Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Filosofia della cura, Luigina Mortari, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto del libro "filosofia della cura"

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017

Caricato il 19/07/2017

anna_cavedon
anna_cavedon 🇮🇹

4.6

(15)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Filosofia della cura, Luigina Mortari e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PERCHÈ SI PARLA DI PRIMARIETÀ DELLA CURA? La cura è essenziale e irrinunciabile poiché senza la cura la vita non può fiorire. La cura aiuta a difendersi dalla sofferenza e a trovare il bene. La cura illumina l'essenza dell'esserci fin dai primi giorni di vita. In certe fasi della vita lo stato di fragilità e vulnerabilità rendono necessaria la cura, dato che essa mantiene l'essere immerso nel bene. Il lavoro di cura non è mai concluso in quanto ognuno di noi è essere mancante in continuo stato di bisogno, ricerchiamo il cibo per nutrire il corpo e cerchiamo la giusta forma per nutrire lo spirito. L'essere è un essere nella possibilità chiamato a cercare la propria forma e grazie alla cura questa ricerca può essere perseguita. La debolezza della condizione umana sta nel non possedere il proprio essere ma di avere bisogno del tempo per poter essere, questo ci fa sentire tutta la nostra fragilità. L'uomo è un essere finito, di durata limitata e senza sovranità sul progetto del suo esistere; sentire l'incombenza del proprio venir meno in ogni momento genera angoscia ma questa angoscia può essere repressa da una buona cura che tiene l'essere ancorato alla realtà. Il venir meno delle cose buone nientifica il nostro essere ma senza liberarci dall'essere costringendo a sopportare il niente in cui veniamo trascinati, una buona cura aiuta a superare questo senso di fragilità e a restare immersi nel bene. La cura ci permette di progettare la vita nel lungo periodo e alimenta la tensione a fiorire le nostre possibilità d'esserci. QUAL È LA DIREZIONALITÀ DELLA CURA? La cura come necessità ontologica, conserva la forza vitale nel senso che ci obbliga a preoccuparci di far fronte al compito di vivere, di salvaguardare le possibilità di continuare a esserci. La cura delle cose è la nostra cura della vita. L'ansia di mancare di sovranità sulla vita ci porterebbe a una frenetica preoccupazione di procurare cose, ma proprio questa frenesia finisce per consumare la vita stessa. Bisogna quindi aspirare a una vita beata, ovvero senza l'angoscia della cura. La vita va nutrita della speranza di farci trovare la giusta misura della cura. La cura come necessità vitale, fa fiorire l'essere, il suo compito è quello di cercare la migliore forme dell'esserci. Il nostro essere mancanti ci apre alla trascendenza, a cercare forme ulteriori di essere. La cura si realizza come prendersi cura delle possibilità. L'essere umano è un nucleo d'essere in continuo divenire, assumere l'obbligo della trascendenza significa prendersi a cuore il tempo della vita. Heidegger parla di cura come procurare (preservare il nostro essere, aiutare l'altro a soddisfare i bisogni) e di cura come dedicarsi (è l'arte del maestro, ricerca della migliore qualità di vita possibile). Una buona cura non consiste solo nel soddisfare i bisogni ma anche nell'offrire quelle esperienze che sollecitano il suo essere a crescere e fiorire in tutte le dimensioni ontologiche. In quanto nasce senza forma e con il compito di darsi una forma, l'essere umano è dunque chiamato ad avere cura di sé. La cura di sé è un lavoro faticoso. Il compito dell'educatore è quello di sollecitare l'altro ad avere cura di sé affinché acquisisca la forma migliore possibile. La vita non risparmia momenti difficili, di dolore e di angoscia. La cura è come luce che si distende nell'anima lasciando vedere uno spiraglio di altro, in questo senso avere cura è togliere il peso della sofferenza. La cura come necessità terapeutica, consiste nell'avere cura delle ferite dell'esserci. C'è una cura che soddisfa i bisogni e una cura che ripara l'essere nei momenti di massima vulnerabilità e fragilità; è la cura come terapia, chiamata a lenire la sofferenza. Di terapia c'è necessità sempre se è vero che dolore e vita si appartengono reciprocamente. Quando la materia si ammala il dolore ferisce anche l'anima, allora quella inconsistenza ontologica viene vissuta in tutta la sua pesantezza. Quando la sofferenza penetra nella carne