Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

GERACI - MARCONE. STORIA ROMANA, Sintesi del corso di Storia Romana

Riassunto dettagliato del Geraci-Marcone. Parte seconda

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 07/11/2020

valentina.0201
valentina.0201 🇮🇹

3.7

(18)

66 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica GERACI - MARCONE. STORIA ROMANA e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! PARTE SECONDA 1 La tradizione storiografica sulla nascita della Repubblica La storiografia sulla nascita della Repubblica è essenzialmente rappresentata da Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. Questa tradizione ci presenta un quadro molto chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco di Roma, violentò l’aristocratica Lucrezia che prima di suicidarsi raccontò l’evento al marito e al padre. Guidata da questi ultimi, scoppiò una rivolta che porta alla caduta della monarchia nel 510 a.C. Nell’anno successivo, il 509 a.C., i poteri passarono a due magistrati eletti dal popolo, i consoli. I Fasti Sono liste di magistrati eponimi della Repubblica, cioè che davano il nome all’anno in corso. Essi ci sono giunti sia grazie alla tradizione letteraria, sia attraversi alcuni documenti epigrafici: i più importanti sono i fasti capitolini. La fine della monarchia e la creazione della repubblica: evento traumatico o passaggio? La storia della violenza subita da Lucrezia non spiega comunque i motivi profondi della caduta della monarchia. Il ruolo pressoché egemone che ebbe un ristretto gruppo di aristocratici nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato esercitò sulla prima parte della Repubblica inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire ad una rivolta del patriziato romano, una vera e propria 'rivoluzione’. Alcuni elementi lasciano supporre che alla cacciata del Superbo non succedette immediatamente la repubblica, ma un breve e confuso periodo in cui Roma fu in balia di re e condottieri. La data della creazione della Repubblica Il 510 a.C. fu anche l’anno in cui il tiranno Ippia fu cacciato da Atene. Il sospetto è che la cronologia della nascita della Repubblica a Roma fu alterata per creare un parallelismo con la più famosa Atene. Sembra che in realtà la nascita della Repubblica sia da datare intorno al 470-50 a.C., mentre altri inducono a ritenere che la datazione tradizionale non sia lontana da quella reale (seppur non esatta nell’anno). I supremi magistrati della Repubblica, i loro poteri e i loro limiti Dopo la caduta della monarchia, secondo la tradizione, i poteri del re furono affidati a due consules, o meglio praetores, massimi magistrati della repubblica. Erano eletti dai comizi centuriati. A loro spettava il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine dentro la città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento e della compilazione delle liste dei senatori. Inoltre, aveva anche una funzione eponima. Alcune competenze religiose non furono trasferite ai consoli ma alla nuova figura del rex sacrorum, che non poteva rivestire cariche di natura politica. La durata della carica era limitata a un anno e il fatto che i due magistrati avessero uguali potere e potenziale diritto di veto uno con l’altro, limitò fortemente i poteri dei consoli, e ogni cittadino poteva appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console (provocatio ad populum). In realtà la versione tradizionale è messa in dubbio da parte di alcuni studiosi i quali ritengono che, almeno in una prima fase, i poteri del re siano stati trasferiti ad un solo magistrato, affiancato da due assistenti. Solo dopo il Decemvirato (450 a.C.) o le leggi Licinie Sestie (367 a.C.) sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato. Le altre magistrature Le crescenti esigenze dello stato indussero alla creazione di nuove magistrature, anch’esse caratterizzate dall’annualità e dalla collegialità: - i questori: assistevano i consoli nelle attività finanziarie (in seguito la carica divenne elettiva); in qualche rapporto con loro c’erano i questore parricidii che erano incaricati di istruire i processi