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G. Geraci, A. Marcone Storia romana, Schemi e mappe concettuali di Storia Romana

Nella penisola italiana si assiste, dal III al I millennio a.C. a uno sviluppo di notevoli proporzioni. Tra l’età del bronzo medio e la prima età del ferro si passa da una situazione caratterizzata da gruppi di persone di piccole dimensioni al sorgere di forme piu’ complesse di organizzazione

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 03/11/2022

NottoladiMinerva95
NottoladiMinerva95 🇮🇹

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Scarica G. Geraci, A. Marcone Storia romana e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Romana solo su Docsity! G. Geraci, A. Marcone Storia romana Parte prima I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma L’Italia preromana 1. L’Italia dell’eta’ del bronzo e l’eta’ del ferro Nella penisola italiana si assiste, dal III al I millennio a.C. a uno sviluppo di notevoli proporzioni. Tra l’età del bronzo medio e la prima età del ferro si passa da una situazione caratterizzata da gruppi di persone di piccole dimensioni al sorgere di forme piu’ complesse di organizzazione. L’Italia nell’età di bronzo registra un incremento demografico molto importante. E’ documentata anche un’intensa circolazione di prodotti e di persone. Tali contatti, favorirono direttamente o indirettamente, il formarsi tra le popolazioni indigene di aggregazioni piu’ consistenti. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro differenziato di culture locali. Un primo criterio di differenziazione concerne le modalità di sepoltura. Nell’eta0 del ferro in Italia esistono due gruppi di popolazioni che praticavano riti diversi: - cremazione (praticata nell’Italia settentrionale e lungo la costa tirrenica sino alla Campania) - inumazione (nelle restanti regioni). La diversità delle culture presenti in Italia all’inizio del primo millennio a.C ha un riscontro importante in un quadro linguistico assai variegato, riconducibile all’arrivo nella penisola di gruppi etnici di varia provenienza. Queste lingue si possono ricondurre a due grandi famiglie: -Indoeuropee: in un primo luogo il latino e il falisco (Lazio). All’interno poi di un gruppo detto Italico si distinguono tre diversi sottogruppi contraddistinti da varianti dialettali: uno umbro-sabino nel Centro- Nord comprendente la Sabina, l’Umbria e il Piceno; uno osco nel Centro Sud comprendente Sanniti, Lucani e Bretti; e un terzo, assai meno noto riferibile agli Enotria e ai siculi. Indoeuropei erano anche il celtico (pianura padana) e il messapico (puglia meridionale). La principale lingua non indoeuropea parlata in Italia è l’etrusco (toscana). Non indoeuropee sono anche il retico (alta valle dell’Adige) e il sardo. Nel quadro delle culture italiche un posto a parte ha la civiltà dei Sardi che si sviluppò in Sardegna tra l’età del bronzo e quella del ferro. E’ nota con il nome di civiltà nuragica dalla costruzione tipica che la caratterizza, il ‘’nuraghe’’, una torre a forma di tronco di cono che probabilmente aveva una funzione difensiva. 2. I primi frequentatori dell’Italia Meridionale All’origine del popolamento, i dati archeologici lasciano presupporre una cultura del meridione della penisola italica dai tratti indigeni. A partire dal V sec. però inizia la frequentazione commerciale delle coste del meridione italico da parte di genti provenienti da oriente. Dopo un’interruzione di quasi quattro secoli legata alla crisi del mondo miceneo, in cui gli scambi con il Mediterraneo orientale si erano ridotti a pochi prodotti come ferro e ceramica, in Grecia riprendono gli scambi con le coste calabresi verso il VIII secolo a.C. Questa ripresa delle importazioni preannuncia una svolta nell’interesse dei Greci per l’Italia meridionale che si tradurrà in una grande impresa di colonizzazione volta alla conquista. 3. Le trasformazioni dell’Italia Centrale Tra il VIII e il V secolo a.C si assiste ad un grande fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appenino centro- meridionale. E’ un fenomeno che conosciamo meglio per quanto riguarda il versante tirrenico, con i Sabini che si intromettono nella Roma dei Latini. Questo movimento ha il suo apice tra il V e il IV sec con l’espansionismo dei Sanniti. Sul versante adriatico una civiltà importante è quella picena. In Abruzzo si formano insediamenti di notevoli dimensioni, che superano anche i 10 ettari. Le prime testimonianze scritte lasciano intravedere un’organizzazione sociale articolata secondo gruppi etnici con alla testa principi e re. 3.1 Le origini di Roma 3. ROMA L’archeologia ha confermato l’importanza dell’influenza greca e orientale su Roma e sul Lazio. Essa si manifesta molto presto a partire dall’VIII secolo a.C. 3.2 Le fonti letterarie Le testimonianze delle fonti letterarie, rappresentano il primo blocco di informazioni con cui ci si deve confrontare per ricostruire la storia di Roma arcaica. Si tratta di opere che risalgono ad epoche molto posteriori agli eventi narrati e nelle quali hanno largo spazio elementi leggendari. I primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci. E in greco scrissero anche i primi storici romani. I primi storici di cui possiamo leggere tuttora, in forma piu’ o meno completa, le narrazioni su Roma arcaica vissero nel I secolo a.C. Tito Livio scrisse una grande storia di Roma dalla sua fondazione in ben 142 libri. Il primo libro dedicato alla Roma monarchica. Molto importante è anche lo storico greco Dionigi che scrisse Antichità romane, in 20 libri, coprendo il periodo che andava dalla fondazione di Roma allo scoppio della prima guerra punica. Roma fino alla metà del IV sec. a.C. nessun interesse particolare da parte della storiografia greca. Solo a partire da quest’epoca a fronte dell’emergere della potenza romana, ci si preoccupò di organizzare le informazioni disponibili. Lo scopo principale è quello di dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica. La versione piu’ nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Nel primo libro dell’Eneide, il poeta latino Virgilio, si ispira a questa tradizione: Alba Longa è fondata dal figlio di Enea, Ascanio e la città prenderà il nome della moglie Lavinia. Virgilio mette anche in relazione il nome di Alba Longa con il prodigio della scrofa bianca (alba) che dando alla luce trenta porcellini, indica ai Troiani il numero di anni che devono trascorrere per la fondazione della nuova città. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, è figlio addirittura di Marte, il dio della guerra e di Rea Silvia che a sua volta è figlia di Numitore, l’ultimo re di Alba Longa privato del trono dal fratello piu’ giovane Amulio. 3.3 I sette re di Roma La tradizione fissa in modo preciso il periodo monarchico della storia di Roma dal 754 al 509 a.C. anno dell’istaurazione della Repubblica. In questo periodo su Roma avrebbero regnato sette re, secondo questa successione: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. A Romolo viene attribuita la creazione delle prime istituzioni politiche tra cui un senato di cento membri; a Numa Pompilio si assegnano i prii istituti religiosi; a Tullo Ostilio le campagne militari di conquista; a Anco Marcio la fondazione della colonia di Ostia. Nella tradizione, il regno di Tarquinio Prisco segna una seconda fase della monarchia romana, nella quale gioca un ruolo importante la componente etrusca. A Prisco sono attribuite importanti opere pubbliche mentre a Servio Tullio si fa risalire la costruzione delle prime mura della città e soprattutto l’istituzione della piu’ importante assemblea elettorale romana, i comizi centuriati. Tarquinio il Superbo, l’ultimo sovrano della serie, assume i tratti tipici del tiranno che infligge ai cittadini ogni tipo di vessazione. Le fonti sul quale si basavano per i loro racconti: 1. Altre opere storiche per noi perdute. Questi storici sono noti con il nome di annlisti perché hanno organizzato il materiale in ordine cronologico secondo una successione anno per nno. Il primo romano a narrare la storia di Roma è stato Fabio Pittore (scrisse però in greco). Il primo a scrivere in latino fu Catone il Censore. 2. La tradizione familiare. La struttura della società romana era dominata dalla competizione tra le principali famiglie dell’aristocrazia di governo. Ciascuna cercava di accreditare il proprio titolo di superiorità sulle altre celebrando le glorie degli antenati. Una delle forme con le quali la storia familiare veniva celebrata è riconducibile all’uso di pronunciare elogi dei defunti in occasione di cerimonie funebri. 3. La tradizione orale. La struttura di parecchie leggende legate all’origine di Roma ha caratteristiche tali da rendere credibile che siano tramandate oralmente di generazione in generazione. La tradizione orale è però soggetta a forti distorsioni. Come canale di trasmissione sono stati indicati canti celebrativi delle imprese dei personaggi illustri che recitavano durante i banchetti. 4. Documenti d’archivio. I primi storici di Roma hanno in comune una medesima struttura narrativa che consiste nel menzionare per ogni anno i nomi dei magistrati principali e degli eventi ritenuti degni di nota. Tra queste possibili fonti quella che gode di maggiore credito sono gli Annali dei pontefici, ovvero la registrazione degli avvenimenti fondamentali, tenuta anno per anno dall’autorità religiosa di Roma (pontefice massimo). 3.4 La storiografia moderna Il compito degli storici moderni è costituito nel sottoporre ad un esame critico i dati della tradizione, molti dei quali difficilmente accettabili. Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni di diverso tipo sulle origini di Roma: una greca che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea ed una indigena nella quale Romolo rappresentava un mitico fondatore autoctono. 3.5 La fondazione di Roma La nascita della città dovette essere piuttosto il risultato di un graduale processo formativo lento e graduale per il quale si deve presupporre una sorta di federazione di comunità separate che gia’ vivevano sparse sui singoli colli. Le vicende delle origini di Roma si comprendono meglio se si tiene conto che essa sorgeva a ridosso del basso corso del Tevere, in una posizione di confine tra due aree etnicamente differenti che erano separate proprio dal corso di quel fiume: la zona etrusca e il Lazio antico formavano una regione molto piu’ piccola di quella del Lazio attuale. Nel periodo in cui si colloca la formazione di Roma come città, le varie differenze tra i popoli abitanti tali aree, cioè Etruschi e Latini, era già nettamente definita. Sembra improbabile che Roma abbia preso nome da un fondatore Romolo: è molto piu’ probabile il contrario, cioè che l’esistenza di una città chiamata Roma fece immaginare che fosse stata fondata da Romolo. Tra le possibili derivazioni di questo nome c’è quello della parola RUMA (mammella, nel senso di collina) oppure da RUMON termine latino che designava il Tevere. 3.6 Il ‘’muro di Romolo’’ Ogni ricostruzione relativa alle origini di Roma deve essere considerata provvisoria. Negli ultimi scavi condotti sulle pendici meridionali del Palatino hanno portato alla luce i resti di una palazzata da cui si vede una linea dell’originario solco di confine detto POMERIO, chiamato ‘’muro di Romolo’’ che confermerebbe il racconto tradizionale. 3.7 Il pomerio e i riti di fondazione Il pomerio era in origine la linea sacra che delimitava il perimetro in corrispondenza con le mura. In un secondo tempo il nome servì a designare anche una zona di rispetto che separava le case dalle mura stesse dove non era permesso né seppellire né piantare alberi. L’area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno a seguito di una cerimonia religiosa tenuta dal pontefice massimo. In caso di ampliamento i vecchi cippi venivano conservati. Un’antica disposizione prevedeva che per estendere l’area del pomerio fosse necessario aumentare la superficie dello stato romano con un nuovo territorio tolto al nemico. 3.8 Lo stato romano arcaico Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie alla cui testa stava il pater, figura depositaria di un potere assoluto su tutti i suoi componenti, compresi schiavi e clienti. Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens. La popolazione dello stato romano arcaico era diviso in gruppi religiosi e militari detti ‘’curie’’: comprendevano tutti gli abitanti del territorio ad esclusione degli schiavi. Con Romolo si pensa siano state create anche le tribu’. Originariamente: Tities, Ramnes e Luceres. In epoca tarda invece ogni tribu’ fu divisa in dieci curie e da ogni tribu’ furono 3.15 Tradizione orale e storiografica Le tradizioni orali variano a seconda degli usi e dell’ambiente sociale che le conserva, le elabora e le trasmette: le tradizioni gentilizie, relative alla gens, sono molto differenti da quelle appartenenti agli strati popolari. A loro volta, formule, materiali giuridici e contenuti legislativi hanno avuto un loro impiego e una loro vita indipendente, estranea alla tradizione storica vera e propria. Un buon numero di dati relativi a eventi storici deve essere stato trasmesso nell’ambito delle famiglie nobili; essi sono riconducibili alla lista dei consoli. Gli antichi stessi erano peraltro consapevoli del rischio della deformazione inerente a una tale forma di trasmissione. Tuttavia un limite alla possibile falsificazione era costituito dal controllo del gruppo sociale. A Roma la letteratura, la storiografia e il dramma ebbero origine nella seconda metà del III secolo a.C. Solo a partire da allora ci furono testi scritti che poterono sopravvivere per essere consultati molto tempo dopo l’occasione che era stata alla base della loro redazione. Il fondatore della moderna storiografia su Roma arcaica, Niebuhr, all’inizio del XIX secolo elaborò una nota teoria secondo la quale le leggende e le tradizioni di Roma arcaica erano state create nei canti recitati ai banchetti, i cosiddetti carmina convivalia. Questi nel II secolo erano noti a una personalità politica e letteraria come Catone. E’ dunque ipotizzabile l’esistenza di una sorta di corpus di poesia eroica tradizionale che successivamente sarebbe andato perduto. Appare possibile che canti, storie ripetute in banchetti possano aver contribuito a creare la memoria comune del gruppo, basata sulla celebrazione dei grandi fatti dei suoi membri passati e presenti. 3.16 Un esempio di elaborazione storiografica: Servio Tullio La figura di Servio Tullio ha un risalto del tutto particolare nella tradizione sui re di Roma. Questo sovrano opera tali trasformazioni nella città, sia a livello monumentale sia a livello politico istituzionale da poter essere considerato quasi un rifondatore. L’organizzazione centuriata che implicava la valutazione economica e numerica della popolazione poneva Servio in stretto rapporto con la moneta che di tale valutazione era alla base. Questa operazione è descritta con abbondanza di particolari nella storiografia perché era decisiva per introdurre quella diversità tra cittadini per distinguerli secondo gli ordini. Essa segnava la fine della parità caratteristica dei comizi curiati voluta da Romolo che aveva dato il voto a testa a tutti con la stessa forza senza distinzione. 3.17 La famiglia La notazione di famiglia romana comprendeva un raggruppamento sociale assai piu’ ampio di quello che siamo abituati ad intendere oggi. Facevano parte di una stessa famiglia, tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di uno stesso capofamiglia, il pater familias, al quale spettava anche il controllo sui beni. Si può dire che il vincolo di fondo della famiglia romana non fosse rappresentato dai legami contratti con il matrimonio, ma piuttosto dal potere (potestas) esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità. Di una stessa famiglia facevano parte non solo i figli generati dal matrimonio del capofamiglia ma anche tutti quelli che, adottati, sceglievano di sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma piu’ antica la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una società prestatale: era infatti un’unità economica, religiosa e politica. Il fine principale era quello della propria perpetuazione. In età arcaica il primo diritto di un padre rispetto ai figli era quello di rifiutarli al momento della nascita. Pesino i figli legittimi entravano a far parte della famiglia solo mediante un atto formale. Il loro accoglimento o rifiuto veniva palesato dal padre con dei gesti pubblici come il prendere i maschi tra le braccia o il dare ordine alla moglie di allattare le femmine. Tra i vincoli fondamentali della famiglia romana c’era quello religioso. I riti familiari si trasmettevano originariamente di padre in figlio e la loro osservanza era ritenuta assolutamente doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes (le anime dei defunti) oggetto di culto all’interno alla famiglia romana. Un aspetto particolare del diritto romano prevedeva che almeno un figlio rimanesse sotto l’autorità del padre sino a quando questi era in vita. Tra i diritti che competevano al pater c’era anche quello di diseredare i figli. Per salvaguardare il principio si arrivò a concedere che, in alcuni casi, per tutelare i figli legittimi, fosse possibile annullare il testamento. 