Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Gabbard G.O. Psichiatria psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5. Milano: Cortina,, Appunti di Psicologia Dinamica

Questo documento contiene il riassunto completo del libro “ Gabbard G.O. Psichiatria psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5. Milano: Cortina, 2015” e allo stesso tempo sono state inserite slides e appunti presi a lezione con il prof Schimmenti. Più di 100 pagine tra riassunto e appunti per un documento completo. La materia è: DINAMICHE DEL FUNZIONAMENTO MENTALE E PROCESSI PSICOPATOLOGICI

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 11/05/2024

Mallltv
Mallltv 🇮🇹

4.7

(3)

19 documenti

1 / 116

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Gabbard G.O. Psichiatria psicodinamica. Quinta edizione basata sul DSM-5. Milano: Cortina, e più Appunti in PDF di Psicologia Dinamica solo su Docsity! 1 CAPITOLO 1 – I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA PSICHIATRIA PSICODINAMICA La psicologia dinamica si sviluppa a partire dalla moderna psichiatria dinamica, spesso considerata un modello che spiega i fenomeni mentali come il risultato di un conflitto. Questo conflitto viene dato dall’esistenza di forze inconsce in movimento all’interno dell’individuo che, in quanto tali, non sono individuabili immediatamente. Queste forze inconsce cercano comunque di esprimersi e richiedono dunque un costante controllo da parte di forze opposte che ne impediscono l’espressione. Queste forze interagenti possono essere concettualizzate come: 1. Un desiderio e una difesa contro tale desiderio; 2. Diversi agenti o “parti” intrapsichiche con finalità e priorità differenti; 3. Un impulso in contrasto con una consapevolezza interiorizzata delle richieste della realtà esterna. Tuttavia, la psichiatria psicodinamica è venuta a connotare non più soltanto il modello conflittuale della malattia, nel caso di pazienti che, per qualsiasi ragione evolutiva, soffrono a causa di strutture psichiche carenti o assenti. Proprio per questo, la psichiatria psicodinamica deve essere collocata all’interno del costrutto della psichiatria biopsicosociale, ovvero la persona deve essere inserita in un contesto nel quale il proprio essere è dato dall’interazione fra fattori genetici, psichici e sociali. All’interno della psichiatria psicodinamica bisogna tener conto della “persona”. Quindi, le esperienze possono attivare o inibire i processi di trascrizione di determinati geni; fenomeni di natura psicosociale, come traumi interpersonali, possono avere profondi effetti biologici modificando il funzionamento del cervello. In sintesi, possiamo dire che la persona è un insieme complesso di numerose variabili, che includono: 1. L’esperienza soggettiva di sé stessi, basata su una storia unica e irripetibile filtrata attraverso significati specifici; 2. Un insieme di conflitti consci e inconsci (con le difese associate), rappresentazioni e autoinganni; 3. Un insieme di interazioni internalizzate con gli altri che sono rimesse in atto inconsciamente, generando impressioni negli altri; 4. Le nostre caratteristiche fisiche; 5. Il nostro cervello, inteso come il prodotto delle interazioni tra geni e forze ambientali, come un insieme di circuiti neurali plasmati dalle esperienze; 6. Il nostro background socioculturale; 7. Le nostre credenze religiose/spirituali; 8. Le nostre capacità e il nostro stile cognitivo. Ovviamente è importante chiarire che il termine psicoterapia dinamica non è sinonimo di psichiatria dinamica. La psichiatria dinamica offre semplicemente una struttura concettuale coerente entro la quale tutte le terapie vengono prescritte. Indipendentemente dal fatto che la terapia sia una psicoterapia dinamica o una terapia farmacologica, essa sottintende una conoscenza dinamica. IL VALORE UNICO DELL’ESPERIENZA SOGGETTIVA La psichiatria dinamica viene ulteriormente definita dal confronto con la psichiatria descrittiva, che suddivide per categorie i pazienti a seconda dei loro comuni tratti comportamentali e fenomenologici. Infatti, mentre lo psichiatra descrittivo è più interessato a cogliere in un paziente le similitudini piuttosto che le differenze, gli psichiatri a orientamento dinamico si avvicinano ai loro pazienti cercando di determinare cosa vi sia di unico in ciascuno di essi, quindi in che modo un certo paziente sia diverso da altri, in quanto risultato di una storia personale differente da ogni altra. I sintomi e i comportamenti sono considerati solamente come il comune collettore finale di esperienze altamente personali e soggettive, che filtrano i fattori determinanti biologici e ambientali della malattia. Così, possiamo definire la psicologia dinamica come un modo di leggere l’esperienza interna al soggetto, a partire dalla realtà esterna (ad es. dal comportamento), ma non solo; fa riferimento ad eventi propri del paziente, che si interfacciano alla realtà e interagiscono tra loro: fantasie, sogni, paure, speranze, motivazioni, impulsi, desideri, immagini di sé, percezione degli altri e reazioni psicologiche ai sintomi. L’INCONSCIO Un secondo principio per definire la psichiatria dinamica è un modello concettuale della mente che include l’inconscio. A tal proposito, non possiamo non fare riferimento a Freud. Freud identificò due diversi contenuti mentali inconsci: 1) il preconscio (i contenuti mentali che possono essere facilmente portati alla coscienza semplicemente spostando la propria attenzione), e 2) l’inconscio vero e proprio (i contenuti mentali che 2 vengono censurati perché inaccettabili e pertanto sono rimossi e non possono essere facilmente portati alla coscienza). Così, i sistemi mentali inconscio, preconscio e conscio compongono quello che Freud definì modello topografico. In particolare, definiva come i contenuti dell’inconscio si manifestavano attraverso i sogni o le paraprassi, cioè fenomeni quali lapsus (che secondo Freud rispecchiavano desideri o pensieri inconsci che si manifestavano involontariamente), azioni “accidentali”, atti mancati o sostituzioni di nomi o parole. Rispetto a ciò, lo psichiatra a orientamento dinamico considera i sintomi e il comportamento come riflessi di processi inconsci che difendono da desideri e sentimenti rimossi. Infatti, un’importante modalità attraverso la quale all’interno del setting clinico si manifesta l’inconscio è il comportamento non verbale del paziente. Sin dall’infanzia certe specifiche modalità di mettersi in relazione con gli altri vengono interiorizzate e sono espresse automaticamente e inconsciamente come parte del carattere dell’individuo. Questo per via della memoria implicita. Infatti, sappiamo che, la memoria implicita è coinvolta in comportamenti dei quali il soggetto non è consciamente consapevole. Un tipo di memoria implicita è la memoria procedurale, che riguarda la conoscenza di abilità, come il suonare il pianoforte, e la “forma” delle relazioni sociali con gli altri. Gli schemi inconsci che si riferiscono alle relazioni oggettuali interne sono in qualche modo ricordi procedurali che si ripetono di volta in volta nella varietà delle situazioni interpersonali. un altro tipo di memoria implicita è di natura associativa e stabilisce correlazioni tra parole, sentimenti, idee, persone, eventi o fatti. Per esempio, un individuo può, ascoltando una particolare canzone, sentirsi inspiegabilmente triste perché la radio stava trasmettendo quella stessa canzone quando gli giunse la notizia della morte di un membro della sua famiglia. Freud pensava che le persone cercassero attivamente di dimenticare le esperienze spiacevoli del loro passato; questa nozione è stata confermata da studi di imaging funzionale. Il processo coinvolge interazioni reciproche tra la corteccia prefrontale e l’ippocampo. Quando l’individuo controlla ricordi non voluti si riscontra un’aumentata attivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale, associata a una contemporanea riduzione dell’attività dell’ippocampo. I livelli di attivazione della corteccia prefrontale e dell’ippocampo destro sono indici predittivi del grado di “successo” dell’operazione; quindi, in che misura l’esperienza disturbante viene dimenticata. DETERMINISMO PSICHICO L’approccio psicodinamico sostiene che noi siamo consciamente confusi e inconsciamente controllati. Andiamo avanti nella nostra vita quotidiana come se avessimo libertà di scelta, mentre in effetti siamo molto più limitati di quanto crediamo. In gran parte, non siamo altro che personaggi che mettono in atto un copione scritto dall’inconscio. Lo psichiatra a orientamento dinamico si avvicina a questi sintomi sapendo che essi rappresentano un adattamento alle richieste di un copione inconscio forgiato da un coagulo di forze biologiche, precoci problemi di attaccamento, difese, relazioni oggettuali e disturbi del Sé. In breve, il comportamento ha un significato. Tuttavia, il significato è raramente semplice e chiaro: la visione psicodinamica del comportamento umano lo definisce come il risultato finale di molte differenti forze in conflitto tra loro, che assolvono una varietà di funzioni corrispondenti sia alle richieste della realtà, sia ai bisogni dell’inconscio. Il principio del determinismo psichico è senza dubbio una certezza, ma richiede due chiarificazioni. Per prima cosa, i fattori inconsci non determinano tutti i comportamenti o sintomi; quindi, il compito dello psichiatra psicodinamico è quello di estrapolare quali sintomi e comportamenti possano o non possano essere spiegati da fattori dinamici. Il secondo avvertimento deriva dall’esperienza con pazienti che non fanno alcuno sforzo per cambiare il loro comportamento perché sostengono di essere vittime passive di forze inconsce. Bisogna quindi ammettere che all’interno del concetto di determinismo psichico vi è spazio decisionale. L’IMPORTANZA DEL PASSATO Un quarto principio fondamentale della psichiatria psicodinamica è che le esperienze infantili sono fattori di importanza cruciale nel determinare la personalità adulta. Questo non solo in riferimento a traumi evidenti, come abuso sessuale o violenze, ma anche rispetto a schemi relazionali cronici e ripetitivi che hanno comunque un’importanza rilevante. Noi sappiamo che il corredo genetico di un bambino influenza le modalità con cui i genitori si mettono in relazione con lui; e il modo in cui i genitori si relazionano e trasmettono insegnamenti al proprio figlio, contribuisce a modellare la propria personalità. Dal punto di vista dinamico 5 La sua energia è di due tipi: distruttiva, derivante dalla pulsione aggressiva, e libido, proveniente dalla pulsione sessuale. 2. Io: composto da elementi sia consci che inconsci, è l’esecutore delle pulsioni dell’Es ma esercitando un controllo su di essi, in quanto influenzato dal Super-Io. In sostanza, è quella istanza che cerca di mantenere l’equilibrio tra l’Es e il Super-Io. L’aspetto conscio dell’Io rappresenta l’organo esecutivo della psiche, responsabile nel prendere le decisioni e dell’integrazione dei dati percettivi; mentre l’aspetto inconscio contiene i meccanismi difensivi (come la rimozione) necessari a contrastare le potenti pulsioni istintive dell’Es (sessualità e aggressività). 3. Super-Io: un’istanza morale e in parte inconscia, che produce sensi di colpa, detta norme e regole di comportamento e diviene punitiva quando queste norme interiorizzate non vengono seguite. Questa istanza incorpora la coscienza morale e l’Ideale dell’Io, oltre all’auto osservazione; la prima proscrive (ovvero, detta che cosa la persona non deve fare in base all’interiorizzazione dei valori genitoriali e sociali), mentre il secondo prescrive (ovvero, detta che cosa la persona deve fare o come deve essere). Indagare questa istanza risulta fondamentale in ambito clinico perché la sua dominanza sugli altri sistemi si trova alla base di diverse psicopatologie; ad esempio, un Super-Io rigido è tipico di soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo, mentre un Super-Io debole è caratteristico dello psicopatico, dell’antisociale (soggetti con scarso interesse nel seguire le regole). Seguendo questo discorso, la psicodinamica prevede due principi di base: - Il fatto che esistono delle forze in movimento che non sono sempre osservabili e sono interni all’individuo. Si studia il funzionamento dell’individuo alla luce di una visione dell’esperienza micro, meso e macro, attraverso una concettualizzazione di una persona che ha degli elementi non consapevoli che possono guidare i comportamenti, gli atteggiamenti… questi elementi non consapevoli sono in rapporto tra di loro. Ad esempio, l’Io, l’Es e il Super io, che compongono la seconda topica, sono delle forze interne che sono in relazione tra di loro (pensiamo al senso di colpa: l’Es fa qualcosa che ci piace, ma il super-io fa subentrare il senso di colpa. Questo rapporto di Es e Super-io crea un conflitto. L’Io deve bilanciare le richieste del mondo e le richieste interne dando vita ai meccanismi di difesa). - Le forze sono in relazione tra di loro. Questo causa il comportamento. La psicologia psicodinamica considera il modo con cui si osserva la realtà in un’ottica in cui non tutto quello che si fa è spiegabile sulla base di ciò che è osservabile ma anche sulla base di forze interne ed esperienze dell’individuo. Psicologia dell’Io Freud sostiene che conflitti tra Es, Io e Super-Io e mancanza di equilibrio tra queste tre istanze provochino l’insorgenza di psicopatologie. In sostanza, l’Io cerca di gestire tali conflittualità attraverso dei meccanismi di difesa, che consentirebbero di equilibrare conflitti interni ed esterni, come a trovare una sorta di compromesso. Questa importante attenzione al conflitto tra le istanze psichiche e al manifestarsi dei meccanismi di difesa porta alla nascita della Psicologia dell’Io, che concettualizza, dunque, il mondo psichico, come un mondo in conflitto fra le tre istanze. Il Super-Io, l’Io e l’Es combattono fra loro mentre sessualità e aggressività tendono a esprimersi e a scaricarsi. Il conflitto provoca angoscia e questo implica un segnale d’allarme per l’Io della necessità di attivare un meccanismo di difesa nell’intento di trovare un compromesso. In conclusione, un sintomo è pertanto una formazione di compromesso che contemporaneamente difende dal desiderio che emerge dall’Es e soddisfa lo stesso desiderio in forma mascherata. Anna Freud Freud riconobbe l’esistenza di diversi meccanismi di difesa, ma dedicò la maggior parte della sua attenzione alla rimozione. Sua figlia Anna estese il lavoro del padre descrivendo dettagliatamente nove meccanismi di difesa dell’individuo: regressione, formazione reattiva, annullamento retroattivo, introiezione, identificazione, proiezione, rivolgimento contro la propria persona, inversione nel contrario e sublimazione. Nello spostare l’accento della psicoanalisi dalle pulsioni alle difese dell’Io, Anna Freud anticipò il movimento di avvicinamento alla cosiddetta “patologia del carattere”. In parte oggi noi definiamo molte forme di disturbi di personalità secondo le loro caratteristiche modalità difensive. Pertanto, lo psichiatra a orientamento dinamico deve avere familiarità con una vasta gamma di meccanismi di difesa per la loro utilità nel comprendere sia le problematiche nevrotiche sia i disturbi di personalità. Tutte le difese hanno in comune la 6 funzione di proteggere l’Io contro le richieste istintuali dell’Es. Nessuno di noi è privo di meccanismi di difesa che vengono spesso classificati secondo un ordine gerarchico, dai più immaturi o patologici ai più maturi o sani. In particolare, fu Hartmann che definì come vi sono alcuni meccanismi che hanno funzione adattiva e non si manifestano per via di conflitti, insistendo sull’esistenza di una “sfera dell’Io libera da conflitti” che si sviluppa indipendentemente dai conflitti e dalle forze dell’Es. Infatti, i meccanismi con funzione adattiva consentono lo sviluppo di importanti funzioni quali l’esame di realtà, il controllo degli impulsi, i processi di pensiero, il giudizio, il funzionamento sintetico-integrativo, la padronanza delle competenze e l’autonomia primaria e secondaria. LA TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI La teoria delle relazioni oggettuali implica la trasformazione delle relazioni interpersonali in rappresentazioni interiorizzate di relazioni. I bambini crescendo non interiorizzano semplicemente un oggetto o una persona; piuttosto, interiorizzano un’intera relazione. Il prototipo dell’esperienza positiva di amore si forma nel periodo dell’allattamento. Questo prototipo racchiude un’esperienza positiva del Sé (il neonato allattato), un’esperienza positiva dell’oggetto (la madre attenta e amorevole che si prende cura di lui) e un’esperienza affettiva positiva (piacere, sazietà). Quando ritorna la fame e la madre non è immediatamente disponibile, si verifica invece un prototipo di esperienza negativa, che comprende un’esperienza negativa del Sé (il neonato frustrato che si lamenta), un oggetto frustrante e disattento (la madre non disponibile) e un’esperienza affettiva negativa di rabbia e forse di terrore. Alla fine, queste due esperienze vengono interiorizzate come due insiemi opposti di relazioni oggettuali, che consistono in una rappresentazione del Sé, in una rappresentazione dell’oggetto e in un affetto che li collega. L’interiorizzazione della madre da parte del bambino, che viene solitamente chiamata introiezione, inizia dalle sensazioni fisiche associate alla presenza della madre durante l’allattamento, ma non diventa significativa fino a quando non si è sviluppato un legame tra l'interno e l'esterno. Intorno al sedicesimo mese di vita le immagini isolate della madre si fondono gradualmente in una rappresentazione mentale stabile. Allo stesso tempo si crea una duratura rappresentazione del Sé, prima come rappresentazione corporea e successivamente come insieme di sensazioni ed esperienze che il neonato percepisce come proprie. L’oggetto introiettato non corrisponde necessariamente al reale oggetto esterno. Per esempio, una madre che, quando il bambino ha fame non è immediatamente disponibile per allattarlo potrebbe essere momentaneamente occupata a prendersi cura del fratellino maggiore, ma viene percepita e introiettata dal neonato come ostile, rifiutante e non disponibile. La teoria delle relazioni oggettuali riconosce che non esiste una correlazione diretta tra l’oggetto reale e la rappresentazione dell’oggetto interiorizzato. La teoria delle relazioni oggettuali considera in modo diverso dalla psicologia dell’Io anche il conflitto. Il conflitto inconscio non è semplicemente la lotta tra un impulso e una difesa, ma anche lo scontro tra coppie contrapposte di unità interne di relazioni oggettuali. In particolare, è Melanie Klein ad essere considerata la fondatrice della teoria delle relazioni oggettuali. Fu influenzata da Freud, ma portò anche un contributo originale focalizzando l’attenzione sugli oggetti interni. Nei primi mesi di vita, secondo la Klein, il bambino prova un primitivo terrore d’annichilimento, associato all’istinto di morte freudiano. Come modalità di difesa contro questo terrore, l’Io viene scisso e tutta la “cattiveria”, o aggressività, derivante dall’istinto di morte viene negata e proiettata nella madre. Il lattante vive allora nella paura della persecuzione materna, che può concretizzarsi come paura che la madre entri all’interno del bambino e distrugga ogni cosa buona (derivante dalla libido) a sua volta scissa e custodita all'interno del bambino. Quest’ultima paura è l’angoscia fondamentale di quella che la Klein definì posizione schizoparanoide, così chiamata a causa dei due principali meccanismi di difesa impiegati dall’Io, la scissione (“schizoide”) e la proiezione (“paranoide”). Questi meccanismi vengono utilizzati per separare il più possibile ciò che è “buono” da ciò che è “cattivo”. Gli oggetti persecutori o cattivi, dopo essere stati proiettati nella madre al fine di allontanarli dagli oggetti buoni o idealizzati, possono essere reintroiettati (ovvero, riportati dentro) così da poterli controllare e dominare. Contemporaneamente, gli oggetti buoni possono essere proiettati all’esterno, al fine di proteggerli dagli oggetti “cattivi” che sono ora interni. Questi cicli oscillanti di proiezione e di introiezione perdurano fino a quando il bambino inizia a rendersi conto che la madre “cattiva” e la madre “buona” non sono distinte, ma sono in effetti la medesima persona. Quando 7 i bambini integrano i due oggetti parziali in un oggetto intero, sono turbati dal timore che le loro fantasie sadiche, distruttive nei confronti della madre, possano averla annientata. Questa nuova preoccupazione per la madre come oggetto intero è stata definita dalla Klein angoscia depressiva e annuncia l’arrivo della posizione depressiva. Questo genere di esperienza comporta la preoccupazione di poter danneggiare gli altri, contrariamente a quanto avviene nella posizione schizoparanoide, in cui la paura è quella di poter essere danneggiati dagli altri. La colpa diventa un aspetto rilevante della vita affettiva del bambino, che tenta di risolverla attraverso la riparazione. Questo processo consiste generalmente in azioni rivolte alla madre finalizzate a riparare il “danno” inflittole nella realtà o nella fantasia. La Klein spiega il complesso di Edipo come un tentativo di risolvere le ansie depressive e i sentimenti di colpa attraverso la riparazione. Melanie Klein considerava le pulsioni fenomeni psicologici molto complessi, intimamente legati a specifiche relazioni oggettuali. Le pulsioni, più che avere origine nel corpo, usano il corpo come veicolo d’espressione. In maniera analoga, le pulsioni non perseguono semplicemente una riduzione della tensione, ma sono dirette verso oggetti specifici per motivi specifici. Questa e altre prospettive sostenute dalla Klein portarono a un aspro dibattito all’interno della Società Psicoanalitica Britannica. Anna Freud fu l’avversaria principale della Klein in questa controversia; quando alla fine uno scisma divise la società, un gruppo, noto come “gruppo B”, seguì Anna Freud, mentre il “gruppo A” rimase fedele alla Klein. Un terzo gruppo, il “gruppo indipendente”, si astenne dal prendere posizione. I membri del gruppo indipendente, tutti in qualche misura influenzati dal pensiero della Klein, sono stati i fondatori della teoria delle relazioni oggettuali. Rispetto a quest’ultimo gruppo, tutti rivolsero il loro interesse al primo sviluppo del bambino piuttosto che al complesso di Edipo e tutti si focalizzarono sulle vicissitudini delle relazioni oggettuali interne piuttosto che sulla teoria pulsionale. Gli “indipendenti” ebbero il merito di controbilanciare l’eccessiva enfasi posta dalla Klein sulla fantasia, evidenziando l’influenza del primo ambiente nel quale vive il lattante. Winnicott, per esempio, coniò l’espressione madre sufficientemente buona per indicare i requisiti ambientali di base necessari al lattante per crescere normalmente. Balint descrisse il sentimento, riscontrato in molti pazienti, di qualcosa che manca, che egli definì difetto fondamentale. Questa carenza era causata, a suo parere, dal fallimento della madre nel rispondere ai bisogni fondamentali del bambino. Fairbairn vide l’eziologia delle difficoltà dei suoi pazienti schizoidi nel fallimento delle loro madri, incapaci di offrire esperienze che li rassicurassero sul fatto di essere veramente amati per sé stessi, e per cui gli istinti o pulsioni non ricercano un soddisfacimento ma piuttosto un oggetto. In particolare, sempre Fairbairn contribuì a introdurre l’idea del trauma precoce come fattore patogeno importante, che tende a “congelare” l’individuo in una determinata fase dello sviluppo nei primi tre anni di vita. Questi studiosi furono tutti concordi sulla necessità di una teoria del deficit, oltre che di una teoria del conflitto, per poter giungere a una comprensione psicoanalitica completa dell’essere umano. Il Sé e l’Io I teorici delle relazioni oggettuali hanno cercato di chiarire ulteriormente il ruolo del Sé nell’apparato psichico. Si è giunti alla conclusione del fatto che è possibile considerare il Sé sia come rappresentazione che come istanza. Infatti, può essere visto come incastonato nell’Io, e definito come il prodotto finale dell’integrazione di molteplici rappresentazioni di Sé. Questo prodotto finale integrati non deve però essere considerato come un’entità continua e immutabile. Sebbene spesso desideriamo mantenere l’illusione di una continuità del Sé, la realtà è che noi siamo costituiti dalle relazioni, reali o immaginarie, con gli altri. Più si impara a tollerare queste sfaccettature multiple, più ci si sente costanti e coerenti. Meccanismi di difesa I meccanismi di difesa sono delle strategie che si attivano in maniera inconscia in risposta allo stress, e bisogna distinguerli dalle strategie di coping per cui si utilizzano strategie in modo consapevole dell’individuo. Essi hanno una natura adattiva, e quanto più siamo in grado di adattarci, tanto più riusciremo ad utilizzarli. Tali meccanismi permettono di evitare il disagio esperito in relazione a conflitti interiori e/o a situazioni che possono generare vissuti di ansia o angoscia. I meccanismi di difesa sono quindi meccanismi psicologici inconsci, necessari per lo sviluppo poiché consentono di mantenere un equilibrio riducendo l’esperienza mentale di conflitto o disorganizzazione e preservando così il Sé dell’individuo. Ovviamente i meccanismi di difesa sono utilizzati in modo inadeguato e patologico quando si utilizzano sempre gli stessi meccanismi, a tutte le situazioni e in modo rigido. Ciascuno di noi possiede tratti di personalità più o meno prevalenti e a 10 viste come tentativi di adattamento psicologicamente validi, in quanto salvaguardano l’integrità del Sé. Rispetto al complesso di Edipo, sempre Kohut ritiene che, se la madre è in grado di soddisfare adeguatamente il bisogno di oggetti-Sé del figlio, il bambino può superare il complesso di Edipo senza diventare sintomatico. Poi, per la psicologia del Sé, l’angoscia fondamentale è “l’angoscia di disintegrazione”, ovvero la paura che il Sé si possa frammentare di fronte a risposte inadeguate da parte dell’oggetto-Sé, portando all’esperienza di uno stato non umano di morte psicologica. Così, molte forme di comportamento sintomatico (come l’abuso di sostanze, la promiscuità sessuale, le perversioni, …) riflettono “un tentativo in situazioni di emergenza/stress di mantenere e/o ristabilire la coesione interna e l’armonia di un Sé vulnerabile e non sano”. Queste frammentazioni del Sé si verificano lungo un continuum che va da una lieve preoccupazione o ansia fino a un panico grave, di fronte alla sensazione di stare andando completamente a pezzi. Kohut ha inoltre contribuito in maniera significativa al riconoscimento dell’importanza dell’autostima nella patogenesi dei disturbi psichiatrici. Per esempio, i disturbi di personalità possono essere visti come disturbi del Sé, come condizioni caratterizzate da disperati tentativi di preservare una coesione del Sé che spesso portano a relazioni problematiche con gli altri. Per questo, il ruolo del clinico prevedere un continuo impegno empatico, più che una comprensione interpretativa, con l’obiettivo di fornire un’esperienza di oggetto-Sé che risulti terapeutica attraverso una forma di esperienza emozionale correttiva con il terapeuta. ALTRE FIGURE CHE SI ALLONTANANO DALLA PSICOANALISI CLASSICA Vi sono delle figure che nonostante siano cresciuti nell’ambito della psicoanalisi classica, si allontano da questi ambienti creando specifici modelli di comprensione psicodinamici sviluppando modelli psicoanalitici nuovi. All’inizio la psicoanalisi non attraeva il mondo contemporaneo, infatti l’interesse nasce con la nascita dell’inconscio. Tra gli autori che hanno mosso critiche nei confronti della teoria libidica, alcuni hanno sviluppato nuovi modelli psicoanalitici che si allontanano dalla psicanalisi classica. Fra questi possiamo menzionare Adler, Jung, Fereczi, Mahler, Stern e Bowlby. Adler si basa sul principio di senso di inferiorità e senso di potere. Sostiene che tutti noi nasciamo con delle basi biologiche innate e quindi abbiamo delle tendenze: 