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I diritti umani e la loro evoluzione nella società, Sintesi del corso di Diritto Della Sicurezza Sociale

L'evoluzione del concetto di diritti umani a livello internazionale e le diverse categorie di diritti, tra fondamentali e socio-economici. Prospettiva sociologica sui processi di formulazione e istituzionalizzazione. Sfide legate alla moltiplicazione dei diritti e al ruolo della comunicazione digitale. Diverse concezioni del diritto e legame con genere, lavoro femminile e condizione dei migranti.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 29/07/2024

NottoladiMinerva95
NottoladiMinerva95 🇮🇹

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Scarica I diritti umani e la loro evoluzione nella società e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Della Sicurezza Sociale solo su Docsity! E. Santoro, Diritto come questione sociale CAPITOLO 1:DIRITTO ED INTEGRAZIONE SOCIALE:LA TEORIA DELLE ISTITUZIONI. PARAGRAFO 1:L'ORIZZONTE DELLA TEORIA DELLE ISTITUZIONI.. Le istituzioni sono possono essere intese come formazioni sociali intermedie (famiglia, partito politico, sindacato),come enti del controllo sociale (carcere, ospedale psichiatrico),come insieme di norme coordinate tra loro (contratto, consuetudini matrimonio) come modalita' di azione precostituite e,spesso,normativamente regolate (giochi, pratiche, tradizioni),come componenti del sistema politico (governo, parlamento), come complessi ideali (credenze religiose, diritti fondamentali, valori). In ogni caso ad esse è stata assegnata una funzione integrativa, che consiste nel rendere possibile e garantire l’ordine sociale. Le istituzioni sono considerate il collante di una societa' altrimenti composta di individui intesi come insocievoli socievolezze(Kant):esse sono vincoli sociali e veicoli di socializzazione ad un tempo. Questa funzione è stato loro attribuita in virtù di due caratteri: la stabilità e la durata nel tempo, da una parte, e il consenso sociale, di cui le istituzioni devono godere per poter durare, dall’altra. In sostanze esse vengono percepite e concepite come componenti fondamentali di una formazione sociale o di una societa', come regolarità di comportamenti reiterati, come delle consuetudini o tradizioni, il cui carattere esemplare è rafforzato da un assetto di norme sociali e/o giuridiche che ne garantisce la vigenza. Tale aura di consenso e tradizione conferisce in chi agisce in conformità delle regole istituzionali una sensazione di comunanza, di somiglianza con i soggetti che analogamente agiscono e fanno esperienza di un corretto modo di comportarsi; dunque, l’agire in senso istituzionale da modo all’individuo di muoversi all’interno di condotte programmate e già collaudate, garantite dal successo e quindi certe e condivise. Per questa loro natura esse contribuiscono a fornire all’individuo unìidentità collettiva in quanto membro di un gruppo o di una comunità di simili, in quanto appartenente ad una collettività omogenea, per modi di fare, stili di vita credenze valori, in una solo parola, cultura. Da un punto di vista sociologico con il termine istituzione si fa riferimento ad un complesso di comportamenti stabilizzati e generalizzati in modelli normativi comunemente condivisi. PARAGRAFO 2:AUGUSTE COMTE. Il tema dell'armonia, dell'omogeneita', dell'integrazione del mondo dei fatti configura la questione centrale non solo della sociologia di Auguste Comte, ma di tutta la sua filosofia positiva, intesa come concezione che da una parte, stabilisce i criteri validi per tutte le discipline che vogliono forgiarsi del titolo di scienza, e dall’altra configura la società come una realtà in evoluzione, che sussiste conciliando le opposte necessità di ordine e progresso. Comte esprime una concezione naturalistica e totalizzante dell’universo: l’intero cosmo è retto da un’armonia universale; compito della scienza è quello di cogliere le leggi invariabili e necessarie che governano l'universo e di collocarle all'interno di un sistema improntato ad una certa solidarieta'. costumi e questi a loro volta dalle credenze, cioè da quel sisteme di opinioni comuni relative al mondo e all’umanità. PARAGRAFO 3:EMILE DURKHEIM. Analogamente a Compte, il problema di durkheim è quello di chiarire i presupposti dell’ordine sociale e renderlo effettivamente possibile, dopo che esso è stato infranto dai rivolgimenti sociali che hanno colpito la francia negli ultimi trenta anni del 1800: la guerra franco-prussiana, la comune di Parigi, la crisi economica, l’affare Dreyfus, i tentativi di stabilire un regime autoritario in Francia. Il primo aspetto della sua teoria riguarda il suo intento di determinare l'autonomia della sociologia. La sociologia deve farci vedere le cose in modo diverso da come appaiono al senso comune, che si basa sull'esperienza quotidiana. I fenomeni rilevanti che accadono nella società sono sono i fatti sociali, che devono essere conosciuti dal di fuori. I fatti sociali sono modi di fare o di pensare, di agire e di sentire, che esistono al di fuori della coscienza individuale e che attraverso la loro forza coattiva si impongono al soggetto. Quando ci atteniamo volontariamente ad essi, la coercizione non si fa quasi sentire, ma non appena li violiamo o cerchiamo di resistergli, ecco che la coercizione di afferma; basta pensare alla regole del diritto o della lingua. Tali fatti sono istituzioni. Senza snaturare il significato di questo concetto, si chiama chiamare istituzioni tutte le credenze e le forme di comportamento istituite dalla collettivita'. La sociologia puo'allora essere definita come la scienza delle istituzioni,della loro genesi e del lro funzionamento. La sociologia si basa su un presupposto fondamentale: la società è qualcosa di superiore all’individuo. Per questo motivo, nella prospettiva di durkheim non c’è spazio per l’uomo. Gli individui non sono gli elementi costitutivi della società, ma lo sono le istituzioni, che anche se all’origine sono state prodotte dall’uomo, col tempo si sono oggettivate e ben presto rese autonome Il centro motore della vita sociale è costituito dalla solidarieta'. D. distingue due tipi ideali di solidarietà: - la solidarietà meccanica, o mediante uniformità o somiglianza - la solidarietà organica, derivante dalla divisione del lavoro A loro volta, questi modelli forniscono la base a due forme diverse di società, rispettivamente la società primitiva, una comunità di piccole dimensioni, sprovvista di divisione del lavoro; e la società moderna, industrializzata, caratterizzata dalla divisione del lavoro. Entrambi i modelli sono ideali ma nelle intenzioni del loro autore trovano riscontro e fondamento nella realtà storica. Il diritto è l’effetto sociale di una causa: la solidarietà. Il diritto, si costituisce di regole di condotta soggette a sanzione. A differenze delle regole morali in senso stretto, la cui sanzione è diffusa e la pena amministrata direttamente dalla società, la sanzione nel caso di norme giuridiche è organizzata e, quindi, irrogata da istituzioni particolari, come i tribunali. Le sanzioni sono di due specie: - Repressive, tipiche del diritto penale, consistono in una punizione - Restituitive, tipiche del diritto civile, commerciale, procedurale, ecc, consistono un una riparazione del danno Ora, la società primitiva è organizzata intorno a sanzioni repressive, mentre quella moderna attorno al diritto cooperativo o a sanzione restitutiva. Quanto alla società arcaica, primitiva, essa è riscontrabile ad esempio nelle orde, nelle tribu, o comunque in gruppi in cui sono preponderanti credenze e sentimenti comuni. In esse la personalità individuale è assorbita dalla coscienza collettiva, costituita da modalità comuni di credere sentire agire. In tale società vi è uniformità dei membri sia dal punto di vista intellettuale e religioso, sia da quello delle mansioni svolte; vi è dunque una solidarietà di tipo meccanico. Tali individui sono mossi unicamente dai costumi e dalle norme del diritto repressivo. Ciò che offende la coscienza collettiva, ossia i sentimenti largamente radicati nella collettività, commette un atto criminale, e in qualche modo offende la divinità dalla quale emanano i comandamenti. Commette dunque peccato, e merita un espiazione che si avrà con la pena, la cui funzione è quella di mantenere intatta la coesione sociale. La società industriale, invece, è caratterizzata dalla divisione del lavoro. Qui il diritto penale, insieme alla coscienza collettiva non è certo scomparso, ma il suo ambito di intervento è ristretto, avendo perso il suo carattere religioso. In tale società la coesistenza non è garantita dalla pena ma dal diritto cooperativo e in particolare dal diritto contrattuale. Il contratto è infatti l’espressione giuridica per eccellenza della cooperazione ed entrambi sono inscindibile dalla divisione del lavoro, che ne è la causa. L’esempio minimale della cooperazione è dato dallo scambio, che sta alla base di un gran numero di relazioni negoziali giuridicamente regolate: compravendita rapporti di lavoro, contratti di affitto ecc In ogni caso la libera volontà dell’individuo è ridotta in quanto comunque il diritto die contratti stabilisce il quadro generale in cui le volontà individuali possono lecitamente muoversi. La solidarietà organica, data la divisione del lavoro, implica la differenza tra gli individui e sulla loro interdipendenza, cioe sulle relazioni cooperative. Quanto alla quesione dell’integrazione sociale della società industriale francese a cavallo tra il 19 e 20 secolo, una società che evolve in senso pluralistico, per durkheim la soluzione è il ritorno alle corporazioni medioevali e preindustriali. La solidarietà corporativa farà sviluppare la morale professionale e suscitera nell’uomo il sentimento del dovere e un certo attaccamento per il gruppo e per gli interessi collettivi. Al contrario, una situazione di pura libertà, in cui perseguiamo sempre e soltanto i propri interessi, è foriera di disgragazione sociale. Tale concezione corporativa si accorda con la sua dottrina di individualismo morale, per cui l’individuo, da una parte, è vincolato dalle norma morali e giuridiche della società e dai gruppi intermedi cui appartiene; dall’altro in virtù delle caratteristiche liberali della solidarietà organica, egli è in grado di sviluppare la propria personalità secondo i dettami della nuova religione laica che si va affermando, il culto dellìindividuo. Nella concezione di Durkmein ci sono 3 fattori che permettono all'individuo di diventare piu'autonomo pur dipendendo piu'strettamente dalla societa'. • La ridotta proporzione delle normi morali e penali che proteggono la coscienza collettiva e che sono diventate meno nette e precise; • il carattere di astrattezza,che qualifica le norme di diritto