per delitti di sangue; il reato di alto tradimento era invece di competenza dei duoviri perduellionis; - censori: avevano il compito di tenere il censimento; in seguito venne affidata anche la redazione delle liste dei membri del senato; comunque avevano ampi poteri di intervento su diversi aspetti della vita pubblica e privata. La dittatura In caso di necessità i poteri della repubblica potevano essere affidati ad un dittatore: il dictator non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato da un console o da un pretore su istruzione del senato. La sua carica durava sei mesi. Questo magistrato veniva nominato soprattutto per fronteggiare crisi militari. Il dittatore era assistito da un magister equitum da lui personalmente scelto e a lui subordinato. I sacerdozi e la sfera religiosa A Roma non è possibile tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose, infatti la stessa persona poteva rivestire contemporaneamente una magistratura e un sacerdozio. Un’eccezione sono i flamini, che rappresentavano la personificazione terrena del dio stesso. Ce ne stavano i tre maggiori che rappresentavano Giove, Marte e Quirino e poi altri dodici minori. I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che coinvolgevano direttamente la politica: - il collegio dei pontefici: era guidato da un pontefice massimo che era la massima autorità religiosa. A loro spettava la nomina dei tre flamini maggiori e avevano il controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche, nonché sul calendario. (si diventava pontifex per cooptazione e a vita). - collegio degli àuguri: aveva la funzioni di assistere i magistrati nel loro compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dei. - duoviri sacris faciundis: erano incaricati di custodire i Libri Sibillini, una raccolta di oracoli, in greco. Accanto ai tre collegi si trovavano anche gli aruspici, incaricati di chiarire la volontà divina. In politica estera importanti erano i feziali, che avevano la funzione di dichiarare guerra. Il senato Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, divenne il perno della nuova Repubblica: il senato. Era composto da ex magistrati e la carica di senatore era vitalizia. Il principale strumento in possesso del senato per influire sulla vita pubblica era l’auctoritas patrum, il diritto di sanzione che i senatori già possedevano in età regia. La cittadinanza e le assemblee popolari Il terzo pilastro, oltre magistratura e senato, è costituito dalle assemblee popolari. Erano riservate ai maschi adulti e in possesso di cittadinanza: si diventava cittadini romani essenzialmente per nascita, anche se Roma manifestò notevole apertura sui diritti civici. Durante la prima età Repubblicana l’assemblea più importante di Roma è costituita da comizi centuriati, fondati su di una ripartizione della cittadinanza in classi di censo. Il meccanismo di questi comizi prevede le risoluzioni non siano prese a maggioranza di voti individuali, ma a maggioranza di unità di voto costituite dalle centurie. Avevano un’importante elettorale in quanto eleggevano i consoli e gli altri magistrati superiori. Altra assemblea popolare erano i comizi tributi (introdotta nel 447 a.C.), al quale venne affidata l’elezione dei questori. In questa assemblea il popolo votava per tribù, facendo si che il popolo delle campagne (che aveva più tribù rispetto alle 4 cittadine) avesse più peso di quello cittadino nelle decisioni dei comizi. Il potere delle assemblee era limitato, infatti non potevano autoconvocarsi né assumere alcuna iniziativa autonoma. 2 Il periodo che va dalla nascita della Repubblica al 287 a.C. è dominato dai contrasti civili tra patriziato e plebe. Il problema economico Le leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste della plebe tra la fine del IV secolo e gli inizi del III chiusero per sempre metà del dominio esclusivo dei patrizi sullo Stato. Si formò una nuova aristocrazia (nobilitas), formata dalle famiglie plebee più ricche e da quelle patrizie che si erano adattate alla nuova situazione. Questa aristocrazia si mostrò non meno gelosa dei propri privilegi del vecchio patriziato. 