Scarica Gestire il disagio a scuola[1] e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! 1capitolo Il disagio nei contesti educativi. Il termine <<disagio>> ha cominciato ad affermarsi intorno alla fine degli anni 70’, qst concetto inizialmente si presenta povero di contenuti impiegato per esprimere le problematiche giovanili e la consapevolezza del fallimento del grande disegno sociale e politico; soltanto successivamente l’attenzione viene focalizzata sui vissuti che accompagnano il disagio durante i momenti di crescita verso l’età adulta. Il termine è costituito dal prefisso <<DIS>>, che indica negazione e dalla parola <<AGIO>> che significa “giacere presso”: pertanto diremo, la condizione di chi vive ai margini, si sente escluso, isolato, lontano dagli altri e da se stesso. Nell’ultimo decennio, l’uso del termine ha visto una diffusione crescente anche se risulta difficile trovare una definizione univoca, secondo le descrizioni più usate e ricorrenti nella letteratura psicopedagogia italiana il disagio è inteso: -come sintomo dell’incapacità e dell’impossibilità del soggetto di trovare soluzioni soddisfacenti e coerenti alla propria identità; -come incapacità di tollerare e di gestire la complessità e di sostenere il peso della precarietà, della flessibilità; -come risultato della difficoltà a gestire i processi di socializzazione e di maturazione verso l’età adulta. Nelle definizioni offerte dagli studiosi si possono individuare alcuni elementi chiave: il disagio indica comportamenti e atteggiamenti non patologici, indica un malessere diffuso strettamente legato a difficoltà e problemi derivanti dai compiti evolutivi, dalle contraddizioni e dalla complessità relativa alla relazione individuo- società complessa. Come già osservato il termine <<disagio>>, frequente nelle analisi sociologiche, nel linguaggio dei mass media, sembra avere più valenza descrittiva che interpretativa tanto da essere usato in contesti diversi e per indicare una gamma di vissuti problematici che hanno in comune uno stato di diffuso malessere. -Una prima distinzione riguarda le aree in cui si può manifestare il disagio nella vita del soggetto: intrapsichica, interpersonale e sociale; -A livello individuale esso si delinea come una condizione interiore caratterizzata dalla difficoltà a star bene con se stessi e dentro di sé; -A livello interpersonale, il disagio si manifesta nell’incontro tra persone, ad esempio nel rapporto educatore- educando, genitore- figlio, che il soggetto tende a vivere con difficoltà; -A livello sociale, il disagio origina e si manifesta in tutte quelle situazioni note come condizioni di svantaggio e emarginazione. a) Un primo approccio allo studio del disagio è di tipo soggettivo, esso si focalizza sui vissuti che l’accompagnano, come malessere, insicurezza, frustrazione, senso di impotenza; b) il tipo oggettivo focalizza l’attenzione sulle situazioni o sulle condizioni di vita che vengono designate come premesse o antecedenti del disagio, vengono accertati disagi evolutivi che ogni soggetto in determinati periodi dello sviluppo vive come componente inerente al passaggio da uno stadio all’altro. È ovvio che qualunque situazione problematica non è mai indifferente, qualsiasi carenza, deficit, problema… ha degli effetti; il disaggio interno soggettivo nasce dalla risposta personale alle diverse situazioni, alle richieste della società, della famiglia, alle carenze…e, tra i due piani, soggettivo e oggettivo, può esserci congruenze o incongruenze: ciascuno infatti ha un sistema cognitivo, una propria storia, degli stili, dei modi di sentire. Alcuni rispondono alle situazioni in modo incongruente, a volte inadeguato, in altri fuori misura o esagerato, il disagio in certi casi, può diventare <<procurato>>. Le autoattribuzioni sono spiegazioni casuali che il soggetto formula in merito alla relazione tra sé e le situazioni e possono variare per <<internalità- esternalità>>, <<stabilità>>, <<controllabilità>>: -la dimensione internalità-esternalità, riguarda il fatto che il soggetto può attribuire la sua condizione, il suo disagio a causa prevalentemente interne come, il proprio atteggiamento, il proprio stile, o a causa esterne su cui ha il senso di avere poco o nessun controllo come, ad esempio, la fortuna-sfortuna, la stanchezza; -la dimensione stabilità-instabilità, riguarda il fatto che certe cause sono giudicate momentanee, provvisorie