restitutivo • il carattere settoriale delle norme corporative. Durkmein individua ulteriori fattori che concorrono all’integrazione della società evoluta: -un'educazione morale laica,che insegna sia quell'insieme di idee che sono alla base stessa dello spirito nazionale,sia il senso di disciplina e l'attaccamento alla societa'ed ai gruppi a cui l'individuo appartiene. -i sentimenti comuni ispirati alla religione -la comunicazione politica, che rende tutti i cittadini partecipi alle idee e li pone in grado di interagire con il pensiero e l’azione del governo -l’opera della sociologia In definitiva, con la sua opera D. ha cercato di educare l’individuo alla vita in società e il cittadino a quella nello stato, in un’epoca in cui in francia il sentimento morale della solidarietà sociale era pressochè assente PARAGRAFO 4:EUGEN EHRLICH. La sociologia per ehrlich è scienza del diritto e, quindi, studia i fatti del diritto. Secondo il fondatore della sociologia del diritto, alla base delle nostre idee si trovano fatti che abbiamo osservato. Anche il diritto e i rapporti giuridici sono cose prodotte dal pensiero, la cui elaborazione concettuale è stata possibile dalla precedente percezione dei fatti di natura sociale che regolano, in quanto diritto in divenire, il comportamento umano nei gruppi sociali. Il diritto è cio' che vive ed opera nella societa' umana come diritto , è diritto vivente che viene effettivamente praticato. La fonte di conoscenza del diritto vivente è in primo luogo il documento giuridico; in secondo luogo, l’osservazione diretta della vita sociale, degli scambi, delle consuetudini di tutti i gruppi I fatti di cui lui si interessa costituiscono delle istituzioni di natura puramente sociale, cioè delle relazioni fattuali che si svolgono secondo regole, alla cui obbedienza l'individuo è spinto da certe rappresentazioni, sensazioni e sentimenti, di cui egli puo'essere anche solo parzialmente cosciente. Queste istituzioni costituiscono le vere e proprie officine in cui si forma il diritto, in cui relazioni di fatto divengono diritto e rapporti giuridici. Le principali istituzioni sono la famiglia il gruppo parentali il comune in primo luogo, e in secondo luogo i rapporti di dominio che esistono nella società, ossia i poteri derivanti dal diritto di famiglia, i rapporti giuridici sui fondi e sul suolo, il diritto die negozi giuridici, l’ordinament dell’eredità. Le istituzioni sono fonti del diritto,di un diritto che non è diritto statuale, ma diritto consuetudinario Non tutte le regole che nascono nella società, però, divengono norme di diritto: lo diventano solo quelle che vengono riconosciute come vincolanti dagli uomini, e soprattutto, dalle cerchie sociali influenti, che avvertono queste regole come fondamentali Ehrlich distingue allora tra diritto di origine sociale, fatto di regole e sentire comune, ed il diritto dello Stato, cioè, l'ordinamento giuridico costituito da leggi e dall'apparato coercitivo della giustizia. Se vuole operare efficacemente nella società, però, il diritto statale non può basarsi sulla pure coercizione, che non ha vera forza di convincimento, ma deve recepire quelle regole sociali a ccolte dall’individuo e dal gruppo Ehrlich sostine la teoria del riconoscimento del diritto, cioè una teoria che si pone, per quanto in modo pionieristico, il problema della legittimazione del diritto, a prescindere dal carattere vincolante della coercizione esercitata dallo Stato. Secono lui le norme operano mediante la forza sociale conferita loro dal riconoscimento di un gruppo sociale. - Collettività (gruppi, comunità, imprese) che hanno fini concreti che vengono perseguiti in conformità di particolari e specifiche regole espresse in forma di aspettative di ruolo; queste ultime costituiscono la quarta componente strutturale. Tutto ciò significa, in definitiva, che l’istituzionalizzazione va posta in relazione alle condizioni sociali del soggetto Successivamente, Parsons elabora una nuova concezione del sistema sociale. Il sistema sociale in quattro sottosistemi: - Economico: che ha il compito di assicurare e distribuire le risorse all’intero sistema sociale (funzione di adattamento) - Politico, che stabilisce gli obiettivi che la società deve perseguire (funzione del perseguimento degli scopi) - Integrativo , che coordina e stabilizza normativamente le relazioni degli attori individuali e collettivi (funzione di mantenimento del modello latente e gestione delle tensioni) - Culturale, che conserva il sistema dei valori ultimi, controllando mediante la socializzazione e l’educazione le motivazioni degli attori e fornendo meccanismi per neutralizzare le tensioni All’interno di tale sistema (AGIL), ben due funzioni sono interessate al problema dell’integrazione sociale: la funzione integratrice e quella del mantenimento del modello latente. Quanto a quest’ultima, è svolta sostanzialmente da famiglia scuola chiesa e fornisce le condizioni per il realizzarsi di azioni conformi. La funzione integratica, è invece svolta dalle strutture che presiedono alla formulazione delle norme, che ne controllano il rispetto e ne sanciscono la violazione A seguito della messa a punto dei quattro prerequisiti fondamentali parsons passa da una concezione biologica del sistema, che tende alla sussistenza mediante un equilibrio omeostatico, a una versione cibernetica e comunicativa del sistema, che mira alla propria stabilizzazione attraverso il controllo e lo scambio di informazioni sia tra elementi costititivi interni, ossia i sottosistemi, si dall’ambiente esterno. Parsons, ora, concepisce la società come un sottosistema del più generale ed astratto sistema d’azione, e il sistema sociale svolge la funzione integrativa; quello culturale svolge la funzione di mantenimento del modello latente, mentre quello della personalità svolge la funzione di mantenimento degli scopi, e al sottosistema organico spetta la funzione di adattamento. A sua volta, il sottosistema sociale si divide in quattro sottositemi: - Comunità societaria (funzione integrativa) - Sistema culturale (mantenimento e controllo del modello) - Governo (perseguimento degli scopi) - Economia (adattamento all’ambiente fisico) Nell’applicare lo schema AGIL alla società differenziate e pluralista, diviene fondamentale mantenere l’integrità del sistema di valori e di garantirne l’istituzionalizzazione. In una società funzionalmente differenziata, i sottosistemi non sono pienamente autosufficenti, ma interdipendenti, cioe hanno bisogno l’uno dell’altro. Anche nella nuova versione, un ruolo fondamentale lo svolge il sistema culturale. Nella misura in cui realizza i valori comuni e organizza gli interessi dei suoi membri, la comunità societaria è una collettività a solidarietà diffusa, che poggia sulla loro mutua lealtà. Nella nazione, la solidairetà è collegata alla cittadinanza. La generalizzazione dei valori e il criterio associativo della cittadinanza permettono la convivenza si stili di vita diversi, nella misura in cui essi siano conformi a declinazioni paricolari del significato dei valori fondamentali. La componente più importante della cittadinanza è rappresentata dai diritti sociali (diritto al lavoro, alla previdenza, alle cure mediche, all’istruzione); in tal modo lo stato ha assicurato un livello minimo di benessere. Mediante lo status di cittadinanza, al fondamento tradizionale dell’integrazione rappresentato dalla condivisione dei valori, si è affiancato un processo di inclusione nella piena partecipazione alla società per cui, nuovi soggetti insiemi di valori ed istituzioni vengono inseriti entro la cornice normativ della comunità societaria, nel caso in cui abbiano sviluppato una legittima capacità di contribuire al funzionamento del sistema. La costituzione rappresenta i valori culturali condivisi, generalizzandoli in modo che posseggano un senso universale, rispetto al quale, però, i cittadini possono trovare una modalità di impiego conforme al significato peculiare che il singolo conferisce a tali valori; la costituzione, dunque, interpenetra non solo il sistema culturale di mantenimento del modello e la comunità societaria, ma anche quest’ultima e la personalità dei cittadini. Di conseguenza, essa funge da base sia per la loro integrazione, sia per la legittimazione morale dell’ordinamento giuridico e dell’attività degli organi dello stato. Parsons è accusato ingiustamente di avere una concezione politica conservatrice in virtù del richiamo alla vigenza di un comune patrimonio di valori e norme, patriotticamente identificato con quello statunitense. Ingiustamente alla luce dei suoi scritti concernenti l’integrazione delle minoranza nella società americana pluralistica e multietnica. In paricolare, in un saggio del 1965, viene affrontata la questione della piena cittadinanza degli afroamericani nella società statunitense. Rispetto a tale questione, P. afferma che non è sufficente all’inclusione un semplice impegno morale, poichè chi vuole affermare che una certa situazione di esclusione è ingiusta, deve argomentare, sostenendo che il gruppo escluso potrebbe fornire validi contriburi ma gliene è negata la possibilità di farlo. In ogni caso, tale rivendicazione può avere successo solo se la società è mature per l’inclusione del nuovo gruppo, solo se vi è un reciproco interesse per l’integrazione. Parsons è cosciente dei nuovi membri comporta dei costi per la maggioranza, in particolare dei suoi gruppi più deboli e vulnerabili, sia perchè il loro stile di vita le loro tradizioni e istituzioni sono riconosciute alla stessa stregua di comportamenti che prima non lo erano, sia perchè in termini economici ciò comporta la restrizione della qualità e della quantità dei beni servizi e delle oppportunità che la società è in grado di redistribuire tra i cittadini. Per Parsons, la piena inclusione è compatibile con il mantenimento di una comunità etnica e/o religiosa distintiva. E‘ chiaro che tale soluzione pluralista non potesse essere accettata dal fondamentalismo bianco, religioso e politicamente conservatore. Infine, un altro aspetto di Parsons poco gradito alla critica è la fiducia nella capacità progressiva della società statunitense. Per permettere alla comunità societaria di evolvere, alle sue basi solidaristiche deve essere garantito un assetto più dinamico: l’integrazione della società nel suo complesso è possibile in virtù della piena realizzazione della cittadinanza democratica, in virtù del fatto che ai cittadini venga riconosciuta l’appartenenza a gruppi e minoranza, in altre parole, in virtù del fatto che ad essi venga riconosciuto il diritto alle differenze. PARAGRFO 6:NIKLAS LUHMANN. Niklas Luhmann mantiene fede al principio della natura puramente descrittiva della sociologia e concepisce la sua come una teoria sistematica che opera mediante