Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Gian Biagio Conte, Profilo storico della letteratura latina (Dalle origini alla tarda età imperiale), Sintesi del corso di Letteratura latina

Riassunto dettagliato del manuale di letteratura latina, esame di letteratura latina, Prof. Moretti.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 04/01/2020

elena_riccardi
elena_riccardi 🇮🇹

4.5

(65)

14 documenti

1 / 123

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Gian Biagio Conte, Profilo storico della letteratura latina (Dalle origini alla tarda età imperiale) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! ALTA E MEDIA REPUBBLICA (> nascita e primi sviluppi della letteratura latina; Livio Andronico e Nevio; Plauto; Ennio e l’epica fino a Cesare; la tragedia arcaica: Pacuvio e Accio; Catone e gli inizi della storiografia a Roma; lo sviluppo della commedia: Terenzio e Cecilio Stazio; Lucilio e la satira; politica e cultura fra i Gracchi e Silla.) Contesto > dalla fondazione alla conquista del mediterraneo: Fondazione di Roma > 21 aprile 753 a.c., data fissata da Varrone. Primi insediamenti sul colle palatino in prossimità del Tevere > VIII secolo. I primi secoli di vita della città furono caratterizzati dalla dominazione etrusca con un regime di tipo monarchico che durò fino alla fine del secolo VI quando vennero fondate le istituzioni repubblicane. Prese avvio allora una forte attività militare > tra il V e il II secolo i romani combatterono contro le popolazioni italiche e poi contro Cartagine. I successi delle tre guerre puniche insieme a quelli conseguiti in oriente contro Macedonia, Siria e Pergamo segnano la definitiva affermazione di Roma come potenza egemone nel Mediterraneo. Profonde trasformazioni che mutano l’assetto della società romana: - lotte tra patrizi e plebei - guerra sociale con gli alleati della penisola che porterà alla concessione della cittadinanza romana a tutti gli italici - scontro tra Mario e Silla e dittatura di quest’ultimo >> sorgere di nuove magistrature e figure politiche che imporranno al regime repubblicano una serie di cambiamenti, preludio all’istituzione del principato. I contatti sempre più fitti con l’oriente permettono ai romani di affiancarsi sempre più alla cultura greca > riflessi nella produzione letteraria > poema di Nevio che ha per oggetto la prima guerra punica, opposizione di Catone ai costumi ellenizzanti, teatro di Plauto e Terenzio. NASCITA E PRIMI SVILUPPI DELLA LETTERATURA LATINA 1.1 La nascita della letteratura latina I romani collocavano l’inizio della loro storia letteraria nel 513 dalla fondazione di Roma, ovvero nel nostro 240 a.c., anno in cui Livio Andronico, un liberto proveniente dalla città greca di Taranto, aveva fatto rappresentare per la prima volta un testo scenico in lingua latina, probabilmente una tragedia. La gloriosa tradizione di letteratura greca vantava quale iniziatore Omero, quindi il problema delle origini si poneva ai romani in una prospettiva di concorrenza rispetto alla tradizione greca cui cercarono sempre di contrapporre una propria, individuando in Ennio il progenitore della poesia patria. Confronto con i modelli greci basato su traduzione e riadattamento > impone alla letteratura romana una maturazione legata alla riflessione su complessi problemi stilistici e poetologici. Iscrizioni su pietra o bronzo costituiscono i più antichi monumenti della lingua latina, il cui uso scritto è legato a momenti della vita quotidiana. La scrittura è necessaria anche, a livello ufficiale, per registrazioni di leggi, trattati, patti con altre città. Lo stile di questi antichi documenti esercitò un forte influsso sulle origini della prosa latina. Altra importante categoria di documenti scritti sono i fasti > termine che designa in origine il calendario ufficiale romano che ogni anno i pontefici stabilivano e divulgavano con la distinzione dei giorni in fasti e nefasti, a seconda che fosse permesso o meno il disbrigo degli affari pubblici. Cominciarono poi ad arricchirsi di altre informazioni > liste dei magistrati nominati anno per anno, dei trionfi militari ottenuti dai magistrati in carica. Passo importante fu l’uso della tabula dealbata, una tavola bianca che il pontefice massimo esponeva pubblicamente per dichiarare avvenimenti significativi per la collettività. Queste registrazioni ufficiali presero il nome di annales Pontificum e divennero una vera e propria memoria dello stato romano influenzando la struttura di molte opere storiche latine e fondando così un modello storiografico originale indipendente da influssi di origine greca. 1.2 I Carmina Carmina = formule misteriose, coniate in lingua arcaica, spesso ritmate e ricche di assonanze > antichi carmina sacrali (carmen > cano = canto), o frammenti delle antiche leggi delle XII Tavole. La forma di questi carmina, propria dunque di leggi, preghiere, formule rituali, era quasi incomprensibile già per i dotti romani di età classica perché usata per testi solenni e autorevoli. Cicerone definisce le antiche leggi delle XII Tavole un carmen e le stesse Tavole definiscono carmina le formule magiche di cui decretano la messa al bando. La stessa parola si applica a preghiere, giuramenti, profezie, sentenze solenni ma anche proverbi e scongiuri > la definizione arcaica di carmen riguardava la forma di un testo piuttosto che i suoi contenuti > stile senza troppe distinzioni nette tra versi e prosa che mirava a distinguersi dallo stile casuale e informale della conversazione quotidiana: univa le caratteristiche tipiche della prosa arcaica (trama ritmica, ripetizioni foniche e morfologiche, allitterazioni) a quelle proprie della poesia dello stesso periodo che si segnalava per una struttura metrica debole, senza rigide regole. Sopravvivenze di tale tradizione sono rintracciabili in alcune costanti formali, in certe cadenze che accomunano Pluto a Ennio, Catullo e Virgilio ecc. Più antiche forme di carmina pervenuteci > carattere religioso e rituale, esecuzione di pubblici riti annuali le cui principali testimonianze consistono nel carmen Saliare e in quello Arvale. Saliare > canto del collegio dei Salii che ogni anno a maggio recavano in processione dodici scudi sacri, gli ancilia, con l’accompagnamento di formule rituali > linguaggio incomprensibile per i romani di età storica. Carmen Arvale, o carmen fratrum Arvalium > leggermente più chiaro. I fratres Arvale costituivano un collegio di 12 sacerdoti che a maggio ogni anno levavano un inno di purificazione dei campi. Carmen inciso sul marmo degli Acta del 218 d.c. Su alcuni filoni comici della produzione letteraria latina hanno avuto influsso alcune forme preletterarie di livello popolare > cultura orale antichissima > proverbi, canti di lavoro, canzoni d’amore, ninne nanne, maledizioni, scongiuri, precetti agricoli e formule medicinali. Testimonianze più consistenti > produzione improvvisata e caratterizzata da motteggi e comicità > Fescennini versus > o da Fescennia, cittadina dell’Etruria del sud, ipotizzando un influsso etrusco, o da fascinum, “malocchio” e “membro virile”, immaginando un uso in forma apotropica ovvero di allontanamento del malocchio. Feste rurali > sede più tipica dei fescennini. Ma molteplici erano le occasioni in cui circolavano versi “fescennini” > lazzi tipici delle feste nuziali, la cosiddetta “giustizia popolare”, una forma di pubblica denigrazione; i carmina triumphalia, canti di lode e di scherno improvvisati dai soldati per il trionfatore. 1.3 La questione del saturnio Più antiche testimonianze poetiche romane > verso chiamato saturnio. Etimologia legata al nome del dio saturno che sembra indicare un’origine puramente italica anche se i testi in cui appare sono collocabili in un’epoca già imbevuta di cultura greca. La struttura metrica non ha uno schema chiaro e la sua fluidità ha suscitato il dubbio che esso presupponga principi costitutivi diversi da quelli della metrica classica. Forse proprio questa irregolarità ne causò la scomparsa > nell’epica soppiantato dall’esametro. 1.4 Il teatro romano arcaico: forme e contesti prevedeva equivoci, bisticci, incidenti movimentati, battute salaci. Comparivano maschere fisse dai nomi sempre uguali > Bucco, il fanfarone, Dossenus, il gobbo malizioso, Pappus, il vecchio da beffare. 2. LIVIO ANDRONICO E NEVIO 2.1 Livio Andronico, la vita e le opere Livio Andronico > condotto a Roma nel 272 a.C. come schiavo di Livio Salinatore al termine della guerra contro la colonia greca di Taranto. Lavorava come grammaticus insegnando il latino e il greco ma scriveva anche tragedie e commedie, partecipando da attore alla messa in scena dei suoi lavori. A lui sono legati sia il primo testo drammatico rappresentato a Roma nel 240 a.C. sia la traduzione nel tradizionale verso latino, il saturnio, dell’Odissea di Omero > Odusia. Grande successo di un suo partenio > canto di fanciulle > in onore di Giunone destinato all’esecuzione in pubblico durante cerimonie religiose > ricevette grandi onori e la sua “associazione professionale”, il collegium scribatum histrionumque venne insediato in un edificio pubblico, il tempio di Minerva sull’Aventino. Fra le tragedie, legate soprattutto al ciclo della guerra di Troia ricordiamo: l’Achilles, l’Aiax mastigophorus, l’Equos Troianus e l’Aegisthus. Testi comici > un solo titolo sicuro > gladiolus (=sciaboletta) > commedia incentrata sulla figura di un soldato fanfarone predecessore del Miles gloroisus di Plauto. Livio fu il primo autore di palliate. Odusia > trentasei frammenti. La traduzione di Livio, che ebbe fortuna anche nelle scuole, diede impulso a una maggiore diffusione a Roma di un testo fondamentale della cultura greca e contribuì al progresso della cultura letteraria in lingua latina. Idea di traduzione praticata da Livio = ricerca di un risultato finale confrontabile, per qualità artistiche, con il testo di partenza. Dovette creare una lingua adatta a recepire lo stile dell’epica greca, tentando di restituire risonanze ed effetti e cercando quindi l’adeguata solennità nelle formule del linguaggio religioso romano e nell’uso di forme grammaticali e vocaboli che fossero sentiti come arcaici. I frammenti mostrano la ricerca di una mediazione tra fedeltà all’originale e rispetto della mentalità romana > modifica il testo di partenza per rendere più accettabile ai romani un concetto o la presentazione di un personaggio. È probabile che Livio sia stato influenzato dalla contemporanea e raffinata sensibilità letteraria degli alessandrini, i poeti greci del VI-III secolo a.C. dediti a una poesia sofisticata ed erudita, attenta ai dettagli. 2.2 Gneo Nevio, la vita e le opere Nevio > origine campana, cittadino romano. Combatté contro i cartaginesi negli ultimi anni della prima guerra punica (264-241 a.C.) e pare sia stato incarcerato in seguito ad aspri scontri con l’aristocrazia. Solo letterato romano che partecipò autonomamente alle contese politiche e il solo privo di protettori autorevoli negli ambienti della nobiltà. Poema epico > bellum poenicum, la “Guerra cartaginese”. Il poema, che adotta il saturnio, verso della tradizione religiosa romana, doveva estendersi per 4.000 o 5.000 versi (ne restano una sessantina) e aveva come tema un argomento molto attuale, la prima guerra punica. Probabilmente era trattata in qualche modo anche la vicenda dell’arrivo nel Lazio di Enea, mitico progenitore dei romani, che collegava la fondazione di Roma alla caduta di Troia. Racconto della preistoria di Roma > Nevio doveva dare notevole spazio all’intervento divino, importantissimo elemento della tradizione epica omerica, la cui presenza assume adesso, nel nuovo poema nazionale romano, una missione storica, sanzionando attraverso grandiosi conflitti, la fondazione di Roma. Ascesa di Roma innestata in una sorta di prospettiva cosmica che prelude all’universalismo dell’Eneide virgiliana in cui l’impero è destinato dagli dei a portare la pace nel mondo. È probabile immaginare una giustapposizione tra i due blocchi di mito e storia in corpi distinti. Nevio deve essere stato un profondo conoscitore della tradizione letteraria greca e questo ha influenzato la sua poesia. Nella sezione mitica la sua inventiva supera la ricchezza lessicale e formulare della dizione omerica; vengono creati composti nuovi e nuove combinazioni sintattiche. Altre caratteristiche del Bellum Poenicum sono riportabili alla tradizione della lingua poetica e sacrale latina arcaica. Estrema importanza delle figure di suono, ripetizioni, allitterazioni, assonanze che formano la struttura portante del verso e producono uno stile solenne. Il Bellum Poenicum appare caratterizzato da forte sperimentalismo in cui le diverse componenti stilistiche trovano un equilibrio non sempre perfetto. A Nevio viene a lungo riconosciuto un chiaro prestigio come esempio di poesia civile. Produzione teatrale > Romulus e Clastidium > primi titoli a noi noti di preteste, tragedie di argomento romano. La prima > drammatica storia della fondazione di Roma. Seconda > celebrazione della vittoria di Casteggio (Clastidium), ottenuta nel 222 a.C. contro i galli dal console Marco Claudio Marcello, ha come tema una vicenda molto vicina nel tempo (elemento di grande novità). Tragedie mitologiche > legame con questioni sociali e politiche di grande attualità = Lycurgus (re trace che volle reprimere il culto di Dioniso), il cui argomento sembra connettersi alla diffusione in Roma del culto dionisiaco fino alla soppressione con il celebre senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.c. Produzione comica > titoli sia greci che latini > colax “l’adulatore”, Guminasticus “il maestro di ginnastica”, Dolus “l’inganno”, Corollaria “la commedia delle ghirlande”, un vivace frammento della Tarentilla la ragazza di Taranto”. Nevio si ispirava a modelli greci combinandone diversi in una stessa commedia > pratica della contaminazione. Il teatro di Nevio era inoltre più impegnato di quello del secolo successivo. La sua opera conteneva attacchi personali contro avversari politici e scandiva il suo amore per la libertà. Passione civile e anticonformismo = esilio a Utica, in Africa, dove morì nel 204 o 201. 3. PLAUTO 3.1 La vita e le opere Titus Maccius Plautus > Maccius non è un nome gentilizio ma di un personaggio della farsa italica, l’atellana. È verosimile che il nome originario fosse Titus Plautus e che il poeta vi abbia poi aggiunto anche Maccius, per dotarsi di un “nome di battaglia” che alludesse al mondo della scena comica e conservasse, nei “tre nomi canonici”, la traccia del suo mestiere di “commediante”. Sembra sicuro che il poeta sia nato a Sàrsina, un borgo umbro nell’area osca. Questo fa di Plauto il primo autore latino che non proviene da una zona di cultura greca. Era un cittadino libero. La data di morte sarebbe da porsi nel 184 a.c. mentre quella di nascita tra il 255 e il 250 a.c. > circa 130 commedie (per lo più apocrife) che già nel II secolo circolavano sotto il suo nome. I filologi antichi e in particolare Marco Terenzio Varrone si dedicarono a un lavoro di identificazione e sistemazione delle commedie originali. Le commedie furono dotate di didascalie, brevi introduzioni, e di sigle che distinguessero le battute dei diversi personaggi. Varrone nel De comoediis Plautinis indicò ventuno commedie che a suo parere erano le uniche sicuramente autentiche = Amphitruo, Asinaria, Aulularia, Captivi, Curculio, Casina, Cistellaria, Epidicus, Bacchides, Mostellaria, Menaechmi, Miles gloriosus, Mercator, Pseudolus, Poenulus, Persa, Rudens, Stichus, Trinummus, Truculentus, Vidularia. 3.2 Intrecci e personaggi Trame delle commedie per la maggior parte riprese da esempi greci, in particolare da Menandro, più importante tra i comici della cosiddetta Commedia Nuova di Atene, fiorita nel IV secolo a.c. Plauto scelse i suoi soggetti anche dalle commedie di altri autori: Difilo, Alessi, Demofilo. Tradurre rappresentava anche per lui un’operazione molto libera in cui l’avvicinarsi ai gusti e alla cultura del proprio pubblico era più importante di una rigida fedeltà al modello. Plauto mostra una duplice tendenza nel rapporto con i modelli greci: da un lato un notevole sforzo di assimilazione di stile e maniera di rappresentazione di storie e intrecci; dall’altro l’interesse alla demolizione di molti tratti propri della commedia greca quali coerenza drammatica, sviluppo e credibilità psicologica dei personaggi, serietà di analisi dei caratteri, senso delle sfumature e del limite. Si preoccupa poco di comunicare il titolo e la paternità della commedia greca di riferimento. Il teatro plautino non presuppone un pubblico così ellenizzato da gustare minutamente il riferimento a certi modelli. Originalità di Plauto > creatività linguistica e metrica (neologismi, giochi di parole, maestria ritmica, nomi dei personaggi spesso parlanti e diversi da quelli del modello greco. Il tratto più caratteristico della commedia plautina sono i “cantica” = parti in metri lirici, vivaci scene cantate e accompagnate dalla musica. Forse prima di Plauto Nevio introdusse dei cantica nel teatro comico e vi è forse l’esistenza di un teatro ellenistico in cui analoghe combinazioni di parlato e cantato fossero usuali. Ma i cantica plautini sono diversi da quelli della tragedia greca poiché non sono solo intermezzi meditativi ma momenti dell’azione che spesso coinvolgono più personaggi. Le singole scene invece possono essere molto vicine ai loro corrispondenti greci. Accadono le stesse cose, i personaggi che litigano sono gli stessi. Lo stesso accade per gli intrecci, che con poche variazioni sono simili tra loro. Le commedie riguardano solitamente un giovane che, innamorato di una fanciulla, non può unirsi a lei; gli si oppongono altri amanti o un padre. Un altro ostacolo fisso è il lenone, al quale appartiene la fanciulla e che rifiuta di cedere la ragazza senza ricevere denaro. Questi personaggi mancano di una forte caratterizzazione individuale e agiscono come il loro ruolo vuole. La differenza con Menandro è qui più evidente. Il commediografo greco sembra molto più interessato a rendere profondi e autentici i caratteri dei suoi personaggi. In Plauto manca totalmente la caratterizzazione introspettiva. Plauto si interessa a situazione socio-antropologiche molto elementari: rivalità che oppone padri e figli per il possesso della donna; insofferenza dei figli allo ius paterno; ecc. è la rappresentazione di bisogni primari a mettere in secondo piano la riflessione di tipo etico o aspetti come la ricerca di una perfetta e coerente illusione drammatica, la verosimiglianza psicologica. Anche gli intrecci sono dunque prevedibili e ripetibili. Tutto questo è dovuto al fatto che lo spettacolo, fatto di un mondo brutale e disgregato (figli mettono in discussione l’autorità dei padri, padri entrano in conflitto con i figli per il possesso delle donne) vuole rimanere distante dalla realtà in cui vivono gli spettatori. Alla stessa esigenza va ricondotta l’ambientazione greca di tutte le commedie. Lo spazio della commedia è dunque un’astrazione fantastica. Mediatore e risolutore di queste tensioni è spesso il servo, oppure la Fortuna. Producono rivolgimenti repentini e collaborano allo scioglimento positivo dell’azione. Alla figura del servo furbo il poeta risolve un ruolo ben più Titolo > si richiama agli Annales Maximi = pubbliche registrazioni di eventi che i pontefici massimi redigevano anno per anno. Ennio lascia molto spazio alle antiche leggende sulle origini di Roma ed è più selettivo di uno storico prediligendo gli eventi bellici; si occupa inoltre pochissimo di politica interna. 4.3 Ennio e le Muse: la poetica Opera contrassegnata da due grandi proemi, al libro 1 e al 7, dove prende direttamente la parola per rivelare le ragioni del suo fare poesia. Primo > aperto dalla tradizionale invocazione alle muse, racconta poi di un sogno in cui Omero gli rivelava di essersi reincarnato in lui. Secondo > più spazio alle divinità della poesia, le muse, sottolineando che queste erano proprio quelle dei grandi poeti greci, non le Camene di Andronico. Ennio è il primo a utilizzare l’esametro dattilico, verso della grande poesia greca. Accolse nel suo testo parole greche traslitterate e adottò caratteristiche forme sintattiche estranee all’uso latino. Inventò sul modello della lingua elevata greca, molti aggettivi composti. Stile ricco di figure di suono con funzione patetizzante e a volte con una certa esasperazione. 4.4 La poesia epica come celebrazione della virtus aristocratica: da Ennio a Virgilio Il discorso epico, dopo Ennio, viene interpretato in chiave celebrativa. > diverso Virgilio > recupera Omero con un testo che non rinuncia ad essere celebrazione del nuovo ordine augusteo ma è soprattutto una complessa riflessione, attraverso il mito, sull’uomo, sul destino, sulla guerra. Ennio > virtus individuale, eroica; condottieri ricordati con il loro nome che il poeta vuole rendere immortale grazie a virtù di guerra e di pace. Filone che avrà grande seguito > Varrone Atacino > Bellum Sequanicum; Cicerone > De consulatu suo. Fino a tutta l’età imperiale, la poesia epica storica continua a essere il miglior legame tra letteratura e propaganda, letteratura e potere. 4.5 La poesia drammatica Poesia tragica di Ennio > 400 versi superstiti, una ventina di titoli di tragedie coturnate > temi del ciclo troiano > Alexander, Hecuba, Iphigenia ecc. > modelli > tragici ateniesi del V secolo > Eschilo, Sofocle, Euripide. Stile > forte carica patetica, effetti di commozione > celebre canto di Andromaca dall’Andromacha aechmalotis. Due commedie > Caupuncula e il Pancratiastes. Ennio fu l’ultimo poeta latino a praticare insieme tragedia e commedia. 5. LA TRAGEDIA ARCAICA: PACUVIO E ACCIO 5.1 Popolarità e diffusione della tragedia arcaica romana Tragedia in età repubblicana > genere di grandissima popolarità. Elementi caratteristici del linguaggio teatrale di questi poeti > Effetto grandioso, terrore, paura, grande commozione. I loro modelli sono i grandi classici greci e il gusto patetico, le grandi tirate, l’addensarsi delle accorate invocazioni, sono tratti che risalgono al teatro ellenistico del IV-III secolo a.c. Tragedie attiche > ripresentate con alterazioni, spinte verso lo spettacolare e il commovente. I latini hanno forse anche aggiunto tratti romanzeschi, forse avventurosi che contribuivano a fare della tragedia un genere apprezzato e largamente popolare. Sono frequenti apparizioni, profezie, naufragi, sortilegi, incidenti portentosi. Gli argomenti di questo teatro sono spesso politici > tema greco del “tiranno” molto interessante soprattutto quando nella media età repubblicana compaiono sulle scene le prime personalità carismatiche > eroi condottieri, demagoghi, oratori. Atreus di Accio > massima che definisce emblematicamente il rapporto fra i sudditi e il tiranno, costretto dalla logica del potere ad imporre il terrore per governare senza il consenso (utilizzata poi da Caligola come motto). > Oderint, dum metuant. Pacuvio e Accio > figure di grande prestigio sociale, personaggi aristocratici. L’attività di chi scrive per teatro non è più considerata un’occupazione inferiore. Accio > grammatico, teorico della letteratura, presidente della società dei poeti. La tragedia si allontanerà dalla scena entrando nei circoli declamatori > autori tragici saranno i grandi protagonisti della politica > Giulio Cesare, Cesare Strabone, Quinto (fratello di Cicerone), Vario Rufo, Asinio Pollione, Augusto. 5.2 Pacuvio e Accio Pacuvio > autore di sole tragedie, figlio di una sorella di Ennio, nato a Brindisi intorno al 220 a.c. e vissuto a Roma. Morì intorno al 130. Molto criticato per il suo stile, soprattutto dal poeta satirico Lucilio. Lo si considerava contorto, ampolloso, spericolato nell’uso di parole nuove. Tragedie > Iliona (storia della figlia maggiore di Priamo, sposata a Polimestore, feroce re della Tracia, sacrifica il figlio Difilo, per salvare il fratello Polidoro); Niptra (“i lavacri” ritorno di Odisseo a Itaca e morte dell’eroe per mano del figlio Telegono); Dulorestes (Oreste sciavo”). Pacuvio era molto famoso per la visualità impressionante e spettacolare delle sue descrizioni. Accio > nato a Pesaro intorno al 170, muore fra il 90 e l’80 a.c. Pretese una statua gigantesca nella sede del collegium poetarum (associazione professionale dei poeti di cui dal 120 è l’uomo più importante). Scrisse sia coturnate che preteste. Tragedie di argomento greco (coturnate) > Epinausimache (la battaglia alle navi), Nuktegresia (l’allarme notturno), ispirate a episodi dell’Iliade; Philocteta (eroe Filottete abbandonato dai greci sull’isola di Lemno durante la navigazione verso Troia). Particolarmente sensibile alla tragicità del potere assoluto > Atreus (coturnata), Brutus (pretesta) con il sogno di Tarquinio il superbo, presagio della grandezza di Roma ma anche della fine del suo regno. Noto per la maestria con cui utilizza i mezzi stilistici della tradizione poetica (soprattutto giochi fonici come allitterazioni e assonanze). Interessi eruditi che lo accostano a Ennio e alla sua figura di poeta-filologo. Didascalia > misto di prosa e versi, scritti di linguistica e ortografia latina, 9 libri. Pragmatica > versi trocaici, questioni critico letterarie. Pererga > senari giambici, poema georgico sulle attività e le occupazioni della campagna ispirato forse alle Opere e i Giorni del poeta greco Esiodo. 6. CATONE E GLI INIZI DELLA STORIOGRAFIA A ROMA La prima storiografia romana viene definita annalistica in quanto fortemente influenzata dalla struttura e dalle informazioni degli Annales Pontificum. > gli annali, nonostante lo stile solenne e impersonale, non avevano un taglio oggettivo e imparziale > i pontefici cercavano di disegnare una versione filonobiliare della storia e della politica romana essendo essi stessi aristocratici. Adottavano la lingua greca > esigenze propagandistiche di Roma, che al tempo delle guerre contro Cartagine diventa una potenza mediterranea e ha bisogno di difendere la propria politica nel mondo ellenistico inizialmente favorevole ai cartaginesi. Fabio Pittore > primo a scrivere in greco, aristocratico che ricoprì ruoli importanti nella seconda guerra punica > minuziosa attenzione per riti, tradizioni religiose, istituzioni giuridiche o sociali. La prima vera opera storica romana si ha con Catone il Censore che sceglie polemicamente l’uso del latino. 6.1 Catone, la vita e le opere Nacque a Tusculum nel 234 a.c. Da una famiglia di proprietari terrieri, benestanti. Combatté nella guerra contro Annibale rivestendo alti gradi della gerarchia militare. Percorse tutte le tappe del cursus honorum, carriera politica fino ad essere eletto console per l’anno 195. Censore nel 184 > contro la degenerazione dei costumi e il dilagare di atteggiamenti individualistici e protagonistici incoraggiati dal pensiero greco. Accusatore in processi politici contro esponenti della fazione aristocratica ellenizzante, il partito degli Scipioni > inimicizie e processi in cui pronunciò le svariate orazioni. 