla loro cultura, a ruolo esercitato con riferimento alle funzioni ricoperte, distinzione tra quella inquirente e dell'accusa e quella giudicante. E l'organizzazione degli apparati e degli uffici e i problemi della loro efficienza. Per arrivare, negli studi e nelle ricerche aderenti a prospettive “critiche”, a temi come quello delle diverse opportunità di accesso alle risorse della giustizia, per veder riconosciuti e rendere esigibili diritti formalmente garantiti, e del diverso trattamento di persone di classi o categorie sociali diversamente dotati di risorse e di potere. Troviamo ricerche sugli altri soggetti indicati nell'amministrazione della giustizia. Esempio: le 15 “L'integrazione sociale dei malati di mente è favorita dall'esistenza di una normativa che ha abolito gli ospedali psichiatrici?” “La minaccia di una sanzione per l'uso di cannabis ha realmente un efficacia deterrente?” In questi tipi di ricerche, le cose non sono affatto semplici bisogna sempre indurre a cautele e rigore metodologico. Esempio: La comparazione tra periodi pre e post un cambiamento normativo deve tenere “sotto controllo” variabili diverse che possono intervenire nelle dinamiche di mutamento di situazioni o comportamenti. Lo stesso vale per la comparazione tra contesti diversi, per effetto di differenti sistemi giuridici e, istituzionali sotto il profilo organizzativo e delle risorse di cui dispongono nella fase di implementazione delle novità legislative. In culture e Paesi diversi, la differente di rilevanza e le mutevoli forme di interazione tra controllo sociale formale e controllo sociale informale. Risulta molto importante la messa a punto del disegno della ricerca, vede come primo passo la formulazione puntuale della/delle domande di ricerca (una specificazione degli interrogativi cui si intende rispondere al fine di descrivere o spiegare quanto di interesse). Queste domande di ricerca saranno orientate non solo dagli interessi o dalle competenze del ricercatore, ma naturalmente anche dalle riflessioni teoriche cui lo stesso fa riferimento e dalle conoscenze delle ricerche. La puntualizzazione delle domande di ricerca, in contemporanea con la definizione, la più rigorosa possibile, dei concetti in esse contenuti, guida la scelta delle fonti in cui cercare le risposte e degli strumenti per raccoglierle. Nel nostro campo di interesse, risulta rilevante l'utilizzo di fonti di tipo documentale: - Atti parlamentari che possono, consentire la ricostruzione dell'Inter della decisione legislativa - Ai testi delle stesse leggi o di specifiche norme - Alle deliberazioni di amministrazioni diverse nella fase di implementazione delle leggi - Alle interpretazioni Rai pronunciamenti giurisprudenziali -L'analisi della rappresentazione, veicolata dai mezzi di comunicazione di massa, dal diritto e dalla sua produzione e applicazione. Sono inevitabili anche i dati quantitativi raccolti da istituzioni diverse (In Italia l'ISTAT), quantificano la diffusione e l'incidenza di determinati comportamenti o scelte di azioni degli individui. Se parliamo di statistiche che violino la legge, esempio le statistiche sulla criminalità alla qui costruzione concorrono molteplici fattori è che hanno ovviamente molti limiti (chi viola una norma tende a nascondere il proprio comportamento e tenta di evitare la sanzione). Infatti, queste statistiche non possono essere considerate attendibili della criminalità e delle connotazioni dei criminali. Possono essere di grande aiuto gli approcci quantitativi con quelli qualitativi. La distinzione che connota la tradizione sociologica, per molto tempo ha visto due schieramenti contrapporsi: Quello di chi affida la possibilità di iscrizione di fenomeni o condizioni sociali e di spiegazioni della loro diversa incidenza alla quantificazione delle loro caratteristiche e del loro mutamento nel tempo o nello spazio. Trattano “un fatto sociale” come variabile “dipendente” da altri fenomeni, considerati come variabili “indipendenti” (fattori che ne influenzano il mutamento). 1 16 Quello di chi assume come centrale la capacità di chi fa ricerca sociologica, di avvicinare, comprendere e interpretare i modi nei quali gli individui si pongono, agiscono, dammi un suo a tale agire, cercano le spiegazioni dei fenomeni sociali nella raccolta e nell' organizzazione in categorie dei punti di vista, delle interpretazioni, delle scelte di coloro che della realtà sociale sono protagonisti (“attori sociali”). Collocarsi in una delle due prospettive significa orientarsi in direzione di fonti diverse e scegliere differenti strumenti di ricerca: Raccolta e analisi di dati quantitativi utili alla messa in relazione dell'andamento del fenomeno che si intende studiare, con le variabili che lo possono influenzare (es. “Il suicidio“ studiato da E. Durkheim). Anche questionari, campioni delle risposte attraverso le diverse tecniche di tipo statistico. Le fonti potranno essere documenti, dichiarazioni, storie di vita, interviste discorsive o semistrutturate, fino ad arrivare alle tecniche di osservazione partecipante (il ricercatore si immerge in un contesto come quello di un'aula di giustizia in cui si celebrano processi). Osserva dal di dentro, accorgimenti metodologici, comportamenti, dinamiche relazionali, discorsi, regole condivise, ecc… . [sulla scia della tradizione weberiana] La netta separazione tra i due approcci e la difesa della legittimità esclusiva dell'uno o dell'altra a produrre affermazioni di quale aspetto della vita sociale appare oggi superata. Un intreccio tra metodologie quantitative e metodologie qualitative può consentire di rispondere a domande complesse, che riguardano fenomeni sociali, ma che vedono come rilevanti le rappresentazioni, i significati, le esperienze degli individui che compongono gli aggregati. Molti dei temi di cui si occupa la sociologia del diritto si possono studiare solo usando fonti di carattere discorsivo, documenti, atti, sentenze. Che possono essere analizzati con la modalità delle metodologie qualitative, ma anche quando possibile, adottano tecniche di quantificazione, come nel caso delle “analisi del contenuto”. 2 1 2 17 Capitolo II LA SOCIETÀ DEI MESSAGGI NORMATIVI: DELLA PUBBLICITÀ AI CARTELLI STRADALI Claudio Sarzotti 1.Definizio della normatività sociale nella prospettiva socio-giuridica Tra gli elementi del sapere scientifico vi è l'uso del linguaggio di uno stile argomentativo chiaro e di significato. Prima operazione da effettuare definire i termini e i concetti che si utilizzano nel corso della trattazione. Le scienze sociali, hanno a che vedere con vocaboli presenti anche nel linguaggio comune e quindi si confrontano con termini polisemici che assumono significati diversi a seconda delle culture, delle epoche storiche e di gruppi sociali. Esempio: DIRITTO è possibile, con una rapida ricerca sul web, individuare un termine che si associa alla sua definizione. Consultando i principali dizionari on-line della lingua italiana, il termine diritto, viene così definito: “diritto come colpo del gioco del tennis, diritto come punto del lavoro a maglia, ecc…” *a pag. 38 citate diverse definizioni di differenti dizionari* A risultare molto simile è giunta un'indagine, che potrebbe essere classificata come di tipo KOL, che è stata effettuata utilizzando come campione d'osservazione gli studenti del corso di primo anno di filosofia del diritto al dipartimento di Giurisprudenza dell'università di Torino in un arco temporale che va dal 2004 al 2019. Nella prima lezione del Corso, è stato chiesto di rispondere per iscritto e in poche righe, alla domanda: “CHE COS'È IL DIRITTO?” La loro definizione può essere considerata affine al senso comune su ciò che si ritiene sia il diritto. nelle risposte degli studenti il vocabolo che con più frequenza si associa al termine diritto e quello di norma/regola. Tali termini sono presenti in quasi il 90% delle definizioni: “Il diritto è un insieme di norme e regole” “Il diritto è l'insieme delle norme che compongono l'ordinamento giuridico” “Il diritto studia il comportamento dell'uomo con gli altri simili con delle regole” “Il diritto è un insieme di norme giuridiche che viene applicato a tutti gli individui” “Il diritto è un insieme di norme giuridiche che regolano la convivenza civile e il comportamento del singolo nella società”. Questi esempi mostrano come nella cultura giuridica degli italiani del XXI secolo il termine diritto, sembrerebbe essere associato a quello di norma/regola. Questa considerazione, ci porta a riflettere se il fenomeno giuridico non sia che una parte di un fenomeno più ampio che potremmo chiamare della normatività sociale. Per economia del discorso, questi due termini, ovvero norma/regola, vengono considerati come sinonimi. 20 A chi è rivolto il messaggio normativo contenuto nell'Art. 575 c.p.? Un qualunque cittadino, il giudice, il poliziotto? L'enunciato linguistico che chiama “Art. 575 c.p.” non sono che parole su un foglio di carta della Gazzetta Ufficiale n. 251 del 26 ottobre 1930. Quell’enunciato, darà vita ulteriori attività interpretative da parte di tutti i soggetti come comuni cittadini, giudici, avvocati, giornalisti, studiosi, ecc… . I destinatari del messaggio saranno tutti coloro che, lo avranno presentato nel loro orizzonte cognitivo. - Il giudice ne terrà conto nell’emettere la sentenza; - L'avvocato lo valuterà nello scegliere la condanna processuale da suggerire al proprio cliente; - L'esponente della criminalità organizzata lo considera come un costo nella decisione di regolare i conti con un qualche collega; - Lo storico del diritto penale del futuro lo prenderà in esame per cercare di comprendere perché all'inizio del ventunesimo secolo si cominci a distinguere l'omicidio dal femminicidio. In molti messaggi normativi la divisione descrittività-prescrittività è molto difficile da cogliere, i due elementi sono inscindibili se non si fa riferimento al contesto in cui essi vengono emessi. Non sempre un'interpretazione è in grado di distinguere e di separare il descrittivo dal prescrittivo. Ciò va analizzato, infatti, e il significato che viene attribuito al messaggio nelle frasi che interpretative che lo attualizzano i specifici contesti storico-sociali. Questa ambiguità della divisione tra descrittivo e prescrittivo si trova anche nei messaggi normativi che utilizzano immagini per veicolare il loro contenuto. Bisognerà quindi fare riferimento al contesto in cui essi vengono recepiti e reinterpretati. 2. Le due funzioni del messaggio normativo: orientamento e significato dell’azione A cosa servono i messaggi normativi? A quali finalità sociali rispondono? Perché in ogni società umana possiamo trovare un'ampia verità, ma con indubbie costanti, di messaggi normativi? Homo sapiens Possiamo affermare che tali società per poter suscitare e possedere un certo grado di stabilità nel corso del tempo deve garantire una certa prevedibilità dei comportamenti di singoli componenti. Per tanto si può affermare che il legame sociale per suscitare deve essere preservato dalla tendenza egoistica del genere umano di dominare sui propri simili e sulle risorse naturali presenti nel globo terracqueo. Da questa struttura antropologica nasce: • La necessità che esista all'interno della società un qualche tipo di distribuzione ineguale del potere che costituisce un potere sovraordinato rispetto al resto del componente dei componenti della società. • La necessità che le azioni di tali componenti siano prevedibili, nella misura in cui venga ristretta la loro gamma di scelta d'azione praticabili, e comprensibili, nella misura in cui si possono attribuire a loro un senso-significato condiviso. Il messaggio e normativo, in tale prospettiva, svolge una duplice funzione: • Orientare le scelte d'azione dei soggetti destinatari, in quanto attraverso la previsione e 21 l'attribuzione delle conseguenze previste dal messaggio stesso il destinatario sarà influenzato nell’effettuare le sue scelte d'azione. • Attraverso il messaggio normativo e lo schema di qualificazione che fornisce, si potrà attribuire a quella determinata azione un significato o un senso, condiviso è comprensibile nella misura in cui siano condivise e comprese le pratiche interpretative che costituiscono il contenuto del messaggio stesso Esempio GIOCO DEGLI SCACCHI: Possiamo considerare tale gioco come un insieme dei messaggi normativi che circoscrivono uno spazio sociale in cui due giocatori vengono dotati di una tavola piana suddivisa in 64 caselle quadrate e di 16 figure di due colori diversi. Ognuno di queste possiede per il gioco un valore differente e può muoversi sulla scacchiera con modalità specifiche. La scelta d'azione dei due giocatori rispetto al gioco stesso, orientate in modo preciso dall'insieme di questi messaggi normativi e qualora i giocatori non li rispettino occorrerà far scattare le conseguenze negative previste delle regole del gioco, che possono aggiungere fino all'espulsione dallo stesso. Questa messa in atto delle conseguenze o viene accettata spontaneamente dai due giocatori, o deve essere esercitata da un terzo che detengo il potere (chi abbia il potere di allontanare dal gioco il giocatore che non ha rispettato le regole). lo sviluppo delle abilità informatiche ha da qualche tempo consentito di praticare il gioco degli scacchi anche al computer. in questo caso i costruttori del software hanno inserito nel programma stesso le regole del gioco e quindi il giocatore si trova nella impossibilità materiale di violarle. I messaggi normativi nel gioco degli scacchi svolgono la funzione di: conoscere le regole del gioco. La conoscenza di tali regole sarà necessaria anche ad un qualunque servatore. Le regole, servono per creare delle aspettative di comportamento da parte dei consociati. il pubblico che guarda ti aspetta di vedere le mosse previste dal gioco stesso. Il comportamento dello scacchista diventa, maggiormente prevedibile e le relazioni sociali vengono facilitate dal fatto che ogni attore sociale si stenta in qualche misura protetto dal problema della contingenza (natura di per sé imponderabile delle scelte che stanno alla base dell'agire umano). Gli alter ego rappresentano degli enigmi in quanto ai loro sentimenti e alle loro azioni: La norma serve a fornire un'immagine più rassicurante di essi. 3. Le conseguenze dell’obbedienza/disobbedienza al messaggio: negative, positive e neutre Conseguenze previste dal messaggio normativo sono strettamente correlate alla sua funzione dell’orientamento dell'azione (le conseguenze, sono il principale strumento con cui è so cerca di influenzare le scelte d'azione del destinatario). Il tema delle conseguenze previste nel caso di obbedienza-disobbedienza alla prescrizione contenuta nel messaggio normativo è stata quasi sempre affrontata dalla sanzione della norma. 22 Si è ritenuto che la sanzione sia un elemento connaturato è sempre presente in tutti i tipi di norme e che attraverso gli elementi che distinguono quella giuridica dagli altri tipi di sanzione sia possibile provare i criteri con cui distinguere le norme giuridiche dalle altre (N. Bobbio). Bobbio ha distinto le sanzioni negative da quelle positive. Nella storia più recente dello stato moderno moderna, molte norme giuridiche non utilizzano come strumento di orientamento dell'azione solamente la tradizionale minaccia della sanzione negativa (es. la pena prevista per un reato), ma anche, sanzioni positive che impiegano una tecnica stazionaria opposta: Invece di minacciare conseguenze spiacevoli nel caso della disobbedienza ne promettono di piacevoli nel caso si obbedisca. Il messaggio normativo che utilizza conseguenze positive per il destinatario: “Se agirai o non agirai in un certo modo ti verrà assegnato un beneficio” Nelle sanzioni negative, quella promessa diventa una minaccia che accadrà qualcosa di spiacevole al destinatario. Il funzionamento del messaggio normativo parte dal presupposto chi tra i fattori che possono condividere il comportamento umano è visto uno stimolo positivi o negativo associabili da parte del destinatario del messaggio ad una determinata azione. Si tratta di uno schema comportamentale che oltre a funzionare per l'homo sapiens, funziona anche nei confronti di altre specie animali: - L'addestramento della specie canina - L’addestramento della specie equina, funziona proprio allo stesso modo. Gli etologi chiamano Questi strumenti rinforzi positivi e rinforzi negativi. Radici primordiali del comportamento dell'homo sapiens legato al comando di fuga: “ La la pianta efficace di ordine e la fuga, dettata all'animale da chi è più forte di lui [...]. dipende solo dalla forza della minaccia” (E. Canetti) Il comando, quando è stato esercitato tra i sapiens si è addomesticato: ”La domesticazione del comando si Vale di una promessa di nutrimento. invece di minacciare la morte e di spingere alla fuga si promette ciò che ogni creatura desidera soprattutto[...]. Invece di servire come nutrimento al padrone, invece di essere divorata, la creatura a cui viene impartito un comando di tal genere riceve essa stessa del cibo. la denaturazione del comando di fuga biologico educa uomini e animali a una sorta di prigionia volontaria, dalle molteplici gradazioni e sfumature. Essa però non muta completamente l'essenza del comando. In ogni comando continua sempre ad essere contenuta la minaccia: una minaccia di per sé attenuta, cui però fanno riscontro esplicite sanzioni per la disobbedienza. e quelle sanzioni possono essere molto severe; la più severa e l'originaria: la morte”. Questa essenza del comando e oggi sepolta sotto compatti stratti di elementi culturali che la storia dell'uomo ha depositato nel corso dei secoli punto si pensi ai periodi in cui interi ordinamenti normativi vengono meno lasciando spazio a situazioni di guerra come nell'attuale Ucraina. Il termine conseguenza consente di comprendere un terzo tipo di essi, la conseguenza neutra, non collocabile nel tradizionale binomio sanzioni negative-sanzioni positive. In questi casi la fonte emittente si pone in una posizione neutra rispetto alle finalità dell'azione del destinatario. Contenuto del messaggio normativo: ”se vuoi ottenere un certo risultato allora dovrai agire in un certo modo”. Un esempio molto diffuso di messaggi normativi di questo tipo è quello delle norme della tecnologia, presenti in un qualunque manuale di istruzioni d'uso allegato ad un 25 LA DISCIPLINA Si fa riferimento ad “Un'obbedienza pronta, automatica e schematica ad un certo comando”. Qui Weber anticipo e sintetizza quella che più di 50 anni dopo sarà la descrizione del potere disciplinare elaborata da Michel Foucault in “Sorvegliare e punire" (1976). Il potere riprende il modello dei rinforzi negativi e positivi. Rinforzi che hanno la capacità di condizionare l'agire dell'uomo attraverso la sorveglianza continua e l'addestramento. Con il costituirsi delle istituzioni totali di controllo dell’agire, sono state elaborate le strategie di disciplinamento cui obiettivo e di sorvegliare grandi masse di individui e, di adattare tali masse alle nuove modalità di relazioni socio-economiche. Si cerca di far interiorizzare delle abitudini comportamentali, degli schemi di azione da rispettare in modo continuativo. Nessuna di queste strategie è riuscita a produrre degli uomini-macchina del tutto privi di autonomia decisionale. Ѐ stato possibile diffondere degli automatismi comportamentale, degli schemi d’azione che sgravano il soggetto agente dal processo cognitivo di scelta consapevole. Negli ambiti sociali, il potere disciplinare tende a ridurre al minimo il grado di autonomia decisionale del soggetto, ma al tempo stesso non si identifica totalmente con il concetto di potenza, in quanto richiede pur sempre un certo grado di volontaria obbedienza, che anzi viene invocata il nome del bene stesso dell'individuo sottoposto a ciò che Faucault ha chiamato il POTERE DEL NORMALE Tratta di una forma di potere molto sofisticata è subdola che, per certi aspetti, troveremo riprodotta nel sistema della pubblicità commerciale che Orienta le pratiche di consumo compulsivo dell'homo videns-consumens della società postmoderna. 