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G. Marino, Adone, Canto X, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto, contestualizzazione e analisi del canto

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 29/02/2020

g.ciaceramacauda
g.ciaceramacauda 🇮🇹

4.4

(89)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica G. Marino, Adone, Canto X e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! CANTO X Le Meraviglie  Invocazione alla Musa, perché guidi il poeta nell’ascesa ai cieli (1-6)  Venere e Adone ascendono al cielo della Luna con Mercurio (7-23)  Descrizione della luna (24-32)  Le macchie lunari (33-41)  Lodi di Galileo (42-47)  Mercurio guida gli amanti nella Grotta della Natura (48-85)  L’isola dei Sogni (86-107)  Ascesa al cielo di Mercurio. Ingresso nel palazzo dell’Arte (108-135)  Le invenzioni dell’uomo (136-151)  La biblioteca (152-167)  La sfera rotante creata da Mercurio (168-184)  Una descrizione delle guerre moderne (185-287): - guerre civili in Francia; - guerra del Monferrato; - guerra degli Uscocchi; - ultime guerre francesi. Sin dall’invocazione alla Musa posta in apertura, il canto X segna uno scarto sensibile rispetto al dettato apologetico e sottilmente polemico dell’episodio di Fileno: i due amanti, guidati da Mercurio, avviano un percorso di ascensione che, nel pieno rispetto della cosmologia tolemaica, li condurrà prima nel cielo della Luna quindi nel cielo di Mercurio. Sul piano della favola principale l’ascensione celeste dovrebbe riuscire funzionale alla formazione intellettiva di Adone: si intendono in questo percorso, ad esempio, le ottave della prima parte del canto, quelle che ripercorrono la vexata qaestio delle macchie lunari, da un lato richiamando, anche nelle movenze dei versi, il precedente dantesco di Paradiso, II, dall’altro impiegando trattazioni approfondite come quelle di Giulio Cesare Scaligero. L’omaggio a Galileo che subito segue – Galileo appaiato a Colombo come ritrovatore di mondi nuovi – è insieme un deplacement, un innesto spiazzante, e una tappa obbligata, posto il rilievo e il clamore che le prime osservazioni con il cannocchiale si erano conquistate nel corso del secondo decennio del ‘600: un medaglione che rimane collocato in superficie, senza investire l’impianto complessivo del poema, e che tuttavia funziona da segnale di aggiornamento, e da implicita rivendicazione delle conquiste moderne in un poema quasi stabilmente posizionato fuori dalla storia. Con l’ingresso nella Grotta della Natura e il successivo passaggio all’isola dei Sogni la componente didascalica cede il passo a quella fantastica, di marca ariostesca, che permane attiva anche nell’ascesa al cielo di Mercurio. L’ingresso nel palazzo dell’Arte, la rassegna delle arti e poi quella delle invenzioni offrono a Marino l’occasione di disporre in sequenza, sfruttando anche le immagini dell’Iconologia di Ripa, discipline e prodotti umani, con la medesima componente immaginifica che vibrava nell’episodio di Astolfo nell’Orlando furioso. Mentre lo scorcio sulla biblioteca apre una nuova stilettata contro il Mondo Nuovo di Stigliani, il canto si chiude sulla poderosa raffigurazione del mappamondo: entro questo mirabile prodotto di Mercurio Adone può scorgere episodi delle guerre succedutesi in Italia e non solo tra il 1613 e il 1622. Chiara, a questo punto, la natura ancora una volta composita del canto, il lento sedimentarsi delle diverse parti sulle base di istanze anche lontane nel tempo, e poi raccolte sull’asse rappresentato dal viaggio nei cieli del giovane Adone. L’eroe imbelle legato a Venere, dopo il moderato e curioso interrogare delle prime ottave del canto, si ritrae e osserva con silenziosa estraneità le guerre e le imprese, smaltate da Marino in ottave celebrative, soprattutto nei confronti di Luigi XIII: il punto centrale del poema di pace si inabissa così nella sequenza di scontri degli anni ’10, preambolo e annuncio della guerra dei Trent’anni. 1. Invocazione alla Musa, perché guidi il poeta nell’ascesa dei cieli . La nuova invocazione alla Musa è necessaria per il sensibile innalzamento della materia, per il passaggio dal mondo terrestre ai cieli con il quale verrà portata a termine la formazione di Adone. La musa invocata è Urania, con una scelta in linea con la materia e che segna l’ambizione, non sempre mantenuta, di stilare questo canto su una tonalità più alta e nobile. 2 v.1 ‘..mente immortale’ allusione ancora ad Urania, con riferimento alle intelligenze motrici che scandivano il movimento dei pianeti; v.8 ‘e detta a novo stil concetti novi’ la richiesta di concetti per uno stile inedito sottolinea la novità della materia nell’ambito del poema. 3 vengono descritti altri ‘audaci ingegni’, Orfeo sceso negli inferi per Euridice, Dedalo capace di fuggire da Creta con ali da lui stesso costruite, Prometeo qui ricordato per aver sottratto all’Olimpo una torcia accesa dal carro del sole; vv.5-8 ‘Ben conforme a l'ardir la pena venne/per così stolte e temerarie imprese;/ma più troppo ha di rischio e di spavento/la strada inaccessibile ch'io tento.’ ‘giustamente conforme all’audacia giunse la pena per tutte queste azioni temerarie, ma molto più rischiosa e tremenda è l’impresa che io tento’. 