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Gestire il disagio a scuola, Sintesi del corso di Psicologia Generale

riassunto libro gestire il disagio a scuola

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 17/11/2020

El_m
El_m 🇮🇹

4.4

(28)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Gestire il disagio a scuola e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 1 “GESTIRE IL DISAGIO A SCUOLA”  “IL DISAGIO NEI CONTESTI EDUCATIVI” Il termine “disagio” viene utilizzato sin dagli anni 70 come variante ai termini stigmatizzati di “devianza e marginalità” per qualificare la condizione giovanile. 1.DEFINIZIONI DI DISAGIO Etimologicamente il termine è costituito dal prefisso “DIS” che indica negazione, e dalla parola “AGIO” che significa “giacere presso”; disagio designa, quindi, la condizione di chi vive ai margini, si sente escluso, isolato,lontano dagli altri e da se stesso. Secondo le descrizioni più usate il disagio è inteso: ● come sintomo dell’impossibilità del soggetto di trovare soluzioni coerenti con la propria identità rispetto a ciò che il soggetto ritiene possibile per lui e ciò che gli viene negato dalla società; ● come incapacità di gestire la complessità e di sostenere il peso della precarietà e della flessibilità che caratterizzano la società attuale; ● come sintomo di una risposta non patologica ai problemi psicologici e affettivi, alle difficoltà familiari e scolastiche, al malessere legato alla costruzione dell’identità; ● come espressione della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi richiesti dal contesto sociale per conseguire l’identità e le abilità necessarie per gestire le relazioni quotidiane; ● come risultato della difficoltà a gestire la socializzazione e la maturazione verso l’età adulta. 2.CARATTERIZZAZIONI E FORME Livelli nella rilevazione del disagio Le aree in cui si può manifestare il disagio nella vita del soggetto sono: intrapsichica, interpersonale e sociale. A livello individuale esso si delinea come una condizione interiore caratterizzata dalla difficoltà a star bene con se stessi e dentro di sé. A livello interpersonale il disagio si manifesta nell’incontro tra persone, ad esempio nel rapporto educatore-educando che il soggetto tende a vivere con difficoltà manifestando ansia e rabbia diffusa. A livello sociale il disagio ha origine e si manifesta in tutte le condizioni di svantaggio e di emarginazione. Disagio oggettivo,soggettivo, “procurato” Un primo approccio allo studio del disagio è di tipo SOGGETTIVO, esso si focalizza sui vissuti che accompagnano il soggetto, come il malessere o l’insicurezza; tali vissuti sono privati ma sono misurabili. Il secondo approccio è di tipo OGGETTIVO e focalizza l’attenzione sulle situazioni di vita che vengono designate come premesse del disagio, qui vengono accettati alcuni comportamenti che il soggetto esterna solo perché sono una componente del passaggio da uno stadio all’altro. Molte volte, però, il disagio può essere PROCURATO. Non è semplice definire dove finisce il disagio autentico e dove inizia quello procurato. Molti tendono attraverso le “ AUTOATTRIBUZIONI” a dare delle spiegazioni causali che il soggetto stesso formula in merito alla relazione tra sé e la situazione: ● internalità-esternalità: il soggetto può attribuire la causa del suo disagio a situazioni interne o esterne a se stesso. ● stabilità-instabilità: alcune cause sono considerate momentanee altre invece sono durevoli. ● controllabilità: il soggetto crede di poter controllare la sorte degli eventi. In un certo senso, esso crede di poter autodeterminarsi, è convinto che quello che gli accade sia dentro di sé. In riferimento al locus of control interno o esterno, si possono individuare diversi stili: A. DISFATTISTA, ovvero secondo il soggetto non c’è più niente da fare per lui; B. PROATTIVO, ovvero esso si sforza per reagire al disagio. 