ed altre giudicate durevoli; -la dimensione controllabilità, riguarda la possibilità percepita, da parte del soggetto, di poter determinare il proprio destino, di modificare e di guidare la sorte degli eventi. Un evento fondamentale che caratterizza molti disagi attuali è dato dall’ambiguità, più precisamente si può distinguere un disagio sintomatico da uno “sommerso”, mentre quello sintomatico è quello classicamente noto e segnalato attraverso sintomi di vario tipi (tossicodipendenza, alcolismo…), quello sommerso in qnt asintomatico e, di conseguenza, meno studiato ed analizzato, i soggetti portatori del disagio, nell’uno e nell’altro caso, sono accomunati dalla medesima difficoltà a vivere in qnt le competenze richieste dalla società sono carenti; va però rilevato che i sintomi spesso diventano <<asintomatici>> perché molti disagi si configurano come situazioni di apparente normalità, i sintomi sono sfumati, scarsamente vistosi. F 0 E 0 Supposizioni e proposte interpretative. Esiste un accordo pressoché unanime, tra gli studiosi, nel considerare il disagio come un fenomeno difficile da delimitare, da descrivere e da interpretare alla cui determinazione concorrono più fattori, in altre parole allo stesso disagio si possono individuare cause diverse ed una stessa causa può determinare effetti differenti e non sempre prevedibili in qnt i fattori correlati sono molteplici e talvolta ignoti. Premesse, antecedenti e luoghi di disagio. Seguendo la storia di un soggetto non è difficile individuare degli antecedenti, delle premesse che possono aver iniziato dei percorsi che hanno poi portato al disagio; vanno al riguardo considerate le problematiche ricorrenti e gli incidenti a livello di ambienti di vita e di relazione (es. famiglia, scuola…)che comportando sicurezza… l’adattamento sproporzionato, si realizza a scapito dello sviluppo del sé autentico per lasciare spazio alla costruzione del falso sé. I comportamenti iperadattati ed ipersaturi nei contesti educativi passano facilmente inosservati e vengono perfino considerati graditi, ma se l’educatore qualora constatasse che l’educando privilegi dei percorsi caratterizzati da iperadattamento, dovrebbe innanzitutto evitare di assecondarli, incoraggiarli. Disagio, violenza, abbandono. Parecchi studiosi e ricercatori soprattutto di area sociologica mettono in evidenza alcune contraddizioni tipiche della società attuale, sembra predominare la cosiddetta <<cultura della morte>>, considerando diversi segnali che vanno dall’aumento dell’aborto, alla presenza di milioni di bambini sottopeso e vittime della malnutrizione al calo delle nascite, che in paesi come l’Italia ha raggiunto livelli da record. La violenza che annienta i minori negando loro il diritto di esistenza non è, però soltanto quella fisica, nella società italiana attuale, a differenza di alcuni paesi del Terzo Mondo, non sono l’abbandono e la violenza fisica le forme dominanti, al contrario non sono rare le forme di abbandono psicologico ed educativo che nella maggior parte dei casi non vengono neanche notate. L’esito non è necessariamente l’aumento del numero di bambini denutriti o malati fisicamente, ma l’incremento di bambini trascurati dal punto di vista affettivo, psicologico, educativo; l’esito è l’aumento del numero di quelli che si possono considerare <<figli dell’abbandono>>, soggetti psicologicamente denutriti. La diminuzione delle nascite e la scelta di non mettere al mondo dei figli è il primo segno evidente del rifiuto e dell’incapacità di <<prendersi cura>> dei minori, si tratta di una società incentrata su di sé, preoccupata di sé stessa e del proprio futuro, di garantire la propria sicurezza e dunque non dispone di molto spazio ed energia per mettere al mondo dei figli e tanto meno per prendersene cura; manca il senso di protezione e di sicurezza necessari per potersi aprire alla vita, è il segno che la gente si sente minacciata e preferisce alla, è il segno che la gente si sente minacciata e preferisce investire l’energia di cui dispone per conservarsi e preservarsi. -Permesso di esistere. Qnd un bambino viene al mondo la famiglia deve riorganizzare i suoi confini interni ed esterni ed una serie di condotte richiedono adattamenti e accomodamenti a volte considerevoli, il permesso fondamentale, in qst fase, su cui si fonderanno tutti gli altri è quello di esistere, i messaggi che lo traducono sono, ad