l'osservazione e la descrizione della societa'. Ciò che è in gradi di fondare la sociologia come scienza è una particolare riformulazione del problema che riguarda l’esistenza della società: come è possibili l’ordine sociale? La formulazione di tale domanda pone in questione quello che secondo l’esperienza quotidiana è già possibile: l’ordine sociale. Ciò rimanda all’esegenza teorica di descrivere tale oridine. Inoltre la domanda mira a sottolineare la natura contingente di tale ordine, che è cosi come esiste ma che potrebbe anche essere altrimenti. L'ordine sociale esiste, ma le condizioni perchè si realizzi sono incerte, altamente improbabili, eppure reali. La domanda sull'ordine sociale puo'essere scomposta in 2 tipi di problemi: - quello che riguarda la capacita relazionale dei singoli individui: qui l’ordine è dato dalla stabilità delle relazioni. - e quello che concerne il rapporto individuo-societa' : a questo livello l’ordine è dato dal grado di integrazione/socializzazione degli individui, garantito da elementi normativi. Si potrebbe sintetizzare il significato della domanda sull’ordine sociale come esigenza di spiegare l’unità del differente: degli attori nell’interazione e dell‘ individuo nelle formazioni sociali. Per affrontare il problema cosi formulato sono state utilizzate 3 strategie: - la prima è stata quella di presupporre il problema dell'ordine sociale come risolto in un concetto. Esiste di fatto un koinon un gruppo una società. Si presuppone che tali concetti comportino una tale plausibilità da escludere ogni ulteriore interrogazione - La seconda linea argomentativa è stata quella di ricorrere ad una metafora; una molto utilizzata è stata quella della fusione (Durkheim si è servito della coscienza collettiva). - Il terzo modo di procedere è quello che si avvale del contratto; sulla base del consenso gli individui stringono un patto, un contratto sociale, che unisce volontà autonome. Quanto al concetto di istituzione, da un punto di vista sociologico, per L. istituzione designa un complesso di reali aspettative di comportamento che diventano attuali in connessione con un ruolo sociale e possono senz'altro contare sul consenso sociale. Le azioni conformi a queste aspettative hanno buone possibilità di avere successo. Quanto ai sistemi d’azione, per L. i sistemi di azione vengono formati mediante il processo di comunicazione del senso dell’agire, per cui le comunicazioni di senso, e non le azioni in quanto tali sono gli elementi che costituiscono il sistema. Perciò, senza comunicazione non è possibile concepire sistemi sociali, e dunque neppure l’integrazione sociale. La funzione integratrice sei processi di comunicazione consiste nel fatto che il loro senso comunicativo rinvia, in modo diretto o indiretto, a sistemi di azione e dunque ha luogo un accordo più o meno consapevole su ciò che viene presupposto. Come si vede il consenso rappresenta un elemento rilevante che contraddistingue non solo la nozione di istituzione, ma anche quella di integrazione sociale. Nello stesso tempo, però, esso si configura come un concetto altamente problematico, in quanto esso può essere soltanto presupposto a causa della struttura riflessiva delle aspettative: infatti, io non solo posso aspettarmi il comportamento dell’altro, mentre l’altro può fare la stessa cosa con riferimento al mio agire, ma posso anche aspettarmi che l’altro si aspetta che io mi aspetti un certo suo agire, e cosi via. Il consenso è soggetto ad un meccanismo analogo, per cui, per esempio rispetto ad una modalità di agire che deve essere intrapresa, io posso essere d’accordo sulla decisione presa o sul senso da conferire all’azione, a partire dalla supposizione che qualcun’altro sia d’accordo. Tutto ciò avvia la coscienza individuale sulla base del conformismo e sta alla base della legittimazione dell istituzioni, per cui esse si fondano non sulla effettiva concordanza di un numero determinabile di manifestazioni di opinione, ma sulla loro efficace sopravvalutazione. Luhmann abbandona il tentativo di determinare che cosa un istituzione è, e con quale diritto essa vale, per indagare, invece, il modo in cui essa svolge la sua funzione. Il tema principale è quello della istituzionalizzazione. Essa serve a stabilizzare, anche nei confronti di terzi estranei dalla scena dell‘azione, una particolare selezione di aspettative, che sarebbero particolarmente esposte alla contingenza e al rischio di venir deluse a causa del meccanismo riflessivo delle aspettative che entrano in gioco nell’interazione. In questo senso, la funzione dell’istituzionalizzazione è analoga a quella della produzione normativa. Per diritti umani si indica un’espressione che fa riferimento all’affermazione internazionale di diritti o alla discussione filosofica sui loro fondamenti, a quei diritti di cui dovrebbero essere titolari tutte le persone del mondo, dunque universali Diritti fondamentali è un espressione riferita solitamente agli ordinamenti delle società nazionali e indica quei diritti garantiti in documenti costituzionali o della giurisprudenza costituzionale che proteggono valori fondamentali, e in quanto tali sono inviolabili e indisponibili. Per diritti civili si intendono le libertà personali (di pensiero, religione, parola, circolazione, associazione), i diritti di autonomia contrattuale e azione processuale, diritto al giusto processo, i diritti di proprietà e libertà economica I diritti politici sono i diritti della persona in quanto membro della comunità e si affermano come requisito delle forme di governo democratico. Sono i diritti di elettorato attivo e passivo, diritti di partecipazione politica (referendum, petizioni popolari( I diritti economico-sociali comprendono situazioni molto diverse: diritto al lavoro e diritto dei lavoratori, all’organizzazione sindacale, all’assistenza sociale, alla salute, all’istruzione. Tradizionalmenti i diritti civili vengono fatti corrispondere ad obblighi di astensione da parte dei pubblici poteri, mentre i diritti economico-sociali ad obblighi di prestazione; in realtà anche i diritti civili richiedono prestazioni da parte dello stato, volte ad organizzare l’apparato di controllo, sicurezza e sostegno, basti pensare alle carceri o alle forze di polizia. La formulazione e l’attuazione dei diritti sono strettamente legate al contesto storico-sociale, dipendendo da condizioni contingenti di natura politica, culturale, religiosa economica. I diritti non sono soltanto norme e principi ma sono in primo luogo elementi culturali costituiti da insiemi di credenze, valori, comportamenti pratiche. Se coma ha osservato Bobbio i diritti dell’uomo sono un fenomeno sociale, la prospettiva sociologica è essenziale nello studio dei diritti, anche se inizialementa la sociologia del diritto si è disinteressata dei diritti o ne ha trattato in riferimento alla nozione di cittadinanza. In italia sono state delineata, due principali prospettive di indagine sui diritti direttamente rilevanti per la sociologia del diritto. 1) La prima riguarda l’implementazione e la giustiziabilità dei diritti, dunque l’applicazione e l’attuazione dei diritti. A tal proposito, Bobbio aveva affermato che il grande problema dell’età dei diritti e l’ineffettività degli stessi, il fatto che per la maggior parte delle persone nel mondo i diritti non sono altro che diritti di carta. 2) La seconda prospettiva privilegiata della sociologia del diritto riguarda la costruzione sociale dei diritti e guarda all’origine dei diritti e ai processi sociali che confluiscono nella loro formulazione e istituzionalizzazione. Questa prospettiva è legata allo stretto nesso che corre tra mutamento sociale e nascita di nuovi diritti; considerare i diritti anche un fenomeno sociale implica considerarli un prodotto storico. Se si guarda ai diritti in una prospettiva storica si coglie come essi abbiano avuto origine dal diffondersi di nuovi bisogni o nuovi valori, a loro volta originati da trasformazioni delle strutture economiche della società, dei rapporti di potere tra varie componenti della popolazione, dall’affermarsi di opzioni politiche o odeologiche, da scoperte scientifiche tecnologiche, da fenomeni sociali. Nella storia dei paesi occidentali la formazione di un diritto può essere vista come un processo che origina dal basso, da esigenze diffuse in una parte della società che si precisano progressivamente come giuste fino a presentarsi come rivendicazioni di norme giuridiche e interventi pubblici. In tutto ciò, movimenti sociali e associazioni hanno avuto un ruolo essenziali sia nell’affermazioni di nuovi diritti, sia nell’estenzione di diritti già proclamati a categorie sociali che ne erano escluse, sia nella denuncia della loro violazione. Ciò a partire dai grandi movimenti che hanno condotto alla rivoluzione francese e americana, passando per i movimenti operai e per quelli femminili, per quelli che si sono battuti per il suffraggio universale e contro la schiavitù, fino ai più recenti moviemnti di rivendicazione di politiche della differenza. Tuttavia storia dei diritti è anche storia di influenze di teorie, idee, processi storici. PARAGRAFO 1:VECCHI DIRITTI. Le prime forme di manifestazione di quei valori e quelle rivendicazioni che assumeranno la veste di diritti di libertà sono iniziate nell'eta'medievale, e la loro origine risiede in movimenti e lotte contro il dogmatismo delle chiese e contro l’autoritarismo degli stati. La conquista di spazi di libertà personale, che si traducevano in garanzie contro provvedimenti arbitrari che colpissero la vita, il corpo, le attività, i beni, ha inizio nei conflitti di resistenza all’estendersi del potere dei sovrani. I cosiddetti jura et libertates sanciti in documenti medievali tra i quali il piu'noto è la Magna Charta del del 1215 , erano però diritti solo per gli uomini liberi cioè membri dell'aristocrazia, del clero ,e degli ordini professionali. La teorizzazione dei diritti dell’uomo si fonda invece sull’idea di uguaglianza naturale: i diritti appartengono a tutti gli uomini, indipendentemente dalla nascita, da dove vivono ecc. Ciò che è rilevante è la ragione, elemento comune a tutti gli uomini del mondo Nella teoria politica inglese del 600‘ si consolida la teorizzazione dell’individuo proprietario della propria persona, libertà lavoro e beni Il contratto sociale è la manifestazione per eccellenza dell'autonomia individuale, sso presuppone un individuo libero, razionale, capace di giudicare il bene ed il male. Per il movimento culturale illuminista francese les droits de l’homme, sono il simbolo della ragione contro le superstizioni, di un riscatto economico e culturale, dell’abolizione dei privilegi di status, della tutela dell’individuo contro i soprusi della monarchia, del clero, dell‘aristocrazia I fondamenti delle teorie contrattualistiche