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Gestire il disagio a scuola, Sintesi del corso di Didattica Pedagogica

Il documento tratta il tema del disagio nei contesti educativi, analizzando le diverse tipologie di disagio (oggettivo, soggettivo, procurato) e i fattori che possono portare al disagio, come le difficoltà relazionali, la marginalità sociale e la povertà. Vengono inoltre esaminati gli stili di atteggiamento del docente di fronte al disagio dell'allievo, evidenziando come alcuni interventi possano rivelarsi improduttivi. Infine, il documento propone alcune linee guida per una gestione corretta del disagio a scuola, come l'ascolto aperto e l'empatia nei confronti dell'allievo.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 25/10/2024

albertomorano00
albertomorano00 🇮🇹

4.4

(976)

927 documenti

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Scarica Gestire il disagio a scuola e più Sintesi del corso in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! Gestire il disagio a scuola: strategie educative per affrontare il malessere degli studenti Definizione di disagio Il concetto di disagio si presenta inizialmente povero di contenuti specifici ed è stato impiegato per esprimere la perdita di rilevanza delle problematiche giovanili e la consapevolezza del fallimento del grande disegno sociale e politico concepito dalle generazioni sessantottesche e post sessantottesche. Successivamente, l'attenzione viene focalizzata sui vissuti che accompagnano il disagio durante i momenti di crescita verso l'età adulta. Parallelamente alla crisi dei concetti di devianza e di marginalità, che si erano impoveriti, quello di disagio viene preferito sempre più perché considerato meno connotato ideologicamente e più adatto ad essere applicato ad una ampia maggioranza di individui. Caratteristiche del disagio Il disagio è inteso come esperienza strettamente personale e soggettiva da cui possono derivare dei segni osservabili e rilevabili dall'osservatore e dall'interlocutore. Etimologicamente, il termine è costituito dal prefisso "dis", che indica negazione, e dalla parola "agio" che significa giacere presso. Il termine designa la condizione di chi vive ai margini, si sente escluso, isolato, lontano dagli altri e da se stesso. Nei dizionari socio-psico-pedagogici, il termine risulta usato come sinonimo di disadattamento e di devianza, e nelle scienze psicologiche è usato per indicare uno stato soggettivo e generico di sofferenza psichica. Nell'ultimo decennio, l'uso del termine ha visto una diffusione crescente come categoria descrittiva della condizione giovanile. Secondo le descrizioni più usate della psicopedagogia italiana, il disagio è inteso: Come sintomo dell'incapacità e dell'impossibilità del soggetto di trovare soluzioni soddisfacenti e coerenti alla propria identità rispetto a ciò che è percepito come possibile e ciò che è percepito come radicalmente negato dalla società. Come incapacità di tollerare e di gestire la complessità e di sostenere il peso della precarietà, della flessibilità e dell'eccessiva aleatorietà che caratterizzano la società attuale a livelli di valori e di possibilità da parte dei soggetti dotati di identità fragile. Come sintomo di una domanda non patologica dei problemi psicologici ed affettivi, delle difficoltà familiari e relazionali, delle difficoltà 1. 2. 3. scolastiche, del malessere esistenziale legato alla costruzione dell'identità. Come espressione della difficoltà di assolvere ai compiti evolutivi richiesti dal contesto sociale per conseguire l'identità e le abilità necessarie per gestire le relazioni quotidiane. Come risultato della difficoltà a gestire la complessità e a far fronte alle contraddizioni legate ai processi di socializzazione e di maturazione verso l'età adulta. La parola disagio è usata per comprendere significati e sfumature variegate e si riconduce ad una base oggettiva che si identifica con l'ammontare delle inadempienze, dei rinvii, degli inganni di cui i giovani sono stati oggetto privilegiato negli ultimi anni; comprende un vissuto soggettivo che implica un ampio ventaglio di elementi: percezioni, sentimenti, valutazione, bisogni e domande che contengono in ogni caso una sofferenza sommersa. Le definizioni proposte prediligono un approccio descrittivo più che interpretativo del disagio e si individuano alcuni elementi chiave: il disagio indica comportamenti e atteggiamenti non patologici, indica un malessere diffuso legato a difficoltà e problemi derivanti dai compiti evolutivi, dalle contraddizioni e dalla complessità relative alla relazione individuo-società complessa. Disagio, disadattamento e altri fenomeni Altra tendenza