155 > Atene inviò a Roma un’ambasceria di filosofi e Catone ne pretese e ottenne l’espulsione temendo che intaccassero i modelli etici tradizionali. Si batté poi per chiudere definitivamente i conti con Cartagine di cui però non riuscì a vedere la distruzione avvenuta nel 146, morendo nel 149. Opera storica > Origines > diffondere i principi della sua azione politica, prima opera storica in latino, nata nel disprezzo dell’annalistica romana in lingua greca. Catone essendo una figura tra le più eminenti, conferisce la storiografia latina un vigoroso impegno politico. Era privilegiata la storia contemporanea (tre libri su sette, quota notevole per un libro che pretendeva di rifarsi addietro, alle stesse origini di Roma). Largo spazio per le preoccupazioni di Catone per la dilagante corruzione dei costumi e per la rievocazione delle battaglie che lui stesso aveva condotto, in nome del primato dello stato contro il culto delle personalità. Libro I > fondazione della città di Roma Libri II-III > origini delle città italiche Libri IV-V > guerre puniche Libri VI-VII > fino alla pretura di Servio Sulpicio Galba (152). Concezione della storia di Roma > incentrata sulla lenta formazione dello stato e delle sue istituzioni; creazione della repubblica come opera collettiva del populus romanus stretto intorno alla classe dirigente senatoria. Catone non faceva nomi dei condottieri, né romani né stranieri. A volte portava alla luce azioni e nomi di personaggi oscurissimi che rappresentavano la virtù collettiva dello Stato. Per altri versi però le Origines mostrano apertura di orizzonti > interesse per la storia delle popolazioni italiche sottolineando il contributo da loro dato alla grandezza del dominio romano. Interesse per i popoli stranieri e per le loro usanze > osservazione diretta > era stato in Africa e nella penisola iberica durante il periodo di vita militare. 6.2 Le altre opere e le orazioni De agri cultura > testo in prosa latina più antico che sia giunto per intero. Trattato che consiste in precetti asciutti e schematici, senza spazio per ornamenti letterari o riflessioni filosofiche sulla vita e il destino degli agricoltori. Precettistica generale da applicarsi al comportamento del proprietario terriero > pater familias che deve dedicarsi all’agricoltura, attività più sicura e onesta, adatta a formare i buoni cittadini e i buoni soldati. La proprietà che Catone descrive fa parte di un’attività che è ormai un’impresa su vasta scala (grandi magazzini in cui tenere la merce in attesa del rialzo dei prezzi, comprare il meno possibile e vendere il più possibile). Tratti salienti dell’etica catoniana, gli stessi che la riflessione tardorepubblicana indicherà come costitutivi del mos maiorum > parsimonia, duritia, ideale di arte più riflessiva e attenta alle sfumature, più verosimile, fondare l’azione scenica sul dialogo. Contenuti della sua arte = caratteri e problemi di un’umanità “borghese”. 7.5 Temi e fortuna delle commedie Terenzio sacrifica rispetto alla tradizione della palliata, l’inventiva verbale e le trovate comiche per dare spazio all’approfondimento del carattere dei personaggi. Hecyra > cortigiana insolitamente generosa e disposta al sacrificio. Heautontimorumenos > uomo che si punisce e si emargina per le incomprensioni nate dal rapporto con il figlio. Adelphoe > rapporto padre-figlio attraverso il contrasto di due educatori, liberale Micione e rigorista Demea.  Rapporti umani sentiti con maggiore serietà problematica. Adesione al modello di Menandro e a ideali umanistici di origine greca > concetto chiave di humanitas influenzato da quello greco di philanthropia. Commedia di maggior successo > Eunuchus > quella in cui meno si affacciano questi concetti; più riuscito tentativo di Terenzio in direzione della comicità plautina > romanzesco travestimento, burlesco personaggio di soldato fanfarone. Di fronte all’impaziente pubblico del suo tempo, poche furono le sue commedie di successo > note le travagliate vicende dell’Hecyra. Volcacio Sedigito, poeta del II secolo noto per la sua graduatoria poetica pose Terenzio solo al sesto posto. Ebbe il favore dei critici più colti e sensibili. Cicerone > linguaggio scelto + urbanità + dolcezza del dire. Cesare > lo colloca tra i comici sommi definendolo innamorato della purezza del linguaggio, giudicandolo però un Menandro dimezzato per mancanza di forza nello stile. Moderazione dei sentimenti + valori etici apprezzati anche dai cristiani + purezza di lingua = modello di stile = precoce introduzione delle sue commedie nella scuola. 7.6 Tra Plauto e Terenzio: Cecilio Stazio Libero di origine straniera. Veniva da Milano ed era quindi un gallo insubre. Portato a Roma probabilmente dopo la battaglia di Clastidium del 222. Data di nascita tra 230 e 220, di morte 168. Fu amico intimo di Ennio. Ci restano una quarantina di titoli, tutte di commedie palliate, e frammenti per quasi trecento versi. I titoli hanno sia forme greche (ex hautou hestos > quello che sta in piedi da sé; gamos > le nozze; epicleros > l’ereditiera; Synaristosae > le donne a colazione; synephebi > i compagni di gioventù), sia latine (epistula, pugil) e forme doppie (obolostates/faenerator > lo strozzino). Posizione storica > intermediazione tra Plauto e Terenzio. Frammenti > atmosfera del teatro plautino > ricchezza di metri, vivace fantasia comica, gusto per il farsesco. È però più vincolato al modello della Commedia Nuova ateniese > titoli > riproduzioni molo fedeli di quelli originali greci. È assente la figura dello schiavo che nelle commedie plautine aveva molto spazio. Cecilio aveva inoltre una predilezione decisiva per Menandro > quasi metà dei titoli > derivazione menandrea. Interesse per Menandro + fedeltà ai modelli + riflessione sulla condizione umana = tratti che accostano Cecilio a Terenzio. 8. LUCILIO E LA SATIRA 8.1 La vita e le opere Nato forse una ventina d’anni prima del 148 a.c. La sua famiglia agiata proveniva dalla città campana di Suessa Aurunca. Lucilio è il primo letterato di alto ceto sociale a condurre vita da scrittore, appartata dalle cariche pubbliche e dalla vita politica. Morte > 102 a.c. >>> 30 libri di satire, 1300 frammenti, brevissimi. Edizione del primo secolo di Valerio Catone > criterio metrico: libri I-XXI > esametri dattilici libri XXII-XXV > forse i distici elegiaci libri XXVI-XXX > metri giambici e trocaici, esametri. 130 a.c. circa > Lucilio pubblicò la sua prima raccolta in cinque libri (quelli che noi conosciamo come XXVI-XXX). Lucilio si orientò progressivamente verso l’esametro > segno di provocazione ironica > al verso tipico dell’epica eroica e celebrativa venivano adattate una materia quotidiana e una dizione colloquiale, popolareggiante. > metro che sarà usato anche da Orazio. Libri > sia composizioni uniche che brevi unità. Il titolo Saturae non è sicuro risalga a Lucilio che definisce i suoi frammenti poemata o ludus ac sermones (chiacchiere scherzose). Si è supposto che il titolo primitivo fosse schèdia (improvvisazioni). Orazio usa il termine satura per designare il genere di poesia inaugurato da Lucilio. 8.2 Lucilio e la satira Ambiente culturale dell’opera di Lucilio > personaggi del partito scipionico, protettori del poeta satirico. Rispetto a Terenzio, Lucilio può permettersi scelte più ardite > indipendenza di giudizio, verve polemica, interesse curioso per la vita contemporanea e per la politica > si adattano a Lucilio, colto e di alto rango, che non vive della propria scrittura e non ha paura di avere nemici fra i potenti. Origini del genere che i romani chiamano satura > incerte. Satura lanx > nella Roma arcaica, piatto misto di primizie offerte agli dèi; una specialità gastronomica (insalata mista) e un tipo di procedimento giuridico detto lex per saturam (riunione di stralci di vari argomenti in un singolo provvedimento legislativo). > mescolanza e varietà. Il nome dunque non è greco. Quintiliano > satura tota nostra est. L’impulso originario è quindi romano > ricerca di un genere letterario disponibile a esprimere la voce personale del poeta raccontando in versi momenti ed esperienze della sua vita. Anche nei frammenti delle satire enniane > varietà, espressione personale del poeta, impulso a realismo. Ennio scrisse quattro o sei libri di satire in metri giambici o trocaici. Non sappiamo se la sua satira contenesse già spunti di polemica e veri e propri attacchi a personaggi contemporanei. Grande importanza storica di Lucilio = essersi concentrato esclusivamente sul genere satirico. Sviluppo della satira nell’età di Lucilio = sviluppo di un nuovo pubblico, interessato alla poesia scritta (lettura personale) e ad una letteratura più aderente alla realtà contemporanea. I libro > vasta composizione nota come Concilium deorum > parodia dei concili divini, scena tipica dell’epica, dove Lucilio prendeva di mira un certo Lentulo Lupo, personaggio inviso agli Scipioni > gli dèi lo facevano morire per indigestione. La parodia, costruita a spese di altri testi letterari molto noti, comportava anche implicazioni critico-letterarie. > dèi che si comportano secondo il protocollo e le procedure del senato romano > scena letteraria del Consilium Deorum mostrata per quello che era = motivo comune e convenzionale della poesia epica, privo di credibilità. > poetica realista di Lucilio contro la concezione della letteratura come vuota convenzionalità e ricorso a stereotipi. III libro > narrazione di un viaggio in Sicilia > tema del viaggio che tornerà più volte nella storia del genere (Orazio, Satyricon di Petronio). In più di una satira > precetti culinari (ripresi da Orazio e già presenti in Ennio negli Hedyphagetica > poemetto sul mangiar bene.). XXX > descrizione di un sordido banchetto. XX > banchetto organizzato da un parvenu, tale Granio, antenato letterario dell’oraziano Nasidieno e del Trimalchione di Petronio. XVI > dedicato alla donna amata > antesignano della poesia personale d’amore sempre più centrale in Catullo e nell’elegia augustea. Vi sono poi disquisizioni su problemi letterari, giudizi su questioni di retorica e poetica, analisi critico-letterarie e grammaticali. > ricorda Accio di cui però Lucilio deride il gusto enfatico e declamatorio. Critica dello stile solenne, specialmente della tragedia romana > altra convergenza tra Lucilio e Callimaco e legame di Lucilio con la poesia neoterica nell’età di Cesare. Forte spirito moralistico > critica con vivo umorismo i più diversi aspetti della vita quotidiana nella loro concretezza fisica e linguistica, in particolare contro gli eccessi del luxus e le manie grecizzanti. Emerge dai frammenti il rifiuto di un unico livello di stile e l’elaborazione di un amalgama > linguaggio elevato dell’epica rivissuto come parodia + linguaggi specifici finora esclusi dalla poesia latina (parole tecniche di retorica, scienze, gastronomia, sesso, medicina, diritto e politica) + forme di linguaggio di tutti i giorni attinto ai diversi strati sociali, ricchissimo di grecismi. > vicino al realismo moderno. Tendenza a simulare l’improvvisazione dei propri versi > disarmonia dello stile > scelta meditata volta a un programma espressivo che fonde vita e arte. Orazio criticherà Lucilio per la vena torrenziale e la scarsa finitura formale ma lo consacrerà quale inventor della forma satirica cogliendo anche il carattere intimo e autobiografico della sua poesia. 9. POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA 9.1 Oratorio e politica Anni dal 133 al 79 a.c., quando Silla rinuncia al potere > grandi violenze e tensioni.> movimento dei Gracchi che tenta di imporre al senato una redistribuzione equa delle terre pubbliche, represso con le armi; guerra di Roma contro gli italici; guerra civile tra Mario e Silla. > crisi della repubblica fino all’ascesa di Augusto al principato. Acquistano importanza l’oratoria, le scuole di retorica, la trattatistica > l’eloquenza è un’arma potente. 92 a.c > due censori in carica, Licinio Crasso e Domizio Enobarbo chiusero la scuola di Plozio Gallo, un cliente di Mario, perché “pericolosa” per la parte aristocratica, date le sue tendenze popolari > annientarono così un centro dal quale in futuro sarebbero potuti uscire capi popolari ben versati nell’arte della parola. Insegnamento della scuola di Plozio Gallo > Rhetorica ad Herennium > manuale composto negli anni Ottanta, autore ignoto. > tendenze graccane e mariane; materiali tratti dalla cultura e dall’oratoria romane. Cicerone nel Brutus delineerà una lucida storia dell’eloquenza romana. Uomini del circolo scipionico > esimii per perizia del dire > Cicerone distingue tra lo stile grave e solenne di Scipione Emiliano e quello più pacato di Lelio. Veemente e ispirata era l’oratoria dei gracchi (nonostante C. fosse contro il progetto riformista che Tiberio e Gaio Gracco difendevano.). 9.2 Polemiche sulla lingua e sullo stile e studi filologici figura sociale. I grandi poeti aspirano all’autonomia sia nei confronti della produzione greca che emulano liberamente, che nei confronti dei centri di potere. Cercano riferimento solo all’interno di circoli e consorterie intellettuali, dove si elaborano le poetiche e le contrapposizioni di “scuole”. Catullo e Properzio non hanno veri patroni, si tengono ai margini della vita politica romana. La dimensione più vera della poesia cesariana è il circolo intellettuale, cenacolo nito da affinità di gusto, di poetica, di ideologia. 1. CICERONE 1.1. La vita e l’attività oratoria Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.c. ad Arpino da agiata famiglia equestre; compie studi di retorica e filosofia a Roma e frequenta il Foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso. In questi anni conosce Tito Pomponio Attico, suo fedele confidente. 89 > servizio militare nella guerra contro gli alleati italici in rivolta (la guerra sociale). 81 > debutta nel Foro come avvocato. 80 > difende Sesto Roscio, accusato di parricidio da potenti figure dell’entourage del dittatore Lucio Silla. Dopo il successo dell’orazione si allontana da Roma per viaggiare, tra il 79 e il 77, in Grecia e Asia minore perfezionandosi presso le prestigiose scuole di retorica. Rientrato a Roma inizia la carriera politica come questore in Sicilia. I siciliani lo chiederanno poi come accusatore nella loro causa contro Verre, corrotto protettore contro il quale cesare scrisse le verrine (fonte sui metodi dello sfruttamento romano delle provincie). > Verre fuggì in esilio volontario prima della sentenza. > stile maturo, periodare chiaro ma complesso, bravura dell’autore nella descrizione sarcastica e nel ritratto satirico degli avversari. Cicerone percorre rapidamente gli alti gradi del cursus honorum > entrato in senato, si avvicina ai populares, partito contrario all’oligarchia aristocratica > orazione Pro lege Manila o De imperio Gnaei Pompei (66) > difende la proposta del tributo Manilio di affidare a Pompeo poteri eccezionali per combattere Mitriade, re ribelle del Ponto. La rivolta di quella regione minacciava gli interessi dei “cavalieri”, ceto finanziario e imprenditoriale, che aveva in appalto la riscossione delle imposte nelle provincie e di cui avevano bisogno per il loro avvenire politico sia Pompeo sia Cicerone (che però vedendo nella concordia ordinum, tra ceto senatorio e equestre, la salvezza della repubblica, rimase contrario alle proposte di redistribuzione delle terre e sgravio dei debiti fatte dai populares). Cicerone, moderato, homo novus, venne sostenuto anche dagli aristocratici che lo proposero al consolato nel 63 contro la candidatura di Lucio Sergio Catilina, appoggiato da popolari e italici. > sconfitta di Catilina = tumulti e tentativi di eversione > congiura stroncata da Cicerone > quattro orazioni Catilinarie. Declino della fortuna politica di Cicerone > “primo triumvirato”, patto privato stretto nel 60 da Cesare, Pompeo e Crasso per spartirsi il potere a Roma. Pro Sestio > orazione in difesa di un tribuno accusato di violenza > riformula la teoria sulla concordia dei ceti abbienti > concetto del consensum omnium bonorum= concordia attiva di tutte le persone agiate e possidenti (i boni) amanti dell’armonia politica e sociale, disposte a collaborare per riportare l’ordine.si avvicina ai triumviri sperando che un personaggio forte potesse far cessare le lotte interne. Pro Caelio > attacca il tribuno popolare Clodio, responsabile del suo esilio finito nel 57. Opere di filosofia politica > De re publica e De legibus 52 > uccisione di Clodio > Cicerone difende l’amico Mione dall’accusa di omicidio, costretto comunque all’esilio. > orazione Pro Milone > rovescia l’accusa elogiando il tirannicidio. 49 > guerra civile > Cicerone sostiene Pompeo, dopo la cui sconfitta viene perdonato da Cesare e difende altri pompeiani. > orazione cesariane = Pro Marcello, Pro lege Deiotaro, Pro Ligario. Pro Marcello > suggerisce al dittatore riforme e comportamenti istituzionali tesi a favorire la concordia e a rispettare le prerogative del senato. 46-45 > opere filosofiche. Torna nella lotta dopo l’assassinio di Cesare. Combatte Antonio, luogotenente di Cesare che cerca di raccoglierne l’eredità, e tenta di portare Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, dalla parte del senato. Filippiche > violente orazioni contro Antonio, forse 18, ne restano 14. Titolo che allude a quelle di Demostene contro Filippo di Macedonia. Alcuni autori antichi le conoscevano come Antonianae. Fine di Cicerone > accordo siglato da Antonio con Ottaviano e Lepido, secondo triumvirato. Cicerone, raggiunto a Formia dai sicari di Antonio, muore nel 43 a.c. 1.2 Le opere retoriche: la codificazione dello stile e dell’eloquenza romana Opere retoriche di Cicerone > quasi tutte dal 55 dopo il ritorno dall’esilio. Nascono dal bisogno di una risposta politica e culturale alla crisi di Roma. Problema della necessità o meno per l’oratore di affiancare alle conoscenze tecniche della retorica quelle di una vasta cultura nel campo del diritto, della filosofia e della storia. In gioventù > trattatello di retorica > De inventione > sosteneva l’opportunità di una sintesi tra eloquenza e sapientia (cultura filosofica) senza la quale ci si trova di fronte a demagoghi e agitatori popolari fonte di rovina per lo Stato. Riprende queste riflessioni giovaili nel De oratore > 55 a.c., periodo di ritiro dalla scena politica, Roma sconvolta dalle bande di Clodio e di Milone. Dialogo in cui prendono parte i più insigni oratori dell’epoca > libro I > Lucio Licinio Crasso (portavoce di Cicerone) sostiene la necessità di una vasta formazione culturale dell’oratore al contrario di Marco Aurelio favorevole a un oratore istintivo e autodidatta, formato nella pratica del Foro. Libro II > Antonio espone i problemi relativi all’inventio, alla dispositio e alla memoria. Libro III > Crasso discute dell’elocutio e prununtiatio, quindi dell’actio. Dialogo ambientato nel 91, anno della morte di Crasso, poco precedente la guerra sociale e i conflitti tra Mario e Silla. Ambiente sereno in contrapposizione alla crisi dello Stato > villa tuscolana di crasso > atmosfera degli ultimi giorni di pace dell’antica repubblica. Modello ispiratore è il dialogo platonico; opera basata sulla letteratura specialistica greca che si nutre dell’esperienza forense romana. Tesi di Crasso > all’oratore si richiede anche una vasta formazione culturale, soprattutto filosofica. Insiste affinché probitas e prudentia siano radicate nell’animo dell’oratore. L’arte della parola sarebbe se no un’arma nelle mani di forsennati. Formazione dell’oratore = formazione dell’uomo politico della classe dirigente > vasta cultura generale, non specialistica, capace di padroneggiare l’arte della parola e persuadere i propri ascoltatori. 46 > Orator > trattato più breve con una sezione sui caratteri della prosa ritmica; tre scopi cui deve tendere l’oratore ideale = probare (argomentare validamente la tesi), delectare, flectere (muovere le emozioni attraverso il pathos). Tre registi stilistici che l’oratore deve alternare = umile, medio, elevato o “patetico”. La rivendicazione della capacità di muovere gli affetti nasceva dalla polemica contro l’atticismo, i cui sostenitori rimproveravano a Cicerone forme di asianesimo (ridondanze, frequente uso di figure, accentuazione dell’elemento ritmico, facezie). Cicerone prese posizione nel Brutus > dialogo, 46 a.c., dedicato a Marco Bruto (come l’Orator), rappresentante delle tendenze atticistiche. Traccia una storia dell’eloquenza greca e romana che culmina nella rievocazione delle tappe della propria carriera oratoria. Cicerone afferma l’opportunità di alternare diversi registri a seconda delle esigenze. 1.3 Un progetto di Stato Modello platonico > De re publica (54-51 a.c.) > miglior forma di Stato = costituzione romana del tempo degli Scipioni. Dialogo che si svolge nel 129 nella villa di Scipione Emiliano. La parte meglio conservata è quella finale, il Somnium Scipionis. Libro I > basandosi sulla dottrina delle tre forme di governo (monarchia, aristocrazia, democrazia) e della loro degenerazione in tirannide, oligarchia e oclocrazia (governo della feccia del popolo) riprende una tesi dello storico greco Polibio e mostra come la superiorità dello Stato romano consistesse nella capacità di contemperare le tre forme positive > monarchico = consolato; aristocratico = senato; democratico = comizi. Libro II > svolgimento della costituzione romana. Libro III > iustitia, confutava la critica all’imperialismo romano del filosofo Carneade che accusa i romani di usare il concetto di guerra giusta, fatta in soccorso dei propri alleati, come pretesto per estendere il proprio dominio. Libro IV > educazione dei cittadini e principi che ne devono regolare i rapporti. Libri IV – V > figura del rector et gubernator rei publicae, o princeps. Libro VI > Scipione Emiliano rievoca un sogno in cui gli era apparso l’avo, Scipione Africano, che gli aveva mostrato la beatitudine che attende nell’aldilà le anime dei grandi uomini di Stato. Scipione > teoria del regime “misto” > rapporto tra le tre forme di governo non paritetico> elemento democratico visto solo come una valvola di sicurezza per lo sfogo delle passioni irrazionali del popolo. Esaltazione della repubblica aristocratica di età scipionica. Princeps > il singolare si riferisce al “tipo” dell’uomo politico eminente, non alla sua unicità. Cicerone, rifacendosi al ruolo ricoperto da Scipione Emiliano nella repubblica romana, sembra pensare a un’élite di personaggi eminenti che si ponga alla guida del senato e dei boni > consenso politico intoro a leader prestigiosi. L’autorità del princeps sarebbe a sostegno di quella del senato con lo scopo di salvare la res publica. > dominatore-asceta, rappresentante in terra della volontà divina, dedito al servizio dello Stato grazie alla sua despicientia verso le passioni umane. Completa il dialogo sullo stato con il De legibus > iniziato nel 52, non pubblicato in vita > conservati i primi tre libri e frammenti del IV e V. Azione nel presente; interlocutori = Cicerone, Quinto, Attico. Libro I > tesi stoica dell’origine divina della legge basata sulla ragione innata di tutti gli uomini. Libro II > leggi che dovrebbero essere in vigore nel migliore degli stati > tradizione legislativa romana basata sul diritto pontificio e sacrale. Libro III > testo delle leggi riguardanti i magistrati e le loro competenze. 1.4 Una morale per la società romana 46 > Cicerone inizia a scrivere opere filosofiche, costretto a ritirarsi dalla vita politica > operetta I paradossi degli stoici > Forma dialogica di memoria platonico-aristotelica. De natura deorum, De finibus bonorum et malorum, le Tusculanae disputationes > temi = grandi domande che si poneva anche la filosofia ellenistica = esistenza e ruolo degli dèi nel mondo, dolore, timore della morte, felicità, virtù. Cicerone riassume posizioni e schemi teoretici, controbatte argomenti, traduce testi e problemi filosofici difficili, ripensando il corpus di metodi e dottrine delle scuole ellenistiche. Cerca sempre la conseguenza pratica, la ricaduta in termini di azione e partecipazione politica. Impegno moralistico che non dimentica i doveri del cittadino al servizio dello Stato > offrire un punto di riferimento alla classe dirigente romana per ristabilire l’egemonia sulla società. > Cato maior de senectute e Laelius de amicitia > 1 > figura idealizzata e addolcita di Catone il censore in cui si vedono armonizzati il gusto per l’otium e la tenacia dell’impegno politico; 2 > ricerca i fondamenti Pensiero storico e politico moderno > Cicerone ha contribuito ad alimentare il moderatismo politico > l’odio per la tirannia unito al disgusto per il volgo, il culto della libertà, rifiuto dell’eguaglianza e disprezzo per la democrazia. Ricerca di un equilibrio tra impegno politico e libertà interiore. Ultimi due secoli > svalutazione della cultura latina rispetto a quella greca, attuata dal Romanticismo soprattutto tedesco; l’interpretazione storica di Theodor Mommsen > Cicerone come campione di un’eloquenza ricca di parole ma povera di pensiero; politicante opportunista. Nuove tendenze più recenti > primato quale forgiatore della prosa latina e mediatore nella trasmissione del pensiero greco. 2. FILOLOGIA, BIOGRAFIA E ANTIQUARIA 2.1 Tito Pomponio Attico e Cornelio Nepote Tarda repubblica > ricerca antiquaria disciplina di grande interesse. Attenzione a riti, costumi, istituzioni del passato mossa anche da rimpianto per i valori del mos maiorum messi in discussione. Più importante filosofo antiquario romano è Varrone, importanti anche Attico e Nepote. Tito Pomponio Attico > ricco cavaliere romano, allontanatosi da Roma per paura delle proscrizioni ai tempi di Silla, visse a lungo ad Atene. Roma > casa sul Quirinale > luogo di incontro dei principali rappresentanti della ricerca antiquaria del tempo > Cicerone, Varrone, Nepote. Aderisce alla filosofia epicurea, lontano dalla partecipazione politica, raccoglitore di memorabilia, imprese e gesta memorabili della gente romana. Scrive anche un Liber annalis > storia di Roma fino al 49. Maggior merito > organizzatore di cultura. Cornelio Nepote > nato nella Gallia Cisalpina intorno al 100, morto dopo il 27. Autore del De viris illustribus (Vitae), raccolta di biografie di personaggi famosi. > 16 libri divisi a seconda delle professioni; ci rimane quello sui comandanti militari stranieri. Intendeva la biografia come veicolo di un confronto sistematico tra la civiltà greca e quella romana > ogni categoria di libri doveva occupare una copia di libri, uno per gli stranieri, soprattutto greci, uno per i romani. > forse per suggerire la superiorità dei romani in ogni settore. Il suo progetto è sintomatico di un’epoca in cui i romani iniziano a interrogarsi sui caratteri originali della loro civiltà facendosi più disponibili ad apprezzare i valori di civiltà diverse. Nepote, prefazione > nozione autorale di relativismo culturale = i concetti di moralmente onorevole e di moralmente turpe non sono gli stessi presso i greci e i romani > questo però non implica profonde analisi di costume ei personaggi continuano a essere giudicati sul metro di valori assoluti, categorie moralistiche identiche per la Grecia e per Roma: pietas, abstinentia, diligentia, prudentia. 