Scarica G. Marino, Adone, Canto XX e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! CANTO XX Gli Spettacoli Il poema che arriva in porto (1-6) Giochi funebri in onore di Adone (7-22) Tiro dell’arco e danza (23-115) Lotta e scherma (116-249) Quintana (250-333) Elogio di nobili famiglie italiane (334-376) Duello finale di Austria e Fiammadoro, a rappresentare le guerre di Spagna e Francia (377-396) Innamoramento dei due giovani e loro unione (397- 484) Venere dona a Fiammadoro uno scudo con le recenti guerre di religione francesi (485-514) Chiusura di Fileno (515). 515 ottave per oltre 4mila versi (sticazzi): il canto XX chiude degnamente, il poema di Adone, sia nel senso di una maestà ingombrante – secondo quella “quantità” che Marino aveva espressamente individuato come un valore – sia nell’orchestrazione intrecciata di modelli classici ed encomi, aggiornati fino all’ultimo, indirizzati alla corte francese e a interlocutori italiani. La scelta di celebrare la memoria del giovane amato da Venere rimanda in effetti sia al XXIII dell’Iliade che al V dell’Eneide, ma Marino vi aggiunge tasselli significativi ripresi dall’Arcadia, fino a traslare su Guido Reni l’omaggio che Sannazaro aveva congegnato per Mantegna. Nel loro svolgimento concreto i giochi presentano tuttavia anche elementi di altro conio: così per il ballo di Tersicore, esemplato su ottave peregrine di un semisconosciuto Alberto Lavezzola, così per il lunghissimo inserto sulla quintana, con accurate e compiaciute descrizioni di destrieri che credo vadano ricollegate a una lontana testimonianza sulla Gerusalemme Distrutta (1602). Anche in questo caso, dunque, Marino trapianta nel poema mitologico scorci di altre fabbriche poetiche, e anche per il canto XX varrebbe quella legge di interposizione e incastro che sembra dominare larga parte dell’opera. Secondo la medesima legge strutturale, ma con immediate ricadute encomiastiche, vanno intese le ottave dedicate alle celebri famiglie romane, in versi spesso sibillini nei riferimenti concreti ma che dovevano suonare squillanti, utili a guadagnare al poeta un ingresso agiato nel mondo romani (Marino tornava su invito dei Ludovisi, dopo poche settimane avrebbe avuto a fronte i Barberini); e ancora il complesso episodio di Austria e Fiammadoro, ennesima celebrazione dei matrimoni franco-spagnoli siglata al momento di lasciare Parigi. E se il poema che arriva in porto nelle ottave di inizio canto era sincero omaggio dell’Ariosto, l’ecfrasi dello scudo di Fiammadoro, ove le imprese di Luigi XIII erano aggiornate fino al 1622, chiudeva nel segno dell’epica – e di un’epica marziale, da Omero a Tasso – un poema che epico non era stato, tra amori, errori e una morte senza gloria. Sull’estremo limite del testo era collocata la figura di Fileno, certo entro una ripresa del modello ovidiano, ma anche come istantanea, al solito misteriosa e sfuggente, con la quale Marino dopo migliaia di versi si congedava dai suoi lettori. ALLEGORIA l’elenco collocato in apertura del canto, poteva servire quale introduzione per un ritorno in Italia sotto i migliori auspici e con tutti gli appoggi possibili. Si intende in questo senso il particolare rilievo assegnato ai Ludovisi, famiglia di Gregorio XV che richiama con insistenza Marino a Roma. Accanto gli omaggi ai principi di Stigliano e a quelli di casa Savoia, a riallacciare i legami con la corte torinese. Di conio diverso, ultimo omaggio alla corte ospitante, la celebrazione di Austria e Fiammadoro, figure che velano appena i reali di Francia, Anna d’Austria e Luigi XIII, uniti dai matrimoni franco- spagnoli dell’ottobre del 1615. 1. Il poema che arriva in porto . L’apertura del canto, con la metafora del libro come cammino che infine giunge al termine, è ripresa dall’Ariosto. ‘Sembro un navigante che, a lungo in balia della tempesta in mare aperto, vicino a terra dà moto alla nave con i remi per l’ultimo sforzo’ (quello di tornare in patria). Mito di Leandro come Leandro il poeta è guidato da una luce nitida posta in alto, ma mentre si avvicina viene talmente confuso e sommerso dalle onde che teme la morte, e il perdersi di ogni fama. ‘Adesso mi cingo a mantenere la mia promessa: quella cioè di terminare la “trama”’. 