3.18 La donna Il ruolo della donna aristocratica che riceveva un’educazione intellettuale che poteva spaziare dalla letteratura alle arti della musica e della danza non si esauriva nella sola vita domestica, con la sorveglianza del lavoro delle schiave e lo svolgimento di lavori piu’ fini, quali il ricamo o la tessitura. La moglie accompagnava il marito nella vita pubblica e condivideva con lui il compito dell’educazione dei figli. L’autorità nella casa e ancor piu’ nella società rimase però sempre e soltanto quella del marito. Il marito ha pieno potere sulla donna: la può punire se ha commesso qualche mancanza e addirittura ucciderla in caso di flagrante adulterio. La rigida tutela della castità femminile spiega anche la severita’ con la quale venivano giudicati i comportamenti poco consoni a quel costume di riservatezza e di sobrietà che una donna bene educata doveva osservare. I romani si sposavano presto. La legge proibiva comunque che le ragazze prendessero marito prima di aver raggiunto i dodici anni. Toccava al padre cercare uno sposo per le figlie che spesso venivano promesse in matrimonio ancora bambine: questo avveniva con un’apposita cerimonia di fidanzamento, detta Sponsalia, accompagnata da una serie di riti. Data la concezione romana del matrimonio, la felicità di una sposa era in gran parte subordinata alla sua capacità di avere figli: per le donne sterili il destino era quasi sempre il ripudio, con il conseguente ritorno alla casa paterna. Il matrimonio era fondamentalmente un’istituzione privata. Esistevano forme diverse per contrarre un matrimonio: - confarreatio cioè la divisione di una focaccia di farro tra i due sposi - mancipatio una sorta di atto di compra vendita Il sistema piu’ comune per sposarsi a Roma era però quello chiamato usus, cioè l’ininterrotta convivenza dei coniugi per un anno. Non esisteva un atto formale, cosi come per il divorzio. 3.19 Agricoltura ed alimentazione La riorganizzazione dell’economia pastorale è uno dei caratteri fondamentali delle trasformazioni dell’Italia nella prima età del ferro. Questo processo implica il passaggio da un regime di seminomadismo, ad uno di regolare trasferimento del bestiame in altura con modalità e in spazi meglio definiti. L’agricoltura di Roma arcaica era limitata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, cui si aggiungeva negativamente la bassa qualità delle tecniche agricole. Il cereale maggiormente coltivato era il farro che veniva macinato solo dopo che era stato abbrustolito e battuto. La farina di farro non sembra essere stata impiegata per la panificazione ma era alla base del tipico piatto romano ‘’puls’’, piatto liquido o semi liquido a metà tra un pappa e una farinata e può considerarsi l’antenato della nostra polenta. Per Roma arcaica si può parlare di un contesto economico nel quale allevamento e agricoltura sono compresenti secondo caratteristiche specifiche dovute alle particolari condizioni del territorio. L’associazione di agricoltura di sussistenza e di allevamento di bestiame grande e piccolo va intesa all’interno di un rapporto di interdipendenza. Le due attività dovevano essere complementari: il bestiame serviva a produrre il concime indispensabile per i terreni nel periodo in cui essi non erano lavorati e gli animali da tiro servivano per aiutare l’uomo nel lavoro. 3.20 La proprietà della terra in Roma arcaica La prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante mentre da essa era esclusa la terra arabile e quella a pascolo. Oltre al termine Heredia nelle fonti ne compare anche un altro, sors. Questo si applica altrettanto bene alla nozione di proprietà trasmissibile per via ereditaria. La complementarietà tra piccola proprietà individuale e forme di appropriazione collettiva della terra risale, alle condizioni ambientali delle aree appenniniche e subappenniniche in contesti prevalentemente silvo pastorali. I primi due secoli della repubblica romana conobbero un sostanziale assestamento interno che fu progressivamente modificato quando a partire dal IV secolo iniziarono le assegnazioni di terreno conquistato mentre si sviluppavano le attività artigianali e commerciali. 3.21 L’ideologia ‘’indoeuropea’’ nei racconti sulle origini di Roma ‘’Indoeuropei’’ è una denominazione convenzionale di una popolazione vissuta in un’epoca molto remota, in una regione che in genere si colloca nella grande pianura russa. Per ragioni ignote, tra il III e II millennio questi Indoeuropei si spostarono in varie direzioni, allontanandosi piu’ o meno dalle loro sedi originarie. In genere imposero la loro lingua ai popoli conquistati, ma ne adottarono la scrittura. Sono cosi almeno in parte La storia della violenza subita da Lucrezia sia autentica o frutto della fantasia non spiega comunque i motivi profondi della caduta del regime monarchico a Roma. Probabilmente la fine della Repubblica è da attribuire ad una rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato i suoi caratteri autocratici. Alcuni elementi lasciano pensare che alla cacciata di Tarquinio il Superbo sia succeduto un breve, ma confuso periodo, in cui Roma appare in balia di re e condottieri. 4. La data della creazione della Repubblica Alcuni elementi inducono a ritenere che la datazione tradizionale della creazione della Repubblica, seppur non esatta all’anno, non sia del tutto lontana dalla verità (470-450 a.C). 5. I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti La tradizione storiografica antica è concorde nell’affermare che i poteri di un tempo proprio del re sarebbero passati immediatamente e in blocco a due consules, o meglio, praetores, come si sarebbero inizialmente chiamati i massimi magistrati della Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava dunque il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine all’interno delle città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento. Solo alcune delle competenze religiose dei precedenti monarchi non sarebbero state trasferite ai consoli ma ad un sacerdote di nuova istituzione nel cui nome di rex sacrorum ‘’re delle cose sacre’’, si conservò il ricordo dell’istituto monarchico; la valenza esclusivamente religiosa del nuovo sacerdozio venne sottolineata dal fatto che il rex sacrorum non poteva rivestire cariche di natura politica, ben presto vennero affiancandosi altri sacerdozi di maggior peso politico come i pontefici e gli ‘auguri. Nella sfera religiosa rimase comunque sempre di competenza dei consoli il controllo sugli auspici, il potere cioè di interpretare la volonta’ degli dei riguardo le decisioni piu’ importanti della vita pubblica. I poteri autocratici di cui erano dotati i due consoli erano tuttavia sottoposti ad alcuni importanti limiti: - la durata della loro carica limitata ad un anno - ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualore la giudicasse dannosa per lo stato - possibilita’ per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblee popolare contro le condanne capitali inflitte dal console (provocatio ad populum). 6. Le altre magistrature Le crescenti esigenze dello stato indussero alla progressiva creazione di nuove magistrature che sollevassero i consoli da alcune loro competenze. Questori originariamente due, assistevano i consoli sella sfera delle attività finanziarie. Quaestores parricidii istruivano i processi per delitti di sangue che coinvolgessero i parenti. Duoviri perduellionis collegio competente circa il reato di alto tradimento. Censori dal 443 a.C. hanno il compito di tenere il censimento + in seguito anche la redazione delle liste dei membri del senato; da tale competenza si sviluppò una generale supervisione della condotta morale dei cittadini, la cura morum, che conferiva ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. Non erano soggetti all’annualità, durava 18 mesi la carica. 7. La dittatura In caso di necessità, i supremi poteri della Repubblica erano affidati ad un dittatore; il dictator non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato.Egli non era affiancato da colleghi, ma da un magister equitum da lui personalmente scelto e a lui subordinato; contro il suo volere non valeva l’appello al popolo l’opposizione del veto da parte dei tribuni della plebe.Aveva durata massima di sei mesi e era nominato perlopiù a fronte di crisi militari, cosa che si può intuire dall’originario nome: magister populi – “comandante dell’esercito”. 8. I sacerdozi e la sfera religiosa A Roma spesso la medesima persona rivestiva contemporaneamente una magistratura e il sacerdozio, ma costituiscono un eccezione in questo senso i flamini: non propriamente sacerdoti di alcune divinità, ma la personificazione terrena di esse, specie le prime tre supreme, di Giove, Marte e Quirino – rappresentate dai flamini Dialis, Martialis, e Quirinalis. Dodici flamini inferiori erano addetti ad altrettante divinità. Al flaminato era connessa una serie di tabù religiosi, limitarono il loro diritto a rivestire cariche politiche o addirittura ad allontanarsi da Roma. I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che superavano la sfera culturale e coinvolgevano la politica, essi erano: Il collegio dei pontefici guidato da un pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa dello Stato + aveva controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche e sul calendario. Il collegio degli àuguri assistevano i magistrati nella funzione di trarre auspici e interpretare la volontà divina, affinché un atto pubblico potesse essere considerato valido. I duoviri sacris faciundis custodivano i Libri Sibillini, un’antica raccolta di oracoli, in greco, che nella tradizione tardorepubblicana erano connessi con la Sibilla di Cuma. Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si ricordano gli aruspici al pari degli àuguri, chiarivano la volontà divina mediante l’esame delle viscere delle vittime sacrificali; i feziali, anch’essi riuniti in un collegio, essi dichiaravano guerra, attenendosi al complesso cerimoniale previsto per assicurare a Roma il favore degli dèi nel conflitto; l’espressione bellum iustum ha il senso di guerra dichiarata secondo le corrette formalità. Potevano inoltre trasmettere richieste di riparazioni o ultimatum nella conclusione di un trattato. 9. Il senato Il vecchio consiglio regio, formato da capi di famigli nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia, diventando il perno della Repubblica a guida patrizia. Il principale strumento istituzionale in mano al senato per influire sulla vita politica era l’auctoritas patrum (diritto di sanzione).La carica durava tutta la vita, potevano dispiegare la loro politica in continuità d’azione dal momento che il senato era composto da ex magistrati, questi non avevano interesse ad agire i contrasto con l’assemblea di cui stavano per entrare a far parte. Nel senato trova espressione compiuta e continuativa la leadership politica delle élite sociale ed economica di Roma. Ancora oggi possiamo assistere ad un acceso dibattito circa le prime origini di Roma, ma in ogni caso, le testimonianze delle fonti letterarie, specie quelle storiografiche, rappresentano il primo e fondamentale blocco di informazioni, e i primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci. La tradizione orale deve aver assunto una posizione di rilievo nella trasmissione dei ricordi storici, non abbiamo infatti testimonianza di storiografia, né di archivi familiari durante tutto il periodo regio. La versione più nota e diffusa della leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Virgilio s’ispira a questa tradizione, Alba Longa viene fondata dal figlio di Enea, Ascanio/Iulo, trent’anni dopo la fondazione di Lavinium, città cui il padre da il nome della moglie. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, sarebbe figlio di Marte, dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia di Numitore, ultimo re di Alba Longa, privato del trono dal fratello Amulio. Sembra oggi accertato che nel racconto tradizionale devono essere state fuse due versioni sulle origini di Roma: una greca, che ricollegava la fondazione della città alla leggenda di Enea, ed una indigena, nella quale Romolo rappresentava un mitico fondatore autoctono. La tradizione fissa il periodo monastico dal 754 al 509 a.C. anno di instaurazione della Repubblica. In questo periodo avrebbero regnato sette re, Romolo – Numa Pompilio – Tullo Ostilio – Anco Marcio – Tarquinio Prisco – Servio Tullio – Tarquinio il Superbo. La popolazione dello stato romano arcaico era suddivisa in gruppi religiosi e militari detti curie, esse comprendevano tutti gli abitanti del territorio, ad esclusione degli schiavi; praticavano i propri riti religiosi ed erano il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, dei comizi curiati. Altro importante raggruppamento sono le tribù, la cui creazione fu attribuita allo stesso Romolo: originariamente erano tre, Tities – Ramnes – Luceres, nomi che rimandano ad una possibile origine etrusca. Lo Stato romano, con il dominio etrusco, si organizzò secondo precisi criteri: ogni tribù venne divisa in dieci (10) curie e da ogni tribù furono scelti cento (100) senatori; su questo modello si organizzò anche la dimensione militare: ogni tribù era tenuta infatti a fornire un contingente di cavalleria (100 uomini) e uno di fanteria (1000 uomini). La componente fondamentale dell’esercito, la legione, risultava composta da tremila fanti e da trecento cavalieri (detti celeres). La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva, l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentati delle famiglie più in vista. Il re poi doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un consiglio di anziani composto dai capi di quelle più nobili e ricche (detti patres), essi rappresentavano il nucleo di quello che sarebbe diventato il senato. Esisteva un sacerdote col nome di rex sacrorum, avente il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re; vi era poi un magistrato, indicato col termine interrex, che subentrava nel caso di indisponibilità di ambo i consoli. Il re era anche il supremo capo religioso, nella celebrazione del culto era affiancato dai collegi di sacerdoti, tra cui di particolare rilievo il ruolo dei pontefici, depositari e interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla redazione di un corpus di leggi scritte. Il collegio degli àuguri aveva il compito di interpretare la volontà divina al fine di propiziarsela, per il felice esito di un’impresa; quello delle vestali aveva il compito di custodire il fuoco sacro che ardeva perpetuo nel tempio della dea Vesta, erano donne votate ad una castità trentennale. La divisione sociale alla base della Roma arcaica, che rimarrà viva per quasi tutta la storia della Repubblica, è quella tra patrizi e plebei; per tradizione i primi erano discendenti dei antichi senatori (patres), mentre i plebei si ipotizza fossero i clienti dei patroni patrizi; o alcuni riconoscono nei patrizi Latini gli abitanti del Palatino e nei plebei i Sabini insediati sul Quirinale, entrati nella comunità civica in condizione di inferiorità; o ancora, si può mettere in primo piano il fattore economico. 10. La cittadinanza e le assemblee Terzo pilastro dopo le magistrature e il senato, sul quale sorge l’edificio istituzionale di Roma, erano le assemblee popolari. Riservate ai maschi adulti di condizione libera e con diritto di cittadinanza; e si era cittadini romani per diritto di nascita, in quanto figli legitimi di padre in possesso della piena cittadinanza. La più antica assemblea erano i comizi curiati, ma progressivamente persero significato; la loro funzione più importante di conferire potere ai magistrati si ridusse a una formalità. L’assemblea più importante di Roma, nella prima età repubblicana, è costituita dai comizi centuriati, fondati su una ripartizione della cittadinanza in classi di censo, e all’interno di queste in centurie. Questo meccanismo prevedeva che le risoluzioni venissero prese non a maggioranza dei voti individuali, ma a maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie, assicurando un vantaggio all’elemento più facoltoso e anziano della cittadinanza. La funzione precipua dell’assemblea centuriata era quella elettorale, cui spettava l’elezione dei consoli e degli altri magistrati superiori. Terza e ultima per data di creazione, tra le assemblee in cui si riunivano i cittadini erano i comizi tributi, cui venne affidata l’elezione dei questori. In tali assemblee si votava secondo la divisione in tribù , eleggevano i magistrati minori, ma soprattutto avevano funzione legislativa. Avevano però diverse limitazioni: le assemblee comunque non godevano di autonomia, né di convocarsi, né di assumere iniziative: spettava ai magistrati indire l’adunanza cui sottoporre la legge da votare o respingere, ma non modificare. Magistratu ra Data di creazione Età minima Numero Durata Elezione Poteri principali Dittatura 501 a.C. 1 (con magister equitum) Massi mo di 6 mesi Un console, un pretore o un interré Poteri supremi, esercitati soprattutto nella sfera militare. Censura 443 a.C. 44 anni 2 18 mesi Comizi centuriati Redazione censimento + compilazione delle liste senatorie + cura morum. Consolato 509 a.C. 42 anni 2 1 anno Comizi centuriati Comando dell’esercito + comandi provinciali + convocazione del Senato e dei comizi + controllo degli auspici. Pretura 366 a.C. 39 anni 1 (urbano) + 1 (peregrino) + 4 provinciali 1 anno Comi zi centu riati Comando dell’ esercito + comandi provinciali + convocazione del Senato e dei comizi. Edilità Curule 366 a.C. 36 anni 2 1 anno Comizi tributi Organizzazione dei Ludi Maximi. Edilità Plebea 496 a.C. 36 anni 2 1 anno Concilia plebis tributa Archivisti e tesorieri della Plebe + cura dei mercati, approvvigionamen ti, strade, templi ed edifici pubblici. Tribunato della plebe 496 a.C. 2 poi 10 1 anno Concilia plebis tributa Ius auxilii e ius intercessionis + convocazione dei concilia plebis tributa. Questura 509 a.C. 30 anni 2 1 anno Consoli, poi Comizi tributi Competenze finanziarie. Il conflitto fra patrizi e plebei caduta della monarchia) a seguito della quale, i decemviri furono costretti a deporre i loro poteri; nel 449 a.C. alla plebe è riconosciuto l’apporto nella lotta contro il tentativo rivoluzionario dei decemviri. Tra le proposte e le disposizioni su cui si discuteva vi era l’approvazione o meno dei matrimoni misti fra i due ordini; riconosciuta la legittimità di questi, il patriziato non poteva più far valere la loro condizione elitaria nel diritto di prendere gli auspici per accertare il volere divino. Non potendo escludere i figli di tali matrimoni dagli auspicia, essi non potevano nemmeno essere esclusi dal consolato. Nelle XII tavole è ravvisabile un’influenza del diritto greco. 