Scarica G. Marino, Adone, Canto XVIII e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! CANTO XVIII La Morte Amore e Sdegno (1-6) Falsirea, attraverso Aurilla, informa Marte degli amori di Venere e Adone (7-16) Marte e Diana preparano l’agguato contro Adone (17-42) Adone, indossando le armi di Meleagro, entra in una zona proibita del parco (43-61) Adone viene ucciso da un cinghiale innamoratosi di lui (62-99) Adone in sogno racconta a Venere la propria morte e la dea decide di tornare a Cipro (100-131) Venere giunge in tempo per vedere morire il giovane. Pianto della dea (132-192) Il dolore e l’ira di Venere (193-227) Processo al cinghiale di fronte a Venere (228-241) Suicidio di Aurilla (242-253) Allontanatasi Venere nel canto XVII e rimasti sospesi, pendenti, i paesaggi funesti che ne avevano scandito il viaggio, il canto XVIII mette finalmente in scena la morte di Adone , punto terminale e culmine tragico della favola . Come era già venuto nella terna dei canti I-III, all’evento, previsto dal mito originario e narrato in forma piana da Ovidio, Marino fa concorrere una quantità di componenti e attori, creando uno ordigno macchinoso e non integralmente necessario. Ad avviare l'attacco ad Adone è Aurilla, personaggio ripreso da uno scorcio dell’ultimo libro delle Dionisiache, che Marino carica di una sacrilega fame d’oro, recuperando per questa via zone liriche di stagioni precedenti; la gelosia di Marte tradito trova ora l’appoggio di Diana e la doppia inimicizia divina si raccorda nel produrre la furia innaturale di un cinghiale destinato a diventare omicida. Alla bestia feroce la narrazione aggiunge anche una passione amorosa (Adone lo ferisce con una freccia sottratta ad Amore, tale da far innamorare) e l’attacco violento entro una battuta di caccia che vede il giovane almeno in un primo momento insolitamente coraggioso e virile, si trasforma in una caccia di natura sessuale dai tratti arditi: la ferita mortale, portata in una zona del corpo che rimane ambigua (e che oscilla tra il galon, l’inguine, e il costato), è il bacio di una belva folle di desiderio di fronte al candore delle carni di Adone. Nell’elastica narrazione mariniana la morte rimane a lungo sospesa, per decine di ottave, mentre Venere, a seguito di un sogno luttuoso, si muove verso Cipro e riceve dalle ninfe la tragica notizia dell’attacco e infine si precipita sul corpo del giovane per piangerne lungamente il destino, e per coglierne tassianamente l’ultimo respiro in un bacio. A questa complessa struttura che infine stringe il nodo conclusivo della narrazione, Marino affianca il processo al cinghiale di gusto lucianeo e il suicidio conclusivo di Aurilla, a chiudere circolarmente il canto. Difficile dire quanto di questa congerie, dai riflessi talora audaci, pertenesse alla primitiva redazione del canto, quando il poemetto su Adone era di poche centinaia di ottave e la morte del giovane ne rappresentava il passaggio finale; probabile che su quella trama, Marino sia intervenuto aggiungendo; proprio per questa sua lunga durata, e per la sua natura nitidamente composita, il XVIII è un canto il cui studio può risultare decisivo per intendere in diacronia la pratica poetica mariniana. ALLEGORIA – LA MORTE Il brutto piacer: così viene ora connotata l’unione di Venere e Adone, contrastata sia dalla natura bellica di Marte che dalla castità di Diana. Brutina: propria cioè delle creature prive di ragione, sottomesse ai sensi. Viene ripreso il significato morale annunciato in I 10, significato secondo cui è proprio la dismisura del desiderio a determinare l’esito tragico della favola. 