diffusa è quella di usare il concetto di disagio ed altri fenomeni non sempre identici: disadattamento, frustrazione, stress, emarginazione, marginalità, devianza. Disagio è usato come un termine ombrello per indicare una condizione esistenziale caratterizzata da incertezza, da precarietà. Il rischio è inteso come una situazione in cui vengono negate, frustrate o mortificate le opportunità di soddisfazione dei bisogni fondamentali della persona. Caratterizzazioni e forme del disagio I livelli nella rivelazione del disagio Una prima distinzione riguarda le aree in cui si può manifestare il disagio nella vita del soggetto: intrapsichica, interpersonale e sociale. A livello individuale, si delinea una condizione interiore caratterizzata dalla difficoltà a star bene con se stessi e dentro di sé. A livello interpersonale, il disagio si manifesta nell'incontro tra persone (educatore-educando, genitore-figlio) che il soggetto vive con difficoltà da cui deriva: ansia, inquietudine, irritazione, sfida, rabbia. A livello sociale, il disagio origina e si manifesta in tutte le situazioni note come condizioni di svantaggio e di emarginazione (ad esempio la nuova povertà: deriva dalla frustrazione dei bisogni primari: identità, espressione 4. 5. problematiche legate all'abbandono è l'intervallo che va dalla scuola secondaria di primo grado all'ingresso nella secondaria di secondo grado. La scuola deve attrezzarsi adeguatamente per poter rispondere ai bisogni speciali, al disagio, alle difficoltà della popolazione scolastica. I soggetti del disagio rischiano di venire frustrati dal confronto con i compagni. La reazione conseguente degli allievi va dal passivo conformismo all'opposizione alle attese della scuola e degli adulti. Quando le agenzie educative non risultano in grado di accogliere il disagio dell'individuo e di rispondervi efficacemente, alcuni si rivolgono alla strada come luogo di fuga. La strada è un luogo in cui ci si rivolge per avere risposte al proprio disagio, un luogo meno esigente rispetto alla scuola o alla famiglia. Viene considerata come una famiglia adottiva a cui si chiede sostegno, cura, protezione appagamento di quei bisogni cui né famiglia né scuola sono stati in grado di dare risposta. Le frustrazioni nella vita relazionale Parecchi antecedenti del disagio originano da difficoltà relazionali in particolare di quelle familiari (presenza di conflitti, separazioni, divorzi) da cui derivano frustrazione e stress per i membri del sistema. Nelle famiglie incomplete o in cui i genitori sono assenti, le problematiche riguardano l'abbandono, violenza, abuso, trascuratezza fisica e affettiva che danneggiano i minori. Disagio, disadattamento e iperadattamento I soggetti del disagio sintomatico e sommerso sono accomunati dalla medesima difficoltà a integrarsi in quanto le competenze richieste dalla società sono complesse. Essi, sono tenuti ad assumere orientamenti e logiche diverse, a seconda dei sottosistemi a cui intendono appartenere (famiglia, scuola, lavoro). Il disagio in tal senso nasce dalla carenza nella capacità adattiva alle logiche e ai criteri che caratterizzano i vari sottosistemi. Comprendere e gestire il disagio La questione del disagio nella psicopedagogia La questione del disagio è stata approfondita dalla psicopedagogia, che ha posto l'accento sui deficit del soggetto e sui processi transazionali tra individuo e strutture sociali. Dagli anni '50 ad oggi, si è passati da un approccio che vede il comportamento come funzione della personalità del soggetto, ad un approccio che considera il comportamento come risultante dall'interazione tra personalità e ambiente. Piaget parla di adattamento inteso come equilibrio dinamico tra assimilazione ed accomodamento. Questo concetto è centrale nel passaggio dal disagio alla rinascita del sé, attraverso i processi di adattamento, disadattamento, conformità e analisi transazionale. Disagio, violenza e abbandono La "Cultura della Morte", come nel caso dell'aborto, è caratterizzata da fattori che ruotano attorno alla perdita del senso di sacralità e di inviolabilità della vita umana. Si parla anche della "cultura dell'abbandono", in cui i bambini vivono rapporti superficiali con i genitori perché affidati ad altri. I bambini sono invitati ad assumere precocemente i ruoli tipici degli adulti e a smettere di essere bambini, con indifferenza per il bambino come persona, abusi e violenza, che sono il risultato di disagi e l'unica strada da percorrere è la fuga. Ciò comporta una società regolata dal binomio generatività-stagnazione: la generatività è l'atteggiamento volto a creare, prendersi cura e guidare i figli e le nuove generazioni, mentre la stagnazione