4 vengono citati le ‘voglie insane’ – ‘desideri erronei’ del senso e dell’intelletto: per rendere l’insufficienza umana a fronte di un eccesso di luce, di un cammino troppo ripido. 7. Venere a Adone ascendono al cielo della Luna con Mercurio. La narrazione si apre con una descrizione dell’alba (la fuga di Lucifero, i cavalli del sole preparati ad uscire). 9 al carro si avvicinano Venere e Adone, mentre le redini sono tenute da Mercurio; v.7 ‘poppa lunata’ è la nave che ospita il viaggio dei due amanti dalla forma convessa. 10 per l’ascesa degli amanti tutto il cielo si rasserena, si dissolvono le nuvole e si quietano i venti. 13. O tu che'n novo e disusato modo saggia scorta mi guidi a quel gran regno (disse a Mercurio Adone) ove non odo ch'altri di pervenir fusse mai degno, pria ch'io giunga lassù, solvimi un nodo che forte implica il mio dubbioso ingegno: è fors'egli corporeo ancora il cielo, poiché può ricettar corporeo velo? 14. Se corpo ha il ciel, dunque materia tiene; s'egli è material, dunque è composto; se composto me'l dai, ne segue bene ch'è de' contrari ale discordie esposto; se soggiace a' contrari, ancor conviene ch'ala corrozzion sia sottoposto; e pur, del ciel parlando, udito ho sempre ch'egli abbia incorrottibili le tempre. 15. Tace e'n tal suono ai detti apre la via il dotto timonier del carro aurato: - Negar non vo' che corpo il ciel non sia di palpabil materia edificato, ché far col moto suo quell'armonia non potrebbe ch'ei fa mentr'è girato; è tutto corporal ciò che si move e ciò ch'ha il quale e'l quanto, il donde e'l dove. diretta percezione sensoriale (l’occhio v.4) che non dal giudizio dell’intelletto; un rovesciamento voluto e spiazzante, seppure in parte fondato sugli esperimenti galileiani e sulle conquiste del cannocchiale. In 36 viene introdotto un corpo (di marca averroistica) interposto tra Sole e Luna (Febo e Febea), tale da far velo in parte ai raggi solari. La risposta di Mercurio è che questo corpo, se interposto, dovrebbe far apparire diversa la forma della luna e indurre mutamenti nelle sue macchie: che invece rimangono stabili. 37 vv.1-4 la seconda spiegazione possibile parla della luna (Cinzia) come in qualche misura partecipe della condizione degli elementi, ivi compresa l’imperfezione, che sarebbe denotata dalle macchie; vv.5-8 ‘così cerca di diminuire il pregio e la natura perfetta dei cieli, come se una cosa celeste, nitida e senza imperfezioni, possa essere intaccata dalla commistione con una cosa terrena’. 38 la terza spiegazione: luna come di un cristallo posto sopra un nucleo di metalli e dalle macchie prodotte dall’ombra delle montagne. L’opposizione di Mercurio, al solito raccolta nella seconda parte dell’ottava, è che non vi è cristallo così nitido da risplendere a tale distanza, e che non esiste vista così acuta da vedere in uno specchio così lontano. 39 v.2 ‘S’asconda’ – ‘si celi’; sarebbe una ragione misteriosa e inarrivabile anche per i più alti intelletti umani (v.4), con un monito che risuona appena prima dell’elogio di Galileo; v.6 ‘levigato e pianeggiante’. La descrizione della luna è fondata sulle pagine del Sidereus nuncius galileiano, apparso per la prima volta nel 1610, e da Marino inserito tra le tessere del poema. 41 v.2 ‘Trivia’ ancora la luna; i segni foschi sono naturalmente le macchie lunari. nella spiegazione di Mercurio molte altre macchie sarebbero visibili oltre quelle già note, macchie corrispondenti a scogli e colli e campi e boschi. L’impotenza dell’occhio umano a raggiungerle (vv.7-8) prelude all’elogio al cannocchiale. 42. Lodi di Galileo. v.1 ‘Tempo verrà’ collocata nel futuro si avvia qui la profezia che costituisce un alto elogio delle scoperte galileiane, pronunciato pure in un poema che per cosmologia rimane stabilmente tolemaico. La stima mariniana per lo scienziato doveva essere indubbia e abbiamo testimonianze di uno scambio, davvero simbolico, avvenuto a Roma nelle ultime settimane del 1623; Marino da poco tornato da Parigi recapitò a Galileo una copia dell’Adone parigino, ricevendo in cambio un esemplare del Saggiatore; v.2 ‘questi suoi 46. Ben dei tu molto al ciel, che ti discopra l'invenzion del'organo celeste, ma vie più'l cielo ala tua nobil opra, che le bellezze sue fa manifeste. Degna è l'imagin tua che sia là sopra tra i lumi accolta, onde si fregia e veste e dele tue lunette il vetro frale tra gli eterni zaffir resti immortale. 43. Del telescopio, a questa etate ignoto, per te fia, Galileo, l'opra composta, l'opra ch'al senso altrui, benché remoto, fatto molto maggior l'oggetto accosta. Tu, solo osservator d'ogni suo moto e di qualunque ha in lei parte nascosta, 42. Tempo verrà che senza impedimento queste sue note ancor fien note e chiare, mercé d'un ammirabile stromento per cui ciò ch'è lontan vicino appare e, con un occhio chiuso e l'altro intento specolando ciascun l'orbe lunare, scorciar potrà lunghissimi intervalli per un picciol cannone e duo cristalli. segni saranno conosciuti e nitidi’; vv.5-8 ‘ e, con un occhio chiuso e con l’altro impegnato ad osservare la luna, ciascuno potrà abbreviare distanze infinite attraverso un piccolo cilindro e due cristalli’. 