dell'anima il soggetto si sente minacciato nel suo intimo. La sostanza della vita è il tempo. Il tempo del vivere è un fluire nel presente, un sentirsi accadere di attimo in attimo. Nella sofferenza il tempo cambia qualità, si fa muto, impenetrabile, toglie all'anima ciò che le è proprio. Quando si fa esperienza del dolore si sente la propria anima come incarcerata nel corpo, si sente appassire la forza vitale è come se la materia corporea consumasse ogni energia spirituale. La cura chimica deve procedere interrata con quella spirituale. L'assenza di cura rende più deboli, più pronti a essere nientificati dal dolore. La capacità di avere cura è anche questo: esserci quando l'altro avverte tutta la fatica del mestiere del vivere. COSA SI INTENDE PER CONSISTENZA RELAZIONALE DELL'ESSERCI? Noi siamo esseri relazionali e in quanto tali abbiamo bisogno degli altri. La vita è sempre intimamente connessa con la vita degli altri, vivere è sempre convivere, poiché nessuno da solo può realizzare il proprio esistere. La relazione con l'altro è la condizione primaria dell'esserci. L'origine di tutto è la relazione con la madre. Io all'inizio sono insieme a un altro essere umano, non ancora differenziato. Fin dalla nascita sviluppiamo un forte attaccamento a chi si prende cura di noi. Questa competenza relazionale è di valore primario per la vita. La relazione con gli altri è struttura ontologica dell'esserci. Ogni cosa co-esiste. Siamo esseri soli insieme all'altro. Siamo esseri unici, mai identici a nessun altro e nonostante la nostra forte relazionalità quando dobbiamo decidere del nostro divenire ci troviamo in solitudine, il nostro essere dipende solo da noi. Solo su di noi grava il compito etico di dare forma alla propria vita. Nell'esperienza ordinaria possiamo scambiarci tutto tranne l'esistere. Siamo esseri bisognosi degli altri. Ognuno di noi ha un innegabile necessità della relazione con gli altri. Viviamo delle relazioni che scolpiscono la materia della nostra vita, la verità è frutto dell'incontro con l'altro, del dialogo, di un cammino che si fa insieme. Il nostro essere diviene attraverso la relazione con gli altri. La relazione con l'altro si rivela vitale nei momenti di maggiore difficoltà. Il nascere coincide con il trovarsi esposto alla cura. Se vivere è con-vivere, allora trovare nella vita il ritmo della condivisione è necessario. C'è necessità di un'etica della condivisione. Se la cura si qualifica come fenomeno ontologico sostanziale dell'esserci e se l'esserci è intimamente relazionale, allora l'aver cura dell'esserci è un tutt'uno con l'aver cura del con-esserci e dunque con l'avere cura degli altri. Per questo la relazione di cura porta valore sia a chi riceve sia a chi esercita la cura. DA COS'È CONDIZIONATO L'ESSERE? d'essere che ci rende esseri che desiderano e temono. Quando si parla dell'essere umano come di un ente mancante quel che manca non è l'essere, ma le cose di valore che per tutta la vita sono l'oggetto da cercare. L'essere umano è innanzitutto mancante di bene. Chi ha cura è in cerca di qualcosa di buono. Una buona cura è proattiva (cerca il bene) e protettiva (cerca di proteggere la vita). Una buona cura tiene l'essere immerso nel buono. L'avere cura è pratica relazionale guidata dall'intenzione di procurare benessere per l'altro. Ciascuno di noi cerca il bene, cioè una buona vita. La pratica di cura è guidata dall'intenzione di facilitare l'emergenza di una buona qualità della vita. La cura è connessa con il sentirsi bene con gli altri. Nella relazione di cura le persone agiscono allo stesso tempo per sé e per gli altri. COSA SI INTENDE PER DENSITÀ ETICA DEL LAVORO DI CURA? La cura si occupa di ricercare il bene, togliere le sofferenze e per questo si può parlare di etica della cura in quanto l'etica è ciò che fa bene alla vita. La questione prima è cosa e come fare perché all'altro arrivi il bene? Il lavoro di cura è orientato a procurare beneficio. L'idea di bene costituisce quel chiaro di cui c'è bisogno per sfuggire al rischio di ciò che fa più male. La cura si attualizza in azioni fatte di parole o di gesti, bisogna però saper trovare i gesti giusti e le azioni giuste. Alla mente umana non è accessibile una chiara idea di bene. Il concetto di bene è destinato ad essere sempre oltre la possibilità di una piena comprensione. Il bene si profila come un'idea che va profilata all'infinito. Bisogna riportare al centro della