1) la sessualità e 2) l’attaccamento, seguito parallelamente 3) dall’accudimento (l’abbraccio del bambino nella madre genera un focus delle aree ventromediali e aumenta il senso di piacere che la madre prova per stare con il bambino). Un altro sistema motivazionale di base è quello di 4) competizione o rango, che ci permette di sapere chi accede prima alle risorse quando le risorse sono scarse; mentre 5) la cooperazione distingue l’uomo dall’animale, è l’opposto del rango che si attiva quando le risorse sono poche: questo sistema si attiva quando le risorse sono tante e unendoci con gli altri la quantità di risorse può aumentare. Jung era comunque molto vicino alle idee freudiane. Utilizzava la tecnica delle libere associazioni con i suoi pazienti, attraverso la quale proponeva degli stimoli a partire dai quali i pazienti dovevano parlare di tutto ciò che, alla presenza dello stimolo, questo gli suscitava; nel momento in cui c’era un blocco significava che lì c’era un problema, e quindi era necessario approfondire. Tuttavia, Jung si discosta da Freud in quanto non pensa che la pulsione sia sessuale, ma pensa che sia una spinta dell’uomo verso il realizzare sé stesso, una spinta vitale. Jung parla di archetipi dell’inconscio collettivo, come di strutture inconsce che operano sulla base della storia esistenziale dell’uomo comune a tutti gli esseri umani. Ogni archetipo comprende parti nascoste e parti evidenti e osservabili: la sanità mentale è dovuta dall’integrazione di questi archetipi, quindi dal tenere insieme le richieste sociali da quelle interne, la dimensione femminile con quella maschile… Il Sé è la possibilità della congiunzione degli opposti, riuscire a mettere insieme due parti opposte per integrare un’esperienza dentro di me, un’esperienza archetipica. L’idea Junghiana è che si deve aspirare a una crescita spirituale, integrando elementi dell’inconscio collettivo (archetipi) nel tuo modo di essere. Se da una parte questi due autori, indicano una rottura della psicoanalitica, un’altra figura rimane dentro la psicoanalisi: Ferenczi. Il suo primo lavoro scientifico parlò di eiaculazione precoce parlando degli effetti che questo ha sulla donna. In questo modo cambia la prospettiva maschilista concentrandosi sulla donna insoddisfatta. Ferenczi pone il focus su soggetti traumatizzati con disturbi di personalità (borderline, dissociativi), e inizia a scrivere che con alcuni tipi di pazienti serve qualcosa che faccia sentire a questi pazienti di essere in relazione con il terapeuta, cercando di modificare la tecnica psicoanalitica per raggiungere il paziente nel luogo in cui sta soffrendo. Con la tecnica della reciprocità analitica (io analizzo te e tu analizzi me) o “analisi reciproca”, una modalità per raggiungere emotivamente il paziente e la sua sofferenza, si rende 11 conto che i soggetti abusati hanno problemi di fiducia. A un certo punto scrive un saggio sulla “confusione delle lingue tra adulti e bambini: il linguaggio della tenerezza” con il quale si concentra sui frequenti abusi sessuali e spiega il meccanismo all’interno del sistema intrafamiliare: il bambino è motivato, nell’avvicinarsi al genitore, da un linguaggio della tenerezza (ad es. voglio sposare mamma/papà), l’adulto che non è in grado di mentalizzazione legge questo con un codice diverso, con un codice della passione, dell’amore fisico, del possesso. È così che nasce l’abuso che deriva dal fallimento della figura che si prende cura dei bambini. Margaret Mahler fu importante e rilevante per la sua concettualizzazione rispetto ad una teoria evolutiva a maggior fondamento empirico rispetto a quella di Freud. Studiando coppie madre-figlio sia normali che patologiche, identifica tre fasi fondamentali nello sviluppo delle relazioni oggettuali. La prima fase viene chiamata autistica normale, perché il bambino appare chiuso in sé stesso e interessato alla propria sopravvivenza piuttosto che all’entrare in relazione con gli altri. Dai due anni si ha la fase simbiotica, quando il bambino risponde al sorriso ed è in grado di seguire visivamente il volto della madre, anche se vede la relazione con la madre come un’unità duale, piuttosto che come una coppia formata da due persone distinte. La terza fase, detta di separazione-individuazione, divisa a sua volta in quattro sottofasi, è quella che consente al bambino di percepire la madre come entità separata che può non essere fisicamente presente ma che può essere interiorizzata come una presenza emotivamente confortante che sostiene il bambino quando non è appunto presente (corrisponde alla posizione depressiva della Klein). Stern concorda con Kohut sul ritenere che le risposte di conferma e validazione da parte della figura materna sono cruciali per lo sviluppo del senso di sé del bambino. Ha definito come nel soggetto coesistono cinque separati sensi del Sé che operano insieme, quali: Sé emergente o “corporeo”, Sé nucleare, Sé soggettivo, Sé verbale e Sé narrativo. E ha sottolineato che l’esistenza umana è fondamentalmente sociale, infatti l’individuo emerge da una “matrice intersoggettiva” che deriva da processi di sintonizzazione affettiva con la madre e altri caregiver. È simile a ciò che Kohut intendeva quando parlava del bisogno degli oggetti-Sé. E tutto questo nasce dalla relazione diadica con la madre, nella quale il bambino assume un ruolo attivo sviluppando l’interiorizzazione del Sé in relazione all’oggetto, un processo interattivo caratterizzato da specifici “schemi”. Infine, possiamo menzionare Bowlby con la sua rivoluzionaria teoria dell’attaccamento. CAPITOLO 3 – VALUTAZIONE PSICODINAMICA DEL PAZIENTE La valutazione psicodinamica di un paziente non è separabile dalla valutazione globale dell’anamnesi, dei segni e dei sintomi caratteristici della tradizione medico-psichiatrica. Infatti, può essere considerata come un ampliamento significativo della valutazione descrittiva medico-psichiatrica. La formulazione del caso in una concettualizzazione dinamica fa riferimento ad una serie di cose che non è uguale per tutti gli approcci di cui ci si avvale. Io non cambio l’altro ma gli do degli strumenti validi per un migliore adattamento alla realtà, che lui stesso può utilizzare. La concettualizzazione del caso ha a che fare con una relazione con il paziente nella quale si va a vedere come la persona “funziona” nella sua quotidianità e come questo modo di funzionare incide nella psicopatologia. Sofferenza non significa avere un disturbo clinico, perché tutti viviamo delle sofferenze. Quindi come il soggetto si relaziona con il mondo interno e con il mondo esterno: il modo con cui il paziente dialoga con noi, trasferisce su di noi delle aspettative, desideri e paure, è un campione del suo modo di relazionarsi con il mondo esterno. L’INTERVISTA CLINICA Nell’intervista clinica, la primissima cosa alla quale si deve dare importanza è la relazione medico-paziente. quando psichiatra e paziente si incontrano per la prima volta sono due sconosciuti che entrano in contatto, ciascuno con una serie di aspettative riguardo all’altro. Il primo obiettivo di un’intervista psicodinamica deve essere sempre quello di stabilire un rapporto e una comprensione condivisa. Compito principale deve essere dunque quello di trasmettere il messaggio che il paziente viene accettato, valutato e considerato in quanto persona unica con problemi specifici e distintivi. Lo psichiatra cerca di immergersi empaticamente nelle esperienze dei pazienti e questo favorisce lo sviluppo di un legame. Per fare ciò, la prima cosa che bisogna necessariamente fare è l’ascolto: noi non possiamo inferire dinamiche del funzionamento mentale e processi patologici se nel dialogo con il paziente manca l’ascolto. Il rischio se non vi è ascolto è l’iperpatologizzazione o la sottovalutazione dei fattori di rischio. 12 Ciò che bisogna evitare sono invece le rassicurazioni, generalmente destinate al fallimento, in quanto richiamano commenti analoghi a quelli fatti da familiari o amici. Invece, commenti come “Posso capire come lei si sente, considerando quello che ha passato”, possono consentire la costruzione di un rapporto migliore. Differenze tra intervista psicodinamica e intervista medica Lo psichiatra a orientamento dinamico affronta il colloquio con la consapevolezza che anche il modo in cui l’anamnesi viene raccolta può essere di per sé terapeutico. L’approccio dinamico, che lega intimamente la diagnosi e la terapia, è empatico nel senso che prende in considerazione il punto di vista del paziente. Come hanno osservato Menninger e collaboratori “in un certo senso la terapia precede sempre la diagnosi” e, in effetti, nel semplice fatto di ascoltare e accettare i racconti del paziente, confermando che la sua vita ha significato e valore, è senza dubbio presente una certa azione terapeutica. Un’importante distinzione tra l’intervista medica e quella psicodinamica riguarda le sfere dell’attività e della passività. Nel processo diagnostico di tipo medico, il paziente è essenzialmente un partecipante passivo: contribuisce alla valutazione del medico rispondendo a una serie di domande, ma è il medico che deve assemblare i tasselli del puzzle per arrivare alla diagnosi finale. Lo psichiatra a orientamento dinamico cerca di evitare questa suddivisione dei ruoli; al contrario, prevede il coinvolgimento attivo del paziente come collaboratore in un processo esplorativo. Il paziente è considerato come una persona che ha un notevole contributo da dare alla comprensione diagnostica finale. Se un paziente all’inizio dell’intervista manifesta ansia, lo psichiatra non cercherà di eliminarla per rendere più facile il colloquio; tenterà invece di coinvolgere il paziente nella ricerca delle origini di tale ansia con domande. Altra differenza ruota intorno alla selezione delle informazioni rilevanti. Vi è la tendenza di alcuni psichiatri a chiudere la raccolta di informazioni una volta raggiunto un inventario di sintomi sufficiente a soddisfare una categoria diagnostica descrittiva e a impostare una terapia farmacologica. Ma una diagnosi fondata sul DSM è solamente un aspetto del processo diagnostico, e una mancanza di interesse alla comprensione del paziente come una persona ostacola l’instaurarsi di una relazione terapeutica. Per lo psichiatra a orientamento dinamico la vita intrapsichica del paziente è una parte essenziale dell’insieme dei dati, nonché le sensazioni, i sentimenti del clinico durante il colloquio, che costituiscono informazioni diagnostiche essenziali che non vanno trascurate, come farebbe ad esempio un chirurgo che, notando sentimenti di rabbia, invidia, avidità, tristezza, odio, li considera fattori negativi che interferiscono con il processo di valutazione della malattia. Un’ultima differenza riguarda i tempi della valutazione. Nella raccolta dell’anamnesi spesso il medico cerca di ottenere un gran numero di informazioni nel minor tempo possibile, per poter trarre rapidamente conclusioni diagnostiche e terapeutiche e passare a occuparsi di altri pazienti. Lo psichiatra psicodinamico non deve invece avere fretta; deve cercare piuttosto di “rallentare”, creando un’atmosfera in cui il paziente si senta libero di riflettere, di fare delle pause, di analizzare con calma ciò che prova. Transfert e controtransfert Dato che il transfert è attivo in ogni relazione significativa, si può essere certi che elementi di transfert esistano fin dal primo incontro tra medico e paziente. Il transfert è una dimensione critica della valutazione perché influenza profondamente la collaborazione del paziente con il medico. I pazienti che considerano i medici come rigide e critiche figure genitoriali, per esempio, saranno molto meno disponibili a rivelare aspetti imbarazzanti della propria biografia. Allo stesso modo, pazienti che vedono gli psichiatri come persone indiscrete e intrusive possono astenersi dal dare informazioni e rifiutarsi di collaborare al colloquio. Gli psichiatri che prendono in considerazione le distorsioni di transfert fin dall’inizio dell’intervista possono eliminare gli ostacoli che si oppongono a un’efficace raccolta dell’anamnesi. Il transfert è, per definizione, una ripetizione. I sentimenti associati a una figura del passato vengono rivissuti con lo psichiatra nella situazione attuale. Questa premessa implica che gli schemi transferali in un colloquio clinico forniscono indicazioni su relazioni significative del passato del paziente. E per di più, queste ripetizioni rivelano molto anche sulle attuali relazioni significative del paziente. Essendo il transfert ubiquitario, il paziente riproduce in tutti i propri rapporti gli stessi modelli relazionali del passato. Ad ogni modo, per evitare di etichettare tutte le reazioni del paziente come transfert, gli psichiatri devono tenere a mente che la relazione paziente-terapeuta è sempre una miscela di transfert e di relazione reale, in riferimento al controtransfert del terapeuta. Cioè, il colloquio coinvolge due persone, e ciascuno porta un passato personale nel presente, e proietta aspetti interni di rappresentazioni di sé e dell’oggetto nell’altro. È 15 integrante di questo tipo di valutazione. È importante quindi capire se il paziente è in grado di percepire le altre persone in maniera ambivalente come oggetti interi, con qualità sia buone che cattive; se vede gli altri come oggetti parziali gratificatori-di-bisogni che svolgono solo una funzione nei suoi confronti, piuttosto che come persone separate con bisogni e interessi propri; e ovviamente valutare la qualità e presenza della “costanza oggettuale”. • Attaccamento e Mentalizzazione (in riferimento alla teoria dell’attaccamento). Anche valutare i pattern di attaccamento risulta molto importante. Bisogna capire se l’attaccamento è di tipo: 1) sicuro/autonomo; 2) insicuro/distanziante; 3) preoccupato; 4) non risolto/disorganizzato. Attraverso l’ascolto del paziente, lo psichiatra cerca di identificare i suoi pattern di attaccamento e le modalità con cui le esperienze infantili contribuiscono alle sue relazioni in età adulta. Lo psichiatra può inoltre cercare di capire in che misura eventuali difficoltà possono aver favorito o ostacolato lo sviluppo delle capacità di mentalizzare. Tutto questo serve per valutare lo stile di personalità emergente (paranoide, schizoide, ossessivo-compulsiva, …) e il livello di funzionamento (se nevrotica, borderline o psicotica). Infatti, tutti questi elementi interagisco nel creare un quadro clinico completo del paziente. Oltre ciò, sebbene la formulazione del caso preveda sempre che io dia priorità a quello che va trattato e intercetti cosa va trattato prima e cosa dopo. L’overletting, che letteralmente significa “sovrapposizione” e cioè l’eventuale presenza di un insieme di disturbi e aspetti che entrano in comorbilità tra di loro nel determinare la sofferenza del paziente, va sempre tenuto in considerazione: io devo valutare tutti i sintomi che presenta il paziente. Formulazione psicodinamica Una formulazione psicodinamica dovrebbe iniziare con una rapida descrizione del quadro clinico e del fattore/fattori di stress associati che hanno portato alla ricerca di assistenza. La seconda parte dovrebbe contenere un insieme di ipotesi sulle modalità con cui elementi biologici, intrapsichici e socioculturali contribuiscono a determinare il quadro clinico. Nella terza parte dovrebbe essere brevemente spiegato come ciò che viene descritto nei primi due punti possa influenzare il programma terapeutico e la prognosi. Comprendere i processi psicopatologici e come funziona in ambito clinico la concettualizzazione del caso e come arriviamo a valutare ciò che è significativo nella vita di una persona è un aspetto molto complesso, dove la diagnosi non basta, ma bisogna guardare il soggetto nella sua globalità, rispetto ai propri vissuti e alle proprie esperienze. Lavoriamo sulla concettualizzazione proprio perché ci si riferisce alle storie di vita dei pazienti che determinano difficoltà e che portano a psicopatologia ma all’interno di un quadro complesso. Le storie evolutive dei pazienti sono dunque fondamentali. Importanza della conoscenza psicopatologica per la diagnosi La conoscenza delle componenti del funzionamento psicologico disadattivo è centrale ai fini della comprensione dell’esperienza individuale di sofferenza e di disagio mentale. Saper riconoscere le problematiche relative agli stati di coscienza, all’identità, alla memoria, all’attenzione, agli affetti e ai processi di pensiero è necessario al fine di formulare il ragionamento diagnostico ed eventualmente pianificare un intervento. Gli errori nel ragionamento psicopatologico implicano dunque errori nella valutazione diagnostica, con potenziali gravi conseguenza per il trattamento. Patognomica = caratteristica principale Importante, tuttavia, risulta non concentrarsi esclusivamente sulla diagnosi psicologica. Dunque, la prima cosa da fare è procedere con la concettualizzazione del caso, per comprendere il funzionamento generale dell’individuo e comprendere tutti gli aspetti che non vanno. Bisogna capire su cosa lavorare, non soltanto sui sintomi ma anche sui punti di forza e le risorse del paziente, proprio perché è sulla base di tali risorse che il terapeuta capisce come procedere e agire per sfruttarle al massimo. Non bisogna valutare esclusivamente la psicopatologia. Una buona diagnosi psicologica non rileva soltanto le aree di conflitto e deficit, ma anche le risorse dell’individuo. Elementi critici per la diagnosi, di natura transteoretica, sono dunque quelli che ci consentono di comprendere chi è la persona che abbiamo di fronte anche al di là del suo profilo psicopatologico. Tra questi elementi includiamo: capacità di insight, senso di agency, senso di identità, capacità di identificare i sentimenti, i livelli di autostima, forza e coesione del Sé, organizzazione delle difese, capacità di lavorare, amare, gioire. Questi aspetti ci servono anche da un punto di vista clinico per agganciare 16 il paziente e costruire una buona alleanza terapeutica (l’alleanza si costruisce con le parti sane del paziente, con le sue risorse). Dobbiamo tenere conto del tipo di organizzazione di personalità del paziente. È come se dovessimo avere una lente trifocale, dobbiamo guardare il sintomo (che ci dice se la persona ha bisogno di un intervento più supportivo o espressivo), ma dobbiamo guardare la persona con la sua storia e i suoi vissuti (un paziente DOC ha un vissuto diverso che lo rende diverso da un altro paziente DOC) e soprattutto guardare i suoi punti di forza e le sue risorse, per orientare al meglio il trattamento. Che cos’è un disturbo mentale? Possiamo definire come disturbo mentale una sindrome o un modello comportamentale o psicologico clinicamente significativo, che si presenta in un individuo, ed è associato a disagio (es. compromissione in una o più aree importanti del funzionamento), ad un aumento significativo del rischio di morte, di disabilità o a un’importante limitazione della libertà. Il disturbo mentale non rappresenta semplicemente una risposta attesa o culturalmente sancita ad un determinato evento, ma la manifestazione di una disfunzione comportamentale, psicologica o biologica nell’individuo. Se vi è un limite dato da regole di natura sociale, relazionale, di natura fisica o biologica, i casi estremi definiscono una condizione patologica se vi è contemporaneamente disfunzione rispetto all’identità, coesione del sé, incapacità di regolazione. Quando facciamo diagnosi noi possiamo sbagliare, dando una diagnosi che non appartiene al paziente oppure non riuscendo a comprendere il disturbo che la persona in realtà ha. Il tentativo che dobbiamo sempre avere in mente è quello di sensibilità e specificità (il sintomo non è il disturbo ma qualcosa che segnala una qualche alterazione, anche se possono essere più o meno caratterizzanti di un disturbo, ma mai bisogna etichettare a priori un paziente sulla base dei sintomi che presenta). 17 Lez 1 13/2/24 Dinamiche del funzionamento mentale e processi psicopatologici La psicodinamica prevede due principi di base: - Esistono delle forze in movimento che non sono sempre osservabili e sono interni all’individuo. Si studia il funzionamento dell’individuo alla luce di una visione dell’esperienza micro, meso e macro, attraverso una concettualizzazione di una persona che ha degli elementi non consapevoli che possono guidare i comportamenti, gli atteggiamenti… questi elementi non consapevoli sono in rapporto tra di loro. Ad esempio, l’io, l’es e il super io sono la seconda topica, interne che sono in relazione tra di loro (pensiamo al senso di colpa: l’es fa qualcosa che ci piace, ma il super-io fa subentrare il senso di colpa. Questo rapporto di es e super-io crea un conflitto. L’io deve bilanciare le richieste del mondo e le richieste interne dando vita ai meccanismi di difesa). - Le forze sono in relazione tra di loro. Questo causa il comportamento. La psicologia psicodinamica considera il modo con cui si osserva la realtà in un'ottica in cui non tutto quello che si fa è spiegabile sulla base di ciò che è osservabile ma anche sulla base di forze interne ed esperienze dell’individuo. 1° topica: conscio e preconscio 2° topica: io, es e super-io SIGMUND FREUD Freud ha rivoluzionato il modo di vedere la realtà, durante la fine del 900 a Vienna. Un medico che si forma con gli elementi dell’epoca, come l’ipnosi o come l’idea che alcune patologie hanno una base biologica ma che sono dettati da strani modi del funzionamento della coscienza… Freud inizia a lavorare con pazienti che sono il prodotto di una cultura fallocentrica e patriarcale, una cultura in cui vi è una donna che reprime la propria sessualità. A questo punto Freud inizia a studiare l’isteria, una patologia identificata, all’epoca, come una patologia esclusivamente femminile alla quale vi era una causa organica alla base. Negli studi sull’isteria Freud sviluppa un’ipotesi, la teoria della seduzione, è che queste donne hanno subito un abuso sessuale (evento forte che l’individuo non ha elaborato e ha lasciato tracce nell’ inconscio). (In una delle lettere che Freud scrive a Fliss nel 1982, è possibile leggere che siano gli abusi sessuali che generano la patologia e questa idea è nata da una donna con una bocca bloccata a causa di un rapporto orale al padre. Questo ha causato il sintomo, una memoria traumatica connessa all’infanzia). Questa idea di Freud non fu accolta bene dalla Vienna del 900 e venne criticato particolarmente in quanto si poneva attenzione sugli eventi interni e non esterni e perché era difficile accettare che alcuni casi di psicopatologia fossero dovuti da abusi sessuali sui minori. C’è un diniego della società rispetto agli abusi sui minori. Freud capisce che quello che ha compreso non permette di far accettare dalla società tutto ciò che aveva compreso. Freud comprende che i bambini possono provare delle fantasie erotiche e rielabora la sua concezione, nel 1905 declina con i tre saggi della teoria psicosessuale la sua visione dello sviluppo sessuale affermando che è nella natura del bambino essere un perverso polimorfo, sviluppando la teoria del complesso edipico. Del mito di Edipo crea una parabola universale: il bambino ha delle fantasie inconsce caratterizzate da bisogni pulsionali. La libido è una forza di natura sessuale che l’individuo ha e che si rivolge ad una meta che cambia nelle fasi dello sviluppo psicosessuale (orale, anale, fallica, genitalità). Freud non considera più il mondo esterno ma solo il mondo interno. Il sogno è il desiderio inconscio rimosso La rimozione è il dimenticare un’emozione, un’esperienza frustante o conflittuale, che mantiene l’affetto. È una difesa nevrotica perché dimentichiamo qualcosa ma l’affetto rimane. 20 deriva dal fallimento della figura che si prende cura dei bambini. Oggi sappiamo che gli abusi sessuali sono molto frequenti. - Kouth: il bambino deve pensare che il genitore è perfetto e i disturbi di personalità nascono dal fallimento del narcisismo di base. - Bion: si apprende dall’esperienza. Bowlby: la teoria dell’attaccamento Bowlby cambia il modo di comprendere la psicoanalisi. È famoso per la sua trilogia “attaccamento e perdita”: - Volume 1: attaccamento alla madre (‘69) - Volume 2: separazione dalla madre che procura ansia e rabbia (’73) - Volume 3: perdita della madre che procura tristezza e depressione (’80) Da un punto di vista scientifico è potentissimo, studia come uno scienziato 21 Lez 3 22/02/2024 TRAUMA EVOLUTIVO Comprendere come funzionano i processi psicologici e come arriviamo a valutare ciò che è significativo nella vita della persona è molto complesso, in cui la diagnosi non basta. Ci sono delle esperienze di vita, dei fattori predisponenti, che concorrono con una serie di disagi psicopatologici, in primis le esperienze traumatiche nell’infanzia. Queste causano un alteramento del funzionamento di personalità che porta a quella che è la psicopatologia. Queste esperienze infantili traumatiche sono cose che non dovrebbero accadere e invece accadono, e qualcosa che dovrebbe accadere in uno sviluppo sano ma non accade. Questo è traumatico. Fenomeni come la trascuratezza materiale ed emotiva hanno un impatto deleterio nella psiche di un individuo. Il trauma evolutivo descrive una condizione di sofferenza psicologica derivante delle esperienze infantili di perdita, abuso e trascuratezza nelle relazioni di attaccamento. Le esperienze traumatiche evolutive possono declinarsi sia in maniera esternalizzante che internalizzante, qui troviamo elementi come la trascuratezza materiale e abuso psicologico che risultano essere gli elementi cardine. Il trauma spesso si presenta in famiglie con una condizione traumatica alla base. Condizioni di autolesionismo aiutano le persone abusate a sentire effettivamente un dolore per sentire sé stessi, in questo modo cercano di controllare la realtà seppur in maniera disfunzionale. In questo modo l’individuo ha il “potere” nel causarsi sofferenza. Cambiamenti molto importanti nell’attaccamento generano una non elaborazione di un un nucleo molto profondo di sé stessi, elaborare questo nucleo consente alla persona di non rimanere intrappolato nello stesso. Il trauma è spesso il vettore principale di disturbi come DCA, dipendenze, disturbi psicotici, disturbi bipolari, disturbi depressivi… Nell’ICD11 esiste una diagnosi ovvero il PTSD complesso in cui, oltre i sintomi classici, presenta alterazioni nel senso di se, nell’identità… presentando alterazioni più profonde rispetto al PTSD semplice. Il trauma evolutivo non è ciò che è accaduto ma una condizione di sofferenza psicologica che deriva da quella esperienza. Il trauma evolutivo causa un maggior rischio di sviluppare obesità o sovrappeso, dipendenza da fumo, abuso di alcool, sessualità non protetta, disturbi mentali e comportamenti aggressivi auto ed etero diretti. Noi abitiamo il nostro corpo e quest’ultimo risulta essere correlato al trauma, sembra che somatizzi l’evento traumatico, l’impatto di queste esperienze è terribile sul corpo. 7 domini di compromissione nel trauma evolutivo: 1. Attaccamento- difficoltà nel sintonizzarsi con gli stati emotivi degli altri, mancanza di relazioni sicure per paura che gli altri ci danneggino. 