Scarica Gestire il disagio a scuola e più Prove d'esame in PDF di Pedagogia solo su Docsity! GESTIRE IL DISAGIO A SCUOLA Di Giombattista Amenta CAPITOLO 1: IL DISAGIO NEI CONTESTI EDUCATIVI • Il termine disagio ha cominciato ad affermarsi intorno alla fine degli anni ’70. • Il concetto si presenta inizialmente povero di contenuti specifici ed impiegato per esprimere la perdita di rilevanza delle problematiche giovanili e la consapevolezza del fallimento del grande disegno sociale e politico concepito dalle generazioni sessantottesche e post sessantottesche. • Successivamente l’attenzione viene focalizzata sui vissuti che accompagnano il disagio durante i momenti di crescita verso l’età adulta. Parallelamente alla crisi dei concetti di devianza e di marginalità che si erano impoveriti, quello di disagio viene preferito sempre più perché considerato meno connotato ideologicamente e più adatto ad essere applicato ad una ampia maggioranza di individui. • Va precisato che molti disagi risultano “trasversali” ed altri, che si individuano soltanto in età giovanile, scaturiscono da percorsi avviati molti anni prima e gettano le loro radici in momenti decisamente antecedenti. 1. DEFINIZIONE DI DISAGIO • Il disagio è inteso come esperienza strettamente personale e soggettiva da cui possono derivare dei segni osservabili e rilevabili dall’osservatore e dall’interlocutore. • Etimologicamente il termine è costituito dal prefisso “dis”, che indica negazione e dalla parola “agio” che significa giacere presso. • Il termine designa la condizione di chi vive ai margini , si sente escluso, isolato, lontano dagli altri e da se stesso. • Nei dizionari socio-pscio-pedagogici, il termine risulta usato come sinonimo di disadattamento e di devianza, e nelle scienze psicologiche è usato per indicare uno stato soggettivo e generico di sofferenza psichica. • Nell’ultimo decennio, l’uso del termine ha visto una diffusione crescente come categoria descrittiva della condizione giovanile. Secondo le descrizioni più usate della psicopedagogia italiana, il disagio è inteso: 1. come sintomo dell’incapacità e dell0impossibilità del soggetto di trovare soluzioni soddisfacenti e coerenti alla propria identità rispetto a ciò che è percepito come possibile e ciò che è percepito come radicalmente negato dalla società 2. come incapacità di tollerare e di gestire la complessità e di sostenere il peso della precarietà, della flessibilità e dell’eccessiva aleatorietà che caratterizzano la società attuale a livelli di valori e di possibilità da parte dei soggetti dotati di identità fragile. 3. come sintomo di una domanda non patologica dei problemi psicologici ed affettivi, delle difficoltà familiari e relazionali, delle difficoltà scolastiche, del malessere esistenziale legato alla costruzione dell’identità. 4. come espressione della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi richiesti dal contesto sociale per conseguire l’identità e le abilità necessarie per gestire le relazioni quotidiane. 5. come risultato della difficoltà a gestire la complessità e a far fronte alle contraddizioni legate ai processi di socializzazione e di maturazione verso l’età adulta. • La parola disagio è usata per comprendere significati e sfumature variegate e si riconduce ad una base oggettiva che si identifica con l’ammontare delle inadempienze, dei rinvii, degli inganni di cui i giovani sono stati oggetto privilegiato negli ultimi anni; comprende un vissuto soggettivo che implica un ampio ventaglio di elementi: percezioni, sentimenti, valutazione, bisogni e domande che contengono in ogni caso una sofferenza sommersa. • Le definizioni proposte prediligono un approccio descrittivo più che interpretativo del disagio e si individuano alcuni elementi chiavi: il disagio indica comportamenti e atteggiamenti non patologici, indica un malessere diffuso legato a difficoltà e problemi derivanti dai compiti evolutivi, dalle contraddizioni e dalla complessità relative alla relazione individuo-società complessa. • Altra tendenza diffusa è quella di usare il concetto di disagio ed altri fenomeni non sempre identici: disadattamento, frustrazione, stress, emarginazione, marginalità, devianza. • Disagio è usato come un termini ombrello per indicare una condizione esistenziale caratterizzata da incertezza, da precarietà. • Rischio: si intende una situazione in cui vengono negate, frustrate o mortificate le opportunità di soddisfazione dei bisogni fondamentali della persona. 