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Gestire il disagio a scuola, Sintesi del corso di Pedagogia

Riassunto intero "Gestire il disagio a scuola"

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 28/11/2019

VivereKore
VivereKore 🇮🇹

4.5

(8)

15 documenti

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Scarica Gestire il disagio a scuola e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! GESTIRE IL DISAGIO A SCUOLA GIOMBATTISTA AMENTA PAGINA 1 INTRODUZIONE Il disagio accompagna ogni persona in alcuni momenti della sua esistenza. Molti educatori considerano il disagio come una conseguenza di un’assenza di valori, di validi modelli genitoriali per cui si insiste molto sul rispetto delle regole realizzando interventi educativi e assumendo un carattere genitoriale critico negativo e persecutore. E’ quello che possiamo definire un diffuso atteggiamento moralistico, che rischia di diventare paradossale perché punta solo sul comportamento superficiale esterno aspettandosi che cambi attraverso il condizionamento e i principi del comportamentismo, tra cui rinforzi positivi e negativi. Per cui quando viene stilata la programmazione educativa individualizzata per un soggetto che non rispetta la regola, si inseriscono molti obiettivi relativi alla conoscenza della norma, quindi si identifica l’inosservanza della regola con la sua ignoranza. Ma è proprio così? In questo volume si cercherà di dare all’educatore gli strumenti per leggere il disagio in modo corretto e scegliere strategie di intervento efficaci. Il disagio in realtà è inteso come discrepanza tra sintomo e bisogno, l’esito della frustrazione di un qualche bisogno, il soggetto si sente incapace di soddisfare il suo bisogno e prova disagio e senso di fallimento. Il disagio deriva dal senso del fallimento che si prova dopo avere capito che non si possiedono i mezzi per potere integrare le varie parti del Sé con le aspettative che l’ambiente pone. PAGINA 4 2.2 Disagio oggettivo, soggettivo, “procurato” Un primo approccio allo studio del disagio è di tipo SOGGETTIVO: si focalizza sui vissuti psicoesistenziale del ragazzo come: malessere, irrequietezza, insicurezza, frustrazione, senso di impotenza. Questi possono manifestarsi attraverso vari segni divenendo osservabili e misurabili. Questo disagio nasce dalla risposta personale alle diverse situazioni, alle richieste della società, della famiglia. Il secondo approccio è di tipo OGGETTIVO: focalizza l’attenzione sulle situazioni o sulle condizioni di vita che vengono designate come premesse o antecedenti del disagio. Sono disagi legati ad un particolare periodo dello sviluppo, legati alle situazioni che il soggetto abita. Ogni situazione problematica non è mai indifferente, bensì ha degli effetti. La risposta personale, però, risulta notevolmente variabile e diversificata dinanzi allo stesso disagio oggettivo. L’analisi completa del disagio implica l’intreccio dell’approccio oggettivo e soggettivo. Tra questi due piano può esserci congruenza o incongruenza in quanto ognuno ha un proprio sistema cognitivo, una propria storia etc. per cui alcuni rispondono alle situazioni in modo inadeguato, altri esagerato. I percorsi che generano esperienze e risposte incongruenti sono influenzati da una notevole quantità di fattori e di variabili. Per quanto riguarda il giudizio sui fatti, importante è il ruolo del locus of control, delle attribuzioni, della storia personale e passata.  Gli psicologi definiscono "attribuzione" il processo tramite il quale il soggetto interpreta le proprie esperienze, individuando una o più cause in grado di renderne ragione. Secondo lo PAGINA 5 studioso austriaco Fritz Heider, l'attribuzione corrisponde al desiderio di capire la realtà e di poterne prevedere gli sviluppi. Essi possono variare per internalità - esternalità, stabilità e controllabilità. - attribuzione interna: quando la causa di un evento viene cercata nella persona che agisce (intrinseco). - attribuzione esterna: quando l'attribuzione è provocata da cause estranee al controllo o alla volontà della persona in questione. La dimensioni stabilità- instabilità riguarda il fatto che certe cause sono considerate momentanee e altre durevoli. La controllabilità riguarda possibilità percepita da parte del soggetto di poter determinare il proprio destino, di modificare e di guidare la sorte degli eventi.  (La teoria dell’attribuzione è molto simile ma riguardante più l'attribuzione di successo personale ) Locus of control (teorizzato da Julian B. Rotter) è la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà. Può essere: - interno: che è posseduto da quegli individui che credono nella propria capacità di controllare gli eventi. Questi soggetti attribuiscono i loro successi o insuccessi a fattori direttamente collegati all'esercizio delle proprie abilità, volontà e capacità. PAGINA 6 - esterno: posseduto da parte di coloro che credono che gli eventi della vita, come premi o punizioni siano il frutto di fattori esterni imprevedibili quali il caso, la fortuna o il destino. Il locus of control può avere diversi stili tra cui disfattista, secondo cui ogni tentativo di fronteggiare il proprio disagio viene ritenuto inutile e il soggetto rischia di gettare la spugna chiudendosi nell’inazione; proattivo, in cui gli sforzi personali sono ritenuti utili ed efficaci per gestire e far fronte al proprio disagio. L’intervento educativo dovrebbe promuovere l’internalità del locus of control dinanzi alle situazioni, agli eventi, agli insuccessi, al disagio.  Storia personale influenza il modo di sentire e percepire dinanzi alle situazioni. Spesso può essere poco efficace e fuorviante. In educazione, bisogna evitare i comportamenti scenici = si verifica spesso nel rapporto educatore-educando per cui viene attualizzata inconsciamente una qualche scena storica conflittuale presente nel passato del soggetto. Di conseguenza, il rischio è quello di sperimentare e trattare l’educando non per quello che è, ma sulla base di situazioni conflittuali irrisolte non simbolizzate. Questo può avvenire in due modi: Proiettando sugli allievi esperienze personali inconsce (provocazioni, sfide); Reagendo al comportamento degli allievi in modo difensivo (reazioni esagerate). PAGINA 9 - Abbandono scolastico: riguarda quegli allievi che apertamente lasciano la scuola senza arrivare a conseguire il titolo di studio o senza concludere l’anno scolastico. I momenti in cui si manifestano con maggiore clamore le problematiche legate all’abbandono è l’intervallo che va dalla scuola secondaria di primo grado all’ingresso nella secondaria di secondo grado. La scuola deve attrezzarsi adeguatamente per poter rispondere ai bisogni speciali, al disagio, alle difficoltà della popolazione scolastica. I soggetti del disagio rischiano di venire frustrati dal confronto con i compagni. La reazione conseguente degli allievi va dal passivo conformismo all’opposizione alle attese della scuola e degli adulti. Quando le agenzie educative non risultano in grado di accogliere il disagio dell’individuo e del rispondervi efficacemente, alcuni si rivolgono alla strada come luogo di fuga. La strada è un luogo in cui ci si rivolge per avere risposte al proprio disagio. 3.1.3. Le frustrazioni nella vita di relazione Parecchi antecedenti del disagio originano da difficoltà relazionali in particolare di quelle familiari (presenza di conflitti, separazioni, divorzi). 3.2. Il disagio fra disadattamento e iperadattamento I soggetti del disagio sintomatico e sommerso sono accomunati dalla medesima difficoltà a integrarsi in quanto le competenze richieste dalla società sono complesse. Essi sono tenuti ad assumere PAGINA 10 orientamenti e logiche diverse, a seconda dei sottosistemi a cui intendono appartenere (famiglia, scuola, lavoro etc.). Il disagio in tal senso nasce dalla carenza nella capacità adattiva alle logiche e ai criteri che caratterizzano i vari sottosistemi. Dagli anni ’50 ad oggi, si è passati da un approccio che vede il comportamento come funzione della personalità del soggetto (C= f (P)), ad un approccio che considera il comportamento, risultante dall’interazione tra personalità e ambiente (C= f (PxA)). Infatti Piaget ritiene che l’adattamento sia un equilibrio dinamico tra assimilazione e accomodamento. Egli applica tale modello all’interazione individuo- ambiente per cui individua un processo di accomodamento passivo da parte dell’organismo all’ambiente e, successivamente, un processo di assimilazione volto a adattare l’ambiente a sé così da soddisfare il maggior