5. La resocontabilità del messaggio normativo Misura della consapevolezza con cui gli individui prendono in considerazione il messaggio normativo nel loro processi cognitivi e di scelta della agira. Concetto di resocontabilità dell'azione Entra in gioco quando il soggetto agente prende in esame le sue azioni sotto l'aspetto dell'ordinamento normativo. “Per poter parlare di azione sociale orientata al rispetto o alla violazione di una norma, infatti, occorre che e vista un resoconto, una narrazione dell'azione stessa che mette in relazione le ragioni, le giustificazioni, le motivazioni che hanno portato il soggetto agente a costruire il proprio comportamento come un evento in rapporto all'esistenza di una norma. qualsiasi azione che non sia in grado di sottoporsi ad un giudizio di resocontabilità di questo tipo rappresenta una mera regolarità comportamentale e non un'azione orientata normativamente” (Claudio Sarzotti). Ciò vuol dire, che per poter affermare che il soggetto agente ha tenuto presente l'esistenza di una norma nella sua decisione di agire non è necessario che egli se la rappresenti al momento dell'agire stesso, ma è sufficiente che gli faccia riferimento ad essa, esplicito o implicito, nel momento in cui è chiamato a giustificare davanti a qualcuno le ragioni del suo agire. 26 “Quando muoviamo un pezzo di scacchi secondo le regole, o ci fermiamo quando il semaforo è rosso, il nostro comportamento conforme alla norma è sempre una risposta diretta alla sanzione, senza la mediazione di un calcolo in termini di norme. [...] Il più importante di questi fattori che mostrano che nell'agire abbiamo applicato una norma è quello per cui se il nostro comportamento viene criticato siamo disposti a giustificarlo riferendo ci ha una norma[...] [S]e, prima della nostra <<non ragionata>> osservazione della norma, ci avessero chiesto che cosa si doveva fare e perché, nel rispondere noi avremmo, se fossimo stati onesti, citato la norma. [...] Ѐ in questo modo che distingueremmo, in quanto osservanza di una norma accettata, la mossa dello scacchista adulto dell'atto del bambino che spinge semplicemente il pezzo al posto giusto” (Herbert L.A. Hart). Consente di considerare azioni in cui il soggetto agente non ha coscientemente preso in esame una norma nel momento della scelta dell'azione, in quanto la norma è stata a tal punto interiorizzata dal soggetto da costituire un elemento subliminale del processo cognitivo che ha portato all’agire. In un ridotto numero di azioni il soggetto agente si rappresenta l'esistenza di un messaggio normativo al momento della decisione. Ciò accade, per molti me non norma di, quando il soggetto gente si reca da un esperto del diritto per chiedere consulenza rispetta ad un determinato comportamento Gran parte delle azioni che compiamo quotidianamente la consapevolezza, da parte di colui che agisce, di riferirsi a messaggi normativi e apparentemente assente. Tali azioni vengono poste in essere senza alcun riferimento diretto a sistemi normativi, ma esso può emergere appena si richieda al soggetto agente di riflettere sulle ragioni del suo comportamento. Esistono particolari situazioni sociali nelle quali si è tenuti a raccontare e a motivare le ragioni che hanno portato ad una determinata azione. Si tratta di situazioni che si presentano nel contesto familiare o dei gruppi (Il figlio adolescente che deve rendere conto dei propri comportamenti davanti ai genitori, o davanti al suo gruppo di amici), in quell'istituzione. In questi casi, il soggetto agente è chiamato, nel raccontare il comportamento da lui tenuto, a fare riferimento a messaggi normativi per poter giustificare e o spiegare le ragioni della propria condotta e nel far ciò farà emergere alla propria coscienza e all'udito l'esistenza di un agire orientato normativamente. 6. I soggetti coinvolti nel funzionamento del messaggio normativo Il funzionamento del messaggio normativo coinvolge perlomeno due soggetti: Colui che emette il messaggio e colui che lo riceve. Pensiamo ad un messaggio normativo verbale-orale che viene emesso da un docente universitario che in aula chiede ad uno studente: ” Potrebbe spegnere il suo iPhone?”. Qui ci troviamo di fronte ad un messaggio normativo che non utilizza un operatore deontico, ma la modalità verbale della domanda retorica per minacciare. Questo messaggio coinvolge solamente due soggetti che per comunicare non hanno necessità di rivolgersi a terzi. Ciò è reso possibile da due condizioni: 27 Il messaggio si rivolge ad un unico destinatario ed è emesso da una fonte che opera nel medesimo contesto spazio-temporale (in quel momento l’aula universitaria). Supporto materiale di comunicazione Le corde vocali del docente, che consente di trasmettere il messaggio a breve distanza e con una ricezione dello stesso istantaneo. Nelle odierne società complesse a queste situazioni semplificate si aggiungono un'infinità di atti comunicativi-normativi che, interessando una pluralità di destinatari e dovendo essere trasmessi in contesti spazio-temporali molto avanti, necessitano dell'attività di un terzo soggetto (Medium) chi si frapponga tra fonte emittente e il/i soggetto/i destinatari veicolando il messaggio. *guarda schema a pag. 58* Questa rappresentazione triadica prevede che il messaggio giunga al destinatario/i attraverso un medium che nel trasmettere il messaggio ne opera un'interpretazione. Il messaggio esiste solamente in quanto interpretazione e, di conseguenza, non è che un incrocio di interpretazioni che vengono operate da attori sociali diversi mossi da finalità e stili differenti. Al messaggio originario ogni interpretazione aggiunge un supplemento informativo che viene prodotto dal medium nella sua attività di trasmissione. Esempio: Modalità di trasmissione dei messaggi normativi contenuti nelle leggi prodotte dallo stato. Gli ordinamenti giuridici degli stati moderni, avendo necessità di trasmettere messaggi normativi che devono rivolgersi ad un ampio numero di destinatari e devono poter essere tramandati per un lungo periodo di tempo, hanno elaborato procedure di pubblicazione e conservazione delle leggi che consentono al cittadino di prendere visione dei messaggi. Tali procedure prevedono la costituzione di specifici soggetti istituzionali che hanno il compito di stamparle e diffonderle su organi ufficiali di trasmissione della conoscenza del diritto. La conoscenza che i cittadini possiedono dei messaggi normativi contenuti nelle leggi statuali assai raramente proviene dalle procedure formali che, per essere realmente efficace, dovrebbe fondarsi sulla diffusa lettura della Gazzetta Ufficiale. Più comunemente, il cittadino apprende del contenuto delle leggi attraverso l'accesso a quel sistema che è stato chiamato dei mass-media (insieme di mezzi di comunicazione di massa). È evidente che quando parliamo di messaggio normativo che canta attraverso un medium, il processo interpretativo di quel messaggio contiene un supplemento informativo di rilevanza maggiore. L'interpretazione del messaggio viene arricchita da un insieme di commenti politici, ricostruzioni del contesto parlamentare in cui è avvenuta l’approvazione della legge. Tutto questo supplemento informativo è condizionato dagli obiettivi e dagli stili interpretativi degli attori sociali che producono comunicazione mediatica e che vanno ben al di là della finalità di semplificare per il lettore- spettatore la complessità del linguaggio tecnico-giuridico della legge. I destinatari del messaggio normativo non li recepiscono passivamente, ma li rielaborano a loro volta secondo due direzioni diverse: 30 • Attori collettivi in senso astratto Rappresentano teorie che vengono elaborate dai ricercatori per generalizzare e sistematizzare le osservazioni empiriche raccolte nella loro indagine • Attori collettivi in senso concreto Rappresentano veri e propri gruppi di individui che agiscono in contesti strutturati e secondo finalità e modalità d'azione che in qualche modo devono essere coordinate tra di loro punto perché si possa parlare di un attore sociale collettivo occorre, che esista un contesto nel quale un insieme di individui organizzano i loro rapporti in modo tale da dar vita a forme relativamente stabili di azioni e di decisioni chi possono essere attribuite all'attore collettivo spesso. L'attore collettivo si caratterizza per una serie di elementi che vanno attentamente analizzati per ricostruire le complesse dinamiche interne: dalle relazioni tra gli individui che appartengono al gruppo, alla partecipazione degli stessi individui alla formulazione e alla decisione del gruppo, del grado in cui essi si riconoscono nell'identità dell'attore collettivo, ai conflitti che possono emergere tra sottogruppi. Tali dinamiche interne possono inoltre possedere diversi livelli di complessività, che vanno da vere e proprie organizzazioni strutturate e formalizzate, a forme organizzative più semplici ed informali. La realtà delle odierne società complesse prevede molto spesso chi tutti gli attori sociali coinvolti siano collettivi. Come l'etichetta medium possiamo intendere un insieme di attori collettivi ognuno dei quali opera secondo finalità, modalità e compiti organizzativi specifici al tipo di medium coinvolto nel processo di trasmissione del messaggio e particolari al singolo operatore dell'informazione. nell' etichetta di destinatari spesso dobbiamo ricomprendere un insieme di attori collettivi, chi attraverso le loro dinamiche internet interpretano e orientano le loro decisioni tenendo conto dei messaggi normativi. Le comunità interpretanti sono attori sociali collettivi che devono essere considerate anche fonti emittenti del messaggio normativo. Le differenze, tra il modo di analizzare gli attori sociali individuali e quelli collettivi vengono attenuate quando si tenga conto delle concrete modalità con cui vengono effettuate le ricerche empiriche di materia sociologica. Quando si studia il comportamento e la soggettività dell'attore sociale individuale occorre inserire tale studio nel contesto in cui esso opera. Attori sociali collettivi insieme di attori sociali individuali La ricerca empirica procede attraverso un continuo passaggio dall’ individuale al collettivo e viceversa (un costrutto teorico che orienta il percorso di conoscenza del ricercatore). 8. La questione dell’insistente tempo zero del messaggio normativo Nel linguaggio giuridico e in quello popolare si parla dei messaggi normativi come se esistesse un fonte dalla quale essi scaturiscono attraverso l'opera di un attore sociale individuale o collettivo. Fonte (nel linguaggio comune) si associa al luogo dove l'acqua sembrerebbe scaturire improvvisamente dal terreno come dal nulla. 31 Tale equivoco linguistico, è il frutto di un’operazione politico-culturale che ha condotto la cultura giuridica interna della modernità, egemonizzata dal pensiero giuspositivistico, a proclamare l'autonomia del diritto della realtà politico-sociale. Ogni messaggio normativo (in tale realtà) non scaturisce all'improvviso, ma prende sostanza attraverso l'interpretazione e produce i suoi effetti in un ambiente già ampiamente trasformato da messaggi normativi preesistenti. Ogni produzione di messaggi normativi, induce sempre un qualche mutamento nel contesto normativo precedente, può essere considerata l'attuazione di quelli che l'hanno preceduta. Non esiste un tempo zero della normatività con cui sia possibile risalire ad un Big Bang universale da cui ogni messaggio normativo ha avuto inizio e prima del quale esistesse una situazione di totale assenza di norme. La densità di messaggi normativi è aumentata in misura espansionale rispetto alle società semplici tradizionali. L'immagine che meglio risponde a questa complessità di sovrapposizione di contenuti normativi proviene da fonti diverse e prodotte in tempi diversi, acquista complessità di attori sociali individuali e collettivi che svolgono, al tempo stesso il ruolo di fonti emittenti, i destinatari e di trasmettitori dei messaggi normativi non è quella tradizionale della piramide, ma quella della rete: Metafora della piramide Concepisce il mondo della normatività come un sistema gerarchico che ha al suo vertice la figura dello stato dal quale potere totale attraverso le leggi, gli altri soggetti interagiscono con tale figura in una posizione di oggettiva subalternità. Metafora della rete Pluralità di ordinamenti normativi, le norme considerate non come un comando, ma un messaggio che tende ad orientare e a dare significato alle azioni degli attori sociali, sottolinea come il potere non sia un'entità che qualche attore possiede ed esercita nei confronti di altri attori che non la possiedono, ma sia invece una relazione tra uno o più attori che, metti un in gioco le loro risorse di orientamento e di significazione dell'agire sociale. Il potere va concepito come la risultante tra diseguali forse di potere che lottano incessantemente per la preservazione e l'incremento delle loro capacità di orientare e di fornire significato a tala agire. 9. La classificazione dei messaggi normativi a seconda della forma di comunicazione Classificazione dei messaggi normativi secondo criteri che sono indifferenti alla loro giuridicità. Il primo di tali criteri fa riferimento alla forma di comunicazione del messaggio. La forza di comunicazione va tenuta distinta dal supporto tecnico con cui il messaggio viene trasmesso. Lo stesso supporto può veicolare una pluralità di messaggi classificati secondo la forma di comunicazione. Il problema nella costruzione di una classificazione dei messaggi normativi, possiamo distinguere una prima categoria, di messaggi normativi verbali che utilizzano, come forma comunicativa il linguaggio verbale, ovvero, ”quello costituito da suoni articolati e parole, in quanto distinto da altri tipi di linguaggi”. 32 Queste definizione di linguaggio verbale è già contenuta l'ulteriore bipartizione dei messaggi che fanno uso di questa forma di comunicazione, ovvero quella tra messaggi normativi verbali in forma scritta e in forma orale. es. Ordine di un Sergente impartito ad una recluta I messaggi normativi verbali in forma scritta sono, quelli più diffusi negli ordinamenti giuridici anche minimamente complessi e sono costituiti ad esempio dell’immenso deposito del testuale del diritto positivo di fonte statuale. Scritture implica, oltre che poter essere conservato, possa essere costituito da strutture sintetiche e dizionari terminologici anche molto sofisticati il che rende possibile e per certi versi necessario, il costruirsi di gruppi di esperti nella sua interpretazione. Dei messaggi normativi che si avvalgono del linguaggio verbale si distinguono quei messaggi che fanno riferimento a linguaggi non verbali, In particolare quelli visivi, comportamentale e sonoro. Si fa quindi, una tripartizione: • MESSAGGII NORMATIVI ICONICI Fanno riferimento al linguaggio visivo • MESSAGGI NORMATIVI COMPORTAMENTALI Si trasmettono attraverso il compimento di azioni • MESSAGGI NORMATIVI SONORI Si trasmettono attraverso il linguaggio musicale o segnali sonori meno complessi Nell'ambito di questi tipi di messaggi normativi, sfuma la tradizionale distinzione tra parte descrittiva e prescrittiva della norma. Nel messaggio normativo iconico le due parti sono pressoché inscindibili; l'immagine, al tempo stesso, rappresenta descrittivamente un sistema e prescrive implicitamente un'azione. Il messaggio iconico è quasi sempre accompagnato da un messaggio verbale, come spesso accade per rendere più facile la sua interpretazione. Sottile distinzione tra messaggi iconici e comportamentali: Per messaggi iconici intendiamo quei messaggi che si trasmettono attraverso l'uso di immagini (fisse o in movimento) prodotte artificialmente con cui vengono rappresentati oggetti-azioni della realtà fenomenica; per messaggi comportamentali intendiamo, azioni reali poste in essere da individui in carne ed ossa che possono essere interpretate da chi assiste all'azione come messaggi normativi. In entrambi i casi, si tratta d'immagini che non possiedono una finalità normativa esplicita, ma che hanno conseguenze normative indirette (nel senso che orientano l'agire che gli forniscono un significato). I messaggi normativi comportamentali, fanno riferimento ad un fenomeno analizzato dall' essenze cognitive che ha trovato anche riscontro sperimentale in quelli che sono stati chiamati i “neuroni specchio” NEURONI SPECCHIO Neuroni presenti nelle regioni parietali frontali del sapiens che si attivano davanti all'osservazione di movimenti e azioni dei propri simili. La loro funzione e di comprendere il comportamento altrui per interagire con esso e di apprendere le regole di 35 I comandi che un vigile urbano trasmette oralmente ad un automobilista (“Sposti l'auto da lì” “Mi esibisca la patente”); Le prescrizioni che un medico comunica al proprio paziente (“Questa medicina è da prendere due volte al giorno”); Le istruzioni che un capomafia impartisce ad un killer per l'eliminazione di un collaboratore di giustizia (“Assicurati di aver finito il lavoro”); ecc… . Il loro uso nella vita quotidiana è molto esteso è l'utilizzo di supporti tecnologici per la diffusione dei messaggi normativi gli rende estendibili anche a situazioni in cui il destinatario non è un unico individuo, ma una platea molto ampia di persone. Esempio storico: Re Giorgio VI annuncia la dichiarazione di guerra alla Germania nel 1939, esortò i cittadini inglese a “stare calmi, caldi e uniti in questo momento di tribolazione”. 2) VERBALI-ORALI-NON INTENZIONALI Messaggi con cui la fonte emittente, utilizzando il linguaggio verbale-orale, comunica significati che solo indirettamente possiedono una valenza normativa, in quanto dovrebbero avere nella intenzione del locatore finalità diverse. I messaggi normativi veicolati dai mass-media raramente anno obiettivi direttamente normativi (adottano spesso stili comunicativi finalizzati all'intrattenimento e alla narrazione più che all'esortazione e alla persuasione). Fin dagli anni ‘50, tuttavia, le ricerche di sociologia della comunicazione hanno sottolineato il loro ruolo di persuasori occulti (V. Packard), ovvero, la loro capacità di diffondere messaggi normativi in apparenza non intenzionali. Esempio: Una trasmissione radiofonica che parla positivamente di un gruppo heavy metal e manda in onda parti dei suoi concerti, anche se non si può sostenere che abbia un’intenzione in senso stretto pubblicitaria, indirettamente promuove quel gruppo nella cerchia dei radioascoltatori, favorendo l'acquisto dei loro dischi e l'accesso ai loro concerti. In questo senso si può affermare che molto spesso la distinzione tra l'informazione e i “consigli per gli acquisti” è alquanto aleatoria e che i messaggi che circolano sui mass -media svolgono quindi anche una funzione promozionale. 3) VERBALI-SCRITTI-INTENZIONALI È il tipo di messaggi normativo più comune contenuto in una qualunque legge dello stato in cui il legislatore inserisce delle prescrizioni che hanno la finalità istituzionale di orientare normativamente e di qualificare giuridicamente determinate azioni dei cittadini. Esempi: I famosi “pizzini” con cui, Bernardo Provenzano istruiva gli aderenti a Cosa Nostra tu i comportamenti da tenere, ad esempio nei confronti gli esponenti politici, fanno parte di questa categoria. Gli ordini di servizio che vengono prodotti dai vertici di organizzazioni industriali e che si rivolgono ai dipendenti di queste strutture per regolare le loro mansioni. Tutte le organizzazioni (minimamente complesse) hanno necessità di utilizzare messaggi di questo tipo per rendere più controllabili e documentabili le relative procedure di implementazione. 36 Tele obiettivo viene raggiunto anche attraverso la limitazione della libertà interpretativa dei destinatari con l'introduzione di messaggi normativi che a loro volta orientano le scelte interpretative. 