2. Biologia- somatizzazione, problemi nello sviluppo senso motorio… 3. Regolazione affettiva- difficoltà a regolare gli stati interni, associarli tra di loro… 4. Dissociazione- depersonalizzazione e derealizzazione 5. Comportamento- controllo comportamentale ridotto, dipendenze, abuso di sostanze… 6. Cognizione- deficit nell’attenzione e nelle funzioni esecutive che causano difficoltà nella costanza oggettuale (se l’altro è assente allora mi ha abbandonato) … 7. Rappresentazionin di sè- ridotta capacità di percepire sè stessi, vergogna, bassa autostima… 22 Nel modello del trauma evolutivo i comportamenti disfunzionali sono la soluzione, i sintomi che mostrano come alla base vi sia qualcosa che non va. Un bambino che ha vissuto in una famiglia disfunzionale non sviluppa capacità di mentalizzazione. Il trauma evolutivo genera alterazioni significative nel cervello, inclusa la corteccia prefrontale e orbitofrontale, la regione ippocampale, amigdala ecc… I traumi evolutivi sono collegati ad altri eventi traumatici che si verificano nella vita di un individuo: un bambino che perde un genitore avrà una probabilità maggiore di essere trascurato dall’altro genitore, il bambino avrà una probabilità maggiore di essere esposto ad abusi al di fuori della famiglia… questa è un esperienza di esposizione continua a espereinze traumatiche multiple… IL TRAUMA GENERA TRAUMA. Il funzionamento psicologico e comportamentale del bambino è fortemente influenzato dal trauma evolutivo, al punto che il suo sviluppo potrà indirizzarsi verso traiettorie atipiche. La dissociazione è un prodotto del trauma sia se la guardiamo dal punto di vista dimensionale (normale- patologia) sia che la guardiamo dal punto di vista strutturale. Il problema della dissociazione è quando una struttura si irrigidisce. Nella versione Janettiana la dissociazione si parla della presenza di stati del se separati dalla coscienza. Quando vi è una dissociazione come struttura della personalità vi sono tutte 5 le componenti della Stainberg: - Amnesia - Depersonalizzazione - Derealizzazione - Confusione dell’identità che ha a che vedere con la propria percezione di chi si è in quel momento - Alterazione della personalità Nella dissociazione patologica c’è un trauma, molto spesso evolutivo. Tentativo di riorganizzare il modo di esperire chi si è dopo un evento traumatico, questo è per Schimmenti la dissociazione. La visione din schimmenti: Alcuni autori hanno mostrato in maniera convincente che quando le figure di attaccamento non sono in grado di fornire riscontri biosociali adeguati (attraverso il contatto fisico, lo sguardo, la verbalizzazione, i segnali ostensivi) agli stati di attivazione fisiologica che il bambino sperimenta, al bambino stesso non viene concessa la possibilità di esplorare la mente dei genitori e di "leggere" al suo interno il riflesso della propria esistenza soggettiva. In questo modo, proprio a causa della mancanza di mirroring (rispecchiamento) e di attunement (sintonizzazione), si potrà determinare nel bambino una vera e propria paura della vita mentale, che esita in un deficit dei processi mentalizzanti I genitori incapaci di sintonizzazione affettiva, a causa di proprie difficoltà psicologiche o di particolari eventi di vita, non riescono cioé a svolgere la funzione di co-regolatori degli stati affettivi (Beebe, Lachmann, 2002; Gianino, Tronick, 1988) e di costruttori di significati riflessivi (Fonagy, Target, 1997) 25 2. Concettualizzazione ampia della dissociazione -> all’interno di questa concettualizzazione rientrano un’ampia gamma di fenomeni diversi tra di loro. In questa visione la dissociazione è vista, tra le varie visioni, anche come un meccanismo di difesa per non vivere stati emotivi disturbanti. All’interno di quest’ottica non per forza la dissociazione è associata alla patologia, e dunque a una dissociazione strutturale della personalità; è vista lungo un continuum che va dal normale, condizione presente nella vita quotidiana di ognuno di noi, al patologico. LA VISIONE DI STEINBERG La dissociazione è una risposta adattiva a un elevato livello di stress o a un trauma, caratterizzata da perdita di memoria e sensazioni di distacco dalla realtà e da sé stessi. Viene descritta come un’estraneazione da sé stessi e dal mondo circostante, come guardare un film che si svolge all’interno della testa e non poter fare nient’altro che osservare dall’esterno. Diventa una condizione psicopatologica in rapporto alla compromissione funzionale del soggetto. Nella dissociazione sono presenti 5 componenti (che diventano sintomi quando è presente la psicopatologia) che sono espressioni dell’esperienza dissociativa e sono accompagnate da un’alterazione della coscienza (condizione di base anche nell’ amnesia non patologica, quando non ricordiamo qualcosa la coscienza risulta alterata, è così chiamata in quanto qualche associazione non viene fatta): 1. DEREALIZZAZIONE: La derealizzazione consiste in esperienze di irrealtà o distacco, un disturbo psicologico che fa sì che la persona viva un’esperienza di estraneità o dissociazione dal proprio corpo e dalle esperienze quotidiane, è un’alterazione della coscienza riscontrabile nella vita di tutti noi. Può rientrare nel quadro dissociativo e quando psicopatologico non necessariamente dissociativo (attacchi di panico). In quanto risposta post-traumatica a un abuso protratto, la derealizzazione viene spesso sperimentata in relazione a chi ha compiuto l’abuso. Numerosi bambini percepiscono la propria madre o il proprio padre abusanti come alieni rispetto a sé. Questo permette di dare senso all’incomprensibile senza perdere il contatto con la realtà. Per Derealizzazione si intende invece la alterazione della percezione del mondo esterno tale per cui la realtà viene sperimentata come strana, estranea, lontana e rimpicciolita, deformata ed irreale o come osservata con un microscopio o una lente. 26 2. DEPERSONALIZZAZIONE -> è un sintomo dell’alterazione della coscienza. La depersonalizzazione è una risposta normale a una situazione che mette in pericolo la nostra vita, come un incidente grave. Anche in questo caso la Steinberg distingue la depersonalizzazione lieve, presente in ognuno di noi e che aiuta a far fronte a situazioni di stress o pericolo di vita da quella moderata e grave. La depersonalizzazione grave è spesso sperimentata durante un abuso; gli individui sentono parti del corpo diventare più grandi o più piccole del solito o si sentono disconnessi dal corpo. Nella condizione grave, a differenza della lieve, è presente un annebbiamento della mente, una sorta di stordimento quando i pazienti si distaccano dal loro corpo. 3. CONFUSIONE DELL’IDENTITÀ -> è un sintomo dell’alterazione della coscienza. Una lieve confusione dell’identità, come il non sentire più chi siamo in un moneto difficile della nostra vita, è considerata normale dalla Steinberg. Quando la confusione dell’identità va al di là di un episodio transitorio si può fare riferimento a una confusione moderata o grave. In quest’ultima, la confusione circa la propria identità, può trasformarsi in una lotta continua fino a diventare una guerra nelle persone che hanno sofferto a causa di abusi nell’infanzia. 4. ALTERAZIONE DELL’IDENTITÀ-> una serie di comportamenti legati all’ alternanza di stati di personalità, si riferisce allo switch tra una personalità e l’altra. È simile alla dissociazione strutturale, ma in quest’ultima è patologica. Nella concezione della Steinberg questa può essere una componente normale. Se dovesse esserci un punteggio alto indicherebbe una dissociazione strutturale della personalità. È presente un continuum di gravità nell’ alterazione dell’identità, da assente a grave. Nella dissociazione strutturale vi è la patologia che va da primaria a terziaria (ANP-EP). 5. AMNESIA -> è un sintomo dell’alterazione della coscienza. Le dimenticanze brevi e occasionali sono una forma lieve di amnesia dissociativa, o un difetto della memoria, che capita a tutti quanti in situazioni di stress. Uno degli esempi più comuni è l’ipnosi da autostrada che consiste nell’ arrivare a destinazione senza ricordare il tragitto, ad esempio. Quando l’amnesia è moderata comprende episodi di vuoti di memoria brevi e ricorrenti, episodi che si protraggono per 30 minuti ma che si verificano raramente e casi in cui si verificano uno o due episodi nel corso di poche ore. L’amnesia grave è prodotta dal trauma o dall’abuso, si possono verificare episodi di memoria interrotta in cui gli eventi traumatici vengono dimenticati con maggiore frequenza a causa di una codifica labile. Alcuni esempi di amnesia grave possono essere il dimenticare abilità precedentemente apprese, ritrovarsi in un posto senza sapere come ci si è arrivati o incapacità di ricordare informazioni personali. Inventare ricordi per colmare alcune lacune è una tecnica di compensazione spesso utilizzata da chi soffre di amnesia. I sintomi dissociativi, di per sé, sono presenti in ognuno di noi, è un meccanismo di difesa, una strategia sana usata spesso in situazioni stress o pericoli che minacciano la vita. Il disturbo di depersonalizzazion è caratterizzato da una persistente o ricorrente sensazione di scollegamento dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se si stesse osservando la propria vita dall'esterno 27 La dissociazione non si presenta sempre come qualcosa di estremo, ma si dispone lungo un continuum: - Sintomi dissociativi lievi, sperimentati nella vita di tutti i giorni, come ad esempio perdere la cognizione del tempo quando si è immersi in un’attività piacevole (leggere…) - Sintomi di livello moderato, che non indicano necessariamente un disturbo dissociativo, a meno che questi sintomi non siano associati a sofferenza o disfunzione. Coloro che sperimentano sintomi dissociativi moderati, e che si sono adattati a questi, possono non rendersi conto della sofferenza e degli effetti negativi. - Sintomi gravi, sono prevalentemente presenti in coloro che hanno un disturbo dissociativo. Il disturbo dissociativo (DDI) si presenta quando una parte interiore di sé prende il sopravvento e agisce per conto proprio, facendo agire la persona in maniera inappropriata e compromettendo la capacità di agire. La scarsa conoscenza dei sintomi dissociativi ha fatto si che la dissociazione diventasse uno dei disturbi più taciuto dei giorni nostri. Durante questi stati alterati si possono sperimentare: - Senso di distacco da sé stessi e dal proprio corpo (vedere sé stessi in terza persona durante un incidente in cui si rischia di perdere la vita) - Senso di irrealtà - Numbing emozionale (attenuazione della reattività emotiva) - Acutizzazione dei propri sensi - Cambiamenti nella percezione dell’ambiente Sperimentare queste sensazioni consente ai soggetti che vivono un trauma che minaccia la vita di allontanarsi dal pericolo, raggiungendo un posto senza sapere come ad esempio, o rivivendo ricordi (memoria panoramica) per distrarre l’attenzione dall’evento traumatico in modo tale da mantenere la serenità. La memoria panoramica può servire per cercare dati delle esperienze passate che possono essere utili per superare, o gestire, l’esperienza traumatica attuale. Come si è già visto la dissociazione è una normale risposta ad un evento traumatico. In alcuni casi, tuttavia, la risposta dissociativa diventa fissa e automatica, questo si presenta in casi di forte trauma o un lungo e continuato abuso durante l’infanzia (TRAUMA DI PRIMO LIVELLO). Il grande stress legato ai ricordi traumatici rende difficile al cervello disattivarli, in questo modo il soggetto è in uno stato di allerta continua, di continua attivazione, in cui gli stimoli tengono i segnali di allarme sempre attivi. Come conseguenza di un evento traumatico, le persone tendono a rivivere i ricordi ad esso legati, in questo modo il trauma perde potere. Questo meccanismo risulta essere adattivo se limitato nel tempo. Le persone con un disturbo post traumatico da stress, ad esempio, si trovano intrappolate in questo meccanismo senza che il terrore originario diminuisca. Tutto ciò che rimanda al trauma può causare un riflesso pavloviano, come nel caso di un veterano che sentendo uno scoppio qualsiasi corre a nascondersi in un posto sicuro. Queste persone, in quanto hanno perso la capacità di regolare le proprie emozioni, reagiscono in maniera eccessiva allo stress, con colpi d’ira, attacchi di panico o dissociandosi nel tentativo di calmare l’ansia. 30 Per i comportamenti autolesivi dei pazienti affetti da DDI si impone una spiegazione psicodinamica. La rivittimizzazione è uno schema di comportamento che questi pazienti condividono con altre vittime di incesto e di abusi infantili. Gli uomini e I ragazzi che hanno subito abusi tendono a indentificarsi con gli aggressori e vittimizzare altri una volta adulti. Le donne si legano a uomini che hanno comportamenti di abuso per avere un una prevedibiltà nelle relazioni che le aiuta a difendersi dalla paura di essere abbandonate. Quando i pazienti affetti da DDI rievocano gli abusi sessuali subiti nell’infanzia, spesso si vergognano per gli eventi che sono loro accaduti. Sebbene in una certa misura questo senso di vergogna e di colpa possano essere spiegati da identificazioni introiettive con I genitori cattivi, l’autoaccusa può anche essere compresa come un tentativo di dare un senso a una situazione terrificante. Nella letteratura sul DDI esiste una tendenza generale che sottolinea le modalità con cui la dissociazione si differenzia dalla scissione. Infatti, risultano presentare aspetti diversi e a tratti simili i meccanismi della scissione e dissociazione. Entrambe sono caratterizzate da attive separazioni e compartimentalizzazioni di contenuti mentali. Entrambe sono utilizzate difensivamente per evitare contenuti ed esperienze spiacevoli. Entrambe sono disgregative per la formazione di un senso di sé armonioso e costante. D’altra parte, differiscono in relazione a quali sono le funzioni disaggregate dell’io. Kernberg ha chiarito che a essere indeboliti nella scissione sono il controllo degli impulsi e la capacità di tollerare ansia e frustrazione. Nella dissociazione sono invece interessate memoria e coscienza. Infine nella dissociazione avvengono molteplici divisioni, non semplici separazioni in estremi di valenza affettiva polarizzati (odio-amore; buono-cattivo). Considerazioni terapeutiche: La psicoterapia dei pazienti con DDI è ardua. Per queste condizioni non esiste una psicoterapia breve definitiva. Per avere successo, una psicoterapia del DDI deve in primis fissare una cornice terapeutica solida e sicura. Dato che questi pazienti presentano una storia infantile di violazione dei confini, devono essere stabiliti sin dall’inizio dettagli come la durata delle sedute, il pagamento dell’onorario, l’orario degli appuntamenti e l’uso delle parole invece che del contatto fisico. Il compito più importante del terapeuta deve essere quello di incoraggiare la sensazione del paziente di essere attivo. In sintesi deve aiutare I pazienti a riconoscere il fatto che stanno cercando attivamente di ricreare nel presente modelli del loro passato. L’approccio più moderno alla psicoterapia per il disturbo dissociativo dell’identità prevede tre fasi: la prima è dedicata alla creazione del senso di sicurezza e stabilità; la seconda dev’essere finalizzata allo sviluppo di una narrativa dettagliata e all’elaborazione dei ricordi traumatici; la terza mira alla reintegrazione, all’intento di vivere bene il presente relegando le esperienze traumatiche allo status di brutti ricordi. Aspetti controtransferali: A un estremo, molti professionisti non credono che il DDI sia un autentico disturbo psichiatrico. All’altro estremo, credono a tutto ciò che I loro pazienti raccontano, anche alle cose più bizzarre. Sono affascinati da questa condizione e perdono completamente il senso dei confini professionali. Cercano di guarire il paziente con il loro amore e di essere un genitore migliore di quanto non lo siano stati quelli veri. 31 Il problema dell’affidabilità dei ricordi traumatici può diventare oggetto di controversie basate su estremizzazioni. Quando i ricordi sono recuperati nel corso della terapia, il terapeuta e il paziente non sanno quanto questi ricordi siano affidabili. I ricordi, di fatti, possono essere veri ma non affidabili, un ricordo può avere dei falsi dettagli pur derivando da un evento reale. La ripetizione traumatica appare guidata dalla memoria procedurale implicita. All’interno di questa categoria vi sarebbe una gran parte delle espressioni transferali-controtransferali a cui Feud si riferiva inizialmente quando osservava che i ricordi vengono ripetuti piuttosto che espressi verbalmente. In altre parole, relazioni oggettuali interne inconsce sono immagazzinate nel sistema implicito della memoria ed emergono durante la terapia attraverso le modalità con cui il paziente si mette in relazione con il terapeuta. Sebbene il terapeuta non possa sapere con certezza se I ricordi impliciti che emergono nella relazione terapeutica forniscono un quadro affidabile di ciò che è accaduto nell’infanzia del paziente, tali ricordi possono rivelare come il bambino ha vissuto le esperienze,e anche le sue fantasie sulle interazioni. Trattamento ospedaliero: In funzione al loro livello di organizzazione dell’Io e del grado di comorbilità, molti pazienti che soffrono di disturbo dissociativo dell’identità a un certo punto della terapia potrebbero richiedere un ospedalizzazione. All’inizio della degenza è necessario stipulare con il paziente un accordo che sancisca il suo consenso a rispondere secondo il nome anagrafico quando viene chiamato. Al paziente deve essere fatto presente che non può pretendere che lo staff sia in grado di rispondere con modalità differente alle diverse personalità che emergono durante la sua permanenza. Soltanto il suo terapeuta individuale chiamerà per nome le altre personalità separate. Kluft ha anche suggerito che il personale infermieristico dovrebbe ripetutamente ricordare a questi pazienti le regole e le disposizioni del reparto, perché alcune personalità potrebbero non conoscerle. 32 Lez 4 27/02/2024 Trauma e regolazione affettiva: Quando il bambino viene traumatizzato nelle relazioni di attaccamento vi sono stati mentali disregolati a causa dell a mancata regolazione madre-bambino. Le madri sicure hanno la capacità di sintonizzazione, condivisione e rispecchiamento. In una madre disregolata, vi è incapacità di mentalizzare gli scambi emotivi e interpersonali. Il bambino prova emozioni non regolate. Qui ritorna il rifugio nella mente. Se alcuni stati emotivi non sono stati regolati diventano delle voragini psichiche in cui sentimenti, stati mentali e pezzi del proprio sé sono sepolti e sparsi nell’oblio. Più siamo in stati di disregolazione più la persona si allontana dall’esperienza reale, è proprio questo il concetto di rifugio. Nel trauma è centrale in quanto si parla di far integrare parti dissociate, parti escluse dalla realtà, dall’esperienza di vita Nell’identificazione con l’aggressore, posso di contro, diventare come lui. Questo rappresenta il ciclo della violenza. Per non sentire il dolore dell’attaccamento posso farlo il modo accudente o punitivo: - Prendermi cura dell’altro in maniera eccessiva, sia nei confronti del caregiver che nei confronti dell’altro. - Attaccare e aggredire l’altro così sarò presente costantemente. Le aspettative sulle relazioni saranno però negative determinando una sfiducia interpersonale perché l’altro non ci amerà per quello che siamo. In questo modo siamo vulnerabili alla sofferenza psichica e alla ritraumatizzazione perché mi comporterò con gli altri sulla base di aspettative negative. La dissociazione non è soltanto psicologica ma attraversa il corpo, la sofferenza della mente si riverbera sul corpo. Questo porta ad una condizione fisica di ipo o iper-attivazione. Questo porta alla difficoltà nella regolazione e mentalizzazione delle emozioni che si riversa su stati affettivi percepiti come traumatici, intollerabili. Nella dissociazione bisogna procedere tramite delle fasi 1. Regolazione 2. Lavorare sugli stati interni e sulle rappresentazioni Tutto questo spiega come da un attaccamento traumatico si possono sviluppare una serie di problematiche: - Dissociazione patologica (escludere esperienze che disconfermano la tua relazione di attaccamento) - Identificazione con l’aggressore (identificandomi con l’aggressore porto dentro di me caratteristiche che stanno nella mente dell’aggressore “se pensa che sono grasso lo penserò anch’io”). Questo porta a un eccessivo controllo della realtà. 35 Lindy ha identificato quattro tipi di transfert che possiamo incontrare con il PTSD: 1) il transfert sul terapeuta di individui coinvolti nell’evento traumatico; 2) Il transfert sulla situazione terapeutica di specifici ricordi denegati relativi all’evento traumatico; 3) il transfert sul terapeuta di funzioni intrapsichiche del paziente che sono state distorte come risultato del trauma; 4) transfert sul terapeuta di un ruolo onnipotente e saggio in cui il terapeuta può aiutare il paziente a capire l’accaduto e ripristinare un senso di significato personale. Tutte queste forme di transfert, come ben sappiamo, evocano corrispondenti processi di controtransfert. Il terapeuta può anche sentirsi traumatizzato per il semplice fatto di ascoltare il vissuto del paziente. Quando il paziente è particolarmente tenace nell’ aggrapparsi ai ricordi del trauma il clinico può perdere le speranze e diventare indifferente. 36 Lez 6 29/02/2024 Lo spettro schizofrenico Lo spettro schizofrenico include quei disturbi in cui sono presenti esperienze psicotiche, tra cui la schizofrenia, il disturbo schizofreniforme, il disturbo schizoaffettivo, il disturbo delirante e psicotico breve. La psicosi, qualunque definizione si prediliga, è caratterizzata dal fallimento dell’esame di realtà e di alterazione profonda dei processi di significato dell’esperienza. Quando Kernberg parla della psicosi mette in luce una frammentazione dell’identità e difese primitive. Per la Klein la schizofrenia non può essere profondamente analizzata perché siamo in una posizione schizoparanoide in cui vi è la scissione dell’oggetto buono e cattivo. Secondo i principi classici della psicoanalisi non si può lavorare con i disturbi psicotici. Alcuni processi psicotici sono recuperabili perché nel modello di Bion vi sono degli elementi grezzi della realtà, beta, che vanno sulla mente e se non c’è una funzione alfa della mente che li trasforma in qualcosa di digeribile, in rappresentazioni mentali, abbiamo la psicosi. Sullivan è cresciuto nella psicoanalisi e afferma che l’individuo sviluppa degli aspetti “non me” in cui non si riconosce, l’eccesso di questi elementi producono quelle scissioni multiple che vanno a creare la schizofrenia. Noi dovremmo permettere lo sviluppo di aspetti “non me” nelle persone con disturbi psicotici. Con persone schizofreniche è possibile curarli ma non guarirli. Bisogna intercettare quegli aspetti dello spettro psicotico per comprendere la psicopatologia legata a questi disturbi e anche il modo in cui trattarli. Nella psicosi vi è una mente scissa, delle frammentazioni che non consente di avere una visione della realtà effettiva, di non comprendere gli stati mentali altrui… Lo spettro schizofrenico comprende esperienze psicotiche. La psicosi ha a che vedere con una serie di definizioni che non sono mai state accettate universalmente, nel senso più ristretto si indicano deliri e allucinazioni che si verificano al di fuori della consapevolezza del soggetto. Tuttavia, non si parla solo di sintomi positivi ma anche di sintomi negativi. Per l’aspetto diagnostico dobbiamo ricordare che vi è un fallimento dell’esame di realtà (dal maglione escono i serpenti che mi vogliono aggredire) e di alterazione profonda dei processi di significato dell’esperienza. Schizofrenia Un’utile strutturazione della sintomatologia descrittiva del disturbo è la suddivisione in tre raggruppamenti: - Sintomi positivi: Includono distorsioni o esagerazioni del contenuto di pensiero (deliri) e della percezione (allucinazioni), del linguaggio e della comunicazione e del controllo del comportamento (comportamento grossolanamente disorganizzato “un’insalata di parole”). Si sviluppano in breve tempo e sono spesso associate a un episodio acuto. - Sintomi negativi: restrizioni nello spettro e nell’intensità delle espressioni emotive (appiattimento dell’affettività), nella fluidità e nella produttività del pensiero e dell’eloquio (alogia) e nell’iniziare comportamenti finalizzati a una meta (abulia). I pazienti nei quali predomina un quadro caratterizzato da una sintomatologia negativa possono presentare una serie di componenti che suggeriscono l’esistenza di anomalie strutturali del cervello come rendimento scolastico insufficiente, difficoltà nel mantenere un lavoro o scarsa risposta alla terapia… - Relazioni personali disturbate: come i sintomi negativi anche le relazioni interpersonali disturbate tendono a svilupparsi in un notevole arco di tempo. Questi problemi sorgono da un substrato caratteriale o comprendono una miriade di difficoltà interpersonali svariate. Queste difficoltà possono comprendere il ritiro, l’espressione inadeguata dell’aggressività o della sessualità… 37 Cosa sono questi sintomi positivi? 1. DELIRI -> convinzioni erronee che comportano un’interpretazione non corretta di percezioni o esperienze, il loro contenuto può includere una varietà di temi. La differenza tra deliri e un’idea fortemente radicata, un’idea prevalente, è difficile da attuare. 2. ALLUCINAZIONI-> possono manifestarsi con qualunque modalità sensoriale ma quelle uditive sono le più comuni. 3. ELOQUIO DISORGANIZZATO -> la persona può perdere il filo passando da un argomento all’altro “deragliamento”; le risposte possono essere correlate in modo obliquo o non correlate; può essere incomprensibile “insalata di parole” 4. COMPORTAMENTO DISORGANIZZATO-> si manifesta con alcuni aspetti, la persona può non rispondere agli stimoli o vi è un'agitazione imprevedibile in assenza di stimoli esterni (correre all’improvviso e sbattere la testa in un muro); può manifestare difficoltà nelle attività di vita quotidiane (non si lava, si presenta in seduta con un cappotto d’estate, può avere un aspetto disordinato o può masturbarsi in pubblico). 5. COMPORTAMENTI CATATONICI-> il soggetto non reagisce all’ambiente, il cosiddetto stupor catatonico; movimento imprevedibile e con un'eccessiva attività motoria non finalizzata e non dovuta a stimoli esterni. Cosa sono i sintomi negativi? 1. L'appiattimento dell'affettività è particolarmente comune ed è caratterizzato dal viso del soggetto che appare immobile e non reattivo, con scarso contatto dello sguardo e ridotto linguaggio del corpo. Benché una persona con affettività appiattita possa sorridere e occasionalmente animarsi, lo spettro delle sue espressioni emotive è chiaramente ridotto nella maggior parte del tempo. Può essere utile osservare la persona mentre interagisce con i suoi pari per determinare se l'appiattimento dell'affettività è sufficientemente persistente per soddisfare il criterio. 2. L'alogia (povertà di linguaggio) è manifestata da risposte brevi, laconiche, vuote, Il soggetto con alogia sembra avere una diminuzione di pensieri, che si riflette nella diminuzione di fluidità e di produttività del linguaggio. Questo deve essere differenziato da una mancanza di volontà di parlare. Tale valutazione clinica può richiedere un'osservazione nel tempo e in una varietà di situazioni. 3. L'abulia è caratterizzata da una incapacità a iniziare e a continuare attività finalizzate a una meta. La persona può rimanere seduta per lunghi periodi di tempo e mostrare scarso interesse nel partecipare ad attività sociali o lavorative. Come si sviluppa la schizofrenia? A partire dagli studi sulla dementia praecox sono state fatte diverse ipotesi sulle origini: - Fattori genetici, studi su gemelli mostrano un’ampia percentuale, oltre il 60%, dell’incidenza del fattore genetico anche se questo non è ben chiaro. È probabile che vi sia un certa eterogeneità genetica, in altre parole è probabile che i geni difettivi coinvolti siano più di uno e che diversi quadri genetici sottendano il disturbo. È probabile anche che sia implicata una penetranza incompleta (AGGIUNGERE SPIEGAZIONE) in quanto meno della metà dei gemelli monozigoti sono concordanti. - Fattori ambientali, sembrano essere coinvolti nello sviluppo della schizofrenia, come il fatto di crescere in zone urbane e trauma cranico in età infantile. - Teoria sulla dopamina, un recettore. Vi è poca dopamina a livello prefrontale, a livello sottocorticale invece ve ne è un eccesso che porta al fallimento dell’esame di realtà. - Ventricoli dilatati - Regressione a funzionamento primitivo narcisistico sul Sé - Crollo psichico, da un punto di vista del funzionamento psicopatologico della persona funzionerebbe bene fino a un certo punto della sua vita, finché non arrivano degli eventi talmente soverchianti che la mente non è in grado di elaborare e quindi produce una disorganizzazione dei processi di pensiero. 