Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

G. Marino, Adone, Canto IX, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto, contestualizzazione e analisi del canto

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
In offerta
50 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 29/02/2020

g.ciaceramacauda
g.ciaceramacauda 🇮🇹

4.4

(89)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica G. Marino, Adone, Canto IX e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Canto IX La fontana d’Apollo  Invocazione agli occhi della donna amata (1-6)  Venere e Adone si recano sul laghetto intorno alla fonte di Apollo (7-26)  Le perle (27-46)  Il canto di Fileno (47-92)  L’isola della poesia e la fontana di Apollo (93-111)  Elogio delle grandi casate italiane (112-150)  Elogio della casa reale di Francia (151-163)  Canone dei poeti antichi e moderni (164-183) Dopo il vertice rappresentato dall’unione sessuale del canto VIII, su un tono lirico che sembra proseguire all’avvio del canto IX, Venere e Adone si rimettono in moto dirigendosi verso la fonte di Apollo, collocata su un’isola posta al centro di Cipro. Ne deriva una lunga e poliedrica rielaborazione mariniana sul tema della poesia, ma soprattutto l’inserimento marcato di una prospettiva storica sull’orizzonte atemporale della favola principale. Da un lato Marino inserisce infatti nella descrizione della fontana di Apollo gli stemmi delle maggiori casate italiane, celebrandone non tanto la gloria quanto la munificenza verso artisti e letterati, quella liberalità che era obbligo per i principi quanto necessità per i poeti; il precetto prendeva un sapore di contemporaneità e di autobiografia quando poi le dinastie italiane lasciavano il posto ai gigli di Francia, seppure con il solo breve annuncio dei più diffusi elogi dei canti X-XI. La dimensione storica penetrava però anche sotto forma di un ristretto canone di poesia italiana, da Petrarca a Guarini, delineando (dopo rapidissimi cenni alla poesia greca e latina) una trafila eminentemente lirica; assumeva soprattutto i contorni di una polemica attuale nelle ottave urticanti riservate a Stigliani e Sarrocchi, esponenti principali di un antimarinismo che, negli anni della sua assenza dall’Italia, Marino temeva rafforzato. In questa articolata messa a punto dei valori passati e presenti Marino dedicava la parte centrale e nevralgica del lungo episodio della fontana di Apollo a un racconto autobiografico in persona di Fileno. Ottave che ripercorrevano gli anni romantici, quelli torinesi, il dorato approdo parigino, occasione non solo per una riscrittura del Ragguaglio a Carlo Emanuele sull’attentato subito dal Murtola ma anche per una critica nitida sull’ambiente ispido delle corti: i bersagli, non nominati, erano trasparenti, malgrado Marino conservasse intatto, nella rassegna delle casate, l’omaggio, ad esempio, nei confronti di Carlo Emanuele. Per l’insieme di questi elementi, cui si aggiunga l’agonismo nell’episodio delle perle rispetto al precedente dello stesso Murtola, il canto IX si presenta come un composto a parte, imbricato appena nella storia principale, orientato ad una poderosa apologia della poesia mariniana, inesauribile e sorprendente come le ottave sui giochi d’acqua che chiudono la narrazione. 1. Invocazione agli occhi della donna amata . vv.1-4‘Occhi, in cui nutre Amor fiamma gentile/ond’io quest’alma in vital rogo accesi,/volgete, prego, a la mia cetra umile,/mentre al canto l’accordo, i rai cortesi.’ Il canto si apre con l’invocazione agli occhi della donna amata, occhi cui il poeta chiede supporto al canto, invocazione tipica del genere lirico; da notare la complicazione sintattica dei primi 4 versi a fronte della struttura simmetrica della seconda parte dell’ottava. V.8 ‘..nero vostro’: la similitudine degli occhi con l’inchiostro è del testo inaugurale delle Rime del Murtola. 3 v.8 ‘sia corona di mirti e non d’allori’ la corona di mirto, della pianta cioè sacra a Venere, è dunque preferibile alla corona di alloro che si conquista ascendendo il Parnaso. Il senso è ribadito all’inizio dell’ottava successiva. 4 v.4 ‘de la mia lira’ termine chiave, evidente rimando all’esperienza lirica, e in particolare alla Lira, divisa in tre parti, edita nel 1614, entro la quale Marino aveva ricomposto e sigillato la propria produzione. vv.5-8 ‘Da l’ali del pensier che spiega il volo/là donde poi qual Icaro trabocca,/anzi pur da la sua svelse la penna/ con cui scrivo talor quant’ei m’accenna’ – ‘dalle ali del pensiero che si innalza a volo e che poi, come è avvenuto a Icaro, precipita, anzi proprio dalle ali di Amore estrasse la penna con cui io compongo, quando egli mi detta i versi’. 5 vv.1-2 ‘Se fossi un degli augei saggi e canori,/ch’oggi innanzi a la dea vengono in lite’ – ‘uno dei cigni saggi che si sfidano oggi di fronte a Venere’ La chiave sta nella mancanza di saggezza qui riconosciuta da Marino, come anche nella scelta di materia amorosa e non epica (vv.7-8 ‘ma con stil forse, a cui par non rimbomba,/cangiar Venere in Marte, il plettro in tromba’); elementi che rendono queste ottave, ad apertura del canto di Fileno, una lucida autoanalisi, oltre che un annuncio, nell’ottava seguente, di altri due progetti di poemi rimasti senza esito. 6 vv.1-4 ‘e ‘l duce canterei famoso e chiaro/che, di giusto disdegno in guerra armato,/vendicò del Messia lo strazio amaro/nel sacrilego popolo ostinato;’Il riferimento va alla Gerusalemme distrutta , poema epico incentrato sulla distruzione della città santa da parte dell’imperatore Tito nel 70 d.C. Di questo poema a lungo annunciato, rimase solo un canto edito postumo per la prima volta nel 1626. Vv.5-8 ‘e canterei col Sulmonese al paro/il mondo in nove forme trasformato;/ma poich’a rozo stil non lice tanto,/seguo d’Adone e di Ciprigna il canto.’ la seconda parte dell’ottava allude al progetto, ancora più complesso e ambizioso, di un poema intitolato Le trasformazioni . Di fronte alla (topica) impossibilità di condurre in porto questi due progetti, tra epica classica e modello ovidiano (Sulmonese v.5), Marino si rivolge dunque alla più agevole materia di Adone e Venere: è assai plausibile che i due cantieri qui annunciati siano stati a lungo mantenuti vivi da Marino e solo alla vigilia della stampa del 1623 abbiano prestato materiali alla gigantesca costruzione dell’Adone. 7. Venere e Adone si recano sul laghetto intorno alla fonte d’Apollo. Si recano alla fonte dopo essere saliti su una barca. 18. L’isola della poesia. Vv.1-2 ‘In uno scoglio approdò la navicella/che quasi isola siede al lago in grembo’ Lo scoglio si colloca quasi come isola al centro del lago, protetto da ogni onda e da ogni attacco dei venti o delle 49 tutto lo sviluppo è decifrabile in chiave erotica (soprattutto i vv.7-8) pur nell’autosufficienza della lettera che fa pensare ad un rustico omaggio amoroso da parte di un pescatore. Che Marino pieghi in questo senso le prime parole pronunciate da Fileno è una scelta d’azzardo, anche nella compagine dell’Adone; d’altra parte il brusco cambio di tono che si misura dopo l’ottava 51 lascia pensare al reimpiego in questo passaggio di materiali pensati per usi diversi, tendenzialmente più umili. Il v.2 fa riferimento alla pescosità del Mincio, tra Peschiera del Garda e il mantovano. 