3 La situazione del Lazio alla caduta della monarchia di Roma Alla caduta della monarchia Roma controllava nel Lazio un territorio che si estendeva dal Tevere alla regione Pontina. Al primo anno della repubblica risale il trattato romano-cartaginese in cui i cartaginesi si impegnavano a non attaccare nessuna città del Lazio sotto il controllo di Roma e a cedere ad essa ogni città latina che l’esercito punico avrebbe conquistato. Tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. buona parte delle città latine conquistate approfittarono dei problemi interni di Roma per affrancarsi dalla sua egemonia. Le città latine si unirono in una lega i cui membri condividevano alcuni diritti: - ius connubii: diritto di contrarre matrimoni legittimi con membri di altre città latine; - ius commercii: diritto di siglare accordi commerciali fra cittadini di comunità diverse; - ius migrationis: un latino poteva assumere pieni diritti civili in una comunità diversa dalla sua semplicemente prendendone residenza. La battaglia del lago Regillo e il foedus Cassianum Qualche anno dopo la Lega Latina attaccò Roma. Nel 496 a.C. ci fu la battaglia sul lago Regillo, in cui i Romani sconfissero le forze congiunte dalla Lega. Fu stipulato un trattato che avrebbe regolato i rapporti tra Romani e Latini per i 150 anni successivi. Il trattato Cassiano fu siglato nel 493 a.C. e prevedeva che le due parti si impegnavano non solo a mantenere tra loro la pace, ma anche a prestarsi aiuto in caso di attacco ricevuto da una delle due parti. Tra gli strumenti più efficaci per consolidare le proprie vittorie militari ci fu la fondazione di colonie sul territorio strappato ai nemici. I cittadini dei nuovi centri provenivano sia da Roma sia da altre città latine e di fatto entravano a far parte della Lega latina e godevano dei diritti corrispondenti. Nel 486 a.C. Roma fece un accordo con gli Ernici, che occupavano un territorio circondato fa Equi e Volsci, due popoli ostili. (i termini dell’alleanza erano gli stessi del trattato Cassiano). I conflitti con Sabini, Equi e Volsci Nel corso del V secolo Roma dovette affrontare una serie di conflitti con le popolazioni stanziate sugli Appennini: Sabini, Equi e Volsci. Spesso l’esito fu favorevole a Roma anche se non si giunse mai a una svolta definitiva. I Volsci riuscirono ad occupare tutta la pianura Pontina e il basso Lazio, strappandolo a Roma. Con i Volsci si unirono anche gli Equi; avanzarono ma furono bloccati sui colli Albani, in particolare passo dell’Algido nel 431 a.C. Il conflitto con Veio In quello stesso periodo Roma si trovò ad affrontare un avversari molto ben organizzato, la città etrusca di Veio, rivale di Roma nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e delle saline che si trovano alla foce del fiume. Il contrasto con Veio attraversò tutto il V secolo e sfociò in tre guerre: nella prima guerra 483-474 a.C. Veio vinse e l’esercito romano venne annientato sul fiume Cremera; nella seconda guerra 437-426 a.C. i romani vendicarono la sconfitta: Aulo Cornelio Cosso uccise in duello il tiranno di Veio e Fidene venne conquistata e distrutta dai romani. Nella terza guerra, 405-396 a.C. i Romani assediarono per 10 anni le mura di Vero. Alla fine la città fu presa e distrutta. Veio pagò il comportamento delle altre città etrusche, che non le prestarono soccorso. La vittoria su Veio, per Roma segnò una svolta epocale: con il lungo assedio si rese necessario uno stipendium per i soldati e per far fronte alle spese militari venne introdotta una tassa chiamata tributum che era proporzionale alle classi dell’ordinamento censuario di appartenenza. L’invasione gallica Nel 390 a.C. i Senoni (Galli) invasero l’Italia e attaccarono Roma. Il loro primo contatto avvenne sull’Allia, un piccolo affluente del Tevere, dove l’esercito romano fu duramente sconfitto. Roma, rimasta priva di difese, venne presa e saccheggiata. I Galli poi sparirono, in cerca di nuove imprese. La ripresa Dopo le invasioni del 390 a.C. Roma si riprese rapidamente: il territorio di Vero venne diviso in quattro nuove tribù e distribuito ai cittadini romani nel 387 a.C.Nello stesso