2.2 Marco Terenzio Varrone Nato a Rieti nel 116 a.c., allievo del filologo Elio Stilone e del filosofo Antioco di Ascalona. Questore, tribuno della plebe, pretore. Guerra civile > legato di Pompeo in Spagna. cesare, preso il potere. Lo perdonò e gli affidò l’incarico di organizzare una grande biblioteca a Roma. 43 > proscritto da Antonio perché simpatizzante dei cesaricidi, ma si salvò. Morì nel 27. ANTIQUARIA E FILOLOGIA Interessi filologi e antiquari fin dalla giovinezza. De antiquate litterarum > problemi di storia dell’alfabeto latino, pubblicato prima della morte di Accio, cui è dedicato. Opere più impegnative > Antiquitates, De lingua Latina, opere filologiche Antiquitates > divisa in due parti, quasi tutto il patrimonio mitico, rituale, istituzionale, della civiltà latina. Ci è nota tramite citazioni dei cristiani che fecero di Varrone il rappresentante e difensore della civiltà pagana contro cui essi si battevano. Varrone, nelle Res divinae, distingueva tre modi di concepire la divinità > una teologia “favolosa” (racconti mitici e loro rielaborazioni poetiche), una “naturale” (teorie dei filosofi sulla divinità), una “civile” (divinità nel rispetto di un’esigenza politica e quindi utile allo Stato). Per Varrone la religione è una creazione degli uomini; il popolo deve rimanere fedele alla teologia favolosa, quella naturale deve restare possesso degli intellettuali e della classe dirigente. Concezione varroniana della storia romana > Roma grande potenza per aver saputo amalgamare e utilizzare al meglio apporti diversi. Varrone è il primo grande studioso delle civiltà italiche > non è attirato da gesta, battaglie e lotte politiche; il suo punto di vista è quello delle istituzioni, delle tradizioni, delle mentalità > storia collettiva del popolo romano sentito come un organismo unitario in evoluzione. Studi di filologia > si occupò del teatro arcaico, in particolare di Plauto > Questiones Plautinae (commento linguistico-grammaticale delle commedie) e De comoediis Plautinis (problema delle tante commedie attribuite a Plauto). Elio Stilone ne aveva ridotto il numero a 25, Varrone divise in tre gruppi le commedie tramandate da Plauto: le sicuramente spurie (90), le incerte (19), le sicuramente plautine (21). Si affidava alla sua sensibilità per la lingua e lo stile di Plauto. Altre opere dedicate al teatro arcaico > De scaenicis originibus, De actionibus scaenicis, De personis, De descriptionibus. Si occupò anche di storia della lingua latina, partendo da problemi e metodologie della cultura ellenistica > De lingua latina > trattazione sistematica ed esaustiva > problemi di origine della lingua e etimologia, morfologia, sintassi, stilistica. Dava forte rilievo all’assimilazione di elementi stranieri nella formazione della lingua latina. Libri che ci restano > V-X > tre dedicati all’etimologia e gli altri tre alla questione dell’analogia e dell’anomalia. Etimologie spesso bizzarre e fantasiose, fondandosi sull’idea che i segni linguistici non siano arbitrari ma motivati. Nella contesa tra anomalisti e analogisti, Varrone tentò un’equilibrata conciliazione > complementarità fra analogia e anomalia. Ideale linguistico = oculata apertura alle innovazioni, senza grette chiusure puristiche. LE “SATURAE MENIPPEAE” Saturae Mennipeae > quasi del tutto perdute, probabilmente modello importante per opere come l’Apokolokyntosis di Seneca e il Satyricon di Petronio. Menippèe > Varrone si ispirava al filosofo greco Menippo di Gadara (III secolo a.c.) > aveva composto satire di ispirazione cinicheggiante, rompendo con le tradizioni aristocratiche greche. Satire di Varrone > travestimento fantastico-allegorico dei diversi contenuti. Erano in prosimetro e i temi erano quelli della satira politica e di costume. I titoli sono in greco > Marcipor, Marcopolis (descrizione di una città utopistica), Sexagesis (avventura di un giovane addormentato per sessant’anni, trovava al risveglio una Roma cambiata in peggio), il Trikaranos (mostro a tre teste) era una aggressione al primo triumvirato. IL “DE RE RUSTICA” Rerum rusticarum libri o De re rustica > 37, tre libri in forma dialogica, conservati. Libro I > dedicato alla moglie Fundania che ha comprato un podere chiedendo al marito di guidarla nella conduzione. Agricoltura in generale. Libro II > dedicato a un allevatore di bestiame, Turranio Nigro; allevamento. Libro III > dedicato a un vicino di campagna, Quintinio Pinnio; allevamento di animali da cortile, api, pesci. Concezione varroniana della produzione agricola > accentua tendenze presenti in Catone. Presuppone il processo di concentrazione delle terre, villae e latifondi di più vaste dimensioni sfruttati attraverso l’uso intensivo della mano d’opera servile. Villa varroniana > spazio per produzioni lussuose ed eleganti, uccelliere e piscine per le richieste del mercato cittadino, il resto produzione e allevamento su vasta scala. Nella villa di Varrone si incontrano utilità e piacere, utilitas e voluptas dell’agricoltura > ceto proprietario aperto alla dinamica economica e commerciale e ai nuovi bisogni che questa induce. Proposito dell’opera > dare una soddisfacente immagine di sé al signorotto di campagna > vedere realizzato un dignitoso e comodo modello di vita piuttosto che imparare le tecniche. Visione quasi estetizzante della vita agricola. Discorso che spesso si apre a digressioni, stile artefatto. LA FORTUNA DI VARRONE Le opere di Varrone incontrarono una fortuna vasta e continua. Cicerone era entusiasta delle Antiquitates, Virgilio deve in parte al De re rustica l’idea e la disposizione della materia delle Georgiche; nell’Eneide è Varrone la fonte principale sulle antiche popolazioni italiche. Eruditi successivi > Verrio Flacco, Plinio il Vecchio, Svetonio > tre grandi enciclopedisti dell’età imperiale. Allo stesso modo debitori di Varrone sono anche la filologia, la linguistica. Il commento dei testi classici delle età successive. Trionfo del cristianesimo > nuovo lustro alla fama di Varrone > pur diventando bersaglio polemico di Girolamo e Agostino doveva essere conosciuto a fondo perché fosse ben confutato. La sua fama cresce su due filoni paralleli > da un lato i padri della chiesa e dall’altro gli eruditi lo citano come una somma autorità. Petrarca definirà Varrone “il terzo gran lume romano” dopo Cicerone (sommo oratore) e Virgilio (sommo poeta) > Varrone > sommo erudito, massimo conoscitore ed espositore della cultura romana. 3. CESARE 3.1 La vita e le opere Gaio Giulio Cesare nacque a Roma il 13 luglio del 100 a.c. da una famiglia di antichissima nobiltà. Imparentato con Mario, da giovane venne perseguitato dai sillani e costretto ad abbandonare la città per qualche tempo. Tornò dopo la morte di Silla > carriera politica > questore, edile, pontefice massimo, pretore. 60 > accordo segreto del primo triumvirato con Pompeo e Crasso. 59 > consolato. 58 > proconsolato in illiria e nella Gallia romanizzata, la cosiddetta Narbonense. Intraprese l’opera di sottomissione di tutta la Gallia con una conquista durata sette anni che gli procurò un vastissimo potere personale. Compose sette libri di Commentarii de bello Gallico > eventi della guerra + osservazioni di carattere etnografico e geografico sui popoli e le regioni attraversate. Ottavo libro aggiunto da un luogotenente, Aulo Irzio. Quando i suoi avversari a Roma cercarono di impedirgli di passare dal proconsolato in Gallia a un secondo consolato, Cesare varcò in armi il fiume Rubicone, confine con l’Italia > inizio della guerra civile tra Cesare e il senato romano > 10 gennaio 49. L’esercito senatorio iene sconfitto a Farsalo in Tessaglia nell’agosto del 48; Cesare insegue Pompeo in Egitto; soffoca poi la resistenza in Africa e Spagna. Anche per questa guerra compone dei Commentarii in tre libri. Altri tre (Bellum Alexandrinum, Bellum Hispaniense, Bellum 3.8 La fortuna di Cesare scrittore Cicerone espresse sui Commentarii un apprezzamento, nonostante la differenza di stile dei due. In seguito i giudizi critici sulla sua prosa storica saranno più severi, e già Quintiliano, pur lodando l’oratore, non mostrava interesse per lo scrittore di storia. Montaigne > grande ammirazione per la forma del discorso cesariano > segno di una nuova sensibilità stilistica. Manzoni > giudizio di sommo elogio sulla nitidezza del racconto e la perfezione del linguaggio. Fortuna della prosa cesariana in ambito scolastico > eleganza, essenzialità della costruzione discorsiva, semplicità del periodare ordinato e perspicuo. 4. SALLUSTIO 4.1 La vita e le opere Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiternum in Sabina nell’86 a.c., da famiglia facoltosa. Studiò a Roma orientandosi verso la politica > prima legato ai populares, fu tribuno della plebe nel 52 e dopo aver condotto una campagna contro Milone e Cicerone, gli aristocratici ne provocarono l’espulsione dal senato con l’accusa di indegnità morale. La vittoria di Cesare per il quale Sallustio parteggiò nella guerra civile, ridiede slancio alla sua carriera > pretore e poi governatore della provincia detta Africa nova (regno di Numidia tolto al re Giuba che aveva appoggiatoi pompeiani). Accusato di malversazioni e corruzione si ritirò a vita privata, dietro consiglio di Cesare. Si dedica allora alla storiografia > due monografie storiche > Bellum Catilinae (o De Catilinae coniuratione), Bellum Iugurthinum, composte e pubblicate tra 43 e 40. Frammenti di un’opera di più vasto respiro > anni tra il 78 e il 76, dalla morte di Silla alla fine della guerra contro i pirati > Historiae > iniziata nel 39, incompiuta al libro V, per la morte dell’autore nel 35 o 34. Composte come esercizio retorico in età posteriore > Epistulae ad Caesarem senem de re publica e Invectiva in Cieronem. 4.2 La monografia storica come genere letterario Entrambe le monografie > lunghi proemi > ragioni del ritiro dalla vita politica e della scelta di dedicarsi alla storiografia con la crisi che ha corrotto le istituzioni e la società. Attribuisce alla storiografia una precisa funzione nella formazione dell’uomo di Stato considerandola in stretto rapporto con la prassi politica. La sua storiografia tende a configurarsi come indagine sulla crisi dello Stato romano > scelta di un impianto monografico per le sue prime opere storiche > delimitare e mettere a fuoco un singolo problema storico. Bellum Catilinae > punto più acuto della crisi, delinearsi di un pericolo sovversivo eccezionale; Bellum Iugurthinum > incapacità della nobilitas corrotta di difendere lo Stato; prima resistenza vittoriosa dei populares, 4.3 Il Bellum Catilinae e il legalitarismo di Sallustio Ritratto di Catilina > personaggio contraddittorio, di animo energico ma depravato. Aristocratico di antica famiglia, favorito dal regime sillano, poi rovinato dai debiti. Sallustio situa la congiura in uno spazio moralistico. Catilina organizza la congiura ma viene tradito, scoperto, condannato e costretto a fuggire. In senato intanto si dibatte sulla sorte dei congiurati già stati arrestati > spiccano messi a confronto i discorsi di Cesare e di Catone che chiedono rispettivamente una condanna mite e una condanna a morte. Catilina, i cui complici vengono giustiziati, cerca di rifugiarsi in Gallia ma viene intercettato dall’esercito e costretto alla battaglia a Pistoia; morirà combattendo. Discorsi di Catilina nella monografia sallustiana > motivi della crisi dello Stato > pochi potenti che monopolizzano cariche politiche e ricchezze; una massa senza potere, coperta di debiti. Catilina > possibilità di un blocco sociale avverso al regime senatorio. Componente moralistica percepibile nel ritratto di Catilina e nella ricerca delle cause del fenomeno catilinario = degenerazione morale della classe dirigente. Analisi della decadenza repubblicana, delle lotte, della corruzione. Excursus iniziale > “archeologia” (modello di Sallustio è Tucidide, storico della guerra del Peloponneso, aveva cercato in un remoto passato le premesse dell’ostilità tra Atene e Sparta); > causa del degrado = fine del metus hostilis, il timore verso i nemici esterni, cessato con la distruzione di Cartagine che tenendo coalizzate le forze dello Stato aveva garantito la conservazione degli antichi costumi. Secondo excursus al centro dell’opera > degenerazione della vita politica romana nel periodo che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile fra Cesare e Pompeo. Condanna entrambe le parti in lotta, i populares (perché demagoghi che con elargizioni e promesse alla plebe ne aizzano l’emotività per farne il punto di forza delle proprie ambizioni) e i fautori del senato (aristocratici che si fanno velo della dignità del senato solo per consolidare e ampliare i propri privilegi). Sallustio vede un legame organico tra la faziosità dei partiti contrapposti e il pericolo di sovversione sociale > abolire la conflittualità diffusa serve a mettere i ceti possidenti fuori pericolo. Era da Cesare che Sallustio auspicava all’attuazione di una politica autoritaria che mettesse fine alla crisi dello Stato ristabilendo l’ordine della res publica, rinsaldando la concordia tra i ceti possidenti, restituendo prestigio a un senato ampliato con uomini nuovi dell’élite di tutta Italia. > parziale deformazione di Cesare nell’opera, purificato da ogni legame con i catilinari, evitando la condanna esplicita della sua politica come capo dei populares, staccando il fenomeno catilinario dall’opposizione sana all’aristocrazia. Il Cesare sallustiano si pronuncia in senato contro la condanna a morte dei complici di Catilina > insistenza su tematiche legalitarie coerente con la propaganda cesariana e con l’ideale politico dello stesso Sallustio (seppur non del tutto presente nel discorso originale di Cesare). Lascia intuire la posizione di Sallustio anche la contrapposizione dei ritratti di Cesare e Catone, personaggi avversi > l’autore arriva a una sorta di ideale conciliazione > ritratto di Cesare che si sofferma sulla liberalità, munificentia, misericordia ma anche sull’infaticabile energia che sorregge la sua brama di gloria; ritratto di Catone sottolinea le virtù radicate nella tradizione, integritas, severitas, innocentia. Sallustio afferma la complementare e irrinunciabile utilità di entrambi per lo Stato romano. 4.4 Il Bellum Iugurthinum: Sallustio e l’opposizione antinobiliare Indirizzato a mettere in luce le responsabilità, nella crisi dello Stato romano, della classe dirigente aristocratica, la cui insolenza venne per la prima volta arginata nella guerra contro Giugurta > 111-105. Giugurta, dopo essersi impadronito con il crimine del regno di Numida, aveva corrotto con il denaro gli esponenti dell’aristocrazia romana inviati a combatterlo in Africa > pace vantaggiosa. Mario, luogotenente di Metello > eletto console per il 107, incaricato di portare a termine la guerra in Africa. Arruola i capite censi (proletari non soggetti a tassazione perché privi di averi. Registrati non per i loro averi ma solo per la loro persona). La guerra si conclude solo quando il re di Mauritania, Bocco, tradisce Giugurta, suo precedente alleato, e lo consegna ai romani. Excursus al centro dell’opera > nel “regime dei parti” è la causa principale della rovina della res publica. Il bersaglio principale di Sallustio è la nobiltà > traspare la preoccupazione di non condannare del tutto la politica dei Gracchi ma solo nei suoi eccessi Sallustio però, trascura di parlare dell’ala aristocratica favorevole a un impegno attivo nella guerra, la parte più legata al mondo degli affari e incline alla politica di imperialismo espansionistico. Discorsi che Sallustio fa tenere al tribuno Memmio per protestare contro la politica inconcludente del senato e poi da Mario che convince la plebe ad arruolarsi in massa > linee direttive della politica dei populares. > discorsi rappresentativi dei migliori valori etico-politici della democrazia romana. Memmio > riscossa contro l’arroganza dei pauci, l’oligarchia dominante; enumera i mali del regime aristocratico = tradimento degli interessi della res publica, dilapidazione del denaro pubblico, monopolizzazione delle ricchezze e delle cariche. Mario > affermazione di una nuova aristocrazia della virtus, fondata non sulla nascita ma sui talenti naturali e sull’impegno. Il giudizio di Sallustio su Mario è ambiguo. > ammirazione per colui che seppe opporsi all’arroganza nobiliare limitata dalla consapevolezza delle responsabilità che in futuro Mario si sarebbe assunto nelle guerre civili. > arruolamento dei capite censi > non approvato da Sallustio che vede nel provvedimento l’origine degli eserciti personali e professionali che avrebbero distrutto la repubblica e, nell’affermarsi del proletariato, un inquinamento dell’aristocrazia della virtus che Mario esalta. Ritratto di Giugurta > Sallustio non nasconde la sua perplessa ammirazione per l’energia indomabile, segno di virtus, seppur corrotta. A differenza di Catilina, la sua natura non è corrotta fin dall’inizio ma lo diviene progressivamente. Il seme del degrado viene gettato in Giugurta durante l’assedio di Numanzia da nobili e homines novi romani. Una volta corrotto, per Sallustio, Giugurta è solo un piccolo tiranno perfido, ambizioso e privo di scrupoli. 4.5 Le Historiae e la crisi della res publica Le Historia iniziavano con il 78 a.c., riallacciandosi alla narrazione di Sisenna; i frammenti che ci restano non vanno oltre il 67 a.c. Sallustio torna ora alla forma annalistica. Frammenti > quattro discorsi e un paio di lettere, una di Pompeo e una di Mitridate. Dalle parole del sovrano orientale che combatté contro i romani affiorano i motivi delle lagnanze dei popoli soggiogati e dominati da Roma. Mitridate > il solo motivo che muove i romani è la sete di ricchezze e di potere. Frammenti di carattere geografico ed etnografico (interesse già presente nella monografia maggiore). Brano proveniente dal proemio dell’opera > Sallustio riconosce nell’esaurirsi del metus hostilis, succeduto alla fine delle guerre puniche, la ragione della decadenza romana > soltanto il timore per Cartagine poteva mantenere la coesione della società romana, impedire che si liberassero forse centrifughe distruttive come l’ambizione personale e i vizi morali. Quadro in cui dominano le tinte cupe; la corruzione dei costumi dilaga senza rimedio, a parte poche nobili eccezioni (Sertorio). Il pessimismo sallustiano sembra acuirsi nell’ultima opera: dopo l’uccisione di Cesare e la fine delle aspettative riposte nel dittatore, lo storico non ha più una parte dalla quale schierarsi, né aspetta alcun salvatore. 4.6 Lo stile di Sallustio Sallustio, nutrendosi di Tucidide e Catone il Censore, elaborò uno stile fondato sull’inconcinnitas (contrario della ricerca ciceroniana di simmetria), sull’uso frequente di Rapporto di Lucrezio con il lettore-discepolo > egli viene esortato affinché segua con diligenza. L’indicazione di una verità razionalmente definita e priva di qualunque concessione al meraviglioso è un’ulteriore differenza rispetto alla poesia didascalica ellenistica che descrive fenomeni attribuendo alla ricerca dello stupore dei lettori un ruolo significativo. Lucrezio, basandosi sulla comprensione delle cause oggettive che regolano necessariamente i fenomeni, vuole distruggere ogni possibile superstizione; alla retorica del mirabile sostituisce la retorica del necessario. Il lettore deve divenire consapevole dello spettacolo della natura e della propria grandezza intellettuale. È questa la radice del sublime lucreziano > furia dei venti, immaginazione di innumerevoli universi, infinità del tempo che è passato e di quello che deve ancora trascorrere. Il lettore è chiamato a trasformarsi in “eroe”, emozionarsi per i segreti della natura e accettarli. > frequenti appelli e invocazioni al lettore. Epicuro viene presentato come un eroe che ha saputo liberare l’umanità dai terrori ancestrali. Lucrezio presenta il proprio impegno come un enthousiasmòs quasi divino. L’allievo dovrà corrispondere con altrettanto entusiasmo. La dottrina degli atomi è descritta in sé ma anche nelle reazioni di vertigine che può produrre in chi legge. Lo stile di Lucrezio non è solo quello emozionante del sublime; spesso ne usa più aggressivo, quello della diatriba > forma di insegnamento filosofico (principale esponente Bione di Boristene, intellettuale itinerante che esponeva per strada, al popolo, argomenti di carattere filosofico-morale). Stile caratterizzato da vivaci drammatizzazioni, personificazioni delle passioni, tono volgare> stile che appartiene alla tradizione della satira romana, da Lucilio a Giovenale. Anche Lucrezio a tratti sceglie uno stile ricco di caricature, invettive, aggressioni > finale del libro III > la Natura stessa prende la parola, indignata che l’uomo mostri tanto attaccamento alla vita anche se piena di dolore e si lancia contro un’inquisitoria; finale del IV libro > Lucrezio mette in ridicolo la passione amorosa. Lucrezio invita il lettore anche a riflettere su quanto crudele ed empia sia la religio tradizionale, che aveva imposto al re Agamennone di sacrificare la figlia Ifigenia perché alla flotta greca in partenza per Troia fosse assicurata la navigazione. > volontà di mostrare a quali assurdità porti il culto degli dèi. > Presenta in un quadro patetico anche il dolore della madre del vitello sacrificato. È proprio la religione, secondo Lucrezio, a opprimere la vita degli uomini. Se gli uomini sapessero che dopo la morte non c’è nulla smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa. È il timore della morte che, secondo la dottrina epicurea deve essere eliminato. Ad esso sono riconducibili le ansie che spingono l’uomo alla religione e alla superstizione e a tutti i vizi. È poi necessario liberarsi da idee come il concetto di Provvidenza, incompatibile con il meccanismo epicureo. 5.4 Il corso della storia Lucrezio dedica un’ampia parte dell’opera alla storia del mondo. Seconda metà del libro V > origine della vita sulla terra e storia dell’uomo. Animali e esseri umani non sono stati creati da un dio, ma formati grazie a circostanze come il terreno umido e il calore che hanno spontaneamente generato i primi esseri viventi e poi gli uomini. I primi uomini conducevano una vita agreste al di fuori di ogni vincolo sociale; la natura offriva quello di cui avevano bisogno benché fossero esposti a gravi pericoli > fiere. Nel progresso umano tappe positive si alternano ad altre negative (inizio e progresso dell’attività bellica o sorgere del timore religioso). Spesso la natura ha mostrato casualmente agli uomini come agire. La necessità di comunicare invece ha spinto l’uomo alle prime forme di linguaggio > caso + bisogno materiale = avanzamento della civiltà. Desiderio del poeta è di contrapporsi alle visioni teleologiche del progresso umano, diffuse nella cultura del tempo. Progresso positivo > soddisfacimento dei bisogni materiali, primari; progresso negativo > bisogni innaturali, guerra, ambizioni e cupidigie > a questi problemi l’epicureismo risponde mostrando che “di poche cose ha davvero bisogno la natura del corpo” > evitare i desideri non necessari e non naturali. Epicureismo > considerato, a torto, un edonismo sfrenato. Progetto sociale di Epicuro e Lucrezio = il saggio abbandoni le inutili ricchezze, si allontani dalle tensioni della vita politica (Epicuro, làthe biòsas = vivi in disparte), si dedichi a studiare la natura con gli amici fidati, somma ricchezza della vita umana. 5.5 L’interpretazione dell’opera Problema del pessimismo di Lucrezio che sembra allontanarlo dalla serenità di Epicuro. Si devono respingere però interpretazioni troppo nette > 1868, Patin > esistenza nel De rerum natura di un “Antilucrezio” dalla religiosità insoddisfatta, scettico rispetto a quello ufficiale, epicureo e ottimista. Condizionati dalla falsa notizia di Girolamo sulla follia lucreziana, molti hanno voluto scorgere nell’opera tracce di squilibrio mentale. Una lettura non preconcetta spinge invece a constatare in Lucrezio una tensione volta a convincere e argomentare razionalmente la propria verità, a trasmettere una dottrina di liberazione morale nella quale crede. Nel poema hanno spazio anche descrizione a tinte fosche, delle quali vanno però trovate di volta in volta le motivazioni. Lucrezio ripete spesso che la ratio da lui esposta conduce alla serenità interiore che trae origine dalla comprensione razionale dei meccanismi di nascita, vita e morte dell’uomo e del cosmo. Offre la possibilità a suo lettore di guardarsi attorno con occhi liberi da pregiudizi. 5.6 Lingua e stile di Lucrezio Anche lo stile, come l’organizzazione della materia, doveva servire alla persuasione del lettore > ripetizioni, brevi formule di facile memorizzazione collocate più di una volta in punti chiave del poema; anche l’invito all’attenzione era reiterato spesso. Termini tecnici della fisica epicurea, nonché nessi logici di grande uso (adde quod, quod superest…) dovevano restare il più possibile fissi per consentire al lettore di familiarizzare con un linguaggio non certo facile. Povertà della lingua latina in ambito filosofico > perifrasi nuove, neologismi, vocaboli greci. Proprio questa amentata povertà linguistica stimola la ricerca di una concretezza espressiva. > vivacità descrittiva, visibilità e percettibilità degli oggetti intorno cui si ragiona, corporalità dell’immaginario Lucrezio sfrutta numerosi vocaboli poetici forniti dalla tradizione arcaica > aggettivi composti, molti ne crea lui stesso > spiccata propensione per nuovi avverbi e perifrasi. Dal patrimonio della poesia elevata romana trae le più caratteristiche forme espressive > intenso uso di allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici, effetti di suono. Campo grammaticale > gran numero di infiniti passivi in –ier (più arcaico di –i) e prevalere della desinenza bisillabica –ai nel genitivo singolare della prima declinazione (anziché –ae), esclusa al suo tempo e considerata un arcaismo in grado di innalzare il discorso. Dimostra di possedere una vasta conoscenza della letteratura greca > riprese di Omero, Platone, Eschilo, Euripide, Tucidide. Segni della frequentazione di poeti più raffinati come Callimaco e Antipatro. Metrica > esametro lucreziano differente da quello arcaico di Ennio rispetto al quale predilige l’incipit dattilico, che sarà usuale nella poesia augustea. 5.7 La fortuna di Lucrezio Completa assenza del poeta dalle opere filosofiche di Cicerone > Cicerone ha forse deliberatamente ignorato il De rerum natura per sminuirne il valore. Scarsa è la presenza di Lucrezio negli autori del I secolo a.c. anche se Virgilio, Orazio, Ovidio, ne riprendono alcuni aspetti e lo lodano. La lettura del poema continua anche in seguito, come testimoniano Seneca, Quintiliano, Stazio, Plinio. Gli autori cristiani leggono Lucrezio criticandone apertamente le posizioni; a partire dai secoli successivi iniziano a perdersi le tracce dell’opera. 1418 > Poggio Bracciolini scopre in Alsazia un manoscritto del De rerum natura e lo invia a Firenze perché sia copiato > rinnovata fortuna dell’opera in epoca moderna. Il filosofo francese Pierre Gassendi riporta in auge in pieno Seicento la dottrina di Epicuro (e di Lucrezio) conciliandola con la presenza di un dio creatore. Molière ne traduce nel Misantropo il celebre passo del IV libro sui difetti delle donne; l’illuminismo confesserà la sua ammirazione per l’arte e per la filosofia del poeta. Prima traduzione italiana > Alessandro Marchetti, Londra, 1717. Giacomo Leopardi > alcuni passi delle sue poesia mostrano una certa conoscenza dell’opera 1850 > edizione critica del De rerum natura curata da Karl Lachman = banco di prova del moderno metodo filologico basato sulla valutazione dei rapporti tra i rami della tradizione, individuati grazie alla presenza di errori-guida che li accomunano o separano. 