40 risultati di diversi studi indicano che per pazienti ambulatoriali la terapia di gruppo può essere efficace quanto la terapia individuale. Interventi sulla famiglia: numerosi studi hanno dimostrato che la terapia della famiglia associata a farmaci antipsicotici è tre volte più efficace della sola farmacoterapia nella prevenzione delle ricadute. Queste ricerche hanno utilizzato l’emotività repressa (EE), un termine noto per descrivere uno stile di interazioni tra i membri della famiglia e il paziente caratterizzato da ipercriticismo e intenso coinvolgimento. Sebbene tale concetto non accusi i genitori di essere la causa della malattia, riconosce che esse possono diventare fattori secondari che contribuiscono alle ricadute attraverso un'intensificazione delle interazioni col parente. La vasta ricerca sull’EE ha portato allo sviluppo di un approccio psicosociale che prepara i familiari di pazienti schizofrenici a riconoscere segni e sintomi che fanno presagire una ricaduta. Poiché stimolazioni ambientali possono creare difficoltà al paziente, è importante ridurre l’intensità di tali stimoli. Riabilitazione psicosociale: la riabilitazione psicosociale è definita come un approccio terapeutico che incoraggia il paziente a sviluppare al massimo le proprie capacità attraverso il supporto ambientale e l’apprendimento di procedure. Questo approccio, adattato ai singoli individui, si basa su strategie tese a migliorare le competenze del paziente, ridargli speranza, incoraggiare il suo coinvolgimento attivo nella terapia e aiutarlo a sviluppare abilità sociali. Anche la riabilitazione cognitiva è stata incorporata in queste strategie. Attraverso la ripetuta applicazione di metodi correlati, vari deficit cognitivi vengono modificati. Trattamento ospedaliero: per il paziente schizofrenico che presenta un crollo psicotico acuto, un breve ricovero offre la possibilità di una pausa, un’occasione di riorganizzarsi e acquisire una nuova direzione nel futuro. La struttura del reparto ospedaliero fornisce un luogo sicuro che impedisce ai pazienti di recare danno a se stessi e agli altri. Il ricovero breve porta a una spinta antiregressiva. Vengono restaurate le difese e il paziente dovrebbe essere riportato alla funzionalità nel minor tempo possibile. Introducendo nella vita dei pazienti un programma di routine, è inevitabile che alcuni dei loro bisogni e desideri vengano frustrati, questo ottimale livello di frustrazione aiuta il paziente a migliorare l’esame di realtà e altre funzioni dell’io. In conclusione, i pazienti schizofrenici hanno bisogno di figure terapeutiche nella loro vita, hanno bisogno di aiuto e di qualcuno che li aiuti a comprendere le paure e le fantasie che impediscono loro di seguire i vari aspetti del piano terapeutico globale. Lez 7 05/03/2024 Disturbi depressivi I sintomi dei disturbi depressivi sono suddivisi in: - Sintomi affettivi con umore depresso, tristezza, perdita di piacere - Sintomi cognitivi, ridotta capacità di concentrazione - Sintomi volitivi, affaticamento - Sintomi comportamentali insonnia, difficoltà ad addormentarsi, difficoltà nel sonno. Inizialmente la depressione viene definita in relazione alla bile nera, mancanza di luce. Trattamento terapeutico: Sono molto efficaci la CBT, che lavora sulle credenze erronee, la terapia interpersonale che lavora su aspetti interpersonali. Le terapie sono più efficaci degli psicofarmaci nel caso di depressione breve perché non risolvono il problema. Non sono efficaci anche nel caso di depressione maggiore. Modelli diversi convergono ad avere poi risultati 41 ottimi, migliori degli psicofarmaci, in quanto il problema degli psicofarmaci è che vanno a tappare il buco dei pazienti depressi ma non vengono affrontati i problemi che stanno alla base. Diverso invece quando ci troviamo in disturbo depressivo maggiore con delirio di Cotard (delirio di negazione cronico, la persona crede di non avere organi o sangue oppure nega di avere parti del corpo. Oggi questa sindrome è conosciuta come “sindrome dell’uomo morto”), è uno dei pochi contesti in cui sono ancora accettati i trattamenti inerenti all’elettro shock. Melanie klein: Melanie Klein concettualizza la depressione come “posizione depressiva”, ovvero la fase in cui si passa ad una relazione con oggetti interi e quindi al passaggio da una relazione con oggetti “tutti buoni” o “tutti cattivi” ad una relazione con oggetti percepiti realisticamente con caratteristiche sia positive sia negative. Ma per arrivare a questo tipo di relazione con oggetti interi, l’individuo deve essere in grado di tollerare il senso di colpa e l’angoscia depressiva dovuta alla paura di aver distrutto l’oggetto buono che coincide con quello cattivo. La klein ha osservato come difese maniacali quali onnipotenza, diniego, disprezzo e idealizzazione emergono come risposta a sentimenti dolorosi causati dallo struggimento per oggetti d’amore perduti. Queste difese vengono utilizzate al servizio: 1) del recupero e ripristino dei perduti oggetti d’amore; 2) del disconoscimento dei cattivi oggetti interni, 3) del diniego della dipendenza servile dagli oggetti d’amore. Clinicamente, i pazienti possono manifestare queste operazioni maniacali attraverso il diniego di qualunque aggressività o distruttività nei confronti di altre persone, l’idealizzazione di altre persone, oppure con un atteggiamento sprezzante e insolente verso gli altri, al fine di disconoscere il proprio bisogno di relazione. Freud: La storia degli approcci psicodinamici alla depressione ha inizio con il lavoro di Freud “lutto e melanconia”. Centrale nella visione di Freud era la nozione che le perdite precoci durante l’infanzia portano a una maggiore vulnerabilità alla depressione in età adulta. Freud parlava di lutto in riferimento all’introiezione quando il soggetto perde qualcuno o qualcosa di importante (oggetto d’amore), è come se perdesse una parte di sé. Da qui deriva la colpa (qualcosa che io ho fatto, riparabile) per non aver potuto far nulla per evitare la perdita di questo oggetto d’amore in cui il soggetto si identifica e introietta le caratteristiche. La rabbia è diretta internamente perché il Sé del paziente si è identificato con l’oggetto perduto. Nel 1922 sostenne che i pazienti depressi hanno un Super-Io severo, in relazione al loro senso di colpa per aver mostrato aggressività nei confronti di persone amate. Abraham: Karl Abraham ha ampliato le idee di Freud collegando il presente al passato. Secondo l’autore gli individui depressi hanno sofferto da bambini gravi colpi alla loro autostima; in età adulta la depressione è indotta da nuove perdite o delusioni che evocano intensi sentimenti negativi verso figure, appartenenti sia al presente che al passato, che hanno ferito il paziente negandogli (in maniera reale o immaginaria) il loro amore. Green: Green sostiene che si tratta sempre dell’introiezione di caratteristiche di una madre che non ha saputo amare. Oltre la colpa, subentra anche la vergogna (non ciò che faccio a che sono) in cui viene portato dentro di sé un oggetto particolarmente criticante. Bowlby: Anche la teoria dell’attaccamento può insegnarci molto sulla depressione. Bowlby considerava l’attaccamento del bambino alla madre come necessario per la sopravvivenza. Quando l’attaccamento è instabile o viene meno a causa della perdita di un genitore, i bambini vedono se stessi e gli altri come non degni d’amore e i loro genitori o caregiver come non affidabili. Di conseguenza, una volta adulti questi individui possono 42 diventare depressi ogni volta che hanno un’esperienza di perdita, in quanto questa riattiva la sensazione di essere persone abbandonate e indegne di amore. Ritiene che la perdita di oggetti d’amore provochi un vuoto dentro il che provocherebbe depressione. Quando la tristezza diventa l’emozione prevalente, la struttura prevalente, è patologia. Distinguiamo le ideazioni suicidarie (vedere immagini inerenti al suicidio) dall’intento suicidario (suicidio come risposta alla sofferenza. Lo sviluppo di questi intenti suicidari porta molto probabilmente al suicidio che viene visto come un modo per dare significato alla vita, ad esempio nei casi di suicidio vi è il pensiero che il mondo non ci merita). Fattori eziologici: - Fattori genetici (alterazione nel trasporto della serotonina) - Fattori temperamentali (tendenza a nevroticismo e iper-attivazione) - Fattore psicologico (traumi e trascuratezza) - Fattore endocrino (livello ormonale soprattutto nelle donne) - Fattore sociale (contesti depressivi, ambienti poveri e con risorse ridotte …) Disturbi bipolari All’interno dei disturbi bipolari è possibile distinguere: 1. Disturbo bipolare I-> episodi maniacali e depressivi 2. Disturbo bipolare II-> episodi depressivi e ipomaniacali 3. Disturbo ciclotomico-> è caratterizzato dalla presenza per almeno due anni di episodi maniacali, che non soddisfano i criteri per l’Episodio maniacale e di numerosi periodi con sintomi depressivi che non soddisfano i criteri per l’Episodio Depressivo maggiore. Questa distinzione tra i disturbi è importante anche per distinguere gli psicofarmaci da utilizzare. Altra importante distinzione da fare in terapie è anche fare attenzione alle risposte controtransferali che risultano essere diverse: -Risposte controtransferali depresso = tristezza e rabbia -Risposte controstransferali bipolare = confusione (come ti aiuto se non capisci niente del tuo mondo interno?) Nel depressivo c’è un IO cattivo o inadeguato, nel bipolare gli altri vedranno quanto io sono cattivo (maniacale). I sintomi maniacali: ridotto bisogno di sonno, fuga delle idee, distraibilità, autostima ipertrofica (autostima elevata), eccessiva loquacità, eccitazione psicomotoria. Non ha pausa nel suo pensiero e non c’è focalizzazione nel suo pensiero. Il più delle volte è importante un trattamento psicofarmacologico (stabilizzatori dell’umore, come litio e valproato). Disturbo ad alto rischio suicidario. Negli episodi maniacali non si può rinunciare agli psicofarmaci. Gli attuali approcci psicodinamici alla depressione riconoscono che i disturbi affettivi sono fortemente influenzati da fattori genetici e ambientale, con una percentuale di influenza rispettivamente del 40% e 60%. Kendler e collaboratori eseguendo una ricerca su 680 coppie di gemelle hanno messo in luce come il ruolo della componente genetica sia sostanziale ma non decisivo, mentre il fattore predittivo più importante era la presenza eventi stressanti antecedenti. Nemeroff ha notato come l’idea di Freud, per cui una perdita nell’infanzia genera una vulnerabilità che predispone alla depressione in età adulta, trovi conferma in ricerche recenti. Uno studio caso-controllo riportato da Agid e collaboratori ha valutato i tassi di perdita di un genitore prima dei 17 anni di età, dovuta a 45 Arieti ha osservato che il paziente deve giungere alla realizzazione di non essere stato in grado di vivere per se stesso. Non si è mai ascoltato. Alla fine di questa fase è possibile che emerga una buona dose di rabbia nei confronti dell’altro dominante, compito del terapeuta sarà quello di aiutare il paziente a concepire nuovi modi di vivere. Il clinico non deve dire ai pazienti cosa devono fare in quanto rinforzerà la loro bassa autostima e i loro sentimenti di incapacità, dovrà semplicemente far notare che loro si trovano nella posizione migliore per fare progetti di vita. Per l’approccio psicodinamico ai pazienti depressi è cruciale stabilire il contesto e il significato interpersonale della depressione; sfortunatamente i pazienti preferiscono vedere la loro depressione e i loro desideri di suicidio come se si sviluppassero nel vuoto, insistendo nell’ incolpare esclusivamente loro stessi. Un attento esame di processi di transfert e controtransfert aiuterebbe ad abbattere questa resistenza. I pazienti depressi tendono a ripetere, all’interno della relazione terapeutica, le loro relazioni oggettuali interne e i loro pattern relazionali. Durante la terapia il clinico potrebbe rispondere con sentimenti controtransferali quali la rabbia, disperazione o desiderio di sbarazzarsi del paziente. Il terapeuta deve esaminare tutto ciò per comprendere l’impatto del paziente sugli altri utilizzando tali sensazioni in maniera costruttiva all’interno della relazione terapeutica. Indicazioni e controindicazioni Per molti pazienti con depressione o distimia (disturbo dell’umore) l’integrazione di farmacoterapia e psicoterapia risulta essere il trattamento ottimale. Tuttavia, certe forme di depressione sembrano rispondere preferenzialmente alla psicoterapia, mostrando come i farmaci spesso siano inefficaci nelle forme minori di depressione. Inoltre, i pazienti depressi possono non seguire la farmacoterapia per una serie di motivi; dunque, l’integrazione della psicoterapia sembra produrre gli effetti desiderati. Trattamento del paziente con tendenze suicide Per i clinici la tendenza naturale è quella di lavorare per prevenire il suicidio, quando il ruolo di salvatore diventa eccessivamente coinvolgente, però, i risultati possono essere anti-terapeutici. Innanzitutto, i clinici devono tenere sempre a mente che se i pazienti sono veramente intenzionati ad uccidersi finiranno col farlo; nessuna misura di contenzione fisica, attenta osservazione e capacità clinica può fermare questi pazienti dal farlo. Dopo un suicidio portato al termine spesso i clinici si sentono in colpa per non aver identificato i segni premonitori che avrebbero consentito di prevedere un imminente tentativo di suicidio, tuttavia, la capacità del clinico di prevedere il suicidio è ancor oggi limitata. I clinici non possono leggere nella mente e devono imparare ad accettare i loro fallimenti quando non sono presenti indicazioni chiare di suicidio. Il trattamento di pazienti con tendenze suicide dovrebbe includere la farmacoterapia o una terapia elettroconvulsiva. Valutare il rischio di suicidio è una grande sfida per il clinico; è stato messo a punto un test di associazione implicita, in cui all’individuo viene chiesto di classificare stimoli che rappresentano costrutti come “vita” “morte” “me” e “non me”, che fornisce alcuni dati sulle associazioni del paziente. I clinici con formazione psicodinamica tendono ad essere d’accordo nel ritenere che i terapeuti cadono nella trappola del poter salvare i loro pazienti dal suicidio, quando in realtà stanno riducendo la possibilità di farlo. I clinici vengono trascinati nel ruolo del salvatore operando spesso sulla base dell’assunto, conscio e inconscio, di essere in grado di offrire l’amore e le attenzioni che altri non sono in grado di dare, trasformando magicamente il desiderio del paziente di morire in un desiderio di vivere. Tuttavia, questa fantasia è una trappola in quanto il programma segreto del paziente è cercare di dimostrare che nulla di quanto farà il terapeuta sarà sufficiente. I terapeuti dovrebbero stare attenti nei confronti dei transfert idealizzanti, che spesso si formano rapidamente quando i pazienti sono alla ricerca di Salvatore. 46 È utile operare una distinzione tra trattamento e gestione del paziente con tendenze suicide. la seconda riguarda misure come l’osservazione continua, limitazioni fisiche ad esempio l’allontanamento di oggetti pericolosi dall’ambiente. il trattamento è invece necessario per modificare il radicale desiderio di morire. Processi di controtransfert evocati dal paziente rappresentano un ostacolo alla terapia. Alcuni clinici evitano qualunque responsabilità nei confronti di pazienti gravemente depressi. I terapeuti che hanno in cura pazienti con gravi tendenze suicide inizieranno a sentirsi tormentati dalla negazione dei loro sforzi; in queste situazioni può facilmente emergere un odio controtransferale ciò porterà a un inconscio desiderio del terapeuta che il paziente muoia per mettere fine al tormento. L’odio controtransferale deve essere accettato come una parte dell’esperienza terapeutica con i pazienti tendenti al suicidio. Per trattare efficacemente i pazienti con tentenze suicide, i clinici devono distinguere le proprie responsabilità da quelle del paziente. Può essere portato avanti un piano di sicurezza, elaborato insieme al paziente, in cui si fornisce un insieme di strategie di coping e risorse di sostegno a cui ricorrere quando leggono i pensieri di suicidio. un piano di questo genere si basa sul riconoscimento del fatto che le idee di suicidio sono fluttuanti e il paziente non è completamente in balia delle sue idee suicidarie; in questo modo si possono predisporre misure che gli consentono di elaborarli piuttosto che di metterli in atto. I Disturbi d’ansia Importante distinguere l’ansia legata dall’ansia libera. Tutti noi facciamo esperienza di sintomi che comunemente chiamiamo ansia, un iperattivazione fisiologica con aumento di sudorazione, aumento del battito cardiaco, ci si prepara ad affrontare un pericolo, attivando anche il nostro sistema simpatico. Il problema non è l’ansia segnale (ansia legata) che se ne va una volta risolto un problema. Il problema si ha quando l’ansia arriva in momenti in cui non procurano ansia (ansia libera). L’ansia è una risposta adattiva allo stress e al pericolo che è normale soprattutto di fronte a situazioni nuove, stressanti o potenzialmente pericolose, è patologica quando è prolungata, estrema o non è connessa ad una reale minaccia proveniente da una situazione esterna. Il 40 % delle persone ha avuto almeno un attacco di panico nella vita, che non corrisponde al disturbo di panico. Le componenti dell’ansia sono due - Psicologica: stato mentale caratterizzato da un accresciuta attivazione psicofisiologica, tensione, apprensione, senso di vulnerabilità e disforia - Somatica: per cui si vivono sensazioni fisiche di palpitazione, svenimento, dispnea, pallore e dolori addominali. L’ansia può essere presente a livelli più o meno costanti (ad esempio, nel disturbo d’ansia generalizzato), oppure presentarsi in modo episodico (ad esempio negli attacchi di panico). Ancora è talvolta identificabile uno stimolo anche molto specifico che attiva l’ansia (come nella fobia semplice avere paura dei ragni ad esempio) oppure lo stimolo che attiva l’ansia più generale (ad esempio nella fobia sociale o nell’agorafobia) Talvolta lo stimolo che attiva l’ansia non è facilmente identificabile, ma possono essere messi in atto comportamenti ripetitivi che mirano nella sua riduzione (come vedremo quando affronteremo il disturbo ossessivo-compulsivo). Freud aveva coniato il termine nevrosi d’angoscia, nel 1894, e distinse due forme di ansia. La prima era il diffuso senso di inquietudine o di paura che ha origine da un pensiero o desiderio rimosso, la seconda era caratterizzata da un senso di sopraffacente di panico, accompagnato da manifestazioni di attivazione del sistema nervoso autonomo (sudorazione eccessiva, diarrea, aumento dei ritmi respiratori e cardiaci). 47 Nel 1926 Freud aveva rivisto la sua comprensione dell’ansia che era adesso vista come il risultato di un conflitto psichico tra desideri inconsci sessuali o aggressivi provenienti dall’Es e le corrispondenti minacce di punizione da parte del Super-Io. L’ansia viene perciò compresa come un segnale di pericolo proveniente dall’ inconscio. In risposta a questo segnale l’Io mobilita i meccanismi di difesa per impedire che i sentimenti inaccettabili giungano alla coscienza. L’ansia può essere mascherata da una paura cosciente e accettabile che maschera una preoccupazione inconscia e inaccettabile. Alcuni pazienti che presentano ansia non hanno alcuna idea del perché siano ansiosi. Freud sviluppò l’idea che ogni periodo evolutivo nella vita di un bambino produce una paura caratteristica associata a quella fase. Può essere elaborata umana gerarchia evolutiva dell’ansia: 1. Ansia superegoica-> A livello più maturo, l'ansia che proviene dal super-io può essere compresa in termini di sentimenti di colpa o tormenti della coscienza derivati dal fatto di non condurre una vita all'altezza di uno standard interno (se mia madre è sola non esco con le amiche cosicché non rimanga da sola e io non mi sento in colpa. Siccome vi è la pulsione, la scarico sulla madre “è colpa tua se non esco”). 2. Angoscia di castrazione-> durante la fase edipica, l'ansia è focalizzata sul danno potenziale ai genitali o sulla perdita degli stessi per mano di una figura genitoriale vendicativa. 3. Paura di perdere l'amore-> andando indietro nella gerarchia evolutiva verso un'ansia più precoce, troviamo il timore di perdere l'amore o l'approvazione di un'altro significativo. 4. Paura di perdere l'oggetto o ansia da separazione-> una forma di ansia più primitiva da un punto di vista evolutivo riguarda la possibilità di perdere non solo l'amore dell'oggetto ma anche l'oggetto stesso. 5. Angoscia persecutoria-> deriva dalla posizione schizoparanoide per cui l'ansia primaria è relativa al fatto che gli oggetti persecutori invaderanno il paziente dall'esterno e lo annichiliranno dall'interno. 6. Angoscia di disintegrazione-> può derivare sia dalla paura di perdere il senso di sé o dei propri confini attraverso la fusione con un oggetto, sia dalla preoccupazione che il proprio se si frammenterà e perderà la propria integrità in assenza di risposte e di rispecchiamento o idealizzanti da parte di altre persone del proprio ambiente. L'organizzazione gerarchica delle varianti può portare all'errata conclusione che i livelli di ansia più primitivi vengano superati con il procedere. Tuttavia, tali livelli persistono e possono essere riattivati con facilità in situazioni traumatiche o di stress o in gruppi numerosi. Il clinico deve essere creativo nel comprendere le specifiche paure di ogni singolo paziente e la loro origine. Evidenze empiriche che collegano lo sviluppo di ansia fattori biologici e genetici, meccanismi neurofisiologici possono produrre una forma adattiva di ansia segnale così come forme più patologiche di ansia asintomatica cronica. Disturbo di Panico (attacchi di panico): un attacco di panico corrisponde ad un periodo preciso durante il quale vi è l’insorgenza improvvisa di intensa apprensione, paura o terrore, spesso associati con una sensazione di catastrofe imminente. Durante questi attacchi sono presenti sintomi con dispnea, palpitazioni, dolore o fastidio al petto, sensazione di asfissia o soffocamento e paura di “impazzire” o di perdere il controllo. Il 40% della popolazione ha avuto un episodio di panico, ciò non vuol dire che questo sia evoluto in disturbo. Gli attacchi di panico durano generalmente alcuni minuti ma causano una considerevole angoscia. Oltre ad allarmismi fisiologici il soggetto sperimenta una sensazione di morte imminente. La maggior parte delle persone soffre anche di agorafobia, siccome gli attacchi di panico sono frequenti i soggetti sperimentano una forma secondaria di ansia anticipatoria preoccupandosi di quando e dove avverrà l’attacco successivo. L’agorafobia è l’evitamento di luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile allontanarsi in caso di attacco di panico, o in cui non si riceverebbe aiuto. L’agorafobico ha paura di uscire da casa, ha timore che l’attacco di 50 Psicosomatica È un campo della psicologia e della psicopatologia che si colloca a metà tra psicologia e medicina. Indaga la relazione tra mente e corpo e sul fatto che non può esistere un corpo senza una mente e viceversa. Nello specifico ha lo scopo di identificare, comprendere e trattare i processi psicologici disfunzionali da cui hanno esordio i sintomi fisici e le alterazioni della fisiologia corporea. È utile fare delle distinzioni, i disturbi psicosomatici non sono simulazioni di malattia, hanno una sintomatologia fisica priva di cause organiche dirette (dolore alla pancia a causa di un’infezione all’ intestino). Questi disturbi possono provocare danni a livello organico che sono causate o aggravate da fattori emozionali. I sintomi psicosomatici coinvolgono il sistema endocrino, nervoso centrale, nervoso autonomo e immunitario, sono risposte del nostro corpo a situazioni di stress o disagio psichico. I sintomi psicosomatici sono comuni nelle varie forme di depressione e in quasi tutti i disturbi d’ansia. Esistono disturbi psicosomatici in assenza di altri sintomi di natura psicologica, che rendono più difficile all’individuo imputare il malessere fisico. Le emozioni dolorose rendono il nostro SNA in uno stato di continua attivazione, come se fosse in emergenza continua, provocando danni agli organi più deboli. Se abbiamo uno stress non sopportabile viene manifestato tramite il corpo. I disturbi psicosomatici interessano varie aree: - Apparato gastrointestinale - Apparato cardiocircolatorio - Apparato respiratorio - Apparato urogenitale - Sistema cutaneo - Sistema muscolo scheletrico - Alimentazione e sonno Franz Alexander aveva identificato per la prima volta 7 malattie psicosomatiche: 1. Ulcera peptica (aggressività e rabbia nel momento in cui viene negato il sostegno) 2. Colite ulcerosa (timidezza e ritiro in conseguenza a un’offesa) 3. Neurodermite (problemi nel rapporto con la madre in particolare rifiuto o cura ossessiva) 4. Asma bronchiale (paura nei confronti della vita) 5. Ipertensione (blocco emotivo) 6. Ipertiroidismo 7. Artrite reumatoide È importante fare delle distinzioni utili a livello diagnostico: i disturbi da sintomi somatici, che riguardano la somatizzazione, devono essere distinti da disturbo d’ansia da malattia o ipocondria, e da disturbo di conversione. Questi disturbi hanno delle specifiche diverse: - Il disturbo da sintomi somatici riguarda tanti aspetti. I sintomi sono soggettivi e spesso non verificabili all’esame clinico oggettivo. I sintomi possono essere esagerati e vissuti in modo estremo. È presente dolore e la descrizione dei sintomi è vaga e ricca di dettagli insignificanti. - Il disturbo di conversione descrive quelle condizioni sintomatologiche che non hanno base neurologica La diagnosi di isteria ad oggi è stata trasformata. Ha almeno tre collocazioni: 1. Disturbi da sintomi somatici e correlati 2. Disturbo di personalità istrionico 51 3. Disturbi dissociativi L’isteria di Freud viene inserita in questi tre punti. 