4) VERBALI-SCRITTI-NON INTENZIONALI Quei messaggi verbali scritti che producono effetti normativi al di là delle intenzioni della Fonte emittente. Gran parte della narrativa di ogni tempo e genere letterario (sebbene l'intenzione dello scrittore sia quasi sempre orientata a finalità artistiche che esprimono la propria sensibilità e visione del mondo), l'opera letteraria comunica al lettore, attraverso la narrazione, modelli di comportamento, valori, prospettive sulla realtà che possono definirsi normativi: Esempio: La lettura dei “Promessi Sposi” manzoniani abbia contribuito a formare il modello dell'etica collettiva degli italiani dell'Ottocento molto di più di quanto abbiano fatto migliaia di pagine di scritti di educazione civica o di matrice religiosa. Anche per la scrittura l'elemento normativo e compreso a quello descrittivo in misura tale che si sono distinguibili solamente attraverso un attenta operazione esegetica sul significato complessivo del testo. [nell'opera teatrale “Orestea” di Eschilo è stata compiuta un'operazione di questo genere] 5) NON VERBALI-ICONICI-INTENZIONALI Mondo delle immagini utilizzate intenzionalmente per orientare il comportamento dei destinatari. il sistema della pubblicità commerciale ha privilegiato da tempo la potenza persuasiva delle immagini, utilizzando sempre meno messaggi verbali aventi contenuto esplicitamente normativo. In alcuni casi possiamo trovare messaggi di questo tipo abbinati a messaggi verbali scritti, in cui però la preminenza comunicativa dell'immagine è evidente. Esempi: Serie di manifesti murali per il reclutamento delle truppe durante la Prima guerra Mondiale che venne ripresa in più nazioni con slogan diversi, ma che era incentrata sull' immagine di un personaggio che indicava col dito indice il passante e lo scrutava con sguardo minaccioso e penetrante. Alle locandine cinematografiche che invitano a vedere un film. Tutte le immagini che vengono utilizzate per rappresentare divieti e istruzioni che di regola trovano la loro fonte di messaggi verbali-scritti-intenzionali (es. il cartello stradale). Questi messaggi presuppongono sempre una comunità interpretativa che condivida un insieme di informazioni e di immagini della realtà che sono specifiche ad una determinata cultura. 6) NON VERBALI-ICONICI-NON INTENZIONALI Le immagini possono svolgere una funzione normativa anche quando vengono concepite da colui che le ha prodotte con finalità diverse da quelle di orientare l'azione del fruitore. Conseguenze normative prodotte nell'uomo medievale dalla contemplazione degli affreschi che adornavano le mura, le vetrate e le cupole delle cattedrali dell'epoca. 37 Tali immagini, non avevano intenzioni normative (perlomeno nello spirito degli artisti che le avevano prodotte), ma al tempo stesso veicolavano modelli di comportamento, valori, visioni del mondo che erano attentamente controllati e valutati dalle autorità religiose. Trattato intitolato “Discorso interno alle immagini sacre e profane” (1582) dovuta il cardinale bolognese Gabriele Paleotti sembrerebbe dimostrare come la chiesa fosse consapevole di tale funzione normativa delle immagini, a tal punto da voler regolare in modo dettagliato l'attività creativa degli artisti che producevano quelli sacri per i luoghi di culto. Anche il sistema dell'informazione, in particolare quello televisivo, utilizza immagini per veicolare i propri messaggi che spesso hanno un connotato normativo, al di là delle stesse intenzioni dei giornalisti chi le producono. 7) NON VERBALI-SONORI-INTENZIONALI Quasi tutti i messaggi normativi sonori musicali hanno carattere intenzionale, in questo caso sono emessi da soggetti o da strumenti tecnologici che per mettersi in attività prevedono l'attivazione di meccanismi cognitivi volontari. Esempio: Un arbitro di calcio che fischia un calcio di rigore; L'attenzione di una sirena che segnala il termine dell'orario di lavoro in un cantiere; Il clacson di un automobilista che avverte il ciclista imprudente di tenere la destra; ecc… . Si tratta di segnali sonori che, hanno necessità della conoscenza da parte del destinatario del contesto in cui essi sono attivati. Essi non sussistono di per sé stessi, ma devono far riferimento ad altri messaggi normativi che a loro volta ne stabiliscono il significato. Esempio: Il fischio dell'arbitro presuppone il regolamento del gioco del calcio che lo qualifica come manifestazione della sua volontà di sanzionare una violazione delle regole; Il colpo di clacson dell'automobilista presuppone il codice della strada che ne stabilisce l'utilizzo come dispositivo di segnalazione acustica 8) NON VERBALI-SONORI-NON INTENZIONALI Se consideriamo i messaggi normativi sonori che utilizzano il linguaggio musicale, gran parte di essi, fanno parte di questa categoria di messaggi. Escludendo forme musicali come quella dell'inno; o delle musiche che vengono eseguite per accompagnare attività belliche o agonistico-sportive; o per suscitare sentimenti prodromici dell'azione, tutte forme musicali che peraltro si accompagnano quasi sempre alla tesi verbali che ne manifestano l'intenzione di incitamento dell'azione. La composizione musicale è una forma di manifestazione della spiritualità dell'individuo che raramente viene percepita dal compositore come uno strumento di orientamento dell'azione dell’ascoltatore. Ciò non significa che tale orientamento non avvenga di fatto nella percezione del destinatario del messaggio, allo stesso modo in cui la lettura di un romanzo può suscitare nel lettore la predisposizione ad un determinato modo d’agire. In questa categoria di messaggi sonori non intenzionali possiamo inserire anche i suoni che rientrano nella definizione di rumori (le vibrazioni acustiche non inserite in un qualche progetto comunicativo da parte di colui che le produce). 40 Il diritto si occupa di regolare anche: Le attività economiche, quelle artistiche, quelle tecnologiche, quelle pubblicitarie, quelle religiose, ecc…, ma occorre sottolineare come tali normative non cancellino la relativa autonomia di tali campi socio-normativi. Esempio: Un artista si compone un brano musicale si informerò e potrà essere influenzato nella sua attività creativa dai diritti che gli spettatori in base alla legge che tutela la proprietà intellettuale, ma in quanto tale, sarà mosso dall'obiettivo di esprimere la sua sensibilità artistica attraverso l'opera musicale. *guarda schema a pag. 85* I campi della morale, della politica e della religioni positive sì collochino in una sfera dell'agire umano per prossima al campo giuridico. Il processo di secolarizzazione del diritto moderno ha progressivamente spostato le scelte morali e religiose dell'individuo in una dimensione privata la cui libertà lo stato deve tutelare, ma che non devono avere cittadinanza nella sfera pubblica delle decisioni giuridiche. Il diritto vale per tutti i cittadini, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa o dai valori etici in cui essi si riconoscono. L'individuo può ritenere ingiusta o contraria ai propri principi religiosi una legge, ma per il diritto ciò non lo sottrae all'obbligo dell'obbedienza quando essa non prevede la possibilità di “obiezione di coscienza”. Non significa, che di fatto l'individuo non possa scegliere di far prevalere le proprie convinzioni morali e/o religiose, ma solamente che il diritto non considera tali convinzioni come sufficienti per liberarsi dall'obbligo di ubbidienza dalla legge statuale. L'agire morale Ѐ guidato dal principio della libera ricerca razionale di quei criteri che consentono di realizzare un giusto bilanciamento della libertà individuale con gli interessi collettivi. Tale ricerca è libera. La libertà del consenso si esprime nel fatto che le conseguenze nel campo dei messaggi normativi di tipo etico hanno natura esclusivamente interiore, sia nel caso di sanzioni negative, sia nel caso di quelle positive. Si tratta di una prospettiva deontologica (deve spesso fare i conti con la realtà della vita sociale). Le argomentazioni morali che vengono poste alla base di scelte di azione spesso rappresentate delle razionalizzazioni rispetto ai fattori emotivi e sentimentali e agli interessi materiali che ci porteranno a considerare giusta una certa valutazione etica delle situazioni. L'agire delle religioni positive Tutte le religioni si confrontano con la dimensione trascendente dell'essere e offrono risposte diverse alla domanda di senso che l'individuo si pone. Il senso del sacro è strettamente legato alla questione del destino dell'uomo e dell'universo. Su tale sentimento, si sono fondate le istituzioni delle varie religioni positive, alcune delle quali, in primis quella cattolica romana, hanno costruito veri e propri 41 ordinamenti normativi dotati di specifiche regole (legislativi e giudiziari, apparati amministrativi). A tali ordinamenti (almeno per quanto riguarda il mondo occidentale) il diritto ha preso le distanze attraverso il principio della sua neutralità religiosa. Lo stato moderno, tutela la libertà delle singole religioni positive anche nelle loro manifestazioni pubbliche, ma non prende posizione. SANZIONE INTERIORE “Il senso di colpa, uno stato di disagio, di turbamento, allora di angoscia che dicesi nel linguaggio dell'etica ‘ rimorso’ o ‘ pentimento’ “(N. Bobbio) I campi normativi delle religioni positive, non si limitano infatti a tali conseguenze interiori ma prevedono conseguenze alla disobbedienza che sono invece esteriori, in quanto si manifestano nella vita sociale della comunità religiose e nel loro ordinamento normativo. Valori etici e convinzioni religiose possono liberamente esprimersi nel dibattito pubblico come istanze che, insieme con quelle situazioni di altro genere (si pensi a quelle di tipo economico), giungono al legislatore che ha il compito di comporle e di tradurle in termini giuridico-normativi. Ѐ questo il campo della politica inteso come sfera pubblica nella quale i vari gruppi sociali entrano in conflitto per l'esercizio del potere statuale per mezzo della costituzione di partiti politici che si contendono il consenso dei cittadini (attraverso le competizioni elettorali). L'agire politico è quindi finalizzato all'acquisizione di tale consenso per accedere a cariche elettive che hanno il compito di prendere decisioni nell'ambito degli organi legislativi di vario ordine e grado. Anche rispetto a tali campi, il diritto ha proclamato la sua autonomia concependo la scienza giuridica come un sapere politicamente neutro è l'attività del giurista come una tecnica interpretativa del diritto positivo statuale che può prescindere da scelte di tipo politico e valoriale. Campi socio-normativi che si situano ad una maggiore distanza da quello giuridico. Il campo dell'economia è quella sfera dell'agire umano che si occupa di produrre, distribuire, consumare le risorse indispensabili per soddisfare i bisogni materiali di produzione degli individui. Ogni società, per mantenersi tale ha necessità di organizzare un sistema che consenta di procacciarsi e di distribuire i beni materiali necessari per la sopravvivenza e il benessere degli individui che ne fanno parte. In tale sistema prevale l'agire utilitaristico, dove ogni azione viene valutata in base alla sua capacità di soddisfare bisogni materiali attraverso un bilanciamento razionale tra i costi che essa comporta e i benefici che essa produce. Bilanciamento che avviene nella dialettica, costante nella storia dell'umanità, tra lo spirito egoistico (dominato dall’ utilità del singolo individuo) e lo spirito solidaristico (utilità collettiva). Le conseguenze che si manifestano in tale campo, sono legate è successo degli attori economici. Nel corso dei secoli si sono presentati numerevoli modelli economici che hanno diversamente coniugato tali opposti principi economici. 42 Nella moderna società industriale è stato quello dell'economia capitalistica Fondato per quanto riguarda la produzione dei beni di consumo sul principio della proprietà privata dei mezzi di produzione e, per quanto riguarda la distribuzione di tali beni, su principi del libero mercato Strettamente legati alla modello economico capitalistico troviamo altri due campi socio- normativi: Tecnologia Capacità dell'uomo di creare strumenti che gli consentano di adattare l'ambiente naturale ai propri bisogni e di potenziare la graduazione di risorse per il loro soddisfacimento. I primi aratri utilizzati per dissodare il terreno nella Mesopotamia (del 6.000 a.C), sino alle sofisticate tecnologie robotizzate che consentono di fabbricare un'automobile con un impiego minimo demand opera umana. L'agire tecnologico e quindi regolato dagli obiettivi pratici che l'uomo si pone quando costruisce strumenti a chi a modificare l'ambiente circostante e si colloca in una posizione di confine con l'agire scientifico che si distingue adesso, nella sua accezione più rigorosa, per essere finalizzato alla conoscenza fine a se stessa in modo naturale. Pubblicità commerciale Connetta ad un modello economico capitalistico è il diffondersi di un campo socio -normativo della pubblicità commerciale relativa ai prodotti che vengono collocati sul mercato. Tale campo, si è creato è sviluppato in parallelo con labirinto della società industriale e con il diffondersi dei mezzi di comunicazione di massa a partire dalla seconda metà dell'Ottocento. L’agire consumistico è quel tipo di azione che si realizza nell'acquisto di beni e servizi presenti sul mercato. Ѐ la finalità su cui ruota il campo della pubblicità commerciale e quindi quello dell'incremento dei consumi e conseguentemente delle entrate dei soggetti economici produttori sul mercato. La pervasività del campo pubblicitario ha raggiunto livelli così elevati che oggi attraverso di esso non vengono solamente veicolati messaggi normativi la cui efficacia sia misurabile in termini di consumo. L'homo consumens, non si limita a consumare prodotti, ma si identifica con essi e rende Palese in misura evidenti la seconda funzione dei messaggi normativi, il loro fornire un significato dell’agire. Quando oggi acquistiamo un prodotto non obblighiamo solamente ad un messaggio normativo del campo della pubblicità commerciale chi ha orientato efficacemente la nostra scelta ed acquisto ma perlopiù attribuiamo a quel prodotto quel significato che abbiamo imparato a conoscere attraverso la prospettiva fornitaci dalla pubblicità stessa Il campo normativo dell'arte che incentrato sull’agire artistico finalizzato ad esprimere esteticamente l'interiorità umana mediante le varie forme che età leggere assunto nel corso della storia. 45 Capitolo III I MESSAGGI NORMATIVI DI TIPO GIURIDICO: DALLE SOCIETÀ SEMPLICI ALLA LA SOCIETÀ POSTMODERNA Claudio Sarzotti 1.Come si distinguono i messaggi normativi? Una risposta storicamente situata Ogni definizione terminologica va inserita in un preciso contesto spazio-temporale e l'associazione mentale diritto-norma e peculiare alla cultura giuridica del mondo occidentale. Occorre, sottolineare come il significato di termini polisemici (es. diritto, giustizia, politica, ecc…), muti nel corso della storia. Il termine diritto è stato utilizzato in epoche diverse con significati che si sono modificati nel corso del tempo. Quando ci si pone la questione della definizione di messaggi normativi giuridici, dobbiamo precisare In quale contesto spazio-temporale ci collochiamo. nel far questo ti dovrà fare riferimento a nozioni nell'ambito di discipline ai confini con la sociologia del diritto. Da un lato, le ricerche di antropologia giuridica si mostrano come l'associazione di idee tra norme e diritto sia tutt'altro che diffusa sia nelle società primitive, sia nelle culture e strane al mondo occidentale. Alcune di queste società non conoscono neppure un termine traducibile con il vocabolo “diritto”. D'altro lato, la storia del diritto ha ricostruito i modi diversi di concepire e definire il diritto nel corso della storia del mondo occidentale, che prenderemo in esame a partire dall'epoca del diritto romano e, dal periodo in cui tale diritto è stato reinterpretato e riutilizzato per gli scopi della pratica giudiziaria della scienza giuridica medievale. Il significato che possiamo attribuire nel mondo occidentale al termine diritto, si muove entro un modello narrativo di auto comprensione della storia dell'umanità che, ne distingue tre grandi periodi: • Premodernità • Modernità • Postmodernità (A.M. Hespanha) La fase storica attuale del fenomeno giuridico (chiamata da molti storici del diritto postmoderna), sembra prendere le distanze dalla modernità e attualità quando alcuni elementi propri del mondo premoderno di concepire il diritto. 46 In che cosa consiste la conoscenza moderna del diritto nel contesto socio-economico- culturale del mondo occidentale? Occorre fare riferimento all'evoluzione complessiva che hanno fatto registrare le società europee nell'arco temporale che parte dalle fisi del mondo medievale di concepire il diritto (emersa a partire dal XVI secolo), sino ad arrivare all'inizio del XX secolo (quando si può dire concluso il periodo aureo della “modernità giuridica”). Gli elementi di tale evoluzione sono innumerevoli. Analizzando questi elementi: Lo studio del fenomeno giuridico non può mai essere separato dall'analisi dei numerosi elementi extra-giuridici che ne condizionano la dinamica interna e i suoi rapporti con altre dimensioni della vita sociale come l'economia, la scienza, la tecnologia, la religione, i mezzi di comunicazione, la struttura dei gruppi o classi sociali, le espressioni artistiche, ecc… . 2.Le società semplici o senza Stato: temi di antropologia giuridica Un primo concetto elaborato dalla Sociologia e dalla antropologia è quello di società semplice o senza stato. In alcuni autori classici della sociologia moderna come: Emile Durkhem (1858-191 7) e Ferdinand Tönnies (1855-1936) si utilizza la nozione di comunità per contrapporre a quella di società (nel senso moderno del termine). Tale concetto è emerso soprattutto negli studi di antropologia giuridica quando tale disciplina è andata a studiare quella società allora chiamate primitive, che non facevano parte del mondo civilizzato. Partendo da una concezione darwiniana della storia, si riteneva che le società semplici appartenessero esclusivamente alle fasi primitive della storia dell'umanità, destinate comunque a soccombere a favore di quel moderne più complesse e dotate di un apparato statale. Oggi sappiamo che quella visione era frutto di una concezione etnocentrica che metteva al centro la visione occidentale del mondo. La storia successiva degli ordinamenti normativi ha mostrato come anche la categoria dello stato nazionale moderno sia, vincolata ad una parabola con ben precisi confini spazio- temporali (confini che abbiamo cominciato a percepire quando tale categoria ha iniziato ad entrare in crisi). Quali sono le caratteristiche che gli antropologi hanno attribuito alle società semplici? Le principali: a)Se si parte dall'analisi della società preistorica dei gruppi di homo sapiens (che per migliaia di anni sono rimasti nella condizione di cacciatori-raccoglitori dei prodotti della natura), possiamo osservare intensificazione di attività di regolazione sociale più stabili e complesse con il processo di sedentarizzazione legate alle prime attività di coltivazione della terra e di addomestica azione degli animali (avvenuta intorno al 9000 a.C. con l'età neolitica). 