6. CATULLO E LA POESIA NEOTERICA 6.1 I “nuovi” poeti e i loro precursori Poetae novi = sprezzante definizione usata da Cicerone per indicare i protagonisti delle tendenze poetiche innovatrici che, accomunate da un rifiuto della tradizione nazionale personificata da Ennio, si affermarono nel I secolo a.c. Processo di rinnovamento che si inserisce nella generale ellenizzazione dei costumi: fenomeno conseguenza delle grandi conquiste del II secolo a.c., che aprendo alla potenza romana lo scenario dell’area orientale del Mediterraneo, aveva messo a contatto l’arcaica società di contadini-soldati con popolazioni abituate a forme di vita più raffinate. Campo letterario > lento e progressivo indebolimento dei valori e delle forme della tradizione e emergere di esigenze nuove, dettate dall’affinarsi del gusto e della sensibilità. Una delle novità di questi poeti > decisa imitazione degli aspetti eruditi e preziosi della letteratura greca recente. I neòteroi prendono dai poeti ellenistici il gusto per la contaminazione tra i generi, l’interesse per la sperimentazione greca, la ricerca di un lessico e di uno stile sofisticati, il carattere disimpegnato della loro poesia. Ultimi decenni del II secolo, ambito dell’élite colta romana > comparsa di una poesia scherzosa e disimpegnata, frutto dell’otium. > preludio della rivoluzione neoterica. Rivendicazione delle esigenze individuali accanto agli obblighi sociali, interesse per i sentimenti privati (amore) e per l’elaborazione formale che rivela un gusto educato dal contatto con la cultura e la poesia alessandrine. Poesia propriamente neoterica > maggiore consapevolezza e netto scarto che introduce rispetto alla tradizione letteraria latina. Poesia che non relega l’otium e i suoi piaceri in un spazio ristretto ma li colloca al centro dell’esistenza, facendone i valori assoluti, le ragioni esclusive. > trasformazione del carattere fedeltà coniugale, ricorre con insistenza). Abbondanti sono le recriminazioni per la violazione, da parte della donna, del foedus d’amore > richiamo a due valori cardinali dell’ideologia e dell’ordinamento sociale romano > la fides (garantisce il patto stipulato vincolando moralmente i contraenti) e la pietas (virtù di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri, specie dei consanguinei, nonché della divinità). L’offesa ripetuta del tradimento produce in lui un doloroso dissidio fra la componente sensuale (amare) e quella affettiva (bene velle). Alla sua speranza di un amore fedelmente ricambiato si accompagna la consapevolezza di non aver mai mancato al foedus d’amore con Lesbia. 6.5 I “carmina docta” Carme dedicatorio a Cernelio Nepote > presenta il suo libellus come lepidus, novus, expolitus definendone oltre ai caratteri materiali ed esteriori anche quelli interni. Nuova poetica che ispirata a brillantezza di spirito e raffinatezza formale rivela la sua ascendenza alessandrina, o callimachea, soprattutto in quella sorta di manifesto del nuovo gusto letterario che è il carme 95, annuncio della pubblicazione del poemetto dell’amico Cinna > brevità, eleganza, dottrina > canoni di un gusto cui Catullo aderisce senza riserve. Carmina docti > dottrina e impegno stilistico, maggiore ampiezza. Nuove forme compositive, raffinata sapienza strutturale. Carmi 63 e 64 > due realizzazioni del nuovo genere epico, l’epillio, di cui soprattutto il secondo costituirà quasi il modello esemplare per la cultura latina. Questo poemetto di 408 esametri narra il mito delle nozze di Pèleo e Tètide e contiene, mediante la tecnica alessandrina della digressione descrittiva (èkphrasis), un’altra storia (abbandono di Arianna a Nasso da parte di Tèseo). Le due vicende d’amore sono legate da una serie di relazioni che hanno il loro nucleo nel tema della fides, violata nell’età presente insieme agli altri valori religiosi e morali. Il mito si fa proiezione e simbolo delle aspirazioni del poeta, del suo bisogno inappagato di ancorare un amore tanto precario a un vincolo più saldo, a un foedus duraturo. Nel ciclo dei carmina docta Catullo si cimenta anche in un altro genere letterario greco, l’epitalamio, il canto nuziale. Catullo inserisce elementi tipicamente italico-romani, sia per quanto riguarda il rito nuziale sia sul piano etico sociale > carmi 61 e 62. 61 > scritto in occasione delle nozze dei due nobili romani Lucio Manlio Torquato e Vibia Aurunculeia; 62 > non è composto per un’occasione reale; rivela una più marcata impronta letteraria e una maggiore adesione ai caratteri formali del genere. È compreso anche un omaggio al poeta principe dell’alessandrinismo, Callimaco > traduzione in versi latini di un’elegia famosa del poeta greco, nota come Chioma di Bernice (celebrava la cortigiana escogitazione di Conone, astronomo alla corte di Tolomeo III Evèrgete, re d’Egitto, che aveva identificato una nuova costellazione da lui scoperta con il ricciolo offerto come ex voto dalla regina Berenice per il ritorno del marito dalla guerra e successivamente scomparso). Vicenda della trasformazione dei riccioli di Berenice in costellazione > catasterismo > Catullo introduce o accentua i temi della fides e pietas, condanna dell’adulterio e celebrazione delle virtù eroiche, dei valori tradizionali. Carme 68 > complesso, forse da distinguere in due componimenti. Riassume i temi principali della poesia di Catullo, amicizia, amore, attività poetica e rapporto con Roma, dolore per la morte del fratello. Il ricordo dei primi amori sfuma nel mito, nella vicenda di Protesilao e Laodamia (unitisi prima che fossero celebrate le nozze e perciò puniti con la morte di lui) che si fa archetipo esemplare della vicenda di Catullo e Lesbia, di un coniugium imperfetto e precario. Largo spazio concesso al ricordo e alla vita vissuta proiettata miticamente doveva imporre questo carme come il progenitore della futura elegia soggettiva latina. 6.6 Lo stile Accanto all’influsso della letteratura alessandrina è sensibile anche quello della lirica greca arcaica. La lingua catulliana è il risultato di un’originale combinazione di linguaggio letterario e sermo familiaris > lessico o movenze della lingua parlata assorbiti e filtrati da un gusto aristocratico che li raffina e li impreziosisce. La sensibilità callimachea lascia così spazio alla cruda espressività di certi volgarismi, non intesi come un tratto di lingua autenticamente popolare, ma ricondotti allo snobistico compiacimento di un’élite colta che ma esibire il turpiloquio accanto all’erudizione. Frequenti tratti del sermus familiaris > diminutivi che nella loro mollezza fonica e formale rivelano l’adesione all’estetica del lepos, della grazia. Stile composito e vitale, con un’ampia gamma di modalità espressive che vanno dallo sberleffo irridente, dall’invettiva scurrile alle morbidezze del linguaggio amoroso, dalla baldanza giovnile che dilata le immagini in iperboli alla grazia leggera, alla pacata malinconia ecc. 6.7 La fortuna di Catullo Catullo ebbe un successo vasto e immediato esercitando un influsso profondo sui più grandi poeti augustei e sulla poesia imperiale. Fu pochissimo noto nel Medioevo > nel secolo IX, a Verona, il vescovo Raterio recuperò un codice contenente i suoi carmi poi di nuovo scomparso e riemerso solo nel secolo XIII. Da allora la fama di Catullo fu sempre altissima. Petrarca lo amò e imitò, Foscolo ne tradusse la Chioma di Berenice e si ispirò al carme 101 per il sonetto In morte del fratello Giovanni. III. L’ETÀ DI AUGUSTO (> Virgilio; Orazio; l’elegia: Tibullo e Properzio; Ovidio; Livio e gli orientamenti della storiografia; erudizione e discipline tecniche). IL CONTESTO > DAL 43 A.C. AL 17 D.C.: CARATTERI DI UN PERIODO Dalla “grande paura” alla pace augustea Età augustea > produzione letteraria che va dalla morte di Cesare alla morte di Augusto o, più precisamente, dal 43 a.c., morte di Cicerone, al 17 d.c., morte di Ovidio. In tutto questo periodo Gaio Giulio Cesare Ottaviano domina la scena politica e svolge un ruolo centrale in ambito culturale. Dalla morte di Cesare alla battaglia di Anzio (31 a.c.) > periodo di instabilità e sconvolgimenti che vide gli eserciti di Ottaviano e Antonio spargere morte e desolazione. Tema ricorrente delle opere composte in questi anni = grande paura. Anche poeti come Virgilio e Orazio, figli di piccoli proprietari italici, furono vittime della crisi. Virgilio > perde i suoi terreni pur poi riacquistati; Orazio > combatte dalla parte sbagliata a Filippi nel 42 (disfatti gli eserciti repubblicani comandati dai nobili che avevano assassinato Cesare, Bruto e Cassio). Trovano protezione nel loro coetaneo Ottaviano che permette loro una tranquilla carriera poetica e promette un ordine e una ricostruzione nazionale che avverranno dopo Azio. Da quel momento, le principali figure della nuova poesia stabiliscono rapporti con Augusto e il suo entourage di cui condivideranno aspirazioni e interessi. > ideologia augustea > cooperazione politico-culturale fondata sulla partecipazione attiva degli intellettuali. Nascono capolavori di straordinario equilibrio classico, la cui formazione però riflette anche contraddizioni profondo e inevitabili: il nuovo potere trae la sua legittimazione dalla necessità di estinguere le guerre civili, ma Ottaviano fu prima un distruttore. > Nuovo eroe epico, Enea, celerà nel suo animo i tormenti di chi è chiamato a fondare la città del futuro ma attraverso la guerra, lacerato ai sensi di colpa. Ricordo delle guerre civili eliminato dalla propaganda augustea > secondo le Res Gestae Divi Augusti, testamento in cui Auguso darà l’interpretazione ufficiale dei fatti, Ottaviano ha vendicato l’uccisione del padre adottivo; poi capo dell’Italia unita ha combattuto una guerra giusta contro la regina d’Oriente, Cleopatra (Azio, sconfitto Antonio). Piano letterario > età densa di talenti > Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio. Ogni testo poetico si sceglie modelli illustri: Virgilio guarda a Omero, Orazio ad Alceo, Properzio a Callimaco e a Mimnermo. I poeti augustei annunciano di voler “rifare” i propri modelli, quasi di sostituirsi a loro nell’imitazione dei posteri. Confronto con i greci > sforzo di allargamento dei temi e delle esperienze. Si richiamano in vita le tradizioni di una repubblica dei contadini, si combattono gli influssi orientali, i consumi di lusso, la licenziosità. Fenomeno saliente nel passaggio tra repubblica e principato = sviluppo della dimensione “privata” romana > grande slancio che prende il genere elegiaco = modello di vita estraneo ai doveri e alla partecipazione politica. Non esiste però un immediato conflitto tra ideologia ufficiale e ideologia elegiaca. Il poeta può rivolgersi ad Augusto con gratitudine, come a colui che garantisce la pace e regge con sicurezza lo stato; grazie a chi si occupa delle cose “serie” l’Amore può essere l’unica cosa seria di cui si occupa il poeta. Il modello del poeta che consacra la propria vita all’amore non è ufficialmente favorito dal regime. Ambiente che circonda Mecenate > Properzio mantiene un ruolo più modesto; Tibullo gravita attorno un circolo indipendente inizialmente oppositore di Augusto > Messalla. Respingono l’esaltazione “epica” del valore nazione e della missione civilizzatrice di Roma ma fanno omaggio al principe di una forma poetica esitante e contraddittoria, la recusatio: si scusano di non poter cantare i temi epici. L’unico poeta a entrare in collisione con il potere sarà Ovidio. Ultima fase del regno di Augusto > tempestosa. Dopo Virgilio la poesia sembra dividersi a forbice: o è celebrativa o è apolitica e disimpegnata. Orazio stesso nell’ultima fase della sua produzione scrive componimenti in qualche misura adulatori. L’ambiente de principe è sempre più oscuro e separato dal mondo della letteratura. Il principale poeta di questa fase, Ovidio, tenta di fornire dignità letteraria a una cultura modernizzante, libera da moralismi e ritorni alle origini. Canta i piaceri, gli spettacoli, i lussi, il libero amore e esalta il principe che ha reso possibile quest’era di felicità. Finì per toccare una contraddizione aperta nel mondo augusteo: la frattura fra certe tendenze in atto e la continua proclamazione di valori ideologici fondamentali nella costruzione della nuova società. Finì la sua carriera sulle sponde del Mar Nero, anticipando un secolo di difficili rapporti fra letteratura e potere assoluto. Lo sfondo politico e i circoli poetici Mecenate è il vero centro di attrazione di tutta la generazione poetica augustea. Nativo di Arezzo, in terra etrusca, era insieme aristocratico e “borghese” > di nobilissima famiglia etrusca, come cittadino romano non volle mai andare oltre lo stato di equos, cavaliere e non occupò mai vere e proprie cariche ufficiali. Il suo circolo, fondato su legami privati e individuali, promuove una letteratura “nazionale” che senza essere letteratura di massa mantiene un impegno ideale. Figura tra le più importanti del circolo > Vario Rufo > pochi frammenti. Augusto affiderà a lui, dopo la morte di Virgilio, il compito di pubblicare il testo incompiuto dell’Eneide. Scrisse una tragedia, il Thyestes, rappresentata nel 29 a.c. Augusto lasciò vivere altri circoli letterari, meno allineati alle posizioni del potere. Virgilio nelle Bucoliche loda e ringrazia Asinio Pollione > soldato di parte antoniana, si ritirò a vita privata prima del disastro di Azio ma non smise di criticare il nuovo regime. Raccolse attorno a sé un gruppo di letterati, fondò la prima biblioteca a Roma e incoraggiò la pratica delle recitationes, letture pubbliche. di Ottaviano speranza insidiata da molti pericoli > 36 a.c.; in altri momenti dell’opera > principe trionfatore dell’universo pacificato. Consapevole di queste discrepanze, Virgilio ha inglobato nell’opera accanto alla vittoria del nuovo ordine anche le lacerazioni che lo hanno preparato. Data di pubblicazione = momento del grande trionfo di Ottaviano reduce dall’Oriente. Ma, secondo una notizia antica, Virgilio avrebbe sostituito, in una seconda edizione, parte del poema (le lodi di Cornelio Gallo, caduto in disgrazia presso Augusto e morto suicida) con la storia del pastore Aristeo, che conclude l’opera: Aristeo, perse le sue api per aver causato la morte di Euridice, moglie di Orfeo, riesce ad ottenere un nuovo sciame con l’aiuto della madre. Per non alterare l’equilibrio tra i libri le due sezioni dovevano avere un’estensione equivalente ma è difficile capire come le “lodi” di Gallo potessero estendersi per oltre 200 versi e a cosa potessero collegarsi. > la digressione di Aristeo non ha niente di posticcio o improvvisato e si ricollega alla trama dell’opera e alla strutturazione didascalica del contesto > Aristeo è un eroe che impara e che nella sua lotta con la natura sostenuta dall’obbedienza ai precetti divini, rappresenta un prototipo mitico del modello di vita che Virgilio vorrebbe insegnare. 1.4 Le Georgiche Le “Georgiche” come poema didascalico Le Georgiche erano apparentemente uno dei molti poemi didascalici della tradizione ellenistica > nati da una scelta paradossale, dal gesto di un letterato brillante che affrontava una materia poco appetibile, perché umile o tecnica cercando di renderla interessante anche al pubblico colto del mondo ellenistico. Erano opere sbilanciate > curatissime sul versante della forma, poco interessate a insegnare davvero. Passione dello scrivere minuzioso, accattivante. Lucrezio aveva scosso questa tradizione risalendo alla poesia didascalica dei primi poeti greci; investita di uno slancio missionario la sua poesia superava le esigenze del gioco poetico alessandrino > bellezza della forma come miele che aiuta l’assunzione dell’amara medicina filosofica. Descrizioni, digressioni e similitudini erano funzionali alla struttura dell’opera e alla sua ideologia. A Virgilio, più alessandrino di Lucrezio, non è estraneo il gusto delle cose tenui, dei dettagli, trasformare in poesia una realtà di cose ed esseri minuti. Tuttavia, come in Lucrezio, è forte l’interesse contenutistico. Lo sfondo augusteo Appartato mondo agricolo del poema > cintura protettiva nell’opera di Ottaviano che prima si profila come unico salvatore e poi appare nella sua veste di trionfatore e portatore di pace. Il nuovo principe garantisce le condizioni di sicurezza e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la sua continuità di vita. Con questa cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il primo vero documento della letteratura latina nell’età del principato. Primo proemio > figura del principe quale sovrano divinizzato = sviluppo di una tradizione ellenistica che tanto aveva faticato per affermarsi a Roma. Augusto e Mecenate sono accolti nell’opera come illustri dedicatari ma anche veri e propri ispiratori. Ruolo di destinatario della comunicazione didattica = figura collettiva dell’agricola > pubblico che conosce la vita delle città e le sue crisi, rivolto formalmente alla vita dei campi, affronta di scorcio anche i problemi della vita urbana e del vivere in generale. L’immagine dell’economia rurale che traspare dal poema è una idealizzata costruzione regressiva, inadeguata alla realtà dell’epoca. Eroe del poema è il piccolo proprietario agricolo, coltivatore diretto. Virgilio fa pallidi cenni alle grandi trasformazioni in corso > estensione del latifondo, spopolamento delle campagne, assegnazione di terre ai veterani, trasferimento di produzioni agricole dall’Italia alle provincie. Mancanza di qualsiasi accenno al lavoro schiavile. L’idealizzazione del colonus che si incarna nella figura del senex Corycius ha un puro significato morale. Convergenze tra Virgilio e la propaganda augustea > esaltazione delle tradizioni dell’Italia contadina e guerriera, sentita come mondo unitario, ha come sfondo il clima della guerra contro Antonio: il partito di Ottaviano la presentava come uno scontro tra Occidente e Oriente, sostenuto dalla concordia dell’Italia che riconosceva in Ottaviano il proprio capo carismatico > esaltazione “georgica” della penisola > qualità morali degli abitanti, fecondità, salubrità climatica, perfezione ambientale > topica del Laus Italiae. > autonomia con cui Virgilio rielabora queste idee. Struttura e composizione Temi dei quattro libri > lavoro dei campi, arboricoltura, allevamento del bestiame, apicoltura. L’apporto della vita umana si fa sempre meno accentuato e la natura è sempre più protagonista. Struttura del poema orientata dal grande al piccolo. Libri dotati di una chiara autonomia tematica e collegati da un piano complessivo, ciascuno introdotto da un proemio e dotato di sezioni digressive. > Lezione di Lucrezio > ma Virgilio indebolisce le costrizioni logiche del pensiero, i nessi argomentativi, i collegamenti fra un tema e l’altro; architettura del poema più regolata e simmetrica. Nuova struttura poetica > il discorso fluisce naturale e talora capriccioso, nascondendo i passaggi logici, muovendo per associazioni di idee o contrapposizioni. Dinamismo che trova equilibrio in una sua architettura d’insieme. Ogni libro delle Georgiche è dotato di una digressione conclusiva > le guerre civili, la lode della vita agreste, la peste degli animali nel Norico, la storia di Aristeo e delle sue api. Valore di cerniera > proemi > due volte lunghi, due brevi e strettamente introduttivi. I e III libro risultano così accoppiati e lo sono anche nelle digressioni. > polarità fra temi di morte e di vita che danno un senso alla struttura formale trasformandola in un chiaro-scuro di pensieri che suscita riflessione nel lettore. Sono un’opera di contrasti e incertezze. Equilibrio e simmetria della struttura vs inquietudini e conflitti. L’ideale del contadino si richiama al mito dell’età dell’oro quando il lavoro non era necessario perché la Natura rispondeva da sola ai bisogni. La vita semplice e laboriosa del contadino italico ha portato alla grandezza di Roma che è pero anche la Città, come luogo di degenerazione e conflitti, opposta all’ideale georgico. Paziente eroe contadino Aristeo > perviene secondo i consigli divini a rigenerare il suo sciame ma da un suo gesto poco avveduto nasce l’infelicità del disobbediente poeta Orfeo. 1.5 Dalle Georgiche all’Eneide Il poeta approfondisce la natura soggettiva del suo stile, non rinuncia alle emozioni, immergendo oggetti e personaggi nella propria partecipazione soggettiva. Nuova sensibilità che lo accompagna nella fatica del poema epico. La tradizione enniana del poema epico- storico non si era mai estinta del tutto > epica per la celebrazione delle vicende contemporanee. Il pubblico, che quindi si aspettava una sorta di Cesareide, rimase colpito dal risultato proposto da Virgilio. 1.6 L’Eneide Omero e Augusto Eneide > storia della missione di Enea, esule di Troia, scelto dai Fati perché la sua discendenza fondasse l’impero romano. Grammatici antichi gli attribuiscono una duplice funzione > imitare omero e lodare Augusto partendo dai suoi antenati. Effettivamente Enea, nei travagli del viaggio che lo porterà verso una nuova patria, ripete sia le esperienze di Odisseo sia le imprese eroiche descritte nell’Iliade. Senso della missione di Enea > futura ricostruzione della città che era stata distrutta nell’Iliade > vicende dell’Eneide e fratricida guerra contro i latini = ordine pacifico e nuova città. Enea riassumerà in sé l’immagine di Achille vincitore ma anche quella di Odisseo che ritrova la patria lontana. Leggende italiche > origini della città nella venuta di un eroe, reduce della famosa guerra celebrata da Omero. Una di queste riguardava Albalonga, città presso il monte Albano da cui, secondo la tradizione mitica, erano venuti i primi abitatori di Roma > fondata da Ascanio (Alba), figlio di Enea, detto anche Iulio. Da lui si vantava di discendere la gente Giulia, famiglia di Cesare e per adozione di Ottaviano Augusto > cerchio tra Virgilio, Augusto, l’epica eroica. 1 > Giunone, odiando i troiani, scatena una tempesta che decima le navi di Enea, che approda in Africa a Cartagine. Favorito dalla madre Venere, è accolto da Didone, regina della città fenicia che gli chiede di narrare la fine di Troia. 2 > Enea racconta della distruzione della città da cui riesce a fuggire con il padre, il figlio, i Penati, ma perdendo la moglie Creùsa. 3 > partiti dalla Troade, i troiani capiscono che una nuova patria li aspetta in Occidente. Il racconto si chiude con la morte di Anchise. 4 > Didone innamorata si ucciderà quando Enea la abbandona seguendo il corso deciso dal fato. La regina muore maledicendo Enea e profetizzando eterno odio tra Cartagine e i discendenti dei troiani. 5 > i troiani fanno tappa in Sicilia; giochi funebri in onore di Anchise. 6 > a Cuma, in Campania, consulta la Sibilla guadagnando l’accesso al mondo dei morti. Incontra una parte del suo passato: Deìfobo caduto a Troia, Didone morta a causa sua, lo sfortunato pilota Palinuro, il padre Anchise che gli mostra il futuro e gli eroi, condottieri che faranno la storia di Roma. 7 > Enea sbarca alla foce del Tevere e riconosciuta la terra promessa instaura un patto con il re Latino. Intervento di Aletto, demone della discordia inviato da Giunone > moglie di Latino, Amata, e il principe Rùtulo, Turno, promesso sposo della figlia di Latino, fomentano la guerra. Rottosi il patto e saltato il matrimonio dinastico fra Enea e Lavinia, figlia di Latino, una coalizione di popoli italici marcia sul campo troiano. Lavinia, nuova Elena, è al centro della discordia. 8 > Enea per consiglio divino risale il Tevere e nel luogo dove sorgerà Roma trova l’appoggio di Evandro, re di una piccola nazione di àrcadi. Con il figlio di Evandro, Pallante, Enea trova un potente alleato > coalizione etrusca contro Mezenzio, tiranno di Cere ora messo al bando, e alleato di Turno. Gli dèi fanno dono a Enea di un’armatura forgiata da Vulcano, il cui scudo è istoriato con il futuro di Roma. 9 > L’assenza di Enea favorisce Turno e i suoi alleati; il sacrificio dei giovani troiani Eurìalo e Niso in spedizione notturna non dà esito 10 > Enea torna con gli alleati, Turno uccide Pallante indossandone il balteo in ricordo della vittoria, Enea uccide Mezenzio. 11 > Enea piange il morto Pallante, offrendo senza successo la pace. Turno tenta la sorte delle armi. Cade un altro eroe di sorte latina, la vergine guerriera Camilla. Venosa è costretto a impiegarsi come scriba qauestorius, scrivano di un magistrato. Comincia a scrivere gli Epodi e, intorno al 38, dopo essere stato introdotto dagli amici Virgilio e Varo nel circolo di Mecenate, si dedica anche ai due libri di Satire (1 > dieci componimenti, 35 a.c.; 2 > otto componimenti, 30 a.c.). Dal 30 al 23 lavora ai primi tre libri delle Odi soggiornando spesso nella piccola tenuta in Sabina donatagli nel 33 da Mecenate. I suoi rapporti con Augusto rimangono sempre molto stretti pur senza servilismo. 20 > libro di Epistole; tra 19 e 13 ne aggiunge un secondo. 17 > Carmen saeculare, inno commissionatogli da Augusto per i ludi saeculares che celebravano l’inizio di una nuova era. Ultimo libro di Odi posteriore al 13. Orazio muore il 27 novembre dell’8 a.c. 2.2 Gli Epodi come poesia dell’eccesso Titolo che rimanda alla forma metrica: epodo = verso più corto che segue ad un verso più lungo, formando con esso un distico. Orazio li chiama iambi in riferimento al ritmo che prevale nella raccolta e con allusione al recupero del tono aggressivo che fin dalle origini era associato alla poesia giambica greca. Questa prima produzione è legata alla fase giovanile e alle condizioni di vita disagiate del periodo successivo all’esperienza di Filippi. > asprezze polemiche, toni carichi, linguaggio poetico violento > caratteristiche molto diverse dalla successiva poesia oraziana. Molti però esitano nel collegare in modo troppo immediato gli Epodi a questa esperienza autobiografica. È necessario valutare quanti, fra i tratti distintivi di questa poesia, risalgano alle regole del genere, all’imitazione dei modelli (Archiloco). Orazio sostiene di aver mutuato da Archiloco i metri e l’ispirazione aggressiva, ma non i contenuti. Una sensibilità esasperata da disagi e amarezze rendeva affini i due poeti, ma le differenze dovevano essergli chiare: Archiloco dava voce agli odi e ai rancori, alle passioni civili e alle tristezze di un aristocratico greco del VII secolo a.c. Orazio scriveva nella Roma dominata dai triumviri e sarebbe entrato presto nell’entourage di Ottaviano; era inoltre figlio di un libero, ed era appena uscito da una difficile e rischiosa esperienza politica. L’aggressività di Orazio si rivolge contro personaggi minori, scoloriti, anonimi, o addirittura fittizi > impressione di artificiosità letteraria > es. epodo 10 > specie di propemptikòn (carme di buon viaggio) a rovescio, Orazio augura a Mevio di fare naufragio. Il modello è un carme di Archiloco. Ma dal modello Orazio risulta distante, perché a differenza di Archiloco, il cui nemico è un ex amico che lo ha offeso e tradito, Orazio lascia n sordina il carattere personale dell’invettiva. La violenza delle minacce e delle maledizioni suona un po’ a vuoto e può sembrare addirittura giocosa. Epodo 4 > contro un arricchito, che reagisce ai repentini rivolgimenti sociali connessi alla rivoluzione romana o alle inquietudini espresse negli epodi 7, 9 e 16 relativi alle guerre civili. Per influsso dei Giambi di Callimaco, Orazio doveva sentire connaturata a una raccolta giambica l’esigenza della varietà. > Epodi > molteplicità di temi, toni e livelli stilistici che la tradizione romana assegnava piuttosto all’ambito della satira. Episodi erotici, poesie d’amore, che svolgono motivi e situazioni della poesia erotica ellenistica, riproducendone linguaggio e intonazione patetica. La tradizione dell’idillio rustico si risente dietro l’ambiguo elogio della campagna. Dal punto di vista dell’espressione, nonostante resti caratteristico un linguaggio teso e carico, la poesia giambica di Orazio ospita anche una dizione più sorvegliata > poeta degli eccessi ma anche della misura. 