7. Giochi funebri in onore di Adone. L’Aurora porta con sé un nuovo giorno ed iniziano i giochi funebri in onore di Adone, cui il cielo appresta uno splendido sfondo di luce serena. Mercurio chiama a raccolta tutte le divinità (secondo quanto gli è stato ordinato da Venere) comprese quelle del mare e dell’oltretomba, sfruttando i venti nel volo e attraversando il cielo. Esclusi rimangono Marte, geloso e omicida e Vulcano, consorte tradito. Ad onorare i giochi funebri Giove, Giunone e Nettuno, Apollo, Cibele e altre divinità. Questi si sistemarono secondo un ordine gerarchico che vuole appunto Giove e Giunone sopra tutti gli altri. L’area dei giochi era collocata di fronte al palazzo di Venere, ed ha la forma di una piazza ovale che ricorda un circo romano o un teatro. È circondata di steccati e piccole torri. Oltre alle divinità, anche il pubblico è diviso gerarchicamente: alcuni sono su strutture innalzate, la plebe si trova a terra, la nobiltà è collocata sui palchi. I premi in bella vista sono stimoli alle virtù dei concorrenti. 23. Tiro dell’Arco e Danza. I giochi, che dureranno tre giorni, prendono avvio con queste due discipline. La presentazione dei concorrenti è costellata di allitterazioni e figure retoriche che incastrano i nomi parlanti degli arcieri con indicazioni geografiche peregrine (es. d’Euro Euripo). I nomi dei concorrenti vengono posti all’interno di urna per farne il sorteggio, in modo che nessuno venga escluso di proposito. Vengono sorteggiati i primi due partecipanti che danno inizio al tiro con l’arco. Qui Marino descrive l’azione minutamente con passaggi dettagliati che rallentano i gesti e l’azione narrativa stessa. Nell’ottava 62 il suonare di una tromba annuncia l’arrivo delle danze che iniziano col dispiegarsi della musica. Il contesto qui è descrizione dell’arboscel ramoso rimanda alla storia di Medusa, secondo il racconto ovidiano, che si riferisce ai coralli che nascono dal sangue della Gorgone. La natura preziosa delle gemme della coppa è nulla rispetto alla sua magia che, per una sorta di riflesso, mostra gli acini effigiati acerbi quando è vuota, e li mostra maturi quando è colma di vino. Vedendo Membronio ancora confuso e rattristato per la sconfitta, Venere decide comunque di premiarlo in modo che nessuno rimanga infelice in un giorno di festa in onore del suo amato Adone. Gli regala una fiasca in cui sono raffigurati due cammei (sempre realizzati da Guido Reni-> omaggio di Marino) che rappresentano da un lato il convito degli dei, solenne e lussuoso, e dall’altro una scena di vendemmia con creature silvestri. Crindoro piange per l’amara umiliazione e Venere decide di donargli dei vasi con pregiati unguenti che possano riaccendere lo splendore dei suoi capelli. Inizia la parte della scherma. Venere per far in modo che l’ardimento cresca negli animi dei coraggiosi, li chiama alla conquista di un premio bellissimo: una vergine. L’uso di ardir-ardente conveniente al peculiare equilibrio che armi e amori, guerra e piaceri assumono nel poema mariniano: ‘perché alle forze che mancano, nuovo vigore portano spesso i piaceri di amore’ (196 v.3-4). A contendersi Bardo e Olbrando: esce vittorioso il primo, che vince la fanciulla, risolleva l’avversario e lo abbraccia. Olbrando per giustificare la sconfitta, sostiene che l’avversario abbia vinto grazie al favore divino. Bardo risponde in modo sorprendentemente affermativo, non vantando il proprio valore, ma godendo del sostegno ricevuto dalle stelle. I prossimi a scontrarsi sono Marzio e Guerrino che, invasi da voglie feroci e pronti allo scontro sanguinoso, vengono ammoniti da Venere in nome della natura pacifica dei giochi. Lo scontro si risolse con entrambi i contendenti feriti; l’uno con l’occhio trafitto e l’altro ferito sul viso. Venere chiede ad Apollo un’erba in grado di