2. CARATTERIZZAZIONI E FORME • Un aspetto che caratterizza molti disagi attuali è dato dall’ambiguità. Si può distinguere un disagio sintomatico da uno sommerso. ASINTOMATICO: segnalato con sintomi di vario tipo (tossicodipendenza, alcolismo) SOMMERSO: è sintomatico e meno studiato. Molti disagi si configurano come situazione di apparente normalità: i sintomi sono sfumati, scarsamente vistosi, poco clamorosi. • Si moltiplicano anche i fenomeni delinquenziali e di violenza in età precoce, sintomi di disagi asintomatici. Questi richiedono all’educatore una capacità di lettura e di abilità diagnostica molto raffinata per rilevare ed interpretare sintomi travestiti che si mescolano a situazioni apparentemente normali. È necessario partire dalla capacità di decodificare i segnali esterni del disagio non limitandosi alle manifestazioni palesi, oggettive. 3. SUPPOSIZIONI E PROPOSTE INTERPRETATIVE • Dinanzi allo stesso disagio di possono individuare cause diverse ed una causa pul determinare effetti differenti e non sempre prevedibili in quanto i fattori correlati sono molteplici e talvolta ignoti. 3.1 PREMESSE, ANTECEDENTI E LUOGHI DEL DISAGIO • ANTECEDENTI= premesse che possono aver iniziato dei percorsi che hanno portato al disagio. 3.1.1 RUOLO DELLE DIFFICOLTÁ E DEGLI SVANTAGGI • Lo svantaggio fisico è una delle premesse principali di disagio obiettivo. • Alcuni studiosi fanno risalire il disagio agli svantaggi connessi alla condizione socio-economica e culturale del soggetto e della sua famiglia, evidenti nell’appartenenza di classe, i livelli di consumo, le opportunità di istruzione, accesso ai sevizi. • La marginalità sociale e la povertà sono due fenomeni strettamente connessi al disagio e in certi casi alla violenza. 3.1.2 INCIDENTI NELLA CARRIERA SCOLASTICA • La scuola presenta un alto tasso di abbandono precoce correlato al rischio e al disagio. Si distinguono diverse forme: selezione palese, selezione occulta e abbandono scolastico. SELEZIONE PALESE: riguarda quei soggetti ai quali si prelude il passaggio alla classe successiva come ad esempio: bocciatura, provvedimenti disciplinari volti a allontanare l’allievo dalla scuola. SELEZIONE OCCULTA: si permette all’allievo il regolare perseguimento negli studi e l’ammissione alle classi successive. • L’abbandono scolastico riguarda quegli allievi che apertamente lasciano la scuola senza arrivare a conseguire il titolo di studio p senza concludere l’anno scolastico. • I momenti in cui si manifestano con maggiore clamore le problematiche legate all’abbandono è l’intervallo che va dalla scuola secondaria di primo grado all’ingresso nella secondaria di secondo grado. • La scuola deve attrezzarsi adeguatamente per poter rispondere ai bisogni speciali, al disagio, alle difficoltà della popolazione scolastica. I soggetti del disagio rischiano di venire frustrati dal confronto con i compagni. La reazione conseguente degli allievi va dal passivo conformismo all’opposizione alle attese della scuola e degli adulti. • Quando le agenzie educative non risultano in grado di accogliere il disagio dell’individuo e del rispondervi efficacemente, alcuni si rivolgono alla strada come luogo di fuga. La strada è un luogo in cui ci si rivolge per avere risposte al proprio disagio, un luogo meno esigente rispetto alla scuola o alla famiglia. Viene considerata come una famiglia adottiva a cui si chiede sostegno, cura, protezione appagamento di quei bisogni cui né famiglia né scuola sono stati in grado di dare risposta. 3.1.3 LE FRUSTRAZIONI NELLA VITA RELAZIONALE • Parecchi antecedenti del disagio originano da difficoltà relazionali in particolare di quelle familiari (presenza di conflitti, separazioni, divorzi) da cui derivano frustrazione e stress per i membri del sistema. Nelle famiglia incomplete o in cui i genitori sono assenti, le problematiche riguardano l’abbandono, violenza, abuso, trascuratezza fisica e affettiva che danneggiano i minori. 3.2 IL DISAGIO FRA DISADATTAMENTO E IPERADATTAMENTO. • I soggetti del disagio sintomatico e sommerso sono accomunati dalla medesima difficoltà a integrarsi in quanto le competenze richieste dalla società sono complesse. Essi, sono tenuti ad assumere orientamenti e logiche diverse, a seconda dei sottosistemi a cui intendono appartenere ( famiglia, scuola, lavoro) • Il disagio in tal senso nasce dalla carenza nella capacità adattiva alle logiche e ai criteri che caratterizzano i vari sottosistemi. La questione è stata approfondita dalla psicopedagogia che ha visto pone l’accendo sui deficit del soggetto ed ai processi transazionali tra individuo e strutture sociali. • Dagli anni ’50 ad oggi, si è passati da un approccio che vede il comportamento come funzione della personalità del soggetto, ad un approccio che considera il comportamento, risultante dall’interazione tra personalità e ambiente. • Piaget: parla di adattamento inteso come equilibrio dinamico tra assimilazione ed accomodamento. • VEDI DAL DISAGIO ALLA RINASCITA DEL SÉ: adattamento, disadattamento, conformità, analisi transazionale. 