ed illuministe si trovano nelle Dichiarazioni dei diritti americane e francesi di fine'700 che furono espressione diretta di movimenti sociali, le lotte dei coloni inglesi per l‘indipendeza e del popolo francese per l’abbattimento dell’ancien regime. In Francia, all’interno del terzo stato i borghesi (accademici, professori, commercianti, intellettuali) emergono sui salariati e sui contadini. La Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 rispecchia gli interessi ed i valori della classe borghese, cioè di quella parte della popolazione che si stava affermando socialmente ed economicamente e non aveva interesse ad imporre un nuovo ordine egualitario, ma solo ad eliminare gli ostacoli che potessero frenare un processo gia'in atto. Si afferma l’uguaglianza di fronte alla legge, mentre la disuguaglianza economica e sociale è ancora accettata. Nell'800 i diritti dal piano morale e filosofico-politico si spostano sul piano delle politiche pubbliche e degli ordinamenti giuridici nazionali. Da diritti natuarali diventano diritti positivi, da diritti universali diventano diritti nazionali, da diritti dell’uomo diventano diritti del cittadino. La cittadinanza diviene frontiera di esclusione; solo le persone che hanno determinati requisiti sono pienamente cittadini e dunque titolari di un complesso di diritti e corrispondenti doveri Liberta', proprieta', e sicurezza come diritti pieni del cittadino a pieno titolo si fondono inestricabilmente nella cultura borghese ottocentesca. Per la maggior parte della popolazione alle prese con la sopravvivenza questi diritti non hanno tuttavia molto rilievo e si traducono piuttosto in maggiore subordinazione ed incertezza socialmente giustificate dalla necessita'di garantire le liberta'economiche. La limitazione dei titolari di diritti politici è prevista formalmente: negli stati europei fino alla seconda metà dell’ottocento e in alcuni casi primi decenni del novecento, avevano il diritto di eleggere ed essere eletti solo cittadini maschi e benestanti; ne era esclusa la maggioranza della popolazione maschile e la totalità di quella femminile. L'assenza di autonomia morale e materiale giustificava anche l'esclusione delle donne. Alle donne era assegnata la cura della persona e della casa, la crescita dei figli; agli uomini la cosa pubblica, il lavoro remunerato, i rapporti sociali. Oltre ai diritti politici alle donne erano per legge precluse anche alcune occupazioni perchè considerate fisicamente, ma soprattutto psicologicamente,i nadeguate; l'esercizio di fondamentali diritti civili era limitato, quando non in nome della loro differenza/inferiorita', in nome della tutela della famiglia, della stabilita'coniugale, del bene dei figli, cioè di valori centrali nell'etica borghese ottocentesca. I movimenti femministi che si diffusero in Europa e in Nord America a partire dalla seconda metà dell‘800‘, furono essenzialemente rivolti a conquistare l’uguaglianza nei diritti, cioè all’eliminazione di quelle norme discriminanti che escludono il pieno accesso delle donne ai diritti civili e politici. Il movimento femminista ed il movimento per il suffragio universale non furono i soli, perchè tutto l'Ottocento fu caratterizzato dalla diffusione di movimenti sociali ed associazioni che aggregavano intorno a chiari bisogni ed interessi di gruppo ed alla conquista di diritti le componenti piu' svanataggiate della popolazione,organizzandone le richieste e diventando progressivamente soggetti sociali di primo piano. Dalla popolazione operaia e contadina non venivano solo richieste di accesso ai diritti politici, ma anche di garanzie e misure legare al lavoro: libertà di associazione, diritto di sciopero, assistenza ai lavoratori invalidi e alle loro famiglie, ecc Sulla base di queste istanze e attraverso lotte sociali tra le seconda metà dell‘800‘ e la prima del 900‘ prende forma un nuovo tipo di diritti: i diritti economico-sociali, che esprimono i bisogni dei soggetti più deboli. Tra i diritti sociali per eccellenza un ruolo fondamentale è svolto dal diritto all'istruzione, che rompe la connessione tra reddito ed istruzione come requisiti per la titolarita' di diritti politici e civili ed apre la strada all'accesso di tutti, anche ai figli/e delle classi piu'povere ,a questi diritti. L’istruzione pubblica, gratuita ed obbligatoria, è tra le prime istanze riformistiche guidate da una visione meritocratica e di uguaglianza delle opportunità, considerata come condizione indispensabile per la mobilità sociale, per mettere a disposizione della società capacità sociali altrimenti sprecate, per far avanzare l’economia e il progresso. Nel 900‘ l’affermazione dei diritti sociali si lega ad un cambiamento del ruolo dello stato che coinvolge un impegno attivo nella ridistribuzione della ricchezza nazionale. Servizi relativi alla sanità, all’istruzione, all’istituzione di sistemi previdenziali e pensionistici obbligatori, all’alloggio popolare vengono assunti direttamente dall’apparato burocratico. Il primo documento che sancisce diritti economico-sociali è la costituzione di Weimar del 1919. Nella seconda metà del 900‘ si sviluppano sistemi di sicurezza sociale in tutti gli stati industriali e si diffondono servizi sociali ed attività economiche gestite direttamente dalla p.a. Dunque lo stato si fa promotori di uguaglianza sociale, che richiede l’adozione di misure tendenti a limitare le disuguaglianze di fatto tra le persone, riequilibrare le differenze economiche, sociali, naturali.Si ricorda l'art. 3 della Costituzione Italiana Infati alcuni autori, come Hart, hanno sostenuto che ciò che caratterizza il diritto soggettivo è la volontà o la scelta del titolare del diritto se far valere o no il suo diritto. Altri autori, come MakCormick, hanno invece sostenuto che l’elemento costitutivo è l’interesse protetto o promosso da norme giuridiche o morali a prescindere dalla volontà dei titolari. Queste due concezioni si ritrovano nel dibattito quotidiano sui diritti che si svolge frequentemente tra due poli: -da un lato la completa autodeterminazione e dunque la completa disponibilità di un diritto da parte di una persona adulta -dall’altro la completa indisponibilità, corrispondente alla concezione del diritto come valore collettivo che si impone sulla volontà del soggetto agente. Il ruolo della volonta'e della scelta del titolare è centrale nella definizione di molti diritti,come diritti sul proprio corpo, sul proprio patrimonio genetico, diritti di riproduzione,ecc. Il caso più evidente è quello del diritto alla vita, che può essere considerato come un bene collettivo o come un bene individuale; si contrappongono qui la visione di coloro che mantengono la centralità della volontà indioviduale nella definizione della propria vita e del momento in cui questa non è più degna di essere vissuta, con quella di coloro che sostengono il diritto alla vita come assoluto, indisponibile, sottratto alla volontà e alla scelta razionale del titolare della vita stessa. Lo spazio di autodeterminazione del soggetto è fondamentale anche in molte questioni legate al pluralismo culturale e normativo. Nei casi che contrappongono diritti delle donne e diritti delle culture le situazioni più difficili sono quelle in cui le stesse vittime rivendicano pratiche e istituti che appaiono lesive dei loro diritti in quanto esseri umani e in quanto donne, come un diritto inerente alla loro cultura e religione. Ciò avviene per la poligamia, ma anche per le mutilazioni genitali femminili. I sociologi hanno da tempo messo in luce i tratti di un nuovo individualismo: si parla di societa' degli individui, di individualizzazione della societa', di un individualismo negativo. Questi caratteri si sono accompagnati alla crisi dell’organizzazione industriale del lavoro e all’avanzare di una nuova organizzazione fondata sulla flassibilità, sulla precarietà sulla frammentazione sulla competizione. La proliferazione dei diritti viene spesso ricondotta a questi caratteri di nuovo individualismo delle società occidentale, alla crisi dei valori collettivi e delle strutture di solidarietà sociale. L’accentuazione del fondamento individualista alimenta una critica essenziale rivolta ai diritti e variamente riformulata a partire da marx, che considera i diritti espressione di una visione atomistica della società e di un’astrazione che costruisce le persone come individui autonomi isolati slagati da altri soggetti. Questa critica riguarda soprattutto i diritti civili, poichè i diritti economico-sociali si sono fondati al contrario sulla solidarietà e sull’uguaglianza di opportunità come diritti della persona socialmente situata. Proprio questi diritti hanno subito negli ultimi decenni un decremento di ruolo; un alleggerimento dei diritti che si è tradotto di frequente in una responsabilizzazione dei cittadini, cha ha caricato sui privati prestazioni un tempo pubbliche, in particolare nell’ambito della società e della sicurezza All'accentuazione dei diritti con fondamento individualista ed all'arretramento dei diritti come impegno sociale si è affiancata negli ultimi decenni un'altra importante tendenza: l'incremento del ruolo delle collettivita' intermedie tra l'individuo e lo Stato. Vi è una ricerca di appartenenza comunitaria in base ad elementi culturali e religiosi. Il bisogno di comunità che si è diffuso in tutto il mondo si è tradotto anche in rivendicazioni di diritti di popoli indigeni, di minoranze di gruppi migranti, diritti di autodeterminazione di autonomia terrioriale linguistica scolastica. Il riconoscimento di tali diritti può comportare un rischio per i diritti individuali, in particolare per i diritti di libertà di coloro che non condividono le richieste e le posizioni diminanti del gruppo di cui fanno parte. Nei confronti delle strutture sociali di appartenenza, famiglie e comunità, le liberà individuali possono richiedere particolari tutele: ciò è evidente per molte donne per le queli i diritti fondamentali (comunicazione, circolazione, proprietà, sposarsi o no), sono minacciati e violati molto più dai poteri privati che da quelli pubblici, come gli episodi di punizione di figli ribelli. La dimensione comunitaria non riguarda soltanto i diritti di specifici gruppi: nel dibattito pubblico sono sempre piu'diffuse le rivendicazioni di diritti per tutti/e da parte di organizzazioni ed istituzioni. Si sono moltiplicati i soggetti collettivi che si presentano come sostenitori, interpeti, difensori dei diritti delle persone. Sono frequenti le situazioni in cui istituzioni parlano ed agiscono in nome di una visione universalista dei diritti, espressione di una morale sociale o comunitaria, che prescinde dalla volonta'dei soggetti nel cui nome agiscono. Se poi ci spostiamo dal piano interno al piano dei rapporti internazionali constatiamo la frequenza