riflessione filosofica ciò che rende una vita degna di essere vissuta e quindi l'idea di bene. Meditare su cosa sia il bene risponde alla necessità di una vita piena di significato e al bisogno di trovare criteri di orientamento pratico. Bisogna avvicinarsi alla domanda con cautela. Stare con la giusta misura nelle domande difficili significa mantenerle aperte, evitare soluzioni definitive. Una vita senza ricerca del bene non cale la pena d'essere vissuta. Bisogna coltivare una postura della mente impegnata a coltivare le questioni essenziali. Una buona pratica di cura si profila come fortemente nutrita di pensiero, pensare con il cuore che sente la presenza dell'altro e l'altro si prende a cuore. Solo se ci teniamo nella luce irradiante della ricerca dell'idea di bene possiamo avere una conoscenza retta, perciò buona, delle cose. Dopo aver affermato che l'essere umano è orientato dalla ricerca del bene, il bene nella vita umana si realizza quando si vive bene e si agisce bene. Camminare nella luce significa agire secondo virtù, stare nelle zone rischiarate dal bene significa stare là dove le virtù fioriscono. Le virtù sono i modi di essere che producono il benessere. Senza la passione la vita non si trasformerebbe, non troverebbe la forza per andare in cerca di altre forme dell'essere. La passione per qualcosa è energia necessaria per iniziare processi di trasformazione. COSA C'È AL CUORE DELLA CURA? L'intenzione che orienta l'agire con cura è la ricerca di ciò che fa bene alla vita, ovvero un orientamento etico dell'esistenza. Una filosofica fenomenologica della cura mira a individuare i modi di esserci propri dell'aver cura. La cura si struttura in posture dell'essere, che costituiscono l'humus generativo che prepara l'azione di cura. Si può dire che il nocciolo etico dell'agire con cura si attualizza nelle posture dell'esserci. La cura nella sua essenza è etica perché mira a una buona qualità della vita. La cura agisce per promuovere il ben-esserci dell'altro. Le posture dell'esserci sono: sentirsi responsabile, condividere con l'altro l'essenziale, avere una considerazione reverenziale per l'altro, avere coraggio. SENTIRSI RESPONSABILE PER L'ALTRO L'agire con cura per l'altro è mosso dal senso di responsabilità per l'altro. Responsabilità significa rispondere a una chiamata dell'altro con premura e sollecitudine, fare quanto necessario e quanto è possibile per il benessere dell'altro. La responsabilità di chi ha cura si manifesta secondo gradualità diverse a seconda della condizione di bisognosità in cui si trova l'altro. C'è una responsabilità diretta dell'altro (es: neonato che ha bisogno di tutto) e una responsabilità indiretta dell'altro (mettere l'altro nelle condizioni di potersi assumere la responsabilità di sé). L'agire per gli altri è il modo in cui si costituisce l'agire etico. La condizione umana è quella di finitezza, l'energia vitale di ciascuno è limitata, non si può chiedere ad alcun essere finito, fragile, vulnerabile, una responsabilità infinita, a noi è chiesta una responsabilità finita. Una buona cura è una cura giusta che risponde al bisogno dell'altro secondo la misura necessaria. La virtù prima per Aristotele consiste proprio nel trovare la giusta misura, per l'essere umano tutto quanto non ha misura è rischioso. C'è il bisogno, nell'azione di cura, di fermarsi e prendere tempo per raccogliere i propri pensieri e ritrovare la forza vitale dell'esserci. La relazione di cura ci chiede una presenza che non può essere evitata. Ciò che è da imparare è vedere il proprio egoismo per tenerlo sotto controllo. Troppa attenzione a sé impedisce il generarsi di una postura etica. La conoscenza all'altro nella sua unicità può essere considerata una forma di amore, la realtà viene rivelata sotto l'occhio paziente dell'amore. L'agire etico ha necessità di uno sguardo che sappia vedere la qualità del reale. Alla radice del senso di responsabilità sta la consapevolezza della fragilità e della vulnerabilità dell'altro, nel saper avvertire la sua debolezza ontologica. L'essere e con- esserci, non basta a sé, c'è bisogno di altri e l'altro ha bisogno di me. È lo scambio continuo di cure che rende possibile la vita. La cura è una necessità dell'esserci. Avvertire la debolezza ontologica dell'altro avrebbe il potere di fare avvertire vincolante l'assunzione di responsabilità per l'altro. La responsabilità non va però pensata solo in relazione a una