numero possibile di bisogni. Vi sono diverse forme di adattamento rispetto ai vari sistemi sociali: conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia. Il disadattamento è la scarsa capacità di inserimento attivo e creativo nella società e nelle istituzioni. In realtà, l’ideale educativo non è l’adattamento ma l’integrazione cioè la possibilità di entrare in accordo con la realtà e di trasformarla in maniera attiva e creativa. Bisogna considerare anche i casi di iperadattamento. Per comprendere meglio il processo di adattamento e disadattamento è opportuno fare riferimento al modello della Analisi Transizionale che ha distinto il: - comportamento libero caratterizzato da spontaneità e dal fare espressivo che ha come riferimento la persona nella sua PAGINA 11 autenticità. L’orizzonte è l’agire per essere che valorizza la persona. - comportamento adattato  quando il soggetto si comporta come se ci fosse un genitore che sta a vedere o a sentire perciò agisce in modo controllato. Il comportamento compiacente (=conformismo) e quello disadattato(=ribellione) sono considerati propri del Bambino Adattato perché sono comportamenti volti a dare delle risposte per gli altri e agli altri (<= fare dimostrativo). Il criterio di riferimento è così l’agire per ottenere qualcosa. L’eccessivo adattamento comporta così un’ubbidienza, un ordine oltremisura. Tale adattamento sproporzionato si realizza a scapito dello sviluppo del sé autentico per lasciare spazio alla costruzione del falso sé. I comportamenti iperadattati (ipermaturi) passano inosservati nei contesti educativi. L’educatore dovrebbe evitare di assecondarli, incoraggiarli. 3.3. Disagio, violenza, abbandono Nella società attuale predomina la “cultura della morte” considerando il numero degli aborti, dei bambini sottopeso, del calo delle nascite etc. All’origine vi sono una varietà di fattori socioculturali come la perdita del senso di sacralità e di inviolabilità della vita umana, la concezione materialistica della vita e della persona etc. Nella società italiana attuale si registra l’incremento di bambini trascurati dal punto di vista affettivo, psicologico e educativo. I bambini sono invitati ad assumere precocemente i ruoli PAGINA 14 suo modo di esternare il disagio. Occorre decodificare il disagio attraverso la capacità empatica in modo tale da cogliere cosa c'è dietro il disagio. 3.5. Quali bisogni e permessi negati Trattando di bisogni si può distinguere tra processo e contenuto. - Contenuto: diventa centrale la questione relativa a quali sono i bisogni le necessità che risultano inascoltati. - Processo: si presta maggiore attenzione ai dinamismi psicologici coinvolti, dal momento in cui un bisogno viene percepito fino alla sua soddisfazione o alla sua frustrazione e quali sono le opzioni una volta che i bisogni vengono soddisfatti o ripetutamente non soddisfatti. Riguardo ai contenuti, un quadro di riferimento importante è il modello dei permessi e delle ingiunzioni proposto dall’Analisi Transazionale. Al di là del disagio, alcuni bisogni sono: - Permesso di esistere: o di appartenenza è fondamentale perché l'inserimento, l'integrazione, che si ripresentano in molte occasioni la rievocano e la riattivano. - Non essere intimo: viene appreso con l'interazione delle figure significative. La capacità di integrarsi e la scelta di appartenenza al sistema familiare prima, ad altri sistemi poi, sono influenzati dalla presenza del permesso di essere intimi insieme a quello di esistere. - Non essere piccolo: di poter agire, pensare e sentire come un soggetto che ha una determinata età. Bowlby aveva messo in PAGINA 15 evidenza come dietro a molti casi di violenza si ritrovano relazioni rovesciate in cui al figlio è richiesto di comportarsi come se fosse lui il genitore. II Capitolo COMPRENDERE E GESTIRE IL DISAGIO Oggi il docente è chiamato sia alla realizzazione dell'alfabetizzazione culturale sia della persona dell'alunno nella sua totalità e se non si considera l'educando oltre che lo scolaro. Dinanzi ad un disagio i problemi sono almeno due: uno appartiene all'allievo, l'altro appartiene al docente. Il problema del docente è un problema educativo: dinanzi all'allievo che manifesta dei problemi, egli ha bisogno di capire cosa possa fare. 1. Atteggiamenti