53 Fileno si muove per avvicinarsi a Venere e Adone, stupito dalla loro bellezza. 54 qui le parole di Venere offrono l’immagine di Fileno-Marino come poeta dei teneri amori . 55 v.4 ‘così l’alga Nettuno or ti concede’ l’omaggio di Nettuno, la concessione dell’alga, allude probabilmente all’eccellenza nelle rime marittime rivendicata da Marino. 56 Si tratta all’interno del poema di un’evidente mise en abime, per cui Marino fa invocare da Venere stessa i versi che celebrino, rendendolo eterno, l’amore per Adone. Può considerarsi andata a segno quella che nel testo era la promessa di Venere a Fileno, e che era in realtà la speranza di Marino, di un poema che attingesse fama oltre il tempo. L’ottava è strettamente legata alla 58 dove i vv.1-2 ‘Farò, se ciò farai, per te colei/languir per cui languisci, amante amata;’ dove Venere fa una promessa a Fileno: la reciprocità necessaria ad un amore felice. Di seguito la promessa di assumere Fileno, dopo la morte, nella ristretta schiera dei cigni diletti alla dea dell’amore, ‘dove l’Eternità registra nel suo volume le memorie altrui’ (vv.7-8). 59-60 la risposta di Fileno a Venere riprende in alcuni punti l’invocazione che apre il poema (‘imperadrice’). L’ottava 60 è costruita interamente sulla contrapposizione tra pena d’amore e gioia di amare. 62 v.3 ‘Di duo furori..’ la passione amorosa che infiamma il cuore e la passione poetica che illumina la mente. La giunzione dei due furori si fa evidente nei vv.5-6, nell’intreccio tra lagrime e canto. 63 v.2 ‘onorati affanni’ sono gli sforzi poetici che sottraggono i nomi degli autori all’oblio (vv.3-4). V.5 ‘fatale elezion’ – ‘scelta fatale’. Il sintagma, in qualche misura ossimorico, sottolinea la necessità dell’ispirazione poetica che, attraverso il personaggio di Fileno, Marino si autoassegna. 64 v.1 ‘da questa arte che produce ornamenti’; vv.7-8 l’età del ferro designa normalmente un’era di guerre, nemiche delle arti; l’epoca sua, per il poeta, ‘Fortunato cantor, la nobil arte quanto più gradirei del tuo concento, se i diletti e i dolor spiegassi in carte che per costui, non più sentiti, io sento; per costui, ch’è di me la miglior parte, amaro mio piacer, dolce tormento, mezo de l’alma mia, vita mia vera, anzi di questa vita anima intera.’ 64. Ma da questa di vezzi arte nutrice ecco le spoglie alfin ch'altri riporta, ecco qual frutto vien di tal radice, un guarnel di zigrin, l'amo e la sporta. Trofei del nostro secolo infelice, in cui di gloria ogni favilla è morta. L'età del ferro è scorsa e sol di questa la vilissima rugine ne resta. 63. Negar non voglio né negar poss'io ch'ai dolci studi, agli onorati affanni che rapiscono i nomi al cieco oblio e fanno al tempo ingordo eterni inganni, fatale elezzion l'animo mio non inclinasse assai fin da' prim'anni. In qualunque martir grave e molesto refugio unqua non ebbi altro che non merita nemmeno i titoli pur dubbi che convengono ad un’età di ferro: qui il senso di vilissima rugine (v.8). 