Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Geraci-Marcone, "Storia romana", Schemi e mappe concettuali di Storia Romana

Manuale universitario di storia romana

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

In vendita dal 21/01/2019

Federicap1212
Federicap1212 🇮🇹

4.4

(7)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Geraci-Marcone, "Storia romana" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Introduzione Dionigi Esiguo, detto il Piccolo, monaco nativo della Scizia e vissuto tra la fine del V e l’inizio del VI dC, introduce l’era “cristiana” o “volgare”. La consuetudine di contare gli anni prima di Cristo viene invece introdotta solo nel XVIII secolo. Nelle scansioni antiche, notevole importanza la rivestono i giorni di mercato (aaaawww!), nundinae (il “nono giorno”, perché si tenevano ogni otto giorni): la popolazione rurale confluisce in città per i propri commerci e partecipa personalmente alla vita civica e sociale. Onomastica: il nome completo del cittadino libero comporta tre elementi (tria nomina): il prenome (praenomen) (es Caius, Decimus, Lucius etc), il gentilizio (nomen), ovvero il gruppo familiare (gens) di appartenenza (Aurelius, Claudius, Cornelius, Tullius etc) e infine il cognomen, spesso derivato da un soprannome individuale (tratto da caratteristiche fisiche o provenienza geografica etc). Il mondo di Roma viene detto “uno, duplice e molteplice”: uno perché ne furono elementi unificanti l’amministrazione, la cittadinanza, l’esercito, il diritto. Duplice perché mondo romano non è esclusivamente latino, ma anche greco. Molteplice perché lasciò convivere un mosaico molto vario di cittadinanze, particolarità sociali, condizioni politiche, sociali e personali. Quadro cronologico (sintesi) XVII-XIV aC: età del bronzo medio IX a C: inizio età del ferro Metà VIII aC: inizio della colonizzazione greca in Italia meridionale VIII-VII aC: inizio civiltà etrusca e fase di formazione della città di Roma 753 aC: data tradizionale della fondazione di Roma VII-VI aC: massima espansione degli etruschi Vi aC: dominio della dinastia etrusca dei Tarquini su Roma. regno di Servio Tullio 530 aC: battaglia di Alalia, che oppone etruschi e cartaginesi a focei 510 aC: cacciata di Tarquinio il Superbo e fine del governo monarchico di Roma 509 aC: creazione del regime repubblicano. Primo trattato fra Roma e Cartagine L’Italia preromana L’Italia nell’età del bronzo si contraddistingue per la sua uniformità. Intensa circolazione di prodotti e persone. Con l’inizio dell’età del ferro, quadro differenziato di culture locali in Italia. Un primo criterio di differenziazione concerne le modalità di sepoltura (cremazione, inumazione), e ancora diversità di lingue (indoeuropee e non indoeuropee sono le due grandi famiglie: indoeuropee sono in primo luogo il latino e il falisco, con varianti dialettali tipo umbro etc; non indoeuropee: etrusco la principale, ma anche retico e sardo). I primi frequentatori dell’Italia meridionale: scambi commerciali da parte della Grecia a inizio dell’età del ferro si traducono in grande impresa di colonizzazione -> Magna Grecia. Trasformazione dell’Italia centrale: tra l’VIII e il V aC grande fenomeno espansivo delle popolazioni dell’Appennino centro-meridionale. Gli Etruschi Sono la più importante popolazione dell’Italia preromana. Noti ai Greci con il nome di “Tirreni”, pare che chiamassero se stessi “Rasenna”. Origine tra l’VIII e il VII aC., pare riconducibile a uno sviluppo autonomo realizzatosi nella regione compresa tra i corsi dell’Arno e del Tevere. Nella fase della loro massima espansione (VII-VI aC), controllavano gran parte dell’Italia centro-occidentale e competevano con Greci e Cartaginesi per il controllo delle principali rotte marittime. Eppure questo popolo non diede mai vita a uno stato unitario: si organizzano da subito in città indipendenti governate da sovrani (lucumoni), poi sostituiti da magistrati eletti annualmente (zilath). Lega delle 12 città principali: Veio, Cere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Volterra, Chiusi, Cortona, Perugia, Arezzo e Fiesole). La società etrusca ha carattere fortemente aristocratico. 530 aC: battaglia navale (senza chiaro vincitore) contro i Focei => battuta d’arresto espansione degli Etruschi. Decisivi per la decaduta degli Etruschi sono però due eventi: (1) presa di Veio da parte dei Romani (396 aC); (2) perdita dei possedimenti nella val Padana, caduti in mano di una popolazione indoeuropea nuova, i Celti. Religione e cultura: le divinità de pantheon etrusco sono in gran parte assimilabili a quelle greche. Il più lungo documento noto in lingua etrusca è il cd “libro di lino” di Zagabria, un testo scritto su un pezzo di stoffa riutilizzata per avvolgere una mummia. Importanza particolare nella religiosità etrusca è la concezione dell’aldilà: due concezioni. Nella prima, nella tomba il defunto prosegue la sua vita (e quindi vi si depongono oggetti di vario tipo, cibi, bevande etc); nella seconda, dopo un lungo viaggio si arriva nell’oltretomba. Agli Etruschi premeva molto la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili sulla terra. L’arte di interpretare tale volontà è detta aruspicina (etimologia oscura), che avveniva attraverso l’esame delle viscere di animali sacrificati per scopi religiosi (principio è che negli organi si riproduce l’ordine dell’universo). Il problema della lingua: 26 lettere l’alfabeto, riadattamento di quello greco. La difficoltà principale è che l’etrusco è una lingua non indoeuropea, quindi non abbiamo elementi di raffronto con altre lingue note. Fonti: liber linteus di Zagabria, la tegola di Capua (che riporta un rituale funerario) e la tavola Cortonense (di recente scoperta, che riproduce un documento legale). Mancano testi bilingue sufficientemente ampi. Tecnica e arte: principali fonti sono le necropoli, vere e proprie abitazioni sotterranee (tombe a pozzo, poi a fossa, poi ancora a camera). Tra le tecniche più diffuse di produzione ceramica, tipica è quella dl vasellame di bucchero, ottenuto mediante una particolare cottura dell’argilla fino al raggiungimento di un colore nero lucente, a imitazione del metallo. Per quanto riguarda le attività economiche, si segnalano in particolare agricoltura, metallurgia e artigianato artistico. Roma [arcaica / età monarchica] Le fonti letterarie: i primi storici a occuparsi dell’Italia meridionale furono i Greci. In greco scrissero i primi storici romani, Fabio Pittore e Cincio Alimento, alla fine del III aC. I primi storici di cui possiamo leggere le narrazioni di Roma arcaica vissero nel I aC: Tito Livio (storia di Roma dalla sua fondazione, 142 libri) e Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane, 20 libri). Lo scopo principale di Dionigi, che è greco, è di dimostrare che i Romani erano una popolazione di origine ellenica. La proprietà della terra in Roma arcaica: la prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante (heredium). A partire dal IV aC iniziarono le assegnazioni di terreno conquistato, mentre si sviluppavano le attività artigianali e commerciali. L’ideologia ‘indoeuropea’ nei racconti sulle origini di Roma: ‘indoeuropei’ è una denominazione convenzionale di una popolazione vissuta tra il III o IV millennio aC, in una regione più o meno corrispondente alla grande pianura russa. In seguito si spostarono, per ragioni ignote, imponendo la loro lingua alle popolazioni conquistate ma adottandone la scrittura. Indoeuropei in Anatolia (gli Ittiti), in Grecia (i Micenei) e in Italia. Ma indoeuropei sono anche gli antenati degli Indiani odierni. L’ideologia degli indoeuropei è stata definita ‘trifunzionale’, a indicare che le cose, il mondo venivano compresi e analizzati con riferimento costante a tre ambiti, o funzioni: la potenza del sovrano (magica e giuridica), la forza fisica e la fecondità (di uomini, animali e natura). Si è ritenuto di poter rintracciare elementi indoeuropei in molti aspetti della Roma arcaica (es il ratto delle Sabine presenta uno schema indoeuropeo). La scoperta del Lapis Niger: scoperto nel gennaio 1899 una pavimentazione in marmo nero distinta dalla restante in travertino, nell’angolo settentrionale del Foro. La scoperta fu subito associata a una fonte letteraria che parlava dell’esistenza di una “pietra nera nel Comizio” (NB contributo archeologia a storiografia nella ricostruzione di Roma arcaica è spesso decisivo), che contrassegnava un luogo funebre, forse la tomba di Romolo. Non è necessariamente una prova dell’esistenza di Romolo, ma senz’altro dell’antichità della tradizione che ne faceva il fondatore della città. Le origini di Roma secondo un imperatore romano: Claudio era appassionato di antichità etrusche. Nel 48 dC pronunciò in senato un discorso in favore dell’ammissione nell’assemblea di alcuni illustri rappresentanti della Gallia Comata, in cui si richiama alle vicende delle origini di Roma fornendo informazioni desunte dalla tradizione antiquaria romana ed etrusca. Qui narra la vicenda di Mastarna (Servio Tullio) e di come ottenne il regno. La grande Roma dei Tarquini: il secolo tra l’ascesa di Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo (fine del VII-fine del VI aC) ha riscontro in un documento eccezionale, risalente addirittura al 508 aC, che lo storico greco Polibio asserisce di aver visto nell’archivio pubblico di Roma, da cui si deduce che la crescita della potenza romana nel secolo dei Tarquini sarebbe stata molto rilevante: Roma è già la città più estesa del Lazio. II PARTE La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi [509 aC-133 aC, dalla creazione del regime repubblicano, con il primo trattato tra Roma e Cartagine, alla conquista e distruzione della città di Numanzia a opera di Scipione Emiliano] Quadro cronologico pp. 42-46 1. La nascita della Repubblica Dalle fonti (Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso) pare che Sesto Tarquinio, figlio del Superbo, abbia violentato l’aristocratica Lucrezia, da cui era stato respinto. Lei lo racconta ad amici e parenti e scoppia una rivolta che porta alla caduta della monarchia (Tarquinio il Superbo era ad Ardea e non riesce a intervenire). Al 510 aC risale la rivolta, al 509 aC si fa convenzionalmente risalire l’inizio dell’età repubblicana: i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo, i consoli. Porsenna, re di Chiusi, prova a restaurare il potere di Tarquinio su Roma ma senza esito. I Fasti: sono le liste dei magistrati eponimi della Repubblica, quelli cioè che davano il nome all’anno in corso, secondo il computo cronologico dei Romani. Ci sono giunti sia attraverso la tradizione letteraria, che quella epigrafica. I più importanti sono considerati i Fasti Capitolini, così chiamati perché conservati nei Musei Capitolini di Roma, in cui trova riflesso una cronologia elaborata negli ultimi anni della Repubblica, in particolare dall’erudito Marco Terenzio Varrone (per questo spesso chiamata “varroniana”). Le datazioni varroniane assunsero nell’antichità un valore quasi canonico. Narrazione probabilmente romanzata, quella di Lucrezia etc. non si conoscono bene i motivi profondi. Si pensa che sia da attribuire a una rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato molto i suoi caratteri autocratici. È probabile che non sia stato un evento graduale ma traumatico, una vera e propria ‘rivoluzione’. Non immediata l’instaurazione della Repubblica: è probabile che sia succeduto alla caduta della monarchia una fase confusa, di dominio di re condottieri (es Porsenna re di Chiusi o Mastarna e i fratelli Vibenna [ma Mastarna, aka Servio Tullio, non era morto?]. La sconfitta inflitta dai Latini al figlio di Porsenna (Arrunte) presso la città latina di Aricia assestò un duro colpo all’influenza politica etrusca nel Lazio. Datazione: secondo alcuni non 510-509 aC ma più in là, intorno al 470-450 aC, perché vari documenti segnalano in questo periodo un’interruzione dei contatti culturali con l’Etruria, che sarebbe da ricollegare con la cacciata dei Tarquini. Ma più di un argomento interviene a sostegno della datazione tradizionale: (1) Livio narra della cerimonia di consacrazione del tempio di Giove Capitolino, solennemente inaugurato nel primo anno della Repubblica; (2) l’edificio della Regia, nel Foro romano, verso la fine del VI aC presenta una pianta caratteristica di un edificio templare, non di una residenza reale. I supremi magistrati a Roma: i poteri del re sarebbero subito passati in blocco a due consules, o meglio praetores, vale a dire i due massimi magistrati della Repubblica. Eletti dai comizi centuriati, gli spettava il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine pubblico, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, potere di convocare senato e assemblee popolari, la cura del censimento e della compilazione delle liste dei senatori e, tra gli incarichi religiosi, il controllo sugli auspici (ie il potere di interpretare la volontà degli dèi sulle questioni pubbliche). Alcune delle competenze religiose del re sarebbero invece passate a una figura sacerdotale inedita, il rex sacrorum, che non poteva rivestire anche incarichi politici. Limiti: carica annuale e collegialità (eguali poteri, ie ciascuno dei due poteva opporsi all’azione dell’altro se la giudicava dannosa per lo Stato), provocatio ad populum (ie ogni cittadino poteva appellarsi all’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console). Le altre magistrature: create progressivamente per le crescenti esigenze dello Stato. Al periodo regio/primo anno della Repubblica risalgono i questori (due in origine), che assistevano i consoli nelle attività finanziarie; abbiamo poi i quaestores parricidii, che istruivano i processi per i delitti di sangue che coinvolgessero parenti; collegio dei duoviri perduellionis, che invece aveva la competenza dei reati di alto tradimento; ai censori il compito del censimento a partire dal 443 aC e, successivamente, anche la redazione delle liste dei senatori e, quindi, la cura morum, la supervisione della condotta morale dei cittadini. I censori erano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18 mesi. La dittatura: in caso di necessità (es crisi militari), i supremi poteri della Repubblica potevano essere affidati a un dittatore (dictator), non eletto dall’assemblea popolare ma nominato a propria discrezione da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato. Il dittatore era assistito da un magister equitum, ed era in origine noto col nome di magister populi (il ‘populus’ era l’esercito). Contro il volere del dittatore non valeva l’appello al popolo. Il suo incarico durava massimo 6 mesi. I sacerdoti e la sfera religiosa: a Roma non si può tracciare una netta distinzione tra cariche politiche e massime cariche religiose. Oltre al rex sacrorum, costituivano un’eccezione i flamini, che più che sacerdoti erano la personificazione terrena del dio stesso. Collegi religiosi: pontefici (guidato da un pontefice massimo, eletto dagli altri e lo si era a vita), àuguri e duoviri sacris faciundis. I pontefici erano la massima autorità religiosa dello Stato, e controllava la tradizione e interpretava le norme giuridiche; il collegio degli àuguri aveva la funzione di assistere i magistrati nel compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dèi; i duoviri sacris faciundis custodivano i cosiddetti Libri Sibillini, un’antichissima raccolta di oracoli in greco (es il senato poteva chiedere loro di consultarli). Accanto a questi collegi, ricordiamo gli aruspici, che esaminavano le viscere degli animali sacrificati per trarne la volontà degli dèi, e i feziali, anch’essi riuniti in collegio, che avevano la funzione di dichiarare guerra (bellum iustum, ovvero ‘guerra dichiarata secondo le corrette formalità’, e non, come si pensa, ‘guerra dichiarata per un giusto motivo’). Il senato: il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse al crollo della monarchia, anzi divenne il perno della Repubblica a guida patrizia. Il suo principale strumento è l’auctoritas patrum. La carica di senatore era vitalizia. La cittadinanza e le assemblee popolari: le assemblee popolari erano riservate non a tutti i cittadini, ma solo ai maschi adulti di libera condizione e in possesso del diritto di cittadinanza. Si diveniva cittadini romani essenzialmente per diritto di nascita, ma notevole apertura rispetto ai Greci (es gli schiavi liberati, ie i liberti, divenivano cittadini). vari pacchetti di proposte che in quegli anni vengono avanzate per far fronte alla crisi economica (un altro tentativo era stato fatto da Manlio Capitolino, che aveva proposto la totale cancellazione dei debiti). Prevedono che: (1) gli interessi già pagati dal debitore possono essere detratti dal capitale dovuto; (2) il debito residuo è estinguibile in tre rate annuali; (3) la massima estensione di un territorio proprietà dello Stato e occupato da un privato non può superare i 500 iugeri; (4) abolizione del tribunato militare con potestà consolare e completa reintegrazione dei due consoli, uno dei quali avrebbe potuto essere plebeo. 366 aC create due nuove cariche: il pretore, con il computo di amministrare la giustizia tra i cittadini romani; due edili curuli (patrizi – la sella curulis è lo scranno su cui sedevano i magistrati patrizi), con il compito di organizzare i Ludi maximi. Verso un nuovo equilibrio 342 aC: un plebiscito ammette la possibilità che entrambi i consoli siano plebei (ma la prima coppia di soli plebei apparirà nelle liste dei magistrati solo nel 172 aC). 