esempio <<comunicando>> al neonato, trattandolo con amore ; la decisione del bambino in merito è l’esito della transazione tra la percezione dei messaggi esterni e le sue opzioni, la dinamica del permesso di esistere e di appartenere è fondamentale, ogni qualvolta il soggetto provi ad entrare in un nuovo sistema, dal momento della nascita all’esperienza dell’ingresso in una nuova classe, all’inserimento in un contesto lavorativo, facilmente si riattiva la dinamica fondamentale arcaica del permesso di esistere e di appartenere: se, ad esempio, nel copione è presente l’ingiunzione non esistere, qnd tenta di inserirsi in un gruppo lo farà portandosi dietro qst peso. -Non essere intimo. Il permesso di essere emotivamente e fisicamente intimi viene appreso nell’interazione con le figure significative, pertanto qnd il genitore si mostra distratto, distante fisicamente o emotivamente assente, facilmente invia un messaggio del tipo <<non essere intimo>>.La capacità di integrasi e la scelta di appartenere al sistema familiare prima, ad altri sistemi poi, sono ampiamente influenzati dalla presenza del permesso di essere intimi insieme a quello di esistere nel copione del soggetto; il soggetto a cui tali permessi sono stati cronicamente negati può <<decidere>> di non appartenere isolandosi. -Non essere piccolo. Un altro permesso che va preso in esame è quello di poter agire, sentire, pensare come un soggetto che ha una determinata età: trattando dell’abbandono psicologico si sottolinea che i bambini sono facilmente invitati ad assumere molto precocemente ruoli tipici degli adulti e a smettere di essere bambini, dunque viene negato al bambino di vivere secondo la sua età e gli si comunica un’ingiunzione. 2capitolo Comprendere e gestire il disagio. Il docente è chiamato innanzitutto alla realizzazione dell’alfabetizzazione culturale, ma qst meta non può essere adeguatamente raggiunta se non ci si occupa della persona dell’alunno nella sua totalità e se non si considera <<l’educando>> oltre <<lo scolaro>>; la gestione delle problematiche educative, dei disagi viene ritenuta dal docente un compito in più, ma semplicemente di tradurre in pratica la difficile convivenza tra <<insegnante>> ed <<educatore>>. Dinanzi ad una disagio i problemi sono almeno due: uno appartiene all’allievo, l’altro appartiene al docente, il problema del docente non si tratta di un problema personale, ma di un problema educativo, dinanzi all’allievo che manifesta dei problemi egli ha bisogno di capire cosa possa fare per evitare di scadere nella banalità,la sua capacità di individuare i problemi anche qnd non risultano immediatamente evidenti. Dopo aver preso in esame gli atteggiamenti e gli interventi inefficaci da parte del docente, si passerà a proporre delle linee guida per un approccio efficace. F 0 E 0Atteggiamenti comuni dinanzi al disagio. Di fronte al disagio degli allievi, in presenza di una situazione educativa complessa, i docenti intervengono assumendo certi atteggiamenti e ricorrendo a delle modalità e delle strategie per mettere ordine; si passerà ad esaminare alcuni stili di atteggiamenti tra docente e allievo: a)Stile intollerante, un una prima reazione comune dinanzi ad un allievo che sfida il docente o che insiste nel suo comportamento disturbante è quella che possiamo definire impaziente, autocratico, l’insegnante potrebbe reagire esplodendo furiosamente, ma qst atteggiamento intollerante si avvale di una varietà di interventi coerenti con la sua posizione:la critica, il rimprovero, la sospensione… l’educatore però non può accontentarsi soltanto della forma, della facciata esterna. b)Stile polemico e litigioso, in qst caso il docente potrebbe attaccare direttamente l’allievo cercando di deriderlo agli occhi dei compagni, si tratta di un atteggiamento piuttosto rischioso in qnt può facilmente innescare dinamiche distruttive a spirale crescente: la modalità attaccabrighe del tipo delicato non è molto efficace in classe, è infatti facile che l’allievo risponda sullo stesso piano cercando di deridere a sua volta l’insegnante. c)Stile timoroso, un altro possibile atteggiamento dinanzi all’allievo è quello di chi subisce tollerando pazientemente il comportamento dell’allievo, si tratta di una reazione non molto proficua e che facilmente viene letta dagli alunni come un permesso a persistere nel comportamento distruttivo; lo stile timido non risulta molto protettivo