1 Conversione vs 2 Disturbo da sintomi somatici - Nella conversione l'affetto intenso ma inammissibile alla coscienza ((es: desideri sessuali inaccettabili) viene rimosso e relegato nell'inconscio, non scaricato sul piano della soddisfazione libidica, con deflusso nell'innervazione somatica (conversione) - Nel disturbo da sintomi somatici l'affetto intenso viene scaricato attraverso l'innervazione viscerale (somatizzazione) Non vi è quindi elaborazione intrapsichica né simbolizzazione. L'affetto è desimbolizzato e risomatizzato Disturbo d’ansia da malattia (ipocondria): Sono presenti sintomi quotidiani sui quali ci si concentra eccessivamente: o Forti preoccupazioni incentrate sulle malattie (a volte una specifica malattia o uno specifico organo), sul senso di vulnerabilità del proprio corpo, sulla disabilità e sulla morte o Continua attenzione alle funzioni fisiologiche (battito cardiaco), su sintomi aspecifici (tosse) oppure su sensazioni vaghe (formicolii) o diffuse (stanchezza) o Sintomatologia ansiosa rilevante o Esami diagnostici negativi e il giudizio clinico da parte del medico non modificano le convinzioni dei pazienti che finiscono per deteriorare le loro relazioni con i curanti e a cercare altri medici o Molti cercano informazioni leggendo libri medici o navigando su internet (cybercondria) La cybercondria, indica la ricerca spasmodica su internet di sintomi riportati quotidianamente; questo porta a fidarsi di più delle ricerche su internet operando un'autodiagnosi piuttosto che dei medici. Il disturbo d’ansia da malattia è difficilmente curabile in quanto vi è la paura del corpo, è presente una forte componente ossessivo compulsiva. Alcune spiegazioni, per questo disturbo, sono collegate ad alterazioni primarie dello sviluppo del SNC (gli stimoli periodici non vengono filtrati e l’attenzione viene immediatamente chiama sul sintomo oppure una ridotta capacità di differenziare le emozioni). Altre spiegazioni sono secondarie (interpretazione erronea della sensazione che si attiva a seguito di sintomi ansiosi; il dolore che proviamo che non è stato elaborato va ad alterare le sinapsi che vengono iper-attivati e che trasferiscono ai circuiti della memoria e dell’attivazione della risposta di preoccupazione es: sentiamo una fitta nello stormo che va ad attivare il circuito diretto della paura che è un circuito senza fine). Qui non vi è una rappresentazione del dolore, c’è dolore. Per questo siamo in uno stato subsimbolico e simbolico non verbale. Teoria psicodinamica: la madre non riconosce il dolore mentale ma solo quello fisico del bambino, il quale continua a utilizzare la componente somatica e non psicologica. La psicologia del Sé suggerisce che il senso di vuoto interiore spingono l’individuo verso uno stimolo che riguarda il corpo. MODELLI TRASVERSALI: ci dicono che c’è una problematica che riguarda la regolazione emotiva per cui vi è un'accentuazione dell’aspetto fisiologico dell’emozione, non è chiara l’emozione che si vive e si va a cercare la sensazione che dia conferma a quello che l’individuo sta provando. Problematiche anche nell’interocezione. Lez 8 07/03/2024 52 ROMOLO ROSSI: IL CASO CLINICO DI DONATO BILANCIA ESAME PSICHICO Romolo Rossi è uno psichiatra incaricato a valutare il funzionamento di personalità di un noto serial killer che ha commesso più crimini con diverse forme: DONATO BILANCIA. Ad un certo punto, nell’ambito del gioco d’azzardo, viene a conoscenza del fatto che è stato incastrato da due compagni di gioco. In lui vengono riattivate memorie infantili di umiliazione; nella storia d’infanzia vi è una fortissima umiliazione da parte del padre (gli abbassava le mutande di fronte alle cugine più grandi per far vedere quanto fosse piccolo il suo pene). Il suo vero nome è Donato ma si fa chiamare Walter, come se avesse un’altra identità. Inizia uccidendo quelle persone del gioco d’azzardo perché si è sentito umiliato. Inizia ad uccidere delle donne nei treni assumendo il soprannome “il killer dei treni”; questa dinamica colpisce in quanto prima non faceva gesti violenti ma diventa violento spostandosi dall’essere un omicida reattivo (uccide per vendicarsi dell’umiliazione subita) a un'aggressività predatoria (vai a caccia di qualcuno per aggredirlo). Romolo Rossi compiendo la valutazione nota come vi siano dei tratti narcisistici, in primis la manipolazione e un modo accattivante di condurre il discorso. Parte dal modo di presentarsi della persona iniziando un ESAME PSICHICO, in cui sono messe in luce le caratteristiche della persona con la quale sta interagendo. Nell’esame psichico vi è un quadro generale che permette di visualizzare chi è la persona che abbiamo di fronte. Bilancia presenta un eloquio organizzato, vivace ma che presenta aspetti impulsivi. Un soggetto con un senso grandioso di sé. Capace di intendere e di volere. È presente un’aggressività strutturata e repressa e un basso livello di tolleranza alla frustrazione presentando un vissuto di sofferenza legata al senso di umiliazione, di ferita narcisistica profonda. Vi è una scissione nella visione di sé stesso: si vede come una persona grandiosa, gli altri però lo danneggiano. Ha capacità di ricordare ciò che ha fatto con una grande capacità di rievocazione, ha un corredo mnestico (ricorda le azioni che ha fatto e come le ha fatte), l’esame di realtà è intatto, non nega di aver compiuto gli omicidi. Pur raccontando che vi sia la presenza di un sé che osserva l’altro sé, vi è assenza della scissione nella coscienza. Si sente scisso possibilmente per distanziarci da ciò che ha compiuto perché l’io nelle 4 sue componenti fondamentali risultano integre (unità temporale…). Nel suo discorso la memoria è perfettamente in ordine ed ha la capacità di isolare ciò che non vuole raccontare, non vi sono deficit della memoria né diffusi né lacunari. Vi sono episodi in cui risalta il tradimento, la frustrazione, la caduta di fiducia, la ferita e il trattamento ingiusto. Ecco come emergono i tratti borderline. Il borderline tende ad avere un iporegolazione emotiva, scarsa regolazione. Nel pensiero vi è una coazione a ripetere, una certa ossessività su alcuni contenuti che non sono deliranti, però alcune sono idee prevalenti: l’idea di essere stato sempre maltrattato e ferito sin dall’infanzia, da coloro a cui teneva (trasforma la sconfitta di essere lasciato in un trionfo potente: questo è molto spesso alla base dei delitti nei confronti delle donne. Il vissuto di impotenza risulta essere la chiave per comportamenti maltrattanti in quanto vi è un bisogno di potere. Per non sentire il dolore trasformano la sconfitta impotente nel trionfo potente.). L’affettività (ansia) è espressa come esperienza di inquietudine, di instabilità, di non completezza, irritazione e risentimento diffuso. L’ansia nel borderline è espressa attraverso l’irrequietudine. Quando si parla della perdita del nipote e del suicidio/omicidio del fratello emerge un filo di depressione. Egli ha sempre vissuto il padre come fuori luogo, egocentrico e disinteressato, la madre come dipendente e sottomessa allo stesso. Il rapporto con il padre è caratterizzato da odio. Siamo anche di fronte alla totale assenza attuale, e con tutta verosimiglianze, anamnestica, di un quadro psicotico: mancano le turbe associative del linguaggio e del pensiero, non vè segno di turbe deliranti o di disturbi della coscienza di realtà in senso formale e di coscienza dell'io, non esistono né sono mai esistite turbe psicopercettive, in senso allucinatorio, non vè autismo in senso stretto, (l'isolamento è in realtà un sofferto senso nevrotico di esclusione, e non certo autistico, dato che questo tipo di funzionamento mentale comporta lo scarso riconoscimento e le scarse possibilità di utilizzare le componenti del mondo esterno, neppure in senso 55 Parafilie e disfunzioni sessuali Pochi disturbi psichiatrici sono accompagnati da considerazioni moralistiche come lo sono le parafilie. Nel contesto di una cultura che considerava la normalità sessuale in termini relativamente ristretti, Freud ha definito l’attività sessuale come perversa secondo tre criteri: 1. È focalizzata su zone del corpo non genitali; 2. Invece di coesistere con l’abituale pratica di rapporti genitali con un partner dell’altro sesso, sostituisce tale pratica; 3. Tende and essere la pratica sessuale esclusiva dell’individuo. Dal primo scritto di Freud, la sessualità è diventata un’area di legittima indagine scientifica mettendo in luce come le coppie hanno una varietà di comportamenti sessuali. Gli autori psicanalisti hanno ripetutamente confermato l’osservazione di Freud secondo cui in ognuno di noi vi è un nucleo perverso. McDougall ha messo in evidenza che fantasie perverse si riscontrano regolarmente in tutto il comportamento sessuale adulto, ma tendono a causare pochi problemi in quanto non vengono esperite come compulsive. Il termine perversione dovrebbe essere riservato ai casi in cui un individuo impone desideri personali a un partner che si mostra riluttante o che non sia responsabile (bambino o adulti incapaci di intendere e volere). Le perversioni possono essere considerate varianti dell’odio. La definizione di Parafilie nel DSM-5 opera una netta distinzione, per evitare un atteggiamento giudicante, tra disturbi Parafilici e parafilia. Tale distinzione permette di riconoscere che forme di comportamento sessuale insolite non devono essere necessariamente oggetto di attenzione clinica: una diagnosi di disturbo parafilico andrebbe posta solamente nel momento in cui una parafilia diventa causa di disagio significativo o arreca danno a se stessi o agli altri. Lo psicologo deve imparare a guardare questi temi mantenendo un assetto etico, ma imparando a guardare con occhi che non sono i propri. Lo psicologico deve conmprendere perché il paziente prova piacere in quel modo e se quel modo è patologico per lui. Molto spesso l’omosessualità è bloccata da una paura di dire a sé stessi le loro preferenze, in quanto vi è una paura di ciò che i loro cari possano pensare. Non dobbiamo dare un giudizio sulla sessualità, dobbiamo solo comprendere come la persona sta bene con sé stessa, senza fare danni agli altri. Come clinici non dobbiamo entrare all’interno delle preferenze sessuali del paziente, delle scelte personali… questo non è un fatto sociale o deontologico, è un fatto di cura. Non si curano le persone trasformandole in ciò che per me è giusto, curiamo le persone affinché stiano bene con loro stesse e con il mondo. Comprensione psicodinamica: L’eziologia della parafilia rimane ancora oggi un campo poco esplorato, è certa l’influenza di fattori psicologici. I modelli psicodinamici possono, tuttavia, chiarire il significato di una parafilia senza necessariamente stabilirne un’eziologia definitiva. La visione classica delle perversioni è profondamente legata alla teoria pulsionale. Freud riteneva che questi disturbi illustrassero come l’istinto e l’oggetto siano separati l’uno dall’altro, inoltre egli ha definito la perversione contrapponendola alla nevrosi. Nella nevrosi, i sintomi nevrotici rappresentano una trasformazione di fantasie perverse rimosse. Nelle perversioni, le fantasie diventano coscienti e vengono espresse direttamente come piacevoli attività egosintoniche. Ricercatori psicoanalisti classici hanno ritenuto che la teoria pulsionale sia insufficiente a spiegare molte delle fantasie e dei comportamenti che si osservano nella pratica clinica. 56 Kohut ha fornito una prospettiva basata sulla psicologia del Sé del funzionamento delle parafilie. Nella sua visione l’attività parafilica coinvolge un tentativo di ristabilire l’integrità e la coesione de Sé in assenza di risposte e pratiche da oggetto-Sé da parte degli altri. L’attività o fantasia sessuale può aiutare il paziente a sentirsi vivo o integro quando è minacciato dall’abbandono o dalla separazione. Sebbene non sia una psicologa del Sé anche la McDougall ha identificato quale nucleo centrale di molta dell’attività parafilica una profonda paura di perdita dell’identità o senso di sé. Esibizionismo e voyeurismo: Esponendo pubblicamente i loro genitali a donne o bambini sconosciuti, l’esibizionista si rassicura di non essere castrato. La reazione di shock che queste azioni provocano lo aiutano a fronteggiare l’angoscia di castrazione e gli dà un senso di potere sul sesso opposto. Stoller ha messo in evidenza che le azioni esibizionistiche tipicamente fanno seguito a una situazione nella quale il responsabile si è sentito umiliato, spesso da parte di una donna. L’esibizionista, si vendica, scioccando delle sconosciute. Inoltre, inoltre l’atto di dimostrare i genitali permette all’uomo di riguadagnare un qualche senso di valore di identità maschile positiva. L’angoscia di castrazione non coglie completamente la motivazione dell’atto esibizionistico. Esibizionisti spesso sentono di non aver avuto alcun impatto su nessuna persona della loro famiglia, e hanno pertanto dovuto ricorrere a misure straordinarie per essere notati. Ciascun atto esibizionistico può rappresentare un tentativo di rovesciare una situazione infantile traumatica. Anche l’altra faccia dell’esibizionismo, il voyeurismo, comporta la violazione del privato di una donna sconosciuta, un trionfo ma segreto sul sesso femminile. Fenichel ha associato le tendenze voyeuristiche a una fissazione della scena primaria, nella quale il bambino vede il rapporto sessuale tra i genitori. Questa precoce esperienza traumatica potrebbe stimolare l’angoscia di castrazione del bambino e portarlo, una volta adulto, rimettere in atto la scena più e più volte nel tentativo di padroneggiare attivamente un trauma vissuto passivamente. Sadismo e masochismo Le persone che hanno bisogno di fantasia o azione sadiche per raggiungere una gratificazione sessuale stanno spesso inconsciamente cercando di capovolgere scenari familiari in cui sono state vittime di abusi fisici sessuali. Infliggendo ad altri quello che è successo a loro quando erano bambini, questi individui ottengono al medesimo tempo una vendetta a un senso di padronanza sull’esperienze infantili di abuso. Stoller rilevato che tra i membri di club sadomasochistiche praticavano il piercing quelli che da bambini erano stati ripetutamente ospedalizzati e sottoposti a iniezioni a causa di una malattia pediatrica costituivano la percentuale piuttosto alta. Anche i pazienti masochisti che hanno bisogno di umiliazioni o addirittura di dolore per raggiungere il piacere sessuale possono stare ripetendo dell’esperienze infantili di abuso. Sebbene il masochismo sia stato associato alle donne, forme minori di fantasie sadiche e masochistiche possono essere osservate in quasi in tutti gli individui. In termini relazionali, il sadismo spesso si sviluppa da una particolare relazione oggettuale interna nella quale l’oggetto rifiutante e distante necessita di uno sforzo energico per superare la propria resistenza rispetto alla corrispondente rappresentazione del Sé. Secondo la prospettiva della psicologia del Sé, il comportamento masochistico è un tentativo di ristabilire un senso di vitalità o di coesione del sé. Sebbene apparentemente autodistruttivo il masochismo può essere esperito dal paziente come capace di ristrutturare il sé. 57 Feticismo Per raggiungere l’eccitamento sessuale, i feticisti hanno bisogno di usare un oggetto inanimato, una scarpa, un articolo di biancheria intima femminile o una parte non genitale del corpo. Freud ha originariamente spiegato il feticismo come un fenomeno generato dall’angoscia di castrazione. L’oggetto scelto come feticcio rappresenta simbolicamente il pene femminile, uno spostamento che aiuta il feticista a superare l’angoscia di castrazione. Freud riteneva che la consapevolezza maschile dei genitali femminili accrescesse la paura dell’uomo di perdere i suoi stessi genitali e diventare una donna, ed è proprio questa simbolizzazione inconscia a spiegare la presenza relativamente comune del feticismo. La Greenacre osservò che il feticismo ha origine in disturbi pre genitali più precoci; interazioni traumatiche croniche nei primi mesi di vita possono risultare determinanti nello sviluppo di feticismo. A causa di gravi problemi nella relazione madre-bambino, il figlio non può essere consolato dalla madre o da oggetti transazionali. Per provare un senso di integrità corporea, il bambino ha quindi bisogno di un feticcio, di qualcosa che sia rassicurante in quanto solido, immutabile, duraturo. Kohut ha sostenuto una visione abbastanza simile del feticismo, sebbene espressa nei termini di psicologia del Sé, descrivendo un paziente la cui infanzia era stata caratterizzata da una traumatica non disponibilità della madre. Il paziente aveva fatto della biancheria intima della madre un feticcio, questo serviva come sostituto dell’oggetto Sé non disponibile. In contrasto con i sentimenti di impotenza nei confronti della madre, egli poteva avere un controllo completo sulla versione non umana di un oggetto Sé. Scritti più recenti hanno ampliato la visione del feticismo fino ad includerlo all’interno di uno spettro di fenomeni che controllano l’ansia attraverso l’assegnazione di aspetti magici e illusionali a un oggetto esterno. Il feticismo è anche stato esteso a comprendere non solo oggetti inanimati, e si pensa che esiste sia nelle femmine che nei maschi. Piuttosto che cercare di associare il feticismo all’ansia correlata a uno specifico momento evolutivo, le prospettive moderne si focalizzano sul bisogno dell’Io di un oggetto esterno per controllare l’ansia. La sessualità ha degli aspetti strutturali e gestaltisti, i dettagli e la complessità. Quando si ha una fissazione su una parte di una persona, generalmente iella parte rappresenta il tutto. Sono fissazioni che rappresentano qualcosa di simbolico… la capacità di simboiuzzazione, freudianamente, permette di superare il complesso edipico e strutturare un pensiero “come se…”. L’edipo si risolve perché il bambino rinuncia a possedere la madre per avere una donna simile alla madre. Pedofilia Di tutti i disturbi parafilici, la pedofilia è quella che più facilmente può creare nei terapeuti sentimenti di disgusto e disprezzo. Per gratificare i suoi desideri sessuali il pedofilo può produrre danni irrimediabili in bambini innocenti. In base ai criteri del DSM-5 la diagnosi di disturbo pedofilico prevede la presenza persistente di fantasie o desideri che comportino attività sessuali con bambini in età prepuberale (-13 anni); la diagnosi richiede un’età minima di 16 anni e di almeno cinque anni maggiore rispetto a quella della vittima. Secondo la visione classica la pedofilia rappresenta una scelta oggettuale narcisistica; ciò significa che il pedofilo vede il bambino come un’immagine che rispecchia sé stesso bambino. I pedofili venivano considerati come individui impotenti e deboli che cercavano i bambini come oggetti sessuali in quanto questi ponevano minori resistenze o creavano minore ansia dei partner adulti, permettendo così ai pedofili di evitare l’angoscia di castrazione. Nella pratica clinica, in molti pedofili riscontrano gravi disturbi di personalità; disturbo narcisistico di personalità, disturbo antisociale… l’attività sessuale con bambini prepuberi può puntellare la fragile stima di sé del pedofilo. Il pedofilo spesso idealizza questi bambini, l’attività sessuale comporta quindi la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di ristrutturazione di un Sé giovane e idealizzato. L’ansia riguardo la morte o l’invecchiamento può essere tenuta lontana attraverso l’attività sessuale con i bambini. 60 Disturbi correlati a sostanze e disturbi dell’alimentazione Disturbi correlati a sostanze Nel DSM-5 tutti i tipi di abusi e dipendenza vengono etichettate sotto la definizione di disturbo da uso di sostanze. Tale scelta deriva dal fatto che certi assunti sulle relazioni tra abuso e dipendenza non fossero in realtà corretti. Nel DSM-5 inoltre, è stato inserito il craving ed eliminato il criterio relativo ai problemi legali ricorrenti. Approcci psicodinamici all’alcolismo L’approccio degli alcolisti anonimi (AA), con i suoi metodi rivolti a bisogni psicologici, è utile per facilitare un duraturo cambiamento di struttura personalità. L’astinenza viene raggiunta in un contesto interpersonale nel quale gli alcolisti possono esperire un senso di comunità che si prende cura di loro. Queste figure, che si prendono cura di loro, possono essere interiorizzate allo stesso modo di come viene interiorizzato il terapeuta. Per molti alcolisti i cambiamenti psicologici, l’astinenza associata all’impegno verso gli ideali proposti e il fatto di frequentare le riunioni sono un trattamento efficace. La maggior parte degli esperti sarebbe d’accordo nel ritenere l’alcolismo un disturbo eterogeneo con un’eziologia multifattoriale. Quello che funziona per un paziente può non funzionare per un altro. Anche se nessun specifico tratto di personalità è predittivo dell’alcolismo, diversi autori psicoanalitici hanno suggerito difetti strutturali, come debolezza dell’io e difficoltà a mantenere l’autostima. Sia Kohut che Balint hanno osservato che l’alcool adempie a sostituire strutture psicologiche assenti e restaurare un qualche senso di sé e di armonia interna. Anche Khantzian ha sottolineato che i pazienti alcolisti hanno problemi relativi all’autostima, alla modulazione dell’affetto e alla capacità di prendersi cura di sé stessi. In un individuo lo sviluppo di alcolismo può rappresentare il risultato finale di una complessa interazione tra carenze strutturali, predisposizione genetica, influenza familiare, contributi culturali e altre diverse variabili ambientali. Una valutazione psicodinamica del paziente considera l’alcolismo e tutti i fattori che ne contribuiscono nel contesto dell’intera persona. Quando gli alcolisti smettono di bere non è raro che affrontano un considerevole grado di depressione, legato al concetto di lutto e perdita. Devono elaborare il lutto per la perdita di ciò che hanno perso o distrutto a causa della loro dipendenza. Sebbene farmaci antidepressivi possano alleviare tale depressione, la psicoterapia può fornire un aiuto sostanziale nell’elaborazione di questi processi. Quando depressione e alcolismo coesistono vi sono rischi elevatissimi di suicidio. È stato visto come ogni persona accetta trattamenti diversi tra loro, alcuni possono accettare solo la psicoterapia, altri possono trarre un maggiore beneficio da un approccio simile a quello degli AA, in altri sarà più efficace la combinazione dei due. Uno stereotipo negativo della psicoterapia psicodinamica nel trattamento dell’alcolismo è che il terapeuta scopre le motivazioni inconsce dell’individuo trascurando il fatto che nel frattempo il paziente continua a bere. Approcci psicodinamici all’uso di stupefacenti Gli approcci psicodinamici negli stupefacenti sono più accettati di quanto non lo siano nell’alcolismo. Villaint ha notato come nei tossicodipendenti vi è un maggiore presenza di un’infanzia instabile alle spalle, le sostanze vengono assunte come automedicazione. In confronto agli alcolisti, i tossicodipendenti presentano un numero maggiore di disturbi psichiatrici, la frequenza di comorbilità è molto elevata in chi fa uso di cocaina; disturbi d’ansia, disturbo antisociale di personalità, disturbo da deficit di attenzione di solito precedono l’inizio dell’abuso di cocaina. Questi alti livelli di comorbilità creano una serie di problemi in tutte le forme di trattamento per persone dipendenti da sostanze. 61 L’originaria interpretazione psicoanalitica dell’abuso prevedeva una regressione allo stadio della fase orale dello sviluppo psicosessuale ed è stata sostituita da una comprensione della maggior parte degli abusi di sostanze stupefacenti come difensivi e adattivi piuttosto che regressivi. L’uso di droghe può portare a un miglioramento di stati regressivi, rinforzando difese dell’Io contro affetti potenti come rabbia e vergogna o depressione. I ricercatori psicoanalitici contemporanei vedono il comportamento tossicomane come un riflesso della carenza della capacità di prendersi cura di sé piuttosto che come un impulso autodistruttivo. Questa ridotta capacità di prendersi cura di sé è il risultato di precoci sviluppi nello sviluppo che portano a un’inadeguata interiorizzazione delle figure genitoriali, rendendo il tossicodipendente incapace di proteggere sé stesso. Importante nella patogenesi della tossicodipendenza è l’insufficienza delle funzioni deputate alla regolazione degli affetti, al controllo degli impulsi e al mantenimento dell’autostima. Questi deficit creano problemi nelle relazioni d’oggetto. L’uso di molteplici droghe pesanti è stato messo in rapporto diretto con l’incapacità di regolare e tollerare l’intimità interpersonale. A questi problemi relazionali contribuiscono una vulnerabilità narcisistica inerenti a rischi interpersonali e l’incapacità di modulare gli affetti associati all’intimità. Molti tossicodipendenti perpetuano il loro dolore e la loro sofferenza continuando a fare uso di droghe. Questo aspetto di perpetuazione del loro dolore, presente nell’abuso di sostanze, può essere considerato come la manifestazione di una compulsione a ripetere un trauma precoce. In alcuni casi l’infliggere ripetutamente dolore a sé stessi rappresenta un tentativo di risolvere stati traumatici che non possono essere ricordati e che esistono come configurazioni pre simboliche e inconsce. La nozione secondo cui i tossicodipendenti stanno curando loro stessi porta ad un’altra osservazione dei ricercatori psicoanalisti contemporanei, ovvero che, specifiche sostanze vengono scelte per specifici effetti psicologici e farmacologici, in funzione dei bisogni di ciascun tossicodipendente. Khantzian ha notato che la cocaina sembra attenuare l’affetto più doloroso sia quello che determina la scelta della droga. Uno studio approfondito condotto da Blatt e collaboratori ha messo in luce che la dipendenza da eroina è determinata da tre fattori diversi: 1) Bisogno di contenere l’aggressività 2) Una brama della gratificazione di una relazione simbiotica con una figura materna 3) Un desiderio di alleviare affetti depressivi. Sebbene la ricerca metta in luce un soltanto piccolo sottogruppo, alcuni dipendenti da sostanze soffrono anche di disturbo antisociale di personalità, Blatt e collaboratori hanno identificato un più ampio gruppo di dipendenti da oppiacei gravemente nevrotici, che possono costituire la maggioranza. Il riscontro da parte di Blatt e collaboratori di un’alta correlazione fra tratti di personalità dominati dal SuperIo, autocritica, personalità incline alla depressione e dipendenza da oppiacei ha ricevuto supporto da Wurmser, che ha sostenuto che i tossicodipendenti trattabili con terapia psicoanalitica non hanno Super-Io sottosviluppati, come i tossicodipendenti antisociali, ma piuttosto una coscienza eccessivamente dura. Altri studi hanno cercato di collegare una comprensione psicoanalitica della dipendenza da sostanze con i dati della ricerca neuro scientifica dimostrando che tre forze possono contribuire allo sviluppo di tendenze alla dipendenza: 1. Difficoltà a tollerare gli affetti 2. Problemi di costanza d’oggetto, che portano l’individuo a vedere la sostanza come un sostituto di un oggetto interno fonte di conforto 3. Fenomeni di craving biologicamente determinati che derivano da cambiamenti nei pattern di funzionamento cerebrale. Secondo Johnson la via tegmentale ventrale è particolarmente importante per la comprensione di tali fenomeni, perché è la via pulsionale che negli animali e negli uomini media la ricerca di cibo, acqua e sesso. 62 Si è dimostrato come il counseling e la psicoterapia fossero utili per pazienti con quadri sintomatologici meno gravi, mentre con pazienti di media entità gli esiti erano favorevoli con trattamenti che prevedevano entrambe le modalità. Questo tipo di approccio integrato presenta notevoli vantaggi anche in termini di rapporto costo-efficacia. La terapia di gruppo è meno utile della terapia individuale nel contesto di un programma globale. Disturbi dell’alimentazione I disturbi dell’alimentazione sembrano essere condizionati dalla nostra epoca, soprattutto tramite i media che bombardano gli utenti di donne perfette che hanno tutto. I pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione sono in genere donne di etnia bianca, con un buon livello di istruzione, di ceto medio o alto. Il DSM-5 ha suddiviso i disturbi in anoressia, bulimia e binge-eating che prevede abbuffate una volta a settimana con un senso di colpa e perdita di controllo, associasti a un disagio clinicamente significativo. Presentano alterazioni nei pattern di comportamenti connessi all’alimentazione. L’obesità non è una categoria diagnostica ma una condizione medica, questo è stato spiegato dal fatto che non vi è un’associazione tra la condizione di obesità e sindromi psicologiche o comportamentali. Anche durante l’infanzia sono presenti disturbi alimentari, quello più famoso è il fallimento dell’allattamento, la Pica (mangia cose non commestibili e non indica il classico comportamento di esplorazione) ed il disturbo di Ruminazione (rigurgito del cibo volontario). IDC05 è uno strumento diagnostico per segnalare i disturbi dell’infanzia, indica il fallimento di uno scambio comunicativo con la madre. In un articolo sono stati presi in considerazione i neuroni specchio che si attivano e simulano quello che l’altro fa come azione, cosa succede? Il problema non è nei loro genitori ma nella loro insula, trovano quell’area meno attiva e un po' più piccola, questa è carica di neuroni mirror. In un bambino alimentato dalla madre che non trasmette il senso di sicurezza, la madre impreca contro il partner mentre allatta… si trasmette a livello implicito, nella relazione con l’alimentazione, una trascuratezza emotiva in cui non si fa attenzione all’esigenza del bambino. La madre è concentrata sul suo problema. Nel bambino si attivano scissioni primitive tra mente e corpo e il cibo diventa tossico. Il bambino cresce in un ambiente in cui ciò che lo nutre è anche ciò che lo distrugge, di fatti il bisogno emotivo è trascurato, o addirittura danneggiato (il bisogno fisico è soddisfatto). Le memorie non sono consolidate, non vi è una memoria semantica, il bambino non lo ricorda; tuttavia, la memoria corporea sì, la memoria somatica. Non ha il codice simbolico per rappresentare quella realtà sottoforma di traccia mnestica narrabile e recuperabile (ricordo diretto). Il rifiuto che permane a livello corporeo nel bambino, porta ad una diminuzione dell’’autostima, il bambino sente di non essere degno di essere amato e che non lo sarà mai. Questo oltre che sull’’autostima incide sul senso di agency, che viene recuperato o tramite il versante narcisistico (merito di essere amato) o depressivi. Il corpo è uno degli aspetti più importanti nel lavoro clinico, il vissuto interno al nostro corpo è importante in quanto rimane il livello inconscio. Anoressia nervosa (AN) Ciò che caratterizza l’anoressica nervosa contrariamente a ciò che si pensa, non è la perdita di appetito, ma una ricerca fanatica della magrezza correlata a un’opprimente paura di ingrassare (a cui si risponde con il digiuno). Spesso per porre la diagnosi viene considerata una perdita del peso corporeo al disotto dell’85% del valore minimo normale per età e altezza. Nel complesso hanno una mortalità elevata; tassi molto alti si riscontrano soprattutto per l’anoressica nervosa. Il trattamento deve essere pianificato e somministrato con grande attenzione per garantire la sopravvivenza del paziente. Nello specifico è importante un trattamento precoce in quanto durante l’adolescenza il trattamento può essere più efficace. Non vi è assenza di fame, l’anoressica si rifiuta di mangiare perché ha paura di ingrassare. È un problema che riguarda prevalentemente le donne, ma non solo. È associata ad amenorrea in età post-puberale (prima era un criterio diagnostico (DSMIV-TR), adesso non più in quanto si considera anche la popolazione maschile). 