2.6 Tribuni militari con poteri consolari Il plebiscito fatto votare da M. Canuleio, riconoscendo la leggitimita’ dei matrimoni misti tra patrizi e plebei, ebbe come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato. Sentendosi minacciati, i patrizi, dal 444 a.C. fecero sì che il senato ogni anno decidesse se alla testa dello Stato vi dovevano essere i consoli, provenienti esclusivamente dal patriziato o un certo numero di tribuni militari con poteri consolari (tribuni militum consulari potestate) – 3, poi 4 e infine 6, tra cui plebei ma senza il diritto di trarre gli auspici. [Ordinamento in vigore fino al 367 a.C.] – alcuni ritengono che in questo periodo i consoli non siano stati sostituiti ma affiancati dai tribuni militari. I patrizi di fatto perdevano il controllo sulla massima magistratura repubblicana, raggiungendo cosi un risultato opposto a quello che la loro riforma si proponeva di seguire. I due consoli in possesso del diritto agli auspicia ed esclusivamente patrizi, sarebbero stati assistiti nei loro compiti, da alcuni dei tribuni militum, i comandanti dei reparti che componevano le legioni, dotati per l’occasione di poteri equiparati a quelli dei consoli. 2.7 Le leggi Licinie Sestie La crisi s’accelerò dopo che la minaccia dei Galli si era allontanata da Roma. M. Manlio Capitolino, eroe della resistenza contro i Galli, propose una riduzione o cancellazione totale dei debiti associata ad una nuova legge agraria, sperando secondo le diverse accuse, di instaurare un regime personale; il tentativo fallì – qualche anno dopo l’iniziativa tornò ai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Essi proposero un ampio pacchetto di proposte circa il problema dei debiti, la distribuzione delle terre dello Stato e l’accesso dei plebei al consolato; elementi cui i patrizi si opposero, ma dopo alcuni anni di anarchia politica, Marco Furio Camillo, eroe della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico venne chiamato alla dittatura per sciogliere tale situazione. Le proposte di Licinio e Sestio assunsero il valore di legge, assumendo il nome di leges Liciniae Sestiae (leggi Licinie Sestie) e prevedevano: 1. che gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme ricevute potessero essere detratti dal capitale dovuto e che il debito residuo fosse estinguibile in tre rate annuali. 2. che l’estensione massima di terreno di proprietà statale, occupato da un privato, fosse di 125 ettari / 500 iugeri). 3. la fine del tribunato militare con potestà consolare e la reintegrazione a capo dello Stato dei consoli, uno dei quali plebeo. Nel quadro complessivo di questi anni (siamo tra il 376 a.C. – anno del tentativo di Capitolino e il 366 a.C.) vennero create due nuove cariche: il pretore, avente il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani, dotato di imperium poteva, se necessario, essere messo a capo di un esercito, sebbene i suoi poteri fossero subordinati a quelli dei consoli. Sempre nel 366 a.C. vennero eletti due edili curuli, chiamati così dalla sella curulis, ove sedevano i magistrati patrizi, che li distingueva dagli edili della plebe; ad essi venne affidato il compito di organizzare i Ludi maximi. 2.8 Verso un nuovo equilibrio Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. segnarono la fine della fase piu’ acuta della contrapposizone tra patrizi e plebei. Tuttavia, consentendo ai plebei di rivestire la massima magistratura repubblicana, si era imoccata una strada che inevitabilmente andava percorsa sino in fondo. Nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente acceso a tutte le altre cariche dello stato. 2.9 La censura di Appio Claudio Cieco Un tentativo di imprimere una certa accelerazione nella riforma venne dalla censura di Appio Claudio Cieco del 312-311 a.C. – quando nel compilare la lista dei senatori egli vi avrebbe incluso persone abbienti, ma che non avevano ricoperto alcuna magistratura. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribu’: il suo scopo era quello di dare la possibilità ai membri della plebe urbana (che costituivano la maggioranza dei votanti) di iscriversi in una tribù qualsiasi per avere maggior peso nei comizi, non restando obbligati alle quattro tribù urbane. I consoli del 311 rifiutarono ambo le proposte. Il censo dei singoli cittadini, fino ad allora calcolato in base ai terreni e ai capi di bestiame posseduti, furono valutati a partire da questa eta’ anche in base al capitale mobile, in metallo prezioso, consentendo anche a colo che non erano impegnai nelle tradizionali attivita’ agricole e dell’allevamento di vedere il proprio peso economico e quindi politico, adeguatamente riconosciuto. 2.10 La legge Ortensia Il 287 a.C. – data considerata già nell’antichità, come la fine di una lunga lotta fra i due ordini. In quell’anno dopo una secessione, la legge Ortensia stabilì che i plebisciti votati dall’assemblea avessero valore per tutta la cittadinanza di Roma. Da qui in avanti i comizi tributi e i concilia plebis tributa erano accomunati da eguale sistema di voto e da eguali poteri. 2.11 La nobilitas patrizio-plebea Le grandi conquiste del IV e III sec. a.C. segnavano la fine del dominio patrizio cui si sostituì la nuova aristocrazia, formata da famiglie ricche e influenti di plebei e dalle famiglie di patrizi che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione. A questa nuova élite si da il nome di nobilitas, che venne a designare tutti coloro che avevano raggiunto il consolato o che discendevano in linea diretta da un console (o da un pretore). Tanto esclusiva divenne da nobilitas che, per i pochi che raggiunsero i vertici della carriera politica pur non avendo antenati nobili, venne coniato una definizione specifica, homines novi, sebbene appartenessero a famiglie ricche e con un certo prestigio sociale. La conquista dell’Italia 11. La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma Alla caduta della monarchia Roma, secondo la tradizione letteraria, controllava un territorio esteso dal Tevere alla ragione Pontina, a seguito delle conquiste, ma anche dell’accorta politica matrimoniale condotta dai re etruschi. Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C. alcune città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per contrastare la sua egemonia; esse si strinsero in una lega, in ricordo forse di un’unità etnica del popolo latino, riconoscendosi diversi diritti: lo ius connubii, diritto di contrarre matrimoni legittimi coi cittadini di altre comunità; lo ius commercii, diritto di siglare contratti aventi valore legale fra cittadini appartenenti a comunità diverse, usando strumenti formali del diritto cittadino e lo ius migrationis, per cui un latino poteva assumere pieni diritti civili in una comunità diversa da quella in cui era nato, prendendovi residenza. 3.2 La battaglia del algo Regillo e il foedus Cassianum La lega latina tentando di affermarsi definitivamente attaccò Roma, alcuni pensano per volontà di Ottavo Mamilio di Tusculo, con la speranza di rimettere sul trono della città il proprio suocero, Tarquinio il Superbo. Lo scontro, nel 496 a.C. presso il lago Regillo, 3.7 Il primo confronto con i Sanniti La posizione raggiunta da Roma nell’Italia meridionale era segnata da un trattato concluso coi Sanniti nel 354 a.C. per il quale il confine tra le due potenze era segnato dal fiume Liri. Il Sannio, territorialmente più esteso delle zone sotto il controllo romano era però più povero e incapace di sostenere una forte crescita demografica; dal punto di vista politica, invece, era organizzato in pagi (cantoni) con uno o più villaggi (vici), governati da un magistrato elettivo detto meddiss. Più pagi costituivano una tribù, detto touto, alla testa della quale vi era un meddiss toutiks. Quattro tribù: Carricini – Pentri – Caudini – Irpini, formavano la Lega sannitica, avente un’assemblea federale che poteva nominare un comandate supremo in caso di guerra. La tensione sfociò in una guerra, nel 343 a.C., quando i Sanniti attaccarono Teano, occupata dai Sidicini, i quali si rivolsero in cerca di aiuto alla Lega campana, la quale per fronteggiare i Sanniti chiese l’intervento di Roma. La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse rapidamente in un parziale successo dei Romani, che sconfissero il nemico a Capua, città più grande della Lega campana, ove accettarono le richieste di pace avanzate dai Sanniti, rinnovando il precedete trattato e riconoscendo la Campania a Roma e Teano ai Sanniti. 3.8 La grande guerra latina Il patto del 341 porta ad un capovolgimento di alleanze, costringendo Roma ad affrontare i suoi precedenti alleati Latini, Campani e Sidicini, cui si aggiunsero i Volsci e gli Aurunci. Il conflitto che vide la luce nel 341-338 a.C. divenne noto come la grande guerra latina e fu durissimo, donando la vittoria ai Romani. Il quadro dell’Italia era il seguente: la Lega latina venne disciolta, alcune città vennero incorporate nello Stato romano, come municipi; altre conservarono un’indipendenza formale e i diritti che precedentemente avevano stabilito per sé, ma non poterono più intrattenere relazioni fra loro, unicamente con Roma. Lo status di “Latino” perse la sua connotazione etnica, arrivando a designare una condizione giuridica in rapporto coi Romani. I latini furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessita. Questi trattati consentirono a Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare senza per questo costringerla ad assumersi i compiti di goberno locale che le sue strutture politiche, rimaste sostanzialmente quelle di una citta’-stato non erano in grado di reggere. Dal momento che i socii dovevano impegnarsi a mantenere a proprie spese i contingenti di truppe che fornivano, Roma inoltre potè mantenere il suo impegno finanziario relativamente litimato, senza essere costretta a richiedere un tributo diretto che le avrebbe attirato l’odio degli alleati. Al di fuori del Lazio, per quel che riguarda in particolare Volsci e Campani, Roma concesse parzialmente la cittadinanza, la civitas sine suffragio – i titolari erano tenuti agli obblighi dei cittadini romani, come il tributum, ma non avevano diritto di voto nelle assemblee popolari. Alla fine della grande guerra latina, Roma aveva legato a sé, tutte le regioni dalla sponda sinistra del Tevere (a nord) – al golfo di Napoli (a sud) – dal Tirreno (a ovest) – agli Appennini (a est): territorio non ampio come il Sannio ma più ricco e densamente popolato. 3.9 La seconda guerra sannitica La fondazione di colonie romane a Cales e a Fregelle, territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza, provocò una nuova crisi nei rapporti fra le due potenze. La seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) vide fra le proprie cause il rapporto contrastante fra le masse popolari, a favore dei Sanniti, e le classi più agiate di sentimenti filoromani (una situazione che si presenterà regolarmente nelle città coinvolte nei conflitti fra Roma e avversari). I Romani sconfissero la guarnigione dei Sanniti a Napoli, conquistando la città, ma non riuscirono a penetrare a fondo nel Sannio: nel 321 a.C. vennero circondati al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa; al cui seguito vi fu una momentanea tregua. Nel 316 a.C. si riapre lo scenario di guerra, dopo che i Romani attaccarono Saticula: le prime operazioni furono favorevoli ai Sanniti, che conseguirono una vittoria a Lentulae (interrompono comunicazioni con la Campania), poi Roma riprese la situazione in mano, attraverso una strategia a lungo termine, non sostenibile dalla Lega sannitica. Saticula fu conquistata nel 315 a.C., Fregelle venne ripresa, le comunicazioni con la Campania ristabilite grazie alla costruzione del primo tratto della via Appia e strinsero sotto assedio il Sannio grazie a colonie come Luceria fondate in Apulia. Ora, il compatto esercito a falange si era rivelato incapace di sostenere manovre su un terreno accidentato come il Sannio: la legione venne divisa in 30 reparti (manipoli), unione di due centurie, sebbene avessero perso il significato etimologico di “cento uomini”, era composta infatti da 60 soldati. La legione era schierata su tre linee, ognuna delle quali composta da dieci manipoli; i primi erano chiamati principes, poi gli hastati, e infine i triarii. Roma era così in grado di affrontare più agevolmente una minaccia su due versanti, a side contro i Sanniti e a nord contro la coalizione degli Stati etruschi, i quali furono subito costretti a siglare una tregue (308 a.C.). Concentrati gli sforzi sul Sannio i Romani giunsero alla pace del 304 a.C. che rinnovava il precedente (del 354 a.C.), lasciando definitivamente il possesso di Fregelle e Cales a Roma. Sempre in questo periodo, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano senza diritto di voto, e gli Equi furono sterminati. 3.10 La terza guerra sannitica Terzo e ultimo scontro con Roma, da parte dei Sanniti, si riaprì nel 298 a.C. dando vita alla terza guerra sannitica quando i Sanniti attaccarono i Lucani. Il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, marciò a lungo, riuscendo a erigere una potente coalizione antiromana con Etruschi, Galli e Umbri e nel 295 a.C. avvenne lo scontro decisivo a Sentino . Gli eserciti dei consoli Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure, prevalsero su Sanniti e Galli, approfittando della mancanza dei reparti etruschi e umbri; i Sanniti, sconfitti nuovamente ad Aquilonia (293 a.C.) chiesero la pace tre anni più tardi. A nord invece ai Galli si offrì nuovamente la possibilità di penetrare nell’Italia centrale, ma il loro attacca congiunto con quello etrusco fu arrestato nel 283 a.C. nella battaglia del lago Vadimone. Dat a Event o 496 a.C. Roma sconfigge i Latini nella battaglia presso il lago Regillo 494 a.C. Secessione dell’Aventino 493 a.C. Foedus Cassianum, trattato alleanza colla Lega latina 483 a.C. Prima guerra contro Veio. 449 a.C. Decemviri pubblicano le leggi delle XII tavole 445 a.C. Sono permessi i matrimoni fra i due ordini (plebiscito Canuleio) 396 a.C. Roma sconfigge Veio, grazie a Marco Furio Camillo 390 a.C. Sacco di Roma, da parte dei Galli Senoni (sconfiggendo i romani presso il fiume Allia) Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con 22 mila fanti, 3 mila cavalieri e 20 elefanti da guerra – per affrontare questo schieramento Roma arruolò per la prima volta i capite censi, nullatenenti, esenti dal servizio militare. Pesante fu comunque la sconfitta che subirono ad Eraclea, ma considerevoli furono le perdite da ambo le parti. Bruzi, Lucani, Sanniti si schierarono dalla parte di Pirro, il quale però non seppe sfruttare la sua posizione, fallendo nel tentativo di un’alleanza e congiungimento con gli Etruschi. Decise di intavolare trattative di pace, in cui chiedeva libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori conquistati alle tre popolazioni sue alleate, ma che furono respinte da Appio Claudio Cieco. A seguito del rifiuto da parte romana, Pirro assoldò mercenari, muovendo verso la Apulia settentrionale e si scontrò con l’esercito romano presso Ascoli Satriano nel 279 a.C. riuscendo a sconfiggerlo, al prezzo di gravi perdite. Forte dell’immenso potenziale umano Roma sembrava poter resistere in modo continuato e senza alcun limite, al contrario di Pirro i cui rapporti con gli alleati dell’Italia meridionale si andavano deteriorando, specie in virtù delle onerose richieste economiche da lui effettuate per sanare le perdite e pagare le truppe mercenarie. Accolse così le domande di aiuto provenienti da Siracusa e ritenne che il possesso della ricca Sicilia avrebbe accresciuto la sua potenza; vi si recò, lasciando una guarnigione del suo esercito a Taranto. Nel 279 a.C. Roma e Cartagine stringono un’alleanza che prevedeva la mutua collaborazione militare contro il comune nemico. Pirro riuscì comunque a far indietreggiare i Cartaginesi, pensando di invadere poi l’Africa, ma il progetto fallì non potendo più contare su molti appoggi da parte degli alleati italici, stanchi delle pesanti condizioni cui erano sottoposti. I Romani intanto i Italia avanzavano senza ostacoli e le popolazioni chiedendo disperatamente l’intervento del re epirota impedirono il compimento dell’impresa siciliana, il quale subì gravi perdite ad opera della flotta cartaginese. Le forze romane comandate dal console Manio Curio Dentato si scontrarono, nel 275 a.C., con le truppe nemiche nella località dove più tardi sarebbe stata fondata la colonia latina dal nome celebrativo, Benevento. Pirro capì che la guerra era ormai persa, con le sue truppe in fuga, ma decise di lasciare una guarnigione a Taranto per dare l’impressione di non aver completamente abbandonato gli alleati, pur tornando nell’Epiro con gran parte del suo esercito. Lanciatosi in nuove imprese militari in Grecia, morì nel 272 a.C. In quello stesso anno Taranto si arrese entrando nel novero dei socii di Roma. La conquista del mediterraneo 4.1 La prima guerra punica Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, nei pressi dello