per il docente e tanto meno risulta efficace per gli allievi, una delle conseguenze di qst stile e che il docente potrebbe cominciare a usare l’interazione con gli alunni un modo per confermare l’idea che il mondo è ostile, cattivo…qst idea ci fa vedere una persona debole che non sa difendersi e che permette agli allievi di continuare ad abusare a piacimento. d)Stile calcolatore, si tratta di uno stile tipico di chi gestisce le interazioni educative ricorrendo ad una atteggiamento estremamente logico, razionale un docente apparirà calmo, con padronanza di sé come una specie di computer, fa attenzione alla scelta delle parole giuste, e non lascia sentire a sé e agli altri i sentimenti di quel momento, perché non si lascia coinvolgere emotivamente, dinanzi ad una problema cerca di -Parecchi comportamenti messi in atto in contesti educativo, gli educatori sono consapevoli che gli allievi “sanno”, in modo a volte inconsciamente calcolato, come manipolarli per ottenere quegli effetti: l’allievo abituato a ricevere carezze negative in contesto familiare, è facile che in classe si prodighi per ottenere quel tipo di riconoscimento, se in famiglia ha appreso che per poter essere riconosciuti era necessario ricorrere a modalità straordinarie. L’interazione osservabile educatore-educando in cui viene inconsciamente attualizzata una qualche modalità conflittuale storica, si può definire di tipo copionico, in qnt alimentata e stabilita dal <<copione del soggetto>>.Per comprendere meglio la questione è utile riferirsi ai concetti di transfert e controtransfert: -il termine transfert, era inizialmente utilizzato in psicoanalisi per indicare l’atteggiamento emotivo del paziente nei confronti del terapeuta, tecnicamente può essere positivo o negativo, è positivo se il paziente sperimenta ostilità nei riguardi del terapeuta che, in fondo è rivolta verso il genitore, è positivo qnd i vissuti verso il terapeuta sono positivi; -il controtransfert, invece indica la reazione, spesso inconscia, del terapeuta nei riguardi del transfert del paziente che assume notevole importanza ai fini dell’efficacia del trattamento, in particolare in terapia è considerato di notevole importanza che il terapeuta analizzi ed utilizzi il transfert e il suo controtransfert non per agirlo, ma per una comprensione profonda per progettare e realizzare interventi efficaci volti al cambiamento. I fenomeni del transfert e del controtransfert si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale ed in particolare in quella educativa docente-allievo, educatore-educando; il bambino che a casa non riceve cure ed attenzioni desiderate dai genitori può scoprire che qnd si ammala diventano particolarmente protettivi, il bambino facilmente può concludere che entrando in sistemi diversi, potrebbe interagire col docente cercando di suscitare in lui quel senso di tenerezza cui è abituato ostentando l’eventuale malattia. -Gli atteggiamenti più comuni dinanzi al disagio vanno dal tentativo di ignorare facendo finta di non vedere, però non mancano quei docenti che, facendo tesoro degli insegnamenti mutuati dalle letture e dalla propria formazione, si propongono di accettare tutti compresi coloro che vivono il disagio o che infastidiscono. Proporsi intenzionalmente di <<addomesticare>> un sentimento ritenuto negativo, può essere lodevole, ma in pratica presenta diverse controindicazioni; è facile dunque che ad un livello ci si proponga una cosa e poi, ad esempio a livello non verbale, se ne faccia un’altra e qst forse è peggio del rifiuto palese in qnt rischia di ingannare sé stessi e l’altro. Va sottolineato che sulla base del proposito di accettare incondizionatamente ogni bambino, compresi quelli che a pelle non piacciono o per i quali si nutrono sentimenti di rifiuto, si rischia di mettere una specie di coperchio sulla situazione che impedisce di comprenderla adeguatamente. Uno dei motivi per cui i docenti tendono a reprimere e a rimuovere i sentimenti negativi verso gli studenti sia dettato dal bisogno di evitare di sentirsi falliti, qst docenti cercano di realizzare quello che tecnicamente è definito come detached concern: una specie di interessamento distaccato inteso come ideale di equilibrio e di maturità professionale, volto a tutelare sé e l’altro da attivazioni emotive intese e ritenute rischiose in qnt potrebbe interferire nel rapporto col paziente. Gli studi documentano però che tradurre in pratica il detached concern non è affatto semplice, trovare un equilibrio tra distacco, disistima e vicinanza emotiva, è difficile in qnt facilmente i sentimenti si trasformano nel tempo ad un vero rigetto e disprezzo. 