2 Certamente quello che accade nella nostra storia passata influenza il futuro ma non cosi tanto; il giudizio sui fatti e i sentimenti presenti vengono in questi casi alimentati da un precipitoso ritorno al passato che può essere rischioso in quanto appartiene al passato e non ha a che fare con il presente. Il rischio che corre l’educatore è quello di trattare l’educando non per quello che è ma in base alla situazione che si viene a creare; questo può avvenire in due modi: a) proiettando sugli allievi le esperienze personali inconsce; b) reagendo al comportamento degli allievi in modo offensivo. Disagio sintomatico e asintomatico L’ambiguità può essere un aspetto che caratterizza il disagio. Quest’ultimo può essere: 1. SINTOMATICO: sintomi come ad esempio la tossicodipendenza. 2. SOMMERSO: è asintomatico quindi meno studiato. In ogni caso chi vive uno dei due disagi lo fa perché la società è carente nelle richieste che fa il soggetto. Per molto tempo la letteratura scientifica sull’adolescenza descrisse il disagio come uno stadio caratterizzato da conflittualità, atteggiamenti di ribellione verso il mondo adulto. Le ricerche recenti hanno messo in evidenza uno scenario singolare: il conflitto sembra assumere caratteri più mitigati; gli adolescenti sono di fronte a quelli che vengono definiti disagi asintomatici, che richiedono nell’educatore una capacità di lettura raffinata per rilevare e interpretare sintomi che alle volte sono “travestiti”. L’educatore non può considerare portatori di disagio solo coloro che dimostrano sintomi chiari, è necessario superare l’analfabetismo educativo a partire dalla capacità di decodificare i segnali esterni del disagio non limitandosi alle sue manifestazioni. 3. SUPPOSIZIONI E PROPOSTE INTERPRETATIVE Esiste un accordo unanime tra gli studiosi nel considerare il disagio come un fenomeno difficile da descrivere; allo stesso disagio si possono individuare cause diverse ed una stessa causa può determinare effetti differenti e non sempre prevedibili. Premesse, antecedenti e luoghi del disagio Il disagio può essere causato anche da livelli di stress negli ambienti e relazioni di vita quotidiani. Lo stress può provenire da svantaggi psicofisici, socio-economici e culturali. Ruolo delle difficoltà e degli svantaggi La presenza di deficit, handicap,che gravano sulla salute del soggetto è una delle premesse principali di disagio obiettivo. Lo svantaggio,infatti, complica il processo di integrazione nei diversi sistemi e sottosistemi. Ma il disagio può derivare anche da fattori di tipo socio-economico come: l’appartenenza di classe sociale, la collocazione nel sistema produttivo, i livelli di consumo e gli stili di vita. Si tratta di variabili che costituiscono delle premesse oggettive del disagio perché deprivano il soggetto di alcune risorse. Incidenti nella carriera scolastica La scuola presenta alti livelli di abbandono precoce che risultano rilevanti nel caso del disagio. Si distinguono diverse forme: ♠ SELEZIONE PALESE: riguarda l’allontanamento del ragazzo dalla scuola e dagli studi, ad esempio con delle bocciature; ♠ SELEZIONE OCCULTA: non viene preso nessun provvedimento e a causa di tutto questo viene utilizzata quella palese; ♠ ABBANDONO SCOLASTICO: riguarda gli allievi che di loro spontanea volontà lasciano la scuola senza arrivare al conseguito del titolo. La situazione descritta in questi punti avviene nel momento in cui vi è la presenza di difficoltà nella relazione tra alunno e scuola. 5 che questo stile trasforma il docente in una specie di martire e lo rende soggetto a depressione per la sensazione di fallimento. - Stile calcolatore: si tratta di chi gestisce le situazioni educative in modo estremamente logico e freddo. Esternamente un docente del genere apparirà impassibile alle umiliazioni, parlerà con tono deciso,scegliendo in modo accurato le parole per non fare trasparire i suoi sentimenti. Piuttosto, cercherà di discutere con l’allievo sforzandosi di farlo ragionare sul suo comportamento e sugli effetti che sortisce sugli altri. 2. INTERVENTI COMUNEMENTE IMPIEGATI PER GESTIRE IL DISAGIO Gli interventi improduttivi comunemente utilizzati dagli educatori sono ● ignorare, sopportare in silenzio; ● la predica; ● critica e rimprovero; ● la punizione; ● la sospensione. (RIPRENDERE GLI ARGOMENTI DAL COUNSELING, CAPITOLO 6, PARAGRAFO 1). 