47 Questo fenomeno preistorico induce a pensare l'esistenza di una correlazione tra tale intensificazione e tre fattori (N. Rouland): • Una riduzione della mobilità dei gruppi di sapiens dovuta ad attività come l'agricoltura che costringono (diversamente dalla caccia), ad una stabilità residenziale. • Un aumento della densità della popolazione e, incremento del di dimensioni dei vari gruppi di sapiens che insistono su di uno stesso territorio da attribuire sia a più favorevoli condizioni climatiche che all'incremento delle risorse materiali prodotte dall'attività di coltivazione della terra. • Una crescente differenziazione sociale e divisione del lavoro con il costituirsi di individui che dispongono di maggiore autorità rispetto agli altri, anche a causa dell'incremento dei conflitti tra gruppi di sapiens che non possono essere più risolti. b)L’apparato tecnologico (con cui tali società provvedono alla loro sussistenza materiale) è estremamente ridotto. Si tratto di società ad economia agro-pastorale che ricevono i prodotti della terra grazie all'uso di strumenti di lavoro molto semplici che non richiedono un'alta specializzazione tecnica e la collaborazione di un elevato numero di persone. c)Il tipo di economia che si sviluppò in queste società viene chiamata di sussistenza in quanto il livello materiale di vita degli individui rimane spesso al limite della sopravvivenza, con il rischio sempre immanente di crisi nel reperimento delle risorse che pongono in pericolo l'esistenza stessa della società. Gli scambi di prodotti sono estremamente limitati sia per lo scarso uso di strumenti immateriali (es. la moneta, nel quantificare il valore dei servizi e dei prodotti stessi), sia per la limitazione dei mezzi di trasporto di persone e cose. d)Le caratteristiche dell'economia rendono molto difficile quella creazione di surplus nella produzione e nel commercio di beni e servizi che pone le premesse per una maggiore differenziazione sociale e, per la specializzazione dei ruoli professionali che sarà tipica delle società complesse. In questo tipo di società ogni gruppo familiare è autosufficiente e al suo interno vengono svolte tutte le attività necessarie per la sopravvivenza. e)Le condizioni di privazione che queste società sperimentano quotidianamente rendendo indispensabile una forte solidarietà tra i gruppi e i singoli membri della comunità. Essa produce conseguenze immediate sul sistema di composizione delle controversie. quest'ultime, devono essere il riso levate secondo il principio compromissorio del: “Cedere un po' per ottenere un po'” e non quello di “Chi vince piglia tutto” (vedere le ricerche antropologiche di Laura Nader) Sarà invece tipico dei tribunali statuali e della società moderna. Le parti in causa hanno necessità di collaborare e di interagire anche dopo la conclusione della controversia e quindi il suo esito deve consentire che nessuna di esse si percepisca e venga percepita come quella sconfitta. la conciliazione è la soluzione preferita. f)La natura ambientale in queste società, che non dispongono di strumenti tecnologici per controllarlo e diffondersi dalla sue insidie, viene avvertita come una minaccia permanente per la sopravvivenza; 50 conseguenze positive-negative-neutre dei messaggi normativi, ai giudici che limono controversie, a ciò legittimati dall'investitura statuale seguendo regole di procedura a loro volta stabilite dal legislatore. Nelle società semplici queste attività non costituiscono l'occupazione professionale di specifici individui (non vengono svolte da individui che traggono il loro sostentamento da taglia attività e che sono stati formati in modo specifico a tale funzione). Le società semplici (essendo società senza stato) non hanno necessità di prevedere messaggi normativi secondari nel senso hartiano. 3.Le radici storiche del positivismo giuridico moderno: il diritto positivo e la società disciplinare Il processo storico ha portato all’avvento la società moderna, in un arco temporale e si fa risalire, alla definitiva crisi della società medievale nel corso del Cinquecento sino a giungere, partendo dalla Rivoluzione francese, a tutto il XIX secolo e ai primi decenni del secolo successivo. La società medievale (dalle cui ceneri è sorta quella moderna) ha caratteristiche diverse dalle società semplici. Si tratta di una società in cui troviamo, un sviluppo tecnologico, economico e culturale, una differenziazione sociale, ruoli professionali ben strutturati, una tradizione consolidata di giuristi o esperti del diritto, strutture amministrative di governo molto più complesse ed efficaci. Il processo storico attraverso il quale la società moderna si è costituita (a partire dalla crisi di quella medievale) con assonanza con la dicotomia società semplici o senza stato- società complesse o statua lì elaborata dalla antropologia giuridica. Per delineare tali assonanze partiamo da una breve descrizione dei principali mutamenti socio-economico-culturali che hanno reso possibile l’avvento della società moderna. a)Dal punto di vista della tecnologia e dell'economia si è assistito allitterazioni di modelli produttivi (da prima mercantilistici e in seguito capitalistici), che si sono fondati su scambi commerciali sempre più intensi ed estesi, nonché su processi di produzione industriale dei beni e dei servizi tecnologicamente sempre più complessi. L'incremento della capacità produttiva con il sorgere della moderna industria capitalistica, da un lato, fa crescere la capacità collettiva di produrre ricchezza, ma, dall’altro, fa anche crescere la diseguaglianza tra le classi sociali con i relativi completi tra la borghesia e il proletariato. I processi di progressiva urbanizzazione della popolazione, il suo incremento è l'aumento della mobilità sociale tra le classi modificano profondamente i rapporti sociali e rendono la società moderna molto meno statica di quella precedente. b)La tecnologia e l'economia si sviluppano anche in relazione alla nuova concezione della scienza galileiana che studia l'universo con il metodo dell'osservazione empirica e della dimostrazione razionale, il conducente alla sfera esclusivamente religiosa la descrizione che della terra e dell'universo avevano prodotto le Sacre Scritture. 51 Perde egemonia culturale l'approccio metafisico del finalismo ontologico tomista- aristotelico, ovvero la concezione filosofica secondo la quale l'universo è stato creato da Dio e tutte le creature (tra cui l'uomo e il primus inter pares essendo stato posto al centro dell'universo). Al modello finalistico della natura si sostituisce quello meccanicistico che autori britannici come: • Thomas Hobbes • John Locke o di altre culture come: • Ugo Grozio • Samuel von Pufendorf porranno al centro delle nuove teorie contrattualistiche della Scuola del diritto naturale moderno. c)Si sviluppo in tal modo e prendendo il centro della scena due elementi culturali della società moderna che si potenziano reciprocamente e che sono ben descritti dai pensatori di tale Scuola. Da un lato, in seguito anche alla guerra di religione dopo la riforma protestante che trasformano la religione cattolica da elemento di coesione sociale a fonti di conflitto, si assiste ad un processo di secolarizzazione del pensiero politico e giuridico che tende alla separazione tra sfera religiosa (riservata alla dimensione privata dell'individuo) e sera politico-giuridica (quella più propriamente pubblica) in cui non devono valere distinzioni di tipo religioso. Il legame sociale deve essere fondamento e prescindere dall'appartenenza religiosa dei membri della società (quando parliamo di diritto e di società l'esistenza di Dio deve essere messa tra parentesi). Questo rende possibile pensare il diritto come separato dalla morale, dalla religione e dalla stessa politica. Dall'altro lato, una nuova concezione non organicistica della società umana che prescinde da una sua finalità metafisica (in cui ognuno delle creature ha un proprio ruolo specifico), conduce all'individualismo moderno, ovvero a quella concezione secondo la quale l'individuo può essere pensato (almeno in astratto) come privo di relazioni sociali e quindi come un soggetto che entra potenzialmente in conflitto con le formazioni sociali che lo limitano nella sua libertà (famiglia, corporazioni professionali, Istituzioni in genere). La narrazione elaborata dalla scuola del giusnaturalismo moderno, dello stato di natura come condizione di assoluta libertà dell'individuo dalla quale occorre uscire attraverso il contratto sociale con il quale l'individuo cede al sovrano i suoi poteri in cambio di maggiore sicurezza e ordine sociale. d)L'individualismo e la secolarizzazione rendono molto meno omogenei i valori in cui si riconoscono la quasi totalità dei consociati. Ciò che Durkheim ha definito coscienza collettiva si restringe, ovvero i valori e i principi accettati da tutta la comunità diventano meno numerosi è l'ordine sociale deve essere reso compatibile con una gamma ben più vasta di scelte d'azione e di comportamenti devianti. La società moderna è, rispetto alla dimensione valoriale, più tollerante è caratterizzata da un atteggiamento più disincantato nei confronti di tale dimensione di quanto non siano le società che l'hanno preceduta. 52 e)Dal punto di vista dell’esercizio di un potere sovrano sul territorio, si assiste alla rinascita (dopo i secoli della frammentazione del particolarismo medioevale), di forme di organizzazione politica caratterizzate da un ente sovrano centralizzato che monopolizza l’uso legittimo della forza entro un determinato territorio. In una prima fase (chiamata da Weber) dello stato patrimoniale, il sovrano è un primus inter pares nell'ambito dell'aristocrazia, si avvale per le funzioni di governo di fiduciari che sono legati a lui da un rapporto personale e amministra lo stato come suo patrimonio privato. In una seconda fase, i rapporti tra sovrano i suoi sottoposti diventano sempre più impersonali fino a giungere alla vera e propria costituzione di apparati burocratici caratterizzati nel loro agire da imparzialità e formalismo giuridico e, allo stesso tempo, alla costituzione di un ceto di professionisti che il compito di esercitare la giurisdizione in qualità giudici e di occuparti dei beni pubblici in qualità di funzionari. f)In parallelo al costituirsi del moderno stato burocratico, si sviluppano, i dispositivi del potere disciplinare (descritti da Michael Foucault). Si tratta di strategie di disciplinamento dell'agire umano che hanno il loro paradigma nella concezione panottica dell'istituzione totale (elaborata dal pensatore inglese Jeremy Bentham verso la fine del Settecento). Il Panopticon è un sistema con cui è possibile sorvegliare e condizionare il comportamento di grandi masse di individui con un minimo dispendio di risorse. Il funzionamento è l’esistenza di istituzioni di internamento entro le quali gli individui siano chiamati a rispettare determinate regole sotto stretta sorveglianza. Il modello architettonico del Panopticon è concepito in modo tale che il sorvegliante, possa sempre tenere sotto osservazione sorvegliati, mentre questi ultimi non possono mai sapere quando sono sottoposti a tale sorveglianza. Questo regime di visibilità tende a far sì che il soggetto disciplinato interiorizzi l’obbedienza alla norma, in quanto si fa sorvegliante di se stesso e rende quindi, in ultima analisi, superflua la stessa sanzione del comportamento disobbediente. Michael Foucault ha analizzato il funzionamento di questo nuovo dispositivo di potere nell'ambito dell'istituzione carceraria, in particolare per spiegare l'abbandono nella società moderna delle cruente pene corporali a vantaggio dell’apparentemente meno violenta pena detentiva, ma il modello panottico si è sviluppato in molte altre istituzioni nate con la modernità e decisive per comprendere la natura del potere disciplinare: la fabbrica, la scuola, l'ospedale, la caserma. Una rete di dispositivi di potere che sono stati essenziali per costruire un modello di individuo funzionale alla nuova società urbanizzata e ad economia capitalistica nella quale tale individuo è chiamato a svolgere il ruolo di produttore di beni e servizi da immettere sul mercato. Secondo Michael Foucault, i dispositivi del potere disciplinare non si limitano a regolare e standardizzare il comportamento umano, ma sono anche produttivi di un sapere sul soggetto umano che contribuisco a controllare. 55 Lo ius commune, si componeva di fonti normative che andavano dall'antico diritto romano (nella sua versione codificata da Giustiniano), al diritto consuetudinario locale talvolta raccolto e messo per iscritto dal potere sovrano, dal diritto particolare dei ceti professionali dotati di autogoverno (si pensa a quello della corporazione medievale) agli statuti comunali, dal diritto della chiesa ho diritto canonico ai diritti derivati da particolari privilegi riservati a individui o a comunità. Questo è l'ambito del diritto ufficiale che ci è pervenuto attraverso la documentazione storica, esisteva anche il diritto dei rustici (a cui la dottrina giuridica medievale accenna), un insieme di regole informali che erano peraltro quelle di maggior diffusione nel mondo contadino. Tutto questo era ulteriormente reso imprevedibile e flessibile dal potere del sovrano che poteva rendere inefficaci le norme nel singolo caso e dal principio dell’aequitas (che doveva guidare come criterio superiore l'attività interpretativa del giurisperito). Ciò creava una situazione in cui non esisteva un unico soggetto come monopolista nella creazione del diritto anche perché, persisteva l'idea che non tutto il diritto fosse liberalmente modificabile da parti dell'uomo. Nella fine del Seicento, Jean Domat (giurista francese) considerava le lois immuables come diritto naturale divino per sua natura appunto immutabile e insondabile nella sua finalità metafisiche; rispetto ad esso l'uomo poteva effettuare esclusivamente attività di interpretazione e non di creazione di nuove norme. Con la secolarizzazione della società moderna non esistono più materie su cui non possa intervenire il diritto e tale intervento deve essere positivo, posto da un soggetto che abbia una legittimità che non può più derivare dall' investitura divina del sovrano medievale. Il protagonista della moderna narrazione del diritto, padrone assoluto della produzione della legge, diventa lo Stato nella figura giuridica del legislatore. La sua legittimità gli deriva dal principio della sovranità popolare che (dopo la Rivoluzione francese), verrà sempre proclamata come fondamento del diritto positivo. I sistemi di rappresentanza e di partecipazione alle decisioni che interessano la società mutano fondamentalmente con l'avvento del principio democratico proclamato da entrambe le rivoluzioni politiche settecentesche: • 1776 nell’America del Nord • 1789 in Francia Il principio democratico viene declinato non nei termini di una rappresentanza diretta della volontà popolare (principio dell'autogoverno), resa impraticabile dalle dimensioni e dalla complessità delle società moderne, ma secondo quello dell’elezione dei rappresentanti popolari in organismi deliberativi chiamati Parlamenti che assumono il monopolio della produzione del diritto positivo. In questi contesti parlamentari, le varie posizioni di parte dei singoli rappresentanti del popolo dovrebbero dissolversi, tramite la libera discussione delle opinioni, in delibere che incarnino l'interesse generale della nazione. Diventano fondamentali, la qualità dei rapporti che si instaurano tra gli elettori e i rappresentanti popolari è la qualità del dibattito pubblico che deve garantire il formarsi di 56 un’opinione pubblica consapevole e competente sui problemi oggetto di decisione parlamentare. Temi che segnano ancora oggi la questione della piena realizzabilità dei principi democratici, al momento della prima fase storica dello Stato liberale moderno, per tutto il corso dell' 800, è ancora prevalente le questione dei caratteri di classe delle democrazie rappresentativa , che si mostra in misura evidente anche e soprattutto nella sfera dei diritti politici (attivi e passivi). Il concetto di cittadinanza a quel tempo escludeva dalla partecipazione politica gran parte della popolazione e, in particolare, alle donne, i non possidenti e gli analfabeti. Esempio: Alla prima elezione politica il Regno d'Italia nel 1861 ebbero diritto al voto oltre ad alcune categorie privilegiate, solamente tutti maschi con più di 25 anni, in grado di leggere e scrivere e che pagavano almeno 40 lire di imposte. Venne escluso dall'elettorato circa il 98% della popolazione italiana. l'estinzione dei diritti politici Ottocento e del primo Novecento, richieste che verranno in parte solo progressivamente accolte. In particolare, in Italia sarà soltanto in occasione del referendum monarchia-repubblica del 2 giugno 1946 che si terranno le prime elezioni a suffragio universale. 3.2. Primato del legislativo sugli altri poteri dello Stato: dal modello giustiziale del governare a quello imperativo Il modello giuspositivistico moderno implicava anche la svalutazione è la ricomposizione delle gerarchie rispetto alle altre tradizionali fonti del diritto, in particolare giurisprudenza e dottrina giuridica. Tale di composizioni avvenne, sia da un punto di vista pratico che da un punto di vista concettuale, sotto il segno della centralizzazione del potere statuale e della supremazia del fonte legislativa. Lo Stato moderno nella sua versione giuspositivistica, struttura la trama della narrazione del giuridico in un racconto in cui il potere legislativo è il protagonista principale. Accanto ad esso, altri co-protagonisti che fanno da sfondo al quadro della divisione dei poteri: - Il potere esecutivo - Il potere giudiziario - Il potere della dottrina o dogmatica giuridica (Il dogma è la norma posta dal legislatore) Lo Stato moderno ha necessità di uno stretto controllo centralizzato sulla giurisdizione e sulla amministrazione intesa come governo della popolazione sul territorio. Tale controllo è nella società d’ancien règime estremamente caotico e frammentato. Il termine medievale iurisdictio designa un’area di attività giuridica che non tiene distinta la produzione, l'applicazione amministrativa e giuridica delle norme. 57 Medesimi soggetti esercitano funzioni che oggi chiameremmo politiche, amministrative e giurisdizionali. Deriva dal fatto che l'esercizio del potere sovrano nelle società d’ancien regime non è pensato come atto ti comando, del legiferare che andò diritto positivo, ma secondo lo schema del giudicare, “del comporre conflitti sociali attraverso il richiamo A un diritto già dato” (L. Mannori). Il diritto in questa prospettiva (non è qualcosa che si pone, che si crea dal nulla in base alla volontà del legislatore), è qualche che preesiste al potere sovrano. Si tratta di un ordine naturale delle cose che deve essere in qualche modo preservato dai conflitti che lo insidiano attraverso l'esercito di una complessa arte sapienziale, che deve saper trarre dalla composita realtà sociale le regole naturali che essa già contiene implicitamente. Tra i soggetti che devono esercitare quest'arte il sovrano non è certo il primattore, ma svolge un ruolo fondamentale il giudice. Questo modo di concepire Il diritto è prevalente sino alla Rivoluzione francese, ma inizia ad entrare in crisi, a partire dal XVII secolo, quando il sovrano, per consolidare il proprio potere (all'interno dei nascenti stati moderni), comincia ad espandere le proprie attività assumendo una serie di funzioni di governo della popolazione che non avevano precedenti nella realtà medioevale. Tra gli esempi storici più significativi (di una monarchia di questo tipo), La monarchia francese di Luigi XIV nel periodo che va dal 1661al 1715 (al termine del suo regno). Si regolamenta dapprima la materia fiscale, dalla quale il monarca trae le sue risorse per il controllo del territorio, e si va oltre elaborando (rimanendo al caso francese), la nozione di police Espressione con la quale si indicano tutte quelle attività umane che giravano la prosperità del popolo e di cui lo stato deve prendere la regolamentazione. Per svolgere tali funzioni, in una prima fase, vengono chiamate figure che rispondono alle caratteristiche dell'antico “governo per magistratura”, nel senso che si tratta per lo più di un ceto nobiIiarie o di nuovi proprietari terrieri che è predisposto ad instaurare un rapporto quasi paritario, contrattuale, con il sovrano, nel senso che la carica pubblica diventa una vera e propria proprietà del officier, trasmissibile in via ereditaria e patrimoniale. Solo in una seconda fase il sovrano crea un apparato alternativo a quello tradizionale, utilizzando la nozione giuridica di commissione, che non prevede più un rapporto contrattualmente regolato con il funzionario pubblico, ma un titolo procuratorio revocabile in ogni momento a completa discrezione del sovrano stesso. Qui si colloca il punto di emersione degli apparati burocratici moderni legati all'esercizio del potere amministrativo dello Stato e la costituzione di una categoria di funzionari pubblici che lavorano per conto dello stato e sono formati professionalmente a svolgere il ruolo di longa manus del potere sovrano con una logica che non è più quella del regolare conflitto, ma bensì di attuare la volontà politica del sovrano stesso. 