situazione di difficoltà dell'altro in quanto la cura non è solo un riparare le ferite ma è anche un far fiorire le possibilità dell'essere. L'altro è percepito nelle sue possibilità, la sua bisognosità consiste nel dover ricevere da altri il supporto necessario per far fiorire le sue possibilità. A generare la disposizione ad assumersi la responsabilità di esserci per l'altro è un orientamento preciso della vita della mente: la passione per il bene. A essere decisivo è il sentirsi toccati dall'altro. Non basta un certo tipo di pensiero ontologicamente consapevole, esso dev'essere anche essenzialmente sensibile. La sensibilità è esposizione all'altro. Sentire l'altro significa provare empatia o compassione. Bisogna trovare la giusta relazione tra pensare e sentire. L'empatia è comprensione per l'altro che però non deve sfociare in un immedesimarsi con l'altro che andrebbe a deteriorare la relazione. La compassione invece emerge se alla base c'è l'idea di giustizia,c'è un pensare con il cuore, l'indignarsi per una situazione in cui l'altro si trova nell'ingiustizia, si fonda sul saper riconoscere nell'altro quel valore che lo rende sacro e sul tenere in alta considerazione il suo benessere. IN CHE SENSO OBBEDIRE ALLA REALTÀ? L'altro quando entra nel mio spazio vitale mi obbliga, per il fatto semplice di esserci a essere responsabile. C'è obbligazione alla responsabilità come risposta al bisogno di cura concreto che si sente nell'altro. Bisogna considerare che la realtà non è solo quella che la ragione riesce a captare e analizzare. Quello che percepiamo e di cui riusciamo ad avere consapevolezza non è tutto quello che accade, non esaurisce tutta la realtà: c'è dell'altro, e questo altro segue modi non razionalizzati di muovere il nostro essere. C'è una forma della responsabilità per l'altro che viene prima di ogni ragionamento costruito e che scaturisce quando ci si scopre obbligati verso l'altro prima di qualsiasi argomentazione, è un atto di obbedienza alla realtà, si fa perché si deve. Questo non significa che non ci sia un pensiero. Il pensiero c'è, radicalmente semplice. È semplice nel senso che è essenziale ed è essenziale perché sa dove sta l'essenza delle cose, queste persone sanno vedere nell'altro il bisogno. La decisione eticamente orientata non ha bisogno di raffinate retoriche. Un pensiero che si tiene là dove ne va del senso dell'esserci è guidato dalla passione per il bene dell'altro. La purezza del sentire è propria di chi si fa guidare da null'altro se non dalla ricerca di ciò che fa stare bene. La condizione estrema cui aspirare è vedere ciò che è necessario e obbedire al reale. Solo ascoltando quello che gli altri fanno e ascoltando quello che dicono si può cogliere che c'è dell'altro oltre i nostri modi di concepire la vita della mente e il nostro modo possibile di stare nel mondo. Il sentirsi responsabile diventa un principio d'essere dinamico quando si sente la passione per il bene. A imporsi sulla mente è il bisogno di bene che si sente nel suo sguardo. La ragione sensibile sa vedere la realtà e sa sentirla. Nella cura l'azione etica risponde a una necessità, obbedire al reale nella sua essenza necessaria. Stare nella necessità sapendo che lì è in gioco l'essenziale del bene. L'essenza dell'eticità sta proprio nel tenere lo sguardo sulla realtà. La virtù prima è vedere la qualità della condizione umana e a questa visione rimanere fedele. L'eticità si attualizza nell'agire con gli altri nel mondo. L'agire etico accoglie le qualità del reale e risponde alla chiamata della realtà. Non c'è solo la verità della scienza ma anche quella dell'esistenza. Particolare rilevanza va data all'avere avuto esperienza diretta del modo di agire di persone impegnate nella pratica di cura. Una buona pratica di cura è intensivamente informata dal pensare, un pensare impegnato a comprendere la fenomenicità della vita relazionale, a trovare l'azione più adeguata e a valutare criticamente l'impatto delle pratiche sull'esperienza. Il pensare trova il giusto orientamento quando cerca di tenersi nell'ordine del bene. La vita della mente che informa le pratiche di cura è quella in cui pensare e sentire vanno insieme. IN CHE SENSO PRESTARE ATTENZIONE? La ricettività dell'avere cura si esprime essenzialmente nell'attenzione, è un disporre la mente a ricevere il massimo di realtà possibile. L'attenzione consente di acquisire conoscenza della realtà. L'attenzione è dare