periodo iniziò probabilmente la costruzione delle mura della città. L’atteggiamento di Roma rimaneva comunque su un’azione offensiva: gli Equi furono annientati, mentre la lotta contro i Volsci fu più dura. Questi ultimi trovarono appoggio sia negli Ernici sia in alcune città latine. Solo nel 358 a.C. i Volsci furono costretti a cedere la Piana Pontina, in cui vennero insediati cittadini romani. Nel 354 a.C. anche Tivoli e Preneste, le due città latine più potenti, dovettero arrendersi. Il primo confronto con i Sanniti Nel 354 a.C. venne concluso il trattato con i Sanniti, nel quale il confine tra le due potenze veniva fissato al fiume Liri. I Sanniti occupavano un’area che si estendeva lungo la catena appenninica centro-meridionale; era un’area prevalentemente montuosa che consentiva comunque lo sfruttamento agricolo. Il Sannio era privo di strutture urbane, era diviso in cantoni (pagi), all’interno dei quali si trovavano uno o più villaggi (vici), governati da un magistrato elettivo (meddis). Più pagi insieme costituivano una tribù. Alcune popolazioni staccatesi dai Sanniti durante il V secolo a.C. occuparono zone della Campania, adottando col tempo l’organizzazione politica delle città- stato e riunendosi in una Lega Campana. I contrasti politici tra Sanniti si vennero sempre più acuendo. La tensione sfociò in una guerra aperta nel 343 a.C. quando i Sanniti attaccarono la città di Teano. La Lega Campana chiese allora l’aiuto a Roma. La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si risolse con un successo dei romani ma comunque Roma non riuscì a concludere l’offensiva a causa di una rivolta del proprio esercito. Acconsentì alle richieste di pace dei Sanniti nel 341 a.C., rinnovando il trattato del 354 a.C. e riconoscendo ai Sanniti Teano, mentre Roma prese la Campania. La grande guerra latina Questo accordo portò a un sorprendente rovesciamento delle alleanze: Roma fu sostenuta dai Sanniti e si videro costretti a fronteggiare Latini, Campani a cui si aggiunsero Volsci e Aurunci. Il conflitto, noto come grande guerra latina (341-338 a.C.), fu durissimo, ma anche decisivo per l’organizzazione di quella che si avviava a diventare l’Italia Romana. La Lega Latina venne sciolta, alcune città incorporate in qualità di municipi, mentre altre invece conservarono la propria indipendenza, ma non poterono più intrattenere alcuna relazione tra di loro. Alle vecchie città latine si vennero ad aggiungere le nuove colonie latine, fondate sia da cittadini romani sia da alleati, questi perdevano la loro cittadinanza per acquistare quella della nuova colonia. I Latini vecchi e nuovi furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessità, e una serie di trattati con le nuove città consentirono a Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare . Anche al di fuori dell’antico Lazio Roma attuò la concessione di una forma parziale di cittadinanza romana, la civitas sine suffragio: i titolari erano tenuti agli stessi obblighi dei cittadini romani, senza però avere diritto al voto. Alla conclusione della grande guerra latina Roma aveva legato a sé tutte le regioni che andavano dalla sponda sinistra del Tevere a nord, al golfo di Napoli a sud, dal Tirreno a ovest, agli Appennini ad est. La seconda guerra sannitica Le cause della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) sono da ricercare nelle divisioni interne della città di Napoli, l’unica città della Campania rimasta indipendente, dove si fronteggiavano le masse popolari favorevoli ai Sanniti e l’aristocrazia favorevole ai Romani. I Romani conquistarono abbastanza facilmente la città, ma il tentativo di penetrare a fondo nel Sannio si risolse in un fallimento: nel 321 a.C. gli eserciti romani furono sconfitti al passo delle Forche Caudine. Per qualche anno vi fu un’interruzione del conflitto, ma le ostilità, si riaccesero nel 316 a.C. quando i Romani attaccarono Saticula, una località al confine tra Campania e il Sannio: le prime operazioni frutto inizialmente favorevoli ai Sanniti, ma meglio anni successivi Roma recuperò il terreno perduto: Saticula fu conquistata e una serie di colonie latine fu