3capitolo Opposizione, rifiuto e conflitto educativo. Due tipologie comunemente usate dagli educatori per far fronte all’opposizione dell’educando sono: -Modalità vessatorie, uno degli stili usati dagli educatori, dinanzi al bambino che rifiuta di accondiscendere alla richiesta di fare una certa cosa, ad esempio, se delle maestre avviano un laboratorio di alfabetizzazione affettiva, che prevede un momento di socializzazione ma un bambino si rifiuta di mettersi in cerchio, dapprima la maestra lo invita con le buone maniere, ma il bimbo continua a rifiutare, dopo con la forza lo porta nel cerchio; in certi casi la frustrazione legata ad una certa situazione viene ulteriormente acuita in seguito all’atteggiamento aspro, brusco, di certo non aiuta ad accettare la frustrazione legata al divieto, anzi va ad aggiungersi ad essa, infatti lo stile vessatorio alimenta facilmente dinamiche distruttive, eliminare e cambiare i suoi comportamenti scorretti attraverso la punizione, tenderà facilmente a diventare ancor più violento. –Modalità manipolatorie, Nel realizzare importanti obiettivi, pur di eludere la resistenza o il rifiuto dell’altro, non è facile, in certe occasione, resistere alla tentazione di ricorrere all’inganno, esempio, Carlo tende a vivere in maniera catastrofica le separazioni al punto che, qnd una ragazza che gli corteggia desidera allontanarsi da lui, comincia a manifestare insofferenza si butta per terra, urla, piange, uno degli elementi che colpisce nel passato di Carlo è il tipo di interazione con le figure significative caratterizzato dall’uso dell’inganno per proteggerlo da esperienze traumatiche, con rabbia Carlo racconta che all’età di 6anni fu accompagnato dalla madre e da una zia dal dentista per un’estrazione, ma senza che lui ne sapesse nulla, era stato rassicurato che il dentista si sarebbe limitato a dare un’occhiata, ma Carlo si trovò nel bel mezzo di una trappola da cui non poté liberarsi, la sua rabbia tuttora viva e persistente, è quella di non essersi sentito rispettato, maturando così l’idea che gli altri sono “falsi” e che l’unico modo per evitare di essere imbrogliati sia quello di non fidarsi, il ricorso al sotterfugio non è raro se si pensa ad alcuni messaggi usati dai genitori con i bambini, dai docenti con gli allievi. F 0 E 0Conflitto educativo. Esistono diverse definizioni di conflitto e gli psicologi ne hanno individuati e descritti diversi tipi, abbiamo il conflitto intrapsichico, la personalità è comunemente concepita come un insieme di forze, di istanze, di polarità che spesso si scontrano, poi il conflitto interpersonale, e può avere origine intrapsichico e relazionale, esso ha origine interna qnd uno degli interlocutori mette in scena dinamiche che originano da problematiche irrisolte di cui non è consapevole, esso viene considerato <<sano>>, da un punto di vista strettamente psichico, se si fonda sulla consapevolezza, sull’integrazione di sé nonché su un adeguato senso di differenziazione tra sé e gli altri. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che il conflitto <<sano>> sia auspicabile nei rapporti interpersonali in qnt, se gestito appropriatamente, contribuisce a migliorare le relazioni; accanto al conflitto interpersonale va considerato quello educativo che nasce in particolar modo nel rapporto tra educando ed educatore: l’educazione è attraversata da alcune antinomie e quella che nasce tra libertà e autonomia riassume l’essenza del conflitto educativo, autorità e libertà, adulto ed educando, si incontrano, si confrontano e si scontrano. L’azione educativa, da una parte limita l’azione dell’educando, dall’altra è limitata dalla sua personalità, originalità, diversità, dallo sforzo del soggetto di diventare ciò che è e che vuole essere, dal bisogno di autenticità e di essere sé stessi; l’iniziativa dell’educatore facilmente viene vissuta come una sorta di limite. Fin dalla nascita l’educando ha continuo bisogno di maestri, di guida, di educatori che gli consentano di partecipare alla vita sociale; l’educatore, è investito di una compito delicato in qnt deve integrare molteplici esigenze interne al soggetto da educare ed esterne derivanti dagli