326 aC: la legge Petelia abolisce la servitù per debiti. La censura di Appio Claudio Cieco (312-311 C) Tentativo di imprimere un’accelerata al processo di riforma e per agevolare la plebe. Appio Claudio stila infatti una lista di senatori che include anche persone che non avevano ancora rivestito alcuna magistratura, nuova composizione delle tribù e altre misure, tra cui la costruzione di due opere pubbliche di importanza epocale per Roma: il primo acquedotto e la via che congiunge Roma a Capua (via Appia), che sarebbe stata di importanza strategica nel corso della seconda guerra sannitica. Legge Ortensia (287 aC) I plebisciti votati dall’assemblea della plebe hanno valore per tutta la cittadinanza di Roma. i plebisciti sono ormai equiparati alle leggi votate dai comizi centuriati e dai comizi tributi. La nobilitas patrizio-plebea Le Leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste della plebe tra la fine del IV e l’inizio del III aC chiudono definitivamente l’età del dominio esclusivo dei patrizi sullo Stato. Al posto del patriziato, si forma una nuova aristocrazia, formata dalle famiglie plebee più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che si erano adattate meglio al mutare dei tempi. Questa nuova élite prende il nome di nobilitas, da nobilis, ovvero ‘noto’, ‘illustre’. 3. La conquista dell’Italia Alla caduta della monarchia di Roma, buona parte delle città latine (es Ardea, Anzio, Terracina, Lavinio etc) approfittarono della situazione per affrancarsi dalla sua egemonia. Si strinsero in una lega i cui membri condividevano alcuni diritti: (1) ius connubii (diritto di sposarsi tra comunità diverse); (2) ius commercii (siglare contratti tra comunità diverse); (3) ius migrationis (un latino poteva assumere i pieni diritti civici in una comunità diversa da quella di origine semplicemente prendendovi residenza). La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum La Lega latina, assieme ad Aristodemo di Cuma, sconfisse Arrunte, il figlio di Porsenna, nella battaglia di Aricia. Qualche anno dopo attaccarono direttamente Roma. Nella leggendaria battaglia sul lago Regillo (496 aC) i romani sconfissero la Lega. Il trattato venne siglato nel 493 aC e, dal nome del console di quell’anno Sp. Cassio, prese il nome di foedus Cassianum, trattato Cassiano. Prevedeva un accordo bilaterale tra Roma e la Lega: mantenimento della pace e soccorso in caso di attacchi esterni. Si riconoscevano inoltre reciprocamente i tre diritti già presenti all’interno della Lega. 486 aC: accordo di Roma con gli Ernici, una popolazione che abitava a sud est di Roma. stessi termini del trattato Cassiano. I conflitti con Sabini, Equi e Volsci Tre popolazioni provenienti dagli Appennini, nell’ambito di un più generale processo di migrazioni verso terre più fertili. V aC una serie di conflitti con Roma, in particolare con Equi e Volsci. L’accordo con la Lega latina si rivela molto utile per bloccarli sui colli Albani. Importante vittoria nel 431 aC. Il conflitto con Veio Veio rivale di Roma nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e delle saline alla foce del fiume. Il contrasto dura tutto il V aC e sfocia in particolare in tre guerre: • 483-474 aC: i Veienti riescono a occupare un avamposto sulla riva sinistra del Tevere, quella latina: Fidene. I Romani vengono sconfitti sul fiume Cremera (una delle ultime battaglie con lo schieramento aristocratico, prima di passare agli opliti schierati a falange). Veio si vede riconoscere il possesso di Fidene. • 437-426 aC: il romano Aulo Cornelio Cosso uccide in duello il tiranno di Veio, Lars Tolumnio. Fidene viene conquistata e distrutta dai Romani. • 405-396 aC: Veio viene assediata per dieci anni dai Romani. Alla fine Veio viene presa e distrutta. Le altre città etrusche non prestarono il minimo soccorso a Veio o addirittura, come Cere, si schierarono dalla parte di Roma. La presa di Veio segnò una svolta importante per Roma: i dieci anni di assedio avevano tenuto lontani i soldati dai loro campi, perciò si rese necessaria l’introduzione di una paga, detta stipendium. Per far fronte alle accresciute spese militari venne poi introdotta una tassa straordinaria, chiamata tributum, che gravava in misura proporzionale sulle diverse classi dell’ordinamento censitario. L’invasione gallica Calata dei Galli su Roma: nuovo pericolo. Venivano dal nord e attaccarono la città nel 390 aC, in cerca di nuove sedi. Prima si rivolsero contro Chiusi, da qui verso Roma. L’esercito romano, arruolato in fretta, venne letteralmente dissolto aull’Allia, un piccolo affluente del Tevere. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. Dopodiché i Galli, forse perché soddisfatti, scomparvero tanto rapidamente quanto erano apparsi. Per Roma fu piuttosto umiliante. La ripresa Molto rapida, già nuovo impulso a partire dal 390 aC. La distribuzione delle terre di Veio incise molto, e proprio sfruttando le grotte di tufo presenti lì in zona si avviò la costruzione delle mura serviane, così dette dal nome di Servio Tullio, a cui la tradizione le attribuisce. Già in quel periodo, Roma era la città più grande dell’Italia centrale. Pochi anni dopo l’episodio dei Galli, gli Equi vengono annientati; Tuscolo viene conquistata nel 381; e ancora Volsci ed Ernici furono costretti a cedere parte del loro territorio. Nel 354 aC cessò anche la resistenza di Tivoli e Preneste, due delle più potenti città latine. Il primo confronto con i Sanniti (343-341 aC) 354 aC: trattato con i Sanniti, che stabiliva il confine tra le rispettive zone di egemonia. I Sanniti occupavano un’area molto più vasta di quella all’epoca occupata da Roma: lungo la catena appenninica centro-meridionale. Il territorio del Sannio era però relativamente povero e incapace di sostenere una forte crescita demografica. Dal punto di vista politico, il Sannio era organizzato in pagi (cantoni), entro i quali si trovavano uno o più villaggi (vici). Le quattro tribù dei Carricini, Pentri, Caudini e Irpini formavano la Lega sannitica. Nel corso del V aC, alcune popolazioni staccatesi dai Sanniti avevano occupato le ricche regioni costiere della Campania, e alcune si erano riunite in una Lega campana, il cui centro principale era Capua. I contrasti politici tra Sanniti e Campani si vennero sempre più acuendo. La tensione sfociò in guerra aperta nel 343 aC, quando i Sanniti attaccarono la città di Teano, allora occupata dai Sidicini. I Sidicini durissime richieste (autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori strappati a Lucani, Sanniti e Bruzi). Roma era talmente in difficoltà che ci pensò, e rifiutò solo dopo l’intervento di Appio Claudio Cieco. Nuovo scontro in Apulia settentrionale, ad Ascoli Sartriano, nel 279. Pirro vinse ancora. Due battaglie (Eraclea 280, Ascoli Sartriano 279), ma non riusciva a concludere la guerra. Pirro accolse le domande di aiuto di Siracusa contro i Cartaginesi per il dominio della Sicilia. Proprio nel 279 Roma e Cartagine avevano stretto un trattato che prevedeva una mutua collaborazione in caso di attacco nemico. In Sicilia Pirro passò di vittoria in vittoria, ma non riusciva a concludere per vari motivi. Decise di lasciare incompiuta l’impresa e tornare in Italia, ma subì gravi perdite nella traversata. Lo scontro decisivo con le truppe romane avvenne nel 275 aC a Benevento: le truppe di Pirro vennero messe in fuga. Pirro non considerò conclusa la partita: lasciò una guarnigione a Taranto e tornò in Epiro. Morì nel 272. Lo stesso anno Taranto si arrese a Roma. 4. La conquista del Mediterraneo La prima guerra punica (264-241) Nel 264 aC Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina -> gli interessi di Roma in quest’area entrano per la prima volta in serio conflitto con quelli della vecchia alleata Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Mamertini, mercenari di origine italica che si erano impadroniti con la forza di Messina, suscitando l’ira del re di Siracusa Agatocle. I Mamertini accettarono l’aiuto di una flotta cartaginese (Cartagine non voleva che Siracusa si impadronisse di Messina). Una guarnigione cartaginese si installò a Messina e Ierone, il generale dei siracusani, fu costretto a tornare a Siracusa, dove venne proclamato re. I Mamertini però si stancarono presto della tutela di Cartagine e chiesero aiuto a Roma, dove iniziò un serrato dibattito se intervenire o no. Il problema principale era Cartagine e la sua potenza. Colonia fondata dai Fenici di Tiro a poca distanza dall’attuale Tunisi, era al centro di un vasto impero (dalle coste dell’Africa settentrionale a quelle della Spagna meridionale, dalla Sardegna alla Sicilia occidentale); regime oligarchico. Il dibattito verteva attorno a una clausola degli accordi Roma-Cartagine, che includeva la Sicilia nella sfera dell’egemonia cartaginese e la penisola italiana sotto quella di Roma. molti erano i motivi che scoraggiavano l’intervento. Eppure, far cadere nel vuoto l’appello dei Mamertini significava lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello Stretto e perdere l’occasione di mettere piede in Sicilia. Alla fine prevalsero queste motivazioni. I Romani riuscirono a respingere da Messina Cartaginesi e Siracusani, per l’occasione alleatisi. Il re Ierone però comprese che era un’alleanza innaturale per Siracusa, che poteva essere pericolosa, e concluse una pace con Roma, che lo lasciò in possesso di un ampio territorio nella Sicilia orientale. Siracusa si alleò con Roma, ma Cartagine era superiore per forze navali e conservava un saldo controllo in molte aree della Sicilia. A Roma si decise quindi di chiedere l’aiuto dei cosiddetti socii navales, in particolare le città greche dell’Italia meridionale. Clamorosa vittoria nel 260 nelle acque di Milazzo a opera del console Caio Duilio. A questo punto Roma pensò di attaccare Cartagine anche nei suoi possedimenti africani. 256 attacco e vittoria al largo di capo Ecnomo, un promontorio a est di Agrigento, e l’esercito romano sbarcò a capo Bon, in Africa. Le prime operazioni furono favorevoli per il console Mario Attilio Regolo, che però non seppe sfruttare i successi e fece fallire le trattative di pace per la durezza delle condizioni che voleva imporre. Nel 255 venne duramente battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario spartano Santippo. 249: a seguito della sconfitta nella battaglia navale di Trapani e di uno dei molti naufragi, Roma era ormai priva di forze navali e di mezzi per approntarne un’altra. D’altra parte i Cartaginesi non seppero approfittarne, mentre sulla terra furono costretti a limitarsi ad azioni di disturbo verso gli eserciti romani che assediavano Trapani e Lilibeo. Chiedendo un prestito ai suoi cittadini più facoltosi (prestito che sarebbe stato restituito in caso di vittoria), Roma allestì una nuova flotta, di 200 quinquiremi. Vittoria dei romani alle isole Egadi nel 241. Cartagine chiede la pace. Le clausole prevedevano tra l’altro lo sgombero dell’intera Sicilia e delle isole che si trovavano tra Sicilia e Italia (Lipari ed Egadi) e il pagamento di un indennizzo di guerra. La prima provincia romana La prima provincia romana di Sicilia non si estendeva per l’intera isola, esistevano ancora alcuni stati formalmente indipendenti, tra cui la Siracusa di Ierone. Rispetto alle altre province, in questo caso alle comunità (un tempo soggette a Cartagine) venne imposto il pagamento di un tributo annuale (parte del raccolto di cereali). L’amministrazione della giustizia, il mantenimento dell’ordine interno e la difesa da aggressioni esterne vennero affidati a un magistrato romano inviato annualmente nell’isola. Da questo momento il termine provincia, che originariamente indicava semplicemente la sfera di competenza di un magistrato, viene ad assumere progressivamente il significato di territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. Tra le due guerre Consolidamento delle posizioni delle due grandi avversarie, Roma e Cartagine. Per Cartagine gli anni successivi alla guerra furono drammatici: non erano in grado di pagare le truppe mercenarie che avevano combattuto i Romani, le quali si ribellarono. Si videro soffiare dai Romani anche la Sardegna, e non avevano la i mezzi per affrontare un nuovo conflitto, per cui si piegarono. La Sardegna divenne la seconda provincia romana dopo la Sicilia al di fuori della penisola. Dopo aver combattuto nel Tirreno, Roma si dedicò all’Adriatico. Risalgono a questo periodo la prima e seconda guerra illirica (tra il 229 e il 219): Roma contro i pirati illiri e la loro regina Teuta, che arrecavano danni considerevoli alle città greche della costa orientale dell’Adriatico. La seconda guerra illirica gettò le premesse per l’ostilità tra Roma e Macedonia. Espansione romana verso l’Italia settentrionale, richiamati da un’incursione dei Galli verso la colonia latina di Rimini. Galli annientati a Telamone nel 225 aC. Roma si rese conto di dover per forza conquistare la valle Padana per allontanare definitivamente la minaccia delle incursioni galliche. conquista di Mediolanum nel 222 e fondazione di varie colonie, tra cui Aquileia. Costruzione di una rete stradale: via Flaminia da Roma a Rimini (220), via Emilia da Rimini a Piacenza (187), via Postumia da Genova ad Aquileia (148). Intanto, Cartagine cercava di costruire una nuova base per la sua potenza in Spagna, guidata dal generale Amilcare Barca, da suo genero Asdrubale e da suo figlio Annibale. L’avanzata dei Barca destò l’allarme della città greca di Marsiglia e di Roma, sua alleata. Nel 226 aC un’ambasceria del senato concluse un trattato con Asdrubale, secondo cui gli eserciti cartaginesi non potevano superare a nord il fiume Ebro. La seconda guerra punica (218-201) Forte sentimento di rivincita di Cartagine contro Roma. Cartagine attaccò Sagunto, che chiese l’aiuto di Roma. L’intervento di Roma però non fu immediato, ma intrapreso solo quando ormai Sagunto era stata espugnata e Annibale si avviava a realizzare il suo disegno strategico. Intento di Annibale era isolare Roma dai suoi alleati, consapevole che nella prima guerra aveva vinto non per abilità dei suoi generali, ma per le cospicue forze militari messe in campo. Alla fine del 198, Filippo decide di avviare serie trattative di pace, a questo punto interrotte da Flaminino, che aveva saputo che il suo comando in Grecia era stato prolungato. Vittoria a Cinocefale, in Tessaglia. Condizioni di pace: ritiro di tutte le truppe macedoni dalla Grecia, consegna della flotta (eccetto 5 navi). Filippo può tuttavia conservare il suo regno in Macedonia, con disappunto degli alleati di Roma. E la Grecia, ora liberata dai Macedoni? In occasione dei Giochi Istmici del 196, Flaminino proclama l’autonomia e la libertà, anche dall’obbligo di versare tributi e ospitare guarnigioni, per gli Stati un tempo soggetti alla Macedonia. La guerra siriaca (192-188) Antioco III re di Siria attacca le città greche autonome dell’Asia minore e Roma protesta. I Romani, nonostante quanto dichiarato ai Giochi istmici, esitano a lasciare la Grecia, che inizia a diventare insofferente e sostiene di aver semplicemente cambiato padrone: dalla Macedonia a Roma. Guerra fredda Roma-Siria fino al 192, quando la Lega etolica invita espressamente Antioco III a liberare la Grecia dai suoi falsi liberatori. 191: vittoria di Roma alle Termopili. Antioco fugge in Asia Minore. 190: il console Lucio Cornelio Scipione (fratello dell’Africano) si prepara a invadere l’Asia Minore passando per Grecia, Macedonia e Tracia, forte del sostegno di Filippo. Nel frattempo Roma, con Pergamo e Rodi, sconfigge ripetutamente i siriaci sull’Egeo. Battaglia decisiva nei pressi della città di Magnesia e completa disfatta dei siriaci. 188: pace di Apamea. Enorme indennità di guerra, affondamento della flotta (tranne 10 navi) e consegna di alcuni nemici romani. Soprattutto, Antioco deve sgombrare tutti i territori a ovest e a nord del massiccio montuoso del Tauro. Le trasformazioni politiche e sociali 1. Processo degli Scipioni: Lucio Cornelio Scipione accusato di essersi intascato parte del bottino siriaco; poi l’Africano accusato di aver condotto trattative personali con il re di Siria. Processo ispirato certamente dalla grande figura politica emergente di questo periodo, Marco Porcio Catone. Colpendo l’Africano, Catone colpiva soprattutto una spinta verso l’individualismo, pericoloso per la nobilitas. 2. 180: legge Villia, che introdusse un obbligo di età minima per rivestire cariche di magistratura e un intervallo di due anni tra l’una e l’altra. 3. Diffusione in tutta Italia del culto di Bacco (soprattutto tra le classi inferiori). Intervento del Senato per stroncare i Baccanali: preoccupava soprattutto che i devoti di Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come uno Stato nello Stato, o meglio contro lo Stato romano. La terza guerra macedonica (171-168) Malcontento tra le fazioni democratiche in Grecia per la presenza romana e per il filo-aristocraticismo di Roma. 179: muore Filippo e gli succede il figlio Perseo, che subito suscita le simpatie delle città greche. Ogni suo gesto, anche non intenzionale, veniva interpretato come sfida verso Roma. 172: Eumene di Pergamo si presenta a Roma con un lungo elenco di accuse contro Perseo. 171: avvio operazioni militari. In realtà i comandanti romani si distinsero più che altro per le rapine commesse ai danni di molte città greche, il che aumentò i favori nei confronti di Perseo. 