comuni dinanzi al disagio Di fronte al disagio degli allievi, in presenza di una situazione educativa complessa, i docenti intervengono assumendo certi atteggiamenti e ricorrendo a delle modalità e strategie permettere ordine. Alcuni stili di atteggiamento tra docente e allievo sono: - Stile intollerante: impaziente, autocratico. L'insegnante potrebbe reagire esplodendo furiosamente. L'atteggiamento intransigente e dispotico può avere dei vantaggi solo a breve termine. PAGINA 16 - Stile polemico e litigioso: Il docente potrebbe attaccare direttamente l'allievo cercando di deriderlo agli occhi agli occhi dei compagni; atteggiamento rischioso perché può facilmente innescare dinamiche distruttive a spirale crescente perché è facile che l'allievo risponda con lo stesso tono cercando di deridere a sua volta l'insegnate. - Stile timoroso: L'insegnante tollera in silenzio il comportamento dell'allievo, si tratta di una reazione non molto proficua e che facilmente viene letta dagli alunni come un permesso a persistere nel comportamento distruttivo. - Stile calcolatore: si tratta di uno stile tipico di chi gestisce le interazioni educative ricorrendo ad un atteggiamento estremamente logico, razionale; il docente apparirà calmo, impassibile. Il docente cerca di discutere con l'allievo sforzandosi di farlo ragionare sul suo comportamento e sugli effetti che sortisce sugli altri. 2/3. Interventi comunemente impiegati – proprietà degli interventi improduttivi Gli interventi comunemente usati per gestire il disagio sono: ignorare, sopportare in silenzio, critica, predica, rimprovero, punizione, sospensione. Questi interventi sono definiti IMPRODUTTIVI perché presentano alcune caratteristiche specifiche: - la Ripetitività: comportamento del docente è simile a quello dell'allievo. Ad esempio in una conferenza a cui partecipano i PAGINA 19 - Tipo prevenzione: Alcuni educatori sono convinti che il modo migliore per gestire il disagio degli alunni sia quello di incutere in loro timore, ricordando che avranno conseguenze negative se continuano a comportarsi male. 3.6. E se l’allievo ricercasse proprio carezze negative? Uno stimolo negativo risulta preferibile all’assenza di stimoli Paradossalmente un alunno sistematicamente ripreso e punito potrebbe continuare a comportarsi inavvertitamente in modo da ottenere proprio quel tipo di carezza negativa, visto che non riesce ad averne di positive. Di conseguenza, il tentativo di bloccare un comportamento disfunzionale verrebbe ad essere alimentato e sostenuto proprio dall’intervento che vorrebbe eliminarlo. 4. Decodificare e gestire il disagio Per comprendere e gestire il disagio e i comportamenti problematici è quella di formulare una lettura in chiave comunicativa. Va insegnato all’allievo di comunicare il suo messaggio secondo una modalità alternativa socialmente costruttiva e appropriata. Alcune linee guida per comprendere gli interventi sul disagio sono: - Esigenze e bisogni: Precedentemente è stato proposto il modello per cui l’educatore deve comprendere e intervenire sul disagio andando oltre ai sintomi. Egli deve individuare la presenza di bisogni sotterranei. PAGINA 20 - Utilizzo del modello con gli educandi: Un secondo elemento proprio del modello proposto riguarda la possibile lettura secondo un doppio livello: superficiale e nascosto, sociale e psicologico. Ad esempio si vedrà che se a livello sociale un alunno vuole apparire forte, a livello psicologica può avere un bisogno di nascondere l’insicurezza. - Interazione tra docenti e duplice lettura: il principio della lettura a duplice livello (superficiale, profondo, sociale, psicologico) risulta utile per costruire anche tra adulti: ad esempio nel rapporto tra docente-docente, dirigente-docente. 