3.3 DISAGIO, VIOLENZA, ABBANDONO • “Cultura della Morte”: (es. aborto) esistono alcuni fattori che ruotano attorno alla perdita del senso di sacralità e di inviolabilità della vita umana. Si parla della cultura dell’abbandono, che vivono rapporti superficiali con i genitori perché affidati ad altri. • I bambini sono invitati ad assumere precocemente i ruoli tipici degli adulti e a smettere di essere bambini; indifferenza per il bambino come persona; abusi; violenza; sono il risultato di disagi e l’unica strada da percorrere è la fuga. • Ciò comporta una società regolata dal binomio generatività-stagnazione: GENERATIVITÁ: atteggiamento volto a creare, prendersi cura e guidare i figli e le nuove generazioni. Quando la generatività risulta carente si possono affermare forme di STAGNAZIONE e di impoverimento personale. 3.4 DISAGIO E FRUSTRAZIONE DEI BISOGNI. • Esistono diversi tipi di approccio che hanno studiato il disagio: negli anni '50-'60, l'approccio clinico privilegiava una lettura intrapsichica nello studio del disagio, si sono recuperate le interpretazioni che consideravano, oltre ai dinamismi interni della personalità, anche il contesto sociale e ambientale. Capitolo 2: Comprendere e gestire il disagio Il docente è chiamato alla realizzazione dell'alfabetizzazione culturale, ma questa non può essere adeguatamente raggiunta se non ci si occupa della persona dell'alunno nella sua totalità e se non si considera l'educando oltre che lo scolaro. Dinanzi ad un disagio i problemi sono almeno due: uno appartiene all'allievo, l'altro appartiene al docente. Il problema del docente non si tratta di un problema personale, ma di un problema educativo, dinanzi all'allievo che manifesta dei problemi egli ha bisogno di capire cosa possa fare per evitare di cadere nella banalità, deve avere la capacità di individuare i problemi anche quando non risultano evidenti. Dopo aver preso in esame gli atteggiamenti e gli interventi inefficaci da parte del docente, si passerà a proporre delle linee guida per un approccio efficace. 1. ATTEGGIAMENTI COMUNI DINANZI AL DISAGIO Di fronte al disagio degli allievi, in presenza di una situazione educativa complessa, i docenti intervengono assumendo certi atteggiamenti e ricorrendo a delle modalità e strategie per mettere ordine. Alcuni stili di atteggiamento tra docente e allievo sono: 1.STILE INTOLLERANTE: una prima reazione comune dinanzi ad un allievo che sfida il docente o che insiste nel suo comportamento disturbante è quello possiamo definire impaziente, autocratico. L'insegnante potrebbe reagire esplodendo furiosamente, ma questo atteggiamento intollerante si avvale di una varietà di interventi coerenti con la sua posizione critica, il rimprovero, la sospensione. L'atteggiamento intransigente e dispotico può avere dei vantaggi solo a breve termine. 2. STILE POLEMICO E LITIGIOSO: Il docente potrebbe attaccare direttamente l'allievo cercando di deriderlo agli occhi agli occhi dei compagni, si tratta di un atteggiamento rischioso perchè può facilmente innescare dinamiche distruttive a spirale crescente perchè è facile che l'allievo risponda con lo stesso tono cercando di deridere a sua volta l'insegnate. 3.STILE TIMOROSO: L'insegnate tollera in silenzio il comportamento dell'allievo, si tratta di una reazione non molto proficua e che facilmente viene letta dagli alunni come un permesso a persistere nel comportamento distruttivo. Questo stile non è proficuo per l'insegnate e tanto meno risulta efficace per l'allievo. Uno delle conseguenze di questo otile è che il docente potrebbe cominciare a usare le interazioni con gli studenti come occasione per confermare l'idea che il mondo è ostile, cattivo e che gli altri cono ingrati. Nell'atteggiamento di martire, timido, l'idea di docente che trapela è quella di una persona debole che difficilmente reagirà, di conseguenza permette agli allievi di continuare ad abusare a piacimento. 