2.3 Le Satire Due libri di Satire che Orazio chiama sermones (conversazioni) raccolgono componimenti spesso assai diversi per tema e andamento, tendenza tradizionale del genere satirico che poneva al centro dell’attenzione il poeta. È in quest’opera che Orazio parla più volentieri di sé, della propria vita, delle proprie disavventure. La sua ironia bonaria dà un tono particolare ai piccoli mimi che ci presenta o ai ragionamenti che si vengono svolgendo. Orazio indica Lucilio quale iniziatore del genere satirico citando Ennio solo come modello di una poesia “sublime” diversa da quella dei propri sermones. L’imitazione di Lucilio si accompagna all’intento di migliorarlo: Lucilio secondo Orazio dimostra una trascuratezza formale (vivace realismo di Lucilio che non evitava gli eccessi del sermo vulgaris). Le satire oraziane mantengono il livello di una conversazione colta, espressa da una lingua semplice ma disciplinata, pochi mezzi, senza ostentazione. Lo stile varia adeguandosi ai soggetti: familiare, grave e oratorio, solenne e poetico. Non manca un’affettazione di negligenza prosastica (ripetizioni, costruzioni libere, giustapposizioni). Andamento complessivo > Orazio ha imparato dalla diàtriba, tradizione di letteratura filosofica popolare, illustrata da dialoghi e aneddoti: la conferenza cede al dialogo, coinvolge gli interlocutori, anticipa obiezioni, introduce scene drammatiche, esempi del mito o della storia, parodie, aneddoti, giochi di parole. I toni della faziosa aggressività luciniana sono scomparsi. Esigenza di analizzare i vizi mediante l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone. Questa ricerca morale empirica si propone di individuare una strada per pochi attraverso le storture di una società in crisi. La satira oraziana è collegata al circolo di poeti, letterati e uomini politici che si raccoglievano attorno Mecenate. Non era necessario sceglie bersagli di elevato ceto sociale; Orazio guarda a un piccolo mondo di irregolari. Insegnamenti paterni > imparare dal vicino, da chi si incontra per strada; morale che affonda le sue radici nell’ educazione, buon senso tradizionale, che in Orazio si rivela al contempo costituita con materiali derivanti dalle filosofie ellenistiche, filtrati dall’elaborazione diatribica. Obiettivi della ricerca oraziana > autàrkeia (autosufficienza interiore), metriòtes (moderazione, giusto mezzo). L’aspirazione all’autàrkeia è nel patrimonio di quasi tutte le scuole per proteggere dai contraccolpi della fortuna e dalla schiavitù dei beni esterni. Morale del giusto mezzo > definizione più coerente con la scuola peripatetica, ma il concetto apparteneva alla più antica saggezza greca. L’epicureismo ha il peso maggiore nelle Satire: l’empirismo e il realismo della morale oraziana entrano in conflitto con il rigorismo e l’astrattezza degli stoici. II > ridotta la componente rappresentativo-autobiografica. Prevale la forma del dialogo in cui il ruolo centrale è ceduto all’interlocutore. Il poeta si ritira dunque in secondo piano e non vi è più la possibilità di estrarre un senso unitario dalle contraddizioni della realtà: tutti gli interlocutori sono depositari di una loro verità. Orazio sembra ormai negare alla satira la possibilità di una ricerca morale che individui empiricamente un sistema di condotta soddisfacente. > equilibrio tra autàrkeia e metriòtes perduto. Non rappresenta la propria capacità di vivere fra la gente senza perdere l’identità morale ma permette ai suoi interlocutori di denunciare le debolezze e le incoerenze delle sue scelte. Unico rifugio è la villa sabina, dove l’autàrkeia si giova dell’isolamento, lontana dalle contraddizioni della vita di Roma. 2.4 Le Odi La poetica Lirica di Orazio > paragonabile a quella moderna per il carattere meditativo, introflesso, monologico > nuovo statuto sociale del poeta “cortigiano” che rende possibile una certa autonomia; poesia come momento intimo, espansione dell’io. Differenza rispetto alla nostra lirica = convenzione antica per cui anche nel discorso lirico il poeta non si immagini solo, immerso in libera introspezione, ma si rivolga sempre a qualcuno >>> impostazione dialogica di molte Odi (Carmina in latino). Rapporto della poesia oraziana con quella greca di Saffo, Anacreonte, Pindaro, Alceo (modello con cui giustifica la presenza di una molteplicità di suggestioni, dall’attenzione alle vicende della comunità alla sfera privata). Alceo deve essere stato anche poeta gnomico >>> componente moraleggiante della lirica oraziana. Rapporto con la lirica greca arcaica > ripresa dello spunto iniziale di un componimento. Diverse Odi iniziano con quella che è quasi una citazione, per poi progressivamente distaccarsi dal modello. Ode a Taliarco > paesaggio invernale che ricorda un frammento di Alceo, a cui è unito un invito al bere. Poi però il componimento si sviluppa in riflessioni gnomiche, finendo in un quadro di galante vita cittadina vicino al gusto del realismo alessandrino. Differenze Orazio-Alceo > i versi di Alceo sono espressione degli amori e odi di un aristocratico di Lesbo, impegnato in prima persona nelle lotte politiche. Lirica che implica semplicità di temi e di linguaggio. In Orazio l’interesse per la res publica è vivace ma è quello di un intellettuale che vive al riparo dei potenti signori di Roma. L’aspetto “privato” della poesia oraziana non è separabile dalla ricerca di autàrkeia e tranquillitas animi. La lirica oraziana è scritta per la lettura, descrive situazioni immaginarie o stilizzate, aspira a un grado elevato di raffinatezza e sofisticazione letteraria. Richiamo alla lirica greca arcaica = scelta programmatica; volontà di distinguersi dall’alessandrinismo dei neòteroi. Ciò non significa che la sua lirica prescinda dall’esperienza ellenistica da cui infatti deriva un vasto repertorio di temi, immagini, situazioni. Temi e caratteristiche della lirica oraziana Consolidata e corretta è l’immagine di Orazio poeta dell’equilibrio sereno, distacco dalle passioni, dalla moderazione. > importanza del ruolo svolto nella lirica oraziana dalla moderazione e dalla cultura filosofica. > assimilazione, anche attraverso la tradizione diatribica, di concetti e problemi delle scuole filosofiche ellenistiche, rendendo diversa la gnomica oraziana da quella della lirica greca arcaica. L’ode proemiale, dedicata a Mecenate, svolge un tema tipico della lirica ma anche della filosofia morale e diatribica, il catalogo delle scelte di vita. Il punto centrale è la coscienza della brevità della vita, l’esigenza di appropriarsi delle gioie del momento senza perdersi in speranze, progetti, paure > esortazione a Leuconoe, 1,11, > carpe diem > non un banale invito al godimento, l’aspirazione al piacere è basata sulla consapevolezza della caducità del piacere stesso e della vita umana. Meditazione che si traduce talora in canto della propria serenità > felicità dell’autàrkeia, condizione del poeta- saggio libero dai tormenti della follia umana e benedetto dalla protezione degli dèi. Favore divino > trasforma in miracolo circostanze della vita quotidiana ed è connesso alla vocazione del poeta = gli dèi e le Muse salvano Orazio per riservarlo a quel destino. Per Orazio la poesia è l’unica forza capace di salvarlo dalla caducità umana > si abbandona all’esaltazione per aver scritto carmi immortali > chiusa dei primi tre libri (3,30). Saggezza, equilibrio, serenità, padronanza di sé, l’aura mediocritas di chi sa fuggire gli eccessi e adattarsi alle fortune, non sono un possesso sicuro. Orazio non ignora la forza insidiosa delle passioni. La saggezza si scontra così con i dati immutabili della condizione dell’uomo nel mondo > fugacità del tempo, vecchiaia, morte > si può solo ingaggiare con il dolore una lotta per trasformarlo in accettazione del destino. (tenere i propri scritti nel cassetto per 9 anni), colta (v. 268: leggere e rileggere i grandi modelli greci) e attenta (coerenza e convenienza o decorum). Orazione ha così occasione di disegnare tracciati di storia della cultura e della letteratura sia greca che romana, di aprire squarci sulla vita quotidiana del letterato romano e dei circoli letterari della capitale (epistola a Floro). 2.6 La fortuna di Orazio La sua fortuna, iniziata prestissimo, conoscerà fino ai nostri giorni, poche significative cadute. Precoce ingresso nelle scuole nella prima età imperiale, intensa attività di commentatori e editori > edizione curata in età neroniana dal grammatico Marco Valerio Probo. Nel Medioevo fu ben conosciuto a partire dall’età carolingia. Si apprezzava soprattutto il poeta moraleggiante da cui estrarre massime di saggezza per i florilegi e si leggevano in particolare le Epistole e le Satire. Nella Divina Commedia “Orazio satiro” è fra i poeti del limbo. Orazio lirico, imitato da Petrarca, venne esaltato a partire dall’età rinascimentale per divenire modello incontrastato della letteratura di stampo classicista; punto di riferimento insostituibile nelle discussioni di poetica e di letteratura dagli umanisti in avanti. Sotto Luigi XIV, Boileau consacrò la preminenza di Orazio componendo Satire, Epistole e un’Arte poetica, manifesto del classicismo francese. Il Settecento fu un vero e proprio secolo oraziano: la cultura illuminista e arcadica ammirava il poeta lirico elegante e raffinato, il razionalista arguto, il moralista pungente. Subì in età romantica una svalutazione ma restò sempre caro a poeti di formazione classica, come Leopardi. Carducci > Odi barbare > nuova stagione della fortuna oraziana. 3. L’ELEGIA: TIBULLO E PROPERZIO 3.1 Caratteri generali dell’elegia Quintiliano fornisce il suo “canone” degli autori più rappresentativi dell’elegia: Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio. Il periodo di massima fioritura dell’elegia, a Roma soprattutto come poesia d’amore, dai tratti marcatamente soggettivi, è la seconda metà del I secolo a.c.. Elegia, nell’antica letteratura greca, indicava un componimento poetico il cui metro era l’èlegos (distico elegiaco, esametro + pentametro dattilico). Si ignora l’esatta etimologia. Originaria della Ionia, dal VII secolo si diffonde e trova impiego in svariate occasioni della vita pubblica e privata. > componimenti di carattere guerresco, esortatorio, polemico, politico e moraleggiante, erotico. Doveva essere usata anche come espressione di lutto, nelle lamentazioni funebri > Antimaco di Colofone, Lide > vicenda personale, morte della donna amata, serve al poeta per rievocare e narrare diversi miti di amore tragico, istituendo così la connessione fra autobiografia e mito e introducendo nell’elegia, col mito, quello che ne sarebbe stato un elemento costante e caratterizzante. È sul modello di Antimaco che alcuni poeti ellenistici riunirono alcuni componimenti elegiaci sotto un nome di donna. Origini elegia latina > tesi di una derivazione diretta da quella ellenistica generalmente rifiutata. Insoddisfacente anche l’ipotesi che vedeva nell’elegia latina uno sviluppo dell’epigramma greco. L’influenza dell’epigramma (carattere soggettivo, situazioni e motivi), pur evidente, non giustifica la presenza e la funzione del mito nell’elegia latina. Il soggettivismo che contraddistingue l’elegia latina non era assente in quella greca, né arcaica né alessandrina, che conteneva in nuce un elemento autobiografico, un collegamento accennato tra le avventure degli eroi e le vicende personali del poeta. L’elegia latina svilupperà fortemente questo aspetto, conservando tratti oggettivi, gnomici, che generalizzano la storia personale in una visione più ampia, e darà spazio a elementi assorbiti da altri generi letterari fino a configurarsi nei suoi specifici tratti distintivi. Poesia autobiografica, insiste nel proclamare il suo radicamento nella concreta esperienza soggettiva del poeta, tende a inquadrare le singole esperienze in forme e situazioni tipiche, secondo moduli ricorrenti > universo elegiaco con ruoli e comportamenti convenzionali con un suo codice etico, un’ideologia aggregata attorno ai suoi valori fondanti. L’amore, per il poeta elegiaco, è l’esperienza unica e assoluta che riempie l’esistenza e le dà senso > àristos bìos, perfetta forma di vita che, scelta in contrapposizione ad altri modelli etici, proclamala sua superiorità e la raggiunta autàrkeia. La vita del poeta dedita all’amore si configura come servitium, schiavitù di fronte alla domina, capricciosa e infedele. La relazione con lei è fatta di rare gioie e molte sofferenze. Il poeta si abbandona a una sorta di compiaciuta acquiescenza al dolore, arrivando solo occasionalmente al gesto della ribellione > renuntiatio amoris. Amarezze e delusioni lo portano a proiettare la propria vicenda nel mondo puro del mito o nella felice innocenza dell’età dell’oro, sublimarla assimilandola agli amori eroici della letteratura, trasferirla in un universo ideale e pienamente appagante. Prigioniero di un amore irregolare, alienante e infamante, conduce una vita di nequitia, degradazione, dissipazione; ripudia i suoi doveri di civis, i valori gloriosi del cittadino-soldato. È singolare che l’elegia recuperi, trasferendoli nel suo universo, i valori consolidati della tradizione, il mos maiorum, ai quali è ribelle. La relazione d’amore “irregolare” (solo cortigiane o donne “libere”, mai della società rispettabile) tende a configurarsi come legame coniugale, vincolato dalla fides, salvaguardato dalla pudicitia, diffidente della luxuria e delle raffinatezze cittadine. Ragioni dell’amore e dell’attività poetica si identificano > poesia che nasce dal poeta-amante deve al tempo stesso assolvere a una funzione pratica, servire come mezzo di corteggiamento con il miraggio della fame e della gloria immortale. Ne consegue una precisa scelta di poetica, il rifiuto della poesia elevata in favore della musa leggera, dai toni e contenuti ispirati all’immediatezza della passione. È qui evidente l’enorme debito della poesia elegiaca verso Catullo e la poesia neoterica, con la quale condivide la rivoluzione del gusto letterario. Da Catullo eredita soprattutto il senso della sua rivolta morale, il gusto dell’otium, della vita estranea all’impegno civile e politico tesa a coltivare gli affetti privati. > Eleganza formale e intensa partecipazione affettiva. 3.2 Cornelio Gallo e gli inizi dell’elegia latina Pochissime notizie, produzione poetica perduta. Nato attorno al 70 a.c. a Forum Iulii, nella Gallia Narbonese, fu a Roma condiscepolo e amico di Virgilio; durante le guerre civili si schierò dalla parte di Ottaviano, combattendo nel 30 in Egitto. Fu nominato preafectus Aegypti, ma poi cadde in disgrazia e subì la condanna all’esilio e la confisca dei beni. Morì suicida nel 26 a.c. Virgilio gli dedica la egloga X come dono di salvazione per l’amico malato d’amore. Fu autore di 4 libri di elegie, Amores, in cui cantava la sua passione per Licòride. L’elemento erotico era centrale nella sua poesia, come anche la dottrina mitologica e la minuta erudizione geografica. 1979 > ritrovamento papiraceo nelle sabbie egiziane > una decina di versi che sembrano confermare l’ipotesi che vede in Gallo l’iniziatore della poesia elegiaca latina. Compaiono in questi elementi fondanti del genere > la donna occupa una posizione centrale come fonte di ispirazione e destinataria della poesia, l’amante dichiara la sua condizione di schiavo della domina, padrona della sua esistenza, è presente il termine nequitia, si rileva la poetica del corteggiamento mediante la poesia. 3.3 Tibullo La vita e le opere Albio Tibullo, nato forse fra il 55 e il 50, nel Lazio rurale, sarebbe morto intorno al 19 o agli inizi del 18 a.c. Di famiglia agiata, apparteneva al ceto equestre e fu molto amico di Messalla Corvino, uomo politico repubblicano che riuscì a conservare una posizione di prestigio anche sotto il regime augusteo. Raccolta eterogenea di elegie, il Corpus Tibullianum, in tre libri, che unisce a componimenti autentici (primi due libri), poemetti spurii e testi di altri autori. Provenienza di tutti i testi dallo stesso ambiente culturale > circolo di Messalla. Il canzoniere di Tibullo è dominato dalla figura della donna amata, Delia (pseudonimo di Plania). Lo pseudonimo doveva avere la stessa quantità sillabica e alludere al nome reale: Delia, dal greco dèlos, chiaro, traduce in qualche modo Plania, da planus, semplice, chiaro. La donna, secondo la convenzione del genere elegiaco, è volubile, capricciosa, amante del lusso e dei piaceri mondani. La relazione con il poeta è tormentata, insidiata dai rischi del tradimento. Nel II libro compare una seconda figura femminile, Nèmesi, “Vendetta”, dai tratti più aspri, cortigiana avida e spregiudicata che ha scalzato Delia dal cuore del poeta. Il mito della pace agreste Noto come poeta dei campi, della serena vita agreste. Elegia d’apertura del I libro > scelta di vita del pauper agricola, figura ideale del contadino dai beni modesti, ma capace di vivere con intensità l’amore e di farne poesia. Non manca la vita cittadina, che fa da sfondo all’intrecciarsi degli amori e degli intrighi. Centralità del mondo agreste >>> tendenza tipica della poesia elegiaca è quella di costruirsi un mondo ideale, uno spazio di evasione, rifugio dalle amarezze di un’esistenza tormentata. In Tibullo è assente però il mondo del mito e la sua funzione è svolta dal mondo agreste. La campagna tibulliana è uno spazio di idillica felicità, di vita semplice e serena. Tibullo fa di questo spazio il luogo del rimpianto e del desiderio, lo vagheggia come scenario perduto di una remota e felice età dell’oro e come approdo sperato. Altro tema dominante > pace. L’antimilitarismo, l’esecrazione della guerra e dei suoi orrori, si accordano con il vagheggiamento di questo mondo ideale, popolato da persone semplici. > tratti dell’idillio bucolico in cui si avverte l’influenza virgiliana. La campagna di Tibullo rivela il suo carattere italico, con il patrimonio di antichi valori agresti celebrati dall’ideologia arcaizzante del principato. Intima adesione ai valori tradizionali e atteggiamento antimodernista. Tibullo “poeta doctus” La sua familiarità con l’opera dei grandi poeti ellenistici doveva essere notevole come confermano molti tratti che la sua poesia sembra condividere con quella alessandrina. Poeta doctus > il suo stile rivela regolarmente lo sforzo di una scrittura attentissima, in cui la semplicità stessa è risultato laborioso di una scelta artistica, segno di una fiducia nella potenza espressiva delle parole che non richiede torsioni del discorso o intensificazioni patetiche. A questa limpidezza e apparente spontaneità espressiva, corrisponde una voce misurata, senza esasperazioni. Il ritmo ha una certa lieve cantabilità, una cadenza regolare, che acquista quasi la risonanza di una rima > suono che chiude la seconda metà del pentametro riecheggia la chiusa della prima > influenzerà il distico elegiaco ovidiano. Stile semplice e luminoso, sciolto e raffinato. Purezza lessicale, fluida movenza dei pensieri, toni tenui e delicati, mollemente sognanti, parsimonia di dottrina mitologica, sorriso lievemente ironico > fascino della maturità stilistica e della naturalezza espressiva. morte. Un aspetto importante nel libro IV è la rivalutazione dell’eros coniugale, l’esaltazione degli affetti familiari e delle virtù domestiche, della castità e della tenerezza. La densità dello stile Il suo stile si configura per la concentrazione, la densità metaforica, sperimentazione costante di nuove possibilità espressive. L’eredità callimachea si manifesta anche nella ricerca attenta della iunctura insolita, audace, della struttura sintattica complessa. Tratto più tipico dello stile di Properzio > esordire ex abrupto, procedere per movimenti improvvisi, per scatti, immagini e concetti senza esplicitare i collegamenti, seguendo una logica interna e segreta. Forma espressiva che alterna e mescola ironia e pathos (abbondanza di interrogazioni, esclamazioni, interiezioni), aspra eleganza, complessità degli atteggiamenti psicologici > fascino esercitato sui lettori moderni. La fortuna di Properzio Successo immediato e duraturo > grande influsso sulla poesia dei secoli successivi. Nel Medioevo la sua presenza è debole e sporadica, per farsi di nuovo sensibile nella poesia umanistica. Dopo Ariosto, Tasso, Ronsard, è soprattutto nel Settecento neoclassico che la poesia di Properzio conosce più ampia diffusione e fortuna, per toccare con Goethe il suo punto più alto. Nel nostro secolo > Ezra Pound > Homage to Sextus Propertius. 4. OVIDIO 4.1 La vita e le opere Publio Ovidio Nasone nasce al Sulmona (nell’attuale Abruzzo), nel 43 a.c. da un’agiata famiglia equestre. Dopo aver ricoperto cariche politiche minori, entra nel circolo poetico di Messalla Corvino. Qualche anno dopo il 20 pubblica opere a sfondo amoroso, in distici elegiaci > Amores > raccolta di elegie, cinque libri; Heroides > “lettere delle eroine”, componimenti epistolari che si immaginano scritti da figure femminili del mito ai loro amanti. Tra il 12 e l’8 compose una tragedia di grande successo, la Medea, perduta; tra l’1 a.c. e l’1 d.c. pubblicazione dei primi due libri dell’Ars amatoria, poemetto in distici elegiaci contenente insegnamenti sull’amore. Successivamente > Remedia amoris > ironico controcanto dell’Ars, come liberarsi dall’amore. Medicamina faciei femineae, “i cosmetici delle donne”, in distici elegiaci. Fra il 2 e l’8 > quindici libri delle Metamorfosi (Metamorphòseon libri), poema epico in esametri che seguendo il motivo delle trasformazioni passa in rassegna buona parte del repertorio mitico. Poco dopo escono i Fasti, distici elegiaci, usi e tradizione romane legate al calendario. Nell’8 d.c., all’apice della sua carriera, viene condannato da Augusto alla relegazione sul mar Nero, nella città di Tomi, forse a causa di un coinvolgimento del poeta nello scandalo dell’adulterio di Giulia, nipote di Augusto. A questo periodo risalgono varie opere, tutte in distici elegiaci, di tono lamentoso e apologetico. > cinque libri dei Tristia e quattro delle Epistulae ex Ponto. Anni 11-12 > poemetto di invettive, l’Ibis. Morirà a Tomi nel 17-18 d.c. 4.2 Poesia e vita reale in Ovidio Ultimo dei poeti augustei, Ovidio resta sostanzialmente estraneo alla tragedia delle guerre civili. Quando entra nella scena letteraria, la pace è consolidata e cresce l’aspirazione a modelli di vita più rilassata, un costume meno severo. Di queste aspirazioni Ovidio si fa interprete senza contrapporsi rigidamente al regime e alle sue direttive ideologiche, elaborando un tipo di poesia che corrisponda al gusto e allo stile di vita del suo tempo. La carriera poetica di Ovidio sembra tradire il giuramento e il servizio d’amore richiesti dall’elegia: si cimenta in tutti i generi importanti della letteratura (elegia, epos, epistola, tragedia) manifestando una diversa concezione del rapporto tra vita e letteratura. Poeta pieno di ironie e scetticismi, non crede troppo che la poesia imiti la vita, riproduca esperienze biografiche “reali” o eventi realmente accaduti. Contrario alla tradizione aristotelico-oraziana, secondo la quale la poesia imita la vita, privilegia gli effetti fantasiosi e inventivi dell’effetto estetico >>> atteggiamenti provocatori, come l’esibizione della natura letteraria di ciò che egli racconta: l’avventura amorosa di cui si dice protagonista, la leggenda mitica, lo interessano come fatti letterari. La letteratura diventa una sorta di forza autonoma che ha in sé i suoi modelli, capace di guardare al mondo delle cose attraverso lo specchio di sé stessa e delle proprie codificazioni, e che trova in sé la possibilità di intervenire sulla realtà, arricchendone le rappresentazioni. 4.3 Gli Amores Raccolta di elegie di soggetto amoroso che mostra ancora le tracce dei grandi modelli e maestri dell’elegia erotica, Tibullo e soprattutto Properzio. Accanto a poesie di occasione (epicedio per la morte di Tibullo) o di schietto stampo alessandrino (elegia per la morte del pappagallo della sua donna), avventure d’amore, incontri fugaci, serenate notturne, baruffe con l’amata, scenate di gelosia, proteste contro la sua venalità o i suoi capricci, le sue durezze e i suoi tradimenti ecc. Novità più vistosa > mancanza di una figura femminile che costituisca il centro unificante dell’opera e della vita del poeta. Corinna, la donna che Ovidio evoca con uno pseudonimo greco, è una figura tenue, dalla presenza intermittente e limitata, che si sospetta non avesse nemmeno una sua esistenza reale. Il poeta stesso dichiara di non sapersi appagare di un unico amore e di subire il fascino di qualunque donna bella. Alla funzione della figura femminile che appare un residuo convenzionale del genere elegiaco, corrisponde uno stemperamento di quel pathos che aveva caratterizzato la poesia d’amore precedente. il dramma diventa in Ovidio poco più di un lusus e l’esperienza dell’eros è analizzata dal poeta con il filtro dell’ironia e del distacco intellettuale. Scarsa presenza negli Amores del motivo del servitium amoris che ha in Ovidio una funzione assai limitata, mentre è notevole che un’intera elegia, e in posizione di spicco (1,2) sia dedicata alla professione di servitium nei confronti di Amore (non la singola donna ma l’esperienza d’amore in sé diventa centrale). 