168: svolta – distruzione esercito di Perseo nella località macedone di Pidna dal console Lucio Emilio Paolo. Il re venne portato prigioniero a Roma e la monarchia abolita in Macedonia. La regione venne divisa in 4 repubbliche che non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro e dovevano versare un tributo a Roma. La Lega achea dovette consegnare 1000 persone di lealtà sospetta, che furono deportate in Italia: tra loro anche Polibio! La quarta guerra macedonica e la guerra acaica (150-146 ca) Molto tesi i rapporti Roma/Lega achea. Rivolta in Macedonia: un tale Andrisco si fece passare per figlio di Perseo, riuscì a prevalere sulle deboli milizie repubblicane e a riunire per un’ultima volta le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Dopo qualche successo, Andrisco venne eliminato nel 148 dalle forze del pretore Quinto Cecilio Metello. Il Senato si occupò quindi degli Achei, ordinando che dalla Lega fosse staccata Sparta, ma anche altre città come Argo e Corinto. L’assemblea della Lega decise per la guerra, che fu brevissima. Metello invase il Peloponneso. Corinto saccheggiata e distrutta (146). La Macedonia venne ridotta a provincia romana e tutte le leghe greche vennero sciolte. La terza guerra punica (149-146) Ancora nel 146 veniva distrutta Cartagine, un’altra città simbolo del mondo antico. Come mai? Dopo la fine della II guerra punica, Cartagine si era ripresa molto rapidamente. Nel 196, Annibale venne eletto a uno dei due posti di massimo magistrato. Un’ambasceria da Roma lo accusò di star preparando un’alleanza con Antioco III di Siria e fu costretto alla fuga in Oriente, mentre il governo cartaginese si profuse in assicurazioni di lealtà nei confronti di Roma. Continuano le dispute tra Cartagine e la Numidia di Massinissa. Cartagine chiede più volte a Roma di poterle dichiarare guerra, ma rimane sempre delusa. 151: alla fine un esercito venne inviato contro Massinissa. Mossa disastrosa: esercito fatto a pezzi. Oltre a ciò, Roma interviene per la violazione dell’accordo del 201, ancora una volta si distingue tra coloro che premono il vecchio Catone. 149: un imponente esercito sbarca in Africa. Lungo e difficile assedio. 146: Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio del vincitore di Pidna Lucio Emilio Paolo ma entrato per adozione nella famiglia degli Scipioni, riesce a porre termine all’assedio. Cartagine viene saccheggiata e rasa al suolo, e il suo territorio trasformato nella nuova provincia d’Africa. La Spagna Situazione complessa. 197: le due aree vengono organizzate nelle due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Spagna Ulteriore (sud). Le comunità spagnole soggette a Roma dovevano pagare lo stipendium e fornire truppe ausiliarie a Roma. Difficile invece la penetrazione di Roma verso l’interno (la completa sottomissione della Spagna sarà completata solo con Augusto!). Numerose le sconfitte, mai decisive le vittorie. Malcontento dell’esercito. 149: creato un tribunale speciale e permanente incaricato di giudicare il reato di concussione, la quaestio perpetua de repetundis, che tuttavia estende le sue competenze su tutti i casi di abuso di potere da parte dei governatori provinciali. 195: Catone inviato come console nella Spagna Citeriore. Procede alla sistematica sottomissione delle tribù della valle dell’Ebro, ma vittorie effimere. 180-178: Ti. Sempronio Gracco, governatore della Spagna Citeriore, adotta un atteggiamento differente: conciliatorio e volto a comprendere e rimuovere le Tiberio Gracco Membro della nobilitas, figlio di Tiberio Sempronio Gracco (trionfatore in Spagna), volle riprendere il tentativo di operare una riforma agraria nell’anno in cui era tribuno della plebe (133). Il suo progetto di legge, riprendendo le leggi Licinie Sestie, fissava un limite di 500 iugeri al suolo pubblico occupabile da un privato, con l’aggiunta di 250 iuger per ogni figlio. Un collegio di triumviri – eletto dal popolo e composto dallo stesso Tiberio, dal fratello Caio e dal suocero Appio Claudio Pulcro, che era presidente del senato e da molti ritenuto il vero ispiratore della proposta – avrebbe poi ripartito i lotti e recuperato i terreni in eccesso, da distribuire ai cittadini più poveri in piccoli lotti. Scopo principale della legge era tutelare e preservare un ceto di piccoli proprietari, anche per garantire una base stabile al reclutamento dell’esercito. I grandi proprietari terrieri si ritennero espropriati e decisero di opporsi. Così, il giorno in cui la proposta avrebbe dovuto essere votata, un altro tribuno della plebe, Marco Ottavio, oppose il suo veto, impedendone l’approvazione. Tiberio Gracco, dopo aver tentato inutilmente di convincerlo, chiese che venisse destituito. Venne dichiarato decaduto Ottavio e la legge Sempronia agraria fu approvata. Ma l’opposizione conservatrice non si placò, tanto che alla fine venne ucciso da un gruppo di senatori e avversari. Da Tiberio a Caio Gracco: la commissione agraria, Scipione Emiliano e gli alleati latini e italici La morte di Tiberio non pose fine all’attività dei triumviri. Fu però ben presto chiaro il malcontento degli alleati latini e italici e delle loro aristocrazie di grandi proprietari terrieri. Interprete delle loro lamentele si fece Scipione Emiliano. Morto improvvisamente e in circostanze misteriose Emiliano, gli successe Fulvio Flacco, membro dei triumvirato e divenuto console nel 125, il quale propose che tutti gli alleati che ne avessero fatto richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana. L’opposizione fu vastissima e Flacco preferì non insistere. Probabile sintomo dell’irritazione degli alleati furono varie rivolte di questo periodo: Asculum e soprattutto Fregellae, fino quel momento fedele alleata. Repressione durissima, Fregellae rasa al suolo. Caio Gracco Eletto tribuno della plebe nel 123 aC. Nel corso dei suoi due mandati consecutivi: (1) legge agraria: riprese e ampliò la riforma del fratello, con una proposta di istituzione di nuove colonie di cittadini romani, sia in Italia che nel territorio della distrutta Cartagine, perché gran parte delle terre dell’agro pubblico era già stata distribuita; (2) legge frumentaria che assicurò a ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato; (3) legge giudiziaria per limitare il potere del senato in questo campo, integrati da un cospicuo numero di cavalieri; (4) legge sul problema degli alleati: più moderata di quella di Fulvio Flacco, proposta di concedere ai Latini la cittadinanza romana e la cittadinanza di diritto latino agli Italici. Ma anche in questo caso amplissime ostilità. L’oligarchia senatoria si servì di un altro tribuno della plebe, Marco Livio Druso, che approfittando dell’assenza di Caio (in Africa) fece proposte di inusitata larghezza e gli rubò la popolarità. L’anno dopo Caio non venne rieletto tribuno. Per abbattere ogni suo residuo prestigio, alla fondazione della colonia cartaginese furono collegati presagi funesti e si propose che la deduzione fosse revocata. Caio e Fulvio Flacco provarono a opporsi alla votazione, ma scoppiarono gravi disordini. Il senato fece ricorso alla procedura del senatus consultum ultimum, con cui veniva sospesa ogni garanzia istituzionale e affidato ai consoli il compito di tutelare la sicurezza dello Stato con i mezzi che ritenessero necessari. Il console Lucio Opimio ordinò allora il massacro dei sostenitori di Gracco che avessero osato resistere. Flacco perì negli scontri, mentre Caio si fece uccidere da un suo schiavo. Smantellamento della riforma agraria Poiché le riforme dei Gracchi rispondevano a problemi reali, gli ottimati non osarono abolirle, ma ne ridussero gli effetti, soprattutto quelli della legge agraria. I lotti attribuiti furono dichiarati alienabili, sicché iniziarono a tornare nelle mani dei più ricchi; venne sospeso il processo di ridistribuzione; fu abolita la commissione di triumviri. Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana Prima del 133, Roma aveva ‘dedotto’ (ovvero non annesso, ma assunto la gestione diretta) sei province: Sicilia, Sardegna e Corsica, Spagna Citeriore, Spagna Ulteriore, Africa. La regolamentazione era affidata al magistrato attraverso deliberazioni, spesso definite (impropriamente) lex provinciae (non hanno infatti i requisiti né le caratteristiche della lex). • Asia: nel 133 il re di Pergamo Attalo III aveva lasciato il suo regno ai Romani. Il figlio si pose a capo di una rivolta che tenne testa ai Romani per tre anni. Alla fine la ribellione venne piegata e il territorio fu organizzato in provincia nel 126. • Gallia meridionale: fondata nel 123 Aquae Sextiae (da Caio Sestio Calvino) e nel 122-121 Narbo Martius (Narbona). • Baleari: conquistate nel 123. A Maiorca furono fondate le due colonie romane di Palma e Pollenzia. I commercianti italici e l’Africa; Giugurta; Caio Mario Giugurta è nipote e figlio adottivo di Micipsa, re dei Numidi succeduto a Massinissa. Guerra quando Giugurta vuole impadronirsi della parte di territorio che spettava a un altro figlio, Aderbale. Nel 112 assedia e conquista Cirta, facendo trucidare non solo il rivale, ma anche i Romani e gli Italici che vi risiedevano. Nel 111 Roma si vede costretta a scendere in guerra. Le operazioni vengono condotte in modo fiacco fino al 109, quando il comando viene preso dal console Quinto Cecilio Metello, del cui seguito fa parte, come legato, Caio Mario. Varie vittorie di Metello, ma non conclusione. Prende le redini Mario, nel frattempo nominato console: homo novus originario di Arpino, il primo della sua famiglia ad arrivare ai vertici dello Stato. Egli incarna un nuovo tipo di politico. L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina Già durante le sanguinose campagne militari spagnole c’erano state difficoltà nel reclutamento legionario, limitato ai soli cittadini iscritti nelle cinque classi censitarie. Per ovviare al problema si era via via diminuito il censo minimo per l’attribuzione dei cittadini alla quinta classe. Mario apre l’arruolamento volontario ai capite censi, cioè a coloro che erano iscritti sui registri del censo per la loro sola persona, senza alcun bene patrimoniale, dunque nullatenenti. Da questo momento diviene pratica regolare. Grazie soprattutto all’opera di Lucio Cornelio Silla, legato di Mario, Bocco, suocero di Giugurta, lo tradisce e lo consegna ai Romani. La Numidia orientale viene assegnata a un nipote di Massinissa fedele a Roma, mentre quella occidentale a Bocco stesso. Giugurta viene portato prigioniero a Roma e in seguito giustiziato. Mario viene rieletto console per il 104. Cimbri e Teutoni; ulteriori trasformazioni nell’esercito Cimbri e Teutoni sono due popolazioni germaniche che avevano nel frattempo iniziato un movimento migratorio verso sud. Furono affrontati al di là delle Alpi dal console Cneo Papirio Carbone. 113: I Romani subirono una disastrosa sconfitta a Noreia per alto tradimento i capi della ‘cospirazione italica’ e i cittadini romani loro complici. Il segnale delle ostilità partì da Ascoli, dove un pretore e tutti i Romani residenti vennero massacrati (90 aC). L’insurrezione si estese sul versante adriatico e nell’Appennino meridionale. Non aderirono Etruschi e Umbri, al pari delle città latine della Magna Grecia. Guerra lunga e sanguinosa. I Romani si trovarono a combattere contro gente armata e addestrata come loro. Gli insorti nel frattempo si erano dati istituzioni federali comuni, una capitale (Corfirium, nel Sannio, subito ribattezzata Itaica), una monetazione propria. Ma i loro scopi non erano totalmente unitari: in alcuni ambienti prevaleva l’obiettivo della cittadinanza, in altri lo spirito di rivalsa contro Roma. Sconfitte e distruzioni su entrambi i fronti. 90 aC: a Roma si autorizzarono i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini; approvata la lex Iulia de civitate, proposta dal console Lucio Giulio Cesare, che concedeva la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e a quelli che avessero rapidamente deposto le armi. 89 aC. lex Plautia Papiria, che estendeva la cittadinanza agli Italici che si fossero registrati presso il pretore di Roma entro 60 giorni; lex Pompeia, che attribuiva il diritto latino/cittadinanza romana agli abitanti dei centri urbani fino a nord del Po; Marco Porcio Catone muore negli scontri. Tali misure circoscrissero la rivolta. I successi maggiori vennero conseguiti da Strabone e Silla. Si inaugurava una nuova fase nella storia delle istituzioni di Roma, con ripercussioni civili importanti. I neocittadini, per esercitare i loro diritti, dovevano necessariamente recarsi a Roma per partecipare personalmente alle assemblee, il che contribuì ulteriormente a fornire alla città i tratti della grande metropoli. 2. I primi grandi scontri tra fazioni in armi Mitridate VI Eupatore Le zone dell’Oriente, soprattutto sulle coste del Mar Nero, a rischio. Nella penisola anatolica era costantemente in atto un forte frazionamento politico, e Roma, che lì aveva costituito la provincia d’Asia, vi aveva favorito la coesistenza di molti piccoli Stati dinastici, gelosi gli uni degli altri, limitandosi a vegliare che nessuno ne realizzasse l’unità. Intorno al 112 aC divenne re del Ponto Mitridate VI Eupatore. Riuscì a stabilire accordi con la vicina Bitinia e si impadronì della Colchide. Dal 104 aC il senato romano divenne molto attento alle sue mosse, e quando conquistò anche la Cappadocia, dopo il fatto di Saturnino e Glaucia Mario si recò presso di lui in una missione diplomatica di osservazione. Nel 92 aC Silla rimise sul trono della Cappadocia un re più gradito ai Romani. Approfittando della guerra sociale, Mitridate aveva ripreso la sua politica espansionistica, riprendendosi la Cappadocia e a Bitinia. Nel 90 aC, Roma inviò una legazione, capeggiata da Manio Aquilio, con l’incarico di rimettere sui loro troni i legittimi sovrani di Bitinia e Cappadocia. Uno di questi, Nicomede IV, si ritenne autorizzato a condurre scorrerie nel Ponto. Mitridate ne chiese soddisfazione ai Romani e, non ottenendola, si decise alla guerra contro i Romani. La sua azione si fondò su un’opera efficacissima di propaganda rivolta al mondo greco, al quale si presentò come sovrano filoelleno, sollecito al bene di tutti. Travolte le forze romane, fu ben presto padrone di tutta l’Asia. Ordinò un massacro enorme di Romani e Italici, anche donne e bambini. Tutto il mondo greco era con lui, solo Rodi rimase fedele a Roma. Nell’88 Roma affidò il comando della guerra a Lucio Cornelio Silla, uno dei consoli di quell’anno. Il tribunato di Publio Sulpicio Rufo e il ritorno di Mario; Silla marcia su Roma Intanto Publio Sulpicio Rufo, tribuno della plebe che era stato amico di Druso, si adoperava per privare Silla del comando della guerra e contemporaneamente riprendeva il problema dell’inserimento dei nuovi cittadini italici nelle tribù romane. Costretto a trasformare larghe masse di alleati in cittadini romani, il governo nobiliare aveva cercato di evitare che essi potessero sconvolgere i preesistenti equilibri politici. Ma la guerra sociale e le azioni di Mitridate avevano prodotto un impoverimento complessivo tanto dello Stato romano quanto dei singoli. Per farvi fronte, Sulpicio Rufo propose una serie di provvedimenti: il richiamo dall’esilio di quanti erano stati perseguiti per collusioni con gli alleati italici; un limite massimo di indebitamento di duemila denarii per ciascun senatore, oltre al quale ne sarebbe stata decretata l’espulsione dal senato. Fece infine approvare il trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Silla a Mario, che tornava così sulla scena politica. Appresa la notizia, Silla non esitò a marciare su Roma alla testa dei suoi soldati. Impadronitosi della città, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici pubblici. Sulpicio fu subito eliminato, Mario riuscì a stento a fuggire in Africa. Silla e la prima fase della prima guerra mitridatica 87 aC: Silla sbarcò in Epiro e, attraversata la Beozia, cinse d’assedio Atene, che venne presa e saccheggiata. Sconfisse poi nuovamente le truppe di Mitridate a Cheronea e poi a Orcomeno, in Beozia (86). Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario 87 aC: nuova marcia su Roma, questa volta da parte di Mario e di Lucio Cornelio Cinna, suo alleato, console di quell’anno che, cacciato da Roma, si era rifugiato in Campania dove era stato raggiunto da Mario. Silla venne dichiarato nemico pubblico, ci furono stragi e rappresaglie atroci. Mario fu eletto console per la settima volta, assieme a Cinna, per l’anno 86. Morì poco dopo senza essere entrato in carica. Nel frattempo un nuovo corpo di spedizione, mariano, era stato inviato contro Mitridate al posto di quello sillano, che non rappresentava più il governo di Roma. Cinna fu rieletto console di anno in anno fino all’84, promuovendo un’ampia opera legislativa. Fu definitivamente risolto il problema di come inserire i neocittadini nelle tribù (pochi in tutte e 35 o tutti in poche?), con l’immissione in tutte le 35 tribù; fu affrontato il problema dei debiti riducendone l’ammontare di ¾. Verso la fine dell’84, alla notizia dell’imminente ritorno di Silla, Cinna cercò di anticiparlo ammassando forze ad Ancona in vista di uno sbarco in Grecia, ma fu ucciso da una rivolta dei suoi stessi soldati. Conclusione della prima guerra mitridatica miseria e insoddisfatti. A capo della rivolta due gladiatori, Spartaco e Crisso, un trace e un gallo. La rivolta si estese ben presto a tutto il sud Italia. Ma tra i ribelli mancava totalmente un piano unitario e preciso: Spartaco intendeva condurli al di là delle Alpi, in modo che ognuno potesse raggiungere il proprio paese d’origine; altri preferivano abbandonarsi alla razzia e al saccheggio. Il senato inviò Crasso, che isolò Spartaco e i suoi in Calabria e poi sconfitti pesantemente in Lucania: lo stesso Spartaco cadde in battaglia (71). Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordinamento sillano (70 aC) Sia Pompeo che Crasso si candidano come consoli per il 70 aC, sebbene Pompeo non ne avesse i requisiti. Entrambi vennero eletti. Fu allora portato a compimento lo smantellamento dell’ordinamento sillano. Pompeo e Crasso restaurarono nella loro pienezza i poteri dei tribuni della plebe; il senato venne epurato di 64 membri giudicati indegni e ai senatori venne tolta nuovamente l’esclusiva sui tribunali permanenti. Pompeo in Oriente; operazioni contro i pirati; nuova guerra mitridatica Tra l’80 e il 70 in Oriente si erano riconsolidate due gravi minacce: i pirati e Mitridate. A causa dei pirati, il trasporto delle merci era divenuto sempre più difficile, rischioso e costoso. Nel 74 fu inviato contro i pirati Marco Antonio (padre del futuro triumviro), che fu sconfitto a Creta. Nel 69 le operazioni contro Creta furono affidate a Metello, che riconquistò l’isola l’anno seguente. Nel frattempo era diventata inevitabile una nuova guerra contro Mitridate: Nicomede IV aveva lasciato in eredità ai Romani la Bitinia, il che avrebbe lasciato loro pieno controllo dell’accesso al Mar Nero. Mitridate decise allora di invaderla. Furono inviati contro di lui Cotta e Lucullo. Lucullo occupò il Ponto, obbligando Mitridate e rifugiarsi in Armenia. Lucullo invase l’Armenia e si spinse oltre. La sua marcia fu però fermata da un duplice malcontento: i soldati, stanchi delle fatiche e dei disagi, si rifiutarono di proseguire; i finanzieri romani fecero pressioni perché fosse destituito. Mitridate ne approfittò per riprendere le ostilità. Nel 67 aC, come misura drastica contro i Pirati, a Pompeo venne affidato per tre anni un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo. Pompeo sbaragliò i pirati e, quelli prigionieri, li stanziò in piccole comunità rurali. Nel 66 aC si estese a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Sconfisse Mitridate, che si fece trafiggere per non cadere in mano ai Romani nel 63. Pompeo conquistò peraltro Siria e Palestina, impadronendosi di Gerusalemme e del suo Tempio (63). Nel 62 Pompeo rientrò a Roma, carico di gloria e di bottino. Trionfo totale. Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina Durante l’assenza di Pompeo da Roma, grave crisi. Lucio Sergio Catilina, discendente di una famiglia aristocratica decaduta, si era molto arricchito durante gli eccidi di età sillana, ma aveva dilapidato ingenti somme per mantenere un elevato tenore di vita. La sua campagna per ottenere il consolato nel 65 gli era costata una fortuna, ma all’ultimo la sua candidatura era stata respinta per indegnità. Tentò di rifarsi presentandosi alle elezioni per il 63, sostenuto politicamente ed economicamente da Marco Licino Crasso, al quale era già da tempo collegato un brillante ed emergente patrizio, Caio Giulio Cesare, vicino ai populares e imparentato con Mario e Cinna. Riuscì invece eletto console un homo novus di Arpino, Marco Tullio Cicerone, sostenitore di Pompeo, che nella campagna elettorale aveva attaccato la corruzione e la violenza di Catilina. Catilina elaborò un programma elettorale che pensava lo avrebbe fatto vincere senz’altro (cancellazione dei debiti), a favore degli aristocratici rovinati dalle dissipazioni. Abbandonato sia da Crasso che da Cesare, Catilina fu di nuovo battuto anche per il 62. Mise allora mano a un’ampia cospirazione che mirava a sopprimere i consoli, terrorizzare la città e impadronirsi del potere, ma il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che poté indurre il senato a emettere un senatus consultum ultimum e con un attacco durissimo (Prima Catilinaria) costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma. Acquisite le prove scritte della congiura, Cicerone poté arrestare cinque fra i capi della cospirazione. Il senato, trascinato da un emergente Marco Porcio Catone, che sarà detto l’Uticense (il pronipote del Censore, quello del processo agli Scipioni), si pronunziò per la pena di morte. Cesare fu il solo a insistere per il carcere a vita. Catilina cadde valorosamente combattendo, attaccato da un esercito consolare nei pressi di Pistoia. Cicerone si vantò per tutta la vita di aver salvato la patria da un pericolo mortale. Egitto; Cipro; Cirenaica Regno tolemaico d’Egitto aveva principalmente tre nuclei: Egitto, Cirenaica e Cipro. Buoni rapporti di amicizia e collaborazione con Roma, che lo avevano tenuto lontano dalle sue mire dirette. Alla morte di Tolemeo VIII (116 aC), contese per la successione al trono => ci si rivolse ripetutamente ai Romani come garanti. In questo quadro, vari testamenti che lasciavano i Regni ai Romani: 96 aC: a Roma venne lasciata la Cirenaica; 87 aC: Tolemeo X Alessandro I, in lotta col fratello maggiore, legò per testamento l’Egitto ai Romani. Gli unici Tolemei rimasti nell’80 aC erano due figli di Tolemeo IX, il maggiore dei quali venne proclamato dagli Alessandrini re d’Egitto, mentre il minore re di Cipro. Il problema egiziano divenne davvero attuale per Roma solo nel 64-63, quando Pompeo ebbe ridotto la Siria a provincia romana e regolato il territorio palestinese, da cui si era affacciato ai confini dell’Egitto, tanto che una proposta di legge agraria del 63 sembrava includere anche l’Egitto tra i terreni da assegnare. Nel 58 Roma rivendicò Cipro con conseguente annessione; Tolemeo XII, cacciato dall’Egitto da una sollevazione, si rifugiò a Roma ponendosi sotto la protezione di Pompeo. Nel 55 Aulo Gabinio lo riportò ad Alessandria con la forza. 3. Dal ‘primo triumvirato’ alle idi di marzo Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto ‘primo triumvirato’ I successi di Cesare erano dovuti in massima parte alla totale disunione delle tribù galliche, ma anche alla capacità di Cesare di adattare la sua tattica al tipo di combattimento. Alla fine del 57, comunicò al senato che la Gallia poteva ritenersi pacificata, anche se circa la metà del paese non era mai stata neanche attraversata. Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia Terminato l’anno come tribuno, Clodio era tornato privato cittadino, ma non aveva smesso di usare le sue bande come strumento di pressione. Uno dei suoi bersagli divenne ben presto Pompeo che, pentitosi per non essere intervenuto per difendere Cicerone e preoccupato per i crescenti successi di Cesare in Gallia, appoggiò chi si espresse per richiamare Cicerone, che nel 57 poté rientrare a Roma. Pompeo si trovò allora in una situazione di grave stallo politico. Non osava impegnarsi apertamente nei conflitti per non risultare sconfitto e perderne in autorità. Fu pertanto ben lieto di accettare l’incarico che gli conferiva poteri straordinari, della durata di 5 anni, per provvedere all’approvvigionamento di Roma (cura annonae). 56 aC: Cesare, dopo aver incontrato Crasso a Ravenna, si riunì con lui e Pompeo a Lucca, dove i tre si accordarono su questo progetto: il comando di Cesare in Gallia sarebbe stato prorogato per altri 5 anni, con un aumento a 10 del numero di legioni a sua disposizione; i tre si sarebbero impegnati perché Pompeo e Crasso venissero eletti consoli per il 55, dopodiché avrebbero ricevuto come province per 5 anni le due Spagne (Pompeo) e la Siria (Crasso). Tutto si svolse esattamente secondo i programmi. Tornato in Gallia, Cesare trovò la Bretagna in aperta rivolta, ma riuscì a sconfiggerli per mare grazie anche all’aiuto del suo legato Decimo Bruto. Sul fronte del Reno, due tribù germaniche avevano attraversato il fiume e vennero annientate. Nel 54, campagna militare in Britannia che potrò alla sottomissione di parecchie tribù della costa. La grande crisi si verificò nel 52. In Gallia centro-occidentale, sterminio di Romani a opera di Vercingetorige, re degli Arverni. Cesare si precipitò in pieno inverno in Arvernia dove pose sotto assedio il centro di Gergovia. Fu respinto e si ricongiunse alle forze del suo legato Labieno e insieme inseguirono Vercingetorige, che non volendo combattere si era rifugiato ad Alesia in attesa di rinforzi. Cesare fece cingere la città con due poderose linee di fortificazione: una interna per bloccare gli assediati, una esterna per bloccare i rinforzi. Lungo scontro both da assediante e assediato. Alla fine gli assalitori furono respinti e la piazzaforte costretta a capitolare. Vercingetorige si arrese e fu inviato prigioniero a Roma, dove nel 46 sarebbe stato fatto sfilare davanti al carro trionfale di Cesare e poi decapitato ai piedi del Campidoglio. Cesare provvide per proprio conto, senza attendere istruzioni dal senato, a dare un primo ordinamento alla nuova provincia (Gallia Comata). Crasso e i Parti 54: Crasso giunse in Siria e provò a inserirsi nella contesa dinastica allora in atto nel regno dei Parti. 53: sconfitti dai Parti in Mesopotamia; lo stesso figlio di Crasso cadde. Fu una delle sconfitte più gravi mai patite da Roma. Mentre si ritirava, Crasso fu preso e ucciso. L’accordo a tre perdeva così uno dei suoi protagonisti. Pompeo console unico; guerra civile tra Cesare e Pompeo 54-53: iniziarono a venir meno i vincoli politici e familiari che legavano Pompeo e Cesare. Nel 54 era morta di parto Giulia, a cui Pompeo era legato da tenerissimo affetto (tanto da declinare ulteriori alleanze matrimoniali con Cesare; si sarebbe poi sposato con Cornelia, la giovane vedova del figlio di Crasso); nel 53 era morto Crasso. Da questo momento, Pompeo si avvicinò sempre di più alla fazione anticesariana. Nel 53 non si era riusciti a eleggere i consoli e si propose, senza successo, di nominare Pompeo dittatore. 52: massimo dell’anarchia. Si affrontarono sull’Appia le bande di Clodio, che aspirava alla pretura, e di Milone, che aspirava al consolato. Clodio rimase ucciso e i suoi fautori ne celebrarono i funerali tra indescrivibili tumulti. Pompeo venne nominato console senza collega, e fece votare immediatamente leggi repressive in materia di violenza e di broglio elettorale. I nemici di Cesare ne avevano approfittato per rialzare la testa e per chiedere il suo rientro in anticipo e da privato cittadino, per metterlo sotto accusa per i modi brutali con cui aveva condotto la guerra (e persino sulla sua stessa legittimità). Il mandato di Cesare sarebbe scaduto alla fine del 49 secondo Cesare, mentre nel 50 secondo i suoi avversari. Per evitare ogni procedimento contro di sé, Cesare doveva rivestire immediatamente il consolato, e candidarsi rimanendo assente da Roma (privilegio che gli era stato attribuito ad personam grazie a una legge votata dai tribuni nel 52). Sempre nel 52, Pompeo aveva però proposto un provvedimento che prescriveva che dovessero trascorrere 5 anni tra una magistratura e una promagistratura (da cui però Pompeo stesso si era fatto dispensare). Dal 51 iniziarono le discussioni sul termine dei poteri di Cesare, una lotta a colpi di cavilli giuridici e interpretativi. Nel 50, un tribuno della plebe (Caio Scribonio Curione) propose che per uscire dalla crisi si abolissero tutti i comandi straordinari: sia quello di Cesare che quello di Pompeo. Il senato fu quasi unanimemente d’accordo. Del resto, Cicerone aveva scritto, nel De Repubblica e nel De Legibus, che fosse necessaria un’intesa civica fondata sul consenso della gente dabbene (consensus bonorum). 49: Cesare inviò una lettera in cui si dichiarava disposto a deporre il comando se anche Pompeo l’avesse fatto. I suoi avversari ottennero però che si ingiungesse a Cesare di porre fine unilateralmente alle sue cariche. Il senato votò senatus consultum ultimum, affidando a Pompeo e ai consoli il compito di difendere lo Stato. Vennero nominati inoltre i successori di Cesare nelle nuove province. 49: Cesare varcò il Rubicone, che segnava il confine tra Gallia Cisalpina e territorio di Roma [pomerium], dando così inizio alla guerra civile. Pompeo e buona parte dei senatori abbandonarono Roma e si rifugiarono in Oriente. Cesare non fece in tempo a raggiungerli. Alla fine del 49 rivestì la carica di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali, che lo elessero console per il 48. Nel frattempo, Pompeo si era stanziato a Tessalonica. Dopo essere stato assediato da Cesare, fu costretto a dargli battaglia. Scontro decisivo a Farsalo, in Tessaglia, nel 48. Disfatta pompeiana. Pompeo fuggì in Egitto, dove però era in corso una contesa dinastica e, giudicando i consiglieri del re pericoloso dare rifugio a Pompeo, lo fecero uccidere appena sbarcato. Arrivò anche Cesare in Egitto, dove si trattenne un anno per dirimere le lotte tra Tolemeo e Cleopatra. Cleopatra fu confermata regina assieme al fratello minore, e partito Cesare diede alla luce un figlio di lui, Tolemeo Cesare, che costituiva una garanzia della protezione di colui che si avviava a diventare il primo cittadino di Roma. Dopo aver combattuto il figlio di Mitridate in Ponto e i pompeiani rimasti in Africa, tornò a Roma. verso la fine del 47 fu costretto a partire per la Spagna, dove sconfisse i figli di Pompeo. Cesare dittatore perpetuo risuscitate le liste di proscrizione: una delle vittime più note fu Cicerone, che pagò a caro prezzo i suoi attacchi contro Antonio. 42 aC: divinizzazione di Cesare e istituzione del suo culto => Ottaviano divenne in tal modo Divi filius (figlio di un dio). 42 aC: battaglia di Filippi, in Macedonia: Antonio e Ottaviano contro Bruto e Cassio. Ottaviano in difficoltà; Cassio, battuto da Antonio e credendo (a torto) che anche Bruto fosse stato sconfitto, si tolse la vita; Bruto, sconfitto davvero, si suicidò anche lui. Tra proscrizioni e battaglia, l’opposizione senatoria più conservatrice era stata molto ridotta. Molte famiglie della più antica aristocrazia vennero dissolte. Al loro posto, una nuova aristocrazia, largamente composta da membri delle classi dirigenti municipali italiche, spesso provenienti dai ranghi dell’esercito. Mutamento radicale della composizione e della mentalità delle élite al governo: premessa indispensabile alla svolta imperialistica che avremmo avuto di lì a poco. Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco Il prestigio militare di Antonio era uscito molto rafforzato dallo scontro con i cesaricidi. Egli si riservò il comando su tutto l’Oriente, da cui intendeva conquistare il regno dei Parti come continuatore di Cesare. A Lepido l’Africa, Ottaviano le Spagne e le regioni dominate da Sesto Pompeo (Sicilia e Sardegna), oltre al compito di assegnare le terre ai veterani in Italia. Essendo rimasto poco agro pubblico, dovette colpire più che altro i piccoli e medi proprietari terrieri. Le proteste sfociarono in rivolta nel 41 aC. Gli insorti si barricarono a Perugia (41-40 aC), e dopo un lungo assedio la città fu espugnata. Profilandosi la possibilità di un avvicinamento tra Antonio e Sesto Pompeo, Ottaviano batte Antonio sposando Scribonia, la sorella del suocero di Sesto Pompeo. Antonio, preoccupato, tornò in Italia. I due si incontrarono a Brindisi, dove venne sottoscritta un’intesa: • Accordo di Brindisi, 40 aC: ad Antonio l’Oriente, a Ottaviano l’Occidente (esclusa l’Africa, per Lepido) e Antonio sposava Ottavia, sorella di Ottaviano. • Accordo di Miseno, 39 aC: in risposta alla reazione di Sesto Pompeo che, sentitosi escluso, aveva iniziato a bloccare le forniture di grano che arrivavano a Roma da oltremare. Antonio e Ottaviano lo incontrarono a Miseno, dove stipularono un accordo che prevedeva il riconoscimento del governo su Sicilia, Sardegna e Corsica da Ottaviano, a cui Antonio aggiunse il Peloponneso. • Accordo di Taranto, 37 aC: Antonio fece storie per la consegna del Peloponneso, allora Sesto riprese le scorrerie in Italia. Ottaviano ripudiò la moglie imparentata con lui. Sesto perse anche Sardegna e Corsica, e si scontrò con Ottaviano per la Sicilia. Ottaviano, sconfitto, fu costretto a chiedere aiuto ad Antonio, con cui stipulò un accordo a Taranto per ottenere rinforzi. Fu così rinnovato per altri 5 anni il triumvirato, scaduto alla fine del 38. In cambio dell’aiuto, Ottaviano avrebbe dovuto fornire legioni ad Antonio per la sua campagna partica. 37 aC: sconfitto Sesto Pompeo a Nauloco e a Milazzo grazie al porto militare fatto costruire da Marco Vipsanio Agrippa, console quell’anno e amico d’infanzia di Ottaviano. Sesto fuggì in Oriente, dove venne ucciso l’anno dopo. Lepido pretese per sé la Sicilia, ma le sue truppe lo abbandonarono, Ottaviano lo dichiarò decaduto dal triumvirato e gli prese l’Africa. Lepido si ritirò a vita privata. Al suo ritorno a Roma, Ottaviano fu coperto di onori: tra essi l’inviolabilità personale riservata ai tribuni della plebe che, in aggiunta all’imperium che deteneva come triumviro, costituì la base da lui scelta per fondare il principato. Ormai padrone dell’Occidente, gli mancava solo la gloria militare. Se la conquistò grazie anche ad Agrippa, con due anni di dure campagne contro gli Illiri in Pannonia e Dalmazia. Antonio in Oriente Anzitutto, pesanti tributi alle comunità dell’asia, accusate di aver sovvenzionato i cesaricidi. Si preoccupò poi di procurarsi degli alleati potenti tra principi e re orientali. Il regno più potente era l’Egitto, sotto il regno congiunto di Cleopatra e del figlio di Cesare, Tolemeo Cesare. La regina indusse Antonio a trascorrere l’inverno del 41-40 come suo ospite. Dalla loro unione nacquero due gemelli. Nel 40 aC i Parti invasero la Siria e dilagarono in Asia Minore e in Giudea. Antonio non poté reagire subito, perché in Italia dopo la guerra di Perugia, dove si trattenne fino al 39. Poi, sposata Ottavia, partì con lei verso Atene. Nel 39, il generale antoniano Basso riuscì a respingere i Parti dai territori provinciali romani; nel 38, divenuto governatore della Siria, li ricacciò al di là dell’Eufrate; nel 37 si aprì in Partia una crisi dinastica, di cui però Antonio non poté approfittare perché a Taranto per l’accordo. Dopo Taranto, tornò in Oriente, lasciando Ottavia in Italia. Ritrovò Cleopatra e riconobbe i figli avuti da lei. L’attribuzione di territori che erano stati romani a principi locali contribuirono a offrire non pochi elementi di sdegno, utile alla campagna diffamatoria che nel frattempo Ottaviano stava conducendo in Italia. 36: Antonio diede inizio alla grande campagna contro i Parti: invase il regno attraverso l’Armenia, da nord. Riportò gravi perdite. Nel 34 nuova invasione, ma riuscì a conquistare solo l’Armenia. 