3. ALCUNE PROPRIETA’ DEGLI INTERVENTI IMPRODUTTIVI Alcune proprietà degli interventi improduttivi sono: 1. La ripetitività: se in classe gli alunni disturbano e le modalità usate per ripristinare l’ordine sono improduttive, si presenta un andamento ciclico perché il silenzio si ottiene ma dura poco, dopo di che si ritorna al baccano e l’insegnante è di nuovo costretto a richiamare all’ordine. 2. L’ autoperpetuazione: alcune volte gli educatori per gestire il disagio si accaniscono contro l’alunno. Va ricordato che le pressioni eccessive di tipo genitoriale, non fanno altro che aggravare l’effetto indesiderato(il ragazzo violento lo diventerà ancora di più). L’uso di interventi drastici rischia di causare “l’effetto boomerang” producendo effetti paradossali: ribellione piuttosto che compiacenza, inibizione piuttosto che superamento della paura. 3. La focalizzazione sui sintomi del disagio: le strategie sono improduttive perché si concentrano solo sull’aspetto esterno del disagio sperando che sparisca. 4. L’appello al controllo volontario: ci si aspetta che l’allievo “capisca”. L’ intolleranza dell’educatore anzi aumenta man mano che l’allievo cresce: ci si aspetta che l’allievo si renda conto e sia più giudizioso. CASO: Davanti ad un ragazzo molto intelligente che non riesce più a studiare, a stare in classe e si fa bocciare ripetutamente, non ci si può limitare ad esortarlo ad impegnarsi, è come se invitassimo a dormire chi soffre di insonnia, evidentemente c’è qualche disagio. 5. Il condizionamento negli interventi improduttivi: gli atteggiamenti improduttivi sono caratterizzati dall’aspettativa che l’allievo si adatti compiacendo. Ciò implica un apprendimento di tipo strumentale, che si fonda sulle leggi del condizionamento operante. I tipi di condizionamento possibili, nel nostro caso sono almeno i seguenti: ● Tipo ricompensa e ricompensa secondaria Bisogna tener conto che durante il periodo scolastico il concetto di sé dell’allievo dipende dai risultati scolastici e dal giudizio dei docenti e dei compagni. Il ragazzo spesso agisce in modo da ottenere queste approvazioni. ● Tipo fuga Allontanare il ragazzo dall’aula o rimproverarlo, implica una forma di condizionamento che possiamo definire tipo fuga. La motivazione ad adattarsi, in questo caso, è quella di evitare una situazione spiacevole che frustra un bisogno naturale. ● Tipo prevenzione L’ allievo può decidere di adattarsi per evitare situazioni spiacevoli in futuro. 6. E se l’allievo ricercasse proprio “carezze negative”?: per l’essere umano la fame di stimoli ha la stessa importanza, per sopravvivere, della fame di cibo. E’ stato visto che a volte non ha importanza se lo stimolo causa piacere oppure dolore: in assenza di stimolazioni alcune cavie preferiscono passare attraverso griglie elettrizzate piuttosto che 6 attraverso corridoi che consentono di raggiungere tranquillamente il cibo. Paradossalmente un allievo che viene punito in continuazione potrebbe avere sviluppato un gusto per “quelle carezze negative”, per cui il docente cercando di rimuovere un disturbo non fa altro che alimentarlo. 4. DECODIFICARE E GESTIRE IL DISAGIO Per comprendere e gestire le situazioni problematiche una proposta interessante è quella di insegnare all’allievo a comunicare il suo messaggio secondo una modalità socialmente costruttiva e appropriata. Oltre i sintomi del disagio:esigenze e bisogni Gli educatori non si possono limitare a cercare di prendere atto dei sintomi di disagio e cercare di rimuoverli, devono sapere leggere i messaggi sottesi e manifestati in modo ambivalente. Utilizzo del modello con educandi →Uno dei presupposti essenziali del nostro modello è che nel caso in cui il ragazzo presenta dei bisogni che non vengono soddisfatti egli metterà in atto delle strategie alternative per ricevere le dovute attenzioni. Un bambino a cui non viene data attenzione sceglierà di ricorrere al pianto per ricevere cure. →Un secondo elemento portante del nostro modello è la duplice lettura(o duplice livello): superficiale e nascosto, sociale e psicologico. Nel caso del ragazzo che entra in classe con gli occhiali da sole, a livello superficiale notiamo un ragazzo che disturba, a livello nascosto invece notiamo un bisogno di riconoscimento. Dopo avere letto l’episodio in modo duplice, l’educatore può intervenire