4.4 La poesia erotico-didascalica Tre opere successive si allontanano dalla letterarietà del mondo elegiaco. Il nuovo ciclo poetico (Ars amatoria, Medicamina faciei, Remedia amoris) appartiene al genere del manuale, libro che impartisce precetti e consigli utili in materia d’amore. Ovidio pratica, del sapere d’amore, un’arte cinica e smaliziata; suo modello non è la passione dell’innamorato sofferente ma la furbizia della mezzana, la ruffiana esperta d’amore, la cui profonda conoscenza deriva dall’osservazione degli innamorati. La relazione d’amore costituisce un gioco intellettuale, un divertimento galante soggetto a un insieme di regole sue proprie. Ars > 1 = modi di conquistare le donne, 2 = conservarne l’amore, 3 = sedurre gli uomini. Ovidio descrive i luoghi d’incontro, gli ambienti mondani della capitale, i momenti di svago e passatempo, le occasioni più varie della vita cittadina in cui mettere in atto la strategia della seduzione. La veste formale è quella del poema didascalico (modelli > Lucrezio, Georgiche virgiliane), da cui Ovidio mutua moduli, movenze, schemi compositivi; l’andamento precettistico è interrotto qua e là da inserti narrativi di carattere mitologico e storico per esemplificare la validità dei precetti. Perfetto amante = disinvolta spregiudicatezza, insofferenza e impertinente nei confronti della morale tradizionale, dell’antico costume quiritario. Il carattere libertino è solo la veste scintillante e seducente dell’opera. Proprio nel farsi lusus, divertita avventura dell’intelletto, l’eros ovidiano perde ogni impegno etico, ogni velleità di ribellione contro la morale dominante. Reclama una zona franca in cui sospendere la severità di una regola morale ormai inadeguata al costume della metropoli ellenizzata. Più che nutrire sentimenti di ribellione, coltiva ambizioni di segno contrario: nel negare l’impegno totalizzante della precedente poesia d’amore, tenta una sorta di riconciliazione della poesia elegiaca con la società in cui essa si radica indiando nell’armonioso complementarità delle forme di vita, della sfera privata e di quella civile, la via migliore per un’appagata adesione al presente. Accetta lo stile di vita della Roma augustea, capitale del bel vivere e dei consumi, dello splendore urbanistico. Esaltazione del cultus, degli agi e delle raffinatezze, a cui risponde anche il poemetto sui cosmetici per le donne che si oppone al tradizionale rifiuto della cosmesi e illustra la tecnica di preparazione di alcune ricette di bellezza. Remedia amoris > contraddice il motivo, topico nella poesia erotica, della immedicabilità del male d’amore, affermando che è possibile sottrarsi all’amore e che lo si deve fare qualora esso comporti sofferenza > esito estremo della poesia elegiaca, chiude simbolicamente la breve e intensa stagione. 4.5 Le Heroides Altra grande fonte della poesia ovidiana è il mito: prima delle Metamorfosi, l’opera che più di esso si alimenta sono le Heroides > raccolta di lettere poetiche. La prima serie, da 1 a 5, è scritta da donne famose, eroine del mito greco (ma anche Didone e un personaggio storico, Saffo) ai loro amanti o mariti lontani: Penelope a Ulisse, Fillide a Demofoonte, Briseide ad Achille, Fedra a Ippolito, Enone a Paride, Didone a Enea, Ipsipile a Giasone, Ermione a Oreste, Deianira a Ercole, Arianna a Teseo, Canace a Macareo, Medea a Giaosone, Laodamia a Protesilao, Ipermestra a Linceo, Saffo a Faone. La seconda serie, da 16 a 21, è costituita dalle lettere di tre innamorati accompagnate dalla risposta delle rispettive donne: Paride ad Elena, Ero e Leandro, Aconzio e Cidippe. Non abbiamo testimonianza di raccolte di lettere poetiche di soggetto amoroso prima di Ovidio. La scelta della forma epistolare imponeva vincoli precisi; le varie lettere si configurano come monologhi e tendono a ripetere una situazione tipica della letteratura ellenistica, quel lamento della donna abbandonata che aveva ispirato l’epillio catulliano di Arianna. Il senso delle Heroides sta soprattutto nel gioco letterario consistente nella transcodificazione dei testi. Materiali narrativi tratti dalla tradizione epica e tragica vengono riscritti secondo le regole del genere elegiaco. > adeguamento formale, deformazione e reinterpretazione dei testi. Il codice elegiaco agisce come un filtro che riduce al proprio linguaggio ogni altro possibile tema. Le eroine alludono chiaramente all’atto della propria scrittura epistolare, pratica che implica riflessione e ordine, calma esposizione e limpida argomentazione. La lettera ovidiana imita l’andamento del pezzo scenico appassionato, il monologo tragico della “prima donna”: percorso di pensieri desultorio, alternanza di diversi e contraddittori stati d’animo, ripensamenti, invocazioni all’amante lontano come flash-back della memoria. Nell’analisi degli stati tragici e della psicologia Ovidio deve molto ai soggetti della tragedia greca, La fortuna di Ovidio nella cultura europea è stata immensa fino al Romanticismo. Criticato per ragioni di stile, per il suo gusto del virtuosismo gratuito, ebbe scarsa diffusione nelle scuole antiche di grammatica e anche fra i retori. Ebbe imitatori già in vita ed esercitò un’influenza molto vistosa sui poeti immediatamente successivi fino a tutta la tarda antichità, da Seneca a Lucano, da Stazio a Valerio Flacco, da Ausonio a Claudiano (minore fu l’influsso sui poeti cristiani). Noto nel Medioevo e in età carolingia, vedrà fiorire la sua fortuna nei secoli successivi > aetas Ovidiana. L’influsso delle sue operesi estenderà da Dante, Petrarca, Boccaccio all’Ariosto, al Marino e oltre. Dopo il Romanticismo tornerà ad affascinare d’Annunzio e a farsi nuovamente apprezzare dal gusto di questi ultimi decenni per la sua poesia elaborata e riflessa. 5. LIVIO E GLI ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA 5.1 La vita e le opere di Livio Tito Livio nacque a Padova nel 59 a.c. A Roma entrò in relazione con Augusto ma senza partecipare alla vita pubblica. 27-25 > opera storica Ab urbe condita libri. 142 libri, restano i primi dieci (fatti più antichi della storia romana fino al 293 a.c.) e quelli dal 21 al 45 (anni 218-167, dalla seconda guerra punica fino alla guerra contro la Macedonia). La narrazione iniziava dalle origini mitiche di Roma per arrivare al 9 a.c. 5.2 Il piano dell’opera di Livio e il suo metodo storiografico Torna alla struttura annalistica che aveva caratterizzato fin dall’inizio la storiografia romana, rifiutando l’impianto monografico delle prime opere di Sallustio. La narrazione di ogni impresa si estende per l’arco di un anno al compiersi del quale viene sospesa per raccontare altri avvenimenti contemporanei. Livio pubblicò l’opera per gruppi di libri comprendenti periodi distinti, premettendo introduzioni ad alcuni con i quali si apriva un nuovo ciclo. > una delle più celebri > proemio con cui si apre la terza decade, relativa alla seconda guerra punica. Livio ampliava la propria narrazione mano a mano che si avvicinava all’epoca contemporanea > questa dilatazione corrispondeva alle aspettative dei lettori, maggiormente interessati alle vicende più recenti e alla crisi politico-sociale da cui era emerso il principato augusteo. Le fonti utilizzate da Livio furono numerose > prima decade > c’erano a disposizione quasi solo gli annalisti: ricorso a Valerio Anziate, Licinio Macro, Claudio Quadrigario). Decadi successive sull’espansione di Roma in Oriente, grande storico greco Polibio da cui attinse soprattutto la visione unitaria del mondo mediterraneo e dei legami fra Roma e i regni ellenistici. Sporadico l’uso delle Origines di Catone. Non sembra procedere a un attento vaglio critico delle fonti e mostra una scarsa attenzione a colmare le lacune della tradizione storiografica con il ricorso a documentazione di altro genere > fama di exornator rerum, preoccupato soprattutto di amplificare e adornare la traccia che trovava nella propria fonte tramite una drammatizzazione piena di varietà e movimento. Gli è stata rimproverata la sua condizione di storico letterato che lavora soprattutto di seconda mano sulla narrazione di storici precedenti > mancanza di una concreta pratica politica che oltre a permettere l’accesso a fonti riservate, acta senatus, implica spesso un’esperienza amara e deludente, capace di dar luogo a un giudizio personale e approfondito anche sugli eventi del passato. > tesi eccessiva. 5.3 L’atteggiamento nei confronti del regime Livio pose al centro dei suoi interesse le vicende del popolo romano, sulla base delle quali dovevano essere interpretati gli eventi della storia universale. Afferma talvolta di volersi limitare alle res populo Romano gestae > atteggiamento che lo porta a non rispettare l’oggettività storica per giustificare l’imperialismo romano. Questa impostazione era caratterizzata da una specifica ideologia di matrice repubblicana che gli valse da parte di Augusto l’epiteto scherzoso di “pompeiano”. La simpatia per gli ideali filorepubblicani non destava, in età augustea, particolari fastidi. > Augusto era più desideroso di presentarsi come restauratore della repubblica che come erede di Cesare. Su un tema delicato come quello della libertas, lo stesso Livio si dimostra moderato. > esalta la libertà se si tratta dei greci; ma nell’affrontare, nel libro II, l’evento capitale della cacciata dei Tarquini, il giudizio di Livio si fa più attento e circospetto: la libertà deve essere concessa al popolo a tempo debito e senza precipitazione. Frequente esecrazione liviana verso i mali della demagogia > coerente con un nuovo regime che rivendicava il merito di aver ristabilito la concordia sociale eliminando i partiti. L’opera di Livio è piena di grandi exempla di virtù, che non rispondono a finalità puramente retoriche ma soddisfano profonde esigenze di rinnovamento morale e civile. Il consenso liviano al regime non si traduce in un’adesione incondizionata. > praefatio al primo libro > dichiara di cercare, nel ricordo della grandezza della virtù repubblicana, una consolazione, fuga dai mali del presente. Il principato non risulta la risoluzione ai mali della società romana. Afferma che Roma non è in grado di sopportare né i propri mali né i rimedi contro essi > resta estraneo a quella ideologia che insiste sul valore carismatico del principato, realizzazione di una nuova età dell’oro. 5.4 Lo stile della narrazione liviana Si oppose nettamente a Sallustio avvicinandosi a Cicerone. Stile ampio e fluido, senza artifici e senza restrizioni, che evita ogni asperitas e ha nella limpida chiarezza dei periodi il suo caratteristico candor. Livio sa conferire al proprio stile anche duttilità e varietà > nella prima decade sono più cospicue le concessioni al gusto arcaizzante, nelle parti successive si fanno predominanti i canoni del nuovo classicismo. Lascia largo spazio alla drammatizzazione del racconto > narrazione delle vicende tragiche di alcuni personaggi, delle battaglie, delle sommosse popolari, nei resoconti dei dibattiti in senato. La passione moralistica della concezione liviana della storia (non studio politico ma narrazione da condurre in termini di personalità umane e di singoli individui rappresentativi), deve aver molto risentito della tradizione storiografica ellenistica (stile “tragico”). La historia, da ricerca della verità diviene esposizione drammatica della storia e può farsi vera e propria attività retorica, rientrare nella categoria del letterario. Il suo scopo consiste nel dimostrare l’importanza decisiva dell’impatto sugli avvenimenti di qualità mentali e morali. Cerca di apparire testimone immerso nei drammi che racconta e dà perciò una serie di notazioni parziali di cui sarebbe difficile garantire l’esattezza. La sua scrittura è simpatetica, come dettata da un coinvolgimento diretto dell’autore. Le sue doti letterarie lasciano ammirare il senso della gradazione e della composizione, l’arte della frase costruita, le qualità impressionistiche profuse nella rappresentazione di grandi scene di massa. Il modello a cui guarda è quello teorizzato da Cicerone nel secondo libro del De oratore > stile che pur con una certa varietà di toni costituisce un discorso eloquente, fatto di periodi dalla sintassi ampia e scorrevole, concinni. Esplicita era l’avversione di Livio per la scrittura di Sallustio, brusca, ellittica, secca fino a diventare oscura, carica della passione di chi vuole giudicare i fatti. Tuttavia, la concezione ciceroniana della scrittura storiografica come forma di eloquenza oratoria (opus oratorium maxime) si traduce in Livio in un periodare carico e involuto. Il periodo liviano si attende di essere letto, così l’importanza dello stile si fa preponderante perché determina la forma del rapporto che l’opera stabilisce con il pubblico. 5.5 La fortuna di Livio Nonostante la prevalenza nell’antichità del modello sallustiano e tacitiano, a lui attinsero gli storici posteriori greci e romani, e poeti come Lucano e Silio Italico. L’enorme mole dell’opera fece sì che se ne allestissero delle “epitomi”, redazioni concise e abbreviate. Livio continua ad essere letto nonostante un certo declino della sua fortuna nel primo Medioevo. Dante lo collocò fra i grandi prosatori nel De vulgari eloquentia; Petrarca ne trasse ispirazione per alcuni episodi dell’Africa; Boccaccio compì un volgarizzamento della terza e quarta decade. Gli umanisti si metteranno alla ricerca dei libri perduti > 1527 > ritrovati i libri 41-45; 1615 > 33. 5.6 Storiografia do opposizione e storiografia del consenso Tra gli autori latini di cui abbiamo perduto quasi interamente le opere sono molti i nomi degli storici dissidenti attivi nella prima età del principato. Asinio Pollione era stato un potente personaggio politico cesariano e il secondo per importanza nel partito di Antonio dopo la morte di Cesare. Prima di Azio si ritirò dalla vita politica mantenendo una notevole indipendenza dal regime di Augusto, fino al 4 d.c. viene menzionato dagli antichi per lo stile duro, caratterizzato da un atticismo severo. Sua opera storica > Historiae > copriva un periodo recentissimo, dalla data del primo triunvirato alla battaglia di Filippi (60-42 a.c.). Pompeo Trogo > Historiae Philippicae > compendio compilato da un certo Giustino nel II o III secolo d.c. l’opera voleva essere una storia universale degli antichissimi tempi di Babilonia fino ai giorni dell’autore; dedicava ampio spazio all’impero macedone di Filippo e poi di Alessandro Magno. S’intravede una concezione totalmente diversa da quella di Livio, che prende in considerazione gli altri popoli solo nella misura in cui fronteggiano Roma. Negli ultimi anni di Augusto e sotto Tiberio, la corrente più vitale della storiografia è quella dominata dagli orientamenti ostili al principato. > Tito Labenio > opera condannata al rogo nel 12 d.c., come successe anche agli Annales di Cremuzio Cordo, che esaltavano l’uccisione di Cesare. > l’opera venne salvata mentre Cremuzio si suicidò rifiutando di aspettare l’esito del processo. Velleio Patercolo > tendenza storiografica diversa > Historiae ad Marcum Vinicium > due libri, dai tempi più remoti fino all’età contemporanea, panegirico della sagacia politica e delle capacità militari di Tiberio. Velleio aveva combattuto con Tiberio nelle campagne contro i germani, e fu il portavoce della classe militare, lealista verso l’imperatore. Nelle sue Historiae > attenzione alla storia culturale e alle modificazioni del costume, senza il consueto pregiudizio moralistico romano. Sostegno al regime tiberiano > Valerio Massimo > Factorum et dictorum memorabilium > nove libri, 31-32, raccolta di exempla, prontuario di vizi e virtù destinato all’uso delle scuole di retorica. Quinto Curzio Rufo > Historiae Alexandri Magni > dieci libri, scritti forse sotto il regno di Claudio, poco dopo la morte di Caligola. legittimazione di gusti e tendenze diffuse tra le masse popolari che egli utilizza per ottenere consenso e favore e legittimare quello che di ellenistico e assoluto era nel suo regime. La moda dei pubblici agoni poetici si acuisce sotto il principato dei Flavi ma l’avvento della nuova dinastia imperiale segna un’inversione di rotta rispetto agli indirizzi culturali di Nerone. I Flavi oppongono un programma di restaurazione morale e civile. > ritorno all’esaltazione dei valori tradizionali > sul piano letterario spiccano due fenomeni: ripresa della poesia epica; per la prosa assurgere di Cicerone a modello di una maniera stilistica ma anche di un’educazione fondata sulla retorica (istituzione delle prime cattedre statali di retorica sotto Vespasiano). Restano comunque forti nella letteratura d’età Flavia le tracce del gusto impostosi nella prima parte del secolo; le aspettative di una ripresa del mecenatismo vengono deluse > lamentela di Marziale o vicende di Stazio, poeti di successo ma impossibilitati a vivere della propria arte. Letteratura e teatro Tra il regno di Nerone e l’età Flavia il teatro torna a godere di immensa fortuna. Pantomima, genere spettacolare preferito = rappresentazione in cui un attore cantava, accompagnato dalla musica, il testo del libretto. Il secondo attore, mascherato, mimava la vicenda. Caratteristico era il realismo nella rappresentazione di certi effetti. Cultura e spettacolo: declamationes e recitationes Declamationes > orazioni che i retori pronunciano nelle sale per intrattenimento, staccate da una situazione giudiziale o politica concreta > testimonianza preziosa di Seneca il Vecchio > opera Oratorum et rhetorum sententiae divisiones colores = frutto dei ricordi di scuola e indirizzata ai figli, presenta un quadro dell’attività oratoria e dei principali retori del suo tempo. Il titolo elenca i tre caratteri che distinguono lo stile dei singoli retori: sententiae =frasi di tipo epigrammatico destinate a colpire e impressionare; divisiones = diverse articolazioni giuridiche della vicenda; colores = coloriture stilistiche con cui i declamatori presentano personaggi e situazioni. Illustra i due tipi di esercizi più in voga durante le recitazioni: la controversia = dibattimento, da posizioni contrapposte, di una causa fittizia, intricata, romanzesca; la suasoria = tentativo di orientare l’azione di un personaggio famoso, preso dalla storia oppure dal mito. Scopo dell’oratore non è tanto quello di convincere quanto quello di stupire il suo uditorio. Ricerca dell’effetto e dell’applauso che si serve di uno stile brillante e prezioso riportabile alla tendenza asiana, anche se Seneca scrive un’antologia, riportando le orazioni solo per estratti significativi e quindi accentuando l’impressione di istrionismo e artificiosità sentenziosa. Recitationes > inizio dato da Asinio Pollione; lettura di brani letterari davanti a un pubblico di invitati. >>> trasformazioni nel campo della produzione letterari che divenendo un bene d consumo per sale pubbliche o teatri acquisisce tratti spettacolari; letteratura come spettacolo, esibizione d’ingegno. Poemi costruiti come una serie di “pezzi di bravura” tesi a strappare l’applauso. Componente caratteristica della letteratura di questo periodo è l’abuso di artifici retorici (definita “argentea” per indicarne il declino rispetto all’età “aurea” di Augusto), che si caratterizza anche per una componente anticlassicista, chiara sia nella scelta dei contenuti (temi e soggetti insoliti, esotici, spettacolari) sia nelle forme (toni cupi e patetici, tinte espressionistiche). 1. I GENERI POETICI NELL’ETÀ GIULIO-CLAUDIA 1.1 Poesia minore della generazione ovidiana: la poesia astronomica Alla caduta delle grandi tensioni progettuali che animavano la letteratura augustea si accompagna l’interesse per generi letterari minori, come l’epillio, la bucolica, l’epigramma e il ritorno alla preferenza per i modelli della poesia alessandrina. A questo neoalessandrinismo è riconducibile anche la contemporanea poesia astronomica, che si ispira ad Arato, autore dei Fenomeni e in parte a Virgilio delle Georgiche. Una nuova traduzione del poemetto di Arato è dovuta a Germanico, figlio adottivo di Tiberio. Astronomica > cinque libri di esametri di Manilio, dedicati all’astronomia, con una descrizione del cosmo che comprende le ipotesi sulla sua origine, le stelle, i pianeti, i circoli celesti, le comete. Caratteristiche dei segni dello zodiaco e possibilità offerte dalle loro congiunzioni. Modo di determinare l’oroscopo. Segni zodiacali e loro influsso sui caratteri umani. Costellazioni extrazodiacali. I secolo a.c. > dottrine astrali accolte ai più diversi livelli nel corpo della cultura ufficiale romana nonostante la diffidenza verso figure di astrologi-maghi. Poema di Manilio > più convinto tentativo di dare dignità poetica a questo filone di pensiero. Struttura del poema > sostenuta dalla ricerca di un ordine universale, una ratio cosmica che governa l’universo, secondo principi stoici. Manilio arriva a paragonare l’ordine delicato della natura alla struttura gerarchica della società romana. Volontà didascalica > modello lucreziano, nonostante la distanza che lo separa dal materialismo atomistico di Lucrezio. Emula Lucrezio soprattutto nella struttura espositiva e nel modo di disporre a materia per i libri. Manilio è il primo esponente di quella che si usa chiamare “latinità argentea” > esametro fluido e regolare che rivela l’influenza di Ovidio che si sente anche nel gusto sentimentale e rococò di certe digressioni mitologiche. Versificazione raffinata, tendenza alla brevitas e all’ellissi espressiva, difficoltà dei temi trattati. 1.2 L’Appendix Vergiliana Poesia minore del I secolo d.c. > piccoli componimenti che per essere stati anticamente attribuiti a Virgilio vengono denominati tutti insieme Appendix Vergiliana. La maggior parte presuppongono Virgilio e sono intrisi di stile ovidiano; non risalgono allo stesso periodo e sono di mani differenti. Alcuni tra i carmi > le Dirae (maledizioni) = poesia di invettiva, sul genere dell’ibis ovidiana, in esametri, sembra costituire una variazione sul tema delle confische dei campi; il Catalepton (alla spicciolata) = raccolta di piccoli testi a soggetti e metro variabili. > Gli epigrammi V e VIII potrebbero essere considerati autenticamente virgiliani. L’VIII si lega ai temi dell’esproprio di terre in favore dei veterani e dell’esilio: Virgilio lascia, con la famiglia, la terra natale per raggiungere Napoli, dove abiterà nella casa del maestro Sirone. Spiccano nell’Appendix due poemetti, il Culex e la Ciris. Culex (la zanzara) = epillio, racconta in esametri di un pastore addormentato che una zanzara ridestandolo con la sua puntura salva dal morso di un serpente. L’uomo ignaro la uccide e riaddormentandosi la sogna che si lamenta del torto e gli parla dell’oltretomba. Al risveglio le dà sepoltura. > idea che una zanzara compia una discesa nell’Ade = graziosamente parodica. Ciris (l’airone) = storia di Scilla che tradisce il padre, re di Megara, per amore del nemico Minosse e per punizione si trasforma in airone. Due bozzetti di ambientazione popolaresca > Copa (ostessa) e il Moretum (la focaccia). Elegiae in Maecenatem = testo di interesse storico-culturale, rievoca morte e personalità del più influente consigliere politico di Augusto. Risalgono a un periodo storico non lontano dalla morte di Mecenate (8 a.c.), Virgilio era morto 11 anni prima. Aetna = esperimento di poesia didascalica sul vulcano, si data fra l’età di Manilio e l’eruzione del Vesuvio (79 d.c.). 1.3 Fedro e la tradizione della favola Una voce isolata rispetto ai circoli altolocati è quella di Fedro. Nato forse intorno al 20 a.c. fu attivo sotto Tiberio, Caligola e Claudio e morì probabilmente verso il 50 d.c. Tra i letterati della prima età imperiale è l’unico di nascita non libera: pare fosse uno schiavo di origine Tracia, poi liberato dall’imperatore > espressione libertus Augusti con cui è citato nei manoscritti delle sue opere. >>> poco più di 90 favole divise in cinque libri, tutte in senati giambici. Alcuni libri paiono di una eccezionale brevità. Sicuramente genuine sono le favole raccolte nell’Appendix Perottina, dall’umanista Niccolò Perotti, curatore della raccolta. Altre favole si possono ricostruire da parafrasi in prosa ce ebbero fortuna nella tarda antichità. Posizione sociale modesta, poesia legata a un genere letterario minore e non raffinata. È tuttavia il primo autore, nella cultura greco-romana, che ci presenti una raccolta di testi favolistici concepiti come autonoma opera di poesia, destinata alla lettura. Le favole di Fedro sono poco originali, legate alla tradizione esopica. Il merito di Fedro sta nell’impegno costante e sistematico per dare alla favola una misura, una regola, una voce ben definita e riconoscibile. La tradizione esopica (storielle con personaggi animali e spunti umoristici, commenti di saggezza morale) si era fissata in Grecia intorno al IV secolo a.c. in raccolte letterarie che fossero composte in prosa. Si era affermato l’uso di una premessa e/o di una postilla = tema o morale della favola. Fedro rese sistematico quest’uso e creò una regolare forma poetica per la favola. Tipico di questo genere è l’uso di animali come “maschere”, personaggi umanizzati e dotati di una psicologia fissa e ricorrente. Quasi costante è la presenza di una morale. Le morali di Fedro manifestano un tratto originale > tono amareggiato con cui il poeta commenta la legge del più forte del mondo animale, sembra riportare il punto di vista delle classi subalterne della società romana, dando voce al mondo degli emarginati > istanza realistica > è assente un realismo descrittivo e linguistico (mondo delle favole astratto, generico, linguaggio asciutto e poco caratterizzato) ma negli accenti moraleggianti pare di cogliere un’autentica adesione alla mentalità delle classi umili e al senso comune popolare. Non mancano spunti di adesione alla realtà contemporanea anche con accentuazioni vicine alla satira. Non sempre si limita alla tradizione della fiaba di animali e talora sembra inventare di suo come nel racconto che ha per protagonista Tiberio, o quando ricava aneddoti dalla storia. Nei prologhi dei singoli libri manifesta notevole consapevolezza letteraria, difende il suo tipo di poesia, ne esalta le virtù (brevità, varietà, contenuto istruttivo), sottolinea la sua indipendenza dal modello esopico. Sembra che Fedro si sia trovato nei guai per certe sue prese di posizione > prologo III libro > poeta perseguitato da Seiano, potentissimo braccio destro di Tiberio. Fedro non manca di accenni polemici verso la società e giunge a rivendicare alla sua opera un certo carattere satirico. Le sue favole che vogliono essere divertenti e istruttive, preservano un genere popolaresco, reinterpretato alla luce di un’esperienza vissuta e di una mentalità che rimane per lo più esclusa dall’espressione letteraria alta. Non pare avesse grande successo, almeno preso il pubblico dotto. I suoi testi riscoperti nel XV secolo furono ripagati da notevole fortuna in età moderna. 1.4 I generi poetici in età neroniana né le forme monarchiche che ha ormai assunto; il problema è quello di avere un buon sovrano, il cui unico freno in un regime di potere assoluto sarà la sua stessa coscienza che lo dovrà trattenere dal governare in modo tirannico. Alla virtù della clemenza, atteggiamento di filantropica benevolenza si ispireranno i suoi rapporti con i sudditi. Così e non con il terrore egli otterrà consenso e dedizione. Il ritiro dalla vita pubblica, seguito al degenerare assolutistico del principato di Nerone e al crollo di ogni illusione sulla possibilità di guidarne l’azione porta Seneca a dedicarsi alla meditazione e alla contemplazione di cui farà un elogio nel De otio. In questa fase studiò anche scienze naturali > sette libri delle Naturales questiones, dedicati a Lucilio. Sono trattati fenomeni naturali e celesti, temporali, terremoti, comete. Frutto di un vasto lavoro di compilazione da variate fonti soprattutto stoiche (Posidionio). 