65 eliminazione non sono solitamente problemi di gestione degli impulsi isolati; generalmente coesistono con relazioni sessuali impulsive e autodistruttive e con l’abuso di molteplici sostanze. Gli autori che hanno studiato le origini della bulimia hanno rilevato notevoli difficoltà rispetto alla separazione sia nelle pazienti che nei loro genitori. Le osservazioni psicodinamiche su problemi inerenti alla separazione sono state confermate da uno studio che ha esaminato le risposte a stimoli di abbandono o di controllo sia subliminali che sovraminali. Il trauma è di tipo by commition, alte percentuali di abuso sessuale e psicologico. C’è un’introiezione della madre tramite il cibo, tuttavia questa è troppo invadente e devono espellerla. Vi è l’elemento emotivo della protesta rabbiosa in cui si configura un modo in cui si rigetta ciò che ci nutre. Il problema della bulimica è il riavvicinamento all’oggetto d’amore perché pur volendogli stare vicino è troppo pressante e distruttivo. Qui entra il tema della dissociazione; nei soggetti con bulimia è solitamente presente una storia traumatica e una condizione in cui le esperienze di sé stessi e degli altri stanno in una nebbia dissociativa. Spesso nella bulimia troviamo molti aspetti delle dimensioni borderline perché c’è una disregolazione emotiva. In molti casi le pazienti bulimiche concretizzano i meccanismi di introiezione e proiezione delle relazioni oggettuali. L’ ingestione e l’espulsione di cibo possono riflettere direttamente l’introduzione e la proiezione di introietti aggressivi o cattivi. Questa scissione può essere vista nella suddivisione di proteine considerate buone, che vengono trattenute, e i carboidrati considerati cattivi che vengono espulsi. Considerazioni terapeutiche Nella bulimia in particolare è fondamentale personalizzare il piano terapeutico. Un approccio psicodinamico alla bulimia nervosa è indicato nei casi di mancata risposta ai trattamenti a breve termine che prevedono interventi psicoeducazionali o cognitivo comportamentali. Sono in genere necessari interventi sulla famiglia sotto forma di supporto, educazione, ed eventualmente terapia della famiglia. Possono essere utili brevi ricoveri ospedalieri, gruppi di sostegno o psicoterapia di gruppo per il controllo dei sintomi. Un sottogruppo di pazienti con tendenze suicide o propensione a gravi alterazioni dell’equilibrio elettrolitico richiederà una psicoterapia in un contesto di prolungato ricovero ospedaliero. Dobbiamo rompere la visione del cibo come regolazione degli stati emotivi. I successi terapeutici sono mediamente maggiori nella bulimia, in quanto nell’anoressica vi è un’estrema rigidità. Disturbo da binge-eating Gli studi su questo disturbo sono veramente pochi. Il terapeuta deve opporsi alle reazioni controtransferali come il disprezzo evocato da pazienti che manifestano autoindulgenza senza preoccuparsi delle conseguenze. La persona non è contenta del suo aspetto alimentare, vive questo con senso di colpa e disgusto, non si sente apposto con se stessa. Avere un corpo obeso tramite il binge-eating causa una riduzione dell’aspetto della sensualità e sessualità. Un’associazione con uno stile di attaccamento insicuro si è riscontrata con il binge-eating: l’insicurezza dell’attaccamento risulta correlata a un’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo. Sono risultati utili sia trattamenti di tipo psicodinamico interpersonali sia una terapia cognitivo comportamentale di gruppo. Similitudini tra AN e BN Il terrore di ingrassare, il desiderio di perdere peso e il livello di insoddisfazione per il proprio corpo sono per certi aspetti sovrapponibili tra BN e AN. Il corpo è l’oggetto su cui si focalizza l’esperienza mentale dell’individuo. Per l’anoressica il tema è la separazione dall’oggetto d’amore che non ci fa separare da lui. Per la bulimica il tema è quando ci dobbiamo individuare dall’oggetto d’amore ed essere noi stessi, questo è possibile se abbiamo una base sicura e quindi sappiamo che continueremo ad essere amate. Quando il cibo 66 rappresenta una relazione con un oggetto che ricorda che non siamo degni di amore e quindi lo espelliamo. Questo accade quando sentiamo di non essere amati. I disturbi da addiction I disturbi da addiction, nel DSM-5, comprendono i disturbi da uno di sostanze e il gioco d’azzardo patologico (gambling). Il gambling disorder è inoltre inserito nell’ICD-11, mentre è tra le condizioni che devono essere approfondite nel DSM-5. Il termine addiction deriva da “addictus” (schiavo), il che sta ad indicare il comportamento del soggetto. Le sostanze possono essere raggruppate in differenti classi, tra cui alcool, amfetamine o simpaticomimetici ad azione simile, caffeina, cannabis, allucinogeni, inalanti, nicotina, oppiacei, fenciclidina (PCP) o arilcicloexilaminici ad azione simile e sedativi, ipnotici o ansiolitici. Anche la dipendenza da farmaci è degna di notevole attenzione. Anche i cibi possono dare dipendenza, come il cioccolato o specifici cibi, anche se non vengono propriamente considerati tali. L’eccessivo consumo e fattori psicologici e psicosociali che evidenziano problemi nel funzionamento, nel controllo, nell’area dei processi cognitivi e nelle relazioni sono da considerarsi rilevanti. Non è solo un problema relativo alla quantità, ma anche rispetto alla qualità, qualità intesa come disagio e problematiche a livello sociale e psicologico. Nella dipendenza il problema non è solo legato alla quantità e all’abuso che si fa di un determinato comportamento, ma è legato alla qualità, alle problematiche conseguenti a questo consumo sproporzionato della sostanza/comportamento. L’aspetto importante da capire è che la questione legata all’uso di sostanze è una questione di merito, cioè, che cosa fanno le sostanze da un punto di vista biologico, ma anche come l’individuo si rapporta alle sostanze. La manifestazione essenziale del disturbo da uso di sostanze è un gruppo di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che indicano che il soggetto continua a far uso della sostanza nonostante la presenza di problemi significativi connessi all’utilizzo della sostanza. Nella dipendenza da sostanze si osserva una modalità di autosomministrazione ripetuta, che usualmente risulta in tolleranza, astinenza e comportamento compulsivo di assunzione della sostanza di abuso. Benché non sia specificamente elencato come voce di un criterio, il “craving” (la forte pulsione soggettiva ad assumere la sostanza) viene sperimentato dalla maggioranza dei soggetti con Dipendenza da sostanze. L’astinenza è una modificazione patologica del comportamento, con eventi fisiologici e cognitivi concomitanti, che si verifica quando le concentrazioni ematiche o tissutali di una sostanza declinano in un soggetto che ha fatto un uso prolungato della stessa. Dopo aver sviluppato spiacevoli sintomi di astinenza, la persona tende ad assumere la sostanza per attenuare o evitare quei sintomi, tipicamente facendo uso della sostanza durante tutto il giorno e iniziando presto dopo il risveglio. Il craving, definito come “fame irresistibile” o “desiderio incoercibile”, è un potente fattore motivazionale che spinge alla ricerca delle sostanze e delle situazioni ad essa associata. Il craving è stato recentemente concettualizzato come la condizione psicologiche alla base di tutte le dipendenze, non solo di quelle correlate a sostanze (ad es. internet, gioco d’azzardo patologico, shopping compulsivo, sex education etc.). Alla base della dipendenza: - Ipotesi della ricerca di stati alterati di coscienza; - Ipotesi della ricerca della ripetizione del piacere; - Ipotesi dell’automedicazione; - Ipotesi del condizionamento sociale. Dunque, fattori che incidono all’assunzione di sostanze sono disponibilità, amicizie, luoghi, mancanza di conoscenza sugli effetti della sostanza, presenza di altri disturbi. 67 - L’ipotesi dell’automedicazione ci dice che le persone utilizzano le sostanze per medicare delle ferite interne, e scelgono le sostanze sulla base degli effetti che loro stessi cercano per colmare degli stati dolorosi. Qualcosa che porti via il dolore che si avverte: lo stato di dolore provoca ansia, depressione… la sostanza ti allontana da quello stato mentale. Si utilizza qualcosa dall’esterno per guarire qualcosa all’interno: è un regolatore esterno delle emozioni e degli stati mentali. La guerra dell’oppio è una spiegazione del fatto che era la dipendenza a controllare tale sostanza. L’oppio veniva utilizzato come antidolorifico e dunque creava dipendenza, che ha portato alla guerra e un coinvolgimento politico importante, ancora tutt’oggi. Le persone usano la sostanza perché non trovano altro modo per guarire il loro stato interiore. Quando entri nel circuito della dipendenza, tuttavia, oltre alla vulnerabilità di base che spinge il soggetto a trovare un’anestesia dal dolore, sono seguite tolleranza, astinenza e craving che rendono le cose sempre più problematiche. Se hai la vita scandita dalla sostanza, la vita diventa così meno complessa, meno complessa da affrontare. Il lavoro complicato nel lavoro con le addiction è dare la possibilità di godere di altri aspetti della vita importanti. Alessitimia e anedonia sono infatti aspetti che contraddistinguono i soggetti con dipendenze. Nel tipo di lettura psicodinamica l’ipotesi maggiormente rilevante riguarda il pensare alla forma di cura che utilizzano per le loro emozioni. Non basta la psicoeducazione, il potere appetitivo è centomila volte più forte di quanto si possa pensare. - Ipotesi della ricerca di stati alterati della coscienza: La ricerca di stati alterati della coscienza è presente in diversi popoli. A questo proposito uno psicoanalista junghiano metteva in luce che l’abuso di sostanze in certe popolazioni ha a che vedere con rituali, iniziazioni. A differenza dell’utilizzo che si fa delle sostanze all’esterno da questi tipi di contesti, non c’è un legame con i culti o rituali nella cultura occidentale soprattutto; avviene in contesti non protetti. - Ipotesi della ricerca e della ripetizione del piacere: Ha a che vedere con un aspetto impulsivo che porta a comportamenti reteirati di ricerca di sostanze per provare piacere. La ricerca del piacere cade nell’ossessività e compulsività. L’ossessività si rifà a pensieri e immagini ricorsivi circa le esperienze di dipendenza. L’impulsività fa riferimento a irrequietezza e irritabilità, oltre che ansia e agitazione, quando non è possibile mettere in atto comportamenti di dipendenza. La compulsività fa riferimento a comportamenti di dipendenza che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto come conseguenza delle fantasie di dipendenza. Le addiction servono per rifugiarsi dalla mente, dalla mentalizzazione, dalla possibilità di elaborare gli stati mentali affettivi e dolorosi che hanno portato all’assunzione della sostanza per autocurarsi. Creano un luogo apparentemente sicuro all’interno del quale ritirarsi per evitare stati mentali dolorosi. Secondo Khantzian i comportamenti di addiction e le sostanze, servono come forma di autocura per condizioni di disintegrazione del sé, di malessere o disagio… Trauma e mentalizzazione Fonagy delle persone traumatizzate dice che sono svantaggiati perché i caregiver non rinforzano l’attaccamento, presentano un attaccamento insicuro, inoltre hanno un fallimento nella mentalizzazione (perché traumatizzati) che determina una mancanza di resilienza e un ipervigilanza verso gli altri, ma non comprensivi dei propri stessi stati (adattamento impari). 70 progressivo deterioramento e la morte incombente dei pazienti, e saranno travolti da un senso di inutilità e impotenza. Nelle prime fasi della demenza, come già detto precedentemente, i pazienti possono utilizzare il diniego per impedire che l’impatto della malattia entra pienamente nella consapevolezza cosciente. I clinici che hanno in cura questi pazienti devono rispettare il loro bisogno di negazione, ma devono anche aiutarli a tirare le fila con il lavoro e la famiglia prima che sia troppo tardi. Alcuni principi utili nella gestione psicodinamica della demenza sono: 1. Prestare attenzione ai problemi di autostima 2. Valutare meccanismi di difesa caratteristici e aiutare il paziente a usarlo in maniera costruttiva 3. Trovare modi per ovviare alle funzioni difettose dell’io e per ridurre l’impatto dei limiti cognitivi, come tenere calendari per i problemi di orientamento temporali, prendere appunti per i problemi di memoria… 4. Aiutare i familiari a sviluppare nuove modalità di relazione che possano sostenere l’autostima del paziente riducendo le interazioni negative. Alla fine il focus dell’intervento diventano i familiari, che lottano con sentimenti di rabbia, colpa, dolore ed esaurimento di fronte all’inesorabile declino del paziente. In effetti, secondo alcuni la terapia della famiglia e il trattamento psicodinamica è eccellente nella demenza di Alzheimer. I clinici possono aiutare i caregiver spiegando che cosa non devono fare. Per esempio, se un paziente con malattia di Alzheimer accusa la moglie di avergli rubato qualcosa che non riesce più a trovare, non serve dimostrargli che tali accuse sono infondate tuttavia, la moglie dovrebbe aiutare il paziente a cercare l’oggetto in questione. Se uno stimolo ambientale rende il paziente nervoso e irritabile l’unica cosa da fare è rimuovere quell’oggetto. I familiari dovrebbero inoltre fornire una routine strutturata e ribadita con costanza, anche se si tratta di compiti che spesso richiedono sforzi. L’ultimo compito, ovviamente, comporta l’accettazione della morte. I clinici che affrontano con queste famiglie simili situazioni troveranno spesso arduo il processo terapeutico, ma possono sentirsi fieri di aver avuto un impatto significativo sulla vita di tutte le persone coinvolte. Alla fine, quando consolano chi ha perso una persona cara, possono far presente che nella demenza di Alzheimer la tragedia non è la morte ma la malattia in sé. 71 I disturbi di personalità I disturbi di personalità hanno a che vedere con un’idea del funzionamento mentale in cui ci sono aree specifiche che delineano il modo in cui la persona affronta esperienze interne ed esterne. Kernberg, come sopra riportato, distingue tre organizzazioni di personalità presentate lungo un continuum. Il nevrotico è più vicino alla persnalità sana, il borderline oscilla tra un polo e l’altro, lo psicotico è al polo estremo. Come vediamo, il senso di identità, l’esame di realtà e le modalitaà difensive differiscono sulla ase dell’organizzazione di personalità. Al borderline e al nevrotico le difese vanno interpretate (al borderline quando non è reattivo). Allo psicotico, essendo fallimentare l’esame di realtà, non vanno interpretate; se illustriamo il senso di protezioni che ha nei confronti del mondo, lo confondiamo ancora di più. Questi aspetti sono centrali in quanto ci aiutano a comprendere e orientare il modo in cui ci poniamo con il paziente. L’integrazione dell’identità indica la coerenza interna del proprio sé nel tempo, la differenziazione tra le rappresentazioni del Sé e dell’oggetto, le qualità delle relazioni oggettuali. Le organizzazioni difensive sono i meccanismi di difesa usati dal paziente che possono essere maturi o primitivi sulla base dell’organizzazione di personalità. L’esame di realtà è la capacità di differenziare il Sé dal non-Sé, l’interno dall’esterno, valutare realisticamente affetti, comportamenti e pensieri. Kernberg ha individuato due criteri utili alla diagnosi strutturale: - Presenza di manifestazioni non specifiche di debolezza dell’io: tollerare angoscia, impulsi e utilizzare canali maturi di sublimazioni. - Livello di integrazione del Super-Io: il modo in cui l’individuo regola le sue condotte in relazione alle norme sociali, attribuzione morale che il soggetto applica ai suoi pensieri e comportamenti. 72 La diagnosi strutturale è utile per capire come orientarci nel lavoro clinico. CLUSTER A: paranoide, schizoide e schizotipico CLUSTER B:borderline, narcisistico, istrionico e antisociale CLUSTER C: ossessivo compulsivo, evitante, dipendente Lez 13 9/04/2024 Un aspetto importante della personalità, sia normale che patologica, è che si riflette anche nei nostri comportamenti. Si riflette nei pensieri, comportamenti, nei modi di stare con gli altri… Il problema del disturbo è che causa una compromissione funzionale, una compromissione al 360° nella vita del soggetto. È importante ricevere delle diagnosi perché permette di dare un senso al dolore che si sta vivendo. È importante distinguere cosa è patologico e cosa no (giocare 8 ore al giorno sembra un problema, ma se quello è il suo lavoro non è patologico…). Dobbiamo comprendere che patologico è ciò che crea una compromissione, noi dobbiamo diagnosticare tratti ed elementi che configurano un disturbo (il disturbo è dato dalla compromissione funzionale). Non dobbiamo attribuire una patologia sulla base delle nostre idee o sulla base di ciò che ci dicono gli altri (genitori, coniugi, parenti, amici…). Un alleanza terapeutica sincera si crea sulla base di tutto ciò; se io comprendo bene qual è il problema di un determinato paziente, che può essere molto più grande di ciò che è visibile, possiamo aiutarlo. 75 questo pensiero è solamente interno e non coincide con l’esterno). Difese-> proiezione e formazione reattiva, scissione. Approcci terapeutici A causa della loro sospettosità ta i pazienti paranoidi ottengono poco dalla psicoterapia di gruppo. La maggior parte degli sforzi terapeutici deve pertanto essere concentrata nel contesto di una terapia individuale. Questi pazienti spesso entrano in terapia sotto la spinta di pressione esterne e hanno grosse difficoltà a concedere la propria fiducia; alla luce di questi ostacoli il primo passo nella psicoterapia dovrebbe essere quello di costruire un’alleanza terapeutica. Tale processo è reso più difficile dalla tendenza dei pazienti paranoidi ad evocare negli altri risposte difensive, il terapeuta difatti non fa eccezione. L’identificazione proiettiva si presenta all’interno della seduta terapeuta in cui il paziente tratta il terapeuta come oggetto cattivo e persecutorio. il terapeuta si sente così costretto ad assumere un atteggiamento difensivo e finisce per dare un’interpretazione che tende ad di rimandare la proiezione del paziente. Il paziente risponde sentendosi attaccato, frainteso e ingannato. Per evitare questo circolo vizioso il terapeuta deve empatizzare con il bisogno del paziente di proiettare come metodo di sopravvivenza emozionale, ed essere disposto a servire da contenitore per sentimenti di odio, cattiveria, impotenza e disperazione. Se conoscono il ruolo che la scarsa stima di sé svolge nel generare il bisogno di vedere diletti negli altri, i terapeuti possono empatizzare con il punto di vista del paziente e accettarne apertamente i suggerimenti al fine di rendere il trattamento più produttivo. Un atteggiamento aperto e flessibile e di gran lunga la politica migliore con i pazienti paranoidi. Nel corso della psicoterapia, specialmente durante la fase iniziale di costruzione di un’alleanza terapeutica, il terapeuta deve evitare risposte difensive. Non dovrebbe mettere in discussione la ricostruzione degli eventi fornita dal paziente o la percezione che il paziente ha di lui, per quanto sia negativa. Dovrebbe semplicemente richiedere maggiori dettagli ed empatizzare con i sentimenti e le percezioni del paziente. In questo modo il terapeuta contiene la proiezione del paziente e cerca di saperne di più sulla sua origine, mostrandosi disposto a considerare la possibilità di avere indotto l’errore il paziente. Il terapeuta deve inoltre empatia lizzare con la tendenza del paziente a essere guardingo. Il fine ultimo del lavoro psicoterapeutico con i pazienti paranoidi è aiutarli a spostare le percezioni sull’origine dei loro problemi da una fonte esterna a una interna. Un secondo cambiamento strettamente correlato al primo consiste nella trasformazione della modalità di pensiero paranoide in una modalità depressiva, nella quale il paziente si permette di vivere sentimenti di vulnerabilità o debolezza. Non appena il paziente si mostra più aperto il terapeuta può incominciare ad aiutarlo a distinguere tra emozioni e realtà. Prevenzione della violenza I pazienti paranoidi costituiscono una particolare minaccia dal punto di vista della violenza. Per prevenire una crescita della aggressività, gli psichiatri dovrebbero tenere in mente alcuni principi di conduzione della terapia: 1. Fare fare tutto il possibile per aiutare il paziente a salvare la faccia 2. Evitare di accrescere ulteriormente la sospettosità 3. Aiutare il paziente a mantenere un senso di controllo 4. Incoraggiare sempre il paziente verbalizzare piuttosto che ad agire la rabbia violentemente 5. Lasciare sempre al paziente uno spazio fisico adeguato 6. Prestare attenzione attenzione al proprio contro transfer nel trattare con un paziente particolarmente violento. Disturbo schizoide e schizotipico di personalità Nel DSM-5 il cluster A include anche i disturbi di personalità schizoide e schizotipico. Sebbene siano entità distinte seguendo la comprensione psicodinamica e gli approcci terapeutici, possiamo notare come questi disturbi hanno molto in comune. 76 La decisione di distinguere i due di disturbi nasce quando ci si rende conto che vi è una correlazione, per quanto riguarda il disturbo schizotipico, con la schizofrenia, ma non per il disturbo schizoide. Secondo risultati di diversi studi, il primo, è una versione attenuata della schizofrenia, caratterizzata da un esame di realtà più o meno conservato, difficoltà nelle relazioni interpersonali e lievi disturbi del pensiero. Sceglie spesso attività solitarie, non prova piacere nelle relazioni interpersonali, sembra indifferente a lodi/critiche degli altri, affettività appiattita, distacco… Lo schizoide non è emotivamente distaccato ma ha paura di essere inglobato dall’altro, di fondersi nell’altro. A differenza del dipendente è l’opposto, posto all’altro polo del continuum, lo schizoide ha timore nell’essere nella relazione con l’altro non perché lo possa danneggiare, ma perché ha paura di perdere il proprio Sé. Lo schizoide nell’area nevrotica è chiuso in sé stesso, nel suo mondo interno, ma che comunque riesce a costruite intimità con l’altro. Nell’area psicotica sono a anaffettivi e catatonici. Comprensione psicodinamica I pazienti schizoidi e schizotipici spesso vivono i margini della società. Possono essere ridicolizzati come strambi o disadattati, oppure possono essere semplicemente lasciati soli a condurre un’esistenza eccentrica e appartata. Il mondo interno del paziente schizoide può differire considerevolmente dall’apparenza esterna dell’individuo. Indubbiamente queste persone sono spesso in contraddizione, queste possono essere distinte in manifestazioni scoperte e coperte. Da un punto di vista psicodinamico, la personalità schizoide riflette una scissione o una frammentazione del sé. Il risultato è una diffusione d’identità in cui i pazienti non sanno con sicurezza chi sono e si sentono tormentati da questi pensieri conflittuali. Questa diffusione di identità rende difficoltose le relazioni interpersonali difatti, la loro più specifica caratteristica è il non essere in relazione con gli altri. Il lavoro psicoanalitico indica che questi pazienti nutrono sentimenti e passioni verso gli altri, ma sono congelati sul piano evolutivo a un precoce stadio di relazione. Sembrano fondare la loro decisione di rimanere isolati sul convincimento che il loro fallimento nel ricevere ciò di cui avevano bisogno dalla madre implica che essi non possono in alcun modo tentare di ricevere altro da figure significative incontrate successivamente. Questi pazienti sono intrappolati tra due forme di ansia, se si avvicinano troppa agli altri può emergere la paura di un assorbimento e di una fusione con l’oggetto, ma una distanza eccessiva e associata al timore di perdita. Secondo Balint in questi questi pazienti è presente un difetto fondamentale nella capacità di relazionarsi, causato da una significativa inadeguatezza delle cure materne ricevute nell’infanzia. Egli riteneva che le difficoltà incontrate dal paziente nel porsi relazione con gli altri originassero da questa incapacità di base più piuttosto che da un conflitto. Fairbairn considerava il ritiro schizoide come una difesa contro un conflitto tra il desiderio di entrare in relazione con gli altri e la paura che il proprio bisogno di loro possa danneggiarli. Ciò che succede che il bambino che inizialmente percepisce la madre come rifiutante può ritirarsi nel suo mondo, il bisogno della madre però cresce fino a essere esperito come insaziabile. il bambino allora teme che la propria avidità divorerà la madre lasciandolo di nuovo solo. Pertanto, proprio l’oggetto di cui il bambino ha maggior bisogno può essere distrutto dalle sue pulsioni incorporate, questo concetto viene definito come fantasia di Cappuccetto Rosso, basandosi sulla fiaba nella quale la bambina scopre con orrore che la nonna è scomparsa lasciandola da sola con la propria avidità orale proiettata sottoforma di lupo famelico. I pazienti schizoidi vivono con un timore costante di abbandono, persecuzione e disintegrazione. Accettare qualcosa dagli altri significa rischiare l’evocazione di intensi desideri di dipendenza e di unione. L’amore viene a significare come fusione con l’altro, perdita della propria identità e distruzione dell’altro. Il caratteristico ritiro dalla relazione interpersonale può assolvere un’importante funzione evolutiva. Secondo Winnicott l’isolamento del paziente paziente schizoide preserva un’autenticità che è assolutamente sacra per il sé in evoluzione del paziente; il ritiro schizoide è un modo di comunicare con il vero sé. Solitamente vi è una mancanza di cure materne, dovute a genitori estremamente sensibili che porta a creare un aspetto in cui si protegge dal genitore che può sovrastare egli stesso (complementare-> tu ti avvvicini io mi allontano), oppure vi sono genitori molto distanzianti (convergente-> mi allontano dal genitore lontano per 77 non soffrire), in questo caso vi è un ritiro per quanto concerne aspetti emotivi, affettivi e relazionali. La vicinanza è percepita come dannosa, se l’altro si avvicina troppo ha paura di essere inglobato; l’abbandono è il male minore. Principali spetti-> idee di riferimento, credenze strane e pensiero magico ch e influenzano il comportamento e sono in contrasto con le norme subculturali, sospettosità o ideazione paranoide, affettività inappropriata, comportamento peculiare, eccessiva ansia sociale, nessun amico, preoccupazioni paranoidi associate all’ansia sociale. Una delle principali teorie di quest’asse dei disturbi, vede una continità tra schizoide (al polo meno