4.STILE CALCOLATORE: si tratta di uno stile tipico di chi gestisce le interazioni educative ricorrendo ad un atteggiamento estremamente logico, razionale, il docente apparirà calmo, impassibile, padronanza di sè come una specie di computer. L'attenzione del docente è impegnata alla scelte delle parole giuste, a non sbagliare, a non lasciar sentire a sè stesso e agli altri i sentimenti di quel moment, a controllare e inibire le reazioni. Il docente cerca di discutere con l'allievo sforzandosi di farlo ragionare sul suo comportamento e sugli effetti che sortisce sugli altri. 2\3. INTERVENTI COMUNEMENTE IMPIEGATI PER GESTIRE IL DISAGIO Gli interventi comunemente usati per gestire il disagio sono: ignorare, sopportare in silenzio, critica, predica, rimprovero, punizione, sospensione. Questi interventi sono definiti IMPRODUTIVI perchè presentano alcune caratteristiche specifiche: • la Ripetitività: comportamento del docente è simile a quello dell'allievo. Ad esempio in una conferenza a cui partecipano i docenti viene richiesto di fare silenzio. Quando il preside inizia a parlare, i docenti, a sua volta, incominciano a parlare tra di loro fino a far diventare la situazione insostenibile. Il preside attraverso il rimprovero richiama il silenzio, ma dopo qualche minuto i ripete la situazione di prima. Questo dovrebbe far riflettere i docenti quando questa modalità si ripete in classe. • Autoperpetuazione: consiste nelle pressioni eccessive, di maltrattamento dei confronti dell'alunno per farlo reagire. Va considerato che le pressioni dei genitori generano reazioni comportamentali che aggravano le reazioni comportamentali che si intendeva modificare: es. allievo timido viene incalzato perchè diventi spigliato, l'alunno critico viene ripreso perchè ansioso. L'uso di interventi duri attiva l'effetto boomerang. LA FOCALIZZAZIONE SUI SINTOMI DEL DISAGIO Le strategie improduttive si incentrano sull'aspetto esterno, un rischio è quello di considerare e di trattare la manifestazione del disagio come se fosse il disagio stesso ed intervenire, di conseguenza, per cancellare, per eliminare: l'illusione è che una volta rimosso il sintomo la questione sia contese. A livello sociale, si vedrà l’alunno che vuole apparire forte; a livello psicologico, si ipotizza un bisogno di nascondere l’insicurezza. • Interazione tra docente e duplice livello: il principio della lettura a duplice livello (superficiale, profondo, sociale, psicologico) risulta utile per costruire relazioni efficaci anche da adulti: ad esempio nel rapporto tra docente-docente, dirigente-docente. Livello superficiale: accogliere le richieste del docente in merito ad esempio ai chiarimenti del programma; livello profondo: guadagnare un punto di vista in più perché preoccupato di non fare bene, di sbagliare. • Livello superficiale, livello nascosto e vita affettiva: educare partendo alla formazione integrale dell’educando implica la necessità di promuovere l’alfabetizzazione affettiva. La lettura dei sentimenti secondo un doppio livello, consente di comprendere reazioni diversamente inspiegabili ed individuare possibili ipotesi di intervento. Gli studi condotti dagli analisti transazionali da Berne in poi hanno consentito di mettere in evidenza che esistono sentimenti naturali e sentimenti di riscatto. Si tratta di sentimenti che col tempo hanno sostituito e preso il posto di alcuni sentimenti genuini, originali: l’allegria al posto della tristezza, la paura al posto della rabbia, la tristezza al posto della rabbia, la rabbia al posto della tristezza. Fin dalla primissima età, il bambino viene incoraggiato o scoraggiato nel sentire e nell’utilizzare determinati sentimenti. Dinanzi a tali pretese il bambino si trova dinanzi ad un bivio: adattarsi o ribellarsi. Il bambino scoraggiato dall’esprimere un sentimento come la rabbia può trovare vantaggioso sostituirlo con la paura. Nel momento in cui il sentimento espresso non risulti congruente siamo dinanzi a un sentimento di riscatto. Un altro criterio per individuare i sentimenti di riscatto è dato dal cambiamento di direzione dell’azione pertinente attraverso la sostituzione radicale del sentimento rispondente alla situazione: ad esempio il ragazzo che subisce un sopruso, preso dalla paura, potrebbe passare a tranquillizzare l’interlocutore procurandosi ulteriormente svantaggi piuttosto che protestare. Un terzo criterio fondamentale per individuare i sentimenti di riscatto p la presenza di una manifestazione esagerata e sproporzionate. • La finalità dell’educazione e dell’alfabetizzazione