2.4 La pratica quotidiana della filosofia: le Epistulae ad Lucilium Epistulae > scenografia tipica della scrittura epistolare antica; colloquio tra amici (con Gaio Lucilio giovane carico di dubbi che non sa come arrivare alla perfetta tranquillità interiore) che si scambiano impressioni e opinioni per migliorarsi. Sono lontani, Lucilio è in Sicilia, ma devono sentirsi vicini “nel loro animo”. Seneca è un maestro che si dici ancora pieno di colpe da sanare. Le Lettere sono come il controllo che il maestro esercita sul suo giovane discepolo. Nonostante la raccolta riporti solo le lettere inviate da Seneca. L’autore riesce sempre a comunicare l’impressione di un dialogo vivace. Di rado le lettere assumono la forma di lunghi trattati. Il modello dell’opera è Epicuro, avversario degli stoici al quale Seneca non teme di richiamarsi. Da Epicuro ha preso più la forma che i contenuti > gusto epistolare, conversazione amichevole e personale che blandisce l’amico, lo segue nei suoi progressi giorno dopo giorno. Le Lettere sono depurate da ogni dettaglio accidentale (saluti, consigli pratici, richieste). La corrispondenza epistolare appare una finzione. Può essere sia comunque state inviate, ma si suppone siano state scritte già in vista della loro raccolta in un libro. Le Lettere raccontano spesso aneddoti, incontri, momenti di vita che l filosofo commenta per trarne un insegnamento; quei fatti reali sono occasione di riflessioni che spaziano verso l’universale, le grandi questioni della vita e della morte. Torna su alcuni dei temi importanti della sua riflessione: il problema della libertà (interiore, al riparo dal turbinare degli eventi), della natura di Dio (il logos immanente che nel De beneficiis è definito parens), della sua giustizia, del tempo. Seneca propone l’ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione, al perfezionamento interiore mediante un’attenta riflessione sulle debolezze e i vizi propri e altrui. Seneca condanna il trattamento comunemente riservato agli schiavi, ma la sua etica resta aristocratica e il sapiens stoico che manifesta la sua simpatia per gli schiavi maltrattati manifesta anche il suo disprezzo per le masse popolari abbruttite dagli spettacoli del circo. Fascino della vita appartata e assurgere dell’otium a valore supremo > otium come ricerca del bene nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare non solo agli amici impegnati nella ricerca della sapientia ma anche agli altri, e che le lettere esercitino il loro benefico influsso anche nella posterità. Estremo obiettivo > conquista della libertà. Nella morte scorge il simbolo della propria indipendenza dal mondo. 2.5 Lo stile della prosa Quintiliano criticava lo stile di Seneca, colpevole di suscitare nei giovani un’insana passione per l’uso sconsiderato delle minutissimae sententiae > spezzettamento dei periodi in frasi brevi di gusto epigrammatico. Seneca rifiuta la compatta architettura classica ciceroniana, che voleva rendere chiara la gerarchia logica dei pensieri e dell’argomentazione. Nelle pagine di Seneca domina la paratassi (collegamenti attraverso movimenti di antitesi e ripetizioni). Intento di riprodurre uno stile colloquiale, sebbene la sua sia tutt’altro che improvvisazione > paralleli nella retorica asiana. Ricercato gioco di parallelismi, ripetizioni, opposizioni, succedersi serrato di frasette nervose e staccate > sfaccettare un’idea secondo tutte le angolature fino a cristallizzarla nell’espressione epigrammatica. La brevità spesso lapidaria vuole anche facilitare la memorizzazione. 2.6 Le tragedie e l’Apokolokyntosis Nove sono le tragedie ritenute autentiche, tutte di soggetto mitologico greco, coturnate probabilmente erano scritte per la declamazione e la lettura pubblica. Tuttavia elementi quali la truce spettacolarità o la macchinosità delle trame sembrerebbero presupporre la rappresentazione delle tragedie, laddove una semplice lettura avrebbe limitato gli effetti ricercati nel testo drammatico. Hercules furens > tema della follia di Ercole, provocata da Giunone e che lo porta a uccidere moglie e figli. Rinsavito, tentato di suicidarsi, si reca ad Atene a purificarsi. Troades > sorte delle donne troiane prigioniere e impotenti di fronte al sacrificio di Polissena, figlia di Priamo, e di Astianatte, figli di Ettore e Andromaca. Phonissae > incompleta, ruota attorno al tragico destino di Edipo e all’odio che divide i suoi figli, Eteocle e Polinice. Medea > vicenda della principessa della Colchide abbandonata da Giasone e assassinata, per vendetta, dai figli avuti da lui. Phaedra > incestuoso amore di Fedra per il figliastro Ippolito e drammatico destino del giovane, restio alle seduzioni della matrigna he si vendica denunciandolo al marito Teseo, padre di Ippolito, e provocandone la morte. Oedipus > mito tebano di Edipo inconsapevole uccisore del padre e sposo della madre. Scoprendo la verità si acceca. Agamemnon > assassinio del re, al ritorno da Troia, per mano della moglie Clitemnestra e dell’amante Egisto. Thyestes > mito dei Pelopidi. Animato dall’odio verso il fratello Tieste che gli ha sedotto la sposa, Atreo si vendica con un finto banchetto in cui imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli. Hercules Oetaeus > mito della gelosia di Deianira che per riconquistare l’amore di Ercole gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso, creduto un filtro d’amore e in realtà dotato di potere mortale: Ercole fa innalzare un rogo e vi si getta per darsi la morte cui farà seguito la sua assunzione fra gli dei. I modelli di Seneca sono le tragedie greche di periodo classico, in particolare Sofocle ed Euripide ma si discute anche di possibili modelli intermedi come le tragedie latine repubblicane. Per una stessa tragedia si ispira a diversi modelli antichi. Lo stile risente di influssi che provengono dai modelli latini ormai consacrati, Virgilio, Orazio, Ovidio. Tendenza a combinare stili di autori diversi > Seneca tragico “manierista”, privo di un linguaggio caratterizzato e imitatore, enfatico, dei grandi modelli latini. Dagli autori augustei mutua le forme metriche, come nel caso dei metri dei cori imitati da Orazio. Il metro dei recitativi, senario, è più vicino allo schema rigido del trimetro giambico greco. Le tracce della tragedia latina arcaica si avvertono nel gusto del pathos esasperato, nella tendenza al cumolo espressivo e alla frase sentenziosa. La ricerca delle sententiae è anche alimentata dal gusto retorico del tempo. In età giulio-claudia, il teatro tragico sembra avere un momento di grande favore; la tragedia appare la forma letteraria più idonea per esprimere l’opposizione al regime. Il tema del potere e del tiranno occupa un posto centrale in varie tragedie di Seneca. Vicende > conflitti di forze contrastanti, opposizione fra ragione e passione. Nell’universo tragico il logos, principio razionale cui la dottrina stoica affida il governo del mondo, si rivela incapace di frenare le passioni e arginare il dilagare del male. Fa da sfondo una realtà dai toni cupi e tragici dove si scatena la lotta delle forze maligne, che investe non solo la psiche umana, ma il mondo intero, conferendo al conflitto tra bene e male una dimensione cosmica e una portata universale. Rilievo particolare ha la figura del tiranno sanguinario e bramoso di potere, chiuso alla moderazione e alla clemenza, tormentato dalla paura e dall’angoscia. La tradizione manoscritta trasmette un’altra tragedia sotto il nome di Seneca > Octavia > sorte di Ottavia, prima moglie di Nerone, da lui ripudiata una volta innamorato di Poppea, e fatta uccidere. Tragedia di argomento romano, una praetexta. La sua autenticità è oggi generalmente negata. Ludus de morte Claudii o Divi Claudii apotheosis per saturam > titolo più comune > Apokolokyntosis (forse “inzuccamento”) > trasformazione in zucca del Divo Claudio. Contiene la parodia della divinizzazione di Claudio, decretata al princeps subito dopo la morte nel 54 d.c. Nell’opera Claudio si presenta all’Olimpo, davanti al concilio degli dèi che dopo un lungo dibattito lo condannano a discendere negli inferi, dove Claudio finisce schiavo del nipote Caligola e del proprio liberto Menandro che lo impiega a lanciare i dadi da un barattolo sfondato > espressione del risentimento di Seneca, esiliato da Claudio, e l’ostilità della classe dominante romana per certi aspetti della politica dell’imperatore, come l’estensione del diritto di cittadinanza e il potere concesso a corte ai liberti. Rientrando nel genere della satira menippea alterna prosa e versi, accosta i toni piani delle parti prosastiche a quelli spesso parodicamente solenni delle parti metriche, con sapide coloriture colloquiali e beffarde incursioni nel lessico volgare. 2.7 La fortuna di Seneca Fortuna imponente dall’antichità all’età moderna. Nella tarda antichità guadagnò presso i cristiani quel prestigio altissimo che durò per tutto il Medioevo e oltre, influendo sulla cultura gesuitica e protestante. Più tarda la fortuna delle tragedie, dal XIV secolo in poi che influenzeranno il teatro tragico rinascimentale italiano e, con il loro barocco truce e tenebroso, il teatro elisabettiano, soprattutto Shakespeare. La loro azione fu rilevante anche sul teatro classico francese e su quello romantico tedesco. In Italia soprattutto Alfieri ne mutuò la vibrante tensione nella sua polemica antitirannica. 3. LUCANO 3.1 La vita e le opere Marco Anneo Lucano nasce a Cordova, in Spagna, il 3 novembre del 39 d.c. Figlio di un fratello di Seneca, nel 40 si trasferisce a Roma dove studia presso il filosofo Anneo Cornuto e diventa amico di Persio. Inizialmente amico di Nerone, compone e recita in occasione dei Neronia le ludes del principe. Periodo cortigiana > opere che rientrano nel gusto ellenizzante incoraggiato da Nerone di cui ci restano solo i titoli > un Iliacon (in versi sulla guerra di Troia), un Catachthonion (epillio su Orfeo disceso agli inferi), una tragedia (Medea), dieci libri di Silvae (componimenti d’occasione di vario genere). Sappiamo di epigrammi, libretti per pantomime, declamazioni. Periodo attorno al 60 > primi tre libri dell’opera maggiore, il Tensione espressiva che si alimenta dell’impegno e della passione con le quali il giovane ha vissuto la crisi della sua cultura. L’epica non può più assolvere al compito di positiva commemorazione dei grandi modelli eroici. Lucano, piuttosto che rifondare il linguaggio epico, cerca un rimedio di compenso nell’ardore ideologico con cui ne denuncia la crisi. La presenza di un’ideologia politico-moralistica si fa in lui ossessiva > propugnata linguisticamente in sententiae costruite a effetto o in antitesi freddamente intellettualistiche, si riduce a retorica, che non è però segno di vana artificiosità ornamentale, ma è il gesto di uno stile che, per ritrovare autenticità, parla ricorrendo agli schematismi enfatici del discorso retorico. 3.5 La fortuna di Lucano Nella cultura romana la Pharsalia conosce una rapida fortuna, nonostante le polemiche letterarie. La polemica continuò e venne accolta dai grammatici successivi: Frontone lo critica per la ripetitività dei concetti e per la sovrabbondanza espressiva; Servio, nel suo commento all’Eneide, sentenzia che la Pharsalia è una storia e non un poema. L’opera continua a essere letta, soprattutto nelle scuole, per tutta la tarda antichità, protraendo il suo successo nel Medioevo. Dopo un periodo di relativo oscuramento, la sua fortuna si rinnova dal tardo Settecento e dall’Ottocento. Neoclassici, romantici e alfieriani vi trovano materia e personaggi congeniali al loro gusto e ai loro ideali. 4. PETRONIO 4.1 Autore e datazione Petronius Arbiter, autore del Satyricon, romanzo la cui composizione dovrebbe collocarsi entro la fine del I secolo d.c. > identificato con il Petronio ritratto da Tacito negli Annales che lo indica come cortigiano di Nerone e da questi ritenuto il giudice per eccellenza della raffinatezza, il suo elegantiae arbiter. Descrivendone le morte, Tacito delinea un personaggio inimitabile, apprezzato soprattutto per la ricercatezza dei gusti estetici, era stato anche proconsole in Bitinia e poi console. Nel 66, spinto al suicidio da Nerone, realizzò un suicidio paradossale come lo era stata la sua vita: concepito come una parodia di quello teatrale tipico di certi oppositori del regime > incidendosi le vene e poi rallentando ad arte il momento della fine, passando le ultime ore a banchetto, occupandosi di poesia e senza lanciare proclami filosofici o testamenti politici. Tuttavia si mostrò anche serio e responsabile > si preoccupòdei suoi servi e denunciò i crimini dell’imperatore (nella sua lettera- testamento). Distrusse il suo anello poiché non venisse utilizzato in qualche contraffazione o intrigo politico. Mancano prove indiscutibili di questa identificazione. Alcune figure minori parlano un latino diverso da quello letterario, vicino alla lingua delle iscrizioni pompeiane, o anche alla lingua dell’uso dei prosatori meno stilizzati. I volgarismi però non offrono un criterio valido per la datazione: non sono spie di una strado tardo della lingua, ma basso. 4.2 L’intreccio La parte superstite del romanzo copre stralci dei libri XIV e XVI e la totalità del libro XV che coincideva con gran parte della Cena di Trimalchione. Frammento di narrazione che deve aver subito tagli e forse interpolazioni e spostamenti di sezioni narrative. Sicuramente era preceduto da un lungo antefatto (in 14 libri) e seguito da una parte di lunghezza ormai imprecisabile. 4.3 La parodia come chiave di interpretazione del Satyricon Principio di fondo della costruzione narrativa del Satyricon > parodia letteraria > arte comica ma anche riflessiva di parlare attraverso altra letteratura, esprimendo la propria verità deformando quella altrui. Complessa trama delle associazioni parodiche > primo livello = antiromanzo > il Satyricon rovescia le convenzioni più significative e caratteristiche di quello che definiamo il romanzo antico. I termini moderni per definire la narrativa di invenzione, come novella o romanzo, non hanno una tradizione classica o corrispettivi nel mondo antico. Gli antichi usano termini generici, come historia, fabula, o designazioni particolari senza rigore (come Milesia). Per questa classe di testi non abbiamo trattazioni teoriche. Di narrativa si faceva un grande consumo ma pochi fra gli antichi si occupano direttamente del fenomeno. I critici moderni di solito chiamano romanzi un gruppo ristretto di opere che riguardano due tipologie molto differenti, le cui origini letterarie sono discusse: 1) due testi latini: il Satyricon e le Metamorfosi di Apuleio; 2) testi greci databili tra I e IV secolo d.c.: Cherea e Callìroe di Caritone, Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio, gli Ephesiakà di Senofonte Efesio. Dafni e Cloe di Longo Sofista, le Etiopiche di Eliodoro. Questa serie di opere greche è unita da omogeneità e permanenza di tratti distintivi. La trama è quasi invariabile > innamorati, separati da avversità, devono superare numerose traversie prima di riunirsi e coronare il loro amore. Intrecci > incidenti che ritardano il felice scioglimento: scambi di persona, naufragi, intrighi di rivali, false morti, viaggi in paesi lontani ecc. il tono è quasi sempre serio, i personaggi suscitano simpatia. Lo scenario è variabile e spazia nei Paesi del Mediterraneo grecizzato, scarso è l’interesse per la realtà contemporanea, tenue l’inquadramento storico. L’amore è trattato con pudicizia, serio ed esclusivo. Appare quasi come una sorta di versione narrative di trame tipiche della Commedia Nuova ateniese > spazi aperti del mare e terre anche esotiche. Nella sua struttura fondamentale anche il Satyricon racconta le peripezie di una coppia di amanti ma l’amore è trattato in modo diverso. Non c’è spazio per la castità o per valori morali. Vi sono peripezie sessuali di ogni tipo. Il partner preferito del protagonista è maschile. Il sesso è trattato esplicitamente e fonte di situazioni comiche. Rapporto omosessuale tra Encolpio e Gitone = parodia dell’amore casto e idealizzato che lega i fidanzati del romanzo greco. Il romanzo di Petronio finge di appartenere a una lettura “popolare”. Così la narrativa romanzesca, insieme a quella comica diventano il referente più immediato dell’opera petroniana. Ma da sempre la letteratura “bassa” ha come modello quella impegnativa e sublime, i generi poetici maggiori (epica, tragedia) e ne fa proprio, volgarizzandolo, tutto il vocabolario dei gesti retorici più vistosi > i procedimenti narrativi d’effetto, i meccanismi della sorpresa, le tecniche del patetico e del dramma. È proprio nella consapevolezza di questo carattere che il Satyricon trova il registro della parodia > ne fa il codice principale del proprio racconto, fa la caricatura di una letteratura popolare nostalgica della poesia sublime. Le peripezie di Encolpio e degli altri personaggi diventano un’”odissea” di pitocchi che allude alle disavventure dell’eroe di Omero, Ulisse. Tuttavia le disavventure di Encolpio potrebbero risalire ad un incidente iniziale contenuto nell’antefatto > un sacrilegio, una maledizione divina. Occorre notare che il ruolo di Priàpo, nel frammento che abbiamo, è piuttosto sporadico. Il motivo della persecuzione divina sembra appartenere all’immaginazione fantastica di Encolpio piuttosto che alla realtà dei fatti. Nel Satyricon chi dice “io” non è l’autore ma un narratore inaffidabile. Il protagonista narratore vive gli eventi della sua esistenza in una sorta di esaltazione eroica che lo porta ad assimilare la realtà ai grandi modelli della letteratura sublime. Ma gestiti da un personaggio inadeguato, Encolpio, quei modelli non tardano a mostrare i propri limiti. I modelli evocati dal protagonista-narratore si scontrano con la sceneggiatura romanzesca che l’autore ha scelto e con le altre molte forme discorsive che vi si intrecciano > effetto di relativizzare la verità che ognuno dei generi letterari codificati popone come unica e assoluta. Ma la parodia non è ottenuta attraverso un’aggressione diretta dei grandi modelli sublimi ma scoprendo quanto inopportune siano le immagini che guidano il protagonista-narratore nel suo cammino > fantasie sovraccariche di pathos, pose letterarie e declamatorie, destinate a crollare per l’effetto della realtà in cui si imbatte. Encolpio, giovane fresco di studi, scholasticus con tutti i difetti della scuola, è il catalizzatore della satira di Petronio > colpire l’autoritarismo culturale che mortifica la realtà sovrapponendole i vuoti schematismi cui la scuola ha ridotto i grandi testi della letteratura classica. Modelli attivati dal testo > quelli romanzeschi sono usati da Petronio per costruire situazioni tipiche della narrativa greca, gli altri appartengono alla fantasia del protagonista narratore e sono quelli della letteratura sublime che occupano la sua memoria scolastica e interferiscono con la realtà. Encolpio è l’anti-modello dell’eroe del romanzo idealizzato, debole e rotto a ogni inganno. È vittima delle sue illusioni di consumatore scolastico dei testi sublimi. Smascherando le illusioni di Encolpio, la parodia aggredisce i modelli romanzeschi e i meccanismi di trivializzazione. 4.4 La forma del romanzo La prosa narrativa è spesso interrotta da inserti poetici, alcuni affidati alla voce dei personaggi, soprattutto a Eumolpo che dà spazio alla sua torrenziale vocazione poetica > Presa di Troia e Guerra civile. Questi inserti sono motivati e hanno come uditorio i personaggi del romanzo. Altre parti poetiche sono strutturate come interventi del narratore che commenta gli avvenimenti, spesso con funzione ironica in quanto non corrispondono (per stile o livello letterario, per contenuto o orientamento) alla situazione in cui dovrebbero inquadrarsi. >> contrasti, sbalzi tra aspettativa e realtà, tra illusioni materiate di fantasmi e ricadute di volgarità brutale. Alternanza di prosa e poesia > tradizione della satira menippea > es. Apokolokyntosis di Seneca. > tipo di satira aperta, molto varia nei temi e nella forma; continuo scontro di toni seri e giocosi, di risonanze letterarie e di crude volgarità, il tutto sorvegliato da una raffinata tecnica compositiva. Il Satyricon deve dunque molto alla narrativa, per la trama e la struttura del racconto, e qualcosa alla tradizione menippea. Il dato più originale della poetica petroniana è la carica realistica, carattere distintivo rispetto al romanzo greco. Petronio ha un vivo interesse per le mentalità delle classi sociali oltre che per il loro linguaggio quotidiano e ci porta in luoghi tipici e fondamentali del mondo romano. Ma la trama del Satyricon è altrettanto inverosimile di quella dei tardi romanzi greci; i personaggi sono caricaturali. Anche dove lo studio realistico appare più fedele, è facile riconoscere la parodia di famosi episodi letterari, la caricatura di libri che il lettore antico doveva conoscere bene. Non c’è in tutto il Satyricon una sola voce del tutto attendibile. 4.5 I Priapea A Petronio si può accostare, per affinità tematica, questa raccolta di circa ottanta componimenti di lunghezza e metro variabili. I testi danno luogo ad un’opera unitaria essendo connessi dalla figura del dio Priàpo, protettore di orti e giardini. A questa divinità legata alla fecondità e associata a scherzi salaci e motti osceni, si riconnette il genere priapeo > tono scherzoso e tematica per lo più sessuale. > sporadicamente praticato anche da autori come Marziale e Catullo. Satira I > carattere proemiale e programmatico. Polemizza contro le declamazioni alla moda e la loro fatuità, dichiarando il suo disgusto per la corruzione morale. Per cautelarsi attaccherà le generazioni passate. Satira II > aggredisce l’ipocrisia di chi nasconde il vizio sotto le apparenze della virtù. Bersaglio è soprattutto l’omosessualità. Satira III > descrive il vecchio amico Umbricio che abbandona Roma. Satira IV > consiglio riunito da Domiziano per deliberare su come cucinare il gigantesco rombo offerto in dono all’imperatore. Satira V > cena offerta dal ricco Virrone e umiliante condizione dei convitati. Satira VI > requisitoria contro l’immoralità e i vizi delle donne. Satira VII > deplora la decadenza degli studi e la misera condizione cui sono costretti i letterati del tempo, rimpiangendo il mecenatismo della letteratura augustea. Satira VIII > oppone alla falsa nobiltà della nascita quella vera dell’ingegno e dei sentimenti. Satira IX > dialogo, proteste di Nèvolo, omosessuale mal ricompensato per le sue prestazioni. Satira X > insensatezza delle tante brame umane. Satira XI > contrappone al lusso ostentato dei banchetti dei ricchi la cena modesta che egli offre a un amico. Satira XII > attacca i cacciatori di eredità. Satira XIII > attacca gli imbroglioni e i frodatori. Satira XIV > educazione dei figli e necessità di accompagnare i precetti con l’esempio. Satira XV > episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto e frutto di fanatismo religioso. Satira XVI > incompleta, elenca i privilegi offerti dalla vita militare. LA SATIRA “INDIGNATA” Di fronte al dilagare del vizio, sarà l’indignazione la musa del poeta e la satira il genere obbligato. Nella prima satira enuncia le ragioni della sua poetica e la centralità che occupa l’indignatio, segnando uno scarto sensibile rispetto alla tradizione satirica latina. Non crede che la poesia possa influire sul comportamento degli uomini (al contrario di Orazio e in parte anche di Persio), giudicati prede irredimibili della corruzione. Sono le risposte della morale diatriba che Giovenale respinge, quella morale che insegna a restare indifferenti al mondo delle cose concrete, esteriori, a guardarle con ironia e distacco, a coltivare i beni interiori. Giovenale demistifica questa morale consolatoria con lo sdegno dell’uomo offeso dal vedere il vizio e la colpa premiati e col rancore dell’emarginato che si sente escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e costretto alla umiliante condizione di cliente. Astio sociale, risentimento per la mancata integrazione > Giovenale = rappresentante del ceto medio italico che vede nella vita quotidiana della capitale dell’impero mortificati i valori morali e politici della tradizione nazionale repubblicana. Non ci sono più le condizioni sociali per poeti integrati come erano stati i grandi protetti di Augusto, Virgilio e Orazio. Al suo sguardo deformato di moralista la società appare perversa, e i ruoli delle classi sociali stravolti, a partire dalla nobiltà che ha abdicato alle funzioni che le competono e si abbruttisce nei bagordi e nella lussuria. La sua furia aggredisce soprattutto le figure più emblematiche della società e del costume, contro la volgare iattanza dei nuovi ricchi, lo strapotere dei liberti, l’intraprendenza degli orientali, l’abiezione morale dei letterati esposti alla fame. Bersaglio privilegiato sono le donne, emancipate e libere, che personificano ai suoi occhi lo scempio del pudore e gli ispirano la lunga satira sesta (uno dei più feroci documenti di misoginia) in cui campeggia la cupa grandezza di Messalina, prostituta imperiale. Si è parlato di atteggiamento “democratico” di Giovenale ma è una prospettiva illusoria.al di là di qualche espressione di solidarietà con gli indigenti e i marginali, il suo atteggiamento verso il volgo, i rozzi e gli indotti, chi eserciti attività manuali o commerciali, è di profondo disprezzo. Orgoglio intellettuale + astio contro greci e orientali = rivendica per sé agiatezze e riconoscimenti sociali ma non concepisce velleità di solidarietà sociale. Tendenza all’idealizzazione nostalgica del passato > fuga dal presente > unico esito a cui l’indignatio giovenaliana può approdare e ammissione della sua impotenza. Marcato cambiamento di toni > seconda parte della sua opera > assume un atteggiamento più distaccato, mirante all’apàtheia, all’indifferenza, degli stoici, avvicinandosi alla tradizione diatribica della satira da cui si era allontanato. Osservazione più generale, riflessione più pacata e rassegnata. Qua e là riaffiora la rabbia di sempre. LO STILE SATIRICO SUBLIME Ora che la realtà quotidiana ha assunto caratteri eccezionali, che il vizio l’ha popolata di monstra, anche la satira dovrà avere caratteri grandiosi. > stile non più dimesso ma simile ai generi tradizionalmente opposti alla satira > epica e tragedia. La satira resterà realistica ma di epica e tragedia avrà l’altezza di tono, la grandiosità di stile conforme alla violenza dell’indignatio. Giovenale quindi recide il legame tradizionale con la commedia e accosta la satira alla tragedia sul terreno dei contenuti e dello stile. Ricorso alle solenni movenze epico- tragiche in coincidenza dei contenuti più bassi e volgari > esaltazione per contrasto. Il suo realismo ha una forte spinta deformante > figure e quadri di violenta crudezza > vena irosa del moralista indignato. Espressione sempre pronta a esplodere nell’iperbole, in cui si scontrano toni aulici e plebei, icastica e pregnante, densa e sentenziosa. Enfasi declamatoria, tono teso alla denuncia e all’invettiva, fissità dei bersagli polemici e ripetitività dei topoi moralistici = influssi delle scuole di retorica e delle declamazioni. LA FORTUNA Ignorata dagli scrittori del II e III secolo. La sua fama fiorisce nel IV, fra poeti e grammatici. Diffusione nelle scuole favorita dal carattere moralistico. Noto a Dante e Petrarca e agli umanisti, conoscerà grande fortuna soprattutto nella tradizione satirico-moralistica europea, da Ariosto a Parini, da Alfieri a Hugo a Carducci. 