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G. Marino, Adone, Canto V, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto, contestualizzazione e analisi del canto

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 29/02/2020

g.ciaceramacauda
g.ciaceramacauda 🇮🇹

4.4

(89)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica G. Marino, Adone, Canto V e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Canto V La Tragedia  Invettiva contro i mezzani (1-6)  Adone nel palazzo di Amore (7-14)  Mercurio racconta ad Adone la storia di cinque amori infelici tra uomini e dei: - Narciso (15-31) - Ganimede (32-48) - Ciparisso (49-65) - Ila (66-80) - Attide (81-97)  Venere incita Adone ad abbandonare la caccia e lo conduce in un teatro (98-121)  Mercurio offre ad Adone lo spettacolo esemplare della fine di Atteone (122-146)  Adone si addormenta (147-151) Dopo una lunga pausa offerta dalla favola di Amore e Psiche, il canto V rappresenta anch’esso una dilazione, occupato per due terzi dai racconti che Mercurio impartisce ad Adone. Facendo sfilare cinque casi di amori infelici tra amori e dei, la funzione parenetica è quella di ammonire Adone: esortarlo da un lato all’ossequio dei voleri divini e dall’altro alla misura da osservare nella passione amorosa. I cinque episodi, prevalentemente a base ovidiana, hanno però indirizzi e significati diversi (dall’amore smoderato e malposto di Narciso alla fine amara di Ila) e lo stesso messaggio che dovrebbe risultarne per il giovinetto amato da Venere finisce per farsi sfuocato, se non ambiguo. La coerenza precaria della successione sul piano dei significati, bene sottolineata da Pozzi, ha dato luogo a ipotesi di segno opposto, ad un canto che sarebbe cioè volutamente orchestrato sul disordine e sulla disarmonia, e come tale portatore di più generali istanze di poetica. Anche in questo caso è però possibile che la visibile segmentazione del dettato poetico, solo parzialmente suturato dagli interventi di Mercurio, sia effetto di aggiunte progressive che Marino abbia incastonato nella struttura del poema alcune di quelle storie che costituivano il grande progetto delle Trasformazioni. Allo stesso modo per il canto XIX, da sempre stretto in coppia col canto V, anch’esso frutto di un mosaico di favole. Dopo i racconti, un altro mito si incarica di completare i moniti destinati ad Adone: una spettacolare rappresentazione con macchine teatrali e sorprendenti cambi di scena offre agli occhi dei due amanti la morte di Atteonte, colpevole di aver troppo osato nell’ammirare Diana. Il legame sul piano morale è però ancora precario (la più casta dea che punisce a confronto della più lasciva che ama), e lo stesso Adone sancisce, addormentandosi, l’indifferenza per il senso e forse anche per le forme di quel dramma. A dispetto di questa dimidiazione, quasi segnale di disinteresse, la puntualità con cui Marino volle rettificare, nell’ Errata corrige dell’edizione parigina, il titolo del canto: da La rappresentazione, che figura infatti ancora nei titoletti lungo tutto il canto, a La tragedia. Come che sia di questo, con la scena di Adone addormentato, che era già della fine del canto I, poi dell’inizio del canto III, il racconto si dispone ad un nuovo inizio, quello del giardino dei sensi. 1. Invettiva contro i mezzani . La lingua come freno che governa la ragione e come timone dell’anima riprende la ‘forza di una lingua efficace’ espressa nell’Allegoria, ma soprattutto rovescia la gerarchia che la vuole semplice strumento della ragione. Nel distico finale dell’ottava, tra la penna che scrive e il pennello che dipinge, Marino esprime la forza fascinatrice della parola, uno degli ingredienti e forse lo stesso cardine teorico implicito del poema. Di questa forza fascinatrice ne approfitta il mezano eloquente (5 v.1 ‘intermediario ruffiano’) che adopera il potere della lingua in base a quel che