aspetti normativi, standard. È importante stabilire fino a che punto e in che misura l’azione educativa non soffochi, anzi sviluppi la personalità del soggetto, fino a che punto sia rispettosa dell’interiorità e del momento evolutivo di colui che è destinatario dell’educazione, infatti non è raro che l’educazione si trasformi in azione manipolativa. Il dilemma autorità-libertà, ovvero tra azione dell’educatore ed iniziativa dell’educando può essere ridefinito e riassunto che lo stimolare la crescita dell’educando dal suo interno assecondandone gusti, desideri, bisogni, o aiutarlo a realizzare un dover essere da cui derivano valori, obblighi, regole. Se l’azione educativa viene concepita come la piattaforma in cui si realizza l’interdipendenza dei fattori personali e di quelli sociali, ne consegue che in ogni rapporto educativo esistono delle polarità, cioè tendenze che nascono dall’educatore ed altre che provengono dall’educando. L’interazione educativa si realizza in modo costruttivo se si fonda su una sorta di equilibrio tra aspettative personali e sociali: i fattori personali dormire, proporsi intenzionalmente e sforzarsi uno dei percorsi privilegiati per poi rimane svegli; imporsi intenzionalmente un obiettivo, in qst caso porta lontano dall’obiettivo stesso, per qnd riguarda il problema dell’insonnia, ricorrere ai farmaci, volto a far vincere una parte di sé su un’altra, quella che intende dormire su quella che non desidera dormire, non sembra molto rispettoso. Le opzioni efficaci passano attraverso il prestare attenzione, considerare, ascoltare ogni parte di sé, consentire infatti il libero flusso di idee, pensieri, ecc…in qnt risulta evidente che la guerra volta a cancellare qualche parte di sé non produce i risultati sperati, qualcosa di analogo, tuttavia, avviene anche nel conflitto interpersonale di tipo educativo. –Resistenza e Integrazione,l’educatore che si trova a dover gestire l’allievo demotivato che rifiuta è in una posizione del tutto analoga a quella dello psicoterapeuta che si trova a interpretare e trattare le <<resistenze>> del cliente; qnd si parla di comportamento oppositivo di resistenza, si presuppone che vi siano degli obiettivi verso cui il soggetto dovrebbe muovere, si tratterà di obiettivi educativi (fare i compiti, ordinare la camera…), o di obiettivi del cambiamento psicoterapeutico (smettere di fare la vittima, smettere di comunicare in modo indiretto…), ogni ostacolo, ogni barriere nel muoversi in una data direzione viene concepita come una resistenza. Tra i modelli di riferimento più appropriati va considerato, ad esempio, quello della psicoterapia della Gestalt secondo cui la resistenza è in ogni caso una parte del soggetto e come tale preziosa, dunque essi non si propongono di attaccarle, di superarle, ma semplicemente di ricondurle al loro ruolo adattivo accogliendole, valorizzandole, perché si deve accogliere l’educando nella sua totalità, comprese le sue resistenze, perché è facile che la resistenza si ammorbidisca, diventi meno rigida e lasci spazio ad altre opzioni. F 0 E 0Una delle linee guida perché gli educatori possano agire in maniera corretta per gestire il conflitto con l’allievo che resiste e si oppone: -L’ascolto aperto: tra amorevolezza, rispetto e delicatezza. Con un bambino che mostra rifiuto dinanzi alla proposta di fare una certa cosa, il primo passo è quello di consentirgli di esprimersi e di manifestare le sue reticenze, resistenze, barriere, occorre mettersi in atteggiamento di ascolto interessato, aperto: dopo aver consentito all’educando di esternare apertamente e liberamente, esprimere qnt egli vive, l’educatore può esprimere il suo punto di vista in modo rispettoso e delicato. Esempio: <<Lucia viene portata dal dentista,per rilevare l’impronta dentaria, la madre prima di entrare istruisce la bimba perché non le faccia fare brutta figura, dopo un paio di prove senza riuscirci, madre e figlia escono dallo studio e la madre era irritata, risentimento, rabbia, si e dimenticata di considerare la bambina nella sua totalità, si dimentica di prestare attenzione e di prendersi cura della sua paura, ma in seguito la madre l’abbraccia e la consola, ma madre è entrata in contatto in modo empatico con i sentimenti della figlia, dopo un po’ liberamente la bimba si lascia prendere l’impronta>>.L’abbraccio <<miracoloso>> della madre ha avuto un effetto straordinario, ha consentito di risolvere l’impasse e di fare qnt era necessario. 