Scarica Giovan Battista Marino e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! La poetica e la poesia barocca La poetica dei primi trenta anni circa del Seicento segna una profonda rottura rispetto al classicismo e al petrarchismo. Si ha una grande fioritura del genere lirico, che è considerato la chiave del successo di corte. Il momento di piena affermazione coincide con la pubblicazione della raccolta di lirica “La lira” di Giambattista Marino, nel 1614. Ma la poetica barocca del concettismo comincia a diffondersi già alla fine del Cinquecento e all’inizio del Seicento. I canzonieri, non raccontano più una storia unitaria, ma vengono organizzati in modo tematico, ovvero divise per sezioni dedicate a liriche d’argomento amoroso, religioso, d’encomio. Prevalgono il frammento, l’elemento causale e disorganico. Cosi il modello petrarchesco viene rifiutato nel suo aspetto fondamentale, ovvero quello di rappresentare in una storia d’amore una vicenda esemplare. La poesia barocca non rispetta più le regole del classicismo, anzi intende violarle in modo da suscitare maggiore meraviglia, giocando sull’effetto imprevisto. In una lettera Marino scrive:” La vera regola è saper rompere le regole a tempo e luogo, accomodandosi al costume corrente ed al gusto del secolo”. Con questa frase ci vuol far capire che bisogna rompere le regole del gioco per venire incontro ai gusti mutati del pubblico. La poetica del barocco vuole: 1. Adeguarsi al pubblico e alle mode, adattandosi di volta in volta alle attese dei lettori, al bisogno di novità; 2. Suscitare effetti di stupore e meraviglia sul pubblico. Inoltre il poeta deve essere in grado di provocare piacere al lettore e la strada per ottenere l’effetto estetico è la meraviglia che può indurre le metafore e i concetti. La metafora istituisce analogie fra i campi diversi e lontani, solitamente inconciliabili; il concetto (da cui deriva la pratica del concettismo) spiega tali ardite connessioni attraverso una trovata arguta che dà loro un senso. La capacità dell’arguzia deriva dall’ingegno: è dunque intellettuale. Si può dire che il poeta barocco cerca di stimolare nel lettore un piacere intellettuale: mira non a fargli sentire particolari sentimenti, ma a farlo pensare a cose nuove, a indurlo a collegamenti bizzarri e strani, provocando meraviglia. Giovan Battista Marino Giovan Battista (o Giambattista) Marino fu considerato il poeta del secolo nel nostro paese e in Europa. Nato a Napoli nel 1569, la sua formazione letteraria è fortemente influenzata dal modello manierista di Torquato Tasso. Nonostante l’opposizione del padre, che l’aveva destinato allo studio del diritto, volle dedicarsi alla poesia, infatti fu ospitato da nobili famiglie napoletane che lo accolsero nelle loro dimore. Egli concepì la poesia non più secondo un ideale umanistico, ma come una professione magnifica e lussuosa, che gli consentisse di emergere nella società contemporanea: come strumento, cioè, della sua personale avventura nel mondo. Di conseguenza, la sua fu un’arte fastosa, intesa a produrre meraviglia, a riscuotere l’applauso per la sua bravura. Fuggito nel 1600, da Napoli, dove aveva subìto anche il carcere per la sua vita senza regole, riparò dapprima a Roma, dove risiedette per cinque anni (1600-1605), poi tre anni a Ravenna ed infine a Torino, dove visse dal 1608 al 1615 alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia. Qui ebbe la sua avventura più pericolosa: Gaspare Murtola, un letterato di corte genovese col quale aveva avuto una feroce polemica, tentò di ucciderlo a colpi di pistola. Il Marino, rimase miracolosamente illeso, ottenne la grazia sovrana per il suo rivale, ma poco dopo finì lui stesso in carcere (1611-12), sotto l’accusa d’aver sparlato del duca. Nel 1614 riunì i suoi versi lirici (anche quelli che erano usciti nel 1602) sotto il titolo unitario “La lira”. È l’opera che determinò il suo successo e la sua fama. Nello stesso anno pubblicò anche le “Dicerie sacre”, esempio di oratoria religiosa. Liberato si recò alla corte di Francia (1615), chiamato da Maria de’ Medici, vedova di Enrico IV, fu accolto trionfalmente e colmato di onori e denaro. Nel 1616 pubblicò gli “Epitalami”, poesie per nozze; nel 1619 “La Galleria”, liriche dedicate a opere o a soggetti d’arte; nel 1620 “La Sampogna”, idilli mitologici e pastorali. Ritornò in Italia nel 1623, l’anno stesso in cui venina pubblicato a Parigi “L’Adone”, la sua opera più ambiziosa, e trascorse gli ultimi anni onorato come la maggior gloria poetica italiana. Morì a Napoli nel 1625. Dopo la sua morte uscirono il poema d’argomento religioso “La strage degli innocenti”, scritto in gran parte durante il soggiorno parigino, e varie raccolte di “Lettere”. La sua vasta produzione poetica è caratterizzata da un’enfasi descrittiva e canora. Questi aspetti sono fra loro strettamente collegati e incentrati sul tema della meraviglia, di un’arte, cioè, che si propone come scopo dominante di stupire il lettore, con metafore inaspettate. Marinisti e Antimarinisti I lirici del Settecento sono in gran parte legati alla poetica marinista (Marino dette il proprio nome) della meraviglia, al gusto delle metafore stupefacenti e del virtuosismo descrittivo e stilistico. È per questo motivo che tra i poeti si distingue una linea marinista da una antimarinista. Furono marinisti poeti come Claudio Achillini,