affettiva è quella di consentire all’educando di riappropriarsi della sua vita affettiva in tutta la sua gamma e secondo tutte le sfumature. Pertanto il bambino ha bisogno di socializzare, capire che va bene sentire e vivere la rabbia perché in molti casi è utile. • Pregiudizi, manipolazione, trasfert e controtrasfert: l’interazione educatore-educando attualizzata inconsciamente con modalità conflittuali si può definire di tipo Scenico o di tipo Copionico, in quanto alimentata e stabilita dal copione del soggetto. Per meglio comprendere la questione è utile ai concetti di trasfert e controtrasfert: TRASFERT: inizialmente utilizzato in psicoanalisi per indicare l’atteggiamento emotivo del paziente nei confronti del terapeuta. Successivamente è stato usato per indicare il rpcesso proiettivo di affetti e pensieri da parte del paziente sulla figura del terapeuta e la conseguente attivazione di condotte che originano dall’interazione con le figure significative del passato, in particolare con i genitori. Tecnicamente può essere positivo o negativo. È negativo se il paziente sperimenta sperimenta ostilità nei riguardi del terapeuta che, in fondo p rivolto verso il genitore. È positivo quando i vissuti verso il terapeuta sono positivi: simpatia, affetto, stima. CONTROTRASFERT: indica la reazione, spesso inconscia del terapeuta nei riguardo del transfert del paziente che assume notevole importanza ai fini dell’efficacia del trattamento. In terapia è considerato di notevole importanza che il terapeuta analizzi ed utilizzi il transfert e il suo controtrasfert per una comprensione profonda e articolata delle dinamiche e dei processi presenti nella situazione terapeutica e, di conseguenza, per proteggere e realizzare interventi efficaci volti al cambiamento. I fenomeni di trasfert e controtrasfert si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale ed in particolare in quella educativa docente-allievo, educatore-educando; il bambino che a casa non riceve le cure ed attenzione desiderate dai genitori può scoprire che quando si ammala diventano particolarmente protettivi, il bambino facilmente può concludere che entrando in sistemi diversi, potrebbe interagire col docente cercando di suscitare il lui quel senso di tenerezza cui è abituato ostentando l’eventuale malattia. • Efficacia, ascolto di sé, empatia: Gli atteggiamenti più comuni dinanzi al disagio vanno dal tentativo di ignorare facendo finta di non vedere preoccupandosi unicamente del programma da svolgere, all’atteggiamento persecutorio che si realizza quando il docente invita l’allievo a smetterla di disturbare ricorrendo a delle strategie comuni in classe: punizione, rimprovero. Esistono anche quei docenti che, facendo tesoro degli insegnamenti e della propria esperienza, si propongono di accettare tutti compresi coloro che vivono il disagio o che infastidiscono. Proporsi di addomesticare un sentimento ritenuto negativo, può essere lodevole, ma in pratica presenta diverse contraddizioni. Ad esempio è facile proporre un atteggiamento e verbalmente farne un altro. Sulla base del proposito di accettare tutti, si rischia di mettere una specie di coperchio sulla situazione che impedisce di comprenderla adeguatamente. Uno dei motivi per cui il docente tende a reprimere e a rimuovere i sentimenti negativi verso gli studenti è dettato dal bisogno di evitare di sentirsi falliti, cercano di realizzare quello che tecnicamente è definito come Detached Concern: un interessamento distaccato inteso come ideale di equilibrio e di maturità professionale, volto a tutelare sé e l’altro da attivazioni emotive intese e ritenute rischiose in quanto potrebbe interferire nel rapporto con paziente, allievo. Trovare un equilibrio tra distacco, disistima e vicinanza emotiva, non è semplice perché i sentimenti facilmente si trasformano nel tempo ad un vero rigetto e disprezzo. Piuttosto che eliminare i sentimenti negativi il docente potrebbe cominciare ad ASCOLTARE per comprendere meglio la situazione e per scoprire nuove opzioni. • L’intervento educativo conseguente dovrà promuovere la consapevolezza del bambino circa quello che fa e circa fi effetti che tende a produrre. Il secondo luogo dovrà consentirgli di apprendere modalità alternative di esprimere i suoi sentimenti o i suoi bisogni. In particolare se il suo comportamento p ambivalente in quanto da una parte vorrebbe entrare a far parte del gruppo, dall’altra agisce in modo da farsi emarginare sempre di più, il suo agire conferma