43 vv.3-4 ‘quell’invenzione che all vista avvicina un oggetto distante, rendendolo molto più grande’; vv.5-8 Galileo diverrà dunque un nuovo Endimione, unico ad avere il privilegio di osservare tutti i movimenti della luna e di scoprire anche le più intime bellezze (v.6); Endimione era il giovane bellissimo, amato e reso immortale da Selene (Elegiae, Properzio). 45 A Galileo viene assimilato Cristoforo Colombo, capace di svelare sulla terra un nuovo continente, percorrendo a proprio rischio tutta la distesa delle acque. 46 v.2 ‘organo celeste’ – ‘il cannocchiale’, dono divino ma la grazie è largamente ripagata dalla nobil opra di Galileo, che rende chiare, note a tutti, le bellezze dei cieli (vv.3-4); v.6 ‘accolta tra le stelle di cui [il cielo] si adorna’; l’accoglienza in cielo dell’immagine di Galileo, e del cannocchiale stesso, è il passo culminante della sua gloria; v.8 ‘eterni zaffir’ ‘le stelle immutabili’; di contro al fragile (frale del v.7) vetro delle lenti galileiane. 48. Mercurio guida gli amanti nella Grotta della Natura. Mercurio e i due amanti arrivarono col carro sopra il cielo della luna. Le prime due ottave sulle Natura (50-51) derivano da una riscrittura di Claudiano e di Ripa. La Natura viene descritta come ‘Donna ignuda, con le mammelle cariche di latte perché la forma è che nutrisce e sostenta tutte le cose create, come con le mammelle la donna nutrisce e sostenta li fanciulli, e con un avoltore in mano’ [Ripa, Iconologia, Natura]; delle cui fattezze il cielo si rallegra e gioisce. La Natura siede sulla soglia preziosa dell’antro divino. 51-53 Viene descritta la figura del Tempo: uomo vecchio e alato dalla figura imponente, il quale tiene in mano un cerchio (la clessidra) che rappresenta l’inarrestabile corsa delle ore e scandisce i tempi della vita degli uomini. Questi [gli uomini] sono una moltitudine di servi, riverenti alla maestà del Tempo, attenti e diligenti esecutori delle sue leggi. 54 v.1 ‘colei’ la Natura presentata come colei che impartisce (ministra v.2) al mondo i decreti celesti; v.2 ‘annosa’ – ‘antica’. La Natura della grotta è tale che non può essere conosciuta dagli uomini, e i suoi più oscuri segreti sono appena indagabili dalla mente divina (vv.3-8). Ai vv.4-6 insistita replica dell’inattingibilità di questi misteri tanto per gli occhi quanto per il pensiero degli uomini, con il chiasmo vista-ali, intelletto-sguardo. 55Nella grotta la Natura ha una dimora segreta e isolata. 56 v.1 ‘Quell’uomo antico’ritorna ancora il Tempo, presentato qui come vincitore su re e tiranni, come forza che consuma ogni regno. 57 vv.3-8solo l’Eternità raggiunge e incatena il Tempo, come già sancito nella progressione ei Trionfi pretrarcheschi, mentre la scrittura (la penna), le opere dotte degli uomini sopravvivono al corso e al 58. Di duro acciaio ha temperati i denti, infrangibili, eterni, adamantini; dele torri superbe ed eminenti rode e rompe con questi i sassi alpini; de' gran teatri i porfidi lucenti, degli eccelsi colossi i marmi fini; divorator del tutto, alfin risolve le più salde materie in trita polve. 57. Con l'ali, che sì grandi ha su le terga vola tanto che'l sol l'adegua apena; sola però l'Eternità, ch'alberga sovra le stelle, il giunge e l'incatena; la penna ancor, che dotte carte verga passa il suo volo e'l suo furore affrena; così, chi'l crederebbe? un fragil foglio può di chi tutto può vincer l'orgoglio. 54. Sacra a colei che gli ordini fatali ministra al mondo è questa grotta annosa, non solo impenetrabile a' mortali, agli occhi umani ed ale menti ascosa, sich'alzarvi giamai la vista o l'ali intelletto non può, sguardo non osa, ma gl'interni recessi anco di lei quasi apena spiar sanno gli dei. furore degli anni, e una fragile carta può dunque superare la forza del Tempo stesso, che tutto consuma. 58 altro elemento proveniente dalla descrizione di Ripa: ‘ha la bocca aperta, mostrando i denti, li quali sieno del colore del ferro[…] mostrano che il tempo strugge, guasta, consuma, e manda per terra tutte le cose senza spesa e senza fatica’; nel seguito dell’ottava l’immagine della rovina indotta dal Tempo tanto nelle opere degli uomini, quanto in quelle della Natura; vv.7-8 ‘alla fine riduce in polvere le materie più resistenti’. 59 il Tempo cambia la sua forma col trascorrere delle ore, quindi tu [Adone] non lo vedrai mai nella stessa sembianza perché ha tre volti/età: ‘l’acerba, la virile e la canuta’. 60 in questa ottava viene introdotto un altro personaggio: il Fato che attraverso il libro del Destino, detta le leggi al Tempo che vengono applicate poi alle stagioni. 61 v.3 ‘sue voglie’ – ‘il desiderio del Tempo’ l’ottava descrive la progressione discendente attraverso la quale è regolato e distribuito il meccanismo del tempo. 62 viene descritta la discendenza di Aurora come figlia di Notte e Giorno, una versione che contrasta col mito che la voleva generata da Iperione e Teia e piuttosto sorella di Sole e Luna. Vengono introdotte le tre Parche che, secondo il mito governano la vita degli uomini. 