ascolto e osservanza agli altri. Aver attenzione è avere considerazione per l'altro. L'attenzione è un gesto etico: tenere nello sguardo l'altro è la prima forma di cura. L'attenzione come gesto di cura non è un semplice guardare ma un'intensa concentrazione sull'altro. Per cogliere la qualità del vissuto l'attenzione deve essere sensibile e ricettiva. L'attenzione sensibile è attenzione della mente e del cuore. L'etica ci riguarda in ogni momento. L'attenzione sensibile è un gesto etico imprescindibile. Per vedere l'altro è necessario saper vedere l'altro, distrazione da se e concentrazione sul reale, spostare l'interessa da sé all'altro. L'attenzione che ha cura ha la sua matrice generativa non solo nel riconoscimento del valore dell'altro, ma anche nel sapere e nell'accettare che la necessità prima è la necessità di bene. Una mente capace di attenzione è una mente che si fa accogliente dell'altro. La fatica dell'attenzione si fa presente sopratutto quando la realtà su cui tenere lo sguardo è una situazione di sofferenza. IN CHE SENSO ASCOLTARE? L'ascoltare gli altri è maniera d'essere essenziale, senza ascolto non c'è comprensione. Il saper prestare ascolto risulta azione strutturante di una relazione di cura. L'ascoltare implica che l'altro prenda la parola e l'ascolto diventa azione di cura quando sa restituire all'altro la considerazione per quanto sta dicendo a noi. Ascoltando l'altro s'impara, il tempo dato all'ascolto alla fine è un tempo carico di senso anche per sé. Quando una persona parla di sé si palesa, si rivela nel suo essere proprio. Solo quando la postura della mente è aperta e riflessiva, l'ascolto diventa uno spazio aprente, che genera spazi d'incontro. Ascoltare richiede passività, richiede la capacità di fari come un vaso vuoto che sa fare posto a quello che l'altro ci vuole dire di sé. COSA SI INTENDE PER ESSERCI CON LA PAROLA? A essere importante è il gesto della parola con cui chi ha cura mostra di aver accolto il dire dell'altro e interviene con parole di comunione con l'altro. È nelle parole che si fa presente l'essenza dell'esperienza. Sorvegliare l'uso delle parole è un imperativo etico della pratica di cura. La parola che cura dev'essere semplice, senza orpelli retorici, una parola che sta nell'ordine della verità. La parola che cura è una parola che apre gli spazi dell'esserci risultando allo stesso tempo realistica, franca. C'è una relazione intima fra il bene e la verità. Una buona cura pretende sincerità e franchezza. Pronunciare parole con delicatezza significa aver cura che il peso di quello che si dice possa essere accolto da chi ascolta ed entrare dentro un processo trasformativo del sé. Il momento della presa di parola da parte di chi ha cura deve avvenire con il massimo di riguardo e delicatezza. Una parola che comunica rispetto per l'altro è una parola leggera, che non pretende di dire tutto ma sa tenersi discreta. La parola che cura è quella capace di dare corpo a un discorso ospitale. La disponibilità pura è lasciare che l'altro ci interpelli a partire da sé. COSA SI INTENDE PER COMPRENDERE? La comprensione dell'essere dell'esserci non ha come riferimento un punto io isolato, ma un ente che è sempre un con esserci nel mondo. È il rivolgersi all'altro secondo l'intenzione di comprenderlo che rende possibile la relazione. Comprendere l'altro significa comprendere l'insieme delle possibilità in cui l'essere diviene esistente. Capire ci di cui l'altro ha necessità vitale significa mettersi in contatto con il centro della sua realtà esistenziale. Il comprendere consiste nella conoscenza della condizione dell'essere. Non sempre l'altro si sente di poter rivelarsi. Una buona conoscenza si fonda su un'onesta visione delle cose. La mente è capace di obbedienza alla realtà. È una conoscenza incapace di fedeltà al profilo originale dell'altro pregiudica la possibilità di una comprensione adeguata. Il processo di comprensione degli altri come di sé stessi, non può mai ritenersi concluso. Gli esseri umani sono e restano oscuri gli uni agli altri. IN CHE SENSO SENTIRE CON L'ALTRO? Non c'è comprensione se non c'è la capacità di sentire il sentire dell'altro. Non c'è comprensione in un atteggiamento emotivo neutro. L'atto del comprendere è sempre emozionalmente situato. Sentire è avere sensibilità per l'altro. La sensibilità è lasciarsi mettere in causa dall'alterità dell'altro. Per agire con cura è indispensabile e sentire il