più gli conviene, ingannando ‘dolcementi’ i semplicetti cori. Non sono altro che sozzi oratori (6 v.2 ‘persuasori disonesti’) di scelerati annunzi (‘annunci delittuosi e nefasti). Il riferimento ai mezzani lo ritroviamo in Dicerie sacre ove però si trattava di ben altra mediazione: quella necessaria tra Dio e l’uomo. 7. Adone nel palazzo di Amore. In questa ottava ‘astuto araldo’ fa riferimento a Mercurio, intermediario tra dei e uomini. Quindi mezzano in senso positivo. Qui viene preannunciato quello che sarà il ruolo di Mercurio come sorta di ‘guida’ per Adone, lungo il cammino. Riferimento immediato al Virgilio della Commedia dantesca. Adone viene prima assimilato al semplice contadino, stupito dalla magnificenza di un palazzo reale; poi direttamente assimilato a Colombo nel momento in cui per primo scoprì genti ignote (8 v.8). Nelle ottave successive Marino racconta lo stato di Adone dentro il palazzo: all’inizio si sente prigioniero e cerca una via d’uscita ma anche la porta da cui era entrato è sparita; successivamente guardandosi intorno e provando stupore per quello che vede, la sua prigionia non sembra più cosa negativa ma al contrario l’apprezza non curandosi più di trovare la libertà. Ad un certo punto fa il suo ingresso una schiera di ninfe che gli stanno intorno come ancelle e servitori impegnati a compiere diversi doveri. Incantato da tutto ciò non riesce a muovere gli occhi o aprire bocca e, per l’imbarazzo, abbassa il capo. Ad un certo punto Mercurio (‘..d’Atlante era il nipote..’ nato a Cillene da Giove e Maia 14 v.1) si accosta ad Adone e lo invita a sollevare gli occhi. 15. Mercurio racconta ad Adone la storia di cinque amori infelici tra uomini e dei. NARCISO ‘O damigel’: epiteto che ritroviamo già in Boiardo. Qui parla Mercurio che introduce un breve cappello narrativo di cui si serve per arrivare alla narrazione dei cinque amori infelici. ‘O giovane che sotto corpo mortale ti sei fatto degno della compagnia divina, io vengo a rallegrarti dalla sorte che ti è stata mossa dal cielo. Così che la tua passione non si raffreddi come non devi curarti del regno patrio, quando Venere ti diede in mano lo scettro del suo regno. Poiché ti vedo muto e pensoso ti voglio consolare se creatura e, in particolare le ottave 49-51 (che derivano dalla prima redazione dei Sospiri d’Ergasto), sembrano mostrare un’impostazione narrativa più scorrevole. All’ottava 53 viene presentato Ciparisso ‘per cui languiva il gran signor di Claro’ (v. 3): Apollo. Claro era infatti luogo celebre per il tempio e l’oracolo del dio. Ciparisso era giovane quanto bello (‘l’età con la bellezza iva di paro’ - v.5) ed era molto affezionato al cervo. 58 Mentre riposa insieme al cervo ‘domestico suo’ (‘suo compagno’) dopo una battuta di caccia, scorge muoversi in lontananza un fagiano, così prende arco e frecce e per sbaglio colpisce a morte il suo amato cervo: ‘Pensati tu s’a la mortal ferita/ cade e ‘n vermiglio umor versa la vita’ (vv. 7-8). 60 Apollo invano cerca di consolare il suo amato Ciparisso che nell’ottava 62 supplica il dio: ‘fai sì che io non senta che sospiri, non veda che lagrime e feretri’. 63 avviene la metamorfosi del giovane: ‘tronco funesto’ (v.3) in quanto poi l’albero sarà simbolo di lutto; ‘crin frondoso’ (v.5) il sintagma raggruma la metamorfosi dei capelli in fronde; ‘quant’uom desiava’ (‘quanto desiderava come uomo’ v.8) di accompagnare cioè soltanto sentimenti e luoghi di lutto. 64 Altro raccordo didascalico di Mercurio: Adone si rivolga ad un amante divino, evitando dunque l’errore di Ciparisso (vv.1-4) che aveva sprezzato l’amore di Apollo (elemento, quest’ultimo, del resto in ombra nella narrazione mariniana). 