60 La sua autorevolezza riposa unicamente sulla reputazione spirituale e intellettuale, maestra deve peraltro essere rafforzata dal potersi appoggiare ad un modello normativo superiore che sia testimonianza storica della scienza giuridica Intesa appunto come ars boni et aequi. Il diritto romano rappresenta, come sostiene Jean Domat, un perfetto esempio di “deposito delle regole naturali dell'equità” in cui si può vedere all'opera “La Sapienza” con cui si traggono dei casi giurisprudenziali le regole del diritto. In tale prospettiva, il diritto romano viene definito ratio scripta. La sua antichità lo fa apparire al mondo antico, in un sistema di pensiero in cui l'antichità è oggetto di particolare venerazione. A ciò contribuisce l’aura che circonda il personaggio storico che ha raccolto e ordinato il diritto romano nel Corpus iuris Civilis: Giustiniano, “che non è solo un imperatore romano, ma anche un Imperatore cattolicissimo, custode dell'ortodossia, Protettore della chiesa” (P. Grossi). Qui cielo e terra si incontrano e mostrano il fondamento religioso di tale sistema di pensiero. La fedeltà al diritto romano, è più formale che sostanziale. Un diritto con le caratteristiche appena descritte “non consente un'applicazione automatica. le sue norme non sono, il più delle volte, le chiare né espresso: la loro vigenza non è generale ed S si sovrappongono e si contraddicono” (A. M. Hespanha). Giurista deve adattare le formule giurisprudenziali del diritto romano alle esigenze di una società profondamente diversa. Egli non si limita ad una esegesi del testo, ma attraverso glosse (la scuola del Glossario) e commenti (la scuola dei commenti) opera una vera e propria intermediazione tra legge antica e “fatti novissimi”. Quale operazione intellettuale non è mai frutto dell'opera esclusiva del singolo interprete: Lo ius commune è un diritto prodotto da una comunità di giuristi, da coloro che sanno di diritto (giudici, notai, avvocati), ma soprattutto scienziati, maestri che insegnano nelle Università di tutta Europa e che sono a contatto con la pratica giuridica in quanto consulenti nei tribunali delle parti in causa e del giudice. “Un diritto che nasceva nel dialogo complesso che si instauravano contemporaneamente tra i fatti di vita presenti e con le regole romane fissate nei testi antichi” (P.Grossi) . Si tratta di una comunità che, possiede una lingua comune, il latino, che le consente di comunicare al di sopra delle suddivisioni territoriali dei singoli regni e principati. Questo elemento culturale testimonio a come in una situazione di questo genere ”la scienza sia la sola fonte che, in assenza di un potere politico compiuto, può raccogliere, organizzare, unificare, un enorme materiale fattuale, sparso, ossia possa conferirgli quel carattere ordinativo che è la cifra intima del diritto [ medievale]” Questo carattere ordinativo ha poco in comune con lo spirito sistematico che porterà la scienza giuridica moderna a legittimare il codice come emblema dell'unità dell'ordinamento giuridico. Il sapere giuridico e qui concepito come un sapere pratico piccola probabilistico, che utilizza in principale modo la retorica come arte dell' argomentazione e non si ispira al modello oggettivo della scienza moderna che verrà ripreso dalla scienza giuridica giuspositivistica attraverso l'uso meccanico della logica deduttiva di matrice cartesiana. 61 Con il passaggio alla modernità giuridica, e in particolare con la codificazione, il giurista divenne nero interprete della parola del legislatore rispetto al quale assume una posizione del tutto subordinata. La metafora di Montesquieu sul giudice “bouche de la lois” non vale solamente per il magistrato, ma per qualsiasi altro interprete del diritto. “Il giurista cessa di essere l'architetto del diritto [...] e diventa il manovale del legislatore. Da lui non ci si attende più inventiva e progettualità, ma una condotta sostanzialmente passiva: Fare l’esegesi dei comandi legislativi (espressione della volontà generale) e, al limite, porre interventi di terapia linguistica per meglio garantire la certezza del diritto” (M. Voglietti). Il giurista diventa un tecnico del diritto e la sua formazione, di cui si occupa ormai in via esclusiva lo Stato, deve essere indirizzata a formare un funzionario che abbia ben interiorizzato i limiti dell'attività dell'operatore del diritto. Si sviluppa, nell'ambito della cultura giuridica interna, una “psicologia servile” per cui: “I giuristi, pur essendo le prime vittime del parossismo legalistico perché espropriati dal ruolo loro consueto di fonti di diritto, sono convintamente orgogliosi di proporsi come servi legum, dominanti dalla maestra indiscutibile di quel prodotto supremo del progresso umano che è il codice” (P. Grossi). Il sapere tecnico-trattino giuridico, o dogmatica giuridica, si separa in modo netto, per un verso, dal tema della giustizia, per l'altro, dal tema delle scelte politiche rispetto alle quali il giurista in quanto tale non deve prendere posizione. Il campo socio-trachino normativo giuridico si rende progressivamente autonomo da quelli della morale, delle religioni positive e della politica. I processi di codificazione (del diritto civile) e di costituzionalizzazione (del diritto pubblico) hanno favorito tale impostazione del attività del giurista, in quanto “i due processi hanno determinato una situazione in cui si è potuta configurare l'attività del giurista come un'attività tecnico- non conoscitiva (e non pratico-valutativa) [...]; mentre si è potuto configurare il giurista come un tecnico anziché come un politico o come un giurisprudente. [tali processi,] congiuntamente ,hanna agevolato la tecnicizzazione della professione giuridica, contribuendo così Ha dei responsabilizzare, in senso politico, il giurista” (G. Tarello). La scienza giuridica proclama, allo stesso tempo, la sua indifferenza etica e la sua naturalità politica. “Essa vuole rappresentare il diritto come, senza legittimarlo come giusto o squalificarlo come ingiusto. [...] come senza si ritiene obbligata soltanto a comprendere il diritto positivo secondo la sua essenza ed intenderlo mediante un'analisi della sua struttura. Essa si rifiuta spesso specialmente di servire a qualsiasi interesse politico fornendo in biologia mediamente le quali L'ordine sociale esistente possa venir legittimato o qualificato” scriverà Hans Kelsen, il teorico più maturo e rigoroso della teoria pura del diritto, l'espressione più radicale del positivismo giuridico moderno. Una simile configurazione della scienza giuridica, che nella sua dimensione pratica del diritto si chiamerà dogmatica giuridica, ha necessità di particolari strategie di formazione del giurista, ovvero di un’educazione giuridica. Anche rispetto a questo elemento troviamo dei mutamenti molto rilevanti rispetto all'insegnamento che veniva svolto nelle università medievali. Occorre innanzitutto produrre un giudice-funzionario obbediente alla volontà del legislatore. 62 Si criticano le pratiche medievali in cui il giudice era la specie retribuito dalle parti e la formazione del giurista era lasciata alla loro stessa corporazione in cui si entrava (non come oggi per concorso pubblico), ma per cooptazione. In particolare, in Germania “le università dell'illuminismo [...] determinano una rottura con la tradizione delle università medievali. Es. Non mirano ad una educazione critica e liberale, ma alla formazione di funzionari il momento burocratico è già presente nell'educazione del giurista: l'università stessa e un'istituzione burocratica. [...] La sua organizzazione ricorda più la struttura dell'esercito che quella della corporazione” (A. Giulini e N. Piccardi). Le stesse materie insegnate che erano tradizionalmente l'arte della retorica e dell'argomentazione si riducono al contenuto del solo diritto positivo: Come diranno i giuristi della scuola dell’ esegesi che si sviluppò in Francia Immediatamente dopo la codificazione. Il sapere giuridico si separa dalle altre scienze sociali e ogni disciplina extra-giuridica diventa superflua per la formazione del giurista. Si tratta di una concezione riduzionista della scienza giuridica e del suo insegnamento che non nasconde il suo carattere ideologico o prescrittivo. Ben presto essa entrerà in crisi anche per l'impossibilità pratica in società e ordinamenti normativi complessi di concepire l'attività interpretativa come un meccanismo automatico, politicamente e realmente neutro. Si tratta anche di una concezione a lungo culturalmente dominante che ha dato forma al campo giuridico della modernità e che influisce ancora oggi sull'insegnamento universitario del diritto e sul modo di concepire il giuridico sia dagli operatori del diritto che dei non esperti. 4.Le tre forme di validità come struttura del campo giuridico della modernità: sociologia, etica, giuridica L'instaurarsi dell'egemonia del pensiero giuspositivistico, segna la compiuta costituzione di un campo giuridico della modernità. Per campo giuridico intendiamo, un universo socio tra chi non normativo relativamente autonomo che si separa progressivamente dal resto delle relazioni sociali e costituisce le categorie epistemologiche con le quali è possibile parlare di quel determinato oggetto che appunto il diritto. Questa separazione riguarda i confini che il diritto positivo moderno deve tracciare, con il campo socio-latino normativo della morale e delle religioni positive. Il campo giuridico produce i confini di significato entro i quali è possibile parlare di diritto, nonché la mappa dei soggetti che possono parlarne come esperti. Istituisce, delle pratiche con cui è possibile produrre enunciati validi in tale campo. Il campo è relativamente autonomo, è un campo aperto. Il campo giuridico, si differenzia dal concetto di paradigma che Thomas S. Kuhn (1969) ha utilizzato per descrivere l'evoluzione storica della scienza, in quanto esso non riguarda solamente gli enunciati e le metodologie utilizzate dai saperi esperti, ma coinvolge anche tutta la conoscenza e le pratiche che si producono in quel contesto sull'oggetto del campo stesso. 65 5.Crisi del positivismo giuridico e postmodernità: dallo Stato liberale alla crisi dello Stato sociale Il campo giuridico della modernità, cerca di diffondere l'idea “che il sistema delle norme giuridiche appaia a quelli che lo applicano, e allo stesso tempo, in una misura più o meno elevata, anche a coloro che lo subiscono, come totalmente indipendente dai rapporti di forza che il diritto sanziona e consacra”. Ѐ quello che Karl Marx ha chiamato la funzione mistificante del diritto borghese. Tale funzione vediamo all'opera in particolare rispetto ad uno dei principi fondamentali il campo giuridico della modernità: quello dell'uguaglianza. I moderni codici hanno proclamato l'uguaglianza di tutti i soggetti giuridici davanti alla legge, uniformando, una realtà sociale ed economica che colloca invece gli individui in posizioni sempre più disuguali. Con la sociologia industriale ad economia capitalistica la disparità di potere tra coloro che detengono la proprietà privata dei mezzi di produzione (i capitalisti) e coloro che non possiedono altro che le proprie braccia e i propri figli (i proletari) si amplia. Una disparità che si estende anche alla possibilità del capitalista di controllare l'esistenza stessa di masse intere di individui. Il nuovo modo di produzione industriale richiede alla classe proprietaria di modificare le sue abitudini di vita; di abbandonare l'attività di contadino o di piccolo artigiano e di diventare operaio; di abbandonare la terra e le consuetudini per diventare cittadino delle grandi metropoli che si sviluppano in tutta Europa nella prima metà dell'800. Si tratta di un mutamento antropologico. Il campo giuridico della modernità mette in funzione le categorie del diritto borghese formale ed astratto e ricostruisce il rapporto tra capitalista e proletario entro il frame narrativo del contratto di locazione. L’art. 1708 del Code Napoléon, ad esempio, parifica il contratto di locazione di cose (con cui il proprietario di un fondo lo cede in godimento ad un conduttore) con quello di locazione di opere. Il proprietario della propria forza-lavoro viene rappresentato come colui che cede liberamente ad un altro soggetto una propria cosa in campo di un salario. “Ed è semplicemente una cosa quel lavoro che è l'esclusivo patrimonio, l'esclusiva proprietà del nullatenente. [...] visione materialistica del lavoro, sua mercificazione nella riduzione a cosa; separazione tra lavoro e personalità del lavoratore, con il significato prevalente di togliergli ogni connotazione etica e sociale”. Ѐ violata ogni possibile associazione tra lavoratori per cercare di attenuare l'evidente sproporzione di potere tra le due parti del contratto. Il campo giuridico della modernità e percorso da una evidente tensione tra le autorità politica, che esercita il potere legislativo con la forza legittimante del principio democratico della volontà popolare e il modello dei giuristi (in primis il ceto dei magistrati), chiamato ad interpretare le norme di diritto positivo in virtù di un sapere tecnico. Tale rapporto di forza diventa sempre meno sbilanciata a favore del potere legislativo. In una società complessa come quella ottocentesca non è realistico che si lascia al legislatore il monopolio della produzione delle norme. Il mito della completezza e della chiarezza del codice si rivela tale: Il codice non è privo di lacune, il legislatore non può prevedere tutti i casi che si possono presentare in una società sempre più complessa ed è di necessità l'interprete che deve 66 colmarle. il legislatore stesso deve intervenire con leggi speciali per regolare materie non previste dal codice stesso. Un margine di creatività non può essere negato all'interprete mettendo così in pericolo il monopolio del potere legislativo nella produzione del diritto positivo. Il codice gode infatti anche dell'autorità della ragione. Gli ideali della sistematicità e della scientificità del codice lo rendono universale, in quanto prodotto dalla ragione umana che supera i confini statali e la volontà politica dei singoli sovrani. Sarà la dottrina tedesca a teorizzare per primo il nuovo concetto di stato di diritto che sottolinea come anche il legislatore sia sottoposto al dominio della legge che lui stesso ha emanato. “lo stato di diritto è esclusivamente ‘uno stato eletto attraverso leggi’, applicate ed eseguirete da corpi professionali di giudici e amministratori, corpi separati dal tessuto della società civile”. Il capitalismo dalla sua fase nascente, caratterizzato da una disponibilità di monopolio a basso costo, passa alla sua fase di consolidamento: Che deve fare i conti con un nascente movimento operaio sempre più agguerrito che, considera il diritto come un efficace strumento di promozione degli interessi e delle classi subalterne, rivendicando dapprima diritti politici e in seguito anche sociali. Le economiche laissez faire dello Stato liberale, rivela le sue insufficienze anche per gli stessi interessi a lungo termine della classe capitalista. La formazione di oligopoli e monopoli scardinano le astratte regole meritocratiche del mercato, ponderosi fenomeni di urbanizzazione rendono necessaria regolazioni dell'uso di beni pubblici come il territorio abitativo e le risorse energetiche, lo stesso sviluppo capitalistico ha necessità di investimenti economici (es. Nel settore delle vie di trasporto ferroviario) che nessun imprenditore privato è in grado di accollarsi di cui solo la mano pubblica può farsi carico. Sta aggiungendo a compimento l'avvento dello Stato sociale o Stato provvidenza. Si tratta di una forma di Stato che, avendo come obiettivo quello di garantire il benessere e la sicurezza sociale di numerosi gruppi di cittadini, comincia a gestire direttamente una serie di servizi pubblici attraverso gli stessi suoi apparati amministrativi. Si tratta di “un fascio materiale di attività sociale di crescente complessità e rilevanza: Istruzione, igiene, sanità, acqua, gas, più tardi elettricità, trasporti, pianificazione del territorio urbano, assicurazioni sociale, previdenza, assistenza, disciplina del lavoro (dei fanciulli, delle donne), legislazione industriale (minore, ferrovia, marina mercantile)”. Lo stato sviluppa politiche interventiste nel campo economico tese promuovere l'uguaglianza sostanziale dei cittadini, seguendo le richieste dei nuovi gruppi sociali che si affacciano al mondo della politica. Mondo, sempre più interessato alla formazione dell'opinione pubblica come bacino da cui trarre la legittimità delle proprie scelte politiche. Decisivo l'emergere della stampa periodica popolare come principale mezzo di informazione, favorito dai crescenti livelli di alfabetizzazione delle classi sociali meno abbienti che si registra con l'introduzione dell'obbligo scolastico universale. Insieme alla scuola obbligatoria per tutti, nasce, nella seconda metà dell'Ottocento, il quotidiano moderno, palestra di formazione dell'opinione pubblica. Ben presto esso diventerà il terreno di confronto dei nascenti partiti politici di massa. 67 In Italia il primo partito di questo genere sarà il partito dei lavoratori italiani fondato a Genova nel 1892. Il primo conflitto mondiale (1914-1918) seguirà un ulteriore passo verso una società di massa. Per la prima volta in Europa vengono coinvolti direttamente nel conflitto un numero sterminato di individui e soprattutto anche le popolazioni civili sono colpite in misura massiccia in termini di perdite umane e materiali. Terminata la guerra, il processo dello Stato interventista continua ad ampliarsi. Emblematica la Costituzione tedesca del 1919 che regge l'ordinamento giuridico della Repubblica di Weimar: Essa pone, tra gli obiettivi dello Stato tedesco, i diritti sociali (diritto al lavoro, alla salute, all'istruzione, all'assistenza e alla provvidenza, alla libertà sindacale, al diritto di sciopero, ecc…) rispetto ai quali possono essere santificati a certe condizioni anche alcuni dei tradizionali diritti individuali borghesi (in particolare quello di proprietà). In seguito alla minaccia rappresentata dalla rivoluzione sovietica del 1917, lo stato espande la sua azione sul territorio economici concorrenziali con soggetti privati in settori come la produzione di energia, in particolare nell'estrazione del carbone, il sistema finanziario e creditizio. Si entra con gli anni ‘30 e soprattutto dopo la crisi di Wall Street del 1929, in quella che è stata chiamata la stagione dell'economia manovrata, nel senso che lo stato si fa esso stesso impresa, da soggetto politico diventa anche soggetto economico. Qui troviamo l'emergere della versione autoritaria dello Stato sociale che mette definitivamente in crisi il campo giuridico della modernità. Si assiste, all'avvento di partiti politici che danno vita nel corso del tempo a veri e propri regimi dittatoriali fondati sul carisma del capo che incarna il bene supremo della nazione e sul principio del partito unico. Si assiste in questi regimi ad una sacralizzazione della figura dello Stato e ad un nazionalismo esasperato che tendono ad annullare i diritti dell'individuo in una concezione organistica della società che recupera anacronisticamente vecchi concetti della società medievale. Si pensa, ad esempio, alla nazione di corporazione professionale. Tra imprenditori e lavoratori attraverso il rischiamo ad un supposto bene comune che in realtà non faceva che subordinare i diritti di questi ultimi attraverso l'introduzione del diritto di sciopero e la negazione della libertà sindacali. In tale prospettiva, si assiste anche al completo assorbimento del ceto dei giuristi, che non seppero trovare nella forza di volontà negli strumenti teorici per opporsi allo Stato totalitario. Significative le parole di un grande giurista tedesco, Gustav Radbruch (1878- 1949), giuspositivista “pentito”: “Noi ci chiamavamo positivisti e il positivismo, l'esclusivo riconoscimento della legge come diritto, e la colpa che la scienza del diritto tedesco ha portato con sé verso lo stato del diritto negli anni del nazionalismo. Il positivismo, infatti, ci ha reso inermi contro il torto, nella misura in cui esso intendeva accettare solo la forma della legge” (1945). 