64-77 Nello specchio retto dalla Verità (sua figlia), il Tempo osserva quanto viene in terra, l’affannoso tentativo degli uomini di superare il confine dei propri anni e della propria vita, oltraggiando appunto la divinità infallibile del Tempo; (i monumenti citati in 64 vv.6-8 ‘statue, tempi, archi, trofei, piramidi, obelischi, mausolei’ sono simboli dell’umana ambizione e superbia). Il Tempo ride e si prende gioco dell’uomo che sbaglia e s’inganna, erigendo delle costruzioni ambiziose che il Tempo distrugge, dandole in pasto all’acqua e al fuoco, donandole o alla peste o alla guerra; le dissolve tutte in modo che non ne rimanga traccia. Parla sempre Mercurio riferendosi ad Adone: ‘ e guarda se riconosci la Fortuna che siede sul dorso di un delfino (a conferma del suo perenne movimento) e che ti permise di arrivare sul suolo patrio (con riferimento al canto I 168). In 67 Mercurio descrive le quattro monarchie dell’universo: è coronata d’oro quella degli Assiri, d’argento quella dei Persiani, la Grecia di rame e l’ultima, la bellicosa e guerriera Roma ha il capo ornato di ferro. Ma a che serve tutto ciò se si tratta di un sogno? (la domanda ricorda il sonetto proemiale dei Rvf petrarcheschi, qui disteso dalla sola materia amorosa all’intero destino dell’uomo;68). Guarda [tu, Adone] sull’uscio della caverna sgorgano due fiumi contrari: vedrai il volto della Felicità che è illuminato dalla luce eterna (ricorda il Catone dantesco) e rappresenta la gioia infinita/fiume lieto in contrapposizione all’altro che è un corso livido di veleno. La Felicità accompagnata da Vita Abbondanza, Festa, Gioia, Allegria, Pace e Quiete distribuisce sulla terra le preziose gocce del fiume della gioia, che risulta sempre esigua e sempre, in qualche modo, macchiata di sofferenza perché le acque del fiume lieto giungono agli uomini sulla terra miste con le acque del fiume del dolore. L’altro fiume (Pandora) è di veleno e dentro di sé accoglie solo pianti e sciagure. La fanciulla che vedi intenta a raccogliere le sue gocce è Pandora, figlia di Giove, che racchiude nel suo vaso tutti i mali. (inizia il riferimento al mito di Esiodo) Nel momento in cui venne aperto quel vaso, tutte le virtù fuggirono altrove, le disgrazie rimasero in fondo al vaso e in cima 82. Questa tutta di sdegno accesa e tinta e di dispetto e di fastidio è piena e, da turba crudel tirata e spinta, giovinetta gentil dietro si mena, che l'una e l'altra mano al tergo avinta por a di dura e rigida catena, smarrita il viso e pallidetta alquanto ed ha bianca la gonna e bianco il manto. 80. Ma di questa (dicea) meglio è tacerne poich'ogni pronto stil vi fora zoppo. Ben mille lingue e mille penne eterne in mia vece di lei parleran troppo. Mira in quel tribunal, dove si scerne di gente intorno adulatrice un groppo, donna con torve luci e lunghe orecchie che da' fianchi si tien due brutte vecchie. 78. Sì disse e gli mostrò mostro difforme con orecchie di Mida e man di Cacco; ai duo volti parea Giano biforme, ala cresta Priapo, al ventre Bacco; la gola al lupo avea forma conforme, artigli avea d'arpia, zan e di Ciac o; era iena ala voce e volpe ai tratti, scorpione ala coda e simia agli atti. grotte profonde e coperto dall’oscurità, si distingueva la casa del Sonno, che giaceva sopra un letto d’ebano. 99 v.3 ‘schivi del sol’ – ‘che rifuggono la luce’ Le immagini fantastiche, matrici di illusioni e di errori (v.4), offrono, quasi al completo, il patrimonio di mostri mitologici: l’idra, creatura dalle tante teste, Briareo con le sue cinquanta teste e cento braccia, e ancora i fauni, divinità con corpo umano e piedi e corna di capra. 100 qui i sogni si deformano ulteriormente in una mistione sregolata di nature, a partire dalla scimmia assimilata al bue del v.1; v.3 ‘mergi’ – ‘uccelli marini dai lunghi becchi’; v.4 ‘alocchi’ – ‘uccelli notturni’. 101 vv.1-2 ‘ vedresti un aspetto e un volto angelico terminare nel sostegno di una statua’; vv.7-8 ‘con i fusi della filatura come gambe e pifferi al posto del naso’. 104-106 Adone riconosce il sogno fatto in occasione dell’incontro con Venere. Intanto la nave seguiva l’uscita della Notte, che volando si accostava ad Adone in mille forme per farlo addormentare. Mercurio, che se ne accorse, invitò Adone a sollevare lo sguardo (rif. Purgatorio dantesco) indicandogli diverse ombre; così mentre Adone domandava e Mercurio rispondeva, quest’ultimo condusse i due amanti fino all’altra riva. Giunta ormai alla metà del suo corso, la Notte scendeva sull’oceano e spegneva gli ultimi raggi di luce, diventati fiochi. La luna cinta da una moltitudine di stelle splendeva più che mai, gettando lo sguardo attento su Edimione addormentato. 107 vv.3-4 ‘nei cieli in cui si trovano Venere e Adone non ha luogo il tempo umano, e non vi è dunque l’alternanza di giorno e notte’; l’impiego di queste divisioni vale a porgere all’intelletto quello che i sensi non percepirono (vv.5-6), e a fornire dunque una misurazione umana al viaggio celeste degli amanti (vv.7-8), viaggio che va ora incontro all’ascesa dal cielo della luna a quello di Mercurio. 108. Ascesa al cielo di Mercurio. Ingresso nel Palazzo dell’Arte. Mercurio aggiunge al carro sei colombe, vi fece salire i due amanti e sferzandole si diresse verso la sua dimora, alla quale giunge dopo qualche ora. Intanto alleggeriva la noiosa attesa del viaggio col suo parlare saggio. Mercurio iniziò a dire ‘Eccoci in prossimità della mia stella/pianeta che si trova più in alto. Non è bianco ma macchiato, intarsiato di scuro che si avvicina al piombo. Molto piccolo, a mala pena si vede, e per pochi giorni nel corso dell’anno è in effetti visibile solo dopo il tramonto e prima dell’alba. 107. Deh! perdo imi il v r s'altrui par forse ch'io qui del ciel la dignitate offenda, poiché là dove tempo unqua non corse l'ore non spiegan mai notturna benda; facciol, perché così quelche non scorse il senso mai, l'intendimento intenda, non sapendo trovar fuor di natura agli spazi celesti altra misura. 