diversamente dal rimproverare il ragazzo, magari dandogli l’attenzione che lui sta ricercando. In una situazione di un ragazzo che di fronte ad una ragazza ostenta potenza sessuale, a livello sociale siamo di fronte ad un ragazzo che vuole apparire forte, a livello psicologico invece si può ipotizzare un bisogno del ragazzo di nascondere la sua insicurezza. L’età preadolescenziale è carica di ambivalenze e il soggetto può essere paragonato ad un gambero che avendo perso il guscio rimane inerme fino a quando non ne costruisce uno nuovo. Un conto è quello che il ragazzo esterna un altro è quello che il ragazzo vive, la lettura secondo un doppio livello risulta utile all’educatore perché gli permette di mettere in atto strategie adeguate per far fronte ai bisogni educativi speciali dei ragazzi. Livello superficiale, livello nascosto e vita affettiva Gli studi hanno messo in evidenza che l’intelligenza non esiste allo stato puro e distaccato dagli altri processi psichici. Educare puntando alla formazione integrale dell’educando implica la necessaria promozione dell’alfabetizzazione affettiva. CASO:una giovane mamma mentre chiedeva come fare per abortire,al posto di provare sentimenti negativi come rabbia e tristezza,era felice e raccontava della sua esperienza con molta disinvoltura e il sorriso sulle labbra. Questo tipo di analfabetismo affettivo è tutt’altro che inusuale. Berne dice che esistono due tipi di sentimenti: naturali e di ricatto. Fin dai primi anni di vita, il bambino viene incoraggiato o scoraggiato nel sentire i sentimenti. Vi sono famiglie ad esempio in cui è scoraggiato il pianto e l’uso della tristezza( “non piangere, sembri una femminuccia”); in altre famiglie è scoraggiata la rabbia e in altre ancora la gioia. Il bambino si trova davanti ad un bivio: adattarsi o ribellarsi. Non essendo abituato ad usare la rabbia tenderà ad evitare di difendersi e reagirà con la paura. 7 →Un primo indizio, della presenza di un sentimento di ricatto, può essere quando l’alunno racconta un’esperienza triste mostrandosi allegro( es: caso della madre che gettò dalla finestra il figlio di pochi mesi perché piangeva). →Un altro criterio per individuare i sentimenti di ricatto è la presenza di una manifestazione esagerata sproporzionata. CASO: un bambino di 7 anni in preda ad una crisi strappava i quaderni e i capelli dei compagni. Si rendeva conto dello sbaglio promettendo di non farlo, la madre per punirlo duramente gli imponeva una dieta a base di pastina insipida. Il sentimento dell’allievo non si può considerare genuino; la madre attraverso la punizione pretendeva che il bambino eliminasse dal suo repertorio affettivo la rabbia mentre questo sentimento può risultare prezioso per gestire altre situazioni. Pregiudizi, manipolazioni, transfert e controtransfert Molti educatori grazie all’intervento degli psicologi ormai sanno che i metodi educativi utilizzati sono inutili e che gli allievi conoscono i modi per manipolarli per ottenere quegli effetti voluti. L’allievo abituato a ricevere carezze negative in contesto familiare è facile che si impegnerà inavvertitamente anche in classe per ricevere le carezze negative. L’interazione educatore-educando si può definire di tipo copionico, in quanto stabilita dal “copione del soggetto”. Per comprende meglio la situazione è utile riferirsi ai concetti di transfert e controtransfert. A. Il termine TRANSFERT è utilizzato in psicoanalisi per definire l’atteggiamento emotivo del cliente nei confronti del terapeuta, in realtà è un processo proiettivo del paziente sul terapeuta delle emozioni riferite a qualche figura significativa del passato, come i genitori. Tecnicamente il transfert può essere positivo o negativo: è negativo se il paziente sperimenta ostilità verso il terapeuta, è positivo se prova affetto o stima. B. Il CONTROTRASFERT invece indica la reazione del terapeuta nei riguardi del trasfert del paziente che assume notevole importanza ai fini dell’efficacia del trattamento terapeutico. In terapia è considerato di notevole importanza che il terapeuta analizzi ed utilizzi il trasfert e il suo controtransfert non per agirlo, ma per una comprensione profonda per progettare e realizzare