65 v.4 ‘principi indiscreti’ – ‘sovrani incapaci di giudizio’ difficile individuare i bersagli impliciti nelle critiche mariniane; è tuttavia probabile che i versi siano stati composti ben prima del 1623, e presuppongano dunque interlocutori italiani; proprio per questo vanno composti e letti in sinergia con l’ampio elogio delle maggiori casate italiane. Vv.7-8 ‘né fia poca mercè quand’egli applaude/premiando talor laude con laude.’ – ‘e non è piccolo premio quando egli ricompensa con un applauso, ricambiando dunque le lodi ricevute con lodi attribuite’ senza cioè alcun premio tangibile. 66 v.4 ‘povero e contento’ l’immagine del pescatore ritiratosi lontano dalle corti e contento di una vita austera è naturalmente ripresa dalla Liberata di Tasso. Vv.7-8 ‘Lo stromento ch’io suono, a quell’alloro/vedilo là sospeso, è di fin oro’ lo strumento sarebbe la cetra d’oro e tra la varie spiegazioni fornite da Pozzi, più persuasiva suona quella fondata sull’eccellenza della poesia di Fileno che non quella sul sostegno ottenuto alla corte di Francia cui farà esplicito riferimento l’ottava successiva. 67 v.1 ‘gigli dorati’ allusione alla protezione della casa reale francese e in particolare a Luigi XIII (v.3), ‘che fa onore alla sua stirpe, ed è amato dai sudditi’ (v.4). vv.5-8 ‘così i miei versi, poco armoniosi, fossero degni di cantare le sue virtù, come egli svetta tra i più grandi eroi, come il giglio è sublime tra i fiori più umili’. 69 l’ottava, come segnala lo stesso Stigliani, riprende alcuni passi del racconto di Ovidio (Tristia); tuttavia qualcosa almeno, nei contrasti con il padre (v.1 ‘Più d’una volta il genitor severo’), e nel cambio di indirizzo negli studi, corrisponde ai tratti della biografia mariniana. 71 avviata già nell’ottava precedente, prosegue qui la topica condanna dell’amministrazione della giustizia, pesantemente inquinata dalla corruzione e inficiata all’origine della stessa incertezza delle norme (v.4 ‘un abisso senza ordine di opinioni divergenti’). Vv.7-8 ‘Reggono il tutto con affetto ingordo/passion cieca et interesse sordo.’ – ‘il tutto è dominato, con pretese avare, da passione senza ragione e sordo interesse personale’. 67. Ha di gigli dorati intorno i fregi ed ha gemmato il manico e le chiavi, dono ben degno del gran re de' regi, rege, amor de' soggetti, onor degli avi. Sì non indegni di cantar suoi pregi fussero i versi miei poco soavi, com'egli è tale infra gli eroi maggiori qual è il suo giglio infra i più bassi fiori. 72. La rota eletta a terminar le liti qual nova d'Ission rota si volve e con giri perpetui ed infiniti trattien l'altrui ragion né la risolve. Pur que' lunghi intervalli alfin spediti, spesso il buon si condanna e'l reo s'assolve. Del'oro, al cui guadagno è il mondo inteso, la bilancia d'Astrea trabocca al peso. 72 v.1 ‘rota’ l’ufficio giudiziario cui era assegnata la soluzione delle cause; è assimilato alla ruota di Issione, condannato a girare in eterno nell’Ade (Metamorfosi di Ovidio); come quella si volge indefinitamente, senza mai liberare i diritti degli interessati. V. 5 ‘terminate infine quelle lunghe attese’. Lo scenario fosco è chiuso dall’immagine della bilancia della legge (Astrea è appunto la dea della giustizia) che trabocca, ‘si piega’ al peso dell’oro, della corruzione. 