problematico, la paura principale è dell’ inglobamento ma comunque riesce a creare legami seppur con difficoltà), schizotipico (funzionamento intermedio, ha idee bizzarre e strane) e schizofrenico (al polo più problematico, vi è una rottura della percezione della realtà, l’esame di realtà è andato perso a differenza dello schizotipico, l’identità si disgrega a differenza dello schizotipico che ha un’identità strana o bizzarra. Lo schizofrenico a volte non sa chi è). In questo continuum le persone tendono a collocarsi in una posizione. Paranoide e schizotipico hanno aspetti in comune, ma il primo risulta essere più razionale e la sua affettività tende ad essere più esplosiva dello schizotipico che tende al ritiro. Psicoterapia individuale Come pazienti con disturbo paranoide di personalità, gli individui con disturbi di personalità schizoide e schizotipico, raramente cercano l’aiuto di un terapeuta. L’esperienza suggerisce che i pazienti con questi disturbi di personalità possono trarre beneficio da una psicoterapia individuale di tipo supportivo, da una psicoterapia dinamica di gruppo o dalla combinazione di entrambe. Poiché la preoccupazione di entrare in relazione con gli altri è tipica di questi pazienti, possono trarre beneficio da una psicoterapia individuale di tipo supportivo, ed iniziare quindi con un processo individuale. La maggior parte parte della moderna letteratura sulla psicoterapia dei disturbi di personalità schizoidi e schizotipico, indica che il meccanismo dell’azione terapeutica si basa probabilmente sull’ introiezione di una relazione terapeutica piuttosto che sull’interpretazione del conflitto. Il compito del terapeuta è quello di sciogliere le relazioni oggettuali interne congelate del paziente fornendogli una nuova esperienza di relazione. I terapeuti devono perciò cercare di entrare in relazione con il paziente con modalità correttive, non devono lasciarsi mettere da parte o allontanarsi come avviene con ogni altra persona nella vita del paziente. Fornire una nuova modalità relazionale è una strategia che incontra notevoli ostacoli. Di fronte ai tentativi del terapeuta di fornire un nuovo modello di relazione, il paziente risponderà con distanze emozionale e silenzio. In particolare, il terapeuta deve accettare il silenzio silenzio che non deve essere visto come una semplice semplice resistenza ma come una specifica forma di comunicazione non verbale che può fornire informazioni sul paziente. È importante che i terapeuti siano ricettive rispetto alle proiezioni del paziente e siano in grado di controllare le proprie senza passare ad acting out controtransferali. Quando i terapeuti sentono di voler rinunciare un paziente o di volerlo abbandonare, devono considerare questi sentimenti come ogni altro vissuto nell’ambito del processo terapeutico e cercare di comprenderli. Psicoterapia dinamica di gruppo In generale i pazienti schizoidi sono ottimi candidati alla psicoterapia dinamica di gruppo. Questa terapia è orientata ad aiutare i pazienti socializzare, un punto che sembra essere di maggior sofferenza nei pazienti schizoidi. Rappresenta inoltre un setting in cui può verificarsi una notevole possibilità di nuovi legami. Tali 80 8. Rabbia inappropriata e intensa 9. Ideazione paranoide transitoria, associata allo stress, o gravi sintomi dissociativi L’età di esordio è durante l’infanzia o l’adolescenza. Per quanto riguarda l’eziologia possiamo distinguere diversi fattori: - Fattori biologici e ereditarietà-> tratti presenti maggiormente in gemelli monozigoti, hanno quindi una trasmissibilità a livello genetico per il 41%, non è tutto gene ma sono coinvolti (gene x ambiente). Sul piano neurobiologico si osserva un’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. - Traumi sessuali e ƒisici durante l’infanzia-> nell’80-90% le comunicazioni emotive familiari sono disfunzionali. Nei casi di DBP il ruolo dell’abuso sessuale è una violazione della corporeità che altera il senso della soggettività spesso in contesti in cui ancora non vi è una maturazione del corpo. Il corpo viene attivato in un momento in cui non riesce a dare un senso a quella esperienza, vi è un’alterazione del rapporto con la propria corporeità oltre che l’alterazione delle proprie memorie. Ovviamente gli aspetti processuali sono importante. Non si deve pensare che l’abuso genera il borderline… dobbiamo capire come in mezzo vi siano dei mediatori che generano il DBP. - Relazioni problematiche con i caregiver-> il borderline ha paura di essere tradito perché è già stato tradito; ha vissuto in contesti in cui non poteva fidarsi delle figure di attaccamento. Studi sulle famiglie riportano che nelle famiglie con madri con DBP vi sono maggiori difficoltà a relazionarsi con il bambino. È come se questo fatto aumentasse la probabilità che il bambino sviluppi un DBP. Questo è dovuto dal fallimento della mentalizzazione. Comprensione psicodinamica ed eziologia Alcuni dei primi tentativi di chiarire le cause del disturbo borderline di personalità si sono focalizzati sul ruolo dell’iper coinvolgimento di figure materne conflittuali che riducevano la possibilità del bambino di separarsi, generando ansie di separazione e di abbandono. Altri hanno posto maggiore enfasi su un modello di deficit o insufficienza, identificando in una funzione materna incoerente e inaffidabile la causa dell’incapacità del paziente borderline di sviluppare un oggetto interno contenente e confortante, che normalmente offre al bambino sostegno, rassicurazione quando la madre non è fisicamente presente. Nel complesso gli studi hanno portato a tre conclusioni principali: 1. I pazienti borderline di solito considerano la loro relazione con la madre distaccata, molto conflittuale o poco poco coinvolgente 2. Nelle famiglie dei pazienti borderline la mancanza paterna è un aspetto ancora più discriminante della relazione con la madre 3. Relazioni disturbate sia con la madre sia con il padre possono essere più patogene di quanto non lo siano relazioni problematiche con un solo genitore. Le teorie psicodinamiche che enfatizzano il significato della separazione dell’abbandono hanno ricevuto una certa conferma da studi che hanno stimato la prevalenza di perdita e separazioni nelle storie infantili di paziente affetti da disturbo a borderline di personalità. I primi modelli psicodinamici hanno seriamente sottovalutato il ruolo giocato dal trauma infantile nell’eziologia e nella patogenesi del disturbo. Esiste oggi un ampio supporto empirico al concetto che l’abuso durante l’infanzia sia uno dei fattori più rilevanti nell’eziopatogenesi del disturbo. L’abuso sessuale infantile sembra essere un importante fattore eziologico in circa il 60% dei pazienti borderline. D’altra parte l’abuso sessuale non è né necessario né sufficiente per lo sviluppo di un disturbo borderline di personalità, e anche altre esperienze infantili negativi, come comportamenti di trascuratezza da parte di caregiver è la presenza di un ambiente familiare caotico o inconsistente, costituiscono fattori di rischio significativi. Molti pazienti borderline trovano notevoli difficoltà a riconoscere che le percezioni degli stati propri e altrui non sono assolute o oggettive, ma rappresentazioni della realtà che riflettono solo una delle tante prospettive possibili. La mentalizzazione è un aspetto della memoria procedurale implicita, nel senso che si crea nel 81 contesto di un attaccamento sicuro verso un caregiver che attribuisce stati mentali, lo tratta come una persona dotata di potere e lo aiuta a sviluppare modelli operativi interni. Quindi l’individuo legge l’espressione presente sul volto di un altro e sa quello che l’altra persona sta provando, senza che ci sia bisogno di un intenso sforzo conscio per capire il significato dell’espressione facciale osservata L’acquisizione di capacità mentalizzante è una tappa evolutiva del normale sviluppo psicologico. I bambini di età inferiore ai tre anni tendono a funzionare secondo una modalità di equivalenza psichica, che non opera una distinzione tra come le cose vengono percepite e ciò che veramente sono. Verso i quattro o cinque anni i bambini iniziano ad integrare con modalità di equivalenza la modalità immaginativa o del far finta, all’età di 5-6 anni sono in grado di capire che le percezioni sono influenzati da fattori soggettivi. Ciò permette lo sviluppo di giochi in cui i bambini possono far finta di essere altre persone. Nei pazienti con disturbo borderline di personalità il passaggio dalla modalità di equivalenza psichica alla modalità immaginativa è molto difficile difficile. Il borderline ha una mancanza di costanza oggettuale, non comprende che se le persone si allontano non lo fanno per abbandonarlo. Non si deve confondere l’ansia da separazione che è presente in tutti, dalla mancanza di costanza oggettuale. Questa mancanza di costanza oggettuale porterà a comportamenti impulsivi o disregolati al fine di ottenere la vicinanza con l’altro ed evitare l’abbandono. Nel DBP vi sono elementi di dissociazione in cui i soggetti dimenticano reazioni esagerate (ad esempio minacce di suicidio) che loro stessi hanno avuto. Il primo passo per conoscere un paziente borderline è il controtransfert, ciò che il paziente suscita in noi. L’impulsività del borderline è diversa perché c’è una costante presenza di azioni impulsive che sono presenti sin dall’adolescenza, questo tipo di azioni tipiche del borderline si differenziano dalle normali azioni impulsive adolescenziali. Un aspetto che aiuta a distinguere la tristezza del depresso dal borderline è che il primo ha una tristezza piena di valutazioni negative di sè, di sentimenti di inefficacia, sensi di colpa, vergogna… il borderline presenta una tristezza vuota che non sa da dove deriva, è intensa ma non è continua come nel depresso. Ricerche neurobiologiche Una conseguenza delle precoci interazioni traumatiche con genitori o caregiver è che i pazienti borderline possono mostrare un costante stato di iper-vigilanza, derivato dalla necessità di controllare l’ambiente per la possibile presenza di altri con intenzioni malevole nei loro confronti. La possibile presenza di iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene si accorda bene con la comprensione del partner di relazioni oggettuali interne del disturbo borderline di personalità. Se consideriamo le relazioni oggettuali interne come il risultato di un insieme di rappresentazioni del sé, rappresentazioni dell’oggetto e affetti che le collegano, possiamo pensare che uno stato affettivo ansioso e iper vigilante sia legato a una percezione degli altri come persecutori e del sé come vittima. Una funzione dell’amigdala è quella di aumentare la vigilanza e facilitare la valutazione di potenziali situazioni inedite o ambigue. Uno studio di risonanza magnetica funzionale ha confrontato pazienti affetti da disturbo borderline di personalità con donne sane di controllo. l’osservazione più importante dello studio era che in entrambi i lati del cervello delle pazienti borderline si riscontrava un aumento dell’attività dell’amigdala rispetto ai soggetti di controllo, inoltre negli individui borderline la corteccia percettiva può essere modulata attraverso l’amigdala, con un conseguente aumento delle attenzioni verso stimoli e ambientali emotivamente rilevanti. Le indagini sulle modalità con cui gli individui borderline rispondono alle espressioni facciali hanno rivelato aspetti interessanti. Hanno osservato che donne con una diagnosi di disturbo borderline di personalità, rispetto ai soggetti di controllo, riconoscevano più accuratamente l’espressione di paura. Sembra che i pazienti borderline abbiano una specie di radar che li aiuta a leggere il volto del terapeuta in maniera straordinariamente precisa. Un altro studio simile ha riportato che gli individui con disturbo borderline di personalità mostravano una capacità significativamente superiore di leggere l’espressioni facciali, soprattutto nella regione degli occhi, e 82 che tale capacità poteva essere emessa in relazione con lo stato di continuo vigilanza e quella tendenza a cogliere, in quelle stesse espressioni facciali, potenziali segnali di pericolo. Il problema in questi individui non sta in una percezione piuttosto accurata dell’espressioni facciali, ma nell’interpretazione delle espressioni emotive. la questione principale sembra essere di fatti collegata al capire se ci si può fidare di qualcuno, i pazienti borderline sembrano avere notevoli difficoltà a collegare un senso di fiducia alle espressioni facciali e possono reagire spesso in modo esagerato al minimo segno di ostilità. Studi che hanno utilizzato tecniche di risonanza magnetica hanno rilevato riduzioni volumetriche dell’ippocampo e dell’amigdala in individui con disturbo borderline di personalità rispetto a soggetti di controllo. Dunque, nonostante molte ricerche abbiano definito il ruolo del trauma nel determinare una diminuzione del volume dell’ippocampo, la relazione tra trauma infantile e ridotta dimensioni della vita la rimane poco chiara. Due studi hanno riscontrato riduzioni volumetriche anche del lobo frontale e orbitofrontale, spiegando come un indebolimento dei circuiti di controllo inibitori a livello della corteccia prefrontale potrebbe contribuire all’iperreattività dell’amigdala. Uno studio confermato che nei pazienti borderline, le emozioni negative associate all’iperreattività della Mid non sembrano essere sufficientemente controbilanciate dalle funzioni inibitorie della corteccia prefrontale ventromediale. Di particolare interesse fu una correlazione significativa tra i volumi dell’amigdala e della regione orbitofrontale sinistra. La riduzione del volume dell’ippocampo può essere collegata alla difficoltà che pazienti borderline incontrano nel valutare le modalità con cui le relazioni del presente richiamano relazioni del passato, e nell’apprendere dall’esperienza associata a queste precedenti relazioni. La centralità dell’ansia di separazione e dei temi di abbandono nei pazienti con disturbo borderline di personalità è stata studiata anche usando tecniche di tomografia a emissione di positroni. In 20 donne con una storia di abuso sessuale infantile, hanno misurato il flusso ematico cerebrale durante l’ascolto di racconti che descrivevano esperienze neutre o di abbandono, confrontando poi i risultati ottenuti nelle pazienti con disturbo borderline di personalità e nelle donne non affette dal disturbo. I dati emersi hanno indicato l’esistenza, nelle pazienti borderline, di disfunzioni a livello della corteccia prefrontale mediale e laterale posteriore, del cingolato anteriore, della corteccia temporale sinistra e della corteccia visiva associativa. Sono inoltre stati proposti possibili substrati neurali della scissione. Traumi precoci possono possono favorire i fenomeni di lateralizzazione emisferica e influenzare negativamente l’integrazione delle attività dei due emisferi cerebrali. È stato visto come individui con una storia di abuso usavano le emisfero sinistro quando pensavano a ricordi neutri e l’emisfero destro richiamavano ricordi che inducevano paura; i soggetti di controllo utilizzavano in ugual misura entrambi i lati del cervello indipendentemente dal contenuto dei ricordi avvocati. La capacità di mentalizzare e di riconoscere gli stati interni degli altri appare correlata ai problemi di fiducia che si riscontrano nei pazienti borderline. in uno studio di neuroimaging, utilizzando una sorta di gioco della fiducia hanno investigato le differenze tra individui con disturbo borderline e soggetti di controllo. Lo studio ha evidenziato come pazienti borderline tendono ad assumere che ne nessuno sia degno di fiducia, e di conseguenza si aspettano che tutti siano sleali e disonesti. Trattamento Farmacoterapia Alcuni pazienti borderline possono trarre beneficio da farmaci ma molti altri non mostrano miglioramenti significativi. i sintomi del disturbo sono così variabili che spesso la prescrizione di farmaci diventa un grosso problema per lo psichiatra che dovrebbe evitare di prescrivere troppi farmaci, e anche di trasmettere speranze eccessive sugli eventuali effetti attesi. Circa il 50% dei pazienti con disturbo borderline di personalità ha un concomitante disturbo depressivo maggiore, e la percentuale sale fino all’80% se si considera la prevalenza lifetime. Ci sono diversi principi guida che possono essere d’aiuto quando si considera la possibilità di un trattamento farmacologico: 85 borderline valgono le stesse indicazioni per l’accento espressivo supportivo che guidano il lavoro clinico con altre entità diagnostiche. Mantenere la flessibilità. Un atteggiamento terapeutico flessibile e necessario per un trattamento ottimale dei pazienti con disturbo borderline di personalità. I pazienti borderline di alto livello possono trarre vantaggio da una psicoterapia orientata in senso espressivo, mentre le pazienti più vicini al confine psicotico avranno bisogno di un’enfasi supportiva. Nella maggior parte dei casi è necessario un atteggiamento flessibile da parte del terapeuta, che può scegliere di utilizzare interventi interpretativi o non interpretativi a seconda delle modalità modalità con cui il paziente si pone relazione con lui nei diversi momenti della terapia. A causa del timore relativo alla possibilità di superare i confini terapeutici con i pazienti borderline i terapeuti meno esperti possono assumere un atteggiamento rigido, che il paziente percepisce come un’espressione di distacco e freddezza; a questo punto il paziente potrà abbandonare la terapia a causa dell’apparente mancanza di sensibilità del terapeuta. Attraverso il suo comportamento, il paziente cerca sottilmente di imporre determinate modalità di disposte in interazione con gli altri. I terapeuti devono permettersi una sufficiente flessibilità per rispondere spontaneamente al tipo di relazione oggettuale proposto dal paziente. Stabilire le condizioni che rendono possibile la psicoterapia. a causa della natura caotica della vita del paziente borderline, una certa stabilità deve essere imposta da fonti esterne sin dall’inizio della terapia. lo psicoterapeuta deve infatti ridefinire che cosa la terapia comporta e in che modo differisce da altri tipi di relazione durante tutto il corso del trattamento. Gli argomenti che dovrebbero essere presi in considerazione includono chiari accordi sul pagamento delle parcelle, la definizione di un programma di appuntamento accettabile, la necessità di concludere le sedute puntualmente anche se il paziente può desiderare di prolungarle è una politica esplicita sulle conseguenze degli appuntamenti mancati. Inoltre, con un paziente borderline a rischio di suicidio il terapeuta può aver bisogno di chiarire che in una situazione di rischio suicidario acuto gli sarebbe impossibile prevenire la messa in atto degli impulsi del paziente e che potrebbe presentarsi la necessità di un ricovero. Oltre alle condizioni che renderanno possibile la psicoterapia, il terapeuta deve anche comunicare i propri limiti al paziente. Tale comunicazione è spesso in disaccordo con l’aspettative del paziente che vede il terapeuta come un salvatore onnipotente. Nei colloqui che precedono l’inizio della terapia, la terapia basata sul transfert prevede una specie di contratto con il paziente; il terapeuta deve chiarire che un coinvolgimento nella vita del paziente al di fuori delle sedute non rientra nei compiti dello psicoterapeuta; perciò, non si aspetta di ricevere telefonate tra una seduta e l’altra e ribadisce i limiti della sua disponibilità Secondo Gunderson il terapeuta dovrebbe discutere della sua disponibilità tra una seduta e l’altra solo dopo che il paziente inizia a fare domande a tale proposito, inoltre ha suggerito che il terapeuta dovrebbe comunicare che in caso di emergenza desidera essere contattato. Questa posizione intermedia evita un inizio negativo e fa sì che il paziente si senta capito. Evitare un atteggiamento passivo. Spesso in una psicoterapia psicodinamica vi sono temi che vengono difensivamente evitati dal paziente. È importante che il terapeuta non lasci che il paziente divaghi senza mai fermarsi a riflettere sul significato di tali eventi. I terapeuti dovrebbero invece incoraggiare il paziente ad esaminare i fattori che scatenano le risposte emotive e le conseguenze in termini di relazioni interpersonali; devono perciò sentirsi autorizzate a interrompere apertamente il paziente, quando lo ritengono opportuno, perché diventerà il significato di quanto sta descrivendo. Dal punto di vista neuro biologico in questo modo il terapeuta di dirigere risorse mentali del paziente, distogliendole da risposte limbiche di livello inferiore e indirizzandole verso funzioni prefrontali di livello superiore. Lasciarsi trasformare nell’oggetto cattivo. Una delle sfide più difficili con i pazienti quello di riuscire a tollerare e a contenere l’intensa rabbia del paziente, la sua aggressività e il suo odio. I terapeuti spesso si sentono falsamente accusati, è importante ricordare che questi pazienti lottano contro una rabbia che da un temperamento eccessivamente sensibile e reattivo anche di fronte a stimoli minimi. 86 I pazienti trovano prevedibile, familiare e persino confortante il fatto di ricreare con il terapeuta una relazione oggettuale interna conflittuale e rabbiosa di derivazione familiare. se il terapeuta resiste a questa trasformazione, i pazienti possono assumere atteggiamenti ancora più provocatori, tentando di trasformare il terapeuta con impegno maggiore. Lasciarsi trasformare nell’oggetto cattivo non significa che il terapeuta debba perdere completamente il senso del decoro professionale, richiede invece che il terapeuta funzioni come un contenitore che accetta le proiezioni e cerca di comprenderle e di contenerle al posto del paziente, fino a che quest’ultimo non sia di nuovo in grado di riappropriarsi di tali aspetti proiettati di sé. Spesso pazienti borderline fanno capire al terapeuta che saranno spinti al suicidio a causa delle sue manchevolezze. Accuse del genera alimentano i dubbi dei terapeuti e attivano le loro ansie di abbandono, al punto che in situazioni di questo tipo possono tentare di dimostrare le loro capacità di prendersi cura dei pazienti attraverso misure eroiche tese a salvarli. Come risultato il paziente può arrivare esercitare un controllo onnipotente sul terapeuta, ciò che viene definito come sottomissione coercitiva. Empatizzare con il dolore sotto la rabbia. Molti clinici rimangono sorpresi dall’intensità della rabbia che è un paziente borderline può esprimere. Bisogna ricordare che queste esplosioni di rabbia possono derivare da profonde ferite narcisistiche, o anche dal fatto che il paziente si sente in procinto di essere abbandonato o non degno dell’attenzione del terapeuta. Cercare di andare oltre la rabbia di comprendere il dolore sottostante è un fattore chiave nel trattamento dei pazienti borderline. Un obiettivo primario del terapeuta è quello di contenere la rabbia e la sofferenza del paziente, sapendo che possono essere necessarie due menti per pensare i pensieri emotivamente più disturbanti e provare le emozioni più dolorose di una persona. Lo scopo del trattamento è aiutare i pazienti a sviluppare le loro capacità di pensare e di controllare l’intensità dell’emozione e del dolore. Promuovere la mentalizzazione. Uno degli aspetti più problematici della psicoterapia con i paziento borderline è la gestione delle percezioni transferali bloccate in una modalità di equivalenza psichica, in cui il paziente considera la sua percezione della realtà come un dato assoluto, invece di vederla come una possibilità tra tante, basata su fattori interni. Con i pazienti incapaci di mentali lizzare può essere prematuro interpretare il significato di enactment, mentre può risultare molto più utile all’esame degli stati emozionali che li hanno scatenati. Un altro modo per favorire lo sviluppo di capacità capacità mentalizzanti è quello di seguire e commentare costantemente cambiamenti nei sentimenti espressi dai pazienti; i pazienti possono così alla fine interiorizzare le osservazioni del terapeuta sui loro contenuti interiori. Definire i confini quando è necessario. Molti pazienti borderline percepiscono i normali limiti professionali come una deprivazione crudele e punitiva da parte del terapeuta. Possono richiedere dimostrazioni più concrete del suo interesse per loro, come abbracci, prolungamenti delle sedute… Alcuni terapeuti possono sentirsi crudeli e salici nel momento in cui pongono dei limiti ai comportamenti dei pazienti. Peraltro, molti pazienti che chiedono una maggiore libertà possono paradossalmente peggiorare quando viene loro concessa. Waldinger ha identificato comportamenti che minacciano la sicurezza del terapeuta o del paziente e quelli che mettono a rischio la stessa psicoterapia. Il suicidio è un pericolo presente sempre, i terapeuti devono essere pronti a ricoverare i loro pazienti nel momento in cui gli impulsi suicidare diventano incontrollabili. i terapeuti spesso si ritrovavano nell’insostenibile posizione di tentare eroicamente di trattare questi pazienti mantenendo contatti continui con loro. Aiutare il paziente a riappropriarsi di aspetti di sé negati o proiettati. Dato che la scissione e l’identificazione proiettiva sono meccanismi di difesa primari e pazienti con disturbo borderline di personalità, un senso di incompletezza o frammentazione è un fenomeno cardine nella psicopatologia borderline. I pazienti in psicoterapia spesso usano una forma di scissione temporale, in cui disconoscono commenti o comportamenti che risalgono a una settimana o a un mese prima come se ne fosse responsabile qualcun altro. Il compito del 87 terapeuta è quello di collegare questi aspetti frammentati del sé, di interpretare le ansie connesse con l’aria appropriazione e l’integrazione delle disparate rappresentazioni di sé in un’unità coerente. In modo simile, delle rappresentazioni interne del sud dell’oggetto sono proiettate nel terapeuta e in altri individui. Stabilire e mantenere l’alleanza terapeutica. Poiché nella psicoterapia dei pazienti borderline l’alleanza terapeutica non può essere data per scontata, i terapeuti devono costantemente seguire le vicissitudini momento dopo momento, seduta dopo seduta. Costruire un'alleanza non insigni significa del terapeuta deve mostrarsi d’accordo con tutto quello che il paziente dice, comporta però un impegno continua a collaborare con il paziente per comprendere ciò che prova, e a rivalutare e ridefinire in maniera elastica gli obiettivi del trattamento, in modo che terapeuta e paziente possano perseguire insieme obiettivi comuni. È molto meglio evitare di assumere un atteggiamento freddo impossibile e cercare di intraprendere un dialogo spontaneo, rispettando il fatto che questi pazienti possono manifestare una certa sospettosità verso le motivazioni del terapeuta. Monitorare sentimenti controtransferali. L’importanza del rivolgere una particolare attenzione al controtransfert è implicita in tutta questa discussione sulla psicoterapia dei pazienti borderline. Contenere le parti proiettate del paziente riflettere sulla natura di queste proiezioni aiuterà il terapeuta a comprendere il mondo interno del paziente paziente. Un problema comune nel monitoraggio del controtransfert e che molti dei sentimenti generati dal paziente sono inconsci, per cui è possibile che il terapeuta li riconosca solo a causa di sottile enactment, come iniziare il ritardo terminare anticipo una seduta. Trattamento ospedaliero e day hospital Esteriorizzando nell’ambiente ospedaliero il loro caos interiore, i pazienti borderline possono minare la compattezza dello staff terapeutico. Alcuni diventano pazienti speciali, che creano seri problemi controtransferali, altri possono essere particolarmente colmi di odio. Sul trattamento ospedaliero dei pazienti borderline esistono numerose teorie e opinioni, molti dei quali si basano su dati scarsamente affidabili. Il trattamento in day hospital è oggi riconosciuto come un approccio terapeutico altamente efficace per i pazienti borderline e per altri pazienti con gravi disturbi di personalità. Per alcuni pazienti in psicoterapia possono comunque essere necessari ricoveri ospedalieri e di breve