65 L’ottava vale da monito per Adone rispetto ai pericoli della caccia e a tal fine annuncia il racconto su Ila. ILA il mito del giovane scudiero amato da Ercole che lo portò con sé durante la spedizione di Giasone per trovare il vello d’oro. Durante il viaggio, Ila assetato si reca in un bosco alla ricerca di acqua. Ad un certo punto scorge una fonte dove vi sono delle ninfe. Queste si innamorano subito di lui e lo trascinano in acqua. Intanto Ercole, che preoccupato lo cerca in ogni dove, per questa distrazione viene lasciato lì dagli Argonauti che continuano senza di lui la loro spedizione. Nell’ottava 67 breve riepilogo delle fatiche di Ercole; da sottolineare al v.3 la giunzione di idra e leon nemeo, i due rimandi mitologici in relazione ai quali un errore di Marino in un sonetto di Lira III, nel 1614, aveva generato una schiera di libelli polemici, dall’attacco di Carli alle difese di Giovanni Capponi e Giovan Luigi Valesio. 68 v.1 ‘..intanto..’: la connessione narrativa qui è debole, mal riuscita la giuntura con la presentazione di Ila. Nei vv.3-4 si intenda: ‘fedeli seguaci del primo navigante, Giasone, che sprezzò i rischi dei venti (‘Austro e Coro’), quando salpò verso la Colchide; il riferimento va alla nave Argo e alla spedizione degli Argonauti. 70 presentazione di Ila: ‘riarso dal caldo e dalla sete, carica la schiena di un’anfora d’oro e si inoltra nel bosco. Nei versi successivi notiamo un consueto infittirsi dell’ombra, anche per l’avvicinarsi del tramonto. 73 v.6 ‘infiammarle tra l’acque ebbe possanza’: incontro con le ninfe. Il termine qui vuol dire ‘farle arrossire per la vergogna’. Il motivo della fiamma che si origina dalle acque è comune a questo episodio e a quelli di Narciso e Attide. Ila viene attratto dalle ninfe, di cui Marino passa in rassegna i nomi, e cade dentro lo specchio d’acqua. 76 Ercole disperato lo cerca ovunque, chiamandolo a gran voce. 77 Non appena lo trovò, Tifi (‘timoniere della nave degli Argonauti) spiegò le vele e abbandonò quel luogo lasciandoli lì. 78 v.4 ‘facile a cadere’ l’immagine richiama, con la solita funzione parenetica abbozzata da Mercurio, la caduta di Ila e la sua rovina. ‘in Amore non essere foglia debole che cade al primo soffio; non essere un’alga leggera e tremante in un mare che può piegarti al suo volere. Devi essere stabile contro i venti e le onde, raccogliendo in te la fermezza dei tronchi e degli scogli.’ 80 ‘chi arriva a godere di una bellezza perfetta non deve cercare alimento per una nuova fiamma. Un’anima nobile non si cura per piacere a tutti, perché la bellezza largamente disponibile è vile ricchezza.’ ATTIDE 81 vv.1-2 ‘Cosa non è che tanto un core irriti/ quando Amor da ragion vinto si sdegna,’: ‘nessuna cosa irrita tanto un cuore come quando Amore, vinto dalla ragione, s’infiamma’; l’ammonimento di Mercurio svolge un ruolo connettivo rispetto al successivo esempio narrato: quello di Attide. Nell’ottava 82 viene introdotta la storia della dea Cibele che si innamora di Attide, un giovane bello tanto quanto Adone. La fonte dell’episodio è ancora Ovidio, ma dai Fasti, con possibile intersezione di altri elementi nella resa mariniana, dai Fragmenta petrarcheschi al Furioso. La dea avverte il giovane di non tradirla perché la cosa potrebbe risolversi a suo sfavore. 84 Attide la rassicura dicendola che i suoi occhi non vedono altra bellezza al di fuori della sua. Vv.5-6 ‘Qualunque, ovunque io siami, esser non deggio/ altro giammai che vostro, altro che voi’ ‘ovunque io sia altro non devo essere se non vostro, qualunque io sia non devo essere altro che voi’: la struttura a chiasmo è qui ellittica e complicata, per declinare l’identificazione amante- amata. 85 troviamo la stessa atmosfera che si era creata nell’episodio di Ila: ‘ne la più alta ora del die’ (v.3); ‘dove ombraggio cadea gelido e fosco/ dal folto crin d’un taciturno bosco.’ (vv.7-8 – ‘dove dalla folta vegetazione di un bosco scendeva un’ombra scura e gelida’). 86 dal v.4 ‘quasi de l’aspra testa ispido crine’ si apre la descrizione della gran rupe giocata sulla similitudine del viso che parte dal crine e si prolunga nei versi successivi (il canal come fonte di lagrime, l’antro come bocca). 