74 v.1 ‘falsi allettamenti’ è sintagma proveniente dalla prosa A la Sampogna di Sannazzaro, entro un contesto di analoga condanna del mondo delle corti. Sorprende il ritratto fermamente negativo che Marino traccia dei suoi anni romani, vissuti entro la corte cardinalizia degli Aldobrandini. V.5 ‘a l’altrice’ ‘alla nutrice’ delle genti nobili, con riferimento a Roma. Vv.7-8 gioco di parole AMOR-ROMA. 75 il riferimento alle stelle nobili e cortesi (v.3) e tuttavia avare di positive influenze per il poeta (vv.7-8) riguarda l’insegna degli Aldobrandini, che presentava sei stelle d’oro (vv.5-6). Marino fu al servizio del cardinale Pietro dal 1602 fino al passaggio a Torino, ma di questa lunga dimora, in fondo all’origine della sua fortuna nei circoli altri della cultura italiana dopo gli oscuri inizi napoletani, il bilancio rimane amaro, come il poeta fosse ancora in credito. 76 La condanna della corte appuntata da Marino attraverso l’ingegnosa etimologia che lega in una crasi cortesia-morte (77 vv.3-4), rinviava ai precedenti celebri dell’Aminta tassiana e del Pastor fido, oltre che al passaggio di Erminia tra i pastori della Liberata, già impiegato nello scorcio finale del canto I; agli elementi topici Marino doveva però aggiungere una genuina distanza dagli equilibri precari della cortigiania. V.2 ‘promesse lungamente ripetute e premi scarsi’. Da qui si avvia una sequenza di ossimori e contrapposizioni, consueti nella lirica d’amore e qui trapiantati a rendere la condizione di amara dipendenza della vita di corte. Vv.7-8 ‘e preghiere inutili e idoli falsi, dai quali sicuro deriva il danno e il vantaggio è tardivo’. 77 Marino sceglie di distaccarsi dal seguito degli Aldobrandini, per la condizione rischiosa in cui si trovava, data l’incombente richiesta di arresto da parte dell’inquisizione. 78 v.1 ‘..alcun ristoro’ – ‘un qualche risarcimento’. Si avvia lo scorcio dedicato alla corte torinese di Carlo Emanuele I di Savoia. Marino vi giunse all’inizio del 1610, ma un lungo soggiorno vi era già stato a partire dal 1608, in occasione di matrimoni che legavano insieme Savoia con Este e Gonzaga, e che condussero il cardinal Aldobrandini a Torino. Seguì lo scontro 75. Parte colà de' più liet'anni io spesi e de' colli famosi al'ombra vissi e sotto stelle nobili e cortesi, or l'altrui lodi or le mie pene scrissi; stelle i cui raggi d'alta gloria accesi vinceano i maggior lumi in cielo affissi, ma l'influenze lor pertutto sparse ad ogni altro benigne, a me fur 74. Mossemi ancor con falsi allettamenti la persuasion de la speranza, ed al sacro splendor degli ostri ardenti mi trasse pien di giovenil baldanza, sich'a l'altrice de le chiare genti chiesi mercé di riposata stanza, credendo Amor vi soggiornasse come 76. Vidi la corte e ne la corte io vidi promesse lunghe e guiderdoni avari, favori ingiusti e patrocini infidi, speranze dolci e pentimenti amari, sorrisi traditor, vezzi omicidi ed acquisti dubbiosi e danni chiari e voti vani ed idoli bugiardi, onde il male è securo e'l ben vien tardi. 80. Venne ospinta da livor maligno ancor quivi l'Invidia a saettarmi, che sua ragion con scelerato ordigno difender vols e disputar con l'armi e rispondendo col fucil sanguigno e col tuon de le palle al suon de' carmi, mosse l'ingiurie a vendicar non gravi de le penne innocenti i ferri cavi. statua. 108 v.2 ‘arco stamoa nel ciel simile ad Iri.’ – ‘simile, per i riflessi, all’arcobaleno’ è la prima delle metamorfosi dell’acqua, che prenderà le forme di raggi, di comete, di stelle (v.4 ‘volto in raggi, in comete, in stelle il miri.’). 109 vv.1-4 ‘nello spazio che circoscrive il vaso più ampio vi è un ornamento di scudi con le insegne delle casate più famose’; vv.7-8 ‘[cigni e sirene] cigni e sirene] vanno stendendo sui marmi le ali e le code facendo da cartigli alle armi’. 