ed il peso che hanno assunto la rivendicazione da parte di stati, organizzazioni e agenzie sovranazionali del ruolo di definizione e tutela dei diritti umani di popolazioni intere o parti di esse. Fino a presentarsi come giustificazioni di interventi armati, chiamati umanitari, ma intrapresi senza la consultazione della popolazione a cui sono diretti. Al centro dei rapporti problematici tra individui e collettività vi è il problema della rappresentanza, che si fa particolarmente acuto quando i diritti sono attribuiti a soggetti che non possono rivendicarli interpretarli chiederne l’adempimento (generazioni future, embrione, in alcuni casi popoli). Qui vi è un forte rischio di autoritarismo, di violenza quando compaiono soggetti che senza una specifica legittimazione pretendono di rappresentare tali entità astratte, e come si è fatto con il diritto di ingerenza umanitaria, intraprendono guerre. Societa'/diritto: lo schema classico dell'affermazione di nuovi diritti si articola grosso modo attraverso tre passaggi: dalla societa' al legislatore, al giudice. Secondo questo schema i diritti si formano inizialmente in ambito sociale come rivendicazioni di gruppo che acquistano legittimita' diffusa e sono oggetto di elaborazione teorica, si traducono poi in principi e norme fondamentali contenuti in dichiarazioni internazionali o costituzioni nazionali, per la cui attuazione vengono emanate leggi, cioè norme generali ed atratte, che a lro volta dovranno essere giustiziabili, cioè applicate dai tribunali. La distinzione tra tali passaggi è attualmente difficile da applicare. I processi di riconoscimento e stabilizzazione di diritti sono infatti il risultato di interazioni tra diverse fonti giuridiche, sociali ed istituzionali ed il rapporto tra i 3 livelli, societa', legislatore giudice è caratterizzato da una costante influenza reciproca. Spesso la la formalizzazione giuridica di nuovi diritti non avviene attraverso nuove norme, ma piuttosto attraverso la rielaborazione giurisprudenziale di principi e diritti già disposti e tutelati dall’ordinamento giuridico nazionale o internazionale. In secondo luogo, soprattutto nell’innovazione scientifica e dalle trasformazioni sociali è frequente che nuove possibilità ed esigenze vengano inizialemnte regolate attraverso codici deontologici, accordi tra privati usi convenzioni che confluiscono nella formazione di una prassi. Nel momento in cui questa sorta di diritti viventi non è più adeguato a prevenire e trattare i conflitti si ricorre alla magistratura che, non avendo una normativa specifica a cui far riferimento, si pronuncia per via estensive e interpretativa, spesso con l’ausilio di fonti sovranazionali. Si forma cosi una giurisprudenza che può comprendere decisioni eterogenee e discordanti. Anche dopo l’intervento del legislatore, la giurisprudenza può intervenire che possono ridefinirne ampiamente la portata Si forma cosi' un processo in cui il ruolo della magistratura è sempre piu' rilevante. Nei Paesi del Ciwil Law, la funzione creativa della giurisprudenza si è molto incrementata negli ultimi decenni. Anche nella definizione i diritti fondamentali i giudici,nazionali e sovranazionali, hanno assunto un ruolo primario che non è piu' qualificabile come supplenza, come eccezione rispetto al modello del primato del legislatore, ma è diventato un elemento strutturale del diritto. D’altra parte, gli effetti immediati delle trasformazioni scientifiche e sociali spesso sfuggono al legislatore. Le decisioni giudiziarie assumono spesso un ruolo politico ed una visibilita'pubblica che espongono i giudici a rapporti e condizionamenti esterni. Si accentua cosi'l'interazione e la reciproca influenza tra societa'ed istituzioni giuridiche. Ruolo primario in materia di diritti è anche svolto da corti internazionali, dalla corte di giustizia europea, da agenzie e organizzazioni come la WHO, WTO, da consulte, comitati collegi arbitrali, corti religiose. Lo schema classico di affermazioni di nuovi diritti, se è difficilmente applicabile nelle società occidentali, lo è ancor di più in quelle aree del mondo che conoscono i diritti umani solo dalla seconda metà del 900‘. Il processo di internazionalizzazione ha portato diritti a persone per le queli tali diritti non si presentano come tutela giuridica di istanze morali o come forma spontanea di rivendicazione di un bisogno o un interesse giusto, ma come principi e valori calati dall’alto. Sostanzialmenti si segue dunque un percorso inverso: i diritti prima sono posti, cioè enunciati nelle dichiarazioni internazionali e talvolta ripresi nelle legislazioni nazionali, e poi dovrebbero trasformarsi in diritti morali, cioè in valori diffusi nella società. Universale/particolari: l'internazionalizzazione dei diritti, cioè la loro trasformazione in diritti umani, da riconoscersi a tutte le persone nel mondo, ha messo in luce il loro legame con la storia occidentale e con la cultura europea. In altri termini l'universalita'dei titolari di diritti ha fatto emergere il problema dell'universalismo dei fondamenti. Varie correnti di pensiero hanno elaborato una critica radicale dell’universalismo dei diritti, secondo la quale i diritti sono stati presentati facendo riferimento ad un soggetto neutro, l’uomo, universale e razionale, senza razza ne sesso ne ceto sociale ma in realtà corrispondente all’uomo maschio, bianco, di classe media, proprietario. I diritti dunque non sarebbero ne universali ne neutrali. D’altra parte, l’idea di avere un diritto fatica a penetrare in culture fondate sui doveri, in cui l’autonomia e l’uguaglianza non sono valori diffusi; ne consegue che l’attuazione universale dei diritti si presenta come mera aspirazione per popolazioni in cui condizioni economiche, indici di assistenza medica e istruzione sono molto lontani da quelli dei paesi occidentali. Confrontati con culture diverse rispetto a quella in cui sono nati i diritti hanno spesso mostrato la loro inadeguatezza e sono stati contestati in quanto prodotto della storia occidentale e usati come strumento di neo-colonialismo e imperialismo culturale, se non addirittura un preteso per giustificare un’ingerenza fondata su tutt’altri interessi. Nonostante ciò il linguaggio dei diritti umani è sempre più diffuso ad ogni livello. L’idea di avere un diritto e poterlo rivendicare ha mostrato di avere una forza che va al di la della cultura occidentale ed una capacita'di tradurre interessi dei piu'diversi soggetti, individui e collettivita'. Il richiamo ai diritti rappresenta un potente veicolo di rivendicazion e, di protesta diffuso in tutto il mondo. In nome di vicchi diritti, come la liberta'personale e religiosa, la liberta'di espressione, il diritto di non subire torture o trattamenti inumani e degradanti sorgono movimenti di opposizione a poteri pubblici ed a istituzioni tradizionali. Si affermano in ogni dove nuovi diritti come i diritti all’ambiente, il diritto all’acuq, i diritti dei popoli indigeni a cionservare la propria terra, lingua tradizioni, ecc Il nuovo femminismo mira a decostruire l’istituzione di genere, agendo sia teoricamente che praticamente per demolirne le mura (norme, atteggiamenti, modelli culturali). Fin da subito il movimento femminista tiene insieme teoria e pratica: la pratica cioè la politica, è ispirata dal pensiero e retroagisce su di esso. Il femminismo si misura sin da subito con la cultura ricevuta, e il diritto e la cultura giuridica ne sono investiti tra i primi. Le donne, ormai titolari degli stessi diritti degli uomini, si sono accorte che o il diritto non basta, o che anche il diritto e i diritti sono costruiti da e per i maschi. PARAGRAFO 2:GENERE. Il genere ha molte delle caratteristiche di una istituzione sociale. Nella maggior parte delle società e per la gran parte del tempo, il genere classifica gli esseri umani in due grandi gruppi: i maschi e le femmine, cui sono attribuite caratteristiche (norme, valori, atteggiamenti, modelli cognitivi) diverse. Tra le caratteristiche salienti e più durature vi è l‘asimmetria tra i due generi: il maschile viene costruito come superiore al femminile. Se, come nella nostra cultura, il maschile è associato alla cultura, il femminile è associato alla natura, la ragione sta dalla parte del maschile, l’emozione dalla parte del femminile e cosi via, rimanendo costante che gli attributi del maschile sono considerati superiori a quelli del femminile. Come tutte le istituzioni sociali anche il genere, quando funziona, è pressochè invisibile, ossia è una classificazione sociale che viene considerata naturale, in quanto determinata dalla biologia. Per vedere il genere deve accadere qualcosa, ci deve essere qualche mutamento sociale e culturale, una qualche frattura nel tessuto culturale da cui emerge che almeno alcune delle caratteristiche ritenute ovvie naturali, tali non sono. Ciò è successo molte volte nella storia. Negli anni 60‘ del secolo scorso, le donne giovani, istruite, vedono il genere e la loro subalternità, in modi nuovi rispetto al passato, e danno inizio ad una rivolta che è anche contro il modo di pensare il genere, e quello femminile in particolare, partendo da come loro stesse si pensano. Non chiedono parità degli uomini nel mondo, ma un nuovo mondo. 