1. Amore e Sdegno . Il binomio era tradizionale, come due polarità tra le quali oscillava l’animo degli amanti. Amore e sdegno sono due fiamme ardenti che infiammano l’anima e oscurano la ragione. Sono uguali di forza ma diversi di natura: l’uno dolce e l’altro odioso e dispettoso. L’anima è afflitta dalla battaglia tra i due che sono paragonati ad una bilancia che cerca di equilibrare il peso dei due piatti. Nella guerra tra le due, il più delle volte, vince Amore che ha la meglio sullo Sdegno; e mentre prima la rabbia era signora dell’anima, adesso serve solo ad affilare gli strali di Amore stesso. Con ulteriore complicazione, il duello può trasformarsi in alleanza: quando Amore non riesce a conseguire quanto desidera, per via dell’opposizione dell’oggetto amato, chiama lo Sdegno in suo aiuto. Così l’onta irrita lo sdegno alla vendetta. L’Ira è chiamata come equivalente dello Sdegno, e dunque avversaria di Amore. Quando si verifica la vittoria dello Sdegno, il prevalere di quest’ultimo porta a rovesciare in odio la passione amorosa inizialmente provata. È l’argomentazione che riconduce la narrazione a Falsirena, prima amante ora protagonista di un odio feroce contro Adone. 7. Falsirena, attraverso Aurilla, informa Marte degli amori di Venere e Adone. Falsirena pensa a come vendicarsi di Adone e condurlo alla morte. Falsirena dice: ‘Se Amore non può giovarmi e darmi ciò che desidero (l’amore di Adone) dopo tutti gli espedienti usati (quelli di cui si fa menzione nel corso dei canti XII-XIII), l’unica soluzione di appagamento al mio desiderio è quella di ricorrere all’inganno e al tradimento’. Nell’ottava 10 viene presentata Aurilla come ninfa consacrata a Venere, alla cui bellezza si lega una catena di vizi e mancanze, che approda all’unione con Bacco. L’antecedente letterario è quello delle Dionisiache di Nonno, che Marino sviluppa in modo nuovo, trasformando Aurilla in parte del congegno che porta alla morte di Adone. Falsirena la incontrò a Citera quando Aurilla allo sdegno provato in quel momento aggiungeva uno stato di ubriachezza. Entra così in gioco l’Interesse, creatura contro la quale nessuno è capace di resistere. Nell’ Iconologia di Ripa, l’Interesse è presentato come un’attrazione malvagia che cattura le sue prede con l’amo. L’Interesse questa furia, rende in maniera figurata la violenza del vento, che chiama Aquilone, che gonfia le gote minacciando con le sue furie i diversi luoghi. 77 il cinghiale sfoga in versi orrendi la sua rabbia e non può reagire perché ciascuno si allontana, temendone la furia (v.6); da notare la triplice coppia di verbi nei versi pari. Così inizia a fuggire addentrandosi nelle zone più folte del bosco e distruggendo tutte le “trappole” preparate in precedenza dai cacciatori. Nulla può più fermarlo e nessun tipo di attacco riesce a ferirlo. Così gli si scagliano i cani, alcuni dei quali vengono uccisi, altri feriti. Adone, di fronte a tale ferocia, non rimane sbigottito e decide di avvicinarsi alla bestia, isolandosi dai suoi e arrivando ad una distanza pari al lancio di una fionda o al tiro di un arco. Il colpo di Adone è ben indirizzato e coglie nel segno, senza però produrre alcuna ferita, per una forza insufficiente a penetrare la pelle indurita del cinghiale, finendo per irritarlo ulteriormente. Adone non demorde e decide di colpirlo con una freccia sottratta ad Amore e, una volta colpito, nel cuore del cinghiale si infiammarono insieme la Rabbia e l’Amore (con parziale richiamo all’inizio del canto). Così Adone accese di passione umana l’anima di una belva che s’innamorò di lui, dunque lo colpì senza ferirlo davvero, in quanto il colpo è privo di effetti fisici e produce immediata passione. Il cinghiale si avvicinò ad Adone per ammirarne la bellezza. Qui vengono ricordati i miti basati su amori contro natura, come quello di Mirra per il padre da cui fu generato lo stesso Adone. Adone invece di fuggire, accerchia il cinghiale per difendersi da lui (tratto di eroismo inedito nella figura di Adone). Anche Saetta (il cane) affronta senza timore il cinghiale, passando all’attacco ma viene subito uccisa da una zanna. Da una descrizione brutale passiamo ad una scena improvvisamente piena di commozione. Adone si slancia sul cane per coglierne gli ultimi istanti di vita; questo mentre muore gli lecca la mano e si fa accarezzare la zampa. Nella dinamica emotiva, Adone