110 gli scudi con le armi sostengono le Muse, distribuite in forma circolare (v.4 ‘compartite in tondo’), con scambio reciproco di sostegno e appoggio (vv.5-6). La struttura di base della fontana consente un lungo inserto encomiastico, nel quale Marino inserisce la memoria delle più importanti casate italiane , forse pensata come funzionale viatico a un ritorno italiano, e in questo senso in dittico con l’omaggio alle figure della corte francese che domina il canto XI. L’ottava è frutto di una correzione avvenuta all’altezza dell’Errata corrige, che incide essenzialmente sulla sequenza delle rime pari. 111 vv.5-8 ‘Talchè d’ogni divisa il vario fregio/la differenze in color vario esprime,/e con pietre diverse in un commesse/e scultura e pittura accoppia in esse’ – ‘così, il fregio variopinto esprime le differenze di colore di ogni insegna nobiliare, e con pietre diverse congiunte accoglie negli emblemi pittura e scultura’. 112. Elogio delle grandi casate italiane. Venere parla ad Adone vv.3-4 ‘sono famiglie di eroi, dal cui splendore la Virtù si adorna e che la Poesia si fa onore di trattare’; v.5 la digressione tratterà dunque di eventi non ancora compiuti, lontani nel futuro, presagiti da Vulcano con spirito profetico (vv.7-8). 113 l’immagine del fuso della Necessità, mosso dal volere divino (v.4) a determinare l’alternanza delle vicende umane, è di origine classica; v.6 ‘varia di continuo un destino immutabile’; nella perenne variazione sono coinvolte anche le lingue (vv.7-8), in un riferimento che apre alla celebrazione delle diverse letterature delle ottave seguenti. 114 la sequenza delle glorie della poesia si apre con la cetra argiva, sulle rive del Cefiso, fiume della Beozia. L’accento si pone sulla dolcezza dei versi (vv.2-3), e soprattutto sulla sua valenza religiosa, con riferimento probabile anzi tutto ad Omero. 112. ‘Vedi marmi colà vivi e spiranti (disse al suo bell'Adon Venere allora) son famiglie d'eroi, de' cui sembianti Virtù si pregia e Poesia s'onora. Hanno molto a girar gli anni rotanti pria ch'abbian vita e non son nati ancora. Mosso Vulcan da spirito presago, innanzi tempo n'adombrò l'imago. 113. Tu dei saver che sotto'l ciel, secondo il giro di quel fuso adamantino che la Necessità rivolge a tondo, mossa però dal gran Motor divino, la serie dele cose al basso mondo muta immutabil sempre alto destino, e fra queste vicende anco le lingue l'una nasce di lor, l'altra s'estingue. 114. La dotta cetra argiva udrassi pria su'l Cefiso spiegar melati accenti, e trarre ala dolcissima armonia del mare oriental sospesi i venti. Privilegio fatal di questa fia di sacre cose innebriar le menti, sollevando ai secreti alti misteri de' numi eterni i nobili pensieri. 115. Moverà non men dolce il Tebro poi su le corde latine il plettro d'oro, onde da' cigni miei ne' poggi suoi fia ripiantato il trionfale alloro. Grave e ben atto a celebrar eroi sarà del Lazio il pettine canoro, ed a sonar con bellicosi carmi di guerrieri e di luci imprese ed armi. 116. Succederà la tosca lira a queste, di queste assai più dilicata e pura, che di tutti gli onor s'adorna e veste onde l'altre arricchiro Arte e Natura. Intenerito dal cantar celeste l'Arno al corso porrà freno e misura e, da' versi allettato e trattenuto, porterà tardo al mare il suo tributo. 117. Questa, con vaghi metri e dolci note e con numeri molli accolti in rima, fia che per propria e singolar sua dote meglio ch'altra non fa gli amori esprima. Or ale tosche Muse, ancorché ignote, fu il nobil fonte dedicato in prima; né certo edificar si devean cose nel paese d'Amor fuorch'amorose. 