l’ipotesi che nessuno voglia stare con lui. Il bambino potrebbe essere aiutato a prendere atto di quello che fa e imparare, ad esempio, a chiedere in maniera diretta, assertiva, non distruttiva. L’ascolto di sé e l’utilizzo dei sentimenti risulta di grande valenza educativa nel rapporto interpersonale tra gli allievi e l’insegnante può assumere il ruolo di facilitatore. NOMOTEICO: tende ad attribuire il peso maggiore alle aspettative sociali e concepisce l’educazione come trasmissione di conoscenze, di valori, di standard sociali. IDEOGRAFICO: rispetta le aspettative le esigenze ed i bisogni del singolo educando, consentendogli di scegliere quanto per lui risulta significativo. TRADIZIONALE: realizza una sorta di equilibri tra aspettative sociali e aspettative personali. • Anche in didattica si possono individuare tre percorsi per risolvere il dilemma: METODO ASCENDENTE: parte dalla descrizione accurata della situazione della popolazione scolastica e cerca di innestarvi finalità e obiettivi. METODO DISCENDENTE: rovescia la prospettiva perché parte dall’individuazione delle finalità e degli obiettivi desunte dalle aree disciplinari. METODO INTEGRATIVO: parte dal concetto di bisogno e si articola in 4 momenti: identificazione di un largo spettro di possibili obiettivi, ordinamento degli obiettivi secondo un ordine di importanza, valutazione della discrepanza tra obiettivi e situazione segli allievi, determinazione dell’ordine di precedenza nell’attuazione degli interventi formativi. 3. LA RICERCA DI PZIONI EFFICACI • La logica dell’ “opposto” e del “più di prima”: La protezione contro il cambiamento della temperatura,ad esempio, ed il mutamento desiderato si ottengono applicando l’elemento opposto rispetto a quello che ha determinato lo scostamento da una norma ( es. fa freddo, si deve alzare la temperatura). Nel caso in cui l’intervento correttivo dovesse risultare insufficiente, è ragionevole applicare “più di prima” le misure normalizzatrici (es. più caldo, più coperte). Si tratta di una logica comunemente applicata in molte situazioni quotidiane. Quando i problemi sono di natura psichica, relazionale, educativa, è facile che il principio non si riveli del tutto efficace. La logica dell’opposto e del più di prima si può individuare in parecchie strategie cui ricorrono gli educatori dinanzi al bambino che rifiuta di mangiare o è iperattivo: l’aumento di comportamenti giudicati scorretti rischia di indurre, nell’educatore una sorta di “accanimento terapeutico”, caratterizzato da atteggiamenti e interventi sempre più rigidi. • IL PARADOSSO: Alcune strategie comunicative impiegate per gestire e risolvere i problemi legati alla diversità e al rifiuto da parte dell'educando, a volte si rivelano paradossali: ad esempio nel caso del docente che intende promuovere nei suoi alunni l'interesse per la lettura, elogiando chi leggeva di più e disapprovando chi prendeva in prestito pochi libri, fa nascere un paradosso a causa di una gaffe del docente. Il paradosso è visibile perchè gli scolari avendo capito il sistema, prendevano in prestito molti libri e li restituivano non avendo letto neanche una pagina. Così facendo il risultava che avevano letto molti libri ed ottenevano gli elogi del docente. Pianificare interventi per promuovere atteggiamenti spontanei e volontari rischia di diventare paradossale, se ci si aspetta non soltanto che l'allievo studi, ma anche che lo voglia o che sia lui a volerlo. • Pretendere che l'educando compiaccia l'educatore quando non ne ha voglia eseguendo quanto richiesto, implica delle conseguenza relazionali. L'educando è persona diversa dal'educatore ed ha diritto di esercitare la sua facoltà di scelta. L'educatore ha il compito di educare, ma non può farlo se l'educando non collabora Se accettiamo il principio della BILATERALITÀ dell'esperienza e rifiutiamo l'unilateralità, non possiamo prescindere dal considerare che educatore ed educando sono persone distinte, con bisogni, opzioni, sentimenti diversi. É difficile essere felici in una coppia se non ci si dà il permesso di arrabbiarsi per paura di rompere il rapporto, la scelta di stare con l'altro è tale nella misura in cui esiste la possibilità di rifiutarsi. Gli allievi in classe si possono seguire con interesse se vengono messi in condizione di poter scegliere tra le opzioni di stare attenti e quella di fare altro: se viene concessa loro soltanto la possibilità di stare attenti e nulla di più, non esiste scelta in quanto ci si aspetta unicamente che