4capitolo Problematiche educative: cosa si fa di solito, cosa si può fare di diverso. Un rischio diffuso tra qnt si propongono per mestiere di alleviare il disagio, di promuovere il benessere dei destinatari del loro intervento è tecnicamente noto come sindrome di burnout, intesa come una modalità di adattamento, come una risposta allo stress sperimentato in situazione lavorative che implicano il contatto con le persone a scopo di aiuto. Il burnout va concepito come una fuga da una situazione lavorativa vissuta quotidianamente con forte stress in cui non si intravedono vie d’uscita e possibilità di miglioramento, si tratta di una reazione emotiva, cognitiva e comportamentale caratterizzata da allontanamento dalla fonte di malessere. F 0 E 0 Scrivere parolacce sui libri dei compagni. In una quinta classe di scuola primaria una bambina trova un girono diverse oscenità sul suo diario, l’insegnante minaccia l’intera classe assicurando che nessuno avrebbe più festeggiato le feste in classe, e che non avrebbero fatto nessuna attività,se non fosse venuto fuori al più presto l’autore di tale accaduto; Alessia autrice delle scritte ascolta in silenzio, ma l’insegnante dopo alcuni giorni capisce che è stata lei, e dopo averla convocata separatamente, con atteggiamento incalzante, ottiene dalla bambina la confessione, e che non lo avrebbe fatto mai più. L’insegnante è soddisfatta, ma incuriosita chiede perché mai abbia agito in quel odo, Alessia rispose che fin dal primo anno la compagna non aveva perso occasione per farle dei dispetti, emarginarla ed escluderla dai giochi. È importante capire in qst situazione come l’insegnate deve reagire: la maestra di Alessia ha assunto un ruolo ispettivo, avviando degli interventi volti a scoprire l’autore del <<reato>> per poi farlo confessare e pentire,intanto, occorre precisare a quale obiettivo educativo si intende puntare, educare, in qst caso vuol dire per prima cosa comprendere come mai l’allievo si mette ad imbrattare diario, libri; il fatto che abbia subito dei dispetti e che gliela voglia far pagare in modo sotterraneo, rivela che non può permettersi di sentire, di vivere e di usare apertamente la sua rabbia verso la compagna. La bambina, infatti è stata educata a non sentire a nascondere e a non usare la sua rabbia, sia: sia la mamma, qnt il papà di Alessia impiegano notevolmente notevoli quantità di energia per evitare di arrabbiarsi con chiunque manchi loro riguardi. Anche il clima <<poliziesco>> creato in classe non consente di perseguire alcun obiettivo educativo, ma rischia di rivelarsi antieducativo in qnt promuove l’analfabetismo; infatti, è fondamentale dal punto di vista educativo, insegnare ai bambini che va bene sentire e vivere la rabbia e che non c’è motivo di nascondersi o ricorrere a percorsi sotterranei. L’insegnante può intervenire sull’intera classe, può avviare dei percorsi strutturali volti a promuovere l’alfabetizzazione affettiva in tutti i bambini: può proporre una recita in cui i bambini che hanno difficoltà con un sentimento potrebbero essere invitati ad assumere ruoli appartenenti che si danno il permesso di sentire, usare, vivere quel sentimento: sceglieranno un animale con cui si identificavano, poi furono suddivisi in piccoli gruppi ed invitati a mettere in scena un mimo. Al riparo di un personaggio i bambini sono facilitati nel darsi il permesso di sentire ed usare i sentimenti negati e qst costituisce una delle premesse fondamentali per lo sviluppo della competenza affettiva. F 0 E 0L’agitazione eccessiva dinanzi al compito. Una bambina dopo aver notato che l’insegnante aveva fatto un errore scrivendo alla lavagna, comincia ad agitarsi, ad alzare la voce, ripetendo più volte che in nessun modo l’insegnante possa sbagliare; per meglio comprendere qst reazione vale la pena prendere a prestito dall’analisi Transazionale il costrutto di stato dell’Io Genitore e del suo processo di sviluppo, un esempio utile: durante una visita a un amico, si avvicinò la figlia col telecomando in mano, la bambina era molto piccola, il suo vocabolario non era molto ricco, ma tuttavia attirò l’attenzione e, dopo aver mostrato il telecomando al papà, con la mano libera si diede le pacche sulla mano che teneva il telecomando. È intuitivo ipotizzare che quei comportamenti della bambina, dalla pacca sulla mano, fino al movimento che indica, che