115 la poesia si trasferirà poi, non meno soave, sulle rive del Tevere, ove i poeti (i cigni sacri a Venere) trapianteranno l’alloro della poesia. Di questa poesia Marino sottolinea la gravitas, la capacità di celebrare nell’epica le gesta degli eroi. 116 Ottava dedicata alla poesia volgare , ‘che si fregia e si veste di tutti i pregi con cui le altre [cigni e sirene] poesie] arricchirono la Natura e l’Arte’ (vv.3-4). La miracolosa grazia di questa poesia (dilicata e pura gli aggettivi che anticipano l’eccellenza della poesia toscana nella materia amorosa) rallenterà il corso dell’Arno, rapito dai versi e più lento nel riversare le acque in mare (vv.5- 8). 117 v.1 ‘Questa’: la tosca lira, la poesia toscana; v.2 ‘numeri molli’: ‘morbide armonie’. Sull’eccellenza della lirica volgare in amore, e anzi sulla disposizione della lingua stessa alla materia amorosa (vv.3-4), a fronte del greco e del latino, si era registrata già nel ‘500 un’ampia riflessione, fino ai Discorsi dell’arte poetica del Tasso. Di qui la dedica della fontana di Apollo proprio alla poesia toscana, come naturale nel paese d’Amor (vv.5-8). 118 le casate italiane che sono qui raffigurate sosterranno e proteggeranno le fatiche poetiche, e questi saranno dunque i principi che più offriranno aiuto agli ingegni dei poeti. 120 v.2 ‘dove il bianco corsier su ‘l rosso splende’stemma della casa di Sassonia, cui la casa di Savoia per tradizione si richiamava. 123 vv.3-4 ‘[cigni e sirene] il duca] chiuderà le porte del tempio di Giano (rif. I 23) e darà avvio ad un’età di pace, innestando sui funebri cipressi piante di olivo’, simbolo della pace. Ma è passaggio poco conveniente all’irrequieta politica di Carlo Emanuele che, lungo tutti gli anni ’10, avrebbe movimentato la scena politica europea; vv.7-8 ‘soltanto per lodarlo le Alpi si trasformeranno in un nuovo Parnaso, la Dora in un nuovo Caballino’. Il riferimento va alla corte poetica raccolta a Torino sin dai primi anni del ducato di Carlo Emanuele e che conobbe la sua stagione più vivace nel primo decennio del ‘600, tra Botero e Zuccari, Murtola e Marino. 125 v.1 ‘aquila bianca’ è l’insegna della casa d’Este. 127 vv.1-4 allusione alla credenza che l’aquila rinnovasse le piume nelle acque pure. Simmetricamente la casa estense, quasi fenice che muore e rinasce dal rogo, curerà poco gli attacchi del tempo, divenuta immortale e quasi purificatasi nella fonte Castalia, sacra ai poeti. 128 vv.3-4 ‘così come io mi rivolgo sempre ai raggi del tuo viso’: a parlare è Venere, responsabile della lunga illustrazione degli stemmi, che si rivolge ad Adone; vv.5-8 ‘così dalla stirpe estense la nobile discendenza, con saggio consiglio, imparerà a mostrarsi 123. Pur dep sto talor l'impeto audace ch'avrà di sangue ostil versati rivi, chiuderà Giano ed aprirà la Pace ed ai cipressi innesterà gli olivi. Germoglieran dal cenere che giace de' cadaveri morti i lauri vivi e diverran sol per lodarlo allora l'Alpi Parnaso e Caballin la Dora. 127. Quella, la spoglia de l'antiche piume dentro puro ruscel ringiovenita, di rinovar se stessa ha per costume a molti e molti secoli di vita; questa purgata entro'l Castalio fiume, quasi fenice del bel rogo uscita, verrà lire del tempo a curar poco, fatta immortal da l'acque e non dal foco. 128. E come quella ognor con guardo fiso avezzar ala luce i figli suole, in quel modo ch'a' rai del tuo bel viso anch'io sempre mi volgo, o mio bel sole, così da questa con accorto aviso imparerà la generosa prole, di Febo amica ed a' suoi raggi intesa, di celeste splendor mostrarsi accesa. accesa di luce divina, amica di Apollo e attenta ai suoi raggi’, con riferimento alla poesia. 