interventi efficaci volti al cambiamento. I fenomeni del trasfert e del controtransfert si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale in particolare in quella tra educatore ed educando. Se un bambino per ricevere cura da parte dei genitori che lavorano tutto il giorno deve ammalarsi, vedrà nella malattia una situazione vantaggiosa e quando si dovrà inserire in un contesto di classe interverrà l’educatore ponendo la stessa enfasi sullo stato della sua salute. Efficacia, ascolto di sé ed empatia L’avversione verso i propri allievi è spesso vissuta come un sintomo del proprio fallimento professionale. Molti consigliano di mettere in atto il “detached concern”: una specie di disinteressamento distaccato, inteso come un’ideale di equilibrio e di maturità professionale volto a tutelare sé e l’altro dalle valutazioni emotive. Di fatto mettere in atto il detached concern non è semplice in quanto facilmente i sentimenti si trasformano in rigetto verso il paziente o l’allievo, realizzando una disumanizzazione come mezzo di autodifesa da sensazioni eccessivamente intense. Un educatore che prova rifiuto dinanzi ad un allievo dovrebbe chiedersi il perché di tale rifiuto. L’intervento dovrà poi mirare a fare comprendere all’educando quello che fa e gli effetti che produce e in seguito gli dovrà proporre dei modi alternativi di agire. Prendiamo come esempio il CASO: di Luca un bambino di 10 anni molto bravo a scuola ma che aveva un atteggiamento altezzoso nei confronti dei compagni, un giorno tutti avevano deciso di andare a mangiare la pizza ma avvisano Luca che l’appuntamento era saltato per non farlo andare con loro. 10 Dinanzi al problema dell’alcolismo, secondo gli studiosi, le strategie per eccellenza impiegate si fondano sulla restrizione del consumo di alcool. Quando i metodi impiegati non bastano a risolvere il problema è coerente intervenire attuando più severamente le misure normalizzatrici. La logica dell’opposto e del più di prima si può individuare nelle modalità vessatorie. Si può rilevare in parecchie strategie cui ricorrono gli educatori dinanzi al bambino che si rifiuta di mangiare, che dice parolacce, all’adolescente che inizia a fumare ecc.. Il paradosso Caso: Giuseppe (docente scuola elementare) decise di istituire una piccola biblioteca di classe, invitando ciascun bambino ad acquistare un libro e a portarlo a scuola. Commise però una gaffe: gli allievi che leggevano di più venivano elogiati. Rapidamente tra i bambini si diffuse l’idea che fosse conveniente leggere di più. Si è dunque rilevato un paradosso che ha reso impossibile l’obiettivo del raggiungimento prefissato:l’interesse per la lettura. Molti scolari infatti, senza nemmeno leggerne una sola pagina restituivano il volume avuto in prestito per prenderne un altro. Dinanzi al bambino demotivato la posizione corretta, cioè libera da paradossi, è “voglio che studi”: il bambino può ubbidire o disobbedire. Pianificare interventi per promuovere atteggiamenti spontanei e volontari rischia di diventare paradossale, se ci si aspetta non soltanto che l’allievo studi, ma anche che lo voglia. Automaticamente si sarà predisposta una specie di trappola che determinerà un’impasse. Unilateralità e bilateralità nell’esperienza educativa L’educando è una persona diversa dall’educatore ed ha diritto di esercitare la sua facoltà di scelta. Caso: Luigi fino all’età di 14 anni amava molto disegnare e avrebbe desiderato frequentare l’istituto d’arte dopo le medie. Il padre però lo iscrisse all’istituito tecnico per geometri. Luigi si rifiutava sistematicamente di fare ciò che gli veniva chiesto in classe e fu dunque bocciato per 2 volte e abbandonò definitivamente la scuola. Siamo dinanzi ad un paradosso:l’educatore ha il compito di educare, ma non può farlo se l’educando non collabora. Se accettiamo il principi o di bilateralità e rifiutiamo l’unilateralità, non possiamo prescindere dal considerare che educatore ed educando sono persone distinti, con bisogni,opzioni , idee diversi. Soppressione e integrazione Gli interventi e le strategie impiegate nei contesti educativi, dinanzi al rifiuto ed alla resistenza dell’educando, non sempre risultano rispettosi , ma