stretto di Messina, gli interessi della potenza egemonica entravano in conflitto con quelli della precedente alleata, Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Marmetini, mercenari di origini italica, impadronitisi di Messina, ma sconfitti da Ierone e le truppe siracusane. I Marmetini si appellarono all’aiuto della flotta cartaginese, preoccupati dell’espansione di Siracusa verso lo stretto: Ierone si ritirò e venne proclamato re di Siracusa. I Marmetini, stanchi però della tutela cartaginese, fecero appello ai Romani i quali qualche anno prima, a Reggio, avevano cacciato invasori come i Marmetini dalla città, non sapendo come comportarsi ora. Intervenire a favore di Messina voleva dire entrare in collisione con Siracusa e con Cartagine, che grazie ai suoi mezzi finanziari poteva mettere in campo grandi eserciti e potenti flotte. Far cadere l’appello dei Marmetini significava lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto e perdere l’occasione per entrare nella ricca Sicilia. La motivazione economica, spinse l’assemblea popolare a votare l’invio di un esercito in soccorso ai Marmetini. Si aprì così lo scenario della prima guerra punica (264-241 a.C.) che vide i Romani respingere da Messina, Cartaginesi e Siracusani (ora coalizzatisi). Nel 363 a.C. Ierone comprese l’innaturalezza dell’accordo con Cartagine e decise di siglare una pace, che lo lasciò in possesso di un ampio territorio della Sicilia orientale e libero di schierarsi con Roma. Grazie alla superiorità circa le forze navali Cartagine conservava un saldo controllo su molte località costiere e Roma decide così di costruire una grande flotta contando sull’aiuto dei socii navales che fornirono marinai e comandanti. Lo sforzo diede i suoi frutti nel 260 a.C. con la vittoria del console Caio Duilio sulla flotta nemica nelle acque di Milazzo. Roma volle sbarcare direttamente sulle coste africane e iniziò l’invasione nel 256 a.C. dopo che, la flotta romana sconfitta quella cartaginese presso capo Ecnomo, fece sbarcare l’esercito a capo Bon, in Africa. Marco Attilio Regolo, pur ottenendo diversi successi non seppe approfittare della situazione favorevole e nel 255 a.C. venne battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario Santippo. La flotta romana incappò in una tempesta e nel 249 a.C. colla battaglia navale di Trapani Roma perse quasi del tutto le forze marittime; solo qualche anno più tardi grazie e prestiti dei cittadini più facoltosi riuscì a ricostruire una flotta, il denaro sarebbe stato restituito im caso di vittoria. La flotta cartaginese fu sconfitta nel 241 a.C. alle isole Egadi e decisero di chiedere la pace: le clausole del trattato che mide fine allo scontro prevedevano lo sgombero totale della Sicilia e il pagamento di un indennizzo di guerra. 4.2 La prima provincia romana - 4.3 Tra le due guerre A seguito della prima guerra punica, Roma era riuscita ad ottenere un vasto territorio al di fuori della Penisola, costituito dalle regioni della Sicilia centro-occidentale; territori che vennero integrati attraverso un sistema che segnò una svolta nella storia istituzionale romana. venne imposto il pagamento di un tributo annuale, consistente in una parte del raccolto di cereali + l’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa da aggressioni esterne vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nella penisola. Da qui in avanti il termine provincia, che indicava la sfera di competenza di un magistrato venne ad assumere il significato di territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. Cartagine, spossata dal punto di vista finanziario, non era in grado di garantire il pagamento delle truppe mercenarie che avevano combattuto contro i Romani. La loro rivolta fu sedata da Amilcare Barca e quando si prepararono ad una spedizione per recuperare la Sardegna (ove altri mercenari si erano ribellati), si scontrarono con Roma, che li accusò di tramare nuove ostilità: Cartagine incapace di sostenere un’immediata seconda guerra si piegò accettando il pagamento di un indennizzo e a cedere la Sardegna, che assieme alla Corsica andò a formare la seconda provincia romana. Nello stesso tempo, approfittando del declino dell’Epiro, il regno d’Illiria aveva esteso la sua influenza sulla costa dalmata. In risposta alle richieste di aiuto di molte città greche, saccheggiate conquistarono il porto impedendo l’invio di rinforzi e nel 211 a.C. conquistarono Capua. Sempre nel 212 a.C. le forze romane di Marco Claudio Marcello conquistarono e saccheggiarono Siracusa e nell’Adriatico la flotta romana riuscì a impedire l’invasione da parte di Filippo V e il suo congiungimento con Annibale. Roma riuscì a paralizzare l’azione del re macedone creando una coalizione di Stati greci lui ostili, la Lega etolica, ma quando gli Etoli mostrarono di non avere intenzione di continuare la lotta, Roma sottoscrisse una pace col re, che lasciava immutato il quadro territoriale. Publio Cornelio Scipione nel frattempo raggiunse in Spagna il fratello Cneo e i due impedissero che giungessero ad Annibale ulteriori aiuti dalla penisola iberica. Questi poi trovandosi ad affrontare separati le ingenti forze cartaginesi in Spagna vennero sconfitti e uccisi, il resto dei Romani difese il territorio settentrionale della penisola sino a che venne nominato comandante delle truppe in Spagna il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione, che diventerà noto col cognomen di Africano. Nel 209 a.C. riuscì ad impadronirsi della principale base cartaginese, Nova Carthago, e sconfisse l’anno seguente il fratello di Annibale, Asdrubale, presso la località di Baecula, il quale riuscì ad avanzare comunque verso l’Italia, ripetendo l’epica marcia del fratello nel tentativo di porgergli il suo aiuto. La spedizione si scontrò con gli eserciti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone; venne sconfitta nel 207 a.C. presso il fiume Metauro: Asdrubale morì. Annibale, isolato da qualsiasi aiuto dalla madre patria, si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio; mentre Scipione sconfiggeva gli eserciti cartaginesi di Spagna nella battaglia di Ilipa nel 206 a.C. Tornato in Italia Scipione fu eletto console nel 205 a.C. e iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa, forte dell’alleanza con il re della tribù numida dei Massili, Massinissa, in rivolta contro Cartagine. nel 204 a.C. le truppe romane sbarcarono in Africa e l’anno seguente Scipione e il re numida colsero un’importante vittoria nella battaglia dei Campi Magni; Scipione mirava ad eliminare per sempre la minaccia punica. Nel 202 a.C. presso Zama si svolse la battaglia che pose fine al conflitto, i Romani ottennero il successo. Nel 201 a.C. le trattative di pace prevedevano la consegna olistica della flotta cartaginese e il pagamento di una forte indennità e la rinuncia di territori fuori dall’Africa da parte di Cartagine e il dovere di chiedere permesso a Roma per dichiarare guerra. 4.5 La seconda guerra macedonica Pochi anni dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma si impegnò in un altro conflitto di grandi proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu l’attivismo del re nell’area dell’Egeo e sulle coste dell’Asia Minore, che lo portarono a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni sfociarono nel 201 a.C. in una guerra aperta: Filippo fu battuto in una battaglia navale al largo di Chio, da Rodii e Pergameni ma vinse nelle acque tra Samo e Mileto; questo bastò a far capire che da soli non sarebbero riusciti a contrastare la minaccia macedone, si rivolsero a Roma. La volontà di vendetta contro un sovrano che alleandosi con Annibale all’indomani di Canne, aveva colpito Roma in un momento di grave crisi permise ai comizi centuriati di votare per la guerra. Si decise di inviare un ultimatum a Filippo V in cui gli si intimava di risarcire i danni commessi e di non attaccare gli Stati greci, che fu ignorato, ma che venne visto di buon occhio da Stati come Atene, comunque la città più influente della Grecia. Nel 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città nemica di Apollonia, a cui si aggiunse la Lega etolica e nel 198 a.C. il comandante Tito Quinzio Flaminino diede una svolta al conflitto. Uno a uno gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei liberatori che chiedevano la liberazione della Tessaglia, sotto il dominio macedone da Filippo II, e così anche la Lega achea da tempo alleata con la Macedonia. Le trattative del 198 a.C. intavolate da Filippo furono interrotte da Flaminino e nella battagli di Cinocefale, in Tessaglia, l’esercito macedone venne annientato e il re costretto ad accettare le condizioni di pace. La Grecia liberata dall’egemonia macedone fu proclamata autonoma ma avente l’obbligo di versare tributi e di ospitare guarnigioni. 4.6 La guerra siriaca Il re di Siria intanto stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia Minore, formalmente autonome. Le proteste di Roma che chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia Minore furono respinte dal re siriano, Antioco. Gli Etoli scontenti del mancato smembramento del regno macedone sostenevano che la Grecia avesse semplicemente cambiato padrone, così nel 192 a.C. invitarono Antioco III a liberare la Grecia dai falsi liberatori, ma questi venne duramente battuto l’anno seguente alle Termopili dai Romani, fuggendo in Asia Minore. Nel 190 a.C. Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano, col suo aiuto si prepararono ad invadere l’Asia Minore attraverso la Grecia, Macedonia e Tracia forti del sostegno di Filippo V; mentre la flotta romana a fianco di Rodii e Pergameni sconfiggeva ripetutamente nell’Egeo i Siriaci. Presso Magnesia sul Sipilo, l’esercito di Antioco venne distrutto e la pace venne siglata nella città siriaca di Apamea nel 188 a.C. I territori strappati a dominio siriano non vennero inglobati come nuove province ma spartiti tra i due fedeli alleati di Roma, il re di Pergamo Eumene II e la repubblica di Rodi. 4.7 Le trasformazioni politiche e sociali Il repentino ampliamento di orizzonti sotto il dominio romano, portò un cambiamento anche nell’assetto politico e sociale interno. Nota fu la vicenda del “processo agli Scipioni” (184 a.C.), che mostra i contrasti interni alla classe dirigente romana e i nuovi scenari di lotta politica che andavano costituendosi. Lucio Cornelio S. fu accusato di impossessarsi di parte dell’indennità di guerra di Antioco III, ma il veto di un tribuno della plebe impedì che questi fosse costretto a pagare un’onerosa multa. Contro l’Africano, venne poi attaccato di aver condotto trattative personali sempre con Antioco III, ma rifiutò di rispondere alle accuse ritirandosi in Campania e morendo nel 183 a.C. La vicenda era stata sostenuta da Marco Porcio Catone, che colpendo l’Africano, desiderava respingere l’individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica da parte della nobilitas. In questo clima viene promulgata la legge Villia del 180 a.C. che introdusse un’età minima per rivestire le diverse magistrature e un inmtervallo di due anni tra una carica e l’altra. Importante segnalare in questo periodo la diffusione del culto di Bacco, che il senato romano volle sradicare anche a costo di calpestare l’autonomia giurisdizionale delle comunità alleate dell’Italia; preoccupava infatti che i devoti a Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come un “tumore” statale all’interno e contro lo Stato romano. 4.8 La terza guerra macedonica La pace di Apamea aveva espulso il regno di Siria dall’Egeo e sebbene il re macedone Filippo V fu alleato di Roma nella guerra siriaca il rapporto s’incrinò quando l’indomani di Apamea i desideri del re sulle città della costa trace vennero frustrati da Roma, su impulso di Eumene II. Nel 179 a.C. dopo la morte di Filippo si assiste alla successione di questi con il figlio Perseo, sbarazzatosi del fratello filoromano Demetrio. L’elemento democratico e nazionalista all’interno di molte città greche cominciò a volgersi a favore di Perseo. Nel 172 a.C. Eumene II si presentò a Roma con un lungo elenco di accuse contro il re macedone, alimentando i sospetti di alcuni gesti di sfida da parte sua. Fallite le trattative per un accordo nel 171 a.C. iniziarono le operazioni di guerra, ove nei primi anni i 202 a.C. Battaglia di Zama + seconda guerra macedonica con vittoria romana 201 a.C. Fine della seconda guerra punica 197 a.C. Spagna Ulteriore e Citeriore Divengono province romane 192 a.C. Inizio della guerra contro Antioco III e la Lega etolica 189 a.C. Fine della guerra siriaca 188 a.C. Pace di Apamea 180 a.C. Lex Villia annalis (età minima delle cariche e intervallo di due anni) 172 a.C. Inizio della terza guerra macedonica 167 a.C. Fine della terza guerra Macedonica con vittoria romana 149 a.C. Inizio della terza guerra punica + quarta guerra macedone 146 a.C. Distruzione di Cartagine e di Corinto + vengono annesse le province di Macedonia e d’Africa Massinissa, approfittando del fatto che i confini con Cartagine non erano stati fissati in modo preciso, avanzò con pretese ambiziose sul territorio vicino dal canto loro i Cartaginesi erano impediti a dichiarare guerra senza l’approvazione romana. Nel 151 a.C. il partito per la guerra però riuscì a prevalere – l’esercito inviato contro il re numida venne distrutto e intanto a Roma si premeva per la distruzione della città nemica, in ordine alla violazione dei trattati del 201 a.C. Nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa e per evitare una guerra persa in partenza i Cartaginesi avevano già ceduto molti armamenti, poi quando venne chiesto loro di abbandonare la città e trasferirsi a 10 miglia dalla costa, decisero di resistere a oltranza. Nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, ma adottato dalla famiglia degli Scipioni si risolse il lungo assedio che vide la città saccheggiata e rasa al suolo: il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa. 4.11 La Spagna Ridotto all’obbedienza tutti gli Stati dell’Oriente ellenistico e distrutto Cartagine, Roma ora si trovava ad affrontare l’irrisolta situazione in Spagna, sebbene già dalla fine della seconda guerra punica i Romani vi si erano saldamente stabiliti, organizzandola in due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Ulteriore (sud). La sottomissione completa della penisola avvenne però solo con Augusto, in virtù della sfuggente guerriglia su un vasto e accidentato territorio che alimentava il malcontento per una guerra sporca, senza bottino e senza fine. M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore, come console nel 195 a.C. e procedette alla sistematica sottomissione delle tribù nella valle dell’Ebro. Poi, Ti. Sempronio Gracco (padre) governatore del medesimo territorio tra il 180 a.C. e il 178 a.C. dopo alcuni successi militari cerco di rimuovere le ragioni dell’ostilità contro Roma – strategia coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù celtibere. Nel 137 a.C. sotto le mura della celtibera Numanzia il console Caio Ostilio Mancino venne sconfitto e firmò una pace umiliante per Roma, trattato disconosciuto poi dal senato sì che la guerra numantina fu affidata al brillante comandante Scipione Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C., il quale conquistò e distrusse la città l’anno seguente. Parte terza La crisi della Repubblica e le guerre civili (dai Gracchi ad Azio) Dai gracchi alla guerra sociale 1. L’eta’ dei Gracchi (133-121 a.C-): una svolta epocale? La tradizione storiografica ha canonicamente fissato nell’”età dei Gracchi” l’origine della degenerazione dello Stato romano, non più fondato sulla solidarietà civica e sul rispetto della tradizione, e l’inizio delle guerre civili. 1.2 Mutamento degli equilibri sociali La guerra contro Annibale aveva percorso tutta la Penisola e arrecato gravi conseguenza alla dimensione agricola, inoltre le conseguenze delle guerra avevano portato a Roma ingenti ricchezze nelle mani di pochi e una innumerevole quantità di schiavi la struttura sociale va progressivamente modificandosi, al passo dell’economia che fino ad allora era perlopiù solamente agricola. Romani e Italici iniziano a praticare il grande commercio: i negotiatiores, uomini d’affari con società, si stabilivano nelle neonate province e questi Romaioi esercitavano anche professioni bancarie. 1.3 Crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato progressivamente e in modo diverso secondo le regioni la fisionomia dell’agricoltura agricola. Inoltre il massiccio ricorso alla mano d’opera servile, le importazioni di grandi quantità di grano e materie prime dimostravano la spinta verso colture sempre più speculative, che andavano a porre in secondo piano la tradizionale agricoltura di sussistenza: è sempre più forte la tendenza verso un’agricoltura incentrata su prodotti destinati alla commercializzazione più che all’autoconsumo. Il modello di proprietà tendeva a diventare la grande azienda agricola (la villa rustica) basata sullo sfruttamento intensivo di personale servile e diretto da schiavi-manager (vilici) a capo di schiavi-operai, schiavi-artigiani e schiavi-agricoltori. Roma crebbe sì di dimensioni, molti infatti vi giungevano alla ricerca di un’occupazione, cosa che favorisce lo sviluppo di quei problemi che l’avrebbero caratterizzata per molto tempo, come sussistenza e approvvigionamento. Non è un caso che in ordine allo 1.9 Caio Gracco Nel 123 a.C. fu eletto al tribunato Caio Gracco, iniziale componente della commissione agraria e fratello minore di Tiberio: egli riprese ed ampliò l’opera riformatrice del fratello. La legge agraria fu ritoccata e perfezionata e aumentati i poteri della commissione triumvirale. Una legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Con una legge giudiziaria Caio volle limitare il potere del senato in questo campo integrando un cospicuo numero di cavalieri nel corpo da cui attingere per la formazione degli albi dei giudici e comunque riservando in esclusiva ai cavalieri il controllo dei tribunali permanenti cui erano affidati i processi di concussione e che perseguivano le malversazioni e le estorsioni dei magistrati ai danni dei provinciali. Propose l’istituzione di nuove colonie di cittadini romani, in Italia e anche nel territorio della distrutta Cartagine. L’oligarchia senatoria, i cui privilegi venivano minati, per contrastare i progetti di Caio si servì di un altro tribuno, Marco Livio Druso. Nel 122 a.C. la situazione cambiava radicalmente e la popolarità di Caio venne meno, egli non venne infatti rieletto l’anno successivo + la fondazione di colonie in territorio cartaginese fu criticata aspramente e legata a presagi funesti – proposte cui si opposero Caio e Flacco. In ordine a questo stato di cose il senato ricorse alla procedura del senatus consultum ultimum con cui venne sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato coi mezzi necessari. 