4.2. Livello superficiale, livello nascosto e vita affettiva Educare implica anche la necessità di promuovere l’alfabetizzazione affettiva. La lettura dei sentimenti secondo un doppio livello consente di comprendere reazioni diversamente inspiegabili ed individuare possibili ipotesi di intervento. Gli studi condotti dagli analisti transazionali da Berne in poi hanno consentito di mettere in evidenza che esistono sentimenti naturali e sentimenti di riscatto. Si tratta di sentimenti che col tempo hanno sostituito e preso il posto di alcuni sentimenti genuini, originali: l’allegria al posto della tristezza, la paura al posto della rabbia, la tristezza al posto della rabbia, la rabbia al posto della tristezza. Nel momento in cui il sentimento espresso non risulti congruente alla situazione siamo dinanzi a un sentimento di riscatto. Un altro criterio per individuare i sentimenti di riscatto è dato dal cambiamento di direzione dell’azione pertinente attraverso la sostituzione radicale del PAGINA 21 sentimento rispondente alla situazione: ad esempio il ragazzo che subisce un sopruso, preso dalla paura, potrebbe passare a tranquillizzare l’interlocutore procurandosi ulteriormente svantaggi piuttosto che protestare. Un terzo criterio è la presenza di una manifestazione esagerata e sproporzionate. La finalità dell’educazione e dell’alfabetizzazione affettiva è quella di consentire all’educando di riappropriarsi della sua vita affettiva in tutta la sua gamma e secondo tutte le sfumature. Pertanto il bambino ha bisogno di socializzare, capire che va bene sentire e vivere la rabbia perché in molti casi è utile. 4.3. Pregiudizi, manipolazione, trasfert e controtransfert L’interazione educatore-educando attualizzata inconsciamente con modalità conflittuali si può definire di tipo Scenico o di tipo Copionico, in quanto alimentata e stabilita dal copione del soggetto. Per meglio comprendere la questione è utile ai concetti di trasfert e controtrasfert: - transfert: attualmente è usato per indicare il processo proiettivo di affetti e pensieri da parte del paziente sulla figura del terapeuta e la conseguente attivazione di condotte che originano dall’interazione con le figure significative del passato, in particolare con i genitori. Tecnicamente può essere positivo o negativo. È negativo se il paziente sperimenta ostilità nei riguardi del terapeuta che, in fondo è rivolto verso il PAGINA 24 - modalità vessatorie: uno degli stili più usati dagli educatori, dinanzi al bambino che rifiuta di accondiscendere alla richiesta di fare una certa cosa, è quella vessatoria. - modalità manipolatorie: nel realizzare importanti obiettivi, pur di eludere la resistenza o il rifiuto dell’altro, non è facile in certe occasioni resistere alla tentazione di ricorrere all’inganno. 2. Il conflitto educativo Esistono diverse definizioni di conflitto e gli psicologi, a partire da Lewin, ne hanno individuati e descritti diversi tipi: - CONFLITTO INTRAPSICHICO: concepito come un insieme di forze, di istanze, di polarità, che spesso si scontrano. - CONFLITTO INTERPERSONALE: può avere origine intrapsichica o relazionale. Esso ha origine interna quando uno degli interlocutori mette in scena dinamiche che originano da problematiche irrisolte di cui non è consapevole. Tra i meccanismi di difesa più importanti vi è la proiezione. Esso ha origine relazionale quando il disaccordo riguarda invece un problema reale e non risulta da proiezioni. Esso viene considerato “sano”, da un punto di vista psichico, se si fonda sulla consapevolezza, sull’integrazione di sé nonché su un adeguato senso di differenziazione tra sé e gli altri. Il conflitto sano è auspicabile nei rapporti interpersonali perché contribuisce a migliorare le relazioni. PAGINA 25 - CONFLITTO EDUCATIVO: è proprio del rapporto tra educando e educatore, è caratterizzato dall’antinomia libertà e autonomia. Tale rapporto si realizza a livello normativo: l’educatore spesso richiama verso un dover essere, l’educando intende conservare e preservare ciò che è con tutti i suoi bisogni, desideri, interessi. L’azione educativa da una parte limita l’azione dell’educando, dall’altra è limitata dalla sua personalità, originalità, diversità. L’iniziativa dell’educatore viene vissuta, di conseguenza, come una sorta di limite e di diniego del diritto di essere sé stessi da parte dell’educando. La necessità che ne deriva è di cercare un equilibrio tra l’iniziativa dell’educatore e la risposta da parte dell’educando. La questione riguarda i contenuti, i tempi, le modalità, gli stili, le tecniche, le strategie educative e interpersonali impiegate. Si tratta di stabilire a che punto e in che misura l’azione educativa non soffochi, anzi sviluppi la personalità del soggetto. Essenzialmente, bisogna ricercare modalità autorevoli e non