si adattino. • SOPPRESSIONE E INTEGRAZIONE: gli interventi e le strategie impiegate nei contesti educativi, dinanzi al rifiuto ed alla resistenza dell'educando non sempre risultano rispettosi, ma soprattutto non sempre tengono conto di ogni parte di ogni polarità della personalità (=soppressione). Al fine di comprendere meglio la logica mista in alcune strategie adottate, dell'educatore per motivare l'educando, è opportuno riflettere su alcune dinamiche intrapsichiche che si possono osservare in soggetti che soffrono d'insonnia. Il soggetto insonne sforzandosi volontariamente di dormire in realtà attua un percorso privilegiato per rimanere svegli: imporsi un obiettivo in questo caso porta lontano dall'obiettivo stesso. Le opzioni efficaci passano attraverso il prestare attenzione, considerare, ascoltare ogni parte di sè, consentire il libero flusso di idee, pensieri perchè risulta evidente che la guerra volta a cancellare qualche parte di sè non produce i risultati sperati, qualcosa di analogo avviene nei conflitti interpersonali di tipo educativo. Dinanzi a un gruppo demotivato un tentativo muove sull'interesse, mostando quante cose si hanno da dire. • RESISTENZA E INTEGRAZIONE: tra i modelli di riferimento più appropriati va considerato quello della psicoterapia della Gestalt secondo cui la resistenza è in ogni caso una parte del soggetto e come tale preziosa, una forza che ha lo stesso diritto di cittadinanza e di venire all'esistenza. La personalità pertanto è concepita come un miscuglio di forza, di parti, di polarità. Per quanto riguarda le resistenze, non si propongono di attaccarle, ma di ricondurle al loro ruolo adattivo accogliendole, valorizzandole, ammorbidendone la rigidità. L'educatore è chiamato ad accogliere l'educando nella sua totalità, comprese le sue resistenze. Così facendo getterà le basi per la realizzazione di interventi educativi efficaci: è facile che la resistenza si ammorbidisca, diventi meno rigida e lasci spazio al altre opzioni. 4. PROPOSTE EDUCATIVE • Una delle linee guida perchè gli educatori possano agire in maniera corretta per gestire il conflitto con l'allievo che resiste e si oppone, sono: ASCOLTO APERTO: TRA AMOREVOLEZZA, RISPETTO E DELICATEZZA, di fronte alle resistenze, il primo passo è quello di consentire al bambino di esprimersi e di manifestare le sue reticenze, resistenza, barriere. Occorre mettersi in atteggiamento di ASCOLTO interessato, aperto. Dopo aver consentito all'educando di esternare liberamente, di esprimersi, l'educatore potrà esprimere il suo punto di vista in modo rispettoso, delicato e amorevole. (Esempio, Luca va dal dentista con l'inganno, la mamma non presta attenzione al sentimento di paura e di prendersene cura, ma in seguito all'abbraccio riesce a consolare Luca. La madre è entrata in contatto in modo empatico con i sentimenti del figlio e il figlio si rilassa. L'abbraccio miracoloso della madre ha consentito di risolvere l'impasse di fare quanto era necessario). Capitolo 4: Problematiche educative: cosa si fa di solito, cosa si può fare di diverso. Un rischio diffuso tra quanti si propongono per mestiere di alleviare il disagio, di promuovere il benessere dei destinatari del loro intervento è che l'insegnate si presenti come modello e mostri come porsi rispetto all'errore. LA RABBIA E L'IRRITAZIONE INTOLLERANTE. Giuseppe è descritto come un bambino vivace che ama scherzare, ridere al punto di non riuscire a fermarsi e a controllarsi neanche dinanzi agli inviti dell'insegnare. Questo provoca nel docente rabbia e confusione, nei confronti del bambino, fino a diventare pian piano abnorme e perfino pericolosa. Gli interventi consistono nella convocazione dei genitori, nella richiesta dell'intervento da parte dell'equipe psicopedagogica ( quando è presente nelle scuole) . L'aumento della rabbia è dovuto alla mania di controllo eccessiva che blocca ogni manifestazione affettiva fin dal suo nascere. Gli educatori scivolano facilmente in atteggiamento autoritari, trascorrono troppo tempo a cercare di imporre la disciplina invece di dedicarlo all'insegnamento. Per affrontare il disagio occorre riacquistare un atteggiamento empatico nei confronti del bambino in modo da capire il perchè dei suoi atteggiamento, occorre che anche gli allievi capiscano i sentimenti del docente nel momento in cui si manifestano comportamenti disturbanti e rinstaurare il clima della classe. Probabilmente se l'insegnante si desse il permesso di rilassarsi, potrebbe accogliere la battuta