crucciato per la perdita della sua fida scorta ricorda i tanti eroi adirati per la perdita di un compagno in battaglia e dunque disposti alla vendetta, e non domanda al proprio cuore se ha valore sufficiente all’impresa. Adone si presta a vendicarsi del cinghiale invano, perché nessuna forza è in grado di scalfire la sua pelle. Abbandonando dunque l’eccesso di ardimento che aveva caratterizzato i passi precedenti, Adone riflette e decide di darsi alla fuga, preso dal terrore vedendo negli occhi del cinghiale la terribile potenza del fulmine. Adone inizia a fuggire ma un colpo di vento, forse procurato dalla gelosia di Marte o dall’intervento di Diana, rappresenta l’estrema fonte di rovina per Adone: il sollevarsi della veste scoprirà le sue carni e renderà folle di desiderio il cinghiale. La folle bestia, senza essere consapevole del suo gesto, corre verso Adone per baciarlo sulla parte di corpo scoperta: il bacio tentato e desiderato, si trasforma in un colpo mortale per via delle lunghe zanne. Di contro al colpo appena ricevuto, Adone tenta di difendersi ancora con la lancia, ma è rapidamente sopraffatto e disarmato dal cinghiale che lo atterra e lo immobilizza sotto di lui. Il cinghiale con le zanne gli squarcia la veste e gli morde la gamba, tinteggiando di rosso la candida pelle del giovane. Marino descrive carica la scena di tinte sessuali. Il dolce pallore gli imbianca il volto e l’orrore del sangue e della morte non cancella dal viso di Adone la bellezza, che viene anzi rischiarata (secondo tradizione); la morte sembrava bella nel suo bel viso. 99 improvviso, e deliberato a interrompere il flusso emotivo del racconto, l’inserto su un pittore contemporaneo Morazzone, del quale qui si celebra un preciso dipinto dedicato alla morte di Adone e al lamento di Venere. Al Morazzone, Marino chiede la vivacità dei colori per ritrarre a pieno la bellezza e morte sul volto del giovane. L’ottava segna anche una profonda cesura, dopo la quale si avvia una sezione sul compianto unanime della natura. 100. Adone in sogno racconta a Venere la propria morte e la dea decide di tornare a Cipro. I monti fecero scaturire dalle loro vette boscose interi ruscelli di lacrime. La scena si sposta su Venere, ancora ignara della morte di Adone, colpita dalle fantasie della notte (con prefigurazione in sogno della morte dell’amato). Il sonno appena raggiunto porta alla dea visioni funeste ancora su Adone, la cui immagine appare con occhi carichi di lacrime. ‘Non le apparve vivo quale lo aveva lasciato alla sua partenza, nei giardini di Cipro, ma piuttosto orribilmente colpito, pallido di morte, con una ferita aperta sul fianco’. Riconobbe così l’immagine amata nel diverso aspetto d’apparizione e chiede se sei davvero lui. ‘Mi lasci dunque in preda al pianto eterno? L’alternativa proposta da Venere (110 vv.3-4 ‘Ti rapì forse in cielo o ne l’inferno/per amor Giove o per invidia Ti rapì forse in cielo o ne l’inferno/per amor Giove o per invidia Pluto?’), l’assunzione tra i celesti e la collocazione nel regno infernale coincide con quello che, dopo la morte, sarebbe stato il destino di Adone, legato al significato di rigenerazione implicito nel mito: sei mesi trascorsi in cielo con Venere, sei nell’oltretomba con Proserpina. ‘Adone se morto sei, morto mi piaci, le tue bellezze per me si fanno sempre più belle e questo sangue io berrò di baci, purchè anche da morto continui ad amarmi’. La conclusione della preghiera di Venere coincide con una climax patetica, a rischio di astratta freddezza. L’anima di Adone a questo punto risponde, rimproverando Venere di averlo abbandonato e lasciato solo. ‘Atropo (la Parca che taglia il filo della vita) ha rotto il filo delle mie ore felici e adesso sono chiuso nella dimora dei morti (l’ombre de l’Orco), ma non piangete perché anche nell’oltretomba io mi glorierò in eterno del nostro amore’; cruciale, per il solito rinvio a un significato morale, il distico conclusivo: ‘un uomo a cui tale gioia sia stata concessa non