110. Questo l'avien non sol perché minore del'altre erranti e dele fisse è molto, ma però che da luce assai maggiore l'è spesso il lume innecclissato e tolto. Sotto i raggi del sole il suo splendore nasconde sì, che vi riman sepolto e tra que' lampi onde si copre e vela quasi in lucida nebbia altrui si cela. 112. La qualità di sua natura è bene mutabile, volubile, inquieta; si varia ognor né mai fermezza tiene, or infausta, or seconda, or trista, or lieta. Ma questa tanta instabiltà le viene dala congiunzion d'altro pianeta, perch'io son tal che negli effetti miei buon co' buoni mi mostro e reo co' rei. 113. Nascon per la virtù di questa luce luminosi intelletti, ingegni acuti; senno altrui dona ed uomini produce cauti agli affari e nel'industrie astuti. Vago desio di nove cose induce e d'incognite al mondo arti e virtuti. Per lei sol chiaro e celebre divenne dele lingue lo studio e dele penne. 110 v.1 ‘l’avien’ – ‘le accade’ riferito alla stella di Mercurio; la sua scarsa visibilità dipende non solo dalle sue scarse dimensioni in confronto alle altre stelle (v.2), ma anche perché la sua luce è coperta dalla maggiore luminosità del sole (vv.3-4); vv.7-8 ‘e tra quei raggi luminosi, da cui viene sommerso e velato, si nasconde alla vista come dentro una nebbia luminosa’; la costruzione mira all’ossimoro di lucida nebbia. 111 v.3 ‘..del tuo cor reina’ allusione a Venere, anch’essa prossima al sole; i confronti tra Mercurio e Venere, in termini di moto di rotazione e di vicinanza al sole, erano tradizionali nei trattati astronomici di fine ‘500. 112 v.1 ‘di sua natura’ riferito nuovamente a Mercurio; v.4 ‘seconda’ – ‘favorevole’; alla volubilità di Mercurio si deve anche la sua mutazione in rapporto alle congiunzioni con altri pianeti; v.7 ‘effetti miei’ – ‘mie influenze’. 113 v.2 ‘luminosi intelletti’ sotto il segno di Mercurio sono generati uomini ingegnosi, e intelligenze versate nel commercio; vv.5-6 si anticipa il motivo delle invenzioni umane che dominerà le ottave successive. 114 v.1 tua dolce lumiera Venere stessa, il cui raggio lieto e benigno ricorda l’invocazione iniziale (I 1); la congiunzione tra Venere e Mercurio produce ingegni di eccezionale valore nella poesia (con evidente richiamo autobiografico da parte di Marino); v.6 inconsueta perifrasi per Adone ‘bel figlio del re di Cipro’. 115 vv.1-2 ‘il timone del carro d’oro del sole era stato già guidato lungo il suo curvo cammino dalle ore’; v.5 è l’Aurora, che dissipando le ombre spargeva sui colli la luce e la rugiada. La descrizione vale a chiarire l’ora mattutina nella quale i due amanti giungono infine al cielo di Mercurio. 116Non appena arrivarono Adone vide un paese con un giorno e un cielo più belli dei nostri; poi riprese il cammino seguendo Venere e Mercurio per un ampio sentiero nel quale di palesò un nobile palazzo. 117 vv.3-4 ‘[il palazzo] è superiore ad ogni altro edificio per l’arte, l’abilità, per le ricchezze in esso raccolte’; la sottolineatura delle virtù tecniche dispiegate nel palazzo è funzionale al passaggio dal regno della Natura a quello dell’Arte (vv.5-8). 118-121 inizia la descrizione dell’Arte. Parla Mercurio. ‘Questa è la casa dell’Arte, eccola là di fronte a te, se desideri vederla. La sua veste ha preziosi ricami di gemme; la sua testa è ornata dai più verdi rami e gli strumenti inventati sono posti ai suoi piedi. Guarda le penne e i pennelli, martelli e scalpelli, asce e incudini, aghi e fusi, spade e scudi.’ Così dicendogli e procedendo per il palazzo, l’Arte tralasciò i suoi studi e si inchinò ai piedi di Mercurio devota. Descrizione del palazzo: aveva ogni muro decorato di diamanti che brillavano ai raggi del sole; e nell’immenso cortile si dispiegavano le diverse scuole (dove si apprendono le diverse discipline; la sequenza si apre 117. p lagio ch'al modello, ala figura quasi d'anfiteatro avea sembianza; ogni edificio, ogni artificio oscura, ogni lavoro, ogni r cchezza avanza. - Vista nel primo giro hai di Natura (disse Cillenio) la secreta stanza; or cco, bell'Adon, sei giunto in parte dove l'albergo ancor vedrai del'Arte. 115. Avean l'aureo timon per la via torta drizzato già le mattutine ancelle; già sui confin dela dorat porta giunto era il sole e fea sparir le stelle, la cui leggiadra messaggiera e scorta sgombrando intanto qu st nubi e quelle, per le piagge spargea chiare ed 114. E quando questa tua dolce lumiera v'applica il raggio suo lieto e benigno, quel fortunato al cui natale impera riesce in terra il più famoso cigno. - Così lo dio dela seconda sfera parla al vago figliuol del re ciprigno e tuttavia, mentre così gli conta le proprie doti, il patrio ciel sormonta. con le arti del trivio e del quadrivio) alle cui cattedre sono sedute delle donne che insegnano agli uomini le discipline. Mercurio parla: ‘Queste che hanno uguale età e bellezza, sono le ancelle dell’Arte che rendono libero l’uomo; fonti inesauribili, oracoli immortali del vero sapere. Sono non più di sette, guide sicure, sacre maestre dei sensi deboli e dell’intelletto incerto’. 