87 Attide qui vede un’amadriade (ninfe che animavano un albero). 89 Non appena incrocia lo sguardo della ninfa, Attide se ne innamora: vv.3-4 ‘si specchia e con l’umor chiaro e sereno/ par che tacitamente di consigli.’ Lo specchiarsi precedente di Narciso è qui trasferito alla ninfa Sangarida, oggetto dell’innamoramento di Attide. Nell’ottava 90 vv.7-8 l’innamoramento è reso con una rapportatio (mano/acqua, occhi/fuoco), a replicare il medesimo concetto ‘da la mano e dagli occhi a poco a poco,/ mentre ch’ella bev’acqua, ei beve foco.’ In 91 vv.3-4 il concetto ‘raccolse in un fiato l’anima’ (‘un sospir che lo spirto in aura strinse/ e fu muto orator del suo martirio’) viene ripetuto in 92 vv.3-4 ‘con un così caldo desiderio chiaro nel viso, che chiedeva senza parole, con i suoi sospiri’ (‘con sì caldo desio nel volto espresso/ che ne’ sospiri suoi chiedea tacendo,’). Abbiamo inoltre un’inversione simmetrica di ‘chiedea tacendo’ in ‘tacendo chiedea’ al v.6; e l’introduzione di un elemento di tradizione stilnovistica deliberatamente evocato da Marino (‘spiritelli alati’ v.8). 94 Non appena Attide commette il tradimento, si realizza qui quanto annunciato da Merurio nella fase introduttiva. Nell’ottava 95 il termine ‘feconda radice’ fa riferimento all’organo maschile: questo elemento viene giudicato da Stigliani come ‘oscenità talmente aperta, che non si riceverebbe in bordello’. Qui si realizza la metamorfosi di Attide in pino, una metamorfosi spontanea da parte dell’amante aggravato dal peso della colpa commessa. 96 ‘Testimonio pietoso al casto tristo/ fu di Sinade allora il vicin colle,/[…] tutto il sasso lasciò macchiato e molle..’ (vv.1-6): il Sinade è un colle noto per il marmo pregiato; il sasso del v.6 è venato dal sangue della ferita di Attide. Questo elemento è però assente nel racconto ovidiano, ma presente in Stazio, cui Marino aggiunge una memoria di Claudiano secondo la segnalazione di Cerchi. Tutto ciò è ancora più significativo perché l’ottava presente venne aggiunta da Marino in extremis , all’altezza dell’ Errata corrige della stampa parigina . 98. Venere incita Adone ad abbandonare la caccia e lo conduce in un teatro. ‘Con queste fole e favolette..’: Qui vi è un improvviso abbassamento, da parte dell’autore, delle storie narrate da Mercurio che viene persino ridimensionato a novellator loquace (v.4) inesauribile nel suo garrir e nel suo cianciar. Interviene così Venere ad interrompere i discorsi tra i due attirando l’attenzione ‘al foco suo vivace’ (‘Adone’ v.6) ed inizia a parlare. 99 ‘..ormai serena/la mente ombrosa..’ (vv.1-2) ‘rasserena/libera la mente da ogni preoccupazione’. Si colloca qui la richiesta di Venere ad Adone di abbandonare la caccia e la conseguente promessa del giovane: si determina il medesimo dispositivo che caratterizzava alcuni dei racconti esposti da Mercurio e che connoterà anche la vicenda di Adone una promessa non rispettata, l’infrazione della fede. Venere inizia a pregare Adone di stare lontano dalla caccia. 101Inizia una protesta contro le foreste, atta ad anticipare quello che, dall’altro capo del poema, sarà lo scioglimento tragico della favola principale, con la morte di Adone durante una battuta di caccia. 103 vv. 6-8 ‘da l’amato arboscel l’arbore amante, /sì come voi spietatamente il mio/dividete da me dolce desio’: amato/amante è una figura etimologica e un chiasmo che rendono l’intreccio delle due piante (vite e olmo, secondo la tradizione) che la scure deve resecare. Ma l’intera ottava è giocata sul piano dell’ordine delle parole, come evidente nel distico conclusivo, ove l’iperbato il mio…dolce desio vale a rendere sul piano della sintassi la separazione innaturale di Adone e Venere. 105 vv. 3-4 ‘che fia, s’egli averrà, che ‘l sen le tocchi/ quello stral che di me portò la palma?’ – ‘che accadrà ove venga ferita al cuore da quel sostegni tutti concreti che vengono menzionati in questa ottava (130), con evidente gusto mariniano per il lemma tecnico ‘e di bronzo ben saldo armati legni’ – ‘legni rinforzati con bronzo’ (v.3); ‘e questo ordine a quel sì ben risponde/che nel numero lor non si confonde’ – ‘e i due congegni sono così bene rapportati che non vi è dubbio sulla loro struttura’ (vv.7-8). 131 ‘et al cader de la primiera tela’: la caduta del sipario produce un rapido mutamento di scena. 135 ‘Gira la scena..’: altro cambiamento di scena che annuncia il secondo intermezzo di natura bellica. 137 durante lo svolgimento della scena Adone riceve altro nutrimento (‘esca’ v.7) dagli occhi e dalle orecchie: udito e vista sono intrecciati a rendere la simultaneità degli effetti dello spettacolo. 138 Terzo atto che vede Atteonte impegnato nella caccia, sudato e impolverato. Vv.7-8 ‘coglie le reti, e ne l’ombrosa e fosca/selva per riposar solo s’imbosca’: da sottolineare l’antitesi tra il raccogliere le reti da parte di Atteonte cacciatore e il suo invischiarsi e irretirsi nella selva, andando incontro alla tragedia. 139 v.2 ‘novo intervallo’ è il terzo intermezzo che rappresenta una battaglia sul mare. 140 v.3 ‘con rimbombo e vampo’ ‘con fragore e fiamme’. Nei versi successivi, e soprattutto nell’ottava 141, sensibile acensione metaforica, a evocare anche sul piano fonico lo scontro violento. 141 la scena si fa corrusca rispetto a 139; ‘ondose strade’(v.3) riprende la Liberata tassiana, inserito in una rapportatio concettosa, ove alla pioggia si somma il sangue prodotto dalla battaglia (vv.3-4); i versi successivi aggiungono il fuoco, producendo altra rapportatio, ma ora trimembre nei vv.7-8, all’insegna della contemporaneità (‘in un punto’ v.8), rapportatio rilasciata anche all’inizio dell’ottava successiva. 143Il quarto atto si apre sulla fonte presso la quale Atteonte contempla Diana: è il momento culminante della colpa, presentato qui in modo pienamente narrativo, fino all’immediata reazione della dea. Da sottolineare come Marino non presta particolare attenzione alla metamorfosi, ristretta nel breve giro dei vv.7-8 ‘con pelo irsuto e con ramose corna/il miser cacciatore cervo ritorna’. 144 il quarto intermezzo descrive una notte illuminata dalla luna fino al ritorno della luce dell’alba. v.5 ‘neghittoso Arturo’: è l’ultima stella dell’Orsa maggiore, al suo ritorno terminano le ore notturne. Nell’ottava 145 la scena descrive un banchetto degli dei, in una sorta di epilogo dell’intermezzo. 147. Adone si addormenta. Nel cuore della notte fa la sua apparizione Atteonte, seguito da cani e cacciatori; la sua morte è prossima, ma non viene narrata e soprattutto Adone, principale destinatario della rappresentazione, non regge al sonno e si addormenta. Se la scena di Adone Folgora il cielo e folgoran le spade, gonfiandosi l’onde tempestose e nere et acqua e sangue per l’ondose strade piovon le nubi e piovono le schiere. Chi fugge il ferro e poi nel foco cade, chi fugge il foco e poi ne l’acqua pere, chi di sangue e di foco e d’acqua asperso more ucciso, in un punto arso e sommerso. che dorme in grembo a Venere (vv.5-8) è di un sonetto della Galeria, risulta evidente lo smontaggio e la svalutazione dello spettacolo e del meccanismo catartico della tragedia, lontano dalle corde mariniane e dallo stesso impianto del poema, imperniato su una condanna destinata e infine compiutasi. 148 v.2 ‘papavero vermiglio’ Nel ricorso al papavero, fiore del sonno e di un’acquietata spossatezza, il senso di un abbassamento ironico della vicenda, del rifiuto di ogni approccio alto alla tragedia di desiderio e morte appena rappresentata. 150-151 Trascorsa la notte si avvicina il giorno. Adone si sveglia quando i raggi del sole fendevano i balconi, così Venere ‘lo condusse in un giardino di tale bellezza da superare il valore dei Campi Elisi’.