70 e ragionevoli tra principi potenzialmente contrastanti, sui quali non è più esercitabile alcuna sovranità decisionale e che riescono invece a convivere grazie all'opera di prudente mediazione della giurisprudenza”. L'attuale campo giuridico è segnato dalla presenza, oltre che dal diritto per regole, anche dal diritto per principi. Le “regole sono norme che nel costruire una fattispecie predispongono una conseguenza giuridica definitiva, e cioè nel costruire determinati presupposti ordinano, vietano o permettono qualcosa”, mentre “i principi sono ‘ precetti di ottimizzazione’“, ovvero “prescrivono che qualcosa deve essere realizzato nella misura più ampia possibile compatibilmente con le possibilità giuridiche e di fatto”. “Le regole ci danno il criterio delle nostre azioni, ci dicono come dobbiamo, non dobbiamo, possiamo agire in determinate, specifiche situazioni previste dalle regole stesse. I principi non ci dicono nulla, direttamente, a questo proposito, ma ci danno criteri per prendere posizione di fronte a situazioni a priori indeterminate, quando vengono a determinarsi concretamente”. Le norme-regole sono prevalentemente contenute nella legislazione ordinaria, i principi invece li troviamo nelle costituzioni e in particolare nei loro primi articoli. Anche il funzionamento del messaggio normativo nella forma del principio è molto diverso da quello della norma tradizionale. “Le regole sono applicabili nella forma del tutto-o-niente”. Mentre i principi devono essere spesso “bilanciati” nei loro effetti normativi. Di due norme si può affermare che sono logicamente contraddittoria non altrettanto avviene tra due principi che, pur essendo potenzialmente in conflitto, devono sempre trovare un equilibrio che li preservi entrambi. Lo stesso concetto di obbedienza viene trasfigurato, in quanto mentre ad una regola si obbedisce/ disubbidisce, ad un principio si (o non si) aderisce; ciò implica che sia molto più semplice verificare l'obbedienza ad una norma piuttosto che verificare l'adesione ad un principio. Inoltre, i principi non descrivono il comportamento concreto a cui il destinatario deve adeguarsi, devono necessariamente reagire con qualche caso concreto per poter assumere un significato normativo: Il principio “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere di fronte alla legge” (art.8 Cost.). La struttura linguistica stessa dei principi si presenta ad una loro interpretazione creativa e quindi ad un ampliamento del potere discrezionale dell'interprete. “Questa connotazione deriverebbe non solo [...] dal carattere impreciso e non rigidamente meccanicamente costruttivo dei principi e quindi dal carattere inevitabilmente creativo in un sito nella determinazione del loro significato. Deriverebbe anche e soprattutto dalla pretesa che essi contengano di adesione e di partecipazione alla visione ‘ politica’ di cui essi sono espressione”. Questi mutamenti strutturali del campo giuridico e modellano anche il profilo professionale del giurista. Viene meno la figura del giurista manovale del legislatore. 71 Egli non può essere il mero “conoscitore di tutte le leggi e di tutti i principi, e basta. e invece colui che vivifica questa conoscenza con la partecipazione, come giurista, alla vita della cultura nella società in cui opera appunto i principi che gli maneggia sono il ponte di collegamento per un continuo andirivieni: producono cultura e solo prodotti della cultura” Come un uomo di cultura, deve ponderare principi, valutare gli effetti sociali delle proprie decisioni e delle proprie argomentazioni, mediare tra gli interessi e i valori con confliggenti per trovare quell'equilibrio che appare accettabile lei è un contesto storico in cui opera appunto e ciò vale per tutte le figure professionali che si richiamano al diritto. E a nuove funzioni sociali comunica a corrispondere anche un nuovo modello formativo. Le università in cui si istruisce il giurista si aprono a nuovi saperi. Discipline come l'economia, la sociologia, la psicologia, la critica letteraria entrano a far parte del bagaglio professionale del giurista. 7.Dalla società disciplinare alla società dell’immagine: dall’homo oeconomicus all’homo videns-consumens I mutamenti registrati all'interno del campo giuridico nel corso della seconda metà del Novecento si sono sovrapposti a quelli verificatisi anche nell'ambito delle tecniche di controllo sociale e di esercizio del potere. La nuova società globalizzata, postfordista, ha profondamente modificato i tratti generali di queste tecnologie di controllo sociale. la società fordista era caratterizzato da produzione di beni di consumo di massa, ma una forte contrapposizione è identità di classe tra capitalisti e lavoratori salariati, basata sull'impiego di lavoro ripetitivo prevalentemente manuale. Progressiva terziarizzazione dell'economia, l'adozione di tecnologie e criteri organizzati che pongono nuova enfasi sulla specializzazione, qualificazione e flessibilità operativa dei lavoratori, che vengono ridotti in numero dall'impiego massiccio di tecnologie in cui le macchine sostituiscono il lavoratore, conducono a un'economia in cui è essenziale che il produttore di venti al tempo stesso consumatore. Le tecnologie consentono anche una diminuzione dei prezzi dei prodotti, una riduzione del tempo quotidiano dedicato al lavoro e lo sviluppo di un industria culturale e del tempo libero che diventa sempre più importante. L'avvento dell'economia globalizzata, ha peraltro prodotto un processo dislocazione dei luoghi di produzione che nel mondo occidentale a penalizzato le classi sociali più deboli a vantaggio di una redistribuzione mondiale delle risorse in cui hanno fatto la parte del leone le economie emergenti. Questo tipo di economia, ha prodotto il riemergere di profonde disuguaglianze sociali, con la procreazione del mondo del lavoro, l'impoverimento del ceto medio, espandersi di una quota di popolazione esclusa dai benefici della società del consumo confinati in ghetti urbani e criminalizzata dall'avvento dello Stato penale in luoghi di quello sociale. Occorre evidenziare quali siano le tecniche di controllo sociale che si sono sviluppate con l'avvento della società post moderna. tali tecniche non hanno fatto che incrementare, attraverso l'uso delle innovazioni tecnologiche, la capacità del potere di sorvegliare la popolazione. 72 Tale sorveglianza visiva e in particolare è diventata capillare nelle grandi metropolitane dove la diffusione di visori e telecamere, ha creato nel cittadino la sensazione di essere costantemente osservato. La sorveglianza ha assunto forme molto più sofisticate e meno visibili. In tale prospettiva, ha giocato un ruolo fondamentale il diffondersi dell'uso dei mezzi di comunicazione di massa sia di prima generazione (radio, cinema, televisione), che di seconda generazione (internet, social network e, in generale, tutte le tecnologie digitali). Esso ha reso assai rilevanti dal punto di vista del controllo sociale gli effetti di un fenomeno relativamente nuovo: Il consumo da parte dell'individuo di una sterminato quantità di immagini nel corso della sua vita quotidiana. Alcuni studiosi, e in particolare i sociologo Thomas Mathiesen, hanno ritenuto che il fenomeno abbia modificato solo in parte le tecnologie del controllo sociale. Egli ricorre al termine Synopticon per sottolineare come il modello panottico prevedesse una sorveglianza di pochi nei confronti dei molti sorveglianti presenti nelle istituzioni disciplinari (carcere, fabbrica, a scuola, caserme, ecc…), mentre con l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa a partire dalla stampa popolare e dalla cinematografia, prendono piede strumenti di controllo sociale che consentono “the many to see and contemplate the few”. Il sociologo norvegese, ritiene che panotico e sinoptico non si escludono reciprocamente, bensì siano pressoché coevi, ripropongono dispositivi di potere assai più antichi e si siano progressivamente fusi virgola interagendo e potenziandosi vicendevolmente come nella metafora dello schermo del Grande Fratello orwelliano attraverso cui lo spettatore allo stesso tempo vede ed è visto. Anche secondo Zygmunt Bauman, i dispositivi del potere disciplinare conservano la loro funzione di controllo sociale. tale funzione, persiste Solamente nei confronti dei soggetti “esclusi” dal mercato globalizzato: In particolare i “criminali” e i “vulnerabili” Per gli “inclusi”, si sviluppano i dispositivi di potere che producono e controllano l'homo consumens, meccanismo di seduzione che devono produrre individui la cui occupazione principale sia il consumo parossistico e ripetitivo di prodotti che devono essere acquistati, utilizzando e abbandonati in uno spazio temporale sempre più breve. Il modello antropologico dell’homo consumens è profondamente diverso da quello della modernità borghese, in particolare perché al vecchio meccanismo psicologico della dilazione della gratificazione dove il principio del piacere deve cedere il passo al principio di realtà, si sostituisce il meccanismo della inestinguibile insoddisfazione del consumatore. Ad una società dei produttori, si sostituisce una società dei consumatori completamente schiacciata sul presente, popolate da soggetti, alla ricerca, per definizione ma è soddisfatta, di nuovi prodotti e sottomessi all'imperativo consumismo che consente di alimentare un sistema economico che può reggersi solamente sulla crescita infinita dell'iperconsumo dei prodotti. Significato e il diverso atteggiamento che sia nei confronti dell’indebitamente del consumatore: L'indebitarsi era considerato un'azione altamente a rischio è sostanzialmente disdicevole per la morale Borghese, mentre le forme post moderne di consumo illuminato si abbassano 75 8.Definizione dei criteri distintive dei messaggi normativi di tipo giuridico nella società postmoderna Un tentativo di definizione del messaggio normativo di tipo giuridico deve quindi partire dall'esame di come criteri distintivi che la modernità aveva costruito per definire il diritto abbiamo perso il loro carattere di assoluzione, pur rimanendo presenti nella nostra cultura proprio nella misura di cui ne possiamo apprezzare il progressivo declino. La metafora dei confini geografici. Con i criteri distintivi funziona un po' come con i confini tra stati: Si può definire il campo giuridico definendo quali sono i campi che ne tracciano i confini, allo stesso modo con cui possiamo definire il territorio dell'Austria attraverso i confini che la limitano a sud dall'Italia e della Slovenia, a nord della Germania e della Repubblica Ceca, a ovest della Svizzera e ad est dell'Ungheria e dalla Slovacchia. Si tratta, in entrambi i casi, di confini artificiali, mutevoli nel corso della storia sia per quanto riguarda il loro territorio che la loro consistenza. 8.1.Il confine con la morale e le religioni: eteronomia vs autonomia Uno dei territori che la modernità ha delineato ai confini con il diritto e quello dei campi socio- normativi della morale e della religione. Si può descrivere questo confine richiamando la celebre distinzione dovuta a Immanuel Kant (1724-184) tra imperativi autonomi ed eteronomi, dove i primi sono quelli che promanano dalla coscienza di ogni individuo e solo assoluti e categorici (“il dovere per il dovere”). Il diritto ricade in questa seconda categoria di imperativi eteronomi, quanto i messaggi normativi di tipo giuridico provengono da una fonte esterna all'individuo destinatario e si avvalgono di sanzioni esteriori di tipo negativo o positivo, mentre gli imperativi dotati di autonomia rientrano nella sfera della morale. Solo questi ultimi, comandano esclusivamente dalla coscienza interiore dell'individuo. “L'unica coscienza piacevole della violazione di una norma morale sarebbe il senso di colpa. uno stato di disagio, di turbamento, sta l'ora di angoscia, che dicesi nel linguaggio dell'entità ‘rimorso’ o ‘pentimento’”. La norma morale obbliga in conoscenza, la quale anche l'unica “tribunale” verso cui l'individuo deve rispondere dei suoi comportamenti in termini etici. Nella norma morale l'individuo pone regole a se stesso. Una norma morale è tale perché la sua obbedienza non deve essere condizionata da alcuna conoscenza esteriore, in quanto l'adesione deve essere assoluta e fine a se stessa. Per quanto riguarda la chiesa cattolica, ad esempio: Il diritto canonico contiene una serie molto estesa di sanzioni di questo genere, la più grave delle quali e la scomunica, per la quale il condannato non può partecipare come ministro a nessun atto di culto, non può celebrare né ricevere sacramenti, non può esercitare qualsiasi ufficio, funzione, ministero o incarico nella chiesa. I messaggi normativi di tipo giuridico sono distinti dei messaggi normativi di tipo morale, e da quelli di tipo religioso. 76 Il diritto è sorto attraverso il processo di laicizzazione/ secolarizzazione della sfera delle decisioni pubbliche rispetto a quella della sfera privata in cui sono state collocate sia la morale che la religione. Nella società moderna non esistono più né un'unica religione, nel principio morali autoritari, ma deve invece esiste un unico diritto in cui tutti i cittadini si riconoscono. questa percezione ha prodotto anche un sapere popolare; anche gli strati sociali meno acculturati si è diffusa l'idea che quando il singolo individuo si pone nella prospettiva etico-religiosa non può utilizzare lo strumento della sanzione giuridica per orientare altri soggetti a credere in quei valori che in quanto tali appartengono alla sua sfera privata e intima. Dal punto di vista laico, si è ritenuto che anche i sistemi giuridici abbiano necessità di un investimento in termini di valore e quindi di sentimenti caldi che consentono ad esempio di frapporre ostacoli alle possibili degenerazioni degli stessi sistema democratici basati sul principio della maggioranza. Da un punto di vista della singole religioni positive, anch'esse hanno rivendicato il loro spazio nell'arena pubblica sostenendo che la religione Non può essere professata come mera devozione privata, ma deve poter liberamente esplicarsi anche nelle scelte del credente come cittadino. La separazione tra diritto, morale e religione si è andata attenuando e quindi oggi ci poniamo la questione di distinguere i messaggi normativi di tipo giuridico possiamo affermare che essi cercano di orientare e di fornire un significato alle azioni dei conoscenti spesso utilizzando argomenti che non rispettano rigorosamente la distinzione moderna tra diritto, principi morali e religione positivo. Il criterio delle teorie dei messaggi normativi giuridici quindi permane come richiamo alla necessità che il diritto possiede di contemperare e di rendere compatibili valori che provengono dalla sfera etica e dalla sfera religiosa. Tali valori hanno la tendenza, ad essere assoluti da parte di chi vi aderisce. Il diritto invece introduce un’elemento di negoziabilità nel bilanciamento dei valori etici e religiosi e in questo si può dire eteronomo, nel senso che la sua prospettiva viene ancora oggi percepita come esterna ai valori etici e religiosi che vengono fatti propri da singoli gruppi sociali. Le contaminazioni con gli elementi etici e religiosi sono sempre più frequenti. Ciò avviene sia per quanto riguarda valori di etica laica, che per valori di religione positive. Per quanto riguarda le etiche laiche, si possono leggere in questa prospettiva le proposte di legge tesa vietare la sperimentazione scientifica sugli animali partendo dai presupposti di un'etica animalista che tende talvolta a dimenticare che nella spera pubblica del diritto devono essere valutati anche altri aspetti di unità sociale che prescindono da una scelta etica personale. Un discorso analogo lo possiamo fare per quanto riguarda le religioni positive; anche qui troviamo, affermazioni assolute, ad esempio sulla naturalità dell'Istituto familiare composto da due individui di genere diverso, che fondano la loro legittimità nella sfera extragiuridica delle scelte religiose, in quanto tali assolute e non negoziabili. Anche qui troviamo, il permesso nella nostra cultura giuridica del riconoscimento di una dimensione eteronoma del diritto, Quando ad esempio anche le gerarchie ecclesiastiche si 77 “accontentano” che il riconoscimento legale delle unioni tra individui dello stesso sesso non venga assimilato alla famiglia vera e propria, ma abbia un suo statuto giuridico particolare. 8.2.Il confine con la politica: crisi dello statualismo, dell’imperativismo e nuove forme di regolazione attraverso il diritto I confini con la politica sono stati segnati da una concezione imperativistica è stato a lista del diritto. Imperativista perché il diritto è stato concepito come un insieme di comandi funzionanti con l'uso della forza legittima. Statualistica perché l'unico soggetto legittimato ad emettere e a sanzionare tali comandi e appunto lo Stato. Si afferma che esso è titolare del potere sovrano e “la natura giuridica e quella che, indipendentemente dalla forma che assume, dal contenuto che ha, dal fine che si propone, e posta dal potere sovrano, cioè da quel potere che in una data società non è inferiore a nessun altro potere, ma è in grado di dominare tutti gli altri” La stretta relazione che intercorre tra forza e potere sovrano emerge nella storia ogni volta che Registriamo un cambiamento radicale dell'assetto politico su cui il secondo si regge, o quando un conflitto bellico mette in discussione i confini della potestà sovrana di uno Stato come nella recente invasione dell'Ucraina. L'elemento della forza nel diritto lo ritroviamo ogni volta che le conseguenze previste dal messaggio normativo di tipo giuridico devono essere fatte valere in via di fatto. Quando un ordine di scarcerazione viene eseguito dalle forze dell'ordine e un cittadino viene portato materialmente in carcere ecco riemergere la forza del diritto che, al tempo stesso, si associa all'Herrschaft, nella misura in cui l'insieme dei consociati prestito il loro consenso a questa azione da parte dei rappresentanti dello Stato. Può accadere che si manifestino azioni di dissenso all'esercizio del potere sovrano che, qualora assumano forme violente, vengono sanzionate dal diritto testo per mantenere il principio del monopolio da parte dello stato dell'uso legittimo della forza. Così come nessun può utilizzare la forza per l’esercizio dei propri diritti o facoltà, nessun cittadino dovrebbe opporsi con la forza al suo uso legittimo da parte dello stato. Nella prospettiva giuspositivistica del campo giuridico della modernità la sfera della politica viene intesa come quel ambito extragiuridico in cui si confrontano le corse socio- economiche rappresentate dai gruppi sociali portatori di interessi e valori confliggenti. tali forze dovevano tradurre il loro desiderata il termine di pretese giuridiche che vengono poi trasformati, attraverso il procedimento legislativo, in messaggi normativi di tipo giuridico. Il conflitto delle forze sociali diventa in tal modo la lotta per il diritto, utilizzando l'espressione cognata dal celebre giurista tedesco Rudolf von Jhering (1818-1892). Il campo giuridico della modernità cerca quindi di tenersi separata l'attività politica da quella più propriamente giuridica concependo quest'ultima, come un'operazione interpretativa di tipo tecnico, politicamente neutra. Anche rispetto a questo rigido confine tra diritto e politica, nel campo giuridico della postmodernità si sono prodotte numerose crepe. 