122 vv.1-4 si tratta della Grammatica, la cui conoscenza è necessaria per tutte le altre discipline (v.4); segue la Retorica, prediletta da Mercurio (v.7), alle cui divisioni interne (dimostrativa, deliberativa e giudiziale) fa riferimento il v.6; vv.7-8 ‘che mentre versa fiumi di eloquenza dolcissima coglie il bersaglio con i suoi argomenti’. 123 vv.1-4 si tratta della Dialettica, descritta come una saettatrice che avventa con precisione sillogismi, vincendo i dubbi di qualunque petto; v.7 ‘scioglie’ – ‘risolve’, in senso argomentativo; il fere conclusivo, nel senso di ‘va a segno’, riprende la metafora portante dell’ottava. 124 v.1 quattro donzelle sono le arti del quadrivio, la cui applicazione concreta, non verbale, è precisata al v.4; ai vv.5-8 la sequenza si apre con l’Astronomia, intesa allo studio dei pianeti (vv.7-8) ma al solito non distinta dall’Astrologia che tenta di indovinare gli eventi a venire (v.6). 125 v.1 ‘L’altra’ si tratta della Geometria, intesa allo studio delle figure; piombi sono i pesi utili a tracciare linee perpendicolari; v.5 ‘la terza’ si tratta dell’Aritmetica, che ‘rappresenta e stabilisce calcoli eleganti e conteggi precisi’ (vv.5-6); v.8 ‘moltiplica ciò che viene diviso e verifica le operazioni’. 126 v.1 ‘l’ultima suora’ si tratta della Musica, già ricordata in relazione alla Poesia in apertura del canto V; ricorrono qui tessere già allora presenti, ad esempio nei vv.3-4; vv.7-8 ribadisce la posizione propedeutica delle discipline fin qui elencate, cui segue un canone più ampio, entro il quale Marino si muove con maggiore libertà, tanto negli accostamenti (due discipline per ciascuna ottava) quanto nelle brevi descrizioni. 127 v.1 ‘altre due sorelle’ si tratta della Pittura e della Scultura, oggetto di diversi trattati sulla rispettiva eccellenza nel corso del ‘500, e qui presentate come figlie di Simmetria e Disegno; le parole che ne descrivono il valore sono luoghi consueti nella produzione mariniana, soprattutto nelle relative sezioni Pitture e Scolture della Galeria; significativa soltanto l’insistenza sulla diversità dei materiali impiegati (v.3 e v.8), funzionale alla presentazione in corso. 127. Ecco altre due sorelle e del Disegno e dela Simmetria pregiate figlie. L'una con bei colori in tela o in legno sa di nulla formar gran meraviglie; l'altra, che nel'industria e nel'ingegno non ha, trattane lei, chi la somiglie, sa dar col ferro al sasso anima vera, al metallo, alo stucco ed ala cera. 126. Instruisce a compor l'ultima suora e fughe e pause e sincope e battute e temprar note al'armonia sonora or lente e gravi, or rapide ed acute. Altre vederne non men sagge ancora oltre queste potrai fin qui vedute, benché le sette ch'io t'ho conte e mostre sien le prime a purgar le menti vostre. 125. L'altra, che con la pertica disegna e triangoli e tondi e cubi e quadri, con linee e punti il ver mostrando, insegna righe e piombi adoprar, compassi e squadre, La terza di sua man figura e segna tariffe egregie e calcoli leggiadri; sottrae la somma, la radice trova, 128. Eccoti ancor, col mappamondo avante e con la carta un'altra giovinetta che, scoprendo i paesi e quali e quante regioni ha la terra, altrui diletta. Sentenze poi religiose e sante damigella celeste altrove detta; di Dio discorre e del'eterna vita ai discepoli suoi la strada addita. 129. Mira colà quella matrona augusta che per toga e per laurea è veneranda: è la Legge civil, che santa e giusta sol cose oneste e lecite comanda. Quella che porge al'altrui febre adusta amara e salutifera bevanda è d'ogni morbo uman medicatrice, cui sua virtù non chiude erba o radice. 130. Guarda or colei che spiriti divini spira, seben fattezze alquanto ha brutte e par ch'ognun l'onori, ognun l'inchini qual madre universal del'altre tutte: quella è Sofia che, rabbuffata i crini, magra e con guance pallide e distrutte, con scalzi piedi e con squarciati panni pur di dotti scolari empie gli scanni. mentre in fine di ottava sfilano gli strumenti impiegati a sfondare le difese. 151 la rassegna delle invenzioni termina con le due “macchine” di maggiore impatto nella storia rinascimentale, la polvere da sparo assegnata a Bertoldo Schwarz, monaco benedettino originario del Reno, e la stampa introdotta da Gutemberg, invenzione quest’ultima tanto degna di gloria quanto capace di immortalare coi libri la memoria di uomini e cose. Tutte le notizie per questa sezione provengono da Plino Nat. Hist . 152. La Biblioteca. Durante il discorso e l’illustrazione di Mercurio, la coppia è salita su un aureo palco, entrando in una galleria adibita a biblioteca, interamente fasciata di volumi. Nella descrizione dei volumi riposti in sontuose scansie, ancora caratterizzati da preziose legature e articolati nelle diverse classi, è possibile che Marino avesse a mente il progetto della Galeria di Carlo Emanuele I, oltre che il proprio sogno di una galleria/biblioteca da costruire al ritorno in Italia. 153 Biblioteca di Atene, cui Serse avrebbe sottratto manoscritti di ogni opera; vv.3-4 ‘che in seguito, riconquistate da Seleuco alle armi persiane, tornarono in Grecia’; vv.5-8 ‘né l’Egitto celebri il museo raccolto dai Tolomei, composto da scritti di ogni genere, né si vantino di avere tanti volumi e così preziosi in questa stessa età la biblioteca di Urbino o quella Vaticana’. 