6. L’EPICA DI ETÀ FLAVIA Poesia di Stazio, Valerio Flacco, Sillo Italico > notevoli concordanze di gusto e clima culturale e Virgilio come modello. Ma l’Eneide, per Lucano stimolo all’innovazione, diventa ora rifugio e orizzonte chiuso. Importante è anche l’influsso di Ovidio che determina le costanti dello stile narrativo. 6.1 Stazio LA VITA E LE OPERE Publio Papinio Stazio nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.c., figlio di un maestro di scuola che in seguito si trasferì a Roma. Molto giovane si cimentò in recitazioni pubbliche e gare poetiche. Morì nel 96 in Campania. Scrisse tre poemi epici (Tebaide, Achilleide, De bello Germanico) e le Silvae. Silvae > cinque libri, varia nei metri e nei temi, poemetti di ringraziamento e di lode rivolti a patroni e benefattori del poeta. Poesia colta e riflessa, impronta cortigiana e conformistica > fatica nel trovare estimatori. Tebaide > poema epico in 12 libri, storia tratta dal mito greco dei Sette contro Tebe. I figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si alternano sul trono di Tebe; ma l’ombra di Laio invita il primo a tradire il patto con il fratello per usurpare ogni diritto sul regno. Polinice, bandito dalla città, si rifugia ad Argo e organizza una spedizione: sette grandi eroi marciano contro Tebe con le loro schiere. A causa della morte di tutti nella guerra, nuovo re sarà Creonte, cognato di Edipo. Eteocle e Polinice si uccidono a vicenda in duello, ma la loro lotta continuerà sul rogo funebre dove sono posti insieme. I dodici libri sono divisi in due esadi. La prima mostra tratti odissiaci (come la prima metà dell’Eneide), la seconda è una storia di guerra (come la metà iliadica). Anche sul piano ideologico la posizione di Stazio appare virgiliana, in opposizione a Lucano: salvare l’apparato divino dell’epica ma anche renderlo più moderno approfondendo la funzione del fato e del destino. La scelta di un tema così negativo avvicina però la Tebaide a Lucano > compromesso che avrà grande influsso nelle letterature occidentali. Le forze divine più vitali sono personificazioni di idee astratte, con tonalità persino allegoriche. Necessità universale che domina la storia > schiacciate dalle leggi del cosmo e della predestinazione, le figure umane sono appiattite, Stazio concede poco alle sfumature psicologiche. Schematici e pochi sono i personaggi positivi. Gli undici libri sulla guerra dei Sette hanno una chiusa di compensazione: il trionfo della clemenza e dell’umanità portato nel dodicesimo libro dal civilizzatore Teseo, che impone di dare sepoltura a tutti i caduti. Assenza di riferimenti diretti all’attualità romana > non esclude che l’opera possa riflettere gli incubi propri della sua epoca> guerra civile vista come scontro fra tiranni specularmente uguali, degenerazione di una famiglia regnante in dispotismo fanatico, problema etico del vivere sotto i tiranni rispettando una regola morale. Achilleide > poema incompiuto, si ferma all’inizio del secondo libro. Nella parte restante che doveva narrare la vita di Achille, vi è la descrizione delle vicende del giovane eroe Sciro. Tono più disteso e idilliaco. Ambizioni letterarie grandiose. LA FORTUNA Comparsa nel Purgatorio dantesco > falsa convinzione che il poeta si fosse convertito al cristianesimo, da vero discepolo di Virgilio. Dante fa notevole uso del modello poetico di Stazio. Anche prima di Dante la Tebaide ha grande influsso, per i suoi aspetti quasi manichei (contrasto fra Olimpo e potenze infere) e per la tendenza alla personificazione quasi allegorica > punto di riferimento per lo sviluppo di un’epica medievale a contenuto allegorico. 6.2 Valerio Flacco Vita ignota. Scrisse gli Argonautica, poema epico incompiuto all’ottavo libro > vicende corrispondenti ai tre quarti del racconto sviluppato dal greco Apollonio Rodio in un’opera dall’omonimo titolo. Libro I > motivi della spedizione di Giasone alla ricerca del vello d’oro; libri II-V > viaggio fino alla Colchide; libri VI-VIII > intrighi e lotte alla corte del re Eeta e amore tra Giàsone e Medea, figlia del re; la conquista del vello e il principio del travagliato ritorno. Pur ispirandosi ad Apollonio, mira a una riscrittura autonoma della vicenda > riduzioni, aggiunte, modifiche nella psicologia dei personaggi e nel ritmo. Tuttavia il contesto rimane in varia misura debitore nei confronti di Apollonio. Nei punti in cui segue da vicino il testo greco la rielaborazione appare guidata dalla ricerca dell’effetto > accentuazione del pathos, drammatizzazione, concentrazione del modello, gusto per la brevità dell’espressione. 8.2 Gli Epigrammi di Marziale Raccolta di Epigrammi in 12 libri, composti e pubblicati tra 86 e 102. 80 > Liber de spectaculis, contenente una trentina di epigrammi; due libri di Xenia (doni per gli ospiti) e Apophoreta (da portar via), raccolte di distici. L’origine dell’epigramma risale all’età greca arcaica, quando la sua funzione era per lo più commemorativa, inciso su pietre tombali o su offerte votive. In età ellenistica, pur conservando la sua brevità, mostra di essersi emancipato dalla forma epigrafica e dalla destinazione pratica > è un tipo di componimento adatto alla poesia d’occasione, a fissare in pochi versi l’impressione di un momento, un piccolo avvenimento quotidiano. I temi sono di tipo leggero: erotico, simposiaco, satirico-parodistico, o di tipo tradizionale come quello di carattere funebre. Marziale contrappone la mobilità e varietà dell’epigramma alla pesantezza di generi illustri come l’epos o la tragedia. È il realismo che Marziale rivendica come tratto qualificante della propria poesia. Osserva la realtà con l’occhio deformante della satira che ne accentua i tratti grotteschi, riconducendoli a tipologie ricorrenti (imbroglioni, cacciatori di eredità, poetastri petulanti ecc.). Il poeta appare un osservatore distaccato, che raramente si impegna nel giudizio morale e nella condanna: satira sociale priva di asprezza che preferisce il sorriso dell’indignazione risentita e ama vagheggiare una vita fatta di gioie semplici e naturali, sogno che assume talora gli idillici contorni della patria spagnola. Gli argomenti investono l’intera esperienza umana. > epigrammi funerari; epigrammi relativi alle vicende personali del poeta o al costume sociale del tempo. Marziale sviluppa molto l’aspetto comico-satirico, continuando un processo iniziato dall’epigrammista greco Lucilio che aveva dato largo spazio a personaggi caratterizzati da difetti fisici, a tipi e caratteri sociali rappresentati comicamente. Da Lucilio ricava anche procedimenti formali come la tecnica della trovata finale, battuta che chiude in maniera brillante. Linguaggio e stile capaci di aprirsi alla vivacità dei modi colloquiali e alla ricchezza del lessico quotidiano. Accanto a termini che descrivono la realtà umile e ordinaria ne introduce altri osceni, che giustifica invocando il motivo della netta distinzione tra poesia e vita. Alterna forme espressive molto varie, da toni di limpida sobrietà ad altri di eleganza e ricercatezza. Ebbe un successo immediato e duraturo ma la sua fortuna arrivò all’apice in età umanistica e rinascimentale. 9. QUINTILIANO 9.1 La vita e le opere Quintiliano nacque a Calagurris, in Spagna, intorno al 35 d.c. Figlio di un maestro di retorica, si trasferì presto a Roma, dove seguì l’insegnamento di un grammatico e un retore. Tornato in Spagna, fu richiamato a Roma nel 68 da Galba, e divenne maestro di retorica. 78 > per iniziativa di Vespasiano, prima cattedra statale di eloquenza. Domiziano lo incaricò dell’educazione dei suoi nipoti. 88 > si ritirò dall’insegnamento per dedicarsi agli studi. Morì dopo il 95. Perduto > trattato De causis corruptae eloquentiae, sui motivi della decadenza della grande oratoria. Ci è giunta l’opera principale, i dodici libri della Institutio oratoria (93- 96). Attribuite a Quintiliano ma spurie, sono due raccolte di declamazioni, la seconda delle quali, le declamationes minores, del I secolo, proviene forse, almeno in parte, dalla sua scuola. 9.2 L’Institutio oratoria Dedicata a Virgilio Marcello, oratore, preceduta da una lettera a Trifone, l’”editore” che deve curarne la diffusione. Primi due libri > propriamente più didattici e pedagogici, trattano dell’insegnamento elementare e delle basi di quello retorico, discutendo dei doveri degli segnanti. Libri III-IX > tradizione più tecnica che esamina le diverse sezioni della retorica dalle sue suddivisioni fino alla elocutio e alle figure di parola e di pensiero. Libro X > come acquisire la facilitas o disinvoltura nell’espressione. Si inserisce qui l’excursus sulla storia letteraria romana, testimonianza sui canoni critici dell’antichità. Quintiliano vuole dimostrare come la letteratura latina regga ormai il confronto con quella greca. Libro XI > tecniche della memorizzazione e dell’arte del porgere. Libro XII > requisiti culturali che si richiedono all’oratore e problema dei rapporti con il principe. L’institutio vuole delineare un programma complessiva di formazione culturale, che il futuro oratore deve seguire dall’infanzia all’ingresso nella vita pubblica. Quintiliano crede nelle possibilità dell’educazione e attribuisce il declino dell’oratoria alla corruzione dei costumi, sulla base del principio che “lo stile è l’uomo”. Contr lo stile corrotto e degenerato, diventa il punto di riferimento di una reazione classicista che prende a modello Cicerone. Libro VIII > aspra analisi dello stile stravagante dei retori moderni, che si ispirano a Seneca, il cui stile spezzettato e sconnesso, si caratterizza per la grande abbondanza di sententiae. All’oratore, Quintiliano richiede una vasta preparazione culturale > ideale si avvicina a quello delineato nel De oratore di Cicerone. La filosofia non occupa più un posto di rilievo, mentre è della retorica e della cultura letteraria che Quintiliano rivendica il primato. Riconosce alla retorica un’alta dignità morale ed educativa difendendola dai pregiudizi che la identificavano con la capacità sofistica di nascondere la verità mistificandola dietro belle ma ingannevoli parole. Le buone letture hanno un posto importante. > libro X > prospetto della storia letteraria. Nella disputa tra antichi e moderni dà prova di equilibrio e senso storico quando riporta manchevolezze dei primi all’età in cui hanno vissuto. 96 > anno della pubblicazione dell’opera; la disputa tra classicisti e modernisti è risolta e si afferma il ciceronianesimo di Quintiliano > ricerca la massima perspicuità ed evita gli eccessi preferendo un periodare ampio ed elaborato ma non lezioso. XII libro > rapporti fra oratore e principe, tentando di recuperare per il primo una missione civile aliena tanto da sterili atteggiamenti ribelli quanto da avvilente servilismo. L’oratore quintilianeo non mette in discussione il regime, ma riconosce nelle proprie doti morali un vantaggio per la società nel suo insieme, prima ancora per il principe. Oratore che sia ancora vir bonus dicendi peritus, guida per il senato e per il popolo romano > illusione ormai infondata, negazione della realtà storica dell’impero. IL CONTESTO L’ETÀ DEGLI IMPERATORI PER ADOZIONE Un periodo di pace e di stabilità Il secondo secolo è, per Roma, un periodo di pace e di tranquillità. L’autorità è più stabile, tra il senato e il princeps si instaura un clima di collaborazione serena. È l’età degli imperatori adottivi: Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio. Non è un’età di guerre (a parte quella per la conquista della Dacia ad opera di Traiano). Periodo di notevole sviluppo economico, costruzione di grandi monumenti in Italia e nelle provincie, miglioramento degli alloggi urbani e delle condizioni di vita di quasi tutti gli strati della popolazione. Provvedimenti umanitari per i meno fortunati. Aumento dell’alfabetizzazione e istituzione di scuole di medio e alto livello. La cultura tende ad alta sofisticazione; la classe colta sceglie la via di una estetizzazione della vita, che si celebra nel culto di opere d’arte raffinate e nel manierismo lezioso della letteratura di questo periodo. L’ampia disponibilità di testi e biblioteche (quella fondata da Traiano nella Basilica Ulpia è la più grande biblioteca pubblica che Roma abbia mai avuto), l’amore per la tradizione, creano ora un gusto arcaizzante, ora una spiccata propensione per la filologia e l’erudizione. È il momento della rinascita, anche a Roma, della cultura greca > movimento detto della “seconda sofistica” > moda di letterati brillanti che ricordano i sofisti dell’età classica greca. Sanno scrivere e recitare orazioni di diversa attualità e di vario interesse. Alcuni sono ammessi nell’ordine equestre o in senato. Più illustri > Erode Attico, Elio Aristide e il romano Frontone, maestro di Marco Aurelio. Quest’ultimo scrive in greco, di filosofia > “ricordi”, A se stesso. Fra gli imperatori, letterato è anche Adriano, detto graeculus per il grande amore portato alla cultura greca. Scrisse piccoli componimenti alla maniera dei catulliani. Come critico è rappresentante del gusto arcaizzante della sua età, preferendo Catone a Cicerone, Ennio a Virgilio, gli annalisti a Sallustio. Fonda a Roma un’accademia, l’Athenaeum. È un grande cultore di arti figurative. La sua villa di Tivoli diventa presto un museo. Fa eseguire moltissime copie di opere d’arte greche. Proprio da queste l’Occidente impara a conoscere la grande arte greca. L’organizzazione del futuro Il secondo secolo è però anche un’età di sotterranei turbamenti. Non solo quelli dei barbari che si accalcano alle frontiere e faranno irruzione in Rezia e in Italia sotto il regno di Marco Aurelio; in tutto l’impero si diffondono culti nuovi. La mentalità religiosa tende a orientalizzarsi sotto effetto dei nuovi culti misterici venuti dall’Egitto, dalla Persia, dalla Palestina > culto i Iside, di Mitra, cristianesimo. Le filosofie tradizionali perdono la loro forza e si aprono alle nuove credenze religiose. Filosofia e nuove fedi tendono al sincretismo. Lo stoicismo finirà per essere assorbito dal cristianesimo. Personaggi rappresentativi come il biografo greco Plutarco o il romano Svetonio, illustrano bene la nuova mentalità, incline a prestare fede a presagi, profezie, voci, oracoli, interpretazioni esoteriche dei sogni, poteri soprannaturali, virtù taumaturgiche. Gli imperatori stessi sono ormai degli dei. La fede in Mitra, agente del dio persiano Ahura-Mazda, si diffonde soprattutto tra i soldati, impegnati sull’unico fronte rimasto aperto, quello contro i parti. Promette la salvezza oltre la vita e impone un vivo e operante codice morale> obbligo di fare il bene, altruismo e fratellanza come centro delle sue virtù. La forza emergente di questo secolo è però il cristianesimo che vincerà il mitraismo grazie alla solida e articolata organizzazione che i fedeli seppero darsi. Già all’inizio del secondo secolo esiste una struttura gerarchizzata > clero con i suoi vescovi, a cui sono sottoposti presbiteri e diaconi. Nasce la prima letteratura cristiana perché le comunità tengono una memoria scritta delle loro vicende. > Acta Martyrum > resoconti di persecuzioni, processi, martiri, miracoli. Dal contatto con le altre religioni e filosofie nasce la necessità di proteggere il credo cristiano, combattere deviazioni ed eresie e gli attacchi della antica aristocrazia pagana. Fiorirà così la letteratura apologetica, forse la più vivace produzione letteraria in latino dei secoli II e III. 10. PLINIO IL GIOVANE 10.1 La vita e le opere 11.3 Agricola e la sterilità dell’opposizione Inizio del regno di Traiano, ripristino dell’atmosfera di libertà dopo la tirannide di Domiziano > Tacito ne approfitta per pubblicare il suo primo opuscolo storico che tramanda ai posteri la memoria del suocero Giulio Agricola, principale artefice della conquista di gran parte della Britannia e leale funzionario imperiale. Con un tono che ricorda lo stile della laudationes funebri, l’Agricola narra della conquista dell’isola, lasciando spazio a digressioni geografiche ed etnografiche che derivano da appunti e ricordi di Agricola e da notizie contenute nei Commentarii di Cesare. La Britannia è soprattutto il campo in cui si dispiega la virtus di Agricola, teatro delle sue imprese. Tacito mette in rilievo come egli, governatore della Britannia e capo di un esercito in guerra, avesse saputo servire lo stato con fedeltà, onestà e competenza sotto un pessimo principe come Domiziano. > anche sotto la tirannide è possibile percorrere la via mediana fra gli opposti atteggiamenti definiti negli Annales di “vergognoso servilismo” e “sdegnoso spirito di ribellione”. Anche nella morte, Agricola, caduto in disgrazia presso l’imperatore, mostra la sua diversità, morendo silenziosamente. L’elogio di questo personaggio si traduce in un’apologia della parte “sana” della classe dirigente, formata da uomini che, privi del gusto del martirio, avevano collaborato con i principi della casa flavia contribuendo all’elaborazione delle leggi, al governo delle province, all’ampliamento dei confini e alla difesa delle frontiere. L’Agricola si situa al punto di intersezione tra diversi generi letterari > panegirico sviluppato in biografia, una laudatio funebris inframmezzata, ampliata e integrata con materiali storici ed etnografici. Risente di modi stilistici diversi, che contribuiscono al suo carattere composito. È notevolissima l’influenza di Cicerone nell’esordio, nei discorsi e nella perorazione finale; nelle parti narrative ed etnografiche si avverte la presenza dei due modelli di stile storico sallustiano e liviano. 11.4 Virtù dei barbari e corruzione dei romani Gli interessi etnografici sono al centro della Germania > unica testimonianza rimastaci di una letteratura specificamente etnografica che a Roma doveva godere di una certa fortuna. Le notizie contenute nell’opera sembrano derivare esclusivamente da fonti scritte > la maggior parte forse dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, che aveva prestato servizio nelle armate del Reno, partecipando a spedizioni oltre il fiume, nelle terre dei germani non ancora sottoposte al dominio romano. Tacito sembra aver seguito la fonte con fedeltà migliorando e impreziosendo lo stile, aggiungendo pochi particolari per ammodernare l’opera. Rimangono alcune discrepanze, poiché la Germania sembra descrivere spesso una situazione precedente all’avanzata degli imperatori flavi oltre il Reno e il Danubio. Gli intenti di Tacito sono connessi all’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente. La Germania sembra percorsa da una vena di contrapposizione dei barbari ai romani. Insistendo sull’indomita forza e sul valore guerriero dei germani Tacito ha forse inteso sottolineare la loro pericolosità per l’impero, un sistema politico basato sul servilismo e la corruzione. Si addentra però anche in una enumerazione dei difetti di un popolo che gli appare come essenzialmente barbarico. La Germania non è un libello politico ma se ne possono comunque riconnettere alcune caratteristiche a un evento pressoché contemporaneo alla composizione: la presenza di Traiano sul Reno con un forte esercito, determinato alla guerra e alla conquista. Nel seguito dell’opera continuerà a guardare con interesse alla frontiera con i germani dimostrando ammirazione, negli Annales, per la politica aggressiva di Germanico: in questa dire<ione sono aperte le maggiori possibilità di un’ulteriore espansione dell’impero. 11.5 Le opere maggiori Historiae e Annales > andamento annalistico ma non rinunciano a proporsi come monografie, opere a tema. Il tema è lo studio del potere, di come il principato, dopo le guerre civili, si rese necessario perché la pace restasse stabile. Tacito studia soprattutto il meccanismo oscuri della conservazione e della distruzione del potere, gli spazi terribili della delazione e del tradimento. Roma diventa una metafora triste sulla natura malvagia dell’uomo. Primi cinque libri delle Historiae (originariamente in 12 o 14 libri) > arco di tempo che va dal 1 gennaio del 69 d.c., anno dei 4 imperatori, fino alla rivolta giudaica del 70. L’intera opera doveva arrivare al 96, anno della morte di Domiziano. Parte rimasta > susseguirsi di rivolte e guerre civili; il breve regno di Galba, eletto dal senato; uccisione di quest’ultimo e ascesa di Otone all’impero; lotta tra Otone e Vitellio, comandante delle legioni in stanza in Germania, conclusa dalla sconfitta e dal suicidio del primo; acclamazione a imperatore di Vespasiano, comandante degli eserciti di Oriente; vittoria di quest’ultimo contro Vitellio. Ultimo libro > V, lungo excursus sulla Giudea, ribellatasi ai romani. Annales >conservati i libri I-IV, un frammento del V e parte del VI > racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto a quella di Tiberio, con una lacuna di un paio di anni fra il 29 e il 31; libri dall’XI al XVI > racconto dei regni di Claudio e di Nerone, fino al 66. L’opera continuava probabilmente la narrazione di Livio, come indicherebbe anche il titolo dei manoscritti (Ab excessu divi Augusti) che sembra richiamare quello liviano, Ab urbe condita. Dalle Historiae agli Annales l’orizzonte di Tacito sembra incupirsi per la consapevolezza che i vincoli imposti dal principato, pur sempre considerato unica garanzia di pace, si sono fatti progressivamente più duri e quell’equilibrio di ordine e libertas era più fittizio che reale. Negli Annales Tacito conferisce un colore uniforme e tetro all’intero quadro della vita umana sotto i Cesari. Tuttavia l’impostazione generale rimane simile. Tacito è uno storico dal momento che la sua opera si attiene ai canoni della storiografia antica > interesse per gli avvenimenti politici e militari, uso capace e competente delle fonti, rispetto della “verità”. Tuttavia è anche un grande artista drammatico > opere che presentano una forte coloritura poetica, tracce e memorie virgiliane, è frequente Lucano. Attinge spesso a quel filone della storiografia antica che prende il nome di storiografia tragica. In Tacito questa componente tragica ha il compito di sondare nelle pieghe dell’animo umano dei personaggi, per portare alla luce, oltre alle passioni che li animano, le ambiguità e i chiaroscuri che essi presentano. Tacito vede le cause della corruzione nella natura dell’uomo. > interpretazione moralistica della storia. Gli manca l’intuito storico di Sallustio, moralista capace ci osservare anche i grandi mutamenti sociali e di costume. Tacito descrive drammi di grandi personaggi o di minori, incertezze, paure angosciose, il panico o i rumores della follia; mette in luce i grandi turbamenti delle masse, la paura e l’irresolutezza di un singolo, chiamato a decidere per tutti. Tacito conduce il lettore attraverso un territorio umano desolato, privo di luce o speranza. A volte i personaggi sono figure patologiche > Nerone, pazzo maniaco, mostro crudele. La paura e la tensione hanno sfogo in orrendi e inspiegabili delitti, suicidi, fughe senza destinazione. Ma la maggioranza dei personaggi tacitiani è tutt’altro che folle: le figure di calcolatori e intriganti sono numerose, e l’aspirazione al potere produce lucidissimi piani di conquista. Si alternano notazioni brevi e incisive a ritratti ben compiuti, molti dei quali del tipo detto “paradossale”, perché i personaggi spesso associano vizi vergognosi a virtù stupefacenti > Petronio e Muciano > amanti del lusso, indolenti, depravati nella vita privata, ma intelligenti e capaci quando devono agire. L’arte tacitiana del ritratto raggiunge il suo vertice con Tiberio, negli Annales. > ritratto del tipo cosiddetto “indiretto” > non lo dà una volta per tutte ma fa sì che si delinei progressivamente. Anche Tiberio è una figura in evoluzione, torvo ma valente e austero, fa della dissimulazione la principale delle sue virtù. Non si fida di nessuno, taciturno e spesso accigliato, a volte ha impresso sul volto un falso sorriso. Ritratto fisico > vecchiaia ripugnante, alto ma curvo ed emaciato, volto segnato da cicatrici e ricoperto di pustole, calvo. I racconti di Tacito sono spesso commentati dalle reazioni della folla, dal suo insorgere minaccioso o disperdersi presa dal panico. Traspare il timore misto a disprezzo del senatore Tacito per la massa plebea, ma la sua asprezza è indirizzata anche ai suoi pari, verso i quali il sarcasmo tacitiano si fa più accanito e duro: il senato è il centro della delazione, del servilismo, della finzione. L’adulazione manifesta del principe cela l’odio segretamente covato nei suoi confronti, la sollecitudine per il bene pubblica occulta gli intrighi e l’ambizione. Tacito presta attenzione anche a tutta una folla di personaggi minori, alle strategie con cui ess cercano di organizzare la propria sopravvivenza o agli errori che li condannano > mondo umano dove spesso anche gli impulsi più spontanei devono essere tenuti a freno o dissimulati. 11.6 Lo stile di Historiae e Annales Sallustio è spesso modello di Tacito > predilezione per gli arcaismi, sintassi disarticolata, fatta di sententiae fulminanti. Molto più di Sallustio è un autore volutamente difficile: ama sottintendere verbi, lascia cadere congiunzioni, ricorre a costrutti irregolari e cambi di soggetto per conferire varietà e movimento drammatico alla narrazione. Spesso prolunga frasi con una “coda” a sorpresa che aggiunge un commento epigrammatico, spesso sarcastico. Gli Annales mostrano differenze di stile rispetto alle Historiae. Fino al libro XIII evolve verso uno stile sempre più lontano dalla norma: forme inusitate, lessico arcaico e solenne. Le frasi tendono a totale asimmetria costruttiva, andamento brusco e spezzato. > disarmonia verbale che riflette quella degli eventi e le ambiguità del comportamento umano. Abbondano le metafore violente e l’uso audace delle personificazioni. All’interno degli Annales stessi si registra però un cambiamento. > dal libro XIII Tacito sembra ripiegare sui moduli più tradizionali, meno lontani dai canoni del classicismo ciceroniano. Lo stile è più ricco ed elevato, meno acre > differenza attribuita al diverso argomento > il principato di Nerone, abbastanza vicino al presente di Tacito, richiedeva di essere trattato con minor distanziamento solenne di quello ormai remoto di Tiberio. Trascuratezze nei libri XV e XVI > gli Annales potrebbero non aver ricevuto l’ultima revisione. 11.7 La fortuna di Tacito Trovò un ammiratore entusiasta in Plinio il Giovane, ma la sua vera fortuna iniziò nel IV secolo, quando Ammiano Marcellino compose un’opera storica che intendeva riallacciarsi alla sua. Nell’umanesimo e nel primo Rinascimento venne preferito Livio. Nell’epoca della Controriforma e delle monarchie assolute prese piede il fenomeno del tacitismo che vide nell’opera di Tacito un complesso di regole e di principi direttivi dell’agire politico. Venne usato come pretesto per la formulazione di una teoria dell’idea imperiale. La tradizione tacitista trasse anche l’indicazione di come vivere sotto i tiranni, evitando il servilismo e una sterile opposizione. Le generazioni dell’illuminismo sentirono in Tacito soprattutto l’oppositore della tirannide.