80 agire seguendo un modello di comportamento proposto da un soggetto esterno e totale scelta d'azione comporterà delle conseguenze. Questo soggetto esterno potrà essere anche indefinito (se scelgo un vestito per seguire le regole della moda chi è il soggetto che ha posto queste regole?) e le conseguenze sanzionare potranno essere altrettanto in determinate (se non mi vesto “alla moda” quali saranno le conseguenze negative?) Anche il criterio dell'uso della forza non consente di distinguere quello giuridico da quello sociale. Infatti, entrambi i tipi di messaggi fanno uso della forza nel dispositivo del loro funzionamento: Nella sua materialità la forza usata dallo Stato per uccidere un condannato a morte non si distingue da quella utilizzata da un'organizzazione criminale per uccidere un suo componente che ha violato la regola dell'omertà. Nel primo caso si tratta di un uso legittimo della forza, mentre nel secondo non possiamo riscontrare tale legittimità dobbiamo necessariamente collocarsi sul piano dei giudici di valore che, rischia di essere poca adatto ad una classificazione che voglia rimanere scientifica. Un aspetto che può aiutarti a distinguere i messaggi normativi di tipo giuridico da quelli sociali e, invece, il fatto che in questi ultimi la prescrizione e l'azione che essa vuole orientare “coincidono e la distinzione e puramente concettuale, vale dire che tali norme sono vincolanti appunto perché sono seguite, che se non lo fossero non sarebbero ritenute vincolanti”. La consuetudine di comportarsi in un certo modo in una certa situazione non può essere tale se non perché essa viene ogni volta confermata dal comportamento appunto consuetudinario. Se tale comportamento comincia a non essere più adottato la consuetudine viene meno. Le regole sociali sono valide nella misura in cui siano rispettate dalla generalità dei consociati. Dal punto di vista della sociologia del diritto, il fatto che un messaggio normativo di tipo giuridico sia obbedito/disobbedito, o ancora ignorato del tutto, dal destinatario e un elemento di fondamentale importanza. Una delle principali attività del sociologo del diritto sia proprio quella di indagare, con gli strumenti elaborati dalla sociologia, il grado di obbedienza che tale messaggio raggiunge nella società e quali siano le cause di carattere sociale, culturale, economico, ecc…, che incidono su quell’obbedienza. Il criterio che ci consente di distinguere con maggiore approssimazione messaggi normativi di tipo giuridico: L’istituzionalità Il giurista tradizionale, lo connette immediatamente all'ordinamento giuridico statuale. Quando si parla di istituzionalizzazione non si fa riferimento a quel processo a cui sono sottoposti messaggi normativi nelle compagnie sociali più complesse in termini di differenziazione sociale ed in cui si formano organizzazioni che possiedono un grado di relativa autonomia rispetto al resto della società, perseguendo finalità proprie con specifiche regole interne che condizionano l'azione dei loro componenti. 81 Il fenomeno organizzativo ha certamente coinvolto anche le istituzioni che vengono definite statuali (tribunali, ministeri, enti locali, caratteri, ecc…), ma, ha interessato gran parte delle attività sociali dell'uomo da quelle economiche a quelle religiose; da quelle di solidarietà sociale a quelle politiche. Nel campo giuridico della modernità era prevalente la tesi secondo la quale i messaggi normativi prodotti da tutte queste organizzazioni fossero sotto il controllo statuale, direttamente, regolando con proprie norme alcuni aspetti del funzionamento di tali organizzazioni o, indirettamente, ponendo adesso limiti stringenti alla loro autonomia normativa. questa teoria, che si richiamava al principio dell'unità dell'ordinamento giuridico, e oggi andata via via perdendo la sua assolutezza a misure che sono entrati in crisi gli stati nazionali come monopolisti della produzione del diritto. “In questa situazione complessa, dove fenomeni di universalismo convivono con fenomeni di localismo dove con i confini geografico-politici sfumano anche le delimitazioni di competenze e giurisdizioni, parlare di pluralità di sistemi giuridici, concorrenti su ciascuno spazio fisico, sembra dunque inevitabile”. Con l'affermazione delle teorie del pluralismo giuridico e preferibile concepire l'area dei messaggi normativi di tipo giuridico come un territorio in cui i confini tra le varie organizzazioni sociali che li producono sono costantemente in discussione e mai stabiliti una volta per tutti. Lo stato-nazionale non è che una di tali organizzazioni. Tali organizzazioni producono messaggi normativi che orientano la produzione e l'attuazione delle conseguenze previste dai messaggi normativi stessi, individuando anche i soggetti che sono legittimati istituzionalmente a tali attività appunto si tratta della categoria di messaggi normativi che abbiamo definito secondari seguendo la teorizzazione di H.L.A. Hart: “Perché si possa parlare di istituzioni, non basta che vi siano regole di condotta che dirigono la condotta dei consociati; è necessaria un'organizzazione, fondata su regole, del gruppo stesso attraverso la determinazione dei figli, dei mezzi e degli organi del gruppo. Fa parte generalmente dell'organizzazione del gruppo la produzione di regole secondarie per l'osservazione e l'esecuzione delle regole primarie, cioè l'istituzionalizzazione delle sanzioni”. Si tratta di messaggi normativi che ricoprono determinati ruoli all'interno delle organizzazioni che sono deputati sia a produrre tali messaggi che a realizzare le conseguenze previste dai messaggi stessi. la norma della costituzione che prevede un messaggio procedurale Nella formazione della legge o il testo unico in materia di sicurezza pubblica che stabilisce la modalità con le quali la politica può procedere all'arresto di un indagato sono messaggi normativi di questo genere. Il fatto che i messaggi normativi secondari non riguardino le azioni dei consociati in genere, ma solamente l'agire relativo alla loro produzione e attuazione, rende possibile un fenomeno che è tipico dei sistemi normativi complessi come quello giuridico. Si tratta della possibilità che controversie riguardanti regole primarie vengano risolte attraverso la risoluzione di questioni relative all'interpretazione e all'applicazione di norme secondarie. Quando l'uomo della strada si scandalizza perché un imputato e assolto, per il mancato rispetto di una formalità procedurale Fatta valere in giudizio è proprio perché non riesce a 82 cogliere una delle caratteristiche fondamentali dei messaggi normativi di tipo giuridico, appunto il loro formalismo. Si tratta di un aspetto del normativo che può portare a degenerazioni e ad abusi, è uno strumento fondamentale di ogni organizzazione sia per rendere più prevedibile e stabile le relazioni tra gli individui che la compongono, sia per costruire procedure per prendere decisioni condivise quando non si sia in grado di raggiungere un consenso sul loro contenuto. L'istituzionalizzazione e la formalizzazione dei messaggi normativi consente di raggiungere un grande o più elevato di prevedibilità della reazione che si registra alla violenza del loro contenuto prescrittivo. “Il complesso universo dei rapporti umani e l'interazione sociale è sempre qualcosa di potenzialmente instabile e conflittuale. La sua dimensione organizzativa non è altro che l'insieme dei meccanismi empirici per mezzo dei quali tale universo trova una sua stabilità, permettendo al tempo stesso di costruire la cooperazione e il coordinamento necessari tra le iniziative virgole le azioni e le condotte dei diversi partecipanti”. Per ottenere questa maggior stabilità i messaggi normativi di tipo giuridico sia avvalgono di ulteriori messaggi che regolano esattamente le conseguenze positive e negative dell'obbedienza/disobbedienza, i soggetti che determinano tali conseguenze e le regole procedurali che tali soggetti devono seguire in questo processo di determinazione delle conseguenze stesse. “Quando si parla di sanzione istituzionalizzata Si intendono queste tre cose [...]: 1) per ogni violazione di una regola primaria, viene stabilito quale sia la sanzione relativa. 2) viene stabilita, se pure entro certi termini, la misura di sanzione. 3) vengono stabilite le persone incaricate di ottenerne l'esecuzione. Come si vede, si tratta di limitazioni che tendono a disciplinare il fenomeno della sanzione spontanea e immediata del gruppo. con la prima limitazione si assicura la certezza della risposta, con la seconda la proporzionalità, con la terza l'imparzialità”. Un maggiore grado di certezza- prevedibilità, proporzionalità e in parzialità della relazione sociale alla disobbedienza al modello d'azione proposto dal messaggio normativo e dunque una prestazione fornita dal processo di istituzionalizzazione. così come tale processo, potrà fornire un certo grado di stabilità rispetto alla individuazione dei soggetti legittimati a produrre nuovi messaggi normativi e alla precedente che devono essere seguite per crearli. Pensiamo ad un messaggio normativo che voglia orientare il comportamento dei destinatari in modo da privilegiare le persone anziane nell'occupazione dei posti a sedere sugli autobus urbani. Questo messaggio, può rientrare in quelli di tipo sociale o in quelli di tipo giuridico a seconda sezione decida di inserire nel proprio regolamento un obbligo di cedere il posto, oppure no. In questo secondo caso, il messaggio normativo rimane nel campo della regola sociale e quindi il destinatario subirà le conseguenze negative del proprio comportamento in maniera del tutto incerta, senza che intervenga alcun soggetto imparziale incaricato ad attuarle secondo particolari procedure. Tutti i consociati presenti al fatto sono, legittimati a sanzionare tale comportamento, ma la reazione potrà variare da un semplice sguardo di disapprovazione, ad un invito verbale esplicito di lasciar sedere la persone anziane. 85 La norma non esiste: la legge stessa è un documento scritto, privo di significato, fino a quando il suo contenuto non viene fatto “vivere” attraverso l’iniziativa e l’attività di qualcuno che lo richiama, lo utilizza e lo interpreta. La sociologia del diritto evidenzia quanto le operazioni mentali attraverso cui viene compiuta l’attività dell’interprete ed i documenti prodotti da tali attivitià modificano il significato del messaggio normativo di tipo giuridico oggetto dell’attività interpretativa. Secondo Roscoe Pound la “law in books” cede il passo e si trasforma nella “law in action”. Esiste sempre uno scarto tra il livello del diritto fissato nell’espressione linguistica dove vengono enunciate le cosiddette intenzioni del legislatore e quanto si verifica al momento della sua concreta realizzazione. L’interpretazione giudiziaria costruisce l’immagine del magistrato come “bocca della Legge”, separando i giudizi di fatto ed i giudizi di valore ed assegnando al magistrato il compito di formulare solo i primi. “Il ragionamento giudiziario può essere ricondotto ad un sillogismo deduttivo, in cui la premessa maggiore è data dalla norma codificata, la premessa minore dal fatto accertato e la conclusione dall’applicazione della norma al fatto, ossia alla decisione che si traduce in sentenza”. Secondo l’art. 575 c.p. “chiunque cagiona la morte di un uomo“ è punito con la reclusione. L’idea che l’attività interpretativa rientri nel monopolio dei giudici e della dottrina e che la riduzione di tale attività sia fondata sullo schema del sillogismo giudiziario viene superate dalla sociologia del diritto e dalla psicologia cognitiva. • L’interpretazione è un’operazione che scarta alcuni significati possibili dalla norma e ne accoglie altri, istituendo un rapporto tra la regola generale ed astratta ed il caso concreto. Essa è “una scatola vuota nella quale l’interpretazione concreta colloca il caso concreto”. • Nella realtà empirica i processi cognitivi interpretativi non partono dall’esame formale della norma, ma da un fatto, da un caso e da una situazione che sollecitano una soluzione, una valutazione o una decisione. Essi si sviluppano secondo il “problem solving”. L’interpretazione formale della norma giuridica subentra come giustificazione giuridica della decisione assunta. Quando il giudice scrive la motivazione della sentenza ed il funzionario pubblico formula le ragioni del provvedimento amministrativo tali soggetti razionalizzano ex post la decisione a cui sono giunti, utilizzando la norma per legittimarla giuridicamente. I risultati ottenuti dalla ricerca empirica di stato psicologico e sociologico su come ragionano e decidono i giudici ed i funzionari della P.A. pongono critiche nel concepire l’interpretazione della scienza giuridica. I processi cognitivi complessi implicano il ricorso, da parte dell’interprete, ad elementi extragiuridici. I criteri usati dal giudice fanno riferimento a sistemi normativi di tipo non giuridico, a norme sociali, o a valutazioni di ordine morale e politico. Ciò avviene nel caso del “dolo”, della “pericolosità sociale”, del “buon padre di famiglia”, dell’”interesse del minore”: In questi casi il legislatore lascia all’interprete il compito di determinare caso per caso il significato di tale espressione e questo implica il riferimento a norme di tipo sociale, al mutare dei costumi, alla morale, agli usi ed alle consuetudini, che caratterizzano un particolare contesto socio-culturale. L’interpretazione giudiziaria è intrecciata con un’attività di selezione delle norme non giuridiche a cui si riferisce l’interprete. 86 • Questa constatazione concepisce in modo più ampio la figura dell’interprete. Ad ogni passaggio interpretativo il significato originario del messaggio normativo cambia. Ciò equivale a modificarne il contenuto e, quindi, l’attività dell’interprete si considera “creativa”. La decisione giudiziaria rappresenta un’importante manifestazione dell’attività di interpretazione del diritto. Nell’ambito dell’attività giurisprudenziale si riconosce l’azione di non esperti di diritto: es. La componente non togata in un processo in Corte d’Assise. Tutti gli organi di applicazione concorrono direttamente a creare diritto. Tutti gli attori sociali che intervengono nel processo comunicativo di un messaggio normativo di tipo giuridico svolgono attività interpretativa. 2.Interpretazione, cultura giuridica e ruoli giuridici. L’idea di diritto vivente individua la variabile determinante dell’interpretazione giuridica nella dimensione culturale: la cultura giuridica. L’espressione cultura giuridica “è un modo per descrivere schemi e modelli relativamente stabili di comportamenti ed atteggiamenti giuridicamente orientati”. I suoi elementi identificativi variano “dai fatti che riguardano le istituzioni, come il numero ed il ruolo degli avvocati, le modalità con cui i giudici sono reclutati e controllati, fino alle forme di comportamenti, come le percentuali di controversie o dei detenuti”, fino a comprendere le idee, i valori e le aspirazioni. La cultura giuridica è il prodotto determinato storicamente di uno specifico contesto socio- economico ed essa influenza e si rivela negli atteggiamenti, valori, rappresentazioni e percezioni del rale dei vari attori sociali, che operano in quel contesto. Lawrence Friedman dice queste parole: “la cultura giuridica determina quando, perchè e dove le persone cercano aiuto dal diritto, da altre istituzioni, o decidono di rassegnarsi”; cioè essa ci dice “chi siamo” e non solo “cosa facciamo”. Secondo Friedman, dipende dalla cultura la fiducia che le persone di un certo Paese hanno nei confronti della possibilità che le proprie controversie trovino soluzione all’interno dei canali predisposti a tale scopo dai sistemi della giustizia di regolazione delle dispute. Tale cultura è determinata dai fattori socio-economici che caratterizzano la storia di questi Paesi. L’espressione “cultura” comprende la communis opinio intorno al diritto e le opinioni dei ceti professionalmente coinvolti in ruoli specializzati nelle attività giuridiche. Friedman parla della necessità di distinguere la cultura giuridica interna e la cultura giuridica esterna. La prima si riferisce all’”insieme dei valori, delle ideologie, dei principi propri di avvocati, giudici e di altri che lavorano nel cerchio magico del sistema giuridico” ed ai modi con cui tali fattori si riflettono sull’uso che gli operatori del diritto fanno delle norme, in relazione allo status loro assegnato nel campo giuridico. La cultura giuridica esterna riguarda gli attori sociali che operano al di fuori di quel cerchio. La distinzione chiarisce la riflessione sulle modalità con cui il diritto opera nell’ambito delle società statuali complessi. 87 Ciò è dovuto a due ragioni: 1 Individua la figura stessa dell’operatore del diritto, la seconda definisce l’attività svolta da tale figura. Nel primo profilo, individuiamo gli attori collocabili all’interno del “cerchio magico del sistema giuridico” ed i criteri utilizzati per delimitarne l’area. Gli “operatori del diritto” sono tutti coloro che per ragioni professionali operano entro l’ambito giuridico: giudici, avvocati, giuristi accademici, fino a comprendere tutte le professioni giuridiche., quali notai, consulenti del lavoro, giuristi d’impresa, funzionari pubblici di polizia, ecc… . L’avere conseguito un titolo attestante un percorso formativo giuridico, come la Laurea in Giurisprudenza, è un primo passo per individuare gli attori della cultura giuridica interna. Il “giurista” è colui che si è formato nelle scuole che hanno creato negli anni esperti di diritto. I soggetti appartenente costituiscono la categoria del “ceto dei giuristi”. Non tutti coloro che agiscono come operatori del diritto possiedono una formazione giuridica: Nella P.A., la Laurea in Giurisprudenza non è indispensabile per dirigere un carcere e per svolgere mansioni non dirigenziali, come nel settore privato: Commercialisti, consulenti del lavoro ed operatori di centri di assistenza fiscale. 2 Determina l’impossibilità di tracciare una divisione tra cultura giuridica interna ed esterna riguarda il modo con cui prende forma l’interpretazione delle regole giuridiche. Ogni operatore del diritto svolge la funzione di interprete, vivendo una condizione di tensione tra l’esigenza di tener conto del formalismo che caratterizza la sua formazione professionale e la condivisione delle regole e dei valori extra-giuridici a cui egli aderisce., al di fuori del proprio ruolo professionale. L’attività del giurista è sempre influenzata da elementi extragiuridici. Anche gli atteggiamenti del non esperto del diritto possono essere influenzati da elementi della cultura giuridica interna. Esempio: In certe discussioni si sentono considerazioni giuridiche, riprese dai media, a proposito di processi penali posti all’attenzione dell’opinione pubblica. Un altro elemento riguarda le varie prospettive dei soggetti che ne fanno parte. L’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche è intrecciata ai modi con cui l’operatore del diritto interpreta il proprio ruolo giuridico ed i relativi obiettivi istituzionali. In ogni società vediamo attori o gruppi sociali incaricati di imporre nuove regole e soggetti che danno consigli su come comportarsi. In ogni società riconosciamo legislatori, avvocati e giudici. All’interno del campo giuridico i gruppi sociali che corrispondono a tali ruoli “non sono neppure omogenei al loro interno. Ciascuno di essi, è chiamato a decidere tra pretese ed interessi contrapposti, cosa che i suoi membri possono fare dettando o applicando una norma dirimente, cioè creando o individuando un comportamento mediatorio tra le contrapposizioni. Da ciò deriva una frantumazione di posizioni che induce anche ad alleanze trasversali, tra esponenti di vari gruppi e che la struttura corporativa spesso non riesce a compensare”. Esempio Processo Esso può essere definito come un insieme di atti regolati da principi e procedure, che si conclude con la sentenza di un soggetto terzo rispetto alle due parti in causa, che svolge la funzione di giudice. 