154 con compiaciuto gusto antiquario Marino descrive i supporti dei manoscritti più antichi: dalle tavolette di cera alle pergamene, dalle foglie di palma alle tavole di piombo, composte in lamine sottili e levigate. Di seguito e in parallelo, il ricordo delle lingue più lontane, dal caldeo al fenicio, ai geroglifici egiziani, fino alle note furtive, ai misteriosi simboli il cui significato si riservava oscuro e prezioso. 155-160 Mercurio mostra ad Adone la raccolta (erario) conservata all’interno della biblioteca. Nei volumi sono ancora ben visibili con lettere dorate, i nomi di coloro che non posso essere scalfiti dall’azione del tempo. Quante opere, frutto di fatica di autori famosi e celebrati si perdono per ingiuria della sorte, e finiscono sommerse tra le acque o nelle fiamme? La Libreria, ovvero l’opera completa di Aristotele, lasciata in punto di morte a Teofrasto, si trova qui nella bibliteca di Mercurio. Mercurio parla poi della tradizione incompleta delle opere di Petronio e alla natura frammentaria dello stesso Satyricon; allo stesso modo allude alle sezioni mancanti delle opere di Tacito e Livio, e poi ancora alla Medea perduta di Ovidio; in conclusione di ottava fa un elenco di autore le cui opere sono pervenute parzialmente, come Lucrezio. Accanto ai tesori perduti prodotti dagli ingegni dei più illustri poeti si conservano nella Biblioteca di Mercurio, anche gli oracoli delle Sibille, andate distrutte al rogo del tempio di Giove capitolino. Nel passaggio successivo parla dei libri invasi dalla polvere. Questo ricorda uno dei passaggi celebri di una lettera mariniana, anche allora con riferimento malevolo ai libri di avversari e rivali, in contrapposizione alla cura riservata ai libri pregiati. 153. Ceda Atene fam sa, a cui già Serse rapì gli archivi d'ogni antico scritto, che poi dal buon Seleuc al'armi perse ritolti, in Grecia fer novo tragitto; né da' suoi Tolomei, d'opre diverse cumulato museo, celebri Egitto, né di tai libri in quest'etate e tanti Urbin si pregi o il Vatican si vanti. 161. E perché senza onor, senza ornamento di coverta o di nastro io qui gli trovo? Un fra gli altri gittato al pavimento ne veggio là, fra Drusiano e Bovo, che, se creder si deve al'argomento, porta un titolo illustre: Il mondo novo; ma sì logoro par, s'io ben discerno, che quasi il mondo vecchio è più moderno. 162. Di scusa certo e di pietà son degni (sorridendo l'interprete rispose) quei che, d'ogni valor poveri ingegni, si sforzan d'emular l'opre famose, ch'ingordigia d'onor non ha ritegni nele cupide menti ambiziose e, quand'alto volar ne veggion uno, a quel segno arrivar vorria ciascuno. 164. Dietro ai chiari scrittor di Smirna e Manto, per cui sempre vivranno i duci e l'armi, tentando invan di pareggiargli al canto più d'uno arroterà lo stile e i carmi. O quanti poi, con quanto studio e quanto del'italico stuol di veder parmi tracciar con poca loda i duo migliori che'nsu'l Po canteran guerre ed amori. 161 v.4 ‘Drusiano e Bovo’ titoli di due poemi cavallereschi del ‘500 che erano esempi per eccellenza di poesia popolare e di bassa qualità; subito accanto, appaiato nel giudizio, compare il Mondo nuovo di Stigliani, edito nella sua prima parte nel 1617. 162 v.2 ‘Linterprete’ Mercurio, sorridente di fronte agli scarsi risultati raggiunti dai poveri ingegni; vv.5-8 ‘perché negli ingegni desiderosi di onore il desiderio non ha limiti e ciascuno vorrebbe giungere a quelle altezze alle quali vedono giungere qualche poeta straordinario’; implicito ancora il confronto tra i vani tentativi di Stigliani e la sovrana altezza di Marino. 163 non tutti sono degni o capaci di giungere all’eterna gloria; chi vuole volare senza avere le ali unisce alla tentata salita una certa rovina. Non c’è fallimento maggiore di chi vuole seguire Apollo indegnamente. 164 v.1 rispettivamente Omero, la cui patria viene fissata a Smirne, e Virgilio, sommi esempi della poesia epica, capace di eternare la gloria di guerre e eroi; vv.5- 8 ‘e quanti poeti italiani, applicandovi studio e impegni infiniti, mi sembra vedere seguire con poco frutto le orme dei due poeti estensi che canteranno azioni belliche e passioni amorose’; allusione ad Ariosto e Tasso, che completano circolarmente il pantheon epico disegnato da Marino. 165 v.2 ‘ferragine’ nel senso di materiale grezzo, poco raffinato; l’eccessiva produzione di poemi, inadeguata alla grandezza dei modelli, è ritenuta effetto anche dell’invenzione della stampa (vv.3-4), invenzione facil troppo che dietro compenso sottopone ai torchi ogni prodotto letterario, senza nessun vaglio di qualità; è singolare che qui ricorrano in termini negativi gli effetti di quell’arte della stampa elogiata in 151; vv.5-8 ‘ma se qualche opera mai riuscirà male, tra esse sarà proprio il Mondo nuovo; così il monte partorisce dopo lunga attesa appena un topo, destinato a morire in poco tempo’ (con allusione allo scarso successo poetico del poema stiglianesco). 166 vv.1-6 ‘dopo che tali opere hanno goduto della prima luce nel mondo degli uomini, il Tempo, che tu hai già visto nell’altra sfera, è solito raccoglierle qui in un ammasso, e nasconderle in un antro oscuro’; è il destino di oblio riservato alle opere infelici. 