1.10 Smantellamento della riforma agraria Poiché le riforme agrarie dei Gracchi rispondevano a esigenze reali, gli ottimati non le abolirono ma ne ridussero gli effetti: i lotti attribuiti furono dichiarati alienabili e venne posto fine alle operazioni di ridistribuzione delle terre + abolita la commissione agraria. 1.11 Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana Prima del 133 a.C. Roma aveva sei province: Sicilia – Sardegna e Corsica – Spagna Citeriore – Spagna Ulteriore – Macedonia – Africa, ora la deduzione di una provincia è da considerarsi un atto di guerra, non di annessione; si trattava infatti di assumere la gestione diretta di un territorio a cui si aggiungevano una molteplicità di condizioni e implicazioni a livello istituzionale che andavano creandosi in questi anni. Molte di queste deliberazioni di riferimento sono definite lex provinciae, tra cui una delle più significative era la lex Rupilia, relativa alla Sicilia, del 132 a.C. che descriveva gli ambiti geografici, gli statuti e gli obblighi delle comunità e la condizione giuridica e fiscale di ognuna di esse. Nel 122-121 a.C. Cneo Domizio Enobarbo e Quinto Fabio Massimo, vincendo contro Allobrogi e Arverni posero le basi per la nuova provincia narbonese, dedotta nel 118 a.C. 1.12 I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario Dopo aver regolato le questioni nel territorio africano con la vittoria delle guerre puniche e il mantenimento della tradizionale alleanza con Massinissa e i suoi figli, specie Micipsa, rimasto l’unico re di Numidia, molti sono gli uomini d’affari romani e italici e chi sono attratti dalle grandi potenzialità economiche delle regioni africane, forti della politica filoromana che ormai era assicurata. Morto nel 118 a.C. Micipsa, gli succede al trono suo nipote, e figlio adottivo, Giugurta, già soldato agli ordini di Scipione Emiliano nell’assedio di Numanzia. Il senato considerato l’appello del fratello Aderbale in ordine al desiderio di Giugurta di impadronirsi del regno optò per la divisione della Numidia in due: a oriente, nel territorio più ricco stabilirono Aderbale, mentre a occidente, Giugurta. Quest’ultimo volendosi impadronire della restante porzione del regno, assediò la capitale Cirta, che dopo essere stata prese vide la morte del suo re, Aderbale e di tutti i Romani e Italici che ivi svolgevano le loro attività. Roma scende in guerra nel 111 a.C. La svolta ci fu nel 109 a.C. quando al comando della guerra fu posto Quinto Cecilio Metello, del cui seguito faceva parte il legato, Caio Mario. Giugurta venne sconfitto ripetutamente, ma la guerra non era mai portata a termine. Nel 107 a.C. Caio Mario viene eletto console e ignorando la proroga che il senato aveva concesso a Metello, gli venne affidata la guerra giugurtina. Mario, homo novus, incarnava il nuovo tipo politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti equestri e dalla carriera militare: tribuno della plebe nel 119 a.C., agli ordini dell’Emiliano prima e legato ai Metelli poi, si era infine imparentato con una antica, sebbene decaduta famiglia patrizia, sposando giulia, zia del futuro Giulio Cesare. 1.13 L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina Mario, intanto, bisognoso di nuove truppe lui fedeli e per far fronte ai vuoti determinati dalla guerra contro Giugurta e dai massacri subiti contro Cimbri e Teutoni, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, a coloro che erano iscritti sui registri del censo senza alcun bene patrimoniale, quindi nullatenenti. Impiegò quasi tre anni per portare a termine la guerra in Africa, grazie anche all’opera di Lucio Cornelio Silla, legato di Mario, per cui Bocco, re di Mauretania, tradì Giugurta e lo consegnò ai Romani. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa e la parte rimanente allo stesso Bocco + Giugurta fu trascinato come prigioniero a Roma nel 104 a.C. Mario, dopo aver ricoperto il proconsolato per due anni, eletto nuovamente console celebrò il trionfo su di lui, in seguito giustiziato. 1.14 Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni nell’esercito Nel frattempo le popolazioni germaniche di Cimbri e Teutoni, avevano iniziato un movimento migratorio verso sud, spinti da problemi di sovrappopolamento o da maree rovinose. Oltrepassato il corso del Danubio, furono affrontati dal console Cneo Papirio Carbone, presso Noreia i Romani furono sconfitti (113 a.C.) e le popolazioni nordiche poterono continuare il loro cammino verso occidente sino a giungere in Gallia, minacciando la nuova provincia narbonese. I tentativi di respingerli furono vani e si conclusero con la disfatta di Arausio. Intanto a Roma cresceva la polemica, circa l’incapacità di generali di orgine nobiliare + aumentava il timore che tali popolazioni potessero invadere anche l’Italia Mario dal 104 a.C. venne rieletto console per cinque anni consecutivi (fino al 100 a.C.): gli venne affidato il comando della guerra. Egli provvide a riorganizzare l’esercito e fu coadiuvato in ciò da Lucio Cornelio Silla e Quinto Sertorio. Nel 103 a.C. si ripresentarono, sebbene separatamente, Cimbri e Teutoni: l’anno successivo Mario affrontò i Teutoni, sterminandoli ad Aquae Sextiae; mentre nel 101 a.C. raggiunse e annientò i Cimbri presso Vercellae. 1.15 Eclissi politica di Mario; Saturnino e Glaucia Costantemente impegnato sul fronte militare, Mario aveva ritenuto opportuno fare affidamento su Lucio Appuleio Saturnino, che aiutò a diventare tribuno della plebe nel 103 a.C. e in cambio egli aveva fatto approvare la distribuzione delle terre in Africa ai veterani delle campagne di Mario. Di notevole rilievo fu poi la lex de maiestate che puniva il reato di lesione dell’autorità del popolo romano, compiuto dai magistrati travalicando i poteri loro conferiti. Nel 100 a.C. mentre Mario veniva eletto console per la sesta volta, Saturnino ricopriva il tribunato per la seconda e Glaucia, suo compagno di parte popolare, pretore. file:///C:\Users\franz\Desktop\Nuova cartella\g-geraci-a-marcone-storia-romana.pdf Appresa la notizia, Silla marciò su Roma: le truppe si sentivano più legate al proprio comandante, con cui condividevano campagne e bottini, che allo Stato. Impadronitosi di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici pubblici: Sulpicio venne eliminato, Mario fuggì alla volta dell’Africa. 2.3 Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica Sbarcato nell’Epiro nell’87 a.C. Silla cinse d’assedio Atene, poi presa e saccheggiata. Poi, direttosi verso la Grecia centrale sconfisse le truppe pontiche a Cheronea e a Orcomeno, in Beozia (86 a.C.). 2.4 Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario L’anno precedente, l’87 a.C., vide però al consolato Lucio Cornelio Cinna, che proponeva di iscrivere i neocittadini nelle 35 tribù: venne cacciato da Roma e in Campania venne raggiunto da Mario. Roma venne presa nuovamente, Silla dichiarato nemico pubblico e ci furono stragi atroci, delle quali furono vittime i più autorevoli sostenitori di Silla. Mario venne eletto console insieme a Cinna nell’86 a.C. In ordine a questo stato di cose, fu mandato un nuovo corpo di spedizione contro Mitridate in sostituzione di Silla che non rappresentava più lo Stato romano e Cinna venne rieletto console sino all’84 a.C. dando adito ad un’ampia opera legislativa; furono immessi nelle 35 tribù i neocittadini. Cinna morì ucciso dai suoi stessi soldati, presso Ancona per sbarcare poi in Grecia, preparandosi ad anticipare Silla che si apprestava a tornare. 2.5 Conclusione della prima guerra mitridatica Nell’86 a.C. dunque due armate romane si trovarono in Grecia, l’una agli ordini di Silla, l’altra inviata da Cinna, agli ordini di Flacco. Esse non si incontrarono mai, ricacciando Mitridate in Asia + Silla preoccupato dell’evolversi della situazione a Roma si affrettò a sancire una pace, stipulata a Dardano, nella Troade, nel l85 a.C. a condizioni relativamente miti: Mitridate conservava il suo regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia + dovette versare una forte indennità e consegnare la propria flotta. Le ostilità in Asia tuttavia non cessarono del tutto e Lucio Licinio Murena, governatore d’Asia, lasciato da Silla a capo dell’esercito dovette continuare a effettuare incursioni in territorio pontico, accusando Mitridate di prepararsi a riprendere le armi. Quest’ultimo reagì alle provocazioni sconfiggendo Murena e dilagando nuovamente in Cappadocia, fino a che i contendenti non furono fermati da un personale intervento di Silla. 2.6 Le proscrizioni; Silla dittatore per la riforma dello Stato Sbarcato a Brindisi, in due anni Silla riuscì a prevalere sui suoi avversari, impadronendosi della Apulia, Campania e del Piceno; sconfisse Caio Mario il Giovane e s’impadronì di Roma grazie all’aiuto di Marco Licinio Crasso. Restavano da eliminare gli oppositori mariani in Africa e Sicilia, operazione in cui si distinse Cneo Pompeo. Poi, per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione: elenchi di avversari politici, che chiunque poteva uccidere. Poi che entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti in conflitto, il senato nominò un interrex, il princeps senatus Lucio Valerio Flacco, il quale non designò nuovi consoli ma presentò ai comizi la proposta che nominava Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, senza alcun vincolo di durata temporale. L’opera riformatrice di Silla che già aveva conosciuto il suo inizio nell’88 a.C. prima della guerra mitridatica, continuò rivoluzionando a vari livelli l’ordine politico e sociale, già segnato da profondi mutamenti in ordine alla concessione della cittadinanza agli alleati, l’aumento del numero delle province e la radicalizzazione della lotta politica. [Focus on: riforme di Silla] ■ Ogni proposta di legge avrebbe dovuto ottenere il consenso del senato prima di essere sottoposta al voto popolare. ■ I comizi centuriati dovevano divenire la sola assemblea legislativa legittima. ■ Il senato, segnato dai massacri e dalle proscrizioni, venne portato a 600 membri, con l’immissione di 300 cavalieri. Il trasporto delle merci era diventato però sempre più rischioso e costoso, e per gli investitori e per i consumatori, che pativano l’irregolarità dei rifornimenti. Nel 74 a.C. fu inviato contro i pirati Marco Antonio (padre del triumviro) che concentrò i suoi sforzi sull’isola di Creta, riportando però una sconfitta. Le operazioni contro Creta furono affidate nel 69 a.C. a Quinto Cecilio Metello che riconquistò l’isola, la quale diventò provincia romana. In quegli stessi anni, Nicomede IV lasciava in eredità la Bitinia ai Romani che deducendola come provincia, avevano ora accesso al Mar Nero e la loro presenza mutava fortemente gli equilibri di forze in Asia: Mitridate decise di invadere la neonata provincia. Furono mandati contro di lui i consoli, Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. Quest’ultimo dopo una serie di successi occupò il Ponto, costringendo Mitridate a rifugiarsi in Armenia; terra che Lucullo invase conquistandone la capitale Tigranocerta (69 a.C.). Da qui si spinse a nord-est verso l’antica capitale armena di Artaxata, ma la sua marcia fu arrestata dal malcontento dei soldati. I suoi comandi furono progressivamente revocati, sì che gli avversari ne approfittarono per riaprire le ostilità. Nel 67 a.C. Aulo Gabinio, tribuno della plebe, propose misure drastiche contro i pirati: che fosse attribuito per tre anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo, con pieni poteri anche sull’entroterra sino a 50 miglia dalle coste. Pompeo cacciò rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale, poi sconfitti in Cilicia. Nel 66 a.C. Caio Manilio, un altro tribuno, propose una legge che estendesse a Pompeo anche il comando della guerra mitridatica (a favore della quale Cicerone scriverà l’Oratio pro lege Manilia de imperio Cn. Pompei). Subentrato a Lucullo, Pompeo convinse il re dei Parti, Fraate, a impegnare Tigrane mentre egli marciava verso il Ponto: sconfitto Mitridate, fu costretto a rifugiarsi a nord, nel Bosforo Cimmerio, ove morì nel 63 a.C. Venne confermato a Tigrane il trono dell’Armenia ma venne privato della Siri, che diventò una provincia romana. Pompeo proseguì in Palestina, dove conquistò Gerusalemme e dove costruì uno Stato autonomo, ma tributario, aggregato alla provincia di Siria (63 a.C.). Pompeo rientrò a Roma e gli venne decretato il trionfo. 2.12 Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina Durante la sua assenza a Roma si verificò una crisi: Lucio Sergio Catilina, si era arricchito durante gli eccidi nell’età sillana, ma aveva dilapidato enorme somme di denaro per mantenere un elevato tenore di vita, indispensabile alle esigenze d’immagine che le sue ambizioni di carriera politica richiedevano. Prosciolto dall’accusa di concussione, si ripresentò alle elezioni consolari nel 63 a.C. essere stato respinto a quelle del 65 a.C., ora sostenuto politicamente e economicamente da Marco Licinio Crasso. Fu eletto però console un homo novus di Arpino, Marco Tullio Cicerone, l’accusatore di Verre e sostenitore di Pompeo, che nella campagna elettorale aveva attaccato la corruzione e la violenza di Catilina. Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto u programma elettorale che riteneva lo avrebbe condotto al consolato l’anno successivo, basato sulla cancellazione dei debiti e rivolto alle classi sociali di giovani aristocratici rovinati dalle dissipazioni e speculazioni sbagliate. Uscì nuovamente sconfitto dalle nuove elezioni, sì che mise mano ad un’ampia cospirazione che mirava ad eliminare i consoli e impadronirsi del potere. Il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che poté indurre il senato a emettere il senatus consultum ultimum e con un violento attacco lo costrinse ad allontanarsi da Roma. Cicerone procedette all’arresto di cinque capi della cospirazione e consultò sul da farsi il senato, trascinato dal giovane Marco Porcio Catone (pronipote dell’antagonista degli Scipioni), che si pronunciò per la pena capitale. Cesare restò il solo ad insistere per la patria. Dal primo triumvirato alle idi di marzo 3.1 Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto ‘’primo triumvirato’’ Nel 62 a.C. Pompeo tornava in Italia, sbarcando a Brindisi: il senato però non lo accolse come lui stesso si aspettava, rimandando di giorno in giorno la concessione di terre ai suoi veterani e la ratifica degli assetti territoriali da lui decisi in Oriente. Data Event o 88 a.C. Fine della guerra sociale + Silla invade Roma ed estende il pomoerium + inizio della prima guerra mitridatica. 85 a.C. Fine della prima guerra mitridatica. 83 a.C. Silla dittatore + inizio della seconda guerra mitridatica. 82 a.C. Fine della seconda guerra mitridatica + Sertorio inizia ad acquisire potere in Spagna. 74 a.C. Inizio della terza guerra mitridatica. 73 a.C. Guerra servile: rivolta di Spartaco. 67 a.C. Pompeo combatte i pirati nel Mar Mediterraneo. 66 a.C. Fine della terza guerra mitridatica. 63 a.C. Caduta di Gerusalemme + consolato di M. Tullio Cicerone + congiura di L. Sergio Catilina. Deluso, si riavvicinò a Crasso e al giovane patrizio suo alleato, l’emergente Giulio Cesare, coi quali strinse un accordo nel 60 a.C. di sostegno reciproco, chiamato comunemente, primo triumvirato. Definizione impropria, ricavata dall’unico vero triumvirato, il secondo; si trattava infatti di un patto segreto e privato, in base al quale Cesare sarebbe dovuto diventare console nel 59 a.C. sì che avrebbe varato una legge agraria per sistemare i veterani di Pompeo. L’accordo fu cementato dal matrimonio fra Pompeo e Giulia, figlia di Cesare. 3.2 Caio Giulio Cesare console L’accordo diede immediatamente i suoi frutti e Cesare fu eletto console per il 59 a.C. Egli fece votare due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, ai veterani di Pompeo. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per procedimenti di concussione, che ampliava la legislazione sillana a riguardo. Verso la fine della sua carica, il tribuno Publio Vatinio, fece approvare un provvedimento che attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, con tre legioni e il diritto di nominare i propri legati e fondare nuove colonie. Pompeo più tardi propose si aggiungere alle competenze di Cesare il governo della Gallia Narbonese, con l’assegnazione di una quarta legione. Dat a Evento 133 a.C. Riforma agraria di Ti. Gracco 121 a.C. Acquisizione della provincia della Gallia transalpina + il senato approva il Senatus consultum ultimum contro Caio Gracco. Cesare, dopo aver incontrato Crasso a Ravenna, nel 56 a.C. Incontrò Pompeo a Lucca e decise di accordarsi su un progetto che lo avrebbe visto in Gallia per altri cinque anni, con l’aumento a dieci, delle legioni a sua disposizione e i tre si sarebbero impegnati a far eleggere al consolato per l’anno 55 a.C. Pompeo e Crasso, al termine del quale avrebbero ricevuto rispettivamente le province di Spagna e di Siria. Sul fronte del Reno, continuò dunque la sottomissione di tribù germaniche, specie Usipeti e Tencteri, annienti nello stesso anno; di li a poco Cesare si sarebbe spinto in Britannia. Nel 54 a.C. oltre il canale della Manica ebbe luogo una vera e propria spedizione verso il Tamigi e la sottomissione di parecchie tribu’ della costa. Il 53 a.C. invece trascorse nella repressione di rivolte scoppiate nelle regioni settentrionali della Gallia. Il 52 a.C. conobbe un grave crisi nella Gallia centro-occidentale, la quale vedeva a capo dell’insurrezione il re degli Arverni, Vercingetorìge. Cesare, dalla Cisalpina, si precipitò in Arvernia, dove pose l’assedio al centro fortificato di Gergovia, presso Clermont-Ferrand. In quel momento, fallita l’incursione nella città, anche gli Edui rialzarono il capo Cesare si diresse, verso nord, per ricongiungersi col suo legato Tito Labieno – insieme si misero in marcia contro Vercingetorìge, il quale rifiutando ogni battaglia campale, si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia. Dopo un lungo assedio, la roccaforte capitolò: Vercingetorìge fu inviato a Roma, ove sei anni dopo sarebbe stato fatto sfilare dinanzi il carro trionfale di Cesare per poi essere decapitato ai piedi del Campidoglio. Dal 51 a.C. Cesare provvide per proprio conto, senza quindi alcuna istruzione da parte del senato, a dare un primo ordinamento alla nuova provincia romana: la Gallia Comata. 3.6 Crasso e i Parti Nel 54 a.C. un’altra importante vicenda si era costituita presso il regno dei Parti, ove Crasso aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica allora in atto, per poter conferire anche a se stesso quella fama di cui godevano Pompeo e Cesare. Nel 53 a.C. senza ascoltare consigli da parte dei suoi legati e del re d’Armenia, si mise in marcia attraverso le steppe della Mesopotamia, senza per giunta aver ottenuto sufficienti informazioni sui luoghi e il modo con cui avrebbe affrontato i nemici. Venuti a contatto con l’esercito dei Parti, i Romani furono travolti, lo stesso figlio di Crasso, morì in battaglia. Elemento di ancor più grave umiliazione fu la perdita delle aquile di sette legioni; fu una delle più pesanti sconfitte mai patite da Roma. Anche la provincia di Siria si trovò minacciata. Vendicare l’oltraggio di questa episodio divenne un imperativo della politica romana tardorepubblicana, da Cesare ad Antonio. Mentre si ritirava, Crasso fu preso e ucciso. 3.7 Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo Nel 54-53 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo a Cesare. Dopo la morte di Crasso e la morte della moglie Giulia, Pompeo iniziò ad accostarsi in misura sempre più accentuata alla fazione ottimate anticesariana. Nel 53 a.C. inoltre, non si era riusciti a eleggere i due consoli e fu proposto di nominare Pompeo dittatore. L’anarchia l’anno seguente raggiunse il proprio apice: sulla via Appia, le bande armate di Clodio, che aspirava alla pretura, si scontrarono con quelle di Milone, candidato al consolato – il primo dei due perse la vita. Per evitare ulteriori tumulti, Pompeo venne eletto console senza collega; fece votare leggi repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio, sebbene precario. Gli avversari di Cesare premevano per il suo ritorno a Roma, sostenendo la revoca del proconsolato, per poterlo poi accusare, da privato cittadino, circa il modo e i metodi con cui aveva condotto la guerra, nonché in merito alla legittimità della guerra stessa. Cesare per evitare procedimenti contro di sé, avrebbe dovuto rivestire il consolato senza interruzioni al proconsolato. Doveva presentare la sua candidatura restando assente da Roma, cosa che poté realizzare grazie a una legge ad personam, che i dieci tribuni della plebe avevano fatto votare nel 52 a.C. Per contro Pompeo proponeva un provvedimento che prescriveva un intervallo di cinque anni tra una magistratura e una promagistratura. Dal 51 a.C. cominciò fra Cesare e i suoi avversari una lotta a colpi di cavilli e espedienti giuridici, tesa a raggiungere, da parte di Cesare, l’estensione del suo comando fino a tutto il 49 a.C. per poi potersi candidare al consolato del 48 a.C. “in assenza”; mentre da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare già dal 50 a.C. Con la nuova procedura diveniva molto piu’ facile rimpiazzare Cesare, grazie ad essa il suo successore al governo della provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una magistratura quinquennale o in piu’ anni prima. Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine ai continui colpi di contese interpretative, un tribuno, Caio Scribonio Curione, propose che si abolissero contemporaneamente tutti i comandi straordinari, e di Cesare, e di Pompeo. Lo stesso anno il senato si pronunciò a larga maggioranza a favore della deposizione della cariche dei due proconsoli. Nel 49 a.C. Cesare dichiarava che sarebbe stato disposto a deporre il suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto, i suoi avversari insistettero e ottennero perché fosse lui ad abdicare unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il senatus consultum ultimum contro Cesare, affidando a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Appresa questa decisione Cesare, varcò in armi il torrente Rubicone, dando così inizio alla guerra civile. Pompeo e molti dei senatori, con l’aggiunta dei consoli abbandonarono la città diretti a Brindisi, per imbarcarsi verso Oriente. Cesare adducendo a propria giustificazione la tutela dei diritti del popolo e della propria dignitas, percorse rapidamente l’Italia, ma non riuscì a fermare il trasferimento in Grecia che i suoi avversari si accingevano a preparare. Cesare affrontò quindi la minaccia delle forze pompeiane in Spagna con le sue truppe concentrate in Gallia – assali dunque i pompeiani presso Ilerda, che vennero sconfitti. Tornato a Roma, rivestì la carica che Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in sua assenza, di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali, i quali lo elessero console per l’anno 48 a.C. Mentre Pompeo stabiliva il suo quartier generale a Tessalonica, le sue navi battevano l’Adriatico per impedire eventuali sbarchi di Cesare – il quale compì la traversata in inverno, riuscendo a traghettare le sue legioni, per poi porre sotto assedio Durazzo, ma fu respinto. Avanzò verso la Tessaglia, inseguito da Pompeo, che poteva contare su un consistente esercito al suo seguito. Lo scontro ebbe luogo a Farsalo nell’agosto del 48 a.C. e si tradusse nella disfatta pompeiana, al seguito della quale Pompeo fuggì in Egitto, contando di trovare rifugio presso i figli di Tolomeo XII Aulete – nel regno era però in corso una contesa dinastica fra Tolomeo XIII e Cleopatra VII, così i consiglieri del re, giudicando compromettente accogliere Pompeo, lo fecero assassinare. Cesare, giunto ad Alessandria, compianse la misera fine del rivale, trattenendosi oltre un anno allo scopo di dirimere le lotte tra i due fratelli e di assicurarsi l’appoggio di quel ricchissimo regno. Assediato dei partigiani di Tolomeo, Cesare affrontò in battaglia il re che fu rovinosamente sconfitto e trovò la morte nel Nilo. Partito Cesare, Cleopatra fu confermata regina d’Egitto e diede alla luce suo figlio, Tolomeo Cesare. Lo stesso anno, il 47 a.C., Farnace, figlio di Mitridate, aveva tentato di approfittare della situazione, per recuperare i territori paterni. Cesare marciò senza indugi verso di lui, sconfiggendolo a Zela, nel Ponto. In seguito, partì alla volta dell’Africa, dopo aver sostato brevemente a Roma, per far fronte ai pompeiani vinti, che si erano assicurati l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Nel giro di pochi mesi, Cesare conseguì una vittoria definitiva a Tapso e suicidatosi Giuba, il suo regno divenne una nuova provincia romana, chiamata Africa nova. A Roma, celebrò i trionfi sulla Gallia, sull’Egitto, su Farnace e Giuba e verso la fine dell’anno riparti per la Spagna dove i suoi avversari avevano rialzato il capo sotto la guida dei figli di Pompeo, Cneo e Sesto. Nel marzo del 45 a.C. a Munda, l’esercito nemico fu distrutto, solo Sesto Pompeo si salvò con la fuga. Cesare ormai padrone della situazione, poteva tornare a Roma a completare la sua opera di riorganizzazione politica. 3.8 Cesare dittatore perpetuo Tornato a Roma, poté continuare la sua opera di riorganizzazione politica, già anticipata negli anni precedenti, specie quando nel 46 a.C. ricoprendo il suo terzo consolato (dopo il venne rivisto il sistema tributario provinciale. Fu regolamentata la durata dei governatori, limitandola ad un anno per i propretori, a due per i proconsoli. Vennero disciolte le associazioni popolari che tanto avevano contribuito ai torbidi degli anni precedenti riportando i collegia alle loro funzioni originarie di corporazioni religiose o di mestiere. Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il numero di beneficiari che era lievitato considerevolmente, fu ridotto tramite il depennamento degli abusivi e l’introduzione di un numero chiuso di aventi diritto. Fu realizzato un vasto programma di colonizzazione e distribuzione di terre per i numerosissimi veterani di Cesare e tra i cittadini meno abbienti, in parte in Italia ma soprattutto nelle province (Spagna, Gallia, Africa, Asia, Grecia). 3.9 Le idi di marzo Nel 44 a.C. mentre si prepara la campagna contro il regno dei Parti, a Roma venne messa in giro la voce che quest’ultimo sarebbe potuto essere vinto solo da un re, alimentando i sospetti di aspirazione monarchiche da parte di Cesare. Fu ordita una congiura, guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, prima della sua partenza per l’impresa partica: alle idi di marzo del 44 a.C. Cesare cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori nella curia di Pompeo, in Campo Marzio, dove doveva presiedere una seduta del senato. Agonia della repubblica 4.1 L’eredità di Cesare; la guerra di Modena Eliminato Cesare, i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare i suoi principali collaboratori, Marco Emilio Lepido e il collega al consolato del 44 a.C. Marco Antonio, uno dei suoi più fidati luogotenenti. Mostrarono la totale mancanza di un programma che andasse oltre l’omicidio del dittatore e di una generica proclamazione della libertà repubblicana, fino a quel momento minacciata. Fu stabilito che, dopo il consolato, ad Antonio sarebbe toccata la Macedonia, dove si stavano concentrando le truppe sul fronte partico, e la Siria a Publio Cornelio Dolabella – prima destinato a sostituire Cesare, quando si sarebbe assentato per condurre la guerra contro i Parti. Nella politica di compromesso inaugurata da Antonio, e ratificata dal senato, trovavano spazio anche i congiurati cui sarebbe spettato il governo di alcune provincie, tra cui la Gallia Cisalpina. La dittatura fu abolita dalle cariche di Stato e Antonio approfittò del possesso delle carte di Cesare (testamento e documenti) per varare nel corso dell’anno una serie di progetti che gli valsero una grande popolarità, facendone l’unico interprete della volontà di Cesare e il continuatore spirituale. Alla lettura del testamento, si scoprì che era stato nominato suo erede effettivo per tre quarti dei beni, suo figlio adottivo, il giovane Caio Ottaviano, suo pronipote. Alla morte del dittatore, il futuro erede si trovava ad Apollonia, fra i soldati che stavano affluendo per la campagna partica, per completare la propria istruzione e attendere l’arrivo del prozio, che intendeva averlo come magister equitum (luogotenente del dittatore, cui veniva assegnato un imperium) nell’impresa. Tornato a Roma, reclamò ufficialmente l’eredità e onorò gli ingenti lasciti di denaro previsti + la celebrazione della memoria del padre adottivo e la vendetta della sua uccisione concentrò in tal modo su di sé, l’appoggio dei cesariani e dei veterani, altri videro in lui un modo per arginare il potere di Antonio, sempre crescente. Quando, alla fine del suo consolato, Antonio si era fatto assegnare al posto della Macedonia le due province della Gallia Comata e Cisalpina, Decimo Bruto rifiutò di cedergliela e si rinchiuse a Modena, assediata da Antonio – “guerra di Modena” (43 a.C.) – il senato, nel frattempo, ordinò ai consoli, Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa, di muovere soccorso a Decimo Bruto (non senza una considerevole spinta di Cicerone, che accusava Antonio della sua condotta prevaricatrice). I consoli morirono nello scontro. Antonio, battuto, fu costretto a ritirarsi verso la Narbonese, dove contava di unire le sue forze a quelle di Lepido. 4.2 Il triumvirato costituente (cosiddetto ‘’Secondo triumvirato’’) le proscrizioni; Filippi Dopo che entrambi i consoli erano scomparsi, Ottaviano chiese al senato il consolato per sé e ricompense per i suoi soldati. Al rifiuto non esitò a marciare su Roma, sì che nel 43 a.C. venne eletto console, insieme al cugino Quinto Pedio. Istituirono un tribunale speciale per perseguire gli assassini di Cesare + Ottaviano fece ratificare la sua adozione dei comizi curiati, fregiandosi del nome di Caio Giulio Cesare (non usò mai il cognome Ottaviano). Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico, in occasione della guerra di Modena, nell’ottobre di quell’anno, Ottaviano, Antonio e Lepido s’incontrarono nei pressi di Bologna, dove stipularono un accordo, poi fatto sancire da una legge votata dai comizi tributi (lex Titia), in base alla quale: • Veniva istituito un triumvirato rei publicae constituendae, che diventava una magistratura ordinaria (detto triumvirato costituente o secondo triumvirato) per una durata di cinque anni, fino al 38 a.C. • Conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo + designare i candidati alle magistrature. • Antonio avrebbe conservato il governo della Galli a Comata e Cisalpina. • Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le Spagne • Ottaviano avrebbe ottenuto l’Africa, la Sicilia e la Sardegna, la Corsica (l’Oriente era in mano ai cesaricidi , Bruto e Cassio). Ad Ottaviano spettò la parte peggiore: Sicilia e Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, sopravvissuto alla guerra in Spagna, a cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali, che gestiva ormai in modo proprio. Vennero create delle liste di proscrizione, coi nomi dei cesaricidi e dei nemici ai triumviri, primo fra questi, Cicerone. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Sistemata la situazione politica a Roma, i triumviri poterono dirigersi verso Oriente alla volta di Bruto e Cassio, ma prima si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò Ottaviano, che divenne Divi filius. Lo scontro coi cesaricidi, avvenne a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. Da un lato Ottaviano si trovò subito in difficoltà, dall’altro Antonio vinse Cassio e poi Bruto, entrambi suicidatisi. In quel tempo, inoltre, a causa della decimazione per le liste di proscrizione e i disordini interni, si realizzò un mutamento radicale nella composizione e nella mentalità delle élites di governo, che contavano molte meno famiglie della più antica aristocrazia e la mancanza di una grossa parte dell’opposizione senatoria, più conservatrice. 4.3 Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Antonio, uscito vincitore dagli scontri coi cesaricidi, poté cumulare al comando sulle Gallie, anche quello su tutto l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico come fedele continuatore dell’opera di Cesare. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano ebbe le Spagne + il compito di sistemare i veterani delle legioni congedate e il confronto con Sesto Pompeo, a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. Ottaviano fu costretto ad espropriare numerose terre in Italia da poter assegnare ai veterani, per cui furono colpiti piccoli e medi proprietari terrieri. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in una rivolta con a capo Lucio Antonio e Fulvia (fratello di Antonio e console + moglie di Antonio): gli insorti si rifugiarono a Perugia, città che venne espugnata e saccheggiata (Bellum Perusinum), molti fuggirono a infoltire le fila di Sesto che s’era impadronito di Sardegna e Corsica, impedendo i rifornimenti di Roma e dell’Italia. Ottaviano inoltre aveva potuto appropriarsi delle Gallie, ove era morto il legato di Antonio. 43 a.C. Ottaviano, Marco Antonio e Lepido sanciscono il “secondo triumvirato” 42 a.C. Battaglia di Filippi 40 a.C. Bellum Perusinum 37 a.C. Accordi di Taranto 36 a.C. Battaglie di Milazzo e Nauloco + deposizione di Lepido dalla carica di triumviro. 