è l'impoverimento personale che si afferma quando la generatività risulta carente. Disagio e frustrazione dei bisogni Negli anni '50-'60, l'approccio clinico privilegiava una lettura intrapsichica nello studio del disagio, ma in seguito sono state recuperate le interpretazioni che consideravano, oltre ai dinamismi interni della personalità, anche il contesto sociale e ambientale. L'esperienza soggettiva di patimento come esito dell'insoddisfazione e della privazione è considerata una delle maggiori costanti che accompagnano il disagio, che sottende sempre la presenza di bisogni insoddisfatti. I protagonisti vivono una situazione di tensione, di bisogno, di necessità, che incontra limitazioni e dinieghi da parte del mondo e del sociale, piuttosto che accoglienza, ascolto e risposta positiva. A seconda dei bisogni frustrati o insoddisfatti, si possono distinguere diversi tipi di disagio: - Quando ci si riferisce alle nuove opportunità, il disagio è derivante dalla frustrazione dei bisogni di tipo primario e degli aspetti qualitativi essenziali legati alla vita. - Quando si parla di emarginazione, il bisogno frustrato è quello di integrazione e di appartenenza. - Quando si parla di disagio esistenziale, il riferimento va alla frustrazione del bisogno di autorealizzazione e di dare un senso alla propria vita. Alcuni studiosi pongono attenzione ai bisogni formativi, e una risposta inadeguata a tali esigenze determina la condizione di soggetto a rischio, marginale e isolato. I bisogni dei minori sono spesso oggetto di insensibilità e indifferenza, al punto da parlare dei giovani come "Esseri invisibili". Molti atti vandalici vengono concepiti come modalità di recuperare e di soddisfare il diritto e il bisogno di essere visti. L'individuazione e la determinazione dei bisogni educativi L'individuazione e la determinazione dei bisogni educativi sono momenti fondamentali della programmazione educativa, perché su di essi vanno progettati gli obiettivi. Pertanto, occorre tener conto del singolo e dell'ambiente esterni. Il bisogno in campo educativo nasce dalla discrepanza tra come le cose dovrebbero essere o come si vorrebbero che fossero e come di fatto sono. Il bisogno deriva da uno squilibrio che origina dal raffronto tra situazione reale e quella ideale. Un modello di riferimento per comprendere il rapporto tra frustrazione dei bisogni e disagio è quello proposto da Weiss: dietro al disagio e alla sua espressione si può individuare qualche bisogno frustrato, a volte in modo persistente e cronico. Secondo il modello, l'espressione naturale e spontanea del bisogno è il passo iniziale e naturale per ogni individuo. Se il bisogno rimane frustrato, il soggetto può reagire manifestando collera, paura o tristezza. Nella gestione del disagio nei contesti educativi, il primo passo è quello di individuare ed accogliere i bisogni dell'educando. Il soggetto portatore di disagio, non avendo totale consapevolezza di sé, dei bisogni, dei conflitti, dei problemi e dei blocchi, ricorre ai mezzi di cui dispone per comunicare e per esprimersi, come disturbare, non studiare, usare parolacce, picchiare i compagni. Occorre decodificare il disagio attraverso la capacità empatica, per cogliere cosa c'è dietro il disagio. I bisogni e i permessi negati Trattando di bisogni, si può distinguere tra processo e contenuto. Diventa centrale la questione relativa a quali sono i bisogni e le necessità che risultano inascoltati, prestando maggiore attenzione ai dinamismi psicologici coinvolti, dal momento in cui un bisogno viene percepito fino alla sua soddisfazione o frustrazione, e quali sono le opzioni una volta che i bisogni vengono soddisfatti o ripetutamente non soddisfatti. Alcuni dei bisogni e permessi che l'educatore può supporre e scoprire al di là dei sintomi del disagio sono: - Il permesso di esistere o di appartenenza, fondamentale perché l'inserimento e l'integrazione rievocano e riattivano questa dinamica. - Il permesso di non essere intimo, appreso con l'interazione delle figure significative. La capacità di integrarsi e la scelta di appartenenza sono influenzate dalla presenza di questo permesso. - Il permesso di non essere piccolo, in quanto dietro a casi di violenza si ritrovano relazioni rovesciate o invertite in cui al figlio è richiesto di comportarsi come se fosse lui il genitore o molto più grande di quello che è. Comprendere e gestire il disagio Atteggiamenti comuni dinanzi al disagio Di fronte al disagio degli allievi, in presenza di una situazione educativa complessa, i docenti intervengono assumendo certi atteggiamenti e Interazione tra docente e duplice livello Il principio della lettura a duplice livello (superficiale, profondo, sociale, psicologico) risulta utile per costruire relazioni efficaci anche da adulti: ad esempio nel rapporto tra docente-docente, dirigente-docente. A livello superficiale, si accolgono le richieste del docente in merito ad esempio ai chiarimenti del programma; a livello profondo, si guadagna un punto di vista in più perché preoccupato di non fare bene, di sbagliare. Livello superficiale, livello nascosto e vita affettiva Educare partendo alla formazione integrale dell'educando implica la necessità di promuovere l'alfabetizzazione affettiva. La lettura dei sentimenti secondo un doppio livello, consente di comprendere reazioni diversamente inspiegabili ed individuare possibili ipotesi di intervento. Gli studi condotti dagli analisti transazionali da Berne in poi hanno consentito di mettere in evidenza che esistono sentimenti naturali e sentimenti di riscatto. Fin dalla primissima età, il bambino viene incoraggiato o scoraggiato nel sentire e nell'utilizzare determinati sentimenti. Dinanzi a tali pretese, il bambino si trova dinanzi ad un bivio: adattarsi o ribellarsi. Pregiudizi, manipolazione, trasfert e controtrasfert L'interazione educatore-educando attualizzata inconsciamente con modalità conflittuali si può definire di tipo Scenico o di tipo Copionico, in quanto alimentata e stabilita dal copione del soggetto. Il concetto di trasfert indica l'atteggiamento emotivo del paziente nei confronti del terapeuta, mentre il controtrasfert indica la reazione, spesso inconscia, del terapeuta nei riguardi del transfert del paziente. Tali fenomeni si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale ed in particolare in quella educativa docente- allievo, educatore-educando. Efficacia, ascolto di sé, empatia Gli atteggiamenti più comuni dinanzi al disagio vanno dal tentativo di ignorare facendo finta di non vedere preoccupandosi unicamente del programma da svolgere, all'atteggiamento persecutorio che si realizza quando il docente invita l'allievo a smetterla di disturbare ricorrendo a delle strategie comuni in classe: punizione, rimprovero. Piuttosto che eliminare i sentimenti negativi, il docente potrebbe cominciare ad ascoltare per comprendere meglio la situazione e per scoprire nuove opzioni. L'intervento educativo conseguente dovrà promuovere la consapevolezza del bambino circa quello che fa e circa gli effetti che tende a produrre, consentendogli di apprendere modalità alternative di esprimere i suoi sentimenti o i suoi bisogni. Opposizione, rifiuto e conflitto educativo Modalità comuni per gestire la resistenza dell'educando Due modalità usate dagli educatori per far fronte all'opposizione dell'educando sono: la modalità vessatoria, caratterizzata da un atteggiamento aspro, brusco e secco da parte dell'educatore; e la modalità manipolatoria, in cui l'educatore ricorre all'inganno pur di eludere la resistenza o il rifiuto dell'altro. Il conflitto educativo Il conflitto educativo nasce nel rapporto tra educando ed educatore. L'educazione implica il riferimento al livello normativo: finalità, obiettivo, prescrizione, regole, valori. L'azione educativa da una parte limita l'azione dell'educando, dall'altra è limitata dalla sua personalità, originalità, diversità, dallo sforzo del soggetto di diventare ciò che è e che vuole essere, dal bisogno di autenticità e di essere se stessi. L'iniziativa dell'educatore viene vissuta, di conseguenza, come una sorta di limite e di diniego del diritto di essere se stessi da parte dell'educando. L'equilibrio tra l'iniziativa dell'educatore e la risposta dell'educando Il dilemma autorità-libertà La necessità che ne deriva è di cercare un equilibrio tra l'iniziativa dell'educatore e la risposta da parte dell'educando. Si tratta di stabilire a che punto e in che misura l'azione educativa non soffochi, anzi sviluppi la personalità del soggetto. Il dilemma autorità-libertà, ovvero tra azione dell'educatore ed iniziativa dell'educando, può essere ridefinito e riassunto in due modi: Stimolare la crescita dell'educando dal suo interno assecondandone gusti, desideri, valori, obblighi. Aiutare l'educando a realizzare un dover essere da cui derivano valori, obblighi, regole. I fattori personali e sociali nell'azione educativa Se l'azione educativa viene concepita come la piattaforma in cui si realizza l'interdipendenza dei fattori personali e di quelli sociali, ne consegue che in ogni rapporto educativo esistono delle polarità, cioè tendenze che nascono dall'educatore ed altre che provengono dall'educando. L'interazione educativa si realizza in modo costruttivo se si fonda su una sorta di equilibrio tra aspettative personali e sociali: I fattori personali sono costituiti dagli interessi, dalle esigenze e dai bisogni dell'educando. 