durata in corrispondenza di transitori periodi di crisi, caratterizzati da un aumento delle tendenze suicide e dei comportamenti autolesivi, o da una perdita più o meno marcata del contatto con la realtà. Poiché il fine dell’ospedalizzazione breve termine è un rapido ripristino delle difese e delle funzioni ad attive del paziente paziente, i membri dello staff del reparto devono far far capire al paziente che è in grado di controllare i suoi impulsi, nonostante affermi il contrario. Normalmente il paziente borderline appena ricoverato si aspetta che i componenti del personale siano a sua disposizione per interminabili colloqui individuali. Terapia della famiglia È importante coinvolgere i familiari come collaboratori nel trattamento del paziente, e a questo scopo sono utili interventi psicoeducazione con i genitori, coniugi o partner. Il coinvolgimento della famiglia può prevedere anche altri tipi di intervento. La psicoeducazione può offrire interventi di counseling o l’appoggio di gruppi di sostegno. possono essere utili anche interventi di problem solving che coinvolgono il paziente e il genitore. Nelle famiglie in cui l’iper-coinvolgimento è un pattern dominante, i interventi devono rispettare il bisogno che ciascun membro della famiglia ha degli altri. I clinici devono tenere in considerazione la possibilità che un miglioramento significativo del paziente provoca un grave scompenso in un genitore, che si ritroverà nel 90 bisogni degli altri fino al punto di non permettere che altri contribuiscono alla conversazione. Opera un diniego per quanto riguarda la critica. Gli aspetti del narcisista ipervigile (covert-> Khout) si manifestano con modalità completamente differenti. Questi individui sono straordinariamente sensibili al modo in cui gli altri reagiscono nei loro confronti. La loro attenzione è quindi costantemente diretta verso gli altri, in contrasto con la concentrazione su di sé narcisista inconsapevole come il paziente paranoide, anche questi pazienti ascoltano ogni minimo dettaglio e tendono a sentirsi offesi di continuo. Questi pazienti sono timidi e inibiti, evitano di mettersi in luce perché sono convinti che saranno rifiutati e umiliati. Nel nucleo del loro mondo mondo interno vi è un profondo senso di vergogna connesso al loro segreto desiderio di esibirsi con modalità grandiose. A determinare questo grande senso di vergogna con contribuiscono anche altri fattori, un processo di autovalutazione in cui una persona si sente adeguata ad esempio… è molto sensibile alle critiche. Lewis ha distinto la vergogna dalla colpa, indicando come le persone con un senso di colpa possono sentire che non stanno vivendo all’altezza del loro standard, ma non hanno la sensazione di essere difettose, come accade a individui con disturbo narcisistico di personalità. Sebbene entrambi i tipi di narcisisti lottino per mantenere la loro stima di sé, le modalità con cui si confrontano con questo problema sono molto diverse. il narcisista inconsapevole tenta di impressionare gli altri con le sue qualità, il narcisista ipervigile tenta di mantenere la sua autostima evitando le situazioni di vulnerabilità. è importante, però, sottolineare che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali non considera la variante ipervigile del disturbo narcisistico di personalità, anche se esistono evidenze empiriche che dimostrano il contrario. Sono stati individuati tre sottotipi narcisistici, grazie alla SWAP-II, che hanno definito grandioso-maligno, fragile e di alto funzionamento-esibizionistico. Il tipo grandioso-maligno, simile al narcisista inconsapevole, era caratterizzato da un esagerato senso di importanza, mancanza di rimorso, manipolazione interpersonale, rabbia furiosa e senso di privilegio. Il tipo fragile, simile al narcisista ipervigile, utilizzava la grandiosità per difendersi da dolorosi sentimenti di inadeguatezza, accompagnati da stati affettivi negativi e solitudine. Infine, anche la variante ad alto funzionamento era associata ad un'eccessiva percezione della propria importanza, ma questi individui erano attivi, pieni di energia e articolati; sembrava che avessero utilizzato in narcisismo come forte motivazione al successo. Con questi pazienti è un lavoro di mentalizzazione piuttosto che sul transfert. Comprensione psicodinamica Secondo Kohut gli individui narcisisticamente disturbati si sono arrestati da un punto di vista evolutivo a uno stadio in cui hanno bisogno di specifiche risposte dalle persone del loro ambiente per mantenere un senso di sé coeso. In mancanza di tali risposte, questi individui tendono alla frammentazione del sé. Kohut spiegava questo stato come risultato di fallimenti empatici dei genitori; nello specifico i genitori non avevano risposto alle manifestazioni di esibizionismo del bambino, adeguate rispetto alla sua fase di sviluppo, con validazione ammirazione. Queste carenze erano difatti invisibili nella tendenza del paziente generare un transfert speculare, gemellare o idealizzante. Per spiegare come nello stesso individuo possano coesistere bisogni narcisisti e oggettuali ha elaborato la teoria del doppio asse: lungo il corso della nostra vita abbiamo bisogno di risposte di tipo oggetto-sé da parte di coloro che ci circondano questo vuol dire che, a un certo punto, trattiamo gli altri non come individui separati ma come fonte di gratificazione per il sé. La formulazione teorica di Kernberg è diversa da quella descritta precedentemente. Questa diversità tra Kernberg e Kohut è data dalla popolazione di pazienti studiata dai due autori. Il campione di Kohut era essenzialmente formato da pazienti ambulatoriali che presentavano un funzionamento relativamente buono e potevano permettersi una psicoanalisi. Kernberg, d’altra parte, ha sempre lavorato in ospedale e ha fondato la sua struttura concettuale sia su pazienti ambulatoriali che ricoverati. Le sue descrizioni cliniche, infatti, distinguono pazienti più primitivi, arroganti e aggressivi, palesemente più grandiosi rispetto a quelli descritti 91 da Kohut. Secondo Kernberg il narcisista necessita di separare, scindere, l’oggetto buono e cattivo, dobbiamo interpretare queste scissioni. Kohut ha differenziato i disturbi narcisistici di personalità dalle condizioni borderline. Considerava il paziente borderline come un soggetto che non ha raggiunto una coesione del sé sufficiente per essere analizzato. La diagnosi di personalità narcisistica era basata sullo sviluppo di un transfert speculare o idealizzante nel contesto di un’analisi di prova. Al contrario, secondo Kernberg l’organizzazione difensiva della personalità narcisistica era straordinariamente simile al disturbo di personalità borderline; la vedeva infatti come una delle diverse tipologie di personalità che operano a un livello borderline di organizzazione. Un’altra differenza nella concezione del sé riguarda la sua funzione difensiva. Kohut considerava il Sé narcisista non difensivo, Kernberg considerava invece il se patologicamente grandioso come una difesa contro l’investimento negli altri, in particolare contro la dipendenza dagli altri. La concezione di Kohut della personalità narcisistica è forse più generosa di quella di Kernberg. Kohut si concentrato principalmente sul desiderio infantile di certe risposte genitoriali, l’aggressività è ritenuta un fenomeno secondario.in tal senso considerava l’aggressività come una risposta totalmente comprensibile alle mancanze genitoriali. Per Kernberg l’aggressività è un fattore più primario. Livelli di aggressività eccessivamente elevati portano il paziente narcisista essere distruttivo verso gli altri. Questa aggressività può essere sia costituzionale che ambientale, ma in ogni caso origina dall’interno e non è semplicemente una reazione comprensibile di fronte a un insufficienza altrui. Mentre Kohut riteneva che l’invidia non avesse un ruolo centrale, Kernberg ha descritto questi pazienti come individui costantemente impegnati a confrontarsi con gli altri, solo per poi ritrovarsi tormentati da sentimenti di inferiorità e da un’intensa brama di possedere ciò che gli altri hanno. La svalutazione degli altri nel tentativo di gestire l’invidia provata è associata con un impoverimento del mondo interno delle rappresentazioni oggettuali, e lascia il paziente con la sensazione di un vuoto interiore. Anche l’idealizzazione era vista in modo totalmente differente. Kohut considerava l’idealizzazione nel transfert come la riedizione di una normale fase evolutiva, piuttosto che un atteggiamento difensivo la riteneva un modo di compensare una struttura psichica deficitaria. Kernberg considerava invece l’idealizzazione come una difesa contro una serie di sentimenti negativi come rabbia, invidia, disprezzo e svalutazione. Secondo Khout tutti noi dovremmo accettare che abbiamo un sè grandioso che abbiamo bisogno di alimentare. La controversia tra i due autori continua a sopravvivere, con difensori da una parte e dall’altra che sostengono che l’esperienza clinica conferma le prospettive teoriche da loro preferite. Il dibattito teorico tra Kohut e Kernberg spesso oscura altri contributi originali alla comprensione del disturbo narcisistico di personalità. La prospettiva kleiniana è stata elaborata da Rosenfeld e Steiner. Secondo Rosenfeld la funzione più importante di una relazione narcisistica è il mantenimento dell’esperienza illusoria che impedisce la separazione tra soggetto e oggetto. Gli individui narcisisti negano la loro dipendenza e si comportano come se fossero totalmente autosufficienti. Quando l’oggetto è fonte di frustrazione, provano delusione e ansia intensa per la loro incapacità di mantenere un controllo onnipotente sull’oggetto. Secondo Steiner, vedere ed essere visti sono aspetti centrali del narcisismo patologico. L’umiliazione risulta particolarmente intollerabile per l’individuo narcisista che, per evitarla, cerca di nascondersi alla vista degli altri. Nel tentativo di proteggersi umiliando qualcun altro, in molti casi questi pazienti assumono un atteggiamento di superiorità, guardando il terapeuta dall’alto in basso, oppure lo invitano a condividere un simile atteggiamento nei confronti di una terza persona. Anche la teoria dell’attaccamento può fornire un utile quadro teorico di riferimento. Il narcisista inconsapevole può essere considerato come un individuo dotato da insufficienti capacità mentalizzanti, che non è in grado di entrare in sintonia con le menti di altre persone e di comprendere l’impatto che ha sugli altri. Problemi di mentalizzazione sono presenti anche nel narcisista ipervigile, che tende a interpretare in maniera non corretta l’esperienze degli altri. 92 Il narcisista inconsapevole può aver avuto durante l’infanzia esperienze traumatiche di vergogna umiliazione, che hanno determinato un annullamento della curiosità nei confronti delle risposte interne delle altre persone, come modo per evitare la successiva esposizione a sentimenti di vergogna. Il narcisista ipervigile cerca di mantenere un illusorio controllo su esperienze di questo tipo tentando di anticiparle; i suoi difettosi processi di mentalizzazione portano però ulteriori esperienze di umiliazione e vergogna, perché gli altri si sentono incompresi e attaccati quando i loro comportamenti non vengono interpretati correttamente. Approcci terapeutici Psicoterapia individuale e psicoanalisi Tecnica Sia Kernberg che Kohut credevano che la psicoanalisi fosse il trattamento per la maggior parte dei pazienti con disturbo narcisistico di personalità. Per Kohut l’empatia era il punto chiave della tecnica. Il terapeuta deve empatizzare con il paziente per cercare di riattivare una fallita relazione genitoriale, sforzandosi di andare incontro al bisogno del paziente di affermazione (transfert speculare), di idealizzazione (transfert idealizzante), o di essere come il terapeuta (transfert gemellare). Egli ha sottolineato che l’analista o il terapeuta dovrebbero interpretare il bisogno del paziente di essere confortato. Egli consigliava ai terapeuti di prendere sempre il materiale analitico in un modo diretto, il più vicino possibile all’esperienza del paziente. Il terapeuta può così tentare di evitare la ripetizione dei fallimenti empatici dei genitori, che spesso cercano di convincere il bambino che i suoi reali sentimenti sono diversi da quelli che lui descrive. Kohut notava che, se l’approccio diretto non ottiene frutti, è sempre possibile invertire il materiale o cercare significati nascosti di sentimenti prossimi all’esperienza. Era inoltre inoltre, molto attento ai segni di frammentazione del sé che potevano emergere nel corso della seduta analitica o terapeutica. In presenza di tali frammentazioni, il terapeuta deve focalizzare la propria attenzione sull’evento precipitante piuttosto che sul contenuto della frammentazione. È sempre stato sensibile alla vulnerabilità del paziente narcisista nei confronti del senso di vergogna. Il terapeuta deve evitare di scavalcare l’esperienza soggettiva consapevole del paziente aggiungendo materiale inconscio che è al di fuori della consapevolezza del paziente stesso. Il fine del trattamento psicoanalitico e psicoterapeutico del disturbo narcisistico di personalità è quello di aiutare il paziente a identificare e ricercare oggetti-sé appropriati. Questo approccio è stato criticato per diversi aspetti. la sua riduzione di tutta la psicopatologia a deficit empatici da parte dei genitori è stata criticata come semplicisticamente colpevolizzante verso i genitori. L’approccio di Kernberg è in generale molto più dialettico. Convinto che l’avidità e la mancanza di impegno tipici del disturbo narcisistico di personalità non siano solo aspetti di uno sviluppo normale, ritiene che questi tratti debbano essere affrontati ed esaminati partendo dal punto di vista del loro impatto sugli altri. Mentre Kohut si concentrava sull’esperienza del paziente, Kernberg si concentra sullo sviluppo precoce di un transfert negativo che deve essere sistematicamente esaminato e interpretato. Il terapeuta deve concentrarsi sull’invidia e su come essa impedisca al paziente di ricevere aiuto o riconoscere l’aiuto ricevuto. Kernberg ritiene che le persone con disturbo narcisistico di personalità siano tra i pazienti più difficili da trattare, in quanto gran parte dei loro sforzi mira a far fallire il terapeuta. Affinché la terapia se il terapeuta risultino efficaci, questi pazienti devono confrontarsi con gli intensi sentimenti di invidia verso chi ha qualità positive che a loro mancano. il paziente usa difensivamente la svalutazione e il controllo onnipotente per cercare di tenere a distanza il terapeuta, il trattamento può continuare solo se queste manovre difensive vengono continuamente affrontate. Per il sottogruppo dei pazienti che operano a livello borderline, Kernberg a suggerito che una psicoterapia relativamente supportivo può essere molto più efficace di una psicoterapia espressiva o di un’analisi questo 95 DISTURBO DI PERSONALITÀ DEL GRUPPO B Il paziente antisociale Nel disturbo antisociale, vi è una componente specifica diversa dagli altri disturbi: la violazione delle norme, aspetti contro le norme (piuttosto che aspetti psicologici). Questo distingue l’antisociale dalla psicopatia. Il narcisista maligno riesce a idealizzare oggetti che sente come simili a lui, lo psicopatico non idealizza nessuno. Quindi il narcisista maligno riesce a creare dei transfert anche se è malato, disturbato. I pazienti antisociali sono forse più studiati tra gli individui con disturbi di personalità, ma sono anche quelli che i clinici tendono ad evitare di più. Sono stati definiti come “psicopatici”, “sociopatici”, affetti da “disturbi del carattere” termini che in psichiatria sono stati associati all’incurabilità. (Lo psicopatico comprende gli stati mentali altrui ma li utilizza per sfruttare gli altri). Qualcuno potrebbe affermare che questi pazienti dovrebbero essere considerati criminali e non essere inclusi nell’ambito della psichiatria, in realtà l’esperienza clinica suggerisce che l’etichetta diagnostica “antisociale” è applicata a un ampio spettro di pazienti, da quelli totalmente non trattabili a quelli che sono curabili in determinate condizioni. Questi soggetti violano i diritti e le prerogative degli altri, mettono in atto comportamenti che mirano alla “distruzione” dell’altro. Hervey Cleckley ha fornito la prima descrizione clinica di questi pazienti considerando lo psicopatico come un individuo non palesemente psicotico ma con comportamenti così caotici e così scarsamente in sintonia con le richieste della realtà e della società da indicare la presenza di una psicosi sottostante. Nei decenni successivi alla pubblicazione del lavoro di Clekley il termine “psicopatico” è caduto in disuso e per un certo periodo è stato usato il termine “sociopatico” che sottolineava le origini sociali piuttosto che psicologiche di alcune delle difficoltà presentate da questi individui. Dal secondo Manuale diagnostico e statistico dell’American Psychiatric Association (DSM-II), l’espressione “personalità antisociale” è diventata la denominazione preferita. Successivamente con la pubblicazione del DSM-III, il disturbo antisociale di personalità è stato significativamente modificato rispetto alla definizione originale di Clekley fornendo maggiori particolari diagnostici rispetto a quelli di qualunque altro disturbo di personalità ma hanno ristretto il punto focale del disturbo a una popolazione criminale connessa a ceti sociali inferiori oppressi ed economicamente svantaggiati. Alcuni ricercatori hanno rilevato che quando i criteri del DSM-III venivano applicati a criminali in carcere, nella maggior parte dei casi era possibile diagnosticare un disturbo antisociale di personalità, invece, risultati diversi si ottenevano utilizzando i criteri diagnostici più strettamente in accordo con la descrizione tradizionale di Clekley in cui erano enfatizzati gli aspetti psicopatologici. Per esempio, se veniva usata la Psychopathy Checklist-Revised di Hare (PCL-R), soltanto nel 15-25% dei casi i detenuti esaminati risultavano classificabili come psicopatici. La PCL-R è uno strumento che si basa su valutazioni cliniche esperte piuttosto che su informazioni autoriportate e include aspetti come irresponsabilità, impulsività, mancanza di obiettivi realistici a lungo termine, comportamenti sessuali promiscui, precoci problemi di comportamento, stile di vita parassitario, durezza e mancanza di empatia, affettività superficiale, assenza di rimorso o di colpo, bisogno di stimolazioni e tendenza alla noia, senso grandioso di autostima, spigliatezza associata a fascino superficiale. Il termine psicopatia, definito da Hare comprende caratteristiche interpersonali/psicodinamiche da un lato e comportamenti antisociali dall’altro e sebbene queste due componenti siano ovviamente correlate, in alcuni individui possono presentarsi separatamente. In generale, possiamo dire che la psicopatia è molto più grave sia in termini di manifestazioni cliniche sia per quanto riguarda la resistenza al trattamento. Con i pazienti antisociali, il clinico deve stabilire innanzi tutto se un particolare paziente sia trattabile o meno in determinate circostanze. 96 Questo dilemma può essere concettualizzato considerando il quadro antisociale come una sottocategoria del disturbo narcisistico di personalità; infatti, esiste un continuum narcisistico di patologia antisociale che va dalla psicopatia primitiva nella sua forma più pura al disturbo di personalità narcisistico con caratteristiche antisociali egosintoniche, fino ad arrivare ai pazienti narcisistici che sono semplicemente disonesti nel transfert. Lo psichiatra a indirizzo psicodinamico dovrebbe avvicinare ciascun paziente tenendo conto di questo continuum narcisistico. EPIDEMIOLOGIA Individui con disturbo antisociale di personalità si ritrovano più comunemente in aree urbane impoverite e molti di loro interrompono le scuole secondarie prima del diploma. Si riscontra in genere, un progressivo scivolare verso il basso nella vita degli individui antisociale, che tendono a guadagnare o perdere denaro in maniera ciclica fino a che non “scoppiano” quando raggiungono la mezza età spesso con quadri gravi di alcolismo e debilitazione. L’impulsività, nel corso degli anni può migliorare ma comunque questi individui continuano ad avere problemi di natura lavorativa, familiare o sentimentale e alcuni muoiono prematuramente. Esiste una stretta correlazione tra la patologia antisociale del carattere e l’uso di sostanza. Negli Stati Uniti si è stimato che tra gli individui responsabili di reati un abuso di sostanze si riscontra in percentuali che oscillano tra il 52 e il 65 % dei casi, infatti i tassi di comorbilità tra disturbo antisociale di personalità e abuso di sostanze vanno dal 42 al 95 %. La psicopatia, può manifestarsi, anche se con frequenze minori in individui di sesso femminile. I clinici possono trascurare questa diagnosi nelle donne a causa di stereotipi legati al loro ruolo sessuale, ad esempio, una donna seduttiva e manipolatoria che manifesta evidenti comportamenti antisociali sarà più facilmente definita isterica, istrionica o borderline, specialmente da clinici di sesso maschile. COMPRENSIONE PSICODINAMICA Da un punto di vista psicodinamico vi sono credenze patogene inerenti al loro modo di stare con gli altri. Sono individui che utilizzano soprattutto il CONTROLLO ONNIPOTENTE come meccanismo di difesa. Il loro sistema motivazionale è caratterizzato dal “rango” (ricade sulle forme di aggressività, si parla di aggressività non predatoria nell’ antisociale e predatoria nello psicopatico). L’aggressività è reattiva nell’ antisociale, reagisce a ciò che ritengono minaccioso. Nello psicopatico, che è a un livello più grave dello psicosociale, l’aggressività è anche predatoria che ha a che vedere con il rango e il potere (c’è una costante tendenza di mostrare il loro potere). Lo psicopatico farà di tutto per avere i vantaggi che desidera. La capacità di formare legami di attaccamento è presente nell’ antisociale, seppur in maniera disfunzionale spesso, lo psicopatico non forma legami di attaccamento, li capisce e li sfrutta. Lo psicopatico è caratterizzato da rapporti di coppia di breve durata e promiscuità sessuale (legata solamente all’aspetto fisico, viene svincolata dalla caratteristica relazionale). Lo psicopatico è super regolato emotivamente, freddo e calcolatore, manipola per ottenere ciò che vuole, rende la preda debole e poi agisce. Nello psicopatico vi è un empatia zero negativa. L’antisociale tende ad essere irritabile e aggressivo, possono essere coinvolti in scontri fisici. Un aspetto importante che mostra come anche qui vi è un problema nell’attaccamento e nel prendersi cura di sé, è proprio l’incapacità di prendersi cura di se (sono presenti acting out) e degli altri. Mostrano scarso rimorso e sensi di colpa, possono essere indifferenti e fornire razionalizzazioni superficiali dopo aver fatto del male. Questi individui possono biasimare (come clinici, ma in generale, bisogna stare attenti a non cadere nella trappola che vi siano caratteristiche implicite della vittima che agevolano il crimine [aveva la minigonna e allora l’hanno stuprata per questo]) le vittime e minimizzare le conseguenze. La psicopatia racchiude aspetti antisociali e affettivi, interpersonali e stile di vita irresponsabile (ego riferimento, grandiosità, tendenza a ingannare l’altro, emozioni superficiali…). Gli psicopatici mancano nella capacità di mantenere e creare legami forti. Il maltrattamento infantile ha una relazione con la psicopatia, queste forme di attaccamento avverse vanno a combinarsi con le caratteristiche personali per generare il disturbo. 97 La terapia del trauma è possibile se vi sono legami affettivi, altrimenti è controproducente perché lo psicopatico utilizza la psicoterapia come strumento per imparare modi nuovi di manipolare gli altri. Karpman ha distinto due tipi di psicopatia: - Psicopatia primaria-> affascinanti e sicuri di sé. Possono essere persone di successo. Essi non sono violenti o distruttivi. Si presentano come egoisti calmi ma sono il contrario di ciò. Sono emotivamente freddi, senza rimorso e vergogna, pianificatori e manipolatori, hanno più successo dei secondari. Rispetto a questi ultimi non mostrano menomazioni nella corteccia prefrontale, nell’amigdala e all’ippocampo. - Psicopatia secondaria -> aggressivi sul piano comportamentale, vi è un a devianza sociale. Presenti nelle carceri. Appartengono solitamente a classi sociali meno elevate. Una comprensione esaustiva del disturbo antisociale di personalità deve considerare il fatto che i fattori biologici contribuiscono sull’eziologia e sulla patogenesi del disturbo. Studi condotti su gemelli offrono prove convincenti dell’esistenza di influenze genetiche ma sono probabilmente implicati anche i fattori ambientali quali abuso e trascuratezza. Numerose ricerche hanno mostrato come vulnerabilità genetica e fattori ambientali avversi operino in maniera sinergica nel produrre comportamenti antisociali o criminali. Il genotipo può influenzare le modalità con cui i bambini rispondono a fattori stressanti ambientali e la combinazione di vulnerabilità genetica ed esperienze avverse può generare un quadro di comportamento antisociale. Uno studio eccellente sull’interazione tra geni e ambiente suggerisce che nei figli di una stessa famiglia fattori ambientali non condivisi possono avere un impatto sostanziale nello sviluppo di un comportamento antisociale. Keiss e collaboratori hanno studiato 708 famiglie in cui erano presenti almeno due figli adolescenti dello stesso sesso ma con diverse caratteristiche. In 93 famiglie i due adolescenti erano gemelli monozigoti, in 99 gemelli dizigoti e in 95 semplicemente fratelli; in 181 casi i ragazzi esaminati erano entrambi biologicamente figli della moglie e del marito; in 110 casi lo era solo uno dei due, mentre l’altro era nato nell’ambito del matrimonio e infine in 130 famiglie i due adolescenti non avevano fra loro alcun legame genetico. Secondo alcuni autori, dopo aver esaminato i dati sugli stili educativi dei genitori, alcune caratteristiche geneticamente determinate dei figli evocano comportamenti rigidi e incoerenti da parte dei genitori, al contrario i ragazzi che non presentavano queste caratteristiche non inducevano nei genitori ad avere atteggiamenti negativi, e sembravano esperire un effetto protettivo quando comportamenti genitoriali severi venivano diretti verso l’altro figlio adolescente. Successivamente, i risultati emersi dallo studio sono stati analizzati con lo scopo di verificare se fattori genetici latenti e misure della relazione genitore-figlio interagissero nel predire il comportamento antisociale e la depressione. Quest’analisi ha mostrato che un’interazione del genotipo con uno stile genitoriale caratterizzato da negatività e mancanza di calore era predittiva per il comportamento antisociale e non per la depressione; in altre parole, quindi nel caso del comportamento antisociale degli adolescenti le influenze genetiche erano più determinanti quando l’atteggiamento dei genitori era più freddo e negativo. Studi di neuroimaging hanno evidenziato una riduzione bilaterale del volume dell’amigdala in individui psicopatici rispetto a soggetti di controllo, inoltre, si è rilevata una stretta correlazione tra ridotta responsività del sistema nervoso autonomo e rischio di comportamento criminale; infatti, è stato osservato che adolescenti con un’elevata capacità di risposta del sistema nervoso autonomo sembravano avere effetti protettivi nei confronti di un comportamento criminale. Da un punto di vista psicodinamico, gli individui che possiedono forti modelli interiorizzati rispetto a ciò che giusto e ciò che è sbagliato, spesso associati ad un Super-io e con l’ideale dell’io, possono provare ansia e aumentate risposte del sistema nervoso autonomo sotto forma di senso di colpa quando non rispettano gli standard morali. A differenza dei pazienti con disturbo antisociale di personalità, gli psicopatici raramente presentano una comorbilità con disturbi d’ansia e dell’umore e questo potrebbe essere impedito dal fatto che mostrano una ridotta reattività dell’amigdala legata a deficit strutturali.