167 vv.5-6 ‘e, ove tu segua la mia guida, vedrai meraviglie molto maggiori di quelle che fin qui hai visto’. La mirabil cosa cui Mercurio introduce Adone è il mappamondo ove il giovane potrà vedere raffigurate alcune delle guerre future; lo strumento della profezia piegato in chiave encomiastica è tradizionale nell’epica, ma viene da Marino rinnovato attraverso la scelta del mappamondo, della sfera di cristallo. 168. La sfera rotante creata da Mercurio. 165. Che di poemi in quella lingua cresca numerosa ferragine e di rime, la facil troppo invenzion tedesca n'è cagion, che per prezz il tutto imprime. Ma s'alcuna sarà che mal riesca, l'opra che tu dicesti è tra le prime. Così figliano i monti e'l topo nasce, ma poi, nato ch'egli è, si more in fasce. 166. Poiché sì fatti parti n br ve lume visto apena han laggiù nel vostro mondo, il vecchiar l dale veloci piume, quelche vedesti già nel'altro tondo, qui ridurle in un monte ha per costume per sepelirle in tenebroso fondo; alfin le porta ad attuffar nel rio che copre il tutto di perpetuo oblio. 167. Ma più non dimoriam, ché poi ch'a questi t'ho scorto eterni e luminosi mondi, converrà ch'altro ancor ti manifesti de' secreti del fato alti e profondi, e vie molto maggior che non vedesti meraviglie vedrai, se mi secondi. - Qui tacque e'n ricca loggia e spaziosa il condusse a mirar mirabil cosa. 168. Vasto edificio d'ingegnosa sfera reggea, quasi gran mappa, un piedestallo, che s'appoggiava ad una base intera tutta intagliata del miglior metallo. Era d'ampiezza assai ben grande ed era fabricata d'acciaio e di cristallo; 170. Questa (dicea) sovramortal fattura, laqual confonde ogni creato ingegno, opra mirabil è, ma di Natura e di divin maestro alto disegno. L'artefice di tanta architettura che d'ogni altro artificio eccede il segno fu questa mia, del gran fattor sovrano, 173. Formar di cavo rame un cielo angusto fia forse in alcun tempo altrui concesso, dove or sereno or di vapori onusto l'aere vedrassi e'l tuono e'l lampo espresso e tener moto regolato e giuto la bianca dea con l'altre stelle appresso e con perpetuo error per l'alta mole 168 vv.1-4 ‘un piedistallo sosteneva come una gran mappa il vasto apparato di una sfera, e si appoggiava su una base integra, realizzata con il metallo più nobile. Nel seguito il discorso pare riferirsi alla sfera alla sua composizione fisica (vv.5-6), ai preziosi e luminosi zaffiri, distribuiti in fasce che la circondano. 169 i seggi d’oro posti nella descrizione, rappresentano il sontuoso apparecchio predisposto per ammirare a pieno la sfera. 170 v.2 ‘la cui natura turba, e lascia senza comprensione, ogni intelletto umano, non di origine divina’; la sfera si rivela dunque prodotto dalla Natura, frutto del magistero divino, ma realizzata nel concreto da Mercurio (vv.7-8) quale imitazione imperfetta dell’arte divina (gran fattor sovrano v.7). Si noti il gioco di specchi che distribuisce l’origine, la divinità e la concreta realizzazione della sfera. 171 per Mercurio la costruzione non fu semplice e faticò molto. Solo quando venne in suo soccorso il Creatore, riuscì a raccogliere il mondo intero in uno spazio contenuto. 172 viene descritta la meraviglia inevitabile di fronte alla sfera, che appare dunque come l’invenzione più straordinaria, dopo la sequenza di invenzioni umane che abbiamo passato in rassegna. 173 vv.1-8 ‘forse in qualche tempo fu ad altri concesso di formare un piccolo cielo con una cavità di rame, dove si vedesse il cielo ora sereno ora carico di nuvole, ove si vedessero i tuoni e i lampi, e nel quale la luna (bianca dea) tenesse il suo movimento regolare insieme alle stelle, e nel quale il sole si muovesse con movimento perennemente errante tra le diverse costellazioni (fera)’; da notare la posizione geocentrica implicita nel distico finale entro lo stesso canto che comprende l’elogio di Galileo. 174-184 L’invenzione di Mercurio ha un pregio inarrivabile, quello di rappresentare il maggior mondo, il mondo terreno, degli elementi, e il mondo celeste. Mercurio continua a spiegare e descrivere il mappamondo ad Adone: ‘qui puoi vedere tutte le cose buone e cattive che accadono nei vari luoghi del mondo, in qualsiasi periodo, passato presente e anche futuro. Prosegue mostrando il moto dei cieli: ‘guarda come legati agli elementi si muovono in circolo tutti i cieli; vedi il sentiero percorso dal sole e dalla luna; vedi come si muove rapido il primo cielo, la cui rotazione produce il movimento dei cieli inferiori’ (con ennesimo riferimento alla cosmologia tolemaica). Ecco che vedi i tropici del cancro e del capricorno dove si agguaglia il ritmo del giorno e della notte alla veglia e al sonno. Ecco poi i due cerchi massimi (poli) che tagliano l’equatore e lo zodiaco in quattro parti uguali, e che così dividono le quattro stagioni; l’equatore sta nel mezzo. Dopo la descrizione dei moti delle sfere e delle diverse regioni della terra, si passa alla descrizione dei quattro elementi sotto il cielo più basso. ‘Eccoti il fuoco che sempre brucia, guarda il trasparente gelo delle acque racchiuse dal mare; ammira il velo sottile dell’aria e la ruvida terra per intero equilibrata nel suo stesso peso, quasi centro del