deve vivere oltre e, morendo per voi, io muoio con gioia’, come a delineare una causalità tra il culmine della beatitudine e la morte improvvisa. Così dicendo, Adone forzando le catene che lo tengono prigioniero cerca di abbracciare l’amata per un’ultima volta senza riuscirci. Il rumore delle catene destò Venere dal sonno; rimase muta e sbigottita da quella visione e decise di tornare in fretta a Cipro. Ancora non crede alla morte di Adone e decide di far ritorno per proteggerlo da chi vorrebbe rapirlo da lei in mille modi. All’interno dei suoi sospetti e dubbi anche l’azione di alcuni dei, pronti ad agire ai danni di Adone. Per dar ragione dell’improvvisa partenza e dei suoi pensieri impauriti, Venere racconta il sogno appena fatto: occasione per Marino di rallentare il ritorno a Cipro e la narrazione. La partenza di Venere all’alba prevede adesso un passaggio in cielo prima del ritorno a Cipro presso Adone, passaggio per il quale mancano antecedenti nella tradizione. Il carro di Venere si dirige a est/oriente, ma pure durante il viaggio non riesce ad avere tregua dalle sue paure. Il viaggio e le ansie che lo accompagnano sono occasione per l’ennesimo monologo di Venere: ‘dunque ho esposto il mio amore in preda ai mille rischi? (con allusione alle belve del parco) e mentre ero intenta a dilettarmi alle feste, tu con la morte scherzavi per le foreste (tono colpevole). Meriterei che una belva avesse macchiato del tuo sangue i suoi artigli (Venere presagisce in realtà quanto già avvenuto). Sarà possibile riabbracciarti e baciarti o questa speranza è spenta da ciò che mi mostrò l’orribile sogno? 132. Venere giunge in tempo per vedere morire il giovane. Pianto della dea. La morte di Adone viene collocata tra il buio notturno e l’alba. Venere incontro l’Aurora che le comunica la morte di Adone; la dea così inizia a tremare come un fuscello scosso dal vento. Il dolore è sopraffatto dall’ira che riesce a dar libero sfogo alla passione; la dea prorompe in un’accusa rivolta direttamente agli uomini e agli dei, indovinando la responsabilità divina della morte di Adone. La morte di Adone può essere spiegata solo con un sovvertimento dell’ordine celeste. Venere richiama la sua diretta discendenza da Giove per ricavare che nessuno dovrebbe osare attaccarne gli affetti. Venere prosegue dicendo che il cielo è indegno di ogni bellezza ed è piuttosto popolato da infami mostri, come quello che ha sfogato la sua ira su Adone, innocente e devoto che non fu mai ostile agli dei. Venere giunge da Adone. Un fitto velo di lacrime bagnò il volto della dea che, subito dopo, con una scena classica di cordoglio, iniziò a graffiarsi le guance e strapparsi i capelli e, lasciando libero corso ai sospiri, si graffiò violenta il seno. Immagine del disperato dolore di Venere che accosta la sua mano a quella dell’amato con una contrapposizione tra il candore delle mani della dea e la mano privata del calore vitale di Adone. Venere inizia a ricordare tutte le raccomandazioni fatte all’amato e individua in sé la causa principale della sua morte. Adone sta per morire ed esprime alla dea la sua ultima volontà, ovvero che le armi vengano consacrate al tempio di Diana, aspra amica di Venere e responsabile insieme a Marte della sua morte. La causa principale del dolore di Adone non è tanto la sua morte ma la perdita del suo amato Saetta, che giace accanto a lui. Altro segnale di omaggio a Diana, al cospetto di Venere. Adone muore dunque significativamente sotto il segno di Diana. Venere riprende la parola e riconduce ancora una volta la morte di Adone all’influsso nefasto delle stelle; subito dopo le sue proteste vengono indirizzate ad Apollo, finalmente lieto per la scomparsa di chi contendeva con lui per splendore. Adesso la luce di Adone si è spenta. Dopo parla di Vulcano, di cui sospetta per aver costruito l’arco maledetto. ‘Come posso avere natura immortale se la mia anima vive nel tuo respiro?’. Il lamento di Venere prosegue con un’invocazione a Giove, chiedendo