1. 2. • I fattori sociali riguardano le aspettative legate alle situazioni, quelle derivanti dal ruolo, quelle legate agli standard sociali che derivano dal sistema di valori e dagli obiettivi di una determinata società. Approcci educativi: Nomoteico e Ideografico Esistono due approcci educativi che si differenziano per il modo in cui affrontano il dilemma autorità-libertà: Approccio Nomoteico: tende ad attribuire il peso maggiore alle aspettative sociali e concepisce l'educazione come trasmissione di conoscenze, di valori, di standard sociali. Approccio Ideografico: rispetta le aspettative, le esigenze e i bisogni del singolo educando, consentendogli di scegliere quanto per lui risulta significativo. Approcci educativi: Metodi ascendente, discendente e basato sui bisogni Metodo ascendente Questo approccio parte dalla descrizione accurata della situazione della popolazione scolastica e cerca di innestarvi finalità e obiettivi. Metodo discendente Questo approccio rovescia la prospettiva, partendo dall'individuazione delle finalità e degli obiettivi desunti dalle aree disciplinari. Metodo basato sui bisogni Questo approccio parte dal concetto di bisogno e si articola in 4 momenti: - identificazione di un largo spettro di possibili obiettivi - ordinamento degli obiettivi secondo un ordine di importanza - valutazione della discrepanza tra obiettivi e situazione degli allievi - determinazione dell'ordine di precedenza nell'attuazione degli interventi formativi Logica dell'opposto e del "più di prima" Quando un intervento correttivo risulta insufficiente, è comune applicare "più di prima" le misure normalizzatrici (es. più caldo, più coperte). Questa logica può essere individuata in molte strategie adottate dagli educatori, come nel caso del bambino che rifiuta di mangiare o è iperattivo. Tuttavia, questo approccio rischia di indurre nell'educatore una sorta di "accanimento terapeutico", caratterizzato da atteggiamenti e interventi sempre più rigidi. • 1. 2. Il Ruolo del Salvatore nell'Educazione Il Comportamento Iperprotettivo dell'Educatore L'atteggiamento iperprotettivo dell'educatore è esattamente l'opposto di ciò che dovrebbe fare per promuovere l'autonomia, l'indipendenza, la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie possibilità, e l'autosostegno negli educandi. Questo atteggiamento rientra in quello che l'analisi transizionale definisce come il ruolo del "Salvatore". Il Triangolo Drammatico di Karpman Secondo il Triangolo Drammatico di Karpman, ci sono tre ruoli principali: il Persecutore, il Salvatore e la Vittima. Il Salvatore si caratterizza per il fatto di prendersi cura degli altri in modo eccessivo, facendo cose spesso non richieste, non necessarie e a volte nemmeno gradite. L'educatore che interpreta questo ruolo vede i discenti come dei "poveretti", bisognosi di aiuto, deboli e vulnerabili. Il Docente come Salvatore L'educatore iperprotettivo, che dà voti o giudizi eccessivamente generosi per paura di ferire l'allievo, o che formula domande facili per evitare di metterlo in difficoltà, diventa un "Salvatore". Questo atteggiamento mantiene una posizione di superiorità che porta a considerare gli altri come bisognosi e incapaci di fare a meno del suo aiuto. La Posizione di Vittima dell'Allievo L'allievo, in questa dinamica, agisce da "Vittima", svalutando le proprie potenzialità e capacità, e chiedendo indirettamente, attraverso il pianto, di essere salvato e che l'altro faccia le cose al suo posto. Il Persecutore Il ruolo del "Persecutore" è tipico di chi, nelle interazioni, sminuisce il partner, lo svaluta e lo perseguita, attaccandolo psicologicamente e, in alcuni casi, fisicamente. L'Aiuto Adeguato e Gratuito La proposta è di aiutare in maniera adeguata, efficace e disinteressata, evitando di sostituirsi all'altro o di fare le cose al suo posto. L'aiuto non deve servire per soddisfare i bisogni personali dell'educatore, come il sentirsi utile o importante, o per coprire il suo senso di inadeguatezza in situazioni di handicap. È fondamentale che l'aiuto sia contraddistinto dalla gratuità. Il Legame Simbiotico Tra l'educatore e l'allievo può instaurarsi un legame simbiotico, in cui l'educatore è convinto che se l'allievo smettesse di fare ciò che lo infastidisce, la sua rabbia non aumenterebbe. In questo caso, l'educatore dimentica che l'allievo ha la sua autonomia e può accettare o meno l'aiuto, attribuendo le premesse per avviare il legame della simbiosi. Nella simbiosi, i confini tra sé e l'altro si confondono, e l'unica opzione diventa l'intolleranza, che porta a cercare di far sparire la sofferenza dell'altro.