3 PARAGRAFO:DIRITTO. Viviamo immersi/e in un universo di norme;ogni aspetto della nostra vita è disciplinato ed organizzato da norme, a partire dal linguaggio. Non tutte le norme, pero', sono norme giuridiche. Il campo del diritto è assai vasto ben aldila'di cio' che nel senso comune è considerato tale. PARAGRAFO 4:DIRITTI. I diritti dell'uomo o diritti umani nascono nell'eta'moderna. La loro elaborazione nasce dai giusnaturalisti e dai contrattualisti, che li concepi come diritti naturali o innati. La loro concrata garanzia si realizza solo con la loro concreta positivizzazione o costituzionalizzazione, cioe con la loro incorporazione nella carte costituzionali (costituzione americana 1776, dichiarazione francese dei diritti del 1789, ecc) Questo segna la nascita del moderno stato costiuzionale di diritto: inteso come espressione di un sistema politico nel quale tutti i poteri pubblici, incluso quello legislativo, sono sottoposti alla legge, e prima di tutto alla costituzione ed ai diritti fondamentali che essa stabilisce. Si distinguono tre generazioni di diritti: La prima generazione è quella dei diritti civili e sono il diritto alla vita, alla liberta'di coscienza, di opinione e di parola ed il diritto alla proprieta'. La seconda generazione è quella dei diritti politici, diritto di voto, di associazione e cosi'via, che si affermanonel corso del secolo XIX, ma si universalizzano piu'tardi. La terza generazione è quella che si afferma con il passaggio dello Stato liberale allo Stato sociale, ed è la generazione dei diritti sociali, diritto alla salute, all'istruzione, al lavoro ed alla casa. Vi è anche una quarta o quinta generazione di diritti per indicare i diritti emergenti (alla privacy, all’informazione, all’ambiente, ecc) PARAGRAFO 6:IL GENERE DEL DIRITTO ED IL GENERE NEL DIRITTO. Diritto e diritti sono attraversati dal genere. A loro volta, diritto e diritti costruiscono il genere in diversi modi dicendo cio' che è proprio e legittimo dell'uomo e della donna, nonchèdei rapporti tra di loro. Ciò avviene a diversi livelli, sia nella legislazione, che nella giurisprudenza e anche nella costituzione (dove, a fronte dell’art. 3 che sancisce l’uguaglianza di fronte alla legge indipendentemente dal sesso, c’è per esempio l’art. 37 che subordina la parità nel lavoro al prioritario lavoro di cura delle donne, richiamandosi alla loro essenziali funzione familiare). Il diritto e i diritti sono dunque sessuati. Dato che viviamo in un mondo dominato dal maschile diritto e diritti rispecchiano, riproducono e legittimano questo dominio, sotto la finzione della neutralita'ed imparzialita'. Al tempo stesso come gia' notava Marx quando leggeva il diritto ed i diritti moderni come legittimazione del dominio della borghesia, questa finzione non è senza conseguenze, contribuendo a promuovere e sostenere richieste e lotte per il suo inveramento: ossia, quando si prendono sul serio, le promesse possono essere un potente motore di trasformazione, come di fatto sono state. PARAGRAFO 7:UNA STORIA. I diritti occupano un posto diverso nel dibattito giuridico e politico dei paesi dell'Europa continentale rispetto ai paesi anglosassoni. Nei primi la legge occupava un posto di primaria grandezza, in conseguenza della codificazione e della minor importanza perciò attribuita alla giurisprudenza; nei secondi, dove prevaleva il Common Law, un diritto non scritto e quindi una giurisprudenza i diritti assumono una collocazione centrale e dirimente. Carol Smart individua tre fasi delle posizioni femministe in ordine al diritto, emblamitizzate in tre slogan: il diritto è sessista, il diritto è maschile, il diritto è sessuato. Nella prima fase si sostiene che, distinguendo tra uomini e donne, il diritto discrimina le donne dando loro minori risorse, negando loro eguali opportunita', e cosi'facendo si comporta in modo irrazionale e non imparziale. In tale fase i principi di obiettività, razionalità imparzialità che sottendono il diritto sono maschili. In tale fase invece, prevale la denuncia del diritto come intrinsecamente maschile. La terza fase invece si connota per le poszioni che interpretano il diritto come sessuato. Smart dice che se le prime posizioni descrittive avevano come obbiettivo la ricerca di un diritto che trascendesse il genere, e le seconde la ricerca di un diritto che rappresentasse i due generi, le ultime hanno come obbiettivo l'esporazione dei modi in cui il genere opera nel diritto e contribuisce a produrlo. Potremmo ricondurre le tre fasi descritte da Smart rispettivamente al femminismo liberal, al femminismo culturale, e al femminismo decostruzionista. Per quest’ultimo, il diritto è una strategia di sessuazione, una delle tecnologie del genere attraverso cui si produce la donna in generale, ossia in opposizione all’uomo, e in particolare, per esempio, la cattiva madre, la prostituta, ecc. Il quadro del dibattito anglosassone è piu'articolato e complesso di come lo descrivono questa, o altre, ricostruzioni. Difficilmente inseribile nella classificazione proposta da Smart è la posizione di una giurista come McKinnon, che ha inventato le molestie sessuali nei luoghi di lavoro e ha dato luogo ad una battaglia contro la pornografia come istanza di discriminazione sessuale. McKinnon rinomina molestie sessuali, pornografie e stupro partendo dal punto di vista di chi subisce queste offese e concependo questo punto di vista come collettivo. Molti movimenti politici hanno seguito fino ad ora strategie simili: rinominare,significare o risignificare esperienze e vissuti, trasformandoli da esperienze individuali a fatti sociali riconoscibili pubblicamente come socialmente causati. PARAGRAFO 8:IL DIBATTITO ANGLOSASSONE SUI DIRITTI. Carole Pateman, da politologa, ricostruisce criticamente la storia dei diritti, mettendo sotto accusa le teorie contrattualistiche e non contrattualistiche che li hanno prodotti e li legittimano. Secondo P., l’individui all’origine del contratto sociale è incarnato in un corpo maschile. Se le cose stanno cosi, l'estenzione dei diritti alle donne le costringe in realta' all'adeguamento ad un modello maschile, cosa in gran parte impossibile e produttrici di paradossi. Elizabeth Wolgast, le risposte in termini di diritti sono inefficaci nei casi del rapporto tra medico e paziente, tra genitori e figli, dove chi dovrebbe rivendicare diritti non può farlo perchè si trova inserito in una relazione complessa, dove sono in gioco la fiducia e l’amore, non soltanto le asimmetrie di potere; attribuire diritti ai bambini ed ai pazienti può essere molto negativo, se conduce ad interventi che non tengono conto dell’ambivalenza dei rapporti. In altre parole la logica dei diritti semplifica le relazioni e le riduce a rapporti di potere. Ad esempio, affrontare in termini di diritti contrapposti la questione dell’aborto, conduce a dibattere seriamente lo statuto del feto, ossia se il feto abbia o no diritti nei confronti della madre; l’alternativa è considerare il feto come semplice proprietà della madre. Il feto, tuttavia, dice Wolgast, non è nè un persone nè appendice della madre, ma appunto feto. Piu' attenta al problema politico del rapporto tra uguaglianza e differenze è la giurista Martha Minow. Il dilemma della differenza, dice Minow, si pomne in quelle societa'la cui politica si vuole ispirare a principi di eguaglianza, ed in cui tuttavia la differenza, intesa come disuguaglianza, viene prodotta e riprodotta precisamnete dalle politiche adottate per combatterla. Ciò accade sia se la differenza è programmaticamente ignorata, sia invece se viene tenuta presente. Il problema è infatti la norma, lo standard su cui la differenza viene misurata come scarto devianza; questo standard è di per sè escludente, quando venga assunto come oggettivo, imparzioale. Esso assolutizza e rende invisibili punti di vista, esperienze, interessi concreti e contemporaneamente esclude gli altri. Se lo standard non viene decostruito, le differenze vengono sempre e necessariamente riprodotte come inferiorità, patologia, disuguaglianza. La Minow dice che il diritto tende a negare che siamo tutti reciprocamente dipendenti da qualcuno ed accentua invece la dipendenza di persone che sono diverse,giacchè ha come standard di riferimento l'individuo autonomo e competente. PARAGRAFO 9:SFERA PRIVATA E SFERA PUBBLICA. Buona parte dei conflitti nelle nostre società sin combattono attorno alla negoziazione e all’interpretazione di ciò che deve o non deve essere privato. Credo che tra i contributi piu'interessanti da parte femminista su questo tema vi sia la critica delle riforme del diritto di famiglia che, un po' dappertutto in Occidente hanno appunto sancito la parita', non solo tra i coniugi ma tra i genitori. La parità è accusata di neutralizzare la differenza di genere. Al momento della rottura del matrimonio, sul piano economico le madri affidatarie si trovano spesso in grandi difficoltà. Ciò ha a che fare da un lato con la virtuale sparizione della separazione e del divorzio per colpa, che vede di fatto penalizzate le donne cui spesso non viene riconosciuto un assegno di mantenimento; dall’altro con ciò che è stato definito il patrimonio invisibile, che anche in regime di comunione dei beni non viene redistribuito equamente. Il patrimonio indivisibile è quello accumulato dal marito o dal padre che in costanza di matrimonio usufruisce del lavoro di cura per se e per i figli, della moglie o della madre il quale lavoro è spesso alla base del maggior successo economico del marito rispetto al suo, successo che rimane indiviso e di proprieta'del marito-padre, e non viene compensato dall'assegno di mantenimento per i figli minori. La neutralizzazione del genere nei rapporti familiari ha dato luogo ad un altra conseguenza perversa, ossia alla rivendicazione da parte dei padri separati e poi alle leggi sull’affidamento condiviso come standard. L'affidamneto condiviso si risolve spesso infatti in un rinnovato controllo da parte del padre separato sulla vita dell'ex-moglie. Le responsabilita'non sono ugualmene condivise perchè i figli piccoli continuano a vivere con la madre. L'affidamento condiviso permette al genitore non convivente (padre) di intromettersi nella vita quotidiana del genitore convivente (madre) di pagare meno il mantenimento dei figli, di non cedere al genitore convivente la casa coniugale. In definitiva, la perdurante divisione sessuale del lavoro di cura, la carenza di servizi sociali, l’ancora inuguale accesso al lavoro e alla possibilità di carriere delle donne rispetto agli uomini fanno si che la parità genitoriale si risolva spesso in und anno per le donne, specialmente quelle con figli piccoli. E si noti che tale danno si attua proprio sulla base dei diritti, quali il diritto dei figli ad avere due genitori cosi come i diritti dei padri ad avere due madri. PARAGRAFO 12:PROCREAZIONE,ABORTO. le tematiche sulla procreazione sono state tra le piu studiate, essendo il potenziale di fertilità femminile ciò che sta alla base di un disciplinamento del corpo delle donne assai più intenso di quello del corpo maschile. In Italia vi è la legge sulla procreazione medicalmente assistita, la legge 40/2004/, la quale, tutta rivolta a tutelare inediti diritti del concepito, viola il diritto alla salute delle donne, nonchè limita pesantemente le loro possibilita' di scelta rispetto alla procreazione stessa. Si impone oggi anche una revisione della 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, almeno nella parte relativa alla possibilità di obiezione di coscienza da parte di medici e operatori, possibilità abusata a tal punto da impedire il ricorso tempestivo all’interruzione stessa. Sulla questione dell'aborto negli anni 70 del Novecento è cresciuto, si è diversificato, ha discusso e si è diviso il movimento delle donne in Italia. Oggi l’aborto si è trasformato in un atto di accusa nei confronti delle donne: egoiste e carrieriste. La trasformazione delle donne ha prodotto due vittime: gli embrioni e gli uomini. La scena attuale ha messo al centro i bambini, i loro bisogni, i loro diritti. Esistono le donne e gli embrioni le prime potenti ed i secondi vittime potenziali dei primi. Quanto agli uomini, molti oggi ritengono che si debba tener conto anche della loro opinione e volontà quando si permette ad una donna di abortire. Gran parte delle legislazioni concordano sul divieto di accesso alle