130 vv.1-2 ‘quattro..aquile nere’ le quattro aquile nere erano nello stemma della famiglia Gonzaga, la cui celebrazione si avvia in questa ottava. 132-133 l’omaggio ai Gonzaga prosegue col citare Manto, l’indovina figlia di Tiresia che fondò Mantova e il riferimento alla grandezza di Virgilio come poeta, cantore delle imprese di Enea. 134 si avvia l’omaggio alla dinastia Della Rovere, naturalmente basato sull’immagine del tronco che dispiega al vento foglie d’oro (vv.1-2); vv.5-8 si allude all’insediarsi della dinastia roveresca nel ducato di Urbino, dopo l’affermarsi a Roma, tra papi e cardinali. 135 v.2 ‘denno’ - ‘devono’. Questa dinastia sarà in particolare celebrata dai poeti e celebrata da Apollo, che per sé appresterà corona di rami di quercia e non d’alloro (vv.3-4); vv.5-6 Dodona era una città dell’Epiro ove si trovava un oracolo di Giove, interrogato ascoltando lo stormire delle fronde di quercia; v.8 ‘candidi augei’ sono ancora i cigni, figura dei poeti protetti dalla dinastia roveresca. 137 Si avvia qui l’elogio dei Farnese, scandito sui fiori (giacinti) che campeggiano nella loro insegna nobiliare. 141-142 elogio di due dinastie romane: Colonna, ai quali Marte assegnava la propria sede, e Orsini, il cui stemma presentava tre bande trasversali rosse, sovrastate da una rosa su campo bianco. 144 l’aquila nera si trova anche sullo stemma della casa Doria. 147 v.1 ‘purpuree palle’ richiamano lo stemma della casata dei Medici, l’ultima nella rassegna di Marino; omaggio soprattutto a Maria de’ Medici, cui era già indirizzata la lettera dedicatoria del poema. 149 tutte le sfere/pianeti presenti in cielo volgeranno un’influenza benevola alle imprese dei Medici, Saturno escluso visto che si tratta del pianeta della malinconia. 150 viene confermata la natura eminentemente lirica della poesia toscana, sollevatasi con nobil volo sulle ali di Amore; vv.7-8 ‘e con chiari concenti addolcir l’aura/dietro ai cantor di Beatrice e Laura’ i due rinvii obbligati sui quali si chiude la celebrazione, quelli a Dante e Petrarca. 151. Elogio della casa reale di Francia. Sprofondandosi negli eventi ancora oscuri del futuro, Venere anticipa nelle ottave successive la gloria della casata di Francia germogliare da una radice medicea, con riferimento appunto alla regina madre. 152 Maria de’ Medici viene paragonata al sole. In questi versi un minimo riflesso delle difficoltà affrontare dalla regina durante la sua reggenza, ma anche negli anni successivi, punteggiati di scontri con Luigi XIII. 154 la domanda che qui Adone pone a Venere, riguarda lo stemma della casata francese posto alla base della sfera del sole. Questo consente l’omaggio alla dinastia reale nelle ottave successive. 158. Con man tenera ancor, legata e stretta terrà Fortuna mobile e vagante, siché resa a Virtù serva e soggetta faralla a suo favor tornar costante. E'l veglio alato, che con tanta fretta fugge e fuggendo rompe anco il diamante, perché gli onori suoi non sene porti, con groppi stringerà tenaci e forti. 155. De la casa di Francia è la divisa e tal loco a ragion Vulcan le diede, però ch'apunto a quella istessa guisa fia di Febo (risponde) albergo e sede. E sicome dal numero divisa starsi sola in disparte ivi si vede,