32 a.C. Ufficiale rottura fra Ottaviano e Marco Antonio + dichiarata guerra contro Cleopatra 31 a.C. Battaglia di Azio 30 a.C. Presa di Alessandria + morte di Antonio e Cleopatra 4.5 Lo scontro finale; Azio Nel 32 a.C. il triumvirato si avviava verso la naturale scadenza: i consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio chiesero la ratifica delle decisioni di Antonio prese in Oriente, ma Ottaviano ne impedì l’approvazione al senato così entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia, rifugiandosi presso Antonio. Il prestigio del triumviro accresceva in questo modo, ma dall’altro lato Ottaviano, riuscito ad impossessarsi del testamento del rivale, rivelò che desiderava essere sepolto ad Alessandria con Cleopatra e attribuiva regni ai figli avuti con la regina. Ottaviano invece faceva costruire la sua tomba in Campo Marzio, restando più vicino e fedele a Roma e riuscì a ottenere la caduta della carica di triumviro per Antonio e la negazione del suo consolato, stabilito per l’anno seguente. Presentandosi come il difensore di Roma e dell’Italia, Ottaviano si avviò a dichiarare guerra a Cleopatra, indicandola come nemico, evitando in tal modo che si aprisse almeno formalmente una seconda guerra civile. Ad Azio, nel settembre del 31 a.C. Agrippa vinse una battaglia navale per conto di Ottaviano, che consegnava lui la vittoria della guerra; la quale costrinse Antonio e Cleopatra a rifugiarsi in Egitto. Ottaviano giunse allora sino ad Alessandria, che presa, conobbe il suicidio della regina e del generale romano. L’Egitto fu dichiarato provincia romana. Parte quarta L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo Augusto 1.1 Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del Principato Nel 31 a.C. dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio, si trovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano; tuttavia la conclusione delle guerre civili lasciava aperta la spinosa questione della veste legale da dare al potere personale del vincitore. La morte di Cesare aveva infatti decretato il fallimento di un regime apertamente monarchico che rinnovasse le istituzioni repubblicane. La soluzione adottata dal suo erede, restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nella sostanza, permise invece l’instaurazione del Principato che convenzionalmente si fa risalire al 31 a.C. – voleva dire un regime istituzionale incentrato sulla figura di un unico reggitore del potere, il princeps. La progressiva integrazione in senato di élites delle diverse regioni dell’Impero e il ruolo politico e sociale degli eserciti stanziati nelle province permetteranno la costruzione di una “storia romana” come “storia dell’Impero” intesa come storia del rapporto e dell’integrazione di territori e popolazioni rispetto al centro di potere. 1.2 Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la restaurazione della Repubblica del 27 a.C. Nel 29 a.C. quando Ottaviano tornò in Italia gli vennero decretati tre trionfi: per le campagne dalmatiche, la vittoria ad Azio e la vittoria sull’Egitto. L’inizio del riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale si ebbe però solo nel 27 a.C. quando Ottaviano, il 13 gennaio, in una seduta del senato, rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per dieci anni sulle province non pacificate. Qualche giorno più tardi il senato lo proclamò “Augusto”, epiteto che lo sottraeva dalla sfera politica per proiettarlo direttamente in quella sacrale + gli donarono la corona civica e uno scudo d’oro, che fu appesa nell’aula del senato, sul quale erano elencate le virtù di Augusto: virtù – clemenza – giustizia – pietà verso gli dèi e verso la patria. Nel Res Gestae scrisse: “Successivamente fui superiore a tutti per autorità, pur non possedendo un potere superiore a quello degli altri che mi furono colleghi nelle magistrature”. La nuova organizzazione dello Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai non più adeguate. Il principe si poneva come punto di riferimento e equilibrio fra le diverse componenti della nuova realtà, che ora poteva chiamarsi “imperiale”: l’esercito, le province, il senato, la plebe urbana. 3. La crisi del 23 A.C. Augusto alternerà dei periodi triennali di permanenza nelle province a periodi biennali di permanenza a Roma, anche per mostrare l’impegno nel compito assegnatoli di pacificare le province che ancora non erano completamente sottomesse al dominio romano. Nel 23 a.C. si verificò una crisi, Augusto si ammalò seriamente e non pochi furono i problemi che venivano a crearsi circa la questione della successione del principe. Il regime presupponeva che alla testa dello Stato ci fosse un monarca, ma la mancanza di precedenti e di prassi per la successione creavano i presupposti per un vuoto di potere. Augusto pensò al genero Marcello, marito di sua figlia Giulia. Questi però morì e la vedova fu data in moglie ad Agrippa, che divenne il successore designato. Augusto non mancò di “consegnare” formalmente il suo potere attraverso i simboli di esso (il suo anello e la lista delle sue legioni) ad Agrippa e al console quell’anno in carica, mostrandosi giusto anche in punto di morte. Il problema della successione non costituì un problema, dal momento che Augusto guarì e almeno per il momento la situazione poteva restare come stabilita. Una vicenda, quest’ultima, che narra l’imprecisione dei poteri imperiali fino a quel momento stabiliti. Dopo aver deposto il consolato nel 27 a.C. ottenne l’imperium proconsolare, con la possibilità di agire su tutte le province: un potere, definito imperius maius, che però non gli consentiva di agire nella vita politica a Roma. Per ovviare a questo inconveniente ricevette dal senato il potere di tribuno della plebe, vitalizio, godendo della sacrosanctitas e della possibilità di convocare i comizi e porre il veto. Le elezioni del consolato, rimasto libero dal 27 a.C. avevano potuto riprendere con regolarità, lasciando posto all’aristocrazia senatoria, sebbene Augusto poteva controllarle attraverso due procedure, la nominatio (l’accettazione della candidatura da parte del magistrato) e la commendatio (la raccomandazione da parte dell’imperatore stesso). 1.4 Il perfezionamento della posizione di preminenza Nel 22 a.C. in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura e assunse la cura annonae, provvedendo all’approvvigionamento di Roma + in questi anni si reca sul 1.7 L’esercito, la ‘pacificazione’ e l’espansione – 1.8 La successione Furono congedati 300 mila veterani, che ricevettero perlopiù terre e in seguito denaro – la creazione di una cassa speciale nel 6 d.C., erario militare, finanziata dai proventi di una tassa sulle eredità, garantì al soldato che avesse ottenuto l’honesta missio, un premio di congedo. Un’altra innovazione fu l’istituzione della guardia pretoriana – un corpo militare d’élite, composto da 9 mila uomini, che godeva di privilegi quali un soldo più elevato e migliori condizioni di servizio, essendo stanziato presso Roma. I poteri che Augusto aveva ricevuto dal senato in diverse circostanze e che ne avevano costituito l’auctoritas, non costituivano una vera e propria carica a cui, dopo la sua morte, qualcuno potesse succedere. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe ricevuto non solo il patrimonio, ma anche un prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e un ruolo singolare nella res publica. Tramite una carriera magistratuale eccezionalmente abbreviata e coll’attribuzione di poteri straordinari (potestà tribunizia e imperium proconsolare in primo luogo) l’erede, veniva designato alla successione delle funzioni pubbliche del princeps. Marcello, suo genero mori nell’anno critico 23 a.C., mentre Agrippa nel 12 a.C., dopo che Augusto adottò i suoi figli, Caio e Lucio Cesare, ancora troppo piccoli per designarli alla successione e che tuttavia sarebbero morti nel giro di pochi anni, nel 2 e nel 4 d.C. Augusto si rivolse ai figli della moglie Tiberio e Druso, il primo dei quali, aveva sposato una delle figlie di Agrippa del suo primo matrimonio, e fu costretto a divorziare per sposare la vedova Giulia nell’11 a.C. – il matrimonio non durò a lungo, nel 2 a.C. quando Tiberio tornò a Roma dopo un autoesilio nell’isola di Rodi, forse per i cattivi rapporti con la coniuge, aveva già sciolto il matrimonio in seguito ad uno scandalo che la coinvolse. Augusto pretese da Tiberio che adottasse Germanico, figlio del fratello Druso Maggiore (Druso Minore è il figlio di Tiberio) e nel 4 d.C. Augusto adottò contemporaneamente Tiberio, cui furono attribuiti l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia. Nel 13 d.C. celebrò un trionfo su Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, cosicché potesse intervenire in tutte le provincie e l’esercito potesse essere al suo comando. 1.9 L’organizzazione della cultura La celebrazione della pace e della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura e in generale nel coinvolgimento degli intellettuali. Altri momenti importanti di esaltazione della figura di Augusto e di diffusione a Roma e nelle province dell’ideologia provvidenzialistica furono le celebrazioni di particolari ricorrenze e l’istituzione di un vero e proprio culto della sua persona. Il suo compleanno era celebrato pubblicamente. A ciò si aggiunse nelle province orientali, l’istituzione di un vero e proprio culto dell’imperatore che veniva celebrato congiuntamente a quello della dea Roma. In occidente invece il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato. I Giulio Claudi La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio ereditò l’auctoritas e l’iniziativa politica di Augusto, si rivelò l’impossibilità da parte del senato di concepire un ritorno alla Repubblica. Tra il 14 d.C. e il 68 d.C. il potere rimase nelle mani della famiglia Giulio-Claudia, discendenti della famiglia degli Iulii, cui Augusto apparteneva dopo l’adozione da parte di Giulio Cesare, e dei Claudii, della famiglia cioè di Ti. Claudio Nerone, primo marito di Livia. La successione, alla morte di Tiberio non andò a favore di Germanico, morto nel 19 d.C., come aveva previsto Augusto, ma di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non era stato adottato da Tiberio e non aveva condiviso con lui imperium proconsolare, né potestà tribunizia era una designazione che si basava solo sulla linea familiare, prescindendo dalla carriera politico-militare. Alla morte di Caligola, il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando al fratello, nonché zio del defunto imperatore, Claudio, primo princeps completamente esterno alla casa Giulia. Ultimo esponente della famiglia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus principis, una famiglia nobiliare diversa, quella dei Domizi. Nerone infatti era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto; dunque della famiglia Claudia e di quella Giulia solo per parte di madre, in quanto figlia di Agrippina min adozione: fu adottato da Claudio che aveva sposato Agrippina. 2.2 Tiberio (14-37 d.C.): Malgrado la poca simpatia del predecessore verso di lui, il suo governo fu una positiva prosecuzione d augusteo. I tratti negativi del suo carattere, la diffidenze e forse l’invidia nei confronti di personaggi della popolari di lui, sottolineati fortemente dalle fonti, oscurano la sua volontà di rispettare le forme di repubblicano già valorizzate da Augusto: il rifiuto da lui più volte ribadito di onori divini dimostra il su tradizionalista. Tiberio fu amministratore accorto dello Stato, capace di affrontare anche difficili problemi di ordine eco Durante il suo periodo si poté assistere al passaggio delle votazioni dai comizi al senato + all’opposiz rivendicava l’autonomia decisionale e la libertas senatoria. Germanico, scrive Svetonio: “riuniva in un grado mai raggiunto da nessuno tutte le qualità fisiche e mo bello e valoroso senza paragoni, possedeva doti di eloquenza e cultura, era straordinariamente buono conciliarsi la simpatia e l’affetto di chi lo circondava”, ma Tiberio per impedirgli di proseguire il suo di conquiste in Germania, lo mandò in Siria, dove dovette condividere il comando dell’esercito col pr Calpurnio Pisone. Germanico morì avvelenato e pare che Pisone si suicidò per prevenire la condanna. f u e r e d e o r e e p e r Downloaded by francesco pollaro ([email protected]) file:///C:\Users\franz\Desktop\Nuova cartella\g-geraci-a-marcone-storia-romana.pdf Si trattava di affrontare il problema della successione, alla quale erano candidati Druso Minore (figlio di Tiberio), morto però già nel 23 d.C., e uno dei tre figli di Germanico e Agrippina, la quale creò un contrasto politico contro Tiberio. Una svolta, intanto, nel suo governo si ebbe nel 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un considerevole potere personale, guadagnandosi la fiducia di Tiberio, di cui fu collaboratore efficiente. Una posizione che era andata affermandosi, anche grazie al ritiro del princeps da Roma, per rifugiarsi a Capri, nella famosa villa Iovis Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio, dominando la scena politica a Roma in quegli anni. Chiese di sposa la vedova Livilla, prima moglie di Druso Minore e dichiarò Agrippina nemico pubblico, facendo imprigionare i suoi due figli maggiori, con l’accusa di tramare contro l’imperatore: aspirava infatti alla successione. Solo Antonia, la madre di Germanico, moglie di Druso Maggiore, riuscì a risvegliare in Tiberio i sospetti su Seiano, che fu processato e condannato. Negli ultimi anni, mentre Tiberio si tratteneva a Capri, scoppiò una grave crisi finanziaria e molte furono le voci di opposizione al regime, che provenivano da senato o dai sostenitori di Seiano. Rimaneva aperto peraltro il problema della successione, il quale vedeva la propria risoluzione nelle unici eredi rimasti in vita, Tiberio Gemello (figlio di Druso Minore) e Gaio detto Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico. Vennero nominati eredi congiunti, ma nel 37 d.C. il senato riconobbe come unico erede, il maggiorenne Caligola, che s’impegnò ad adottare Tiberio Gemello, il quale morì lo stesso anno. 2.3 Caligola (37-41 d.C.): L’impero di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico, fu relativamente breve ed è ricordato per le sue stravaganze senza limiti, amplificate da una storiografia ostile. Accolto con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe, tra i quali il ricordo del padre era molto popolare, il giovane inaugurò una politica di donativi, grandi spettacoli e piani edilizi che portarono all’esaurimento delle riserve finanziarie lasciate da Tiberio. Molto più freddo era l’atteggiamento del senato, descritto dallo storico di sentimenti filosenatori Svetonio, come un folle tiranno, disinteressato al governo dell’Impero e preoccupato di rafforzare il suo potere personale. La sua forma di dispotismo ricorda la concezione della monarchia orientale. Nel 40 d.C. fa uccidere re Tolomeo di Mauretania, nipote di Antonio, dando inizio a una guerra che si concluse sotto Claudio. In Oriente si curò di ripristinare un sistema di Stati cuscinetto, con i cui sovrani aveva relazioni personali di amicizie. Con gli Ebrei però nacque uno dei conflitti più aspri che segnò il suo regno: per affermare la propria divinità, volle porre una sua statua nel tempio di Gerusalemme, suscitando non poche proteste, per il gesto sacrilego – violenti conflitti nella Giudea e in Oriente emersero in seguito alla vicenda. Mori nel gennaio del 41 d.C. vittima di una congiura ordita dai pretoriani e colla sua morte si evitò il conflitto in Giudea. [Questo periodo è molto ben documentato grazie allo storico Flavio Giuseppe e dal filosofo Filone di Alessandria]. 2.4 Claudio (41-54 d.C.) Descritto dalle fonti antiche come uno sciocco e un inetto, Claudio, per le sue realizzazioni in politica interne ed estera sembra contraddire questa presentazione. Una significativa riforma fu la divisione in quattro grandi uffici dell’amministrazione centrale: un segretario generale e altri tre per finanze, suppliche e istruzione dei processi da tenersi davanti all’imperatore. A capo di questi dipartimenti furono chiamati dei liberti – sì che l’impero di Claudio fu ricordato come “il regno dei liberti”. La sua linea politica di razionalizzazione dei servizi lo portò a cercare nuove soluzioni ai problemi di approvvigionamento idrico e granario. Fece costruire il porto di Ostia. Affrontò nella prima parte del suo principato, le questioni lasciate in sospeso da Caligola: affrontò la guerra in Mauretania, a cui pose fine con l’organizzazione del regno in due province e modificò anche l’assetto dei regni clienti istituiti in Oriente dal predecessore. L’impresa militare poi più rilevante fu nel 43 a.C. colla conquista della Britannia meridionale, ridotta a provincia. Molti furono gli intrighi di corte durante il suo regno, sposò in terze nozze la dissoluta Messalina, messa a morte nel 48 d.C. con l’accusa di tramare contro l’imperatore. Sposò Agrippina quindi, sua nipote, la quale gli fece adottare il figlio avuto da precedente matrimonio, Lucio Domizio Enobarbo Nerone . 2.5 La società imperiale Alla base della concezione antica della società, vi era l’assunto che vi dovessero essere una articolazione e una differenza dello status giuridico delle persone. La schiavitù era divenuta un fenomeno caratteristico della società e dell’economia a partire dalla tarda Repubblica. Una categoria particolarmente importante è rappresentata dagli schiavi imperiali, la familia Caesaris, impiegati nella gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio imperiale ed organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Ricchezza e potere non davano automaticamente accesso a un ceto superiore. Lo schiavo che riusciva ad acquistare la liberttà con il patrimonio personale che il padrone gli lasciava acquisire nell’esercizio della sua attività oppure rimaneva legato al proprio ex padrone da un rapporto di clientela e spesso aveva delle limitazioni per quanto riguardava la vita pubblica e l’accesso alle magistrature sia a Roma che nei municipi. I liberi rappresentarono il ceto economicamente piu’ attico. Potevano raggiungere forme di promozione sociale ricoprendo cariche all’interno delle associazioni professionali e dei collegi costituiti per il culto imperiale nei municipi. Un altro gruppo molto rilevante all’interno della società romana era costituito dai provinciali liberi che comprendeva gli abitanti delle polis greche cosi come quelli dei villaggi dei Britanni o i nomadi del deserto. L’imperatore poteva intervenire nelle questioni interne relative allo status e ai privilegi dei diversi gruppo. Il princeps poteva promuovere i ceti dirigenti cittadini o intere città concedendo la cittadinanza romana a singoli individui per meriti particolar, a città o a categorie di persone. I cittadini romani godevano di particolari garanzie personali e dell’immunità da tasse e obblighi che gravavano sui provinciali anche se tali privilegi materiali vennero via via diminuendo. 