tecniche di riproduzione assistita alla donne single e il divieto di maternità di sostituzione. Tali legislazioni si connotano, e la legge italiana, con il divieto di fecondazione eterologa ancora di più, per il tentativo di reimpostazione del modello di famiglia tradizionale ad una realtà ormai invece pluralista e diversificata. Tralasciando gli effetti perversi di queste proibizioni (per esempio il turismo procreativo e mercato nero dello sperma), ciò che si vuole mettere in rilievo è la limitazione di libertà già in gran parte acquisite dalle donne. Queste leggi dicono che non si può e non si deve nascere senza padre; viceverse di può vivire senza madre, in quanto è sufficente che una partoriente non riconosca il figlio alla nascita, e lo riconosca invece il padre biologico perchè quest’ultimo ne diventi il padre legale e sociale senza soverchi problemi PARAGRAFO 13:IL PENALE,STUPRO,MOLESTIE SESSUALI,VIOLENZA CONTRO LE DONNE,POLITICHE DI SICUREZZA. La questione criminale è sessuata la maschile: da quando esistono statistiche criminali, le donne sono sempre una piccola minoranza della popolazione detenuta, della popolazione arrestata, della popolazione accuata di reati. Recentemente si è posti la questione inversa, ossia perchè siano i maschi ad essere maggiormente coinvolti nella giustizia penale. Tuttavia non si è colto nelle modalità di disciplina e controllo delle donne in famiglia e quelle pubbliche i istituzionali una chiave di lettura del problema La violenza domestica,o intrafamiliare, o del partner o ex partner, è indagata da una vastissima letteratura criminologica e sociologico-giuridica, che mette in rilievo sia la sua invisibilita' che la sua pervasivita', nonchè le conseguenze sulle vittime, la difficolta' di denunciarla e perseguirla, i problemi di una legislazione che mette al centro la penalita' per gestirla e ridurla. Ovviamente si apre anche un discorso sulla sicurezza urbana che si avvale nella retorica di difendere i deboli,e le donne in primo luogo,da minacce esterne,in Italia tipicamente identificate negli ultimi anni con i migranti stranieri. La questione invece della sicurezza urbana, si incentra sulla necessità di proteggere le donne da minacce esterne, in italia tipicamente identificate negli ultimi anni con i migranti stranieri. La protezione sulle nostre donne serve dunque da giustificazione di un controllo e di una sterilizzazione del territorio, nonchè di una stretta della repressione penale nei confronti dell'illegalta' straniera, che alle donne stesse, viceversa, non conviene per niente, contribuendo infatti ancora una volta a nascondere che abusi e violenze nei loro confronti avvengono perlopiu' nel privato, e ad opera di conosciuti e familiari. PARAGRAFO 14:UN NON-REATO. Ampiamente dibattuta nel femminismo la questione della prostituzione. In Italia prostituirsi non è un reato ma sono considerati lo sfruttamento, l'adescamento e la tratta. La prostituzione pero' è oggetto di vari tipi di repressione e persecuzione localmente e sul piano nazionale oggi ancor di piu'essendo la prostituzione di strada prevalentemente straniera e quindi assunta a tema realtivo alla sicurezza. Se nel discorso pubblico prevalente la questione dell politiche sembra confinata nel recinto tradizionale proibizionismo-antiproibizionismo, con ricorrenti invocazioni alla ritornata aperture di aggiornate case chiuse o individuazione di zone,ed accompagnata dalla costruzione delle prostitute com vittime da salvare e redimere, nel femminismo essa divide come e quanto la pornografia. Sono le prostitute semplici sex-workers oppure la prostituzione è simbolo supremo della mercificazione del corpo e delle menti femminili? PARAGRAFO 15:LAVORO PER IL MERCATO: Parita' e pari opportunita' e principio di non discriminazione sono tutti temi e questioni con cui la sociologia del diritto femminista che si è occupata e si occupa del mercato del lavoro e di lavoro per il mercato si confronta sia sul piano teorico che sul piano delle politiche. È evidente che il lavoro per il mercato e le politiche del diritto relative sono strettamente connesse con la famiglia ed i sistemi di welfare,e la legislazione che li concerne. La finzione del lavoratore indipendente ed autonomo, permetteva di nascondere la centralita',della famiglia e del ruolo della moglie -madre da cui di fatto questo lavoratore dipendeva e dal lavoro non pagato da lei svolto. L'entrata di donne giovani sul mercato del lavoro esterno alla famiglia non ha cambiato di molto le cose. Parlare di lavoro oggi ed in particolare di lavoro femminile senza parlare dei e delle migranti, delle politiche e della legislazione che li concerne, è impossibile, sia perchè essi svolgono gran parte del lavoro di cura tradizionale affidato alle donne,sia perchè la loro presenza incide in maniera assai significativa sulla configurazione del mercato del lavoro stesso, sia perchè, esse modificano la struttura demografica italiana ed europea, e dunque impattano anche su altri servizi publici, per esempio la scuola e la sanita'. PARAGARAFO 16:NOI E LE ALTRE. si considerano multiculturaliste quelle politiche che sostengono e promuovono l’esistenza e la continuità delle diverse culture minoritarie sullo stesso territorio nazionale. In Europa si considera multiculturalista la politica nei confronti dell'immigrazione del Regno Unito, assimilazionista quella francese. Il multiulturalismo è considerato nocivo per le donne secondo Susan Moller Okin, prevedendo differenze tra le donne, differenze sui rapporti derivanti tra esse e differenze tra di loro. Le donne di cui parla la Okin sono le appartenenti a quelle comunita' cui sono dirette le politiche multiculturaliste: le culture da preservare e perpetuare mediante politiche che conferiscono diritti ai gruppi piuttosto che agli individui sono spesso, sostiene Okin, culture oppressive per le donne, anzi cultute che poggiano precisamente sul dominio delle donne. Ad esempio il velo islamico e le mutilazioni genitali femminili ne sono gli esempi paradigmatici, ma ne fanno parte anche i matrimoni decisi dalle famiglie ed i matrimoni poligamici, soprattutto quando si tratta del diritto al ricongiungimento familiare. In Francia la legge promulgata per impedire alle ragazze musulmane di portare il velo nella scuola pubblica è stata salutata da alcune come misura che permette di contrastare la subalternita' femminile, sia pratica che simbolica, di queste stesse donne, da altre sia come violazione del diritto alla liberta' religiosa e di espressione, sia come misura che sbarra l'accesso alla scuola pubblica di molte ragazze i cui genitori o loro stesse al velo non vogliono rinunciare. A proposito delle mutilazione genitali femminili la discussione si è incentrata sull’opportunità di promulgare una legge ad hoc che le vieti, laddove il diritto penale punisce già lesioni e lesioni gravi; molti però contestano tale opportunità sia perchè discriminatoria e tendenzialemente razzista, sia perchè aumenterebbe i casi di mutilazione clandestini. In Italia è avvenuto invece lo scontro attorno alla proposta di un medico somalo a Firenze di sostituire alla mutilazione un rito alternativo,consistente in una piccola puntura sui genitali femminili,tali da venire incontro alle esigenze di appartenenza culturale ed insieme di evitare lesioni gravi. L’opposizione al rito alternativo, sulla base che esso comunque simboleggia la subordinazione femminile, è venuta non solo da molte italiane e italiani, ma anche da alcune o.n.g. di immigrate somale. Il rito è stato invece efficacemente sostenuto da altre e altri, non solo per le ragioni con cui è stato presentato, ma anche perchè il suo divieto, si dice, appare incomprensibile e razzista, a fronte delle molteplici mutilazioni corporali assolutamente lecite in occidente, alcune delle quali sicuramente assai piu' lesive di una puntura di spillo. Lo sportello unico, trasferisce la richiesta al centro per l’impiego provinciale; se si offre un lavoratore già residente sul territorio nazionale è comunque fatta salva la possibilità del datore di lavoro di confermare che intende assumere il lavoratore non comunitario indicato. Successivamente lo sportello unico chiede alla questura di verificare che non ci siano ragioni di ordine pubblico ostative all’ingresso in italia dei soggetti; se la questura non segnala circostanze ostative, lo sportello unico procede al rilascio del nulla osta al lavoro e alla sua comunicazione agli uffici consolari interessati. La legge stabilisce altresi'che la procedura di rilascio del nulla osta deve concludersi entro 40 giorni dalla richiesta del datore di lavoro. Il nulla osta è valido per sei mesi, entro i quali il lavoratore, informato dal datore di lavoro, si deve recare presso l’autorità consolare italiana, per chiedere il visto di ingresso per motivi di lavoro Come si vede, la normativa italiana è impostata sull’idea che agli stranieri bisogna consentire l'ingresso nel territorio italiano solo quando essi dispongono di un lavoro certo e non richiesto da altri. Il presupposto di un impiego già sicuro al momento dell’ingresso è diventato una sorta di gabbia d’acciaio del migrante con la legge cosiddetta Bossi-Fini; tale legge ha introdotto l'istituto del contratto di soggiorno, con il quale il permesso di soggiorno si fonde con il contratto di lavoro. Lo stato, prima di rilasciare il visto di ingresso al lavoratore straniero, si attribuisce anche il compito di controllare la correttezza e soprattutto la sostenibilità della proposta di lavoro fatta allo straniero. Tale norma appare illeggittima sotto il profilo della parità di opportunità di lavoro, dato che nessun sindacato di questo genere è previsto per l’assunzione del lavoratore italiano e lo stato italiano si è impegnato a garantire pari opportunità di lavoro ai lavoratori stranieri, firmando la convenzione sui lavoratori migranti. Si prevede che la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario. Il lavoratore straniero che perde il posto di lavoro, puo'essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validita' del permesso di soggiorno e comunque per un periodo non inferiore a sei mesi. Alla scadenza dei sei mesi il lavoratore deve avere un impiego, in caso contrario deve lasciare il territorio nazionale. La decisione di consentire di entrare nel territorio italiano solo al lavoratore straniero previamente assunto da un datore di lavoro (che non lo ha mai visto e che vive a migliaia di chilometri di distanza), ha spinto il legislatore a delineare una sorta di ufficio di collocamento planetario che ha le proprie diramazioni nelle autorità consolari italiane. Queste dovrebbero, anno per anno, compilare e poi trasmettere per via telematica al Ministero del lavoro le liste dei lavoratori stranieri che intendono trovare un impiego nel nostro