curarli e dopo premia Marzio con una medaglia e Guerrino con una collana d’oro. Gli ultimi a scontrarsi sono Cencio e Camillo che vengono presentati come campioni nell’arte della scherma e il loro scontro come culmine dei giochi. La loro provenienza dalle scole latine vale come implicita sanzione della superiorità italiana in questa disciplina. Lo scontro termina in equilibrio e in modo equilibrato vengono distribuiti i premi, che rimandano a mitici guerrieri della tradizione latina: due famose spade appartenute una ad Enea e l’altra a Camilla, guerriera vergine celebrata da Virgilio nell’Eneide. Termina all’altezza della metà del canto la prima giornata; alla consueta indicazione del sole che si nasconde oltre l’orizzonte, Marino accosta una splendida descrizione cromatica: il cielo è una carta sul quale si stende l’inchiostro della notte, cancellando la luce del giorno compiuto, e la penna degli ultimi raggi del sole colore d’oro la regione occidentale del cielo. 250. Quintana. Si avvia con il nuovo giorno, l’ampia sezione dedicata alla quintana, probabilmente inserita da Marino a partire da uno scorcio dedicato alla Gerusalemme distrutta; quel precedente venne ripreso e caricato di un valore encomiastico assai ampio e differenziato, nel tentativo (risultante dall’Allegoria posta all’inizio del canto) di guadagnare il favore delle maggiori famiglie italiane, oltre che alla corona francese. La quintana è un gioco che consisteva nel tentativo da parte dei cavalieri di colpire lo scudo di una sagoma di legno senza essere colpiti dalla mazza che vi era collegata. Si avvia una sequenza descrittiva nella quale Marino varia all’infinito le fogge dei concorrenti. Nei diversi abiti i cavalieri palesano passioni nascoste o alludono ad amori infelici, e talora le vesti sono fregiate di motti in prosa o in verso, e ancora con rinvio alla tradizione delle imprese. Il primo tra questi è Sidonio, protagonista della seconda parte del canto XIV, uno dei rari casi di amore ad esito lieto nel poema. Porta, scolpito sull’elmo e sullo scudo, Amore seduto sulla ruota mai stabile della Fortuna. Il colpo di Sidonio giunge appena sotto la gola della sagoma, non cogliendo in pieno il bersaglio; Venere decide comunque di premiarlo con dei paramenti per destriero di splendida fattura, dettagliati nelle singole parti. A lui segue Alabruno che ha fregiate sull’armatura le proprie insegne: serpenti di argento, e un elmo con inciso un cuore trafitto, per la sua passione infelice. La sua prova non andò a buon fine e Venere decise di regalargli degli speroni intarsiati finemente. La prossima è una coppia di giovani gemelli privati del regno che spettava loro: sono Floridauro e Rosano. Il verde e l’oro segnano l’arrivo di questa coppia; nei loro scudi sono incisi due motti che alludono alla nube che, generata dal sole, tenta di velarne i raggi. Anche questi falliscono, ferendo il proprio cavallo e Venere gli consegna in dono una giumenta gravida, dalla quale nascerà un destriero di nobilissima stirpe. 305 Con l’ingresso dei 18 guerrieri che si schierano in coppie sul campo, si avvia la rassegna delle nobili famiglie romane che Marino inserisce nella parte conclusiva del poema. Evidente il confine, anche di taglio stilistico, rispetto alla quintana descritta nelle ottave precedenti, e probabile anche in questo caso la sutura in exstremis, entro il corso della narrazione, con una funzionalità sin troppo chiara. L’arrivo della schiera si deve ad una tempesta, prodotta da Teti, che ha stornato la navigazione dei guerrieri conducendoli a Cipro. Straniera per abiti e per lingua, questa schiera accoglie la migliore nobiltà di Roma. La schiera è interamente segnata di rosso, coperta di porpora, e solo distinta al suo interno dalle insegne che ciascuno porta sullo scudo e che, per via dunque araldica, serviranno a identificare le diverse famiglie. A guidare la schiera è il principe Michele Peretti, unico a portare veste di altra foggia. Altissima la presentazione dei Peretti, famiglia pontificia con