fondata nell’Apulia settentrionale nel 312 a.C. In questi stessi anni Roma preparò il suo esercito: la legione venne suddivisa in 30 reparti, detti manipoli, ognuno dei quali comprendeva 120 uomini circa. L’ordinamento manipolare era in grado di assicurare una maggiore flessibilità all’esercito romano. Inoltre adottarono lo scudo rettangolare e il giavellotto. Roma fu così in grado di affrontare i Sanniti che vennero sconfitti nel 304 a.C. con la conquista di Boviano. La terza guerra sannitica Lo scontro decisivo con Roma si riaprì nel 298 a.C., quando i Sanniti attaccarono i Lucani. I Romani intervennero in favore dei Lucani. Il comandante sannitico era riuscito a mettere in piedi una potente coalizione antiromana che comprendeva Galli, Umbri e Treuschi. Lo scontro decisivo avvenne nel 295 a.C. a Sentino, dove vinsero i Romani. I Sanniti, battuti un’altra volta ad Aquilonia nel 293 a.C., si videro obbligati a chiedere la pace nel 290 a.C. I Galli e gli Etruschi furono bloccati nel 283 a.C. a Vadimone quando la controffensiva colpì prima le città Etrusche, poi raggiunse anche l’Etruria settentrionale e l’Umbria. I Piceni tentarono una guerra contro Roma nel 296 a.C., costretti pochi anni dopo alla resa. La guerra contro Taranto e Pirro Nell’Italia meridionale Taranto, la più potente città, conservò la propria indipendenza. Nel 282 a.C. Turi, città greca, chiese aiuto a Roma per difendersi dai Lucani. I Romani insediarono una guarnigione nella città e anche una flotta davanti alle acque di Taranto. I Tarantini decisero di attaccare le navi romane e poi marciarono su Turi, scacciando la guarnigione romana: la guerra divenne inevitabile. Taranto chiese aiuto a Pirro re dell’Epiro: il sovrano diede alla sua spedizione il carattere di una simil-crociata in difesa dei Greci di Occidente, contro i barbari Romani e Cartaginesi, procurandosi l’appoggio di tutte che potenze ellenistiche. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia e Roma si vide costretta ad arruolare i capite censi (nullafacenti), ma comunque i romani furono sconfitti a Eraclea. Questa battaglia mise in pericolo le posizioni Romane nel meridione: le città greche, i Lucani, i Brutti e i Sanniti si schierarono al fianco di Pirro. Pirro non seppe però cogliere il suo successo e si vide costretto chiedere la pace, che però non fu accettata. Allora lui mosse verso l’Apulia settentrionale e sconfisse i romani ad Ascoli Satriano nel 279 a.C.. Pirro aveva dunque vinto due grandi battaglie, ma non riusciva a concludere la guerra, mentre i rapporti con i suoi alleati Italici si andava deteriorando. Per questo motivo Pirro accolse la domanda di aiuto di Siracusa, in lotta con in Cartaginesi per il dominio della Sicilia. Decise di recarsi in Sicilia con il suo esercito dove sconfisse ripetutamente i Cartaginesi, chiudendoli a Lilibeo. L’assedio a questa fortezza si rivelò infruttuoso e Pirro cercò di sbloccare la situazione invadendo l’Africa, ma il progetto fallì. Nel frattempo, i Romani, approfittando dell’assenza di Pirro, conquistarono posizioni su posizioni e Pirro decise di abbandonare la Sicilia e tornare in Italia. Nel 275 a.C. ci fu lo scontro decisivo con il console romano a Benevento. Pirro, sconfitto, tornò in Epiro e morì nel 272 a.C., stesso anno in cui Taranto si arrese ed entrando nel novero dei socii di Roma. 4 La prima guerra punica Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare fino allo stesso di Messina. In quest’area gli interessi romani entrarono in collisione con quelli di Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Mamertini che si erano impadroniti di Messina. Questo comportamento provocò la reazione dei Siracusani, guidati da Ierone, che infisse una sconfitta ai Mamertini e avanzò verso Messina. I Mamertini a quel punto accettarono l’aiuto della flotta cartaginese. I Siracusani furono sconfitti ma i Mamertini si stancarono della tutela di cartagine e si rivolsero a Roma. A roma iniziò un dibattito a favore o contro l’intervento a Messina. Alla fine l’assemblea del popolo, cui il senato aveva lasciato l’incarico, votò a favore dell’intervento. Ciò sancì l’inizio della