autoritarie. Il dilemma autorità-libertà, ovvero tra azione dell’educatore ed iniziativa dell’educando può essere ridefinito e riassunto in due modi: stimolare la crescita dell’educando dal suo interno assecondandone gusti, desideri, valori, obblighi; aiutarlo a realizzare un dover essere da cui derivano valori, obblighi, regole. Nell’interazione educativa si realizza l’interdipendenza dei fattori personali e di quelli sociali, per cui vi sono delle polarità/tendenza che nascono dall’educatore e altre dall’educando. PAGINA 26 L’interazione educativa è costruttiva se si fonda sull’equilibrio di queste istanze, cioè aspettative personali e sociali. Si possono individuare tre stili: - NOMOTEICO: tende ad attribuire il peso maggiore alle aspettative sociali e concepisce l’educazione come trasmissione di conoscenze, di valori, di standard sociali. - IDIOGRAFICO: rispetta le aspettative le esigenze ed i bisogni del singolo educando, consentendogli di scegliere quanto per lui risulta significativo. - TRANSIZIONALE: realizza una sorta di equilibri tra aspettative sociali e aspettative personali. Nell’interazione educativa, lo stile dell’educatore può essere descritto dalla dimensione denominata convenzionalità vs flessibilità: l’educatore convenzionale facilmente darà la priorità all’importanza delle norme, dei valori, degli standard sociali a cui farà riferimento nel suo agire educativo; gli educatori che, al contrario, cercano di rispettare le condizioni reciproche, manifestano flessibilità e apertura perché consapevoli che la pressione verso la conformità e la disciplina sono esperienze negative per gli allievi. Il dilemma libertà-autonomia si ripresenta anche nei settori disciplinare, ad esempio nella determinazione degli obiettivi educativi in riferimento ai bisogni dell’allievo. Pertanto in didattica si possono individuare anche tre percorsi per risolvere il dilemma: - METODO ASCENDENTE: parte dalla descrizione accurata della situazione della popolazione scolastica e cerca di innestarvi finalità e obiettivi. PAGINA 29 rifiuto ed alla resistenza dell'educando non sempre tengono conto di ogni parte di ogni polarità della personalità. Resistenza e integrazione quando si parla di comportamento oppositivo, di resistenza, si presuppone che vi siano degli obiettivi verso sui il soggetto si muove: in questo caso obiettivi educativi. Ogni ostacolo nel percorso verso tale obiettivo è concepito come resistenza. Tra i modelli umanistici di riferimento più appropriato va considerato quello della psicoterapia della Gestalt secondo cui la resistenza è in ogni caso una parte del soggetto, una forza che ha lo stesso diritto di cittadinanza e di venire all'esistenza. Per questi psicologi, la personalità è concepita come un miscuglio di forza, di parti, di polarità. Per quanto riguarda le resistenze, essi non si propongono di attaccarle, ma di ricondurle al loro ruolo adattivo accogliendole, valorizzandole. 4. Proposte operative Ascolto aperto: tra amorevolezza, rispetto e delicatezza. Di fronte alle resistenze, il primo passo è quello di consentire al bambino di esprimersi e di manifestare le sue resistenza, mettendosi in atteggiamento di ASCOLTO interessato, aperto. Dopo aver consentito all'educando di esternare liberamente, di esprimersi, l'educatore potrà esprimere il suo punto di vista in modo rispettoso, delicato e amorevole. Promuovere la motivazione e gestire l’opposizione in classe poiché non esiste un prontuario per le diverse situazioni, di volta in volta il docente si trova a dover interpretare la situazione, individuare i bisogni ed escogitare delle strategie in PAGINA 30 maniera creativa. Il suo compito somiglia a quello del conferenziere che deve attivare l’attenzione dell’uditorio e motivarlo. Dinnanzi ad allievi demotivati, il senso comune suggerisce di strutturare messaggi secondo la logica “dell’opposizione” e del “più di prima”: ci si aspetta che l’educatore incoraggi il cambiamento, stimoli l’interesse, sviluppi la motivazione. Una prima alternativa potrebbe essere quella di gestire situazioni paradossali con strategia altrettanto paradossali, secondo quanto affermato dagli studiosi della scuola di Palo Alto. Essenzialmente, la resistenza non va scoraggiata ma va considerata un importante veicolo di cambiamento. IV