soprattutto non sempre tengono conto di ogni “parte”, di ogni polarità della persona. Al fine di comprendere meglio la logica insita in alcune strategie adottate dall’educatore per motivare l’educando, è opportuno riflettere su alcune dinamiche intrapsichiche che si possono osservare in soggetti che soffrono d’insonnia. Proporsi intenzionalmente e sforzarsi razionalmente di dormire è uno dei percorsi per rimanere svegli. Imporsi intenzionalmente un obiettivo porta lontano dall’obiettivo stesso. Resistenza e integrazione Quando si parla di comportamento oppositivo,di resistenza si presuppone che vi siano degli obiettivi verso cui il soggetto dovrebbe muovere: si tratterà di obiettivi educativi (es fare i compiti, ordinare la camera) o di obiettivi del cambiamento psicoterapeutico (es smettere di fare la vittima e diventare propositivi). Ogni ostacolo viene concepita come una resistenza. Secondo una prima ottica si tratta di una barriera che va “abbattuta” affinchè si raggiunga l’obiettivo. Un secondo punto di vista implica una considerazione rispettosa di ogni parte del soggetto, di ogni forza interna, di ogni bisogno. 11 Tra i modelli di riferimento va considerato quello della Gestalt secondo cui le resistenze non si propongono di attaccarle o superarle, ma si devono accogliere, si valorizzare, ammorbidendone la rigidità. INDICAZIONI E PROPOSTE OPERATIVE Con un bambino che mostra rifiuto dinanzi alla proposta di fare una certa cosa, a nostro avviso il primo passo è quello di consentirgli di manifestare le sue demotivazioni,barriere. Occorre mettersi in atteggiamento di ascolto attento, interessato, aperto. Successivamente l’educatore può esprimere il suo punto di vista in modo rispettoso. Il caso seguente mostra i possibili interventi da parte dell’educatore. Caso: Lucia viene portata dal dentista per rilevare un’impronta. La madre prima di entrare le dice di non farle fare una brutta figura. La dentista non riesce a rilevarle le impronte e la madre continua a dire alla bambina (che nel frattempo piange) di averla delusa.Successivamente la madre fu invitata a consolare la figlia. Dopo pochi istanti la madre entra in empatia con la figlia che smette di piangere. Nel giro di pochi minuti la bambina si fece rilevare l’impronta. L’abbraccio della madre ha avuto un effetto straordinario: ha consentito di risolvere il problema. Paradosso/contro paradosso I docenti chiedono “strategie” e “tecniche” per catturare, mantenere l’attenzione degli allievi. Gli studiosi della scuola di Paolo Alto sostengono che nella gestione delle situazioni paradossali sia necessario ricorrere a situazioni altrettanto paradossali, denominate controparadossi. Si può considerare controparadossale il messaggio seguente: “immagino che con tutte le cose piacevoli che avete da fare non siete molto contenti di stare qui! Bene possiamo cominciare”. Pone davanti a un bivio: a) non cambiare nulla dimostrando che l’educatore avrà avuto ragione ; b) reagire cercando di dimostrare il contrario ed effettuando una scelta che segna l’inizio del cambiamento.  PROBLEMATICHE EDUCATIVE: COSA SI FA DI SOLITO, COSA SI PUO’ FARE DI DIVERSO È opportuno sottolineare che un rischio diffuso tra quanti si propongono per mestiere di alleviare il disagio, di promuovere il benessere dei destinatari del loro intervento è tecnicamente noto come sindrome di Burnout. Il burnourt va concepito come una fuga da una situazione lavorativa vissuta quotidianamente con forte stress in cui non si intravedono vie d’uscita e possibilità di miglioramento. Il burnout viene concepito come una sindrome psicologica caratterizzata da tre dimensioni basilari: esaurimento emotivo, depersonalizzazione, diminuzione del senso di realizzazione e si autoefficacia. L’esaurimento emotivo corrisponde alla sensazione di trovarsi sfiniti ; la depersonalizzazione è accompagnata da atteggiamenti negativi nei confronti dei soggetti a cui è rivolto l’aiuto e che caratterizzano quell’agire freddo e distaccato di taluni professionisti; il senso della riduzione dell’efficacia e della realizzazione personale, invece, si riferisce alla diminuzione del proprio senso di impotenza e di valutazione negativa di sé. Cherniss