Sisto V, ma complessivamente meno centrale nella Roma del 1622, regnante Gregorio XV Ludovisi; dopo abbiamo Ranuccio Farnese, figlio di Alessandro, morto nel 1622 (elemento che serve probabilmente a segnare un termine ante quem per questi versi); il suo valore viene esaltato in quanto è tra i più celebri e valorosi nell’uso della spada e della lancia. Pozzi sottolinea come i Farnese non erano una famiglia romana, ma avrà contato la connessione con la famiglia Aldobrandini. Pietro Aldobrandini insieme a Marcantonio Borghese, nipote di Paolo V, unitosi nel 1619 a Camilla Orsini. Sciarra, esponente della famiglia Colonna, cui segue Virginio Orsini, il cui stemma è fregiato da tre bande trasversali rosse su campo d’argento, e con una rosa in cima; Virginio, con cui Marino era stato in contatto, era però morto nel 1615. Orazio Crescenzi con la cui famiglia Marino aveva stretto dei rapporti fin dal primo giorno del soggiorno romano e a loro appunto lasciò gran parte della sua collezione alla partenza da Roma nel 1623; molto più importante è il fatto che Marino trascorse a casa Crescenzi il frangente difficile dell’estate del 1623, prima dell’abiura imposta dal Sant’Uffizio e pronunciata a novembre. Compare poi la figura di Niccolò Ludovisi, nipote di Gregorio XV, in un elogio encomiastico che doveva risultare decisivo per il ritorno a Roma di Marino. Il suo stemma: tre bande trasversali d’oro e la fenice che rinvia non solo al valore eterno di Niccolò, ma anche alla bellezza della sua sposa, Gesualda Venosa, le cui nozze furono celebrate nel 1622 (data molto importante per queste ottave). 334. Elogio di Nobili Famiglie italiane. Il primo personaggio è quello di Sergio Carrafa, principe di Stigliano; l’elogio di questa famiglia, simmetrico a quello dei Lodovisi, serviva a Marino per guadagnare credito e appoggi a Napoli. A seguito i tre figli di Carlo Emanuele di Savoia: Vittorio Amedeo, Tommaso, Emanuele Filiberto; anche in questo caso l’omaggio serviva a ritessere i rapporti con Torino, nella quale Marino fece tappa nella primavera del 1623 prima di raggiungere Roma. 377. Duello finale di Austria e Fiammadoro, a rappresentare le guerre di Spagna e Francia. Austri e Fiammadoro sono i protagonisti dell’ultima sezione del canto, figure che rinviano alle dinastie di Spagna e Francia; nello scontro che li vedrà interessati, e nelle lodi altissime riservate loro da Marino, si colloca sia la celebrazione dell’unione franco-spagnola sancite con le nozze dell’ottobre 1615, sia il culmine di questo canto a dominante encomiastica. L’abbigliamento di Fiammadoro riprende i simboli della casata di Francia, a partire dai gigli intrecciati d’oro, ripresi poi nel giglio grande che copre lo scudo, e ancora nel gallo, impreziosito di gemme, che si trova sull’elmo. Il destriero di Austria è rapido e leggero tanto quanto quello di Fiammadoro è potente e grave, in modo conveniente alla grazia di Anna, alla forza di Luigi XIII, allusi nei due cavalieri. Minerva-Bellona (Palla) che condivide questa fase del giudizio con Venere, propone una sfida diretta tra i due cavalieri nel gioco della quintana. Venere ordina l’inizio della sfida e i due cavalieri prima si scontrano a cavallo; nel momento in cui il cavallo di Austria viene ferito e lei disarcionata, la sfida prosegue a terra. La scena narrativa viene notevolmente rallentata con una descrizione della gara attraverso suoni onomatopeici che ne aumentano il patos. Nell’elmo di Austria viene raffigurata un’aquila, mentre il gallo in quello di Fiammadoro. La lotta prosegue e l’elmo di Fiammadoro viene squarciato da un colpo. L’inchinarsi conseguente del cavaliere di fronte ad Austria viene presentato quasi come un frutto dell’azione di Amore, che produce l’omaggio verso la donna assegnatagli in destino. Il colpo successivo, secondo simmetria, spezza l’insegna dell’aquila posta sull’elmo di Austria. 397. Innamoramento dei due giovani e loro unione. Qui e nei versi successivi si verificano evidenti movenze da romanzo cavalleresco. Da quel