Capitolo PROBLEMATICHE EDUCATIVE: COSA SI FA DI SOLITO, COSA SI PUÒ FARE DI DIVERSO Un rischio diffuso tra quanti si propongono per mestiere di alleviare il disagio, di promuovere il benessere dei destinatari del loro intervento è tecnicamente noto come sindrome di Burnout: intesa come una modalità di adattamento, come una risposta allo stress sperimentato in situazione lavorative che implicano il contatto con le persone a scopo di aiuto; una fuga da una situazione lavorativa vissuta quotidianamente con forte stress in cui non si intravedono vie d'uscita e possibilità di miglioramento; si tratta di una reazione emotiva, cognitiva e comportamentale caratterizzata da allontanamento dalla forma di malessere. PAGINA 31 Il burnout viene concepito come una sindrome psicologica, caratterizzata da tre dimensioni basilari: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, diminuzione del senso di realizzazione e di autoefficacia. Cherniss definisce il burnout come un processo transazionale caratterizzato da tre fasi tipiche: a) Stress lavorativo che nasce dalla discrepanza tra richiese e risorse disponibili; b) Tensione come risposta emotiva allo squilibrio (ansietà, nervosismo) c) Conclusione difensiva che costituisce l’accomodamento psicologico (rigidità, cinismo, ritiro). Uno dei modelli interpretatici più interessanti, proposto da Pines, considera il desiderio di dare un senso alla vita come la principale forza motivante dell’essere umano: quando un professionista, come l’educatore, risulta motivato, facilmente si propone di ricercare e di realizzare il significato della propria esistenza nell’ambito lavorativo. Diviene così un candidato privilegiato del burnout in quanto il senso di fallimento conseguente agli insuccessi produce una graduale disillusione. È l’eccesso di motivazione che comporta un eccesso di coinvolgimento che determina aumento di stress, di ansia, una sorte di “etica della consacrazione” che conduce facilmente a un maggiore coinvolgimento. Di seguito saranno proposti alcuni casi rappresentativi delle situazioni in cui gli educatori si trovano a dover fare i conti con il lavoro educativo. Ad essi sarà affiancata un’analisi volta a comprendere i meccanismi interni e a escogitare opzioni di intervento. PAGINA 34 2.1 Genitore interno, agitazione e inazione Per comprendere meglio la reazione della bambina prendiamo in prestito dall’analisi transazionale il costrutto di stato dell’Io Genitore e del suo processo di sviluppo. In particolare è utile riferirsi ad un esempio: in un contesto di amichevole relax sul divano una bambina di appena due anni si avvicinò al padre che chiacchierava con un amico, facendogli intendere con una pacca sulla mano che avrebbe dovuto posare il telecomando. Quei movimenti la bambina li aveva appresi dal padre che li aveva messi in atto con lei per insegnarle a non toccare il telecomando. La bambina stava mostrando il processo di interiorizzazione delle aspettative, dei comportamenti del genitore reale: si tratta di moniti che avrebbe usato in futuro con sé stessa a con gli altri. Tornando al caso di Loredana possiamo capire che la bambina ha sviluppato un lato interno di sé come Genitore Critico talmente esigente da non accettare che lei o gli altri possano sbagliare, perché probabilmente i genitori di Loredana sono stati con lei molto esigenti ed inflessibili. 2.2 L’atteggiamento educativo in occasione di errori La didattica dell’errore si mostra attenta alla valenza positiva dell’errore. Lo sbaglio invece soprattutto nei piccoli è visto con disagio e accompagnato ad un sentimento di paura e di vergogna paralizzante. Dal punto di vista psicologico l’imperativo interno a cui il soggetto risponde è la contro ingiunzione “sii perfetto”. Esso si può individuare in certi comportamenti come riprendere il tratto più PAGINA 35 volte quando si disegna o rifare più volte un lavoro e nei casi peggiori si arriva anche all’indecisione e all’inazione. Il perfezionismo infatti in alcuni casi diventa paralizzante. Poiché è impossibile evitare di commettere errori, l’insegnante piuttosto che insegnare al bambino come non sbagliare deve aiutarlo a crescere sui propri errori. Quindi occorre passare da una didattica che penalizza l’errore ad una didattica che considera l’errore come un’occasione per apprendere, in modo da liberare l’allievo dalla paura di sbagliare dandogli il permesso di fare le cose in modo creativo. L’insegnante in tal caso deve porsi da modello evitando di presentarsi come infallibile, mostrando come anche un’insegnante può sbagliare. 