2.6 Nerone (54-68 d.C.) Il consolidamento del potere e l’istituzionalizzazione della figura del princeps avevano mostrato la debolezza dei residui della tradizione repubblicana nel governo dello Stato. L’inizio del suo principato si fonda quindi su premesse completamente differenti da quelle previste da Augusto. Il De Clementia, opera del filosofo e precettore di Nerone, L. Anneo Seneca, presenta il mutamento della concezione del potere; si tratta di un manifesto teorico e programma di governo per il giovane imperatore: Data Event o 27 a.C. Restaurazione della repubblica + Ottaviano ha il compito di pacificare le province + il senato gli concede il cognome di Augustus. 23 a.C. Crisi del 23, con malattia di Augusto. 22/ 19 a.C. Augusto recupera le insegne delle legioni di Crasso e Antonio presso i Parti. L’Impero ormai non ruotava più intorno alla capitale, le legioni erano in grado di imporre il loro volere pur trovandosi a grande distanza, secondo un processo che vedeva la sempre più crescente importanza delle province nel 69 a.C. furono in quattro a contendersi il titolo di Primo dello Stato. ■ Servio Sulpicio Galba: anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense; alla notizia della ribellione delle truppe galliche di Vindice (68 d.C.) i suoi soldati lo proclamarono Cesare, ma egli rifiutò il titolo imperiale, ritenendo che i militari non avessero diritto di conferirlo. Grazie poi al suo accordo col senato fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori e accettò il titolo. Galba non seppe guadagnarsi la popolarità e gli appoggi per mantenere il potere e si pose in cattiva luce per i tagli alle spese, cercando di rimediare alla crisi finanziaria nata sotto Nerone. Decise poi di adottare L. Calpurnio Pisone, esponente dell’ordine senatorio, la cui nomina era sgradita ai soldati e a Otone, il giovane governatore della Lusitania. ■ Marco Salvio Otone: amico d’infanzia di Nerone era popolare fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo che Galba fu linciato nel Foro, ebbe l’approvazione anche del senato, fu proclamato imperatore il 15.01.69 e contemporaneamente le legioni sul Reno, non riconoscevano la sua autorità, proclamando imperatore il proprio comandante, il legato della Germania Superiore, Aulo Vitellio. ■ Aulo Vitellio: senatore di rango consolare, aveva rivestito importanti incarichi sotto i Giulio Claudi. In aprile i suoi legati sconfissero le truppe di Otone, presso Cremona, il quale si suicidò. Vitellio fu riconosciuto imperatore quando ancora si trovava in Gallia, ma ebbe gravi difficoltà a regolare la disciplina dei suoi soldati e a fermare quelli che avevano combattuto per Otone. Le legioni danubiane e orientali si ribellarono e proclamarono imperatore Vespasiano. 12. La dinastia Flavia (69-96 d.C.) Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi, che comprende il periodo di Impero di Vespasiano stesso e dei suoi due figli Tito e Domiziano. La dinastia durò fino al 96 d.C. quando la politica di Domiziano suscitò una tale opposizione sia nel senato sia nella sua stessa corte, da portare alla sua uccisione e alla proclamazione di un nuovo princeps. 13. Vespasiano (69-79 d.C.) Il principato di Vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Pur con indole diversa fra loro, tutti gli imperatori flavi si distinsero per un rigido impegno nell’amministrazione imperiale. L’autorità del nuovo princeps fu definita da un decreto del senato (lex de imperio Vespasiani). Il principato di vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Dovette affrontare un grave deficit nel bilancio, provocato alla politica di Nerone e dalla guerra civile, si rivelò anche in questo caso un ottimo amministratore, riuscendo a sanare con diversi provvedimenti il bilancio dello Stato. La politica di integrazione delle province si manifestò colla concessione del diritto latino alle città peregrine della Spagna e con l’immissione in senato di numerosi esponenti delle élites delle province occidentali. Nel 70 d.C. Tito si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il famoso Tempio. Ristabilì definitivamente l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che avevano partecipato alle guerre civili e in Britannia riprese una politica di estensione dei confini nella zona orientale e settentrionale, opera che fu portata a termine da Giulio Agricola sotto il regno di Domiziano. 14. Tito (79-81 d.C.) Vespasiano aveva basato la sua legittimizzazione sulla lex de imperio e sulla regolare assunzione del consolato. Anche per la successione seguì il sistema avviato da Augusto: Tito ricoprì insieme al padre diverse magistrature come consolato e censura, già nel 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia, ma anche i titoli di Augusto e di pater patrie. Il suo breve regno fu chiamato dagli antichi “amore e delizia del genere umano” fu segnato da gravi calamità naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio, nel corso della quale morì Plinio il Vecchio. La popolarità di Tito era legata a una politica di munificenza, giustificata dai catastrofici eventi, che si discostava dalla parsimonia del padre. 15. Domiziano (81-96 d.C.) La sua fama risente dell’ostilità della tradizione storiografica. Il suo regno è contraddistinto da uno stile di governo autocratico e quindi inviso al senato, ma la sua azione politica fu efficace e benefica per l’Impero. Si preoccupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre, assegnando loro alcuni uffici che Claudio aveva affidato ai liberti. La scelta di rinunciare a ulteriori conquiste militari a favore di operazioni di consolidamento della frontiera, sul Reno, sul Danubio e in Britannia, risultò realistica e lungimirante. Il territorio fu controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati, presidiati dai soldati, e collegati fra loro da una rete di strade sul limes (confine dell’Impero). La linea di fortificazioni aveva alle spalle i castra in cui si erano stabiliti i legionari – cosicché Domiziano potesse garantire la sicurezza di tutta la zona a sud delle linea del limes, cui si fa riferimento specie lungo il confine con Germani e Celti, oltre il corso del Reno. In Dacia, nel 85 il re Decebalo era riuscito a unificare alcune tribù e a guidarle in varie incursioni nel territorio romano. Furono organizzate due campagne, la seconda delle quali guidata da Vespasiano stesso, che non ebbe successo per la rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperatore dalle sue legioni, che costrinse Domiziano a una pace provvisoria. La rivolta di Saturnino ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che continuando a sentirsi minacciato, inaugurò un periodo di persecuzioni volte a eliminare le persone sospette di tramare contro l’imperator o in una posizione tale da costituire un rischio potenziale. Domiziano nel 96 cadde vittima di una congiura, dopo una serie di processi intentati contro senatori e presunti simpatizzanti per la religione cristiana, accusati di praticare culti non ufficiali. Il senato dopo la sua morte proclamò la damnatio memoriae, decretando l’abbattimento delle sue statue, la cancellazione del suo nome dalle iscrizioni e la distruzione di ogni suo ricordo. Il sorgere del cristianesimo Il cristianesimo che nasce dall’ebraismo, viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo, scaturita dalla predicazione del suo fondatore, Gesù Cristo, nato a Nazareth, in Galilea, al tempo di Augusto e morto durante il principato di Tiberio. Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla Sua predicazione, alla diffusione del suo messaggio, la “buona novella”. Il cristianesimo nacque come movimento interno al giudaismo e tra i diversi gruppi religiosi nei quali quest’ultimo era articolato si distinguevano gli aristocratici e conservatori (sadducei) e i popolari e liberali (farisei); a questi venne ad aggiungersi la comunità degli esseni, che conducevano un’esistenza rigorosa, vivendo isolati dal resto della comunità ebraica. Un altro partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma era quello degli Zeloti , i cui tentativi di autonomia non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione di due grandi rivolte ebraiche nel 66-70 d.C. e nel 132-135 d.C. quando Gerusalemme fu rasa al suolo. Per la maggior parte degli ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il cristianesimo: mentre i primi si dedicavano alla meticolosa osservanza della Legge di Mosè, il secondo proponeva la religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per tutta l’umanità. Nel I sec. d.C. la figura che tra i predicatori e seguaci si impone sulle altre è quella di Paolo di Tarso – prima uno zelante fariseo impegnato nella persecuzione della primitiva ecclesìa (= comunità dei fedeli). Dalle sue lettere emerge la consapevolezza che l’idea di una missione universale della Chiesa rivolta all’umanità intera implicava di fatto una rottura con il conservatorismo giudaico, chiuso nella difesa della idee e dei costumi. Dal II sec. poi le comunità cristiane si organizzarono secondo strutture guidate da un singolo responsabile, detto, episcopus. 4.3 Adriano (117-138 d.C.) Traiano lo aveva voluto al suo fianco già nella prima guerra dacica come questore e in seguito lo aveva cercato come fedele collaboratore nella guerra partica, assegnandogli l’incarico di governare la provincia di Siria e, quando si ammalò, il comando dell’esercito per sedare la rivolta degli Ebrei in Mesopotamia e Cirenaica. Adriano dopo la sua proclamazione e approvazione come imperatore, abbandonò la politica di controllo diretto delle nuove province orientali, create da Traiano e preferì affidarle a sovrani clienti, inaugurando un sistema di consolidamento interno e mettendo fine alle guerre di espansione volute dal predecessore. Fu comunque un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare e creò nuove unità, dette numeri, formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non romanizzate tra le quali erano reclutati. Per acquistare la pubblica benevolenza si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti arretrati contratti a Roma e in Italia, colla cassa imperiale. Fu poi uomo di grande cultura, favorendo l’arte, la letteratura, le tradizioni e i culti, interessato specie al mondo ellenico, cui volle fare omaggio restaurando lo splendore di Atene e delle poleis greche. Si impegno nel controllo della situazione finanziaria + incoraggiò la promozione delle élites orientali nel senato di Roma. Gran parte del tempo lo passò nelle province ove fece costruire numerose fortificazioni che avevano lo scopo di controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi e le attività economiche legate alla transumanza. Nel 132 d.C. dovette affrontare una ribellione degli Ebrei, guidata da Simone Bar Kochba; questo fenomeno sembra sia stato avvertito come una grave minaccia per l’Impero, come dimostra la violenta e spietata repressione. Dodici, dei suoi ventuno anni a capo dello Stato, li trascorse fuori da Roma e dall’Italia, acquisendo una conoscenza dettagliata delle situazioni locali e dei meccanismi del funzionamento finanziario e amministrativo dell’Impero. Si preoccupò personalmente di dare una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali. Si adoperò poi per un’efficace amministrazione della giustizia e a tale scopo l’Italia fu divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare. Avvertì l’importanza del ceto equestre per l’amministrazione finanziaria e ne riorganizzò la carriera e introdusse distinzione fra carriera politica e militare. Come successore Adriano adottò il console Lucio Elio Cesare (136 d.C.), ma morto prematuramente costui, la sua scelta s’indirizzò verso un senatore della Gallia Narbonese, Arrio Antonino, il quale adottò Lucio Vero, figlio di L. Elio Cesare, insieme a un nipote della moglie, Marco Aurelio. 4.4 Antonino Pio (138-161 d.C.) Ol suo regno fu in continuità con quello del predecessore, tuttavia rinunciò a grandi viaggi attraverso l’Impero. Il suo regno è caratterizzato da un periodo sostanzialmente privo di avvenimenti significativi, un segno positivo delle condizioni generali dell’Impero. Ebbe buoni rapporti col senato, dal quale riuscì non senza difficoltà a far divinizzare il suo predecessore + fu un parsimonioso amministratore. Il vallo di Adriano in Britannia fu avanzato nella Scozia meridionale, vallo di Antonino Pio. Un retore greco, Elio Aristide, scrisse un elogio dell’Impero romano, durante il suo governo – venne celebrato in questa occasione come un governo ideale dell’universo. 4.6 Marco Aurelio (161-180 d.C.) Salì al trono dividendo il potere con il fratello adottivo Lucio Vero, primo caso di “doppio Principato” con due imperatori posti su un piano di completa uguaglianza. All’inizio del suo regno si riaprì la questione orientale con la minaccia partica; la guerra fu condotta da Vero e si concluse vittoriosamente nel 166 d.C. L’esercito però tornato a Roma, portò con sé la peste, causa di gravi travagli negli anni successivi. Lo sguarnimento della frontiera settentrionale permise le incursioni di Marcomanni e Quadi, sì che i due imperatori furono prevalentemente impegnati nella difesa della frontiera danubiana e come risposta a questa situazione si creò la “difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi”. Morto Lucio Vero mentre tornava dall’Illirico, Marco Aurelio riuscì a respingere i barbari a nord del Danubio nel 175 d.C. dopo difficili campagne che si protrassero per dieci anni. Sintomo di malessere nell’Impero fu la rivolta del governatore di Siria Avidio Cassio, che nello stesso anno si autoproclamò imperatore, ma fu ucciso dalle sue stesse truppe. Seguace della dottrina stoica e autore di un’opera di riflessione morale dal titolo A se stesso, passa alla storia come l’immagine dell’imperatore-filosofo e con un’alta concezione del proprio dovere verso i sudditi. Con lui si ritorna alla prassi della successione dinastica, al posto della cooptazione della persona più idonea. Durante la sua reggenza significativo fu poi l’episodio dei giochi gladiatori a Lione, con la lotta di condannati contro belve feroci e ove i magistrati locali inflissero ad alcuni cristiani questo supplizio (“martiri di Lione”). 4.7 Commodo (180-192 d.C.) Si dimostrò la perfetta antitesi del padre e segno di come il potere imperiale fosse in balìa a ogni sorta di degenerazione. Per prima cosa concluse definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza e le innovazioni in campo religioso determinarono l’inevitabile rottura col senato di cui egli perseguitò alcuni membri. Dal 182 al 185 d.C. il governo fu in mano al prefetto del pretorio, Tigidio Perenne. Quando questi venne ucciso, il suo posto fu preso da un liberto, Cleandro, che approfittò del disinteresse di Commodo nei confronti delle istituzioni per promuovere dei liberti al senato e rovesciare le decisioni dei tribunali in cambio di denaro. Fra il 190 e il 192 d.C., anno della sua morte, l’imperatore lasciò il governo in mano a un cortigiano, Eclecto, e al prefetto del pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che mise fine al regime. Commodo non fu interessato alle province e all’esercito, mentre fu favorevole all’accoglimento di molte divinità straniere che entrarono nel pantheon romano, per creare intorno a sé un carisma a motivo del quale volle proclamarsi divinità in terra – un ulteriore elemento di dissenso nei suoi confronti. La tradizione senatoria che valutava gli imperatori sulla base ideale di Augusto lo dipinse come il peggiore dei tiranni e propugnatore di un regime depravato e sanguinario alla sua morte fu sancita la damnatio memoriae e il suo nome cancellato. 4.8 L’economia romana in età imperiale Uno dei fattori che caratterizzano in modo stabile la storia economica dell’Imperor è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata a una magistratura apposita, la prefettura dell’annona, riservata a un personaggio di rango equestre. Annona significa propriamente il rifornimento e la conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città, soprattutto il grano. Il servizio annonario coinvolgeva nelle sue disposizioni varie province e comportava un regolare afflusso di merci dal mare. Il grano era fatto affluire soprattutto dall’Egitto e dall’Africa settentrionale. Date le note difficoltà e l’alto costo del trasporto per terra, le rotte marittime erano particolarmente utilizzate. Lo stesso apparato statale rappresentò un incentivo importante per la produzione e la circolazione di beni. In particolare l’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne condizionava l’economia. A partire dalla seconda metà del I secolo a.C. la forte presenza delle province sul mercato italico appare fuori discussione. Il problema che allora si pone è quello di stabilire se tale presenza può aver determinato una crisi dell’agricoltura. Nelle province si andò realizzando con gli stessi meccanismi che si erano già avuti in Italia, cioè attraverso l’urbanizzazione e la monetizzazione, l’incremento