90 Il modo in cui giudica la sentenza non è libero, ma è regolato da norme secondarie, ovvero dai principi e dalle procedure a cui l’ordinamento giudiziario riconduce la garanzia di correttezza e certezza del giudizio, nonostante l’apparente rigidità. I giudici possono giudicare, tanto nel civile quanto nel penale, in composizione monocratica o collegiale. In questo caso il collegio giudicante è composto da tre magistrati e la sentenza dovrà essere emessa sulla base di una decisione collettiva. Nel processo penale, oltre al giudice, compare il pubblico ministero, cui sono assegnate funzioni requirenti (funzioni indagatorie). Tutti i magistrati lavorano in uffici giudiziari locali, articolati su una base gerarchica che rispecchia il grado di giurisdizione. Il primato che il diritto esercita sul potere giudiziario si accompagna all’idea che il giudice svolga non un’attività d’”interpretazione” quanto piuttosto di “applicazione” del diritto. Un primo indicatore ci viene dato dallo stesso ordinamento giuridico, quando viene regolata la gerarchia delle decisioni. La possibilità data dagli ordinamenti giuridici di ricorrere in appello contro la sentenza del giudice di primo grado ed in cassazione contro la sentenza d’appello costituisce l’ammissione implicita del fatto che la decisione può essere il prodotto di un errore giudiziario. Il terreno che mette maggiormente in discussione la rappresentazione dogmatica dell’interpretazione giudiziario è rappresentato dall’osservazione concreta delle ricerche empiriche, che hanno come oggetto il ragionamento giudiziario, ovvero le modalità attraverso cui gli operatori del diritto assumono le loro decisioni. La prospettiva logicista/giuspoisitivista riconduce il ragionamento giudiziario ad un sillogismo deduttivo. Nella prospettiva formalista la norma giuridica assume un significato precostituito che il giudice è chiamato ad applicare. La decisione giudiziaria è vista come il frutto di un processo del tutto razionale. Solo nei casi dubbi, o negli hard cases, il giudice è chiamato a chiarire il significato della norma. L’ordinamento giuridico definisce in modo preciso i criteri per l’interpretazione a cui deve attenersi. L’art. 12 delle disposizioni generali del Codice Civile fornisce istruzioni apparentemente precise: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dall’intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato”. Kelsen, massimo esponente della dottrina giuspositivista, accettava l’idea che l’interpretazione fosse “un’attività volitiva del giudice che conduce alla decisione di una certa attribuzione di significato”. In una posizione opposta troviamo l’orientamento antiformalista, che rifiuta un’interpretazione legalista del diritto: L’importanza attribuita alla norma diminuisce, mentre assume rilievo il momento della decisione, che rappresenta “una scelta politico-valutativa tra più soluzioni logico- giuridicamente possibili”. 91 Il Magistrato pondera principi e media tra interessi e valori in conflitto. Il Giudice deve interepretare il significato del testo ed il fatto. Il ragionamento giudiziario va dal particolare al generale: Alcune ricerche empiriche rilevano come tale ragionamento sia un’attività di “problem solving”. La necessità di dare soluzione al caso in esame e la mancanza di informazioni approfondite per risolverlo portano il giudice a ricorrere a criteri che si fondano sul calcolo probabilistico, sul ragionamento controfattuale: L’attività del giudice si sposta continuamente sulla base dalla base di conoscenza fattuale alla base di conoscenza giuridica, per distinguere i fatti rilevanti ed irrilevanti in funzione del confronto con la legge. Il Giudice “sceglie” tra più significati entro quello spazio interpretativo che è dato dalla sempre possibile indeterminatezza con cui il testo si presenta rispetto alle situazioni concrete nelle quali deve essere utilizzato. Tale attività implica l’utilizzo di materiale normativo di tipo non giuridico. Esempio: Nelle “norme aperte”, quando il giudice deve stabilire se un contratto sia stato adempiuto secondo “buona fede” o con la diligenza del “buon padre di famiglia”. Nell’interpretazione sistematica, il giudice fonda la propria decisione sui principi generali dell’ordinamento. Le modalità che guidano il ragionamento giudiziario nel passaggio dal fatto al diritto evidenziano da parte dei giudici il ragionamento induttivo, dell’expertise esterna e delle euristiche giudiziarie, cioè di procedure decisionali o scorciatoie cognitive che costituiscono deviazioni sistematiche dai principi formulati dalle teorie ispirate all’approccio normativo. Esempio: Quando il giudice deve esaminare la prova induttiva in giudizio. Il modello elaborato da Taruffo (2009) decostruisce le scelte che il giudice trova davanti a se quando deve risolvere una questione di questo tipo. Egli ricorrerà ad una prova scientifica, se possibile: Ѐ questo il caso del test del DNA. Se non è possibile, il giudice si riferirà a “nozioni di comune esperienza”, che si basano su nozioni di senso comune. Esempio: Per valutare l’attendibilità di un imputato che dichiari di essersi trovato in un determinato luogo al momento del fatto contestato, il giudice potrebbe ricorrere ad una prova scientifica, ma per ragioni economiche in un processo per un reato di modesta gravità (es. ingiuria), sarebbe una prova sproporzionata. Egli allora ricorrerà a nozioni di comune esperienza, chiedendosi, ad esempio, se rientri in essa compiere il tragitto a cui fa riferimento l’imputato entro un determinato lasso di tempo. Il ragionamento giudiziario fa inoltre ampio uso di “precomprensioni”. Varie ricerche empiriche individuano nella “ragione mondana” e nei dispositivi di categorizzazione i principali strumenti di semplificazione del processo cognitivo, che porta alle decisioni giudiziarie in sede penale. 92 La ricerca di Pollner (1995) sul ragionamento pratico dei tribunali evidenzia come il pensiero legale e giudiziario sia influenzato dal modello mondano del crimine, cioè dall’uso che i membri sociali fanno di presupposizioni circa l’oggettività e l’intersoggettività del mondo sociale. Pollner esamina come tali discordanze vengono spiegate e giustificate, riferendosi alle condizioni “eccezionali” al momento dell’evento discusso: “Come potrebbe un imputato sostenere che non superava le 68 miglia orarie ed un agente ritener di si? La soluzione potrebbe essere che il tachimetro era rotto; come potrebbe un imputato sostenere che il veicolo di fronte a lui e non il suo camper bloccava il traffico e l’agente affermare che invece fosse il suo camper? Soluzione: il camper bloccava la visuale all’agente”. L’uso di categorie riproduce la presupposizione che le persone e le cose appartengono alla stessa categoria e possiedono caratteristiche comuni indipendenti dal modo con cui vengono identificate. L’ordinamento giudiziario prevede che la decisione venga raggiunta con la collaborazione di esperti, che non appartengono alla comunità dei giuristi. Ciò avviene quando, per l’acquisizione e la valutazione di una prova, il giudice faccia ricorso alla perizia, che può essere tecnica, psichiatrica, medica. Il convincimento del giudice si basa sulla fiducia che egli ripone nelle determinazioni provenienti dai saperi esperti. Le ricerche condotte sull’attività dei magistrati nella psicologia cognitiva evidenziano come i Magistrati facciano ricorso all’euristica dell’”ancoraggio e aggiustamento”. Chiamati a decidere su un particolare caso, essi formulano una prima valutazione di un determinato fatto. Successivamente, dopo l’acquisizione di ulteriori informazioni, vengono formulate modifiche più o meno consistenti (aggiustamenti) e viene formulata la valutazione definitiva. Accade spesso che l’insufficienza degli aggiustamenti renda il giudizio finale non molto diverso da quello iniziale. Nell’ambito della giurisdizione civile, alcune ricerche rivelano che quanto maggiore è la somma richiesta a titolo di risarcimento tanto maggiore sarà la somma liquidata dal giudice, indipendentemente dall’entità del danno. Simulazioni effettuate nell’ambito del giudizio penale rilevano come l’entità della pena che il giudice sarebbe disposto ad applicare sia fortemente connessa all’ancoraggio alle informazioni di cui egli viene in possesso riguardo alla vittima ed alle conseguenze psicologiche del reato sulla persona offesa. Prendiamo in considerazione l’attività giudiziale sotto l’aspetto dell’organizzazione del lavoro. L’attività interpretativa del giudice si configura raramente come un processo decisionale individuale: la decisione viene assunta in composizione collegiale. In sede penale, i processi per reati particolarmente gravi vengono sperimentati da un collegio a composizione mista, dove ai giudici togati sono affiancati i giudici popolari, estratti a sorte dagli elenchi dell’anagrafe. Nei collegi misti, l’opinione della componente non togata potrebbe prevalere sul parere del giudice togato: in tali casi, al giudice resta ancora la possibilità, nel momento in cui trascriverà la sentenza, di “trasfondere fra le righe delle sentenze dei dubbi, che diverranno altrettanti segnali per il giudice d’appello affinchè riformi la decisione”. 95 Il Codice deontologico forense, definisce l'avvocato come il soggetto che “tutela in ogni sede del diritto alla libertà, in viabilità è l'effettività della difesa, assicurando nel processo la regolarità del giudizio e del contraddittorio” (art.1). La prima difficoltà riguarda perciò la necessità di trovare un punto di equilibrio tra il dovere deontologico di perseguire gli interessi del proprio cliente ed il compito di garantire che il giudizio si svolga nel rispetto delle regole. Per poter esercitare la professione, l'avvocato presta infatti dinanzi al consiglio dell'Ordine il seguente giuramento: “Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i figli della Giustizia ed a tutela dell'assistito nelle forme e seconde principi del nostro ordinamento” (art.8, legge 247/ 2012) Emerge, il ruolo dell'avvocato: Egli si trova infatti nella costante tensione di dover consigliare la sua funzione di operatore del diritto e il suo essere un professionista soggetto ai mutamenti delle regole del mercato. La relazione tra avvocato e cliente rappresenta un ulteriore variabile della qualità del lavoro: Essa si può configurare come un rapporto di collaborazione oppure essere del tutto assente, come spesso accade nei casi di difesa d'ufficio, con evidenti ripercussioni sulla volontà e sulla capacità dell'avvocato di assistere adeguatamente il proprio cliente. Nei processi penali, l'assenza di un rapporto di fiducia tra avvocato e cliente e la debolezza sociale dell'imputato possono incidere ulteriormente sulla trasformazione del ruolo dell'avvocato. Le caratteristiche sociali dell'imputato agiscono anche sull'avvocato come variabile decisive per costruire la persona come imputato buono o dal cattivo carattere, per ottenere il reate denunciato come reale o meno e per orientare in definitiva la scelta di percorrere la strada dell'ammissione di colpevolezza e del patteggiamento. La composizione sociologica della professione legale ha subito negli ultimi anni rilevanti mutamenti: Nel 2021 il tasso di crescita degli avvocati a registrato una prima diminuzione. Il numero degli avvocati in Italia permane elevato e ciò viene da taluni messaggi in relazione all'elevato tasso di litigiosità che caratterizza il nostro paese. Per quanto riguarda l'organizzazione della professione, l'avvocato presenta le caratteristiche di un ordinamento normativo autonomo che sovrintende al controllo dell'etica professionale gli avvocati. Spetta agli ordini disciplinari degli ordini la possibilità di applicare le sanzioni disciplinari adeguate alle violazioni deontologiche commesse. L'elevato numero di avvocati sul territorio, sembra produrre una serie di ulteriori effetti. In un periodo di crisi economica, la competizione ha condotto la professione forense a confrontarsi negli ultimi anni con una serie di problemi e con mutamenti rilevanti. in particolare, con la questione della retribuzione dell'attività forense. Le parcelle degli avvocati italiani sono tra le più basse in Europa. Altra questione legata agli aspetti economici dell'attività forense e quella del mancata predisposizione di un servizio pubblico di assistenza legale, che rende l'Italia un caso anomalo tra i paesi occidentali. 96 L'accesso alla giustizia per le persone che non dispongono delle risorse economiche per pagare un avvocato e garantito formalmente dalla legge sul gratuito patrocinio. Una delle più recenti risposte all’ineficienza del sistema dell'assistenza legale per soggetti deboli ed emergenti e la sperimentazione anche in Italia del metodo della clearing house (enti che svolgono un ruolo di interfaccia tra studi legali e persone bisognose) e favorire l'incontro tra la domanda di assistenza legale e la disponibilità di alcuni grandi studi legali a svolgere parte della loro attività pro bono (una forma di beneficenza che si svolge attraverso una prestazione dell'avvocato strettamente volontaria). La professione di avvocato è inserita oggi nel circuito comunitario ed esposta alle regole della concorrenza e della globalizzazione dei mercati. Tuttavia, la sua organizzazione del lavoro continui in Italia a caratterizzarsi per la prevalenza di studi di piccole e medie dimensioni. Il fenomeno della transnazionalizzazione delle imprese sta mettendo in forte crisi il modello tradizionale dell'organizzazione della professione forense in Italia. La nuova organizzazione dei servizi giuridici tende infatti a trasformare la professione legale in una forma particolare di imprenditoria orientata a coprire ogni tipo di questione. Negli Stati Uniti questo modo di concepire la professione legale ha dato vita al fenomeno noto come mega lawyering: Le mega laws firms sono divise in dipartimenti e prevedono che il cliente venga seguito da un’team di professionisti. Poiché i piccoli studi non sono in grado di competere con un modello di questo tipo, l'unica strategia possibile rimane quella della specializzazione in una peculiare area del diritto, con la conseguente graduale trasformazione della cultura giuridica forense, che vede la progressiva scomparsa della figura classica dell'avvocato capace di affrontare indifferentemente questioni civili, penali o amministrative. Un ulteriore trasformazione della professione è rappresentata oggi dal processo di differenziazione dei ruoli all'interno della professione stessa. 5.La formazione giuridica e l’insegnamento del diritto Il campo degli attori della cultura giuridica interna comprende anche i giuristi accademici, ovvero coloro che professionalmente operano sul materiale giuridico con finalità teoriche e di insegnamento. I giuristi accademici diffondono il sapere giuridico: Essi costruiscono una rete di conoscenza sui sistemi giuridici e la veicolano entro pubblici differenziati: “La comunità scientifica a cui appartengono, i pratici del diritto, gli studenti in materia giuridica”. Ai giuristi accademici e tradizionalmente assegnato il duplice compito di alimentare l'elaborazione teorica e di formare le future generazioni di giuristi e pratici del diritto. Al consolidarsi, dell'idea giuspositivistica del diritto come un sistema chiuso, perfetto ed autosufficiente ha corrisposto un modo di concepire la senza giuridica come sapere tecnico specialistico la cui acquisizione si esaurisce nella conoscenza degli enunciati linguistici contenuti nelle norme giuridiche sostanziali e procedurali e delle interpretazioni di tali enunciati e proposta dai soli esperti accreditati a svolgere tale compito, ossia la dottrina e la giurisprudenza. 97 In Italia e nella maggior parte dei paesi di civil law: Non l'oggetto dello studio dei corsi di laurea in giurisprudenza e il diritto positivo e la tecnica ritenuta più idonea a cogliere e trasmettere la conoscenza giuridica e rappresentata dal metodo esegetico, nei paesi di common law, l'insegnamento del diritto si fonda tuttora sul case method, elaborato da Christopher Langdell nel 1871. Nelle law schools statunitensi la formazione dei giuristi avviene attraverso un metodo di insegnamento di tipo socratico che estrae la regola generale a partire da un caso giudiziario. L'insegnamento frontale, passivizzante e articolato in una pluralità di discipline non comunicanti, “funzionale alla trasmissione ha problematica è acritica di sostanze normative ordinate a sistema e di verità cristallizzate nelle categorie senza tempo della dogmatica” ha come effetto “collaterale“ il fatto che coloro che terminano i corsi di studi giuridici in Italia non abbiano alcuna conoscenza del concreto funzionamento del diritto. Per questa ragione l'accesso alle professioni prevede un periodo di pratica successiva alla laurea. Ѐ scaturito un movimento indirizzato, sulla scia del modello delle facoltà di medicina. l'idea di introdurre negli studi giuridici l'educazione clinica legale si accompagna alla concezione della formazione giuridica come insegnamento di un'arte che può soltanto la minima parte essere insegnata attraverso i libri, quanto piuttosto per mezzo della pratica. Risale al 1935 il primo tentativo di uno dei più eminenti giuristi italiani del XX secolo, Francesco Carnelutti, di introdurre il “saper fare” entro gli obiettivi della formazione giuridica e di opporre una radicale inversione del metodo di insegnamento fondato sul “risalire dal concreto all'astratto anziché di scendere dall'astratto al concreto” al fine di sviluppare la capacità intuitive dei futuri giuristi. Il modello formativo di matrice giuspositivistica appare del tutto inidoneo a preparare il giurista ad operare nella complessità e nella reticolarità del campo giuridico della modernità. A livello europeo, il c.d. Processo di Bologna sollecita una trasformazione dei corsi di studi giuridici attraverso l'adozione di modelli formativi che sappiamo coniugare teoria e pratica e pongano le università in contatto con altri attori istituzionali, economici e sociali. Si intravedono i primi segnali nella apertura dei curricula universitari, a nuovi saperi che vanno oltre l'insegnamento del diritto positivo e, una nuova riflessione sulla rilevanza assunta nella formazione giuridica della scelta dei metodi didattici. Entro queste riflessioni prendono forma nuove sulle citazioni tesi a promuovere una visione relativistica del diritto con modalità che spaziano dalla didattica museale, alla simulazione di situazioni realistiche anche attraverso il role playing, fino a chiedere agli studenti di cimentarsi nell'affrontare casi reali. Significativa in questo scenario e la nascita del movimento italiano delle cliniche legali. La clinica legale e uno strumento di apprendimento del diritto attraverso la pratica che offre contemporaneamente agli studenti l'opportunità di sviluppare competenze pratiche e pensiero critico. Ciò avviene attraverso l'immersione degli studenti in contesti reali la cui complessità, rende evidente la difficile corrispondenza tra quanto affermato dalle norme generali e astratte e la loro applicazione e, richiede agli studenti stessi di intervenire con azioni concrete volte a