35: si è intanto consumata la definitiva rottura con Ottaviano, che non aveva dato tutte le legioni promesse a Taranto e usò la sorella Ottavia per tendere un tranello ad Antonio. Antonio celebrò la conquista dell’Armenia con una fastosa cerimonia ad Alessandria, confermando a Cleopatra e Tolemeo Cesare il trono di Egitto ed altri. Schiaffo morale per Ottaviano che era solo figlio adottivo di Cesare e si vedeva surclassato da quello naturale. Lo scontro finale; Azio Antonio non ebbe più tempo per intraprendere un’altra campagna partica. 32 aC: il triumvirato si avviava alla scadenza. I due consoli di quell’anno, antoniani, chiesero a Ottaviano la ratifica delle decisioni prese da Antonio in Oriente. Ottaviano ne impedì al senato l’approvazione. I due consoli si rifugiarono da Antonio, il quale ripudiò Ottavia. Rivelando ad arte un testamento in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra e attribuiva regni ai figli avuti con lei, Ottaviano ottenne che il triumviro venisse privato di tutti i suoi poteri e si presentò come difensore di Roma e dell’Italia contro una regina avida e infida. Intraprese dunque una sorta di guerra santa dell’Occidente contro l’Oriente (la dichiarazione di guerra venne formalizzata contro la sola Cleopatra). Lo scontro determinante avvenne nel Mar Ionio, dinanzi ad Azio, nel settembre del 31 aC, con una battaglia navale vinta da Agrippa per Ottaviano. Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto, ma Ottaviano lo prese e i due si suicidarono. L’Egitto fu dichiarato provincia romana. Nel frattempo anche Tolemeo Cesare era stato eliminato. IV PARTE L’Impero da Augusto alla crisi del III secolo [arco cronologico dal 29 aC, rientro di Ottaviano a Roma dopo Azio, al 192 dC, quando Commodo viene eliminato in una congiura, e gli succede P. Elvio Pertinace] intrapreso carriera politica e portavano il laticlavio, una larga striscia color porpora sulla toga. Nell’ultima fase della repubblica molti figli di cavalieri e senatori avevano portato il laticlavio senza essere davvero senatori. Augusto proibì l’uso del laticlavio ai figli dei cavalieri, mentre lo consentì ai figli dei senatori, che rimanevano cavalieri ma potevano segnalare la loro condizione. Infine, innalzò il censo minimo per entrare in senato a un milione di sesterzi. In taluni casi, era lui stesso a poter concedere il diritto a entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria (adlectio). In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius formato da famiglie senatorie ma non vincolato alla partecipazione effettiva al senato. I senatori detenevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le maggiori posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero era insufficiente, vennero impiegati anche membri dell’ordine equestre anche in ambito militare e in cariche amministrative. Roma, l’Italia, le province Roma – già contava quasi un milione di abitanti! L’opera di Augusto si può valutare su due piani: monumentale e della razionalizzazione dei servizi. Non diede particolare rilievo alla propria abitazione (sul Palatino). Accanto a casa fece costruire un tempio ad Apollo. Gli sforzi principali si concentrarono sul Foro romano, dove completò i programmi edilizi di Cesare. Vi fece costruire un tempio per Cesare divinizzato e costruì un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio di Marte Ultore. Edificò il Pantheon e il suo mausoleo al Campo Marzio. Davanti al mausoleo erano incise le Res Gestae. Furono costruiti e restaurati molti edifici pubblici. Quando assunse la cura annonae, riuscì a fronteggiare una grave carestia nel 22, distribuendo anche gratuitamente il grano. Creò un corpo di vigili del fuoco. Il governo di Roma era attribuito a un praefectus Urbi dell’ordine senatorio. Italia – non fu pressoché interessata da riforme amministrative. Le circa 400 città italiche godevano di autonomia interna, erano dotate di un proprio governo municipale e non pagavano imposta fondiaria. Augusto divise l’Italia in 11 regioni. I più importanti provvedimenti riguardarono l’organizzazione di un sistema di strade e un servizio di comunicazioni, soprattutto a scopo militare. Inoltre, numerose iniziative di rinnovamento edilizio nelle città (porte, strade, mura, acquedotti). Province – nelle province non pacificate (quelle di frontiera o di recente acquisizione) il governo era affidato ad appositi legati, i cd legati Augusti pro praetore. Nelle altre, quelle di competenza del popolo romano, i governatori erano sempre senatori, ma scelti a sorte tra i magistrati che erano stati pretori o consoli. In entrambe, Augusto poteva intervenire in virtù del suo imperium maius. Un’eccezione è l’Egitto, che era stato assegnato a un prefetto di rango equestre nominato da Augusto. L’Egitto rimase l’unica grande provincia governata da un prefetto equestre. L’esercito, la ‘pacificazione’ e l’espansione Esercito - Come pagare i veterani? In un primo tempo, terre. Successivamente, denaro ottenuto dalla creazione di una cassa speciale, finanziata con i proventi di una tassa apposita sull’eredità. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato in linea di principio a volontari. L’esercito era formato da professionisti che restavano in servizio per venti o più anni. Istituzione di una guardia pretoriana permanente, affidata al comando di un prefetto di rango equestre. ‘Politica estera’ – le acquisizioni territoriali vere e proprie furono limitate. Gesto dall’alto valore simbolico: chiusura del tempio di Giano (circa 10 aC), per indicare che iniziava una stagione di pace. Preferì affidare alla diplomazia, piuttosto che alle armi, le questioni orientali. Trattative diplomatiche in Egitto (accordo con gli Etiopi per estensione confini meridionali Egitto), con i territori vicini al regno partico (poi definiti ‘regni clienti’ per rapporti di amicizia con Roma). Il vero teatro degli scontri militari del principato di Augusto fu l’Occidente, soprattutto penisola iberica, che fu finalmente pacificata, e nell’area alpina occidentale. Ma fu sul confine renano e danubiano che gli eserciti romani furono impegnati a lungo e i confini furono ampliati mediante l’occupazione di nuovi territori. Insuccesso che Augusto non riuscì a mascherare con la sua propaganda: la mancata sottomissione della Germania a oriente del Reno. La successione I particolari poteri acquisiti via via, che ne rappresentano l’auctoritas, non costituivano una vera e propria carica a cui qualcuno potesse succedere, né potevano essere trasmessi dinasticamente. Augusto non aveva figli maschi, solo una femmina. Prima mossa di Augusto fu di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina (Venere ed Enea) e sottolineandone il carattere romano tradizionale (gens della nobiltà gentilizia). L’erede avrebbe ricevuto non solo il patrimonio privato, ma anche una sorta di prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e alla res publica. Primo tentativo di inserire un discendente maschio nella famiglia fu con Marcello, che però morì nel 23. Il secondo fu Agrippa, che a sua volta sposò Giulia e ricevette imperium maius e potestà tribunizia. Nel 17 Augusto adottò i figli dei due, preparandoli a una eventuale successione al padre. Ma nel 12 Agrippa morì. I nipoti erano troppo giovani, allora Augusto si rivolse ai figli della terza moglie Livia, Tiberio e Druso. Tiberio dovette divorziare e sposare Giulia. Ricoprì due volte il consolato e ricevette la potestà tribunizia, ma poi si ritirò dalla vita politica. Nel frattempo morirono giovanissimi i due figli di Agrippa. Nel 2 dC Tiberio tornò a Roma e si separò da Giulia, con cui non era mai andato d’accordo, per i suoi costumi licenziosi (coolpita da uno scandalo a causa dei suoi amanti, fu condannata all’esilio dal padre, per testimoniare come anche la figlia fosse soggetta alla legislazione moralizzatrice che aveva introdotto nello Stato). Augusto pretese che Tiberio adottasse Germanico, il figlio di Druso. Così fece, e gli vennero nuovamente conferiti imperium, potestà tribunizia etc etc. alla morte di Augusto, aveva già pari potere e carisma. L’organizzazione della cultura Anche mediante la cultura e il coinvolgimento degli intellettuali Augusto celebrava la sua auctoritas e il suo carisma. Cultura per fini propagandistici. • Adesione degli intellettuali al suo programma: Tito Livio, Virgilio canta la pace e la sicurezza del regno di Augusto, e nell’Eneide celebra Enea come antenato di Augusto. L’adesione degli intellettuali al programma di Augusto si doveva in gran parte a Mecenate, che riuscì a legare poeti e artisti agli ideali della politica augustea e a coniugare il fiorire di una raffinata letteratura basata sui modelli di quella greca con l’adesione ai tradizionali valori romani e italici. Ma sappiamo dell’esistenza anche di voci dissidenti, come l’antoniano Asinio Pollione o lo storico greco Timagene. Ovidio, che fece parte del circolo di Mecenate, non era in linea con la legislazione moralistica di Augusto. • Celebrazione di ricorrenze particolari e istituzione di un vero e proprio culto della sua persona: il suo nome era inserito nelle preghiere del collegio sacerdotale dei Salii, il suo compleanno era celebrato pubblicamente ed era prescritto che al suo Genio dovesse essere reso omaggio anche privatamente. Istituzione di un vero e proprio culto dell’imperatore nelle province orientali, celebrato congiuntamente a quello della dea Roma. in occidente, dedicati templi e altari al Genio di Augusto, ma non direttamente alla sua persona. CURSUS HONORUM SENATORIO IN Età IMPERIALE Germanico. Iniziò un periodo di grandi spettacoli e ambiziosi piani edilizi, che esaurì a breve le riserve finanziarie lasciate da Tiberio. Molto più freddo l’atteggiamento del senato, che lo vedeva come un tiranno folle e interessato al suo potere personale più che al governo. Le fonti attribuiscono alla malattia mentale di Caligola la sua inclinazione verso forme di dispotismo orientale e l’ondata di esecuzioni. In politica estera, ripristinò in Oriente un sistema di Stati cuscinetto. Conflitto con gli Ebrei: l’imperatore volle porre una propria statua nel Tempio di Gerusalemme, richiesta che aveva sollevato violenti conflitti. Nel 41 dC cadde vittima di una congiura organizzata dai pretoriani. La sua morte evitò che scoppiasse il conflitto in Giudea e pose fine ai dissidi nelle città orientali. Importante fonte è lo storico ebreo Flavio Giuseppe e il filosofo ebreo Filone di Alessandria. Il breve principato di Caligola costituisce un episodio premonitore dei rischi inerenti alla struttura stessa del principato: involuzione autocratica e assolutistica. Claudio (41-54 dC) Zio di Caligola. Neanche lui ebbe il favore delle fonti antiche, che ce lo presentano come uno sciocco e un inetto, dedito a manie erudite. Malgrado il suo rispetto per il senato, la necessità di una razionalizzazione del governo indusse Claudio a una significativa riforma: divisione dell’amministrazione centrale in 4 grandi uffici, a capo dei quali furono chiamati dei liberti (tanto che il suo governo viene ricordato come ‘regno dei liberti’). Costruì il porto di Ostia. Riammodernamento delle distribuzioni di grano (responsabilità tolta al senato e data al prefetto dell’annona). Nuovo acquedotto e bonifica della piana del Fucino. Intensa opera nelle province: fondazione di colonie, concessione di cittadinanza. Guerra in Mauretania (avviata da Caligola con l’uccisione immotivata del loro re): vi pose fine e divise il regno in due province. Ristabiliti i privilegi delle comunità ebraiche e tutela al tempo stesso delle istituzioni delle poleis greche, in modo da evitare conflitti tra i due gruppi. 43 dC: l’impresa militare più rilevante, ovvero la conquista della Britannia meridionale. 49 dC: decreto di espulsione degli Ebrei da Roma per il mantenimento dell’ordine. Regno caratterizzato da intrighi di corte: aveva sposato in terze nozze la dissoluta Messalina, da cui ebbe un figlio, Britannico. Accusata di tramare contro il marito, fu messa a morte nel 48. Allora Claudio sposò la nipote Agrippina, che riuscì a fargli adottare il figlio avuto dal suo precedente matrimonio. Nel 54 Agrippina non esitò ad avvelenare Claudio pur di assicurare al figlio la successione al trono. La società imperiale La schiavitù era divenuta un fenomeno caratteristico della società e dell’economia a partire dalla tarda Repubblica. Grandi quantità di schiavi erano impiegati nell’agricoltura, anche se in età imperiale il fenomeno andò diminuendo perché vennero impiegati coloni liberi. Notevole presenza anche di schiavi domestici. Una categoria molto importante è quella egli schiavi imperiali, la familia Caesaris, impiegati nella gestione finanziaria e amministrativa del patrimonio imperiale, organizzati secondo vere e proprie gerarchie. Spesso ricchi, ma ciò non era legato allo status giuridico. Il liberto è lo schiavo che riesce ad acquistare la libertà con il suo patrimonio personale. Rimaneva legato al suo ex padrone da un rapporto di clientela e spesso anche di prestazioni di lavoro. Rappresentarono il ceto economicamente più attivo in vari settori. Grande spirito di iniziativa e grandi possibilità di avanzamento sociale. I provinciali liberi era una categoria che comprendeva gli abitanti delle poleis greche, i nomadi del deserto, gli abitanti della Britannia etc. L’imperatore poteva intervenire nelle questioni interne relative ai vari gruppi cittadini. Poteva anche concedere la cittadinanza romana a singoli individui. Una volta ottenuta la cittadinanza, anche per i provinciali, il passo successivo era l’accesso ai due ceti dirigenti, ordo senatorius e ordo equester. L’esercito fu uno dei più importanti fattori di promozione sociale nel corso dell’età imperiale. I veterani arrivavano pian piano anche alle magistrature locali. Nerone (54-68 dC) Al 55 risale il De Clementia, un trattato composto dal filosofo e precettore di Nerone, Anneo Seneca: un programma di governo e un manifesto teorico per Nerone. Già qui l’ideologia augustea appare completamente superata: secondo Seneca, da Augusto in poi la res publica è nelle mani di una sola personalità, il potere e la ricchezza sono assoluti e dono degli dèi e implicano per il princeps virtù e clemenza alla base di ogni sua azione. In un primo tempo Nerone si lasciò guidare da Seneca e dal prefetto del pretorio Afranio Burro, cercando di collaborare con il senato. Ma progressivamente svolta assolutistica, dispotica autocratica. Vena artistica e inclinazione culturale. Interesse per la cultura greca. Fu sempre considerato un imperatore vicino alla plebe, che ne apprezzava l’istrionismo e la demagogia. Gravi delitti: l’assassinio del fratellastro Britannico, la madre Agrippina (che ostacolava la sua relazione con Poppea e il suo divorzio da Ottavia, figlia di Claudio). 64 dC: incendio di Roma, di cui furono incolpati i cristiani. I tempi erano maturi per la sua eliminazione. I costi di ricostruzione furono così alti da causare una grave crisi finanziaria, che provocò una forte perdita di consenso. Nerone cercò di rimediare alla crisi con una importante riforma monetale: riduzione di peso e di fino della moneta d’argento, il denario, la moneta principale del mondo romano. Il denaro gli serviva anche per finanziare la costruzione della domus aurea, la sua residenza, chiamata così per questo. Grave ribellione nelle province: Britannia nel 60 dC, in Giudea nel 66, dove si ebbe una violenta ribellione contro i romani a causa delle requisizione di parte del tesoro del Tempio. 65: Nerone minacciato da una grave congiura, la ‘congiura dei Pisoni’, dal nome di uno dei cospiratori (Calpurnio Pisone), ma che coinvolse vari strati dell’élite dirigente. Ne patì le conseguenze, tra gli altri, anche Seneca. Politica estera: qualche successo significativo sul fronte orientale (l’Armenia viene riconquistata). Partì poi per la Grecia in tournée artistica e agonistica. Vinse premi a tutte le gare e ai giochi di Corinto proclamò la libertà delle città greche. In Giudea era scoppiata una gravissima ribellione, contro cui Nerone aveva mandato Muciano, il legato di Siria, e Vespasiano, comandante delle truppe in Giudea. Vespasiano riesce a riportare ordine in Palestina. Nel frattempo, una catena di sollevazioni e rivolte. Nerone abbandonato anche dai pretoriani. Il senato lo dichiarò nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba. A Nerone non restava altro che il suicidio. La sua fine segna anche quella della dinastia giulio-claudia. 3. L’anno dei quattro imperatori e i Flavi Anche lui sposta alcuni incarichi amministrativi dai liberti al ceto equestre, e si preoccupò di reprimere gli abusi dei governatori. 83 dC: campagna in Germania contro i Chatti, dopo la quale fu segnata la linea esterna di confine oltre il Reno attraverso la costruzione di imponenti opere difensive. Si inaugurò un sistema di difesa dei confini. La parola limes, che nel I secolo designava le strade che si inoltravano in territori non ancora conquistati, significa ora frontiera artificiale, confine tra Impero e territori esterni. 85 dC: si profilò il problema della Dacia (attuale Romania), dove il re Decebalo aveva unito le varie tribù e le stava guidando contro il territorio romano. Due campagne, la prima persa e la seconda non risolutiva a causa della rivolta di Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperator dalle sue legioni. Pace provvisoria. Decebalo dovette concludere un foedus (trattato), in cui accettava di dipendere dall’Impero romano, ricevendo in cambio del denaro. La rivolta di Saturnino fu domata dal legato della Germania Inferiore, ma ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che continuando a sentirsi minacciato inaugurò un periodo di repressioni e persecuzioni, eliminando chiunque fosse sospettato di tramare contro di lui. Anche qui (dopo Caligola e Nerone) svolta autocratica. Domiziano prese a farsi chiamare ‘signore e dio’. Nel 96 cadde vittima di una congiura, cui partecipò forse anche sua moglie. Il senato, dopo la sua morte, giunse a proclamare la damnatio memoriae, cioè a decretare che fossero abbattute tutte le sue statue, cancellato il suo nome dalle iscrizioni e distrutto ogni suo ricordo. Di conseguenza, storiografia rimasta è solo quella ostile (soprattutto Tacito e Plinio il Giovane). Il sorgere del cristianesimo Viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo. Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla predicazione di Gesù e alla diffusione del suo messaggio e dell’annuncio della sua resurrezione. Il cristianesimo primitivo iniziò come un movimento all’interno del giudaismo, in un periodo in cui gli Ebrei già da tempo si trovavano sotto la dominazione straniera. Tra i diversi gruppi religiosi in cui il giudaismo si era articolato tra la fine del I aC e l’inizio del I dC si distinguevano gli aristocratici e conservatori (sadducei) e i più popolari e liberali (farisei), a cui si aggiunse poi la comunità degli esseni, un gruppo che viveva isolato e conduceva un’esistenza rigorosa (furono gli esseni a produrre i manoscritti noti come ‘rotoli del Mar Morto’, scoperti a Qumran verso la metà del 1900). Gli zeloti erano invece un partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma, i cui tentativi non fecero che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione delle due grandi rivolte ebraiche contro i Romani (66-70 dC, con la caduta del Tempio di Gerusalemme; 132-135 dC, quando fu rasa al suolo Gerusalemme stessa). Per la maggior parte degli Ebrei si trattava dunque di scegliere tra farisei e cristianesimo. Il piccolo gruppo dei seguaci di Gesù si dedicò alla predicazione tra le comunità ebraiche in Palestina e nelle grandi città dell’Impero: Antiochia, Efeso, Cartagine, Roma, e nelle regioni orientali, dominate invece dai Parti. Nel I secolo la figura che si impone sulle altre è quella dell’apostolo Paolo di Tarso, Saulo. Era stato uno zelante fariseo, persecutore della prima ecclesìa (comunità dei fedeli), ma si convertì e rappresentò la principale testimonianza del Vangelo tra i non Ebrei. Dalle sue lettere emerge la necessità di una rottura radicale con il conservatorismo giudaico. Dal II secolo le comunità si organizzarono guidate da un singolo responsabile, detto episcopus. L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere tra i vari movimenti, considerandola un problema di nazionalità più che di religione. • Augusto aveva consentito a tutte le comunità ebraiche dell’Impero di poter conservare i propri costumi => queste comunità non si erano mai assimilate al resto della cittadinanza. In diverse occasioni furono avvertite come elemento estraneo. • Sotto Tiberio furono espulsi da Roma assieme ai seguaci dei culti egizi. • Caligola, attraverso la pretesa del culto della sua persona vivente e di mettere la sua statua nel Tempio, aveva provocato una crisi gravissima nei rapporti con gli Ebrei e tra questi e i Greci. • Claudio ristabilì i privilegi garantiti da Augusto, ma anche lui cacciò gli Ebrei da Roma nel 49, probabilmente a causa di un cristiano. Per la prima volta ebrei e cristiani vennero accomunati. • A partire da Nerone divenne evidente il contrasto tra autorità imperiale e nuova religione, che non poteva integrarsi in alcun modo con quella tradizionale e con il culto imperiale. Clima di sospetto, di cui Nerone approfittò per incolparli dell’incendio del 64. In questa persecuzione trovarono la morte Pietro e Paolo. Gli ultimi anni di Nerone videro una nuova rivolta degli Ebrei in Palestina, sobillata dagli zeloti e da una vasta attesa messianica. • Dopo che Vespasiano e Tito ebbero stroncato la rivolta, distrutto il Tempio etc, non furono poste limitazioni al culto che continuò sia in Palestina che nella Diaspora. • Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano, che li fece perseguitare. Preziosa testimonianza dall’epistolario di Plinio il Giovane, che mentre è governatore della Bitinia chiede all’imperatore Traiano come comportarsi con le comunità cristiane. Gli viene risposto che i cristiani non dovessero essere ricercati, ma puniti solo se espressamente denunciati. Le denunce anonime non andavano però prese in considerazione e chi, pur denunciato, affermava di non essere cristiano e ne dava prova sacrificando agli dèi, non andava perseguito. Atteggiamento moderato dell’autorità imperiale. Nel II secolo il cristianesimo mise radici salde in tutto l’Impero e non poteva più essere ignorato dall’autorità. Celebre il caso dei ‘martiri di Lione’, condannati a morte sotto Marco Aurelio. Ancora nel II secolo nascono scritti in difesa del cristianesimo (es Tertulliano), che miravano a far conoscere e accettare la propria fede all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero. 4. Il II secolo Il II secolo è tradizionalmente considerato come l’età più prospera dell’Impero romano: ormai saldo nei suoi confini, notevole sviluppo economico e culturale. Nella successione, ora al consanguineo è preferito colui che dà maggiori garanzie di sapere meglio governare, il che contribuì non poco alla ordinata amministrazione dell’Impero. È un passaggio non indolore: l’adozione di Traiano da parte di Nerva avvenne in uno stato di grave necessità, quando la dichiarata fedeltà dei pretoriani a Domiziano sembrava far sì che nel 97 si ripetessero per Roma i giorni delle guerre civili del 69. L’adozione fu subito accolta favorevolmente da parte dell’aristocrazia senatoria: il Panegirico, opera di Plinio il Giovane, pronunciato nel 100 è il segno eloquente del consenso verso il nuovo regime. Nerva (96-98 dC) Gerusalemme della colonia di Aelia Capitolina). Violentissima e spietata repressione. Adriano trascorse dunque 12 dei suoi 21 anni di Impero fuori da Roma e dall’Italia, e diventò esperto conoscitore delle varie amministrazioni e giurisdizioni locali. Si adoperò per una efficiente amministrazione della giustizia e riorganizzò il ceto equestre, di cui percepiva l’importanza. Come successore scelse il console del 136, Lucio Elio Cesare, che adottò. Lucio Elio però morì prematuramente, allora la sua scelta si indirizzò verso un senatore della Gallia Narbonense, Arrio Antonino, il quale a sua volta adottò il figlio di Lucio Elio e un nipote della propria moglie, il futuro Marco Aurelio. Antonino Pio (138-161 dC) All’insegna della continuità con il suo predecessore. Differenza è che non fece grandi viaggi attraverso l’Impero (già da senatore aveva privilegiato incarichi amministrativi più che militari). Periodo sostanzialmente privo di grandi avvenimenti, segno della prosperità dell’Impero: rapporti buoni con il senato (da cui riuscì, con qualche difficoltà, a far divinizzare Adriano); fu un coscienzioso e parsimonioso amministratore. Per sua volontà il vallo di Adriano in Britannia fu avanzato nella Scozia meridionale (vallo di Antonino). Lo statuto delle città Nell’era di Antonino Pio, l’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo e del consenso presso le élites cittadine e provinciali. Due elementi che caratterizzano la natura dell’Impero: (1) processo di integrazione dei ceti dirigenti provinciali, con conferimento della cittadinanza; (2) valore attribuito alla vita cittadina, nella quale la cultura greca trovava la sua più compiuta espressione. La città rappresentava il segno distintivo della civiltà rispetto alla rozzezza e alla barbarie. Nell’Impero romano, grande varietà di tipologie cittadine e grande diversità di statuti. Civitates in occidente e poleis in oriente erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali: 1. Città peregrine, ie quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione all’interno dell’Impero. Si distinguono, a seconda del loro status giuridico, in: città stipendiarie; città libere; città libere federate. 2. Municipi: città peregrine con status più elevato. Agli abitanti è concesso il diritto latino o quello romano. 3. Colonie: città organizzate a immagine di Roma, fondate da coloni che godono della cittadinanza romana. Struttura gerarchica, quindi. L’integrazione dei provinciali nell’Impero poteva avvenire per gradi oppure con il riconoscimento di uno statuto superiore, accordato a singole città o a intere regioni. Le città costituivano inoltre il punto di riferimento delle attività economiche e culturali e fungevano da raccordo tra Roma e le disperse realtà locali dell’Impero. Marco Aurelio (161-180 dC) Appena salito al trono, divise il potere con il fratello adottivo Lucio Vero. È il primo caso di ‘doppio principato’ nella storia imperiale romana. Si riapre il contenzioso con i Parti: 166 dC, vittoria della guerra, condotta da Vero, ma fu causa indiretta della crisi che travagliò l’Impero negli anni successivi. Infatti l’esercito tornato dall’Oriente portò con sé la peste, con pesantissime conseguenze economiche e demografiche. Inoltre, lo sguarnimento della frontiera settentrionale consentì ai barbari del Nord, soprattutto Marcomanni e Quadi, di farsi pericolosi: invasero Pannonia, Rezia e Norico e giunsero persino ad Aquileia, minacciando l’Italia. Come risposta a questa situazione d’emergenza si creò la praetentura Italiae et Alpium, la difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi. Morto Lucio Vero, Marco Aurelio riuscì a ristabilire la situazione preesistente e a respingere i barbari a nord del Danubio solo nel 175 dC. 175 dC: rivolta del governatore di Siria Avidio Cassio, che si autoproclamò imperatore. Fu ucciso dalle sue stesse truppe. Marco Aurelio, seguace della dottrina stoica e autore di A se stesso, un’opera di riflessione morale, è passato alla storia come l’immagine stessa dell’imperatore-filosofo. Con lui si ritornò alla prassi della successione dinastica, ma non va interpretato come un segno di debolezza, anche se il figlio Commodo non si rivelò all’altezza. 177: cruento episodio di persecuzione contro i cristiani a Lione. In occasione dei giochi gladiatori, sotto la pressione popolare, i magistrati locali inflissero questo supplizio ad alcuni cristiani (i ‘martiri di Lione’). Commodo (180-192 dC) Divenne imperatore a soli 19 anni e si dimostrò la perfetta antitesi del padre e [oltre Caligola, Nerone, Domiziano] segno della sempre possibile degenerazione autocratica del potere. Inclinazioni dispotiche, stravaganza etc. inevitabili le rotture con il senato, di cui perseguitò numerosi membri. Dal 182 al 185 il governo fu di fatto in mano al prefetto al pretorio Tigidio Perenne. Quando questi fu ucciso, nel 185, il suo posto fu preso da un liberto, Cleandro, che si fece nominare prefetto al pretorio senza aver percorso le precedenti tappe della carriera equestre. Cleandro rappresentava il nuovo potere del Palazzo rispetto allo Stato, e approfittò del disinteresse di Commodo per le istituzioni per vendere varie magistrature. La necessità di rimpinguare le casse dell’imperatore, prodigo di lussi, fu anche alla base di processi di tradimento, con conseguenti confische di beni. 190: grave carestia che colpì Roma e fece cadere il potere di Cleandro. Tra il 190 e il 192, anno della sua morte, Commodo lasciò il governo a un altro cortigiano, Eclecto, e al prefetto al pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che avrebbe posto fine al regime. Disinteresse per le province e per gli eserciti. Consenso interno fondato sulla plebe e sui pretoriani, piuttosto che sull’aristocrazia e sul senato. Aspetti positivi: integrazione e accoglimento di molte divinità straniere. Commodo stesso di propose però come divinità in terra. senso filosenatorio, Didio Giuliano cerco di sostenersi appoggiando le richieste dei pretoriani. Si capì subito che la vera lotta per il potere riguardava chi aveva il controllo delle forze militari più ingenti. La competizione era ristretta tra il legato della Pannonia Settimio Severo, il governatore della Siria Pescennio Nigro e il governatore della Britannia Clodio Albino. Settimio Severo – generale africano originario di Leptis Magna (attuale Libia), ottenne la vittoria decisiva sui rivali nel 197 e mosse con i suoi soldati direttamente alla volta di Roma. impadronitosi del potere, diede vita a una dinastia che resse le sorti dell’Impero fino al 235, con M. Aurelio Antonino, detto Caracalla (per il cappuccio che indossava sulla tunica) (211-217), Elagabalo (218-222) e Alessandro Severo (222-235), con un breve intervallo rappresentato dal regno di Macrino (217-218). Inizia con Settimio Severo quella che viene definita una ‘monarchia militare’: l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti. Si rivolge subito verso i Parti, che minacciavano la frontiera orientale. Nel 198 rase al suolo la capitale nemica, Ctesifonte. La frontiera romana venne portata al Tigri, ma gli obiettivi di Settimio erano soprattutto propagandistici. Prese forma il suo progetto dinastico: l’esercito proclamò Augusto il figlio maggiore, Antonino detto Caracalla; il figlio minore, Geta, fu proclamato Cesare. I due avrebbero dovuto regnare in concordia, ma non fu così. Anni successivi Settimio amministrò Roma bene. Sotto di lui aumentarono i privilegi dell’esercito. 208: spedizione in Britannia per difesa dei confini dai Caledoni. 211: Settimio morì a York, raccomandando ai figli di andare d’accordo. Altra diarchia dunque, Caracalla/Geta, ma di breve durata perché Caracalla, violento e ambizioso, non esitò a far uccidere il fratello. Caracalla – 212, Constitutio antoniniana o editto di Caracalla: concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero a eccezione dei cosiddetti dediticii (ovvero ‘coloro che si sono arresi’, ovvero i sudditi, forse i barbari non ancora assimilati). Ragioni alle spalle sono di tipo sociale, ma anche fiscale (aumentava così infatti il numero dei contribuenti). Coniazione dell’antoniniano: moneta con valore nominale di due denari ma effettivo di un denaro e mezzo. Anche lui campagna contro i Parti. Assassinato nel 217 durante una congiura. Non aveva nominato un successore, allora venne acclamato il prefetto al pretorio, uno dei capi della congiura, Macrino. Con Macrino, per la prima volta un esponente dell’ordine equestre viene proclamato imperatore. Segnale della nuova politica. Il suo regno dura solo un anno. Altra caratteristica della dinastia dei Severi è l’importanza delle sue donne: la zia di Caracalla, Giulia Mesa, riuscì a far sì che, morto Macrino, fosse acclamato imperatore un suo nipote, Vario Avito Bassiano, meglio noto come Elagabalo. Elagabalo – salito al trono quattordicenne, segna uno dei momenti più bui della storia imperiale. Sperperò ingenti risorse e viene ricordato per il suo intenso misticismo e il tentativo di imporre come religione di Stato un culto esotico e stravagante, quello del dio Sole venerato a Emesa, in Siria. Persino Giulia Mesa, consapevole, impose al nipote di associare al potere il cugino Bassiano. Ciò non impedì una congiura e l’assassinio di Elagabalo. I pretoriani nominarono Bassiano, che gli successe con il nome di Severo Alessandro. Severo Alessandro – anche lui ragazzino, eppure trasse giovamento dal fatto che, soprattutto nei primi anni, il governo fu in mano al giurista Ulpiano, allora prefetto al pretorio, grazie a cui i rapporti tra senato e imperatore tornarono collaborativi. 224: cambio di dinastia tra i Parti. I Persiani scatenarono un’offensiva contro la Mesopotamia romana, arrivando a minacciare anche la Siria. L’intervento di Severo in Oriente, anche se non risolutivo, riuscì a bloccare l’offensiva nemica. Tornato, nuova crisi in Gallia. 235: assassinato a Magonza insieme alla madre nel corso di una nuova congiura dei militari, che lo accusavano di cercare di trattare con i barbari anziché combatterli. Finiva così la dinastia dei Severi, che aveva provocato un indebolimento della classe dirigente tradizionale e accentuato la forza dell’esercito. Aveva inizio un cinquantennio di lotte militari e civili che avrebbero condotto l’Impero sull’orlo del dissolvimento. L’anarchia militare L’esercito proclamò dunque imperatore un ufficiale di origine tracia, Massimino. Con il suo regno comincia l’epoca tradizionalmente considerata di massima crisi. Si succedono circa 20 imperatori, legittimi e illegittimi. Fase definita come dell’’anarchia militare’ (235-284). Massimino il Trace: scarso curriculum militare ma eccezionale forza fisica. Ottenne comunque dei successi contro i barbari, in particolare gli Alamanni. Fortissima pressione fiscale e regime duro. Il senato giunse a dichiararlo nemico dello stato (hostis publicus). Il senato proclamò l’anziano Gordiano, proconsole in Africa, che si associò il figlio. Ma vennero assassinati. Il senato affidò allora il governo a venti consolari, al cui interno furono nominati Augusti Pupieno e Balbino. 238: Massimino assassinato dai suoi stessi soldati ad Aquileia. A Roma Pupieno e Balbino furono uccisi dai pretoriani, che proclamarono Gordiano III, il nipote giovanissimo di Gordiano I. Fino al 243 per conto di Gordiano resse il governo il valoroso prefetto al pretorio Timisiteo, suo suocero. Nel 244 Gordiano morì in una campagna in Persia e fu acclamato imperatore Filippo, detto l’Arabo per le sue origini. Filippo stipulò una pace con il re dei Persiani Sapore. Nel 248 celebrò con grande enfasi il millenario di Roma. anche il suo regno terminò in modo cruento. Venne eletto dall’esercito il senatore Messio Decio, che governò fino al 251. Si distinse per la sua volontà di rafforzare l’osservanza dei culti tradizionali, tra cui quello ufficiale dell’imperatore, inteso come strumento di coesione interna. Forte discriminazione per i cristiani, di conseguenza, con condanne a morte. Decio è responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani nel 250-251. Decio morì combattendo contro i Goti, in un momento in cui l’Impero si trovava minacciato su più fronti. Arrivò sul trono l’anziano senatore Valeriano (253-260), dopo una serie di effimeri imperatori militari, imposti e deposti dagli eserciti stessi. Data l’incertezza della situazione, Valeriano si associò subito il figlio Gallieno, a cui affidò le province occidentali. Valeriano fu fatto prigioniero dal re Sapore e (fatto che destò grande scalpore) morì in prigionia, nel 260, dopo aver lavorato con i suoi soldati alla costruzione di una grande diga. Gallieno, rimasto solo, riuscì a bloccare l’avanzata di Alamanni e Goti, anche se fu costretto a perdere la Dacia. Tollerò anche che nell’impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie, retto da Postumo ed esteso anche a Spagna e Britannia, e quello di Palmira, che comprendeva Siria, Palestina e Mesopotamia, con a capo Odenato. Gallieno deve essere ricordato per una serie di riforme che ebbero sviluppo in seguito, es nell’innovazione della concezione strategica di difesa dei confini. Galerio nel 311. Però proseguirono ancora nelle regioni sottoposte a Massimino Daia, e si conclusero solo con la vittoria conseguita su di lui da Licinio nel 313. 2. Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la cristianizzazione dell’Impero Un’età di rinnovamento e non di decadenza Il periodo Costantino-Giustiniano merita una periodizzazione a sé, non è da considerarsi un antefatto del Medioevo. Per questo, all’espressione ‘Basso Impero’ la storiografia oggi preferisce quella di ‘Tarda Antichità’. Il pregiudizio negativo su questa epoca (che si basava soprattutto sulla forma del Dominato e sul cosiddetto ‘Stato coercitivo’, ovvero una società in cui la divisione tra poche categorie privilegiate gli honestiores, e la grande massa dei deboli, gli humiliores, è sempre più netta) si basava su stilizzazioni eccessive e parziali, oggi questo pregiudizio negativo può considerarsi superato, e si stanno riqualificando anche gli elementi di grande fertilità culturale e artistica. All’interno di questo periodo si distingue una fase particolarmente significativa, che inizia con il regno di Costantino e arriva alla morte di Teodosio I (395), e coincide grossomodo con il IV secolo e con il definitivo affermarsi del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero. Alcune caratteristiche di questo secolo: (1) irrigidimento burocratico per far fronte alle varie esigenze dello Stato; (2) l’imperatore non risiede più a Roma => distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere; (3) scomparsa dell’ordine dei cavalieri, assorbito da quello senatorio; (4) modifica dei rapporti e potere del senato; (5) molto delicato il rapporto con la plebe urbana di Roma, anche a causa della grande pressione fiscale. La società che si delinea non è però immobile, perché vi sono possibilità di ascesa sociale. Scuola e cultura sono canali notevoli in questo senso. Costantino La proclamazione dei figli di Costanzo Cloro e Massimiano, Costantino e Massenzio, segna di fatto il fallimento del sistema tetrarchico. Costantino condusse per alcuni anni una politica prudente, che conosce una svolta nel 310, quando abbandona ogni legame con i presupposti ideologici della tetrarchia e mostra di propendere per una religione di tipo monoteistico. 312: Costantino ha la meglio su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio e può impadronirsi di Roma. Una vittoria dall’importante statuto religioso, perché ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che dichiarava di aver abbandonato in quella circostanza il paganesimo per il cristianesimo. Piano religioso La conversione di Costantino fu un evento dalla portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture della Chiesa in quelle dello Stato, con l’imperatore che si sente abilitato a intervenire nelle questioni dottrinali. Questa conversione, che ebbe luogo probabilmente subito dopo la vittoria su Massenzio e non prima, costituiva un fatto politico di enorme importanza: una conversione strategica, per puro calcolo politico? No, ma neanche un’illuminazione sulla via di Damasco. Costantino era un uomo dotato di grande ambizione e dominato dal senso imperativo di una missione, per compiere la quale voleva una protezione ultraterrena. 313: Licinio e Costantino si incontrano a Milano, dove si accordano sulle questioni fondamentali di politica religiosa. È il celebre editto di Milano. I contrasti tra i due iniziano però presto, e lo scontro finale si ebbe nel 324, quando Costantino, con la vittoria di Adrianopoli, divenne il solo imperatore. Costantino fu sempre preoccupato di salvaguardare l’unità interna della Chiesa, come mostra la convocazione del concilio di Nicea del 325, che egli presiedette personalmente dopo aver invano supplicato i due contendenti, Alessandro e Ario, di trovare un accordo. Il problema qui era di natura squisitamente teologica: Ario negava la natura divina di Cristo, il che implicava un indebolimento della funzione della Chiesa. Piano politico e amministrativo Le 12 diocesi di Diocleziano vennero raggruppate in 4 grandi prefetture: Gallie, Italia e Africa, Illirico, Oriente; ognuna retta da un prefetto al pretorio. 324: vittoria di Adrianopoli su Licinio. Costantino unico imperatore. 330: fondazione di Costantinopoli (odierna Istanbul) quale ‘nuova Roma’. varie le ragioni: fondare una città lontana da contaminazioni pagane; Roma non era già più la residenza dell’imperatore; riconoscimento dell’importanza dell’Oriente all’interno dell’Impero. Questa scelta era destinata a imprimere un nuovo corso non solo alla storia romana, ma a tutta la storia europea. Costantinopoli fu dotata nel corso degli anni di tutte le strutture che la dovevano equiparare a Roma: ebbe anche un suo senato, anche se non raggiunse mai il prestigio di quello romano. Il vescovo Eusebio di Cesarea, autore di una Storia ecclesiastica e di una Vita di Costantino, ci chiarisce vari aspetti della politica dell’imperatore: lo presenta come un vescovo ‘di quelli che sono fuori’, ovvero dei laici. Tale particolare posizione ne legittimò la sepoltura nella basilica di s. Sofia a Costantinopoli come isoapostolo, ovvero ‘uguale agli apostoli’. Riforma dell’esercito: creazione di un comitatus, ovvero esercito mobile, che accompagnasse l’imperatore: i soldati che ne facevano parte ricevevano una paga più alta. I soldati collocati sul limes, i limitanei, finivano per essere soldati di second’ordine. Il problema militare però non fu superato: mancavano soldati. Si incrementò allora la caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione, si rafforzarono privilegi ai veterani. I soldati finirono per essere reclutati sempre più tra i barbari. Minaccia dei barbari sempre grave e indomabile. Politica di assorbimento nei quadri sociali, che però portò a una (disomogenea) barbarizzazione della società. La morte di Costantino e la fine della dinastia costantiniana Costantino solo in punto di morte ricevette il battesimo. Riceverlo in punto di morte era un modo per essere sicuri della vita eterna. A battezzarlo fu il vescovo di Nicomedia, Eusebio (un altro), vescovo di sentimenti filoariani. Sorprende che, a fronte di una riforma così sistematica dello Stato, Costantino non abbia affrontato il problema della successione: forse (ma solo ipotesi) prevedeva per ciascuna prefettura il governo di un figlio. Costantino aveva concepito il suo governo come una missione per il ristabilimento dell’unità dell’Impero, e questo attraverso il regno di un solo imperatore. Quel che è certo è che l’esercito, che andava meno per il sottile, era a favore della linearità della successione dinastica: il regno venne spartito tra i figli, Costantino II (Gallie, Britannia e Spagna), Costante (Italia e Africa) e Costanzo (Oriente), ma l’accordo tra i tre fu da subito precario. Costantino II e Costante furono uccisi, e Costanzo II dovette trovare un collega a cui affidare il governo dell’Occidente: la scelta cadde sul cugino Giuliano, che venne nominato Cesare nel 355 e imperatore nel 360. Regnò come imperatore unico solo due anni, 361-363, quando morì durante una campagna contro i Persiani. Il suo regno è ricordato soprattutto per il suo effimero tentativo di reintrodurre la religione pagana. Uomo di grande cultura e scrittore valente, è passato alla storia con l’epiteto infamante di Apostata, ovvero ‘rinnegato’, che gli fu affibbiato dai cristiani. Dalla morte di Giuliano a Teodosio Magno Precarietà di ogni periodizzazione. Cambiamento profondo, negli ultimi decenni, nella nostra considerazione del mondo antico, ovvero della linea di demarcazione tra Antichità e Medioevo. Il limite cronologico tra le due epoche è venuto progressivamente indebolendosi e si è teso a sottolineare più gli elementi di continuità che di cesura. Ora abbiamo guadagnato una nuova epoca storica, quella di Tarda Antichità appunto, con caratteri ben definiti e circoscrivibili e priva di pregiudizi negativi (che si evince già dalla perdita della denominazione di ‘Basso Impero’). È un’espressione recente, risale a poco più di cento anni fa, quando fu coniata a Vienna da uno storico dell’arte, Alois Riegl, che lo impiegò per la prima volta nell’introduzione a un catalogo di tessuti. Come momento conclusivo dell’età tardoantica si è accettata in genere l’invasione longobarda per l’Occidente (568) e la fine del regno di Giustiniano per l’Oriente (565), con la venuta meno di ogni riecheggiamento dell’arte classica. Più controverso il termine iniziale: la tetrarchia, il regno di Costantino, l’età severiana? L’ideologia dell’imperatore tardoantico Per il sovrano, dopo la crisi del III secolo, si trattava di trovare una fonte di legittimazione diversa dal senato cui ci si potesse appellare per tenere a freno gli eserciti. Forme di potere locale diverse rispetto al passato diventarono le interlocutrici privilegiate del governo romano. Con il nuovo regime la tradizionale attività legislativa delle varie assemblee era venuta meno. Secondo le teorie ellenistiche il sovrano era ‘legge vivente’, incarnazione della perfetta giustizia: dunque non doveva rendere conto a nessuno, il suo potere era ‘irresponsabile’, ma non per questo si sottrae alla legge, proprio perché la incarna. Compito specifico del sovrano consiste poi nell’incrementare il sentimento morale dei suoi sudditi: per questo deve presentarsi come una sorta di immagine, di icona della divinità. Il re è intermediario tra Dio e gli uomini. Già il principato di Augusto aveva un fondamento carismatico, una dimensione sacrale. Mutatis mutandis, ciò era vero anche nella superpotenza antagonista dei Romani, il regno di Persia, retto dalla seconda metà del III secolo dalla dinastia dei Sasanidi: i sovrani sasanidi si presentano sempre come rappresentanti e promotori della religione di Zaratustra. Il potere religioso è sottoposto a quello del sovrano. L’imperatore tardoantico è tale per ‘grazia divina’: Diocleziano utilizza questo fondamento teologico del potere monarchico per ridare vigore all’Impero. Una delle realtà più vive del Tardo Impero è la fisiognomica, che contiene una sorta di costituzione non scritta: la bellezza del monarca, immune dalle umane manchevolezze, era un criterio, di derivazione orientale, cui Costantino aveva dato importanza, e la sua propaganda mirava a presentarlo come ‘giovane, lieto e bellissimo’. Si discosta da questa linea Giuliano, che si profila come anti-Costantino: non può accettare la deumanizzazione della figura del sovrano che il nuovo apparato comportava. Giuliano esprime in se stesso un segno di contraddizione, es il presentarsi con la barba da filosofo, concepita come segno di rottura anche visiva con i suoi predecessori. Costantino: una figura controversa Dopo la morte di Costantino, l’Impero era di nuovo lacerato da conflitti di natura religiosa, oltre che politica, all’interno della sua stessa famiglia (es il nipote Giuliano). La fine della dinastia costantiniana pone in tutta evidenza il problema della non coincidenza del destino dell’Impero con quello della Chiesa. Il fallimento del disegno politico è oscurato dal merito indiscutibile di aver cristianizzato lo Stato romano. Tant’è che Costantino, insieme alla madre Elena, sono santificati nella chiesa greca. Si è sostenuto (Santo Mazzarino) che la storia del Tardo Impero può essere letta alla luce delle due figure epocali di Costantino e Giuliano. Quest’ultimo divenne, dopo la morte, subito simbolo di battaglia ideologica da quanti attribuivano al cristianesimo la responsabilità della rovina dell’Impero. Attorno alla figura di Costantino, varie tradizioni favorevoli e non (es uno scritto satirico dello stesso Giuliano, i Cesari, in cui lo presenta come un dissoluto e un dissipatore, che cerca nel cristianesimo la via per il perdono dei suoi peccati), nonché varie leggende, es quella del ritrovamento miracoloso, da parte della madre Elena, della Croce di Cristo, in relazione al suo pellegrinaggio in Terra Santa. Una società repressiva La Tarda Antichità è un’età di forti contraddizioni, ancora con caratteri autoritari e repressivi. Es se in età repubblicana la tortura era riservata solo agli schiavi, con rare eccezioni, con Costantino viene estesa ai membri dell’élite provinciale. Per la stessa condanna a morte, si elaborarono forme crudeli di esecuzione, quasi che la sofferenza del condannato fosse una sorta di espiazione. Si può spiegare questa tendenza all’inasprimento delle pene con fattori diversi: importante la componente di natura politica; e inoltre il duplice influsso dottrina stoica e dottrina cristiana, sebbene le prese di posizione delle personalità più significative appaiano misurate. ‘Clemenza’, ‘moderazione’ etc significano la non (piena) applicazione di una sanzione prevista per un determinato delitto. Non si mette mai in discussione il sistema generale delle pene. Peggioramento delle condizioni degli humiliores rispetto ai ceti privilegiati degli honestiores. Per altro verso, miglioramento nella posizione delle donne e delle mogli, dei figli e degli schiavi. La riforma del paganesimo promossa da Giuliano Giuliano, nel suo breve regno (361-363) tentò di promuovere il ritorno al paganesimo. Si impegnò in un complesso disegno di riforma della religione pagana tradizionale, che si ispira in modo piuttosto evidente ad alcune forme organizzative della Chiesa cristiana, perché riconosce la forza del proselitismo cristiano in virtù della sua organizzazione assistenziale (opere di carità e beneficenza etc). Pagani e cristiani alla fine del IV secolo dC Il dibattito che oppone cristiani e pagani ha il suo momento intellettualmente più alto nella controversia che nel 384 oppose il prefetto di Roma, l’oratore Quinto Aurelio Simmaco, al vescovo di Milano, Ambrogio, circa il ripristino in senato dell’altare della Vittoria, presente dai tempi di Augusto e fatto rimuovere da Costanzo II. Vi si deve cogliere il valore stesso simbolico, di principio, che coinvolge la funzione stessa dell’aristocrazia senatoria romana, in buona misura ancora pagana. Simmaco chiede tolleranza, mentre Ambrogio la rifiuta. VI PARTE La fine dell’Impero romano d’Occidente e Bisanzio [arco cronologico dal 395 dC, anno della morte di Teodosio e della divisione dell’impero tra i figli: Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente), affidati alla tutela del generale Stilicone; al 568 dC, quando i Longobardi invadono l’Italia] 1. La fine dell’Impero romano d’Occidente L’Impero romano e i barbari In questo periodo, ruolo importante fu svolto dal generale Flavio Costanzo, che nel 417 sposò Galla Placidia e nel 421 si fece proclamare imperatore, ma morì lo stesso anno. Nell’autunno del 425 alla testa dell’Impero d’Occidente fu insediato suo figlio, Valentiniano III, dopo che alla morte di Onorio, nel 423, l’Impero era caduto nelle mani di un usurpatore. Era un successo della dinastia teodosiana, che riusciva a ristabilire la propria sovranità su entrambe le parti dell’Impero. In realtà era Galla Placidia che reggeva le sorti dell’Impero d’Occidente per conto del figlioletto attraverso un capace generale, Ezio, che proseguiva la stessa politica già tentata da Stilicone. Vandali e Unni Primi decenni del V secolo. Popolazioni dinamiche e pericolose, ma non riuscirono a dar vita a organizzazioni stabili. I Vandali posero fine alla storia dell’Africa romana: nel 429 passarono dalla Spagna in Africa attraverso lo stretto di Gibilterra; nel 430, mentre assediavano Ippona, morì il vescovo della città, Agostino; nel 439 cadde anche Cartagine e il re vandalo Genserico ottenne il riconoscimento del suo regno da parte della corte ravennate. Il regno dei Vandali però non assorbì le strutture amministrative imperiali, né riuscì mai a organizzarsi su basi stabili e durò poco più di un secolo: fu conquistato da Giustiniano nel 534 e inglobato nell’Impero d’Oriente. Gli Unni provenivano dalla Pannonia ed erano guidati da Attila. In un primo tempo si diressero in Oriente, penetrando in Grecia centrale, poi verso Occidente, dove regnava il debole Valentiniano III. Furono sconfitti da Ezio nel 451 ai Campi Catalaunici. 452: Attila mosse verso l’Italia, ma accadde che gli Unni, forse perché minacciati alle spalle dall’imperatore di Bisanzio, Marciano, lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato nei pressi del Mincio una delegazione guidata dal papa Leone I. la morte di Attila, avvenuta l’anno dopo, provocò la rapidissima dissoluzione del suo regno. La fine dell’Impero romano d’Occidente Anche Ezio purtroppo fu ucciso, nel 454, dopo essere caduto in disgrazia presso Valentiniano. Le conseguenze furono immediate: Valentiniano fu assassinato l’anno dopo, senza che il mandante, il senatore Petronio Massimo, riuscisse a consolidare il proprio potere. 