sentire dell'altro è empatia, cioè la capacità di cogliere l'esperienza vissuta estranea. Essere empaticamente presenti comporta entrare in uno stato di risonanza emotiva con l'altro, quella risonanza che mette l'altro nelle condizioni di sentirsi sentito. L'esperienza empatica è pensare con il cuore, si lascia toccare dall'essere dell'altro. L'empatia può dunque definirsi come la capacità di sentire il sentire dell'altro nelle sue differenze e nelle sua sfumature. La compassione è sentire l'ingiustizia del dolore dell'altro. Inoltre genera compassione il valutare che un male giunga in luogo di un bene. Alla radice della capacità di compassione c'è il lasciarsi toccare dalla sofferenza dell'altro. Sono capace di cura quando avverto l'appello dell'altro ad aver cura di lui. Una buona cura accade nella giusta misura, mentre dannosi sono il difetto e l'eccesso. COSA SI INTENDE PER ESSERCI IN UNA DISTANTE PROSSIMITÀ? Avere cura significa rispondere positivamente ai bisogni dell'altro, uno di questi bisogni è essere protetti da possibili situazioni rischiose. A predisporre le condizioni affinché l'altro non arrivi a danneggiare sé stesso, la cura ha una funzione preventiva. Bisogna capire in quali situazioni e in quale misura chi ha cura può e deve intervenire circa le decisioni che l'altro prende per sé. Certe azioni normalmente definite di cura possono essere dannose. Bisogna tenersi sui margini per esserci con discrezione. La responsività non va confusa con il sostituirsi all'altro, ma va intesa come il rendersi disponibili a mettere in atto tutti quei dispositivi emotivi, cognitivi, pratici che mettono l'altro nelle condizioni di occuparsi di sé. Trovare la giusta misura della cura è il difficile dell'agire educativo. Una buona interpretazione della pratica di cura è quella che aiuta gli altri a divenire consapevoli e liberi per la propria cura. IN CHE SENSO CON DELICATEZZA E CON FERMEZZA? Definire il lavoro di cura come un fare che tratta che tratta con altri che si trovano in una situazione di dipendenza consente di sottolineare la problematicità relazionale ed etica del lavoro di cura. Proprio perché chi chiede cura è vulnerabile, trattare con l'altro richiede tatto, delicatezza. Agire l'altro senza mai dominarlo. Agire secondo il principio della delicatezza è perdere tempo per trovare la parola giusta. Il rispetto di misura anche nella ricerca di una parola viva e non consumata. Non bisogna mai abbandonare l'altro ma cercare soluzioni di cura diverse. Sapersi posizionare con fermezza, a partire da una lucida analisi della situazione, richiede un lavoro di cura di sé che sciolga il proprio pensare da inutili sensi di colpa e tenga invece sempre la mente alla ricerca della giusta misura del proprio agire con cura. È importante che chi ha cura sappia lavorare su di sé. IN CHE SENSO LA CURA È FATICOSA? Il lavoro di cura è faticoso. Chiede molte energie cognitive, emotive e in certi casi fisiche e organizzative. La cura chiede di operare in un contesto di grande incertezza. Non c'è cura se non c'è sensibilità al sentire dell'altro. Per sostenere la fatica del lavoro di cura è necessaria una forma di riconoscimento. C'è riconoscimento quando l'altro mostra di accettare positivamente il nostro agire, con le parole o con i gesti. Persistere in una relazione di cura senza riconoscimento è difficile e richiede a chi ha cura un forte lavoro su di sé. Nell'azione di cura non è possibile acquisire un controllo completo. La responsabilità dell'aver cura è dunque una postura che occupa intensamente la vita cognitiva ed emotiva. Nel caso in cui non si raggiunga l'esito atteso, si può essere perdonati. Chi ha cura deve assumere su di sé tutta la responsabilità dell'agire e questa responsabilità radicale fa sentire soli di fronte alle decisioni e soli di fronte all'esito del proprio agire. L'aver cura di una persone è sempre un azzardo. Chi agisce opera in una condizione di incertezza. Mantenersi nella responsabilità della cura è dunque difficile: difficile perché non si controlla l'azione, perché non si può sempre essere perdonati, perché può accadere di non trovare riconoscimento. Bisogna cercare la passione per il bene. A farci stare nel mondo è il desiderio di bene. Chi ha buone pratiche di cura non ha nessuna teoria generale da imporre. La cura è una cura di un'altra persona precisa, in quel preciso momento. Noi viviamo nel tempo e l'anima si nutre di istanti di bene.