definisce il burnout come un processo transazionale caratterizzato da tre fasi tipiche: 1) stress lavorativo che nasce dalla discrepanza tra richieste e risorse disponibili; 2)tensione come risposta emotiva allo squilibrio caratterizzata da sensazioni come ansietà,nervosismo; 3) conclusione difensiva che costituisce l’accomodamento psicologico 12 caratterizzato da atteggiamenti come rigidità, cinismo. Pines propone un modello interpretativo che considera il desiderio di dare un senso alla vita come la principale forza emotivamente dell’essere umano. Secondo tale modello quando un professionista, come l’educatore,risulta motivato , facilmente si propone di ricercare o di realizzare il significato della propria esistenza nell’ambito del suo lavoro. È l’eccesso di motivazione dunque, che comporta un eccesso di coinvolgimento che, nel tempo,determina un aumento di stress, ansia. La sensazione di aver raggiunto gli obiettivi porterà l’individuo a vivere un senso di benessere e di successo personale consentendogli al contempo di attribuire un significato al proprio lavoro. Al contrario, quando il lavoro comporta dei fallimenti si potrà condurre a una progressiva riduzione della motivazione che porterà al burnout. 1 SCRIVERE PAROLACCE SUI LIBRI DEI COMPAGNI CASO: una bambina trova delle oscenità sui diario e lo dice alla maestra che minaccia tutta la classe. Con l’aiuto dei compagni si capirà che a commettere questi atti è stata Alessia la quale promette di non farlo più. Successivamente confesserà alla maestra che ha fatto ciò poiché fin dal primo anno della primaria la compagna non aveva perso occasione per farle dei dispetti. La maestra di Alessia ha assunto un ruolo ispettivo. La logica soggiacente è di tipo moralistico e si concentra su quanto è esternamente osservabile aspettandosi un ravvedimento e la promessa di non farlo più. L’insegnante è un educatore e dovrebbe lasciare ad altri il mestiere di “indagare”. In questo caso educare vuol dire comprendere come mai l’allieva imbratti il diario. Alessia attraverso il suo modo di agire rivela che non può usare la sua rabbia apertamente. La bambina infatti è stata educata a nascondere la sua rabbia sia la mamma che il papà impiegano notevoli quantità di energia per evitare di arrabbiarsi. I modelli famigliari hanno puntato a escludere questo sentimento dal repertorio. L’insegnate potrebbe domandarsi cosa possa fare per consentire ad Alessia di darsi il permesso di vivere un’affettività senza escludere alcun sentimento. Potrebbe aiutare Alessia a identificare cosa sente quando la sua compagna tende a escluderla o a farle dei dispetti. Può successivamente invitarla ad usare in maniera costruttiva quello che sente, ad esempio esternandolo. È fondamentale che il docente resti fuori dai triangoli drammatici e faciliti semplicemente il processo di crescita e alfabetizzazione. Egli potrebbe proporre un esercizio in cui i bambini vengono invitati a sedere in coppia e a rispondere a turno alla seguente questione: vengo emarginato dai giochi di gruppo, cosa sento, cosa faccio, cosa posso fare di diverso? In una seconda fase può chiedere ai bambini quali opzioni hanno prodotto e aiutarli ad identificare i sentimenti più comuni emersi. Il docente può proporre una recita in cui i bambini che hanno difficoltà con un sentimento potrebbero essere invitati ad assumere ruoli di personaggi che esprimono quel sentimento. 2 L’AGITAZIONE ECCESSIVA DINANZI AL COMPITO CASO: Loredana pur avendo abilità cognitive non riesce a eseguire i compiti assegnati e talvolta diventa aggressiva. I genitori attribuiscono il disagio alla nascita del fratellino. L’insegnate di sostegno si è resa conto che il disagio della bambina aumenta in concomitanza con l’aumentare delle richieste di maggior impegno da parte degli insegnati. Al riguardo un episodio è pregante: l’insegnante mentre scrive dei numeri alla lavagna commette un errore di trascrizione. Loredana comincia ad agitarsi, ad alzare la voce, ripetendo che l’insegnate non può sbagliare. La bambina ha sviluppato una parte interna,tecnicamente nota come Genitore critico,piuttosto esigente, intransigente, rigida fino al punto da non consentirle di accettare