non si fa!! La bambina stava mostrando il processo di interiorizzazione delle aspettative, dei comportamenti e degli atteggiamenti del genitore; la bambina ha sviluppato un parte interna, tecnicamente nota come Genitore critico, fino al punto da non consentirle di accettare che lei o altri possano commettere errori di alcun genere; lo stile educativo adottato dai genitori e orientato all’evitamento dell’errore ad ogni costo. In casi come qst l’educazione riguardo al “rapporto con gli errori”, la didattica dell’errore si mostra particolarmente attenta alla valenza positiva dell’errore, lo sbaglio facilmente è considerato un evento negativo, grave e da evitare e gli allievi, fin da piccoli, imparano ad accompagnarlo con sentimenti quali paura, vergogna che qualche volta si trasforma in angoscia paralizzante. È comune il rischio, tra educatori ed insegnanti, di giocare il gioco psicologico denominato dagli analisti transazionali Magnifico Professore, poiché risulta pressoché impossibile non sbagliare, il problema non si risolve insegnando ai bambini ad evitare di commettere errori,, quanto insegnando come crescere sui propri errori, ma soprattutto che tipo di atteggiamento mantenere una volta che si è sbagliato. Occorre pertanto passare da una didattica che penalizza l’errore ad una nuova didattica dell’errore che lo consideri un’occasione per apprendere, se realizzato adeguatamente tutto qst consentirà all’allievo di liberarsi dalla paura di sbagliare e di riappropriarsi del permesso di fare le cose a modo proprio, libero e creativo; premesso che le parole non sempre risultano del tutto efficaci, è fondamentale che l’insegnante si presenti come modello e mostri come porsi rispetto all’errore. riassume il bisogno di preservare e di difendere sé stessi dalla minaccia che può derivare da chi si lamenta, si pensi alla reazione di alcuni genitori che dinanzi al figlio che torna a casa piangendo perché si è sbucciato le ginocchia, prima lo picchiano perché si è sbucciato le ginocchia, prima lo picchiano di santa ragione e poi lo medicano e lo curano; manifestando due parti di sé: la prima arrabbiata perché il figlio complica loro la vita, la seconda protettiva che dopo aver preso atto della situazione, interviene; nella reazione violenta è presente una sorta di ricatto nei riguardi dell’altro, tali elementi segnalano la presenza di una relazione di tipo simbiotico: la sofferenza diventa un richiamo intollerante in qnt manca la separazione tra sé e altro, manca un’affettività separata, una seconda chiave di lettura per capire i percorsi interni che possono produrre la reazione di intolleranza è legata all’atteggiamento assunto dall’educatore. Il docente sente di aver diritto di essere riconosciuto, amato, apprezzato dagli altri o da sé stesso per le buone azioni che compie, il lamento di conseguenza diventa una specie di dichiarazione del suo fallimento; ne deriva una specie di rabbia da frustrazione, è come se il docente si dicesse tra sé e sé, “che ci sta a fare in qst mondo se non riesce a risolvere un problema simile” , dunque il salvatore si trasforma in persecutore intollerante a volte aggressivo e violento. -Il legame simbiotico. Entrare in relazione proponendosi di dare benessere a qualcun altro è senz’altro lodevole, dimenticare che l’altro ha la sua autonomia e quindi può accettare o meno l’aiuto o, nonostante esso può continuare a lamentarsi, costituisce la premessa fondamentale per avviare il legame della simbiosi. Non essendo chiaramente delineati i confini tra sé e l’altro, nella simbiosi manca un’affettività separata, e alla persona con difficoltà quasi viene negata di sentire il suo disagio, la sua sofferenza. Mancando i confini tra sé e l’altro, si instaura una specie di rapporto diretto tra causa ed effetto e, facilmente non si intravedono vie di uscite dinanzi alle difficoltà, l’unica opzione diventa, in molti casi, quella dell’intolleranza che porta a far di tutto per <<cancellare>> o cercare di <<far sparire>> la sofferenza dell’altro. Perché il proprio giudizio viene fatto <<dipendere>> da un comportamento dell’altro in modo quasi lineare, siamo, pertanto dinanzi ad una forma simbiosi: l’insegnante si considera bravo se gli allievi riescono, il legame simbiotico, che cancella o confonde i confini tra sé e l’altro, non consente di distinguere dove finisce la propria responsabilità e dove comincia quella dell’altro.