2.3 Sfide e svalutazioni in classe: occasioni privilegiate per educare E’ comune che i docenti si presentino come infallibili, ma questo nasconde delle trappole, spesso è il sintomo del fatto che si sentono inadeguati a gestire la classe. Nel caso in cui l’allievo si accorgesse di questo senso di inadeguatezza dell’insegnante, facilmente lo utilizzerà per allearsi con i compagni e mettere il docente in difficoltà: magari ponendo delle domande strane. L’insegnante non ha bisogno di accettare sfide. 3. La rabbia e l’irritazione Il caso di cui ci occupiamo riguarda Giuseppe, un bambino di quarta della primaria che presenta in classe degli atteggiamenti del tutto inadeguati: non partecipa alle attività e se lo fa non consente agli altri PAGINA 36 di poter lavorare, arriva sistematicamente in ritardo. Mara l’insegnante chiede consiglio alle colleghe che avevano già seguito Giuseppe negli anni precedenti e le viene consigliato di ignorarlo. Una mattina il bambino arriva alle 9 :30, spalanca la porta ed esige che il compagno che era arrivato puntualmente alle 8:30 gli ceda il posto. Il bambino replica che non lo avrebbe fatto e la discussione sfocia nell’aggressione fisica, la maestra prende Giuseppe di peso e lo mette fuori dalla porta intimandogli che sarebbe rimasto fuori fin a quando non si sarebbe deciso a bussare educatamente e a chiedere di poter rientrare, dopo qualche reticenza e un po’ di tempo il bambino fa quanto gli era astato ordinato dalla maestra. La situazione sembra risolta ma il disagio di Giuseppe è stato gestito dalla maestra in modo superficiale ottenendo un vantaggio a breve ma di certo non un cambiamento. L’educatore invece ha il dovere di sforzarsi di capire e di intervenire in modo efficace. Il disagio di Giuseppe non riusciva a farlo integrare con i compagni nemmeno nei momenti di gioco, il bambino procedeva in modo da boicottarsi in tutti gli interventi che anche gli insegnanti avevano messo in atto per farlo accettare dai compagni di classe, ormai stufi di lui. Cosa si potrebbe fare di diverso? Abbiamo visto che l’atteggiamento dell’insegnante che lascia fare al bambino quello che vuole non è molto efficace. L’atteggiamento di Mara che ordina al bambino di smetterla, vuole eliminare solo il sintomo del disagio senza indagare sul bisogno insoddisfatto sotteso a quel disagio. Mara dovrebbe prima di tutto ascoltare i sentimenti che prova dinanzi al comportamento di Giuseppe, solo così può notare che il bambino PAGINA 39 Karpman, nel Triangolo drammatico, contempla tre ruoli: Persecutore, Salvatore. Vittima.  Il Salvatore: una sua caratteristica è di prodigarsi più del dovuto, di fare delle cose spesso non richieste, non necessarie e a volte nemmeno gradite. I discenti vengono visti, dal docente che interpreta questo ruolo, come dei poveretti, bisognosi di aiuto, deboli, vulnerabili. Diventa un salvatore il docente iperprotettivo, quello particolarmente largo nei voti o nel giudizio, quello che per timore di ferire l'allievo dà giudizi immeritati, quello che formula domande facili per paura di mettere l’allievo in difficoltà. Il Salvatore mantiene un atteggiamento permanente di superiorità che lo porta a considerare gli altri bisognosi ed incapaci di fare a meno del suo aiuto.  Vittima: l’allievo agisce da una posizione di vittime perché svaluta le sue potenzialità, le sue capacità e indirettamente il pianto chiede di essere salvato e che l’altro faccia le cose al posto suo.  Persecutore: tipica di chi nelle interazioni sminuisce il partner, lo svaluta, lo perseguita attaccandolo psicologicamente e in certi casi fisicamente. La proposta è di aiutare in maniera adeguata, efficace e pulita. Occorre che l’aiuto sia necessario all’educando, è fondamentale evitare di sostituire l’altro o di fare delle cose al posto suo. Occorre che l’aiuto sia libero da contaminazioni: non deve servire per soddisfare i bisogni PAGINA 40 personali. È fondamentale che l’aiuto sia contraddistinto dalla proprietà specifica della gratuità.