455: Roma fu saccheggiata per la seconda volta, a opera del re dei Vandali Genserico. Petronio fu ucciso dalla folla, e al suo posto fu eletto imperatore un altro senatore, di origini galliche, Eparchio Avito, che fu deposto poco dopo e consacrato vescovo di Piacenza. Fu imperatore Maggioriano dal 457 al 461, che è l’ultimo detentore del potere in Occidente che abbia tentato una riscossa militare, oltre ad aver avviato qualche riforma capace di alleviare la grave crisi sociale ed economica. Da questo momento, sul trono di Ravenna si succedettero imperatori sempre più effimeri e privi di vero potere. Nel 474 l’imperatore d’Oriente, Zenone, nominò Giulio Nepote, contro cui però si rilbellò il generale Oreste. Formalmente, la fine dell’Impero romano d’Occidente si ebbe nel 476, quando Romolo, detto scherzosamente Augustolo per la sua giovane età, il figlio di Oreste, fu scacciato da un capo barbarico, Odoacre. Odoacre però non rivendicò per sé il titolo di imperatore, ma rimise le insegne del potere a Zenone accontentandosi del titolo di re del suo popolo. Cadde così, ‘senza rumore’ come disse Arnaldo Momigliano, l’Impero d’Occidente. Sant'Agostino e il problema della caduta dell’Impero romano Il declino e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente rappresentano un controverso problema storiografico. Si è parlato della sua crisi come di un modello paradigmatico per ogni fenomeno analogo di decadenza di grandi imperi. Due tipi di spiegazione sono stati dati: 1. Spiegazione monocausale: o la crisi economica e politica, o il successo del cristianesimo (fattori interni), o la pressione dei barbari (fattore esterno); 2. Spiegazione pluricausale: ricerca fattori che possono aver agito in parallelo (crisi economica e pressioni barbariche etc). Il problema della fine dell’Impero e la percezione di uno snodo epocale era già avvertito dai contemporanei. L’Africa romana godette ancora di un ventennio di libertà e prosperità dopo la caduta di Roma nelle mani di Alarico (410), e molti furono i senatori e i nobili romani che vi si rifugiarono. Agostino, vescovo di Ippona, si trovò nella necessità di rispondere all’attacco frontale recato dai pagani sulle responsabilità del cristianesimo per il sacco di Roma e la crisi dell’Impero, nonché nella necessità di far fronte alle incertezze dei cristiani da poco convertiti. Il grande trattato Sulla città di Dio, in 22 libri, vuole rispondere essenzialmente a questo genere di preoccupazioni. Le due città (terrestre e celeste) hanno valore escatologico e non possono essere identificate con Roma e la Chiesa, eppure hanno elementi di entrambe. Deve riconoscere un disegno di Dio nella formazione di un dominio universale come l’Impero romano, ma respinge le motivazioni imperialistiche: gli ampliamenti territoriali, che si fondano sulla sopraffazione e sull’ingiustizia, sono sempre da condannare. 2. I regni romano-barbarici Il regno di Teoderico in Italia Zenone provò a porre rimedio all’invasione dell’Italia attraverso l’aiuto di popolazioni barbariche amiche. Avvenne così che il re dei Goti, Teoderico, che aveva familiarità con le istituzioni romane, scese in Italia nel 488 con il titolo ufficiale di patricius (patrizio) e la missione di eliminare Odoacre. 493: uccisione Odoacre e inizio di una sorta di regno ostrogoto in Italia + alcune parti della Dalmazia. Gli Ostrogoti (o Goti orientali – i Visigoti erano i Goti occidentali) sotto il profilo demografico erano una ristretta minoranza. Ben diverso il loro peso politico e sociale. Teoderico voleva attuare una collaborazione tra Goti e Romani, verso cui provava una sincera ammirazione: scelse i suoi principali collaboratori tra l’aristocrazia romana (Boezio, Simmaco…), emanò una serie di leggi per regolare i rapporti tra le due etnie, fece restaurare molti monumenti in decadenza, soprattutto nella capitale Ravenna. Il regno di Teoderico rappresentò una fase positiva per la penisola italiana. Purtroppo, alla lunga la collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile: anche la tolleranza di Teoderico nei confronti del cristianesimo non resse contro le diversità rispetto all’arianesimo. A un certo punto sembrò addirittura che si realizzasse una coalizione tra cattolici e Bizantini contro l’arianesimo. Teodorico reagì imprigionando il papa Giovanni I e condannando a morte gli stessi uomini di cui si era circondato, tra cui Simmaco e Boezio. 526: morte di Teoderico, il regno passa alla figlia Amalasunta. Il V secolo rappresentò quindi per l’aristocrazia gallo-romana un’epoca di grave crisi. Una delle possibili soluzioni per mantenere la propria unità di ceto, nel venir meno della carriera secolare, era la ricerca di un’alta carica ecclesiastica. La contiguità tra carriera politica e carriera ecclesiastica appare comprensibile, in questa situazione così incerta. L’integrazione tra Romani e barbari nei nuovi regni Significative manifestazioni di interesse per una collaborazione. In Gallia Sidonio Apollinare si trovò strettamente coinvolto negli avvenimenti che segnarono le ultime resistenze dell’Impero di fronte alla crescente potenza del regno goto. Nei confronti dell’invasore, Sidonio appare diviso tra atteggiamento tradizionalista e attrattiva suscitata dalla nuova monarchia. Nel VI secolo un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’idea dei Goti da nemici a fondatori del rassicurante ‘regno gotico d’Italia’ venne svolta da Cassiodoro, senatore romano e ministro di Teoderico, soprattutto attraverso la sua opera storica. Cassiodoro si sforzò di trasporre l’ideologia romana nelle realtà politiche del regno ostrogotico, equiparando il re goto agli imperatori romani in modo da attenuare il passaggio dai due regimi, e si sforza di mostrare il carattere romano della nuova comunità politica, di esprimere l’idea di una ‘nazione’ romano-gotica. Il monachesimo Una delle conseguenze delle invasioni barbariche. A partire dal V secolo si affermò il monachesimo, in varie forme. C’erano comunità religiose che vivevano attorno al proprio vescovo, come a Ippona con Agostino; c’erano poi delle vere e proprie fondazioni monastiche: le più importanti furono quelle del monastero di Lérins e di san Vittore di Marsiglia, in Provenza. Si caratterizza per una mescolanza di vita in solitudine e di comunità; accolse molti aristocratici gallici in fuga e divenne presto un vivaio di vescovi. I monasteri ebbero inoltre una funzione importante come centri di cultura. La conoscenza del greco scomparve quasi del tutto (i valori cristiani erano inconciliabili con quelli degli scrittori pagani) e sopravvisse solo la cultura legata al latino; soprattutto tra V e VI secolo si ebbero dei tentativi di conciliazione tra cultura pagana classica e spiritualità cristiana. Nel VI secolo, venuta meno qualsiasi forma di istruzione pubblica, gli unici centri culturali e di istruzione erano i monasteri. In Occidente non esistevano scuole superiori cristiane: questa carenza fu affrontata da Cassiodoro, che aveva fondato un monastero a Vivarium, in Calabria. Aveva già cercato di fondare un centro di alta cultura religiosa a Roma, raccogliendo fondi per reclutare maestri pagani. Un progetto unico nel suo genere, che mirava a costruire una sorta di ‘università cristiana’, che però non fu realizzato a causa dell’insorgere della guerra goto-bizantina. Cassiodoro riprese il progetto nel suo monastero, che arricchì di parte della sua biblioteca personale. Dava grande spazio a grammatica, poesia e retorica, le principali componenti della cultura classica sopravvissute alla chiusura delle scuole. Il monastero di Cassiodoro non sopravvisse alla morte del suo fondatore (583), ma molte delle sue idee, sostenute nella sua opera, le Institutiones, saranno riprese in futuro. Più o meno contemporaneo di Cassiodoro era Benedetto, il grande fondatore della vita monastica in Occidente. Anche se rifiutava ogni commistione con la cultura pagana, nella sua organizzazione monastica c’è spazio alla cultura, se non altro per formare alla vita religiosa per i monaci, che dovevano quantomeno leggere le Scritture. Le trasformazioni della città alla fine del mondo antico Diverse a seconda delle aree geografiche. Il caso dell’Italia è per certi aspetti esemplare. Il Foro romano continuò a svolgere la sua funzione di centro economico in quanto sede del mercato, ma perse il suo ruolo di direzione politica con il venir meno dei consigli cittadini. Con il Medioevo viene sostituito dal palazzo regio e dalla cattedrale. Importante il contributo di Ambrogio, il vescovo di Milano, che fondò le tre grandiose basiliche fuori dalle mura cittadine: la Basilica Ambrosiana, la Basilica Apostolorum, la Basilica Virginum. In generale l’età tardoantica è caratterizzata dalla costruzione di grandi chiese, non solo nelle capitali ma anche nelle città minori (NB nell’Alto Medioevo invece le chiese saranno di piccole dimensioni). Appare importante il ruolo dell’amministrazione imperiale. Lo Stato aveva a disposizione un fattore decisivo: la terra. La costruzione delle mura avviene in un periodo in cui un po’ ovunque si verifica un’intensa costruzione di chiese episcopali. Un nuovo tipo di alimentazione Il declino della vita urbana significò progressiva riduzione delle colture dei cereali, della vita e dell’olivo, tipiche dell’età imperiale. Il modello delle popolazioni barbariche era piuttosto incentrato sui prodotti del bosco e della foresta, poi integrati da cereali e ortaggi. Ruolo predominante quindi la cacciagione. I cereali servivano prevalentemente per la produzione della birra, il corrispettivo nordico del vino. A contribuire alla diffusione del pane e del vino, la Chiesa, che li diffondeva nei monasteri. Dopo la caduta dell’Impero d’Occidente, drastica riduzione della policoltura, ovvero l’intreccio di più coltivazioni diverse. Le zone prima coltivate vennero abbandonate, anche per l’insorgere della malaria, prodotta dall’acqua dei fiumi che ristagnava. Ritorno quindi a un’economia di montagna, con privilegiamento della transumanza. Allargamento degli spazi incolti anche a causa del calo demografico => divennero importante risorsa di sostentamento, con allevamento di maiali, pecore e capre. L’Italia durante la guerra tra Goti e Bizantini L’età di Teoderico (488-526) nel complesso era stata un periodo di ripresa economica per l’Italia. Anche i centri urbani presentarono indizi di una rinnovata vitalità grazie all’impegno nel restauro degli edifici in rovina di Teoderico. La guerra greco-gotica vanificò la possibilità che questa ripresa si consolidasse. Il periodo più duro della guerra fu 541-552, con l’arrivo del generale bizantino Narsete. Disegno di riconquista dell’Occidente Già nel 533 il generale Belisario sconfisse l’ultimo sovrano vandalico Gelimero: l’Africa del nord, Sardegna e Corsica passarono sotto il controllo bizantino. Ben più lunga invece fu la guerra per il dominio dell’Italia, che, seppur in fasi distinte, durò dal 535 al 553. Il pretesto per intervenire era stato fornito dalla richiesta di aiuto di Amalasunta, che nel 535 fu fatta uccidere dal marito. La guerra si concluse quando nel 552 Narsete, succeduto a Belisario, sconfisse Totila a Gualdo Tadino e l’anno successivo il suo successore, Teia, in Campania. 553: L’Italia diventava così una delle prefetture dell’Impero d’Oriente. 554: Giustiniano emanò un provvedimento legislativo specifico, la Prammatica sanzione, con cui stabiliva le modalità attraverso cui andava ristabilita la vita politica ed economica della penisola. Atto fondamentale, che estendeva all’Occidente l’applicazione del diritto giustinianeo. Questa restaurazione fu interrotta, dopo la morte di Giustiniano, dalla calata dei Longobardi, che convenzionalmente segna l’inizio del Medioevo in Italia ed Europa. A seguito della guerra greco-gotica la composizione etnica dell’Italia subì un serio mutamento: i possessori latini e quelli goti si ridussero, mentre quelli orientali si triplicarono. Costantinopoli 330 inaugurata da Costantino al posto dell’antica Bisanzio sul Bosforo- Già nel IV secolo contava 100.000 abitanti. Durante Teodosio II la sua superficie fu più che raddoppiata. Sotto Giustiniano, circa mezzo milione di abitanti. Una densità che si spiega con la distribuzione gratuita di generi alimentari, ma soprattutto con un’intensa attività economica. Artigiani e commercianti, organizzati in apposite corporazioni, dovevano soddisfare con i loro prodotti le esigenze degli impiegati, del clero, delle famiglie dell’ordine senatorio e del personale di corte. Il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria, isolati dal resto della città. La vita quotidiana del sovrano si svolgeva secondo un cerimoniale minuzioso, simile a una liturgia ecclesiastica, volto a enfatizzare la sacralità della figura dell’imperatore. La società bizantina Il formarsi di una ‘società bizantina’ ha inizio quando l’Impero romano dovette far fronte alla grave crisi del III secolo. Chiamato a fronteggiare gli stessi problemi, l’Oriente dimostrò maggiore capacità di reazione e di ripresa, una delle cause peraltro del distacco progressivo, ma irreversibile, tra i due mondi. Nel passaggio dal mondo romano al mondo bizantino si realizzò anzitutto l’affermazione di un saldo e autonomo apparato ‘burocratico’. Il governo dell’Impero non è più retto da magistrati, ma da burocrati, ie funzionari con competenze specifiche al servizio diretto dell’imperatore, a cui dovevano giurare fedeltà. La figura che meglio sintetizza i caratteri della società bizantina è però quella dell’imperatore: progressivamente si afferma l’idea che l’imperatore sia investito direttamente dalla grazia di Dio del suo potere. In quanto di origine divina, è un potere che riunisce e legittima tutti gli altri. La Chiesa cooperò al consolidarsi di questa ideologia. La santificazione di Costantino fece sì che il culto riguardasse, almeno indirettamente, anche i suoi successori. Aspetto tipico sono poi i simboli che circondano il potere imperiale: su tutti la porpora, una sostanza rara e pregiata ricavata dai molluschi e di colore rosso, che divenne a Bisanzio il paradigma stesso del potere imperiale. Gli imperatori legittimi erano perciò detti ‘porfirogeniti’, perché nati in una sostanza rivestita di porpora. Altri simboli erano poi il palazzo imperiale (in realtà un complesso di edifici), il ‘palcoscenico’ dell’imperatore. L’imperatore era inoltre inaccessibile, tratto fondamentale nell’ideologia del potere. La distanza tra sovrano e popolo era costantemente ribadita: gli abitanti non erano cittadini ma sudditi, ovvero servi dell’imperatore. Pochi privilegiati potevano vederlo di persona, e anche loro dovevano prostrarglisi davanti. I rapporti sociali erano regolati secondo il modo del tàxis, ovvero dell’ordine (in greco), ovvero l’ordine cosmico, di per sé immutabile perché voluto da Dio; ordine sovrannaturale che informa e regola la realtà terrena. Concetto importante è anche quello di mìmesis: mondo terrestre è imitazione di quello sovrannaturale; l’imperatore è imitazione di Gesì. Anche l’icona, l’immagine sacra raffigurante Gesù, la Madonna o i santi, così cara all’uomo bizantino, è anch’essa una forma di imitazione. Da tale ideologia deriva la forza della tradizione, che è di fatto conservazione, e che costituisce uno dei tratti salienti del mondo bizantino. La Chiesa bizantina Ruolo di grande rilievo nel mondo bizantino. Importanza del ruolo pubblico dei vescovi all’interno delle città. C’era una precisa gerarchia, che corrispondeva al livello di importanza delle varie sedi. Nelle città operavano i vescovi, nei capoluoghi di provincia i metropoliti, nelle città importanti gli arcivescovi. I vescovi delle tre maggiori città dell’Impero, Costantinopoli, Antiochia e Alessandria, assunsero il titolo di patriarca. In teoria il patriarca doveva essere eletto dal clero, dal popolo della sua città e dai metropoliti; in realtà era di fatto l’imperatore, soprattutto a Costantinopoli. Nella diffusione della religione nella società, grande importanza i monasteri. In origine il monachesimo bizantino ebbe una dimensione anarchica. Monachesimo e ascetismo apparivano le uniche vie di ricerca della perfezione cristiana. Quasi tutti i più importanti santi bizantini sino al XV secolo sono stati monaci. La copiosa letteratura agiografica ci documenta con molta chiarezza quanto fosse importante l’esempio dei santi-monaci nella società bizantina. Rimase sempre molto viva la contrapposizione tra carica episcopale e condizione monastica. Inoltre, ruolo importante i singoli individui, gli ‘uomini santi’. Dispute teologiche: essenziali a capire la peculiarità dell’Impero bizantino. In alcuni momenti costituirono dei fattori di grave crisi. Nascono e si sviluppano insieme all’Impero d’Oriente (Costantino e Nicea contro Ario etc). Due scuole teologiche si contrapponevano in modo più netto: quella di Antiochia, più razionalista, che privilegiava la natura umana di Gesù e sosteneva che allora Maria non poteva dirsi ‘madre di Dio’ ma solo ‘madre di Cristo’; la scuola mistica di Alessandria invece affermava la piena unità di natura umana e divina in Cristo. L’origine della controversia è quando Nestorio, un esponente della scuola antiochena, divenne patriarca di Costantinopoli nel 428; le sue posizioni suscitarono la reazione del vescovo di Alessandria, Cirillo. Cirillo fece prevalere le sue posizioni in un concilio appositamente convocato a Efeso. Un’altra eresia, sostenuta da Eutiche, affermava invece che Cristo avesse solo natura divina e fu condannata dal Concilio di Calcedonia del 451. L’assistenza verso i poveri nel mondo bizantino Già nei primi secoli dell’Impero bizantino furono create delle specifiche istituzioni assistenziali. Lo Stato delega alla Chiesa: procedimento avviato con Costantino e completato da Giustiniano. I termini greci per indicare il povero sono pénes e ptochòs. Il primo indica il povero in senso giuridico, il debole nella rete dei rapporti sociali e giudiziari; il