del bambino e ridere insieme a lui e dopo un pò potrebbe invitare tutti a tornare a lavoro. É la mania di controllo eccesivo che blocca ogni manifestazione affettivo dell'insegnate che provoca rabbia IL TORMENTO INUTILE Esempio: l'insegnate prova sensi di colpa perchè ha forzato una bambina molto introversa ad esibirsi in una recita. La bambina si è inibita a tal punto da non riuscire a recitare perchè ha vissuto un'esperienza sgradevole. Punti salienti dell'insegnante: - si sente responsabile, - poteva fermare la scena e consentire alla bambina di ritirarsi -poteva inventare un battuta umoristica, rassicurare la bambina chiedendole se voleva continuare - colpevolizzandosi rischia di procurarsi un disagio inutile. COMPORTAMENTO IPERPROTETTIVO E LE SUE INCOGNITE CANEVARO, sosteneva che di fronte a un qualsiasi ostacolo, il bambino deve applicare tutto se stesso. Un atteggiamento comune davanti a perone con handicap si esprime con eccessiva protezione, ad esempio organizzando le condizioni di vita dei portatori di handicap in modo tale che non si presentino le occasioni perchè il soggetto debba ricorrere nelle difficoltà. Una seconda manifestazione dell'atteggiamento iperprotettivo riguarda chi si attiva oltre misura e in maniera esagerata per aiutare chi soffre ( alcuni genitori preferiscono per evitare umiliazioni che il soggetto compia determinate esperienze). Il rischio è quello di agire al posto dell'altro che può costituire sia una gentilezza ma anche una prigionia continua. Questi atteggiamenti interferiscono con il bisogno del soggetto si "alzarsi sulle proprie gambe" ed alimenta la passività e la conseguente dipendenza. Risulta l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare l'educatore: promuovere l'autonomia, l'indipendenza, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie possibilità, l'autosostegno. IL SALVATORE L'atteggiamento iperprotettivo va messo in considerazione con quello che l'analisi transizionale definisce di "salvatore". KARPMAN, nel Triangolo drammatico, contempla tre ruoli: Persecutore, Salvatore. Vittima. Il Salvatore: una sua caratteristica è di prodigarsi più del dovuto, di fare delle cose spesso non richieste, non necessarie e a volte nemmeno gradite I discenti vengono visti, dal docente che interpreta questo rolo, come dei poveretti, bisognosi di aiuto, deboli, vulnerabili. Diventa un salvatore il docente iperprotettivo, quello particolarmente largo nei voti o nel giudizio, quello che per timore di ferire l'allievo dà giudizi immeritati, quello che formula domande facili per para di mettere l'allievo in difficoltà. Il Salvatore mantiene un atteggiamento permanente di superiorità che lo porta a considerare gli altri bisognosi ed incapaci di fare a meno del suo aiuto. Vittima: l'allievo agisce da una posizione di vittima perchè svaluta le sue potenzialità, le sue capacità e indirettamente attraverso il pianto chiede di essere salvato e che l'altro faccia le cose al posto suo. Persecutore: tipica di chi nelle interazioni sminuisce il partner, lo svaluta, lo perseguita attaccandolo psicologicamente e in certi casi fisicamente. La proposta è di aiutare in maniera adeguata, efficace e pulita. Occorre che l'aiuto sia necessario all'educando, è fondamentale evitare si sostituire l'altro o di fare delle cose al posto suo. Occorre che l'aiuto sia liero da contaminazioni: non deve servire per soddisfare i bisogni personali (es. sentirsi utile, importante..) o coprire il senso di inadeguatezza in situazioni di handicap, è fondamentale che l'aiuto sia contraddistinto dalla proprietà specifica della GRATUITÀ. LEGAME SIMBIOTICO Il docente è convinto che se l'allievo smettesse di fare ciò che lo infastidisce la sua rabbia non lieviterebbe. Questo indica che tra il docente e l'allievo c'è un legame simbiotico: entrare in relazione proponendosi di dare benessere a qualcun'altro è lodevole, dimenticare che l'altro ha la sua autonomia e quindi può accettare o meno l'aiuto attribuisce le premesse per avviare il legame della simbiosi. Nella simbiosi mancano i confini tra se e l'altro, si instaura un rapporto diretto tra causa ed effetto e, facilmente non si intravedono vie di uscita dinanzi alle difficoltà, l'unica opzione diventa quella dell'intolleranza che porta a fare di tutto per cercare di far sparire la sofferenza dell'altro. L'insegnate si considera bravo se gli allievi riescono. Il legame simbiotica non fa capire dove inizia e dove finisce la sua responsabilità nell'attività d'insegnamento.