paese. Ora, è evidente che nessuno assume un lavoraore che non conosce e non può conoscere prima dell’inizio del rapporto di lavoro; ciò è ancora più vero per i lavori domestici e di cura personale. Ma anche se, per pura ipotesi, assumiamo che un datore di lavoro voglia seguire la strada pensata dal legislatore, questa si rivelerebbe subito impercorribile. Ad esempio un azienda, a cui arriva un inatteso ordine di acquisto e non ha sufficente manodopera per farvi fronte, o una famiglia in cui un anziano perde l’autosufficenza, non possono certo aspettare i tempi di legge. In primo luogo, in qualsiasi momento dell’anno in cui costoro abbiano bisogno del lavoratore, dovranno attendere gennaio dell’anno successivo, quando sarà autorizzato l’ingresso della nuova quota di lavoratori prevista dal decreto annuale. In secondo luogo, anche se per ipotesi l’esigenza di assumere si presentasse in concomitanza con l’uscita del decreto-flussi, non si può instaurare il rapporto di lavoro prima di 6-7 mesi, tempo necessario per l’adempimento della procedura burocratica prevista per il rilascio del visto di ingresso al lavoratore. Dunque, data l’assurdità di tale meccanismo, l’esperienza di tutti questi anni ha mostrato che i rapporti di lavoro vengono instaurati con stranieri presenti illegalmente sul territorio nazionale e non con lavoratori all’estero in attesa di essere autorizzati all’ingresso. La maggior parte dei migranti che lavorano in Italia ha acquisito uno status legale non attraverso un ingresso per motivi di lavoro, ma attraverso una sanatoria, cioè un provvedimento straordinario che in un certo momento consente ai lavoratori presenti illegalmente di legalizzare la propria posizione. Il sistema degli ingressi per lavoro ha dunque proposto, come canale quasi normale d'accesso al permesso di soggiorno, un percorso tracciato dalle seguenti tappe: ingresso irregolare o per motivi di turismo, soggiorno irregolare che consente di trovare un inserimento nel mondo del lavoro sommerso, sanatoria. Il messaggio, quindi, che le nostre politiche migratorie trasmettono è che se un migrante desidera entrare in italia, deve essere pronto ad affrontare un periodo di clandestinità sul nostro territorio e forse anche a varcere clandestinamente la frontiera. Ripercorrendo i dati del 1997, si notava che, assumendo come campione generale i nuovi permessi rilasciati a cittadini provenienti da paesi a forte pressione migratoria, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro era solo il terzo tipo di permesso rilasciato. Le due tipoligie di permesso di ingresso più utilizzaate erano quelle per turismo e per ricongiungimento familiare. La grande quota dei permessi per turismo, come anche ammise il governo, nascondeva probabilmente una certa quota di ingressi di cittadini stranieri intenzionati a fermarsi in Italia per motivi diversi dal turismo. Tali sospetti si rivelano ampiamente fondati dalla sanatoria del 2002. Infatti, il 75 per cento delle persone che avevano chiesto di regolarizzarsi erano entrate in Italia regolarmente e vi erano rimaste dopo la scadenza del visto o dell’autorizzazione al soggiorno. Il problema dell'immigrazione illegale non è quindi tanto quello dell'ingresso clandestino, quanto quello del protrarsi dellla permanenza nel territorio italiano allo scadere di un permesso di soggiorno. Il governo di mostra perfettamente consapevole del problema quando nel Documento Programmatico del 2001 afferma che per prevenire ad un effettivo controllo dei flussi non è sufficiente stabilire a priori delle quote di ingresso, ma è necessario prevedere delle norme che consentano un ingresso regolare per facilitare l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, cosi'da scoraggiare un afflusso clandestino di forza lavoro destinata a svolgere lavoro in nero. Dunque, se si volesse un immigrazione regolare si dovrebbe prevedere un ingresso per ricerca di occupazione, dando allo straniero, dietro garanzia del suo mantenimento, il tempo per cercare il lavoro in Italia. Ad esempio, si potrebbe prevedere che lo straniero versi su un conto bancario una cifra pari al multiplo dell’assegno sociale al fine di ottenere un visto di ingtresso o un permesso di soggiorno della durata pari ai mesi per i quali la cifra versata garantisce il sostentamento e una vita dignitosa. Un sistema di questo tipo limiterebbe drasticamente la presenza di migranti irregolari sul territorio italiano: ogni straniero che entra regolarmente verrebbe identificato e sottoposto al rilevamento delle impronte digitali, cosi che al momento dello scadere del permesso di soggiorno potrebbe essere facilmente identificato e se necessario espulso. Per lo straniero, sarebbe più vantaggioso economicamente e più sicuro entrare regolarmente. I costi imposti dai mercanti di uomini a chi vuole entrare clandestinamente in Europa sono altissimi non solo in termini monetari, ma soprattutto in termini di sofferenze. Al termine del periodo, lo straniero senza lavoro avrebbe tutto l’interesse a tornare nel suo paese, in quanto se venisse espulso non potrebbe far ritorno in Italia prima che siano trascorsi 5 anni. Tale sistema, in sostanza renderebbe vantaggioso l’ingresso solo a chi sin dall’inizio è intenzionato a intraprendere attività illegali in Italia, cioè ad una minim aparte dei migranti. Con la legge n.40 del 1998, ed il regolamento di attuazione n.394 del 1999, sembrava che si avesse compiuto un piccolo passo nella direzione di un sistema di questo genere. Con queste norme è stato introdotto e regolato il meccanismo della sponsorizzazione. Tale meccanismo consentiva ad un cittadino straniero, iscritto in apposite liste tenute presso le rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, di richiedere un visto di ingresso per inserimento nel mercato del lavoro, dimostrando di avere la disponibilità di mezzi di sostentamento, copertura sanitaria, alloggio e somma occorente per il rimpatrio. Il Governo auspicava che la sponsorizzazione risolvesse il problema dell'ingresso irregolare, dato che essa avrebbe consentito un ingresso regolare per un anno ad uno straniero ad un costo inferiore di quello richiesto dai trafficanti per un ingresso clandestino. Se però si analizzano i decreti-flussi degli anni successivi e l’uso che il governo ha fatto della sponsorizzazione, prima che le modifiche introdotte dalla bossi-fini le abolissero, si rimane molto delusi: il governo per due anni non ha utilizzato la sponsorizzazione e, per consentire la regolarizzazione degli stranieri già presenti sul territorio nazionale, ha centellinato l’ingresso legale dei nuovi migranti. Nel 2000 e 2001 una quota di nuovi ingressi venne riservata ai lavoratori assistiti da sponsor. Con la legge Bossi-Fini il legislatore ha abolito l'istituto della sponsorizzazione facendo diminuire i permessi di lavoro al 1°Gennaio 2003 rispetto all'anno precedente. Tale legge ha inoltre subordinato l’ingresso del migrante all’esistenza di un pre-contratto di lavoro già firmato con il quale il datore di lavoro garantisce la disponibilità di un alloggio conforme alla normativa sull’edilizia popolare, nonchè il pagamento delle spede di rientro nel paese di origine. È stata inoltre limitata la possibilità per uno straniero regolarmente residenti in Italia di ottenere per i suoi genitori un permesso di soggiorno per motivi familiari. Governo e Pralamento Italiano preferiscono dunque che uno straniero cerchi un lavoro e tenti di inserirsi socialmente partendo da condizioni di clandestinita' (e quindi privo di ogni garanzia e titolare di pochissimi diritti). Il fatto che non si sia introdotto un meccanismo che consenta l’ingresso per la ricerca del lavoro, mostra chiaramente che il legislatore ha chiaramente e coscientemente preferito garantire la presenza di una forte manodopera in nero. PARAGRAFO 2:LA FINE DELLA CITTADINANZA INCLUSIVA. Le tesi sviluppate da Focault alla fine degli anni settanta del secolo scorso consentono di elaborare un quadro capace di spiegare la ratio di queste politiche migratorie volte a favorire la presenza di un gran numero di migranti irregolari. Focault sottolinea l’importanza dello sviluppo, nel corso del 1700, si uns apere, che concerneva l’analisi di tutto ciò che tende ad affermare ed aumentare la forza dello Stato, il mantenimento dell’ordine e della disciplina; a questo sapere lo stato affidava le sue possibilità di determinare e di migliorare la sua posizione nel gioco delle rivalità e delle concorrenze tra gli stati europei e garantire l’ordine interno con il benessere degli individui: l'interesse di uno Stato di polizia riguarda cio'che fanno gli uomini, la loro attivita', la loro occupazione. Scopo della scienza di polizia era, in ultima analisi, quello di trasformare la popolazione, da una massa disordinata e ingovernabile di individui, in una risorsa per lo stato. precarietà, vengono ammessi al rango di regolari per poi continuare ad essere tenuti a lungo sul filo del rasoio con permessi di soggiorno di breve durata. PARAGRAFO 3:IL NEO-SCHIAVISMO. la percezione dell’inevitabili scarsità delle risorse utilizzabili dallo stato a scopi sociali ha travolto la convinzione fordista che l’aumento del benessere diffuso è la precondizione per l’incremento della ricchezza individuale. Al suo posto si è affermata la percezione che la garanzia dei diritti a favore delle maggioranze autoctone passi necessariamente attraverso l’esclusione da questi diritti dei soggetti migranti. Quello che interessa alla maggioranza degli elettori è impedire che un accesso indiscriminato dei migranti ai diritti di cittadinanza possa ridurre considerevolmente le garanzie sociali di cui tradizionalmente godono. Sostanzialmente i cittadini temono che l’attribuzione ai migranti dei benefici del welfare state accentui la riduzione dei benefici di cui usufruiscono In tale contesto va collocata tutta una serie di provvedimenti che cercano di limitare l’accesso ai diritti sociali dei migranti; da quelli che rendono ostico il recupero dei contributi versati per la pensione dai lavoratori migranti che rientrano in patria, a quelli che escludono i migranti in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo dall’accesso alle prestazioni di assistenza sociale (pensioni di invalidità, indennità di accompagnamento) È iniziato con il tempo un fenomeno che è andato di pari passo con la criminalizzazione dei migranti, cioè con la creazione di un apparato normativo che, sfruttando l'impossibilia'di ingresso irregolare per motivi di lavoro, ha diffuso la convinzione che il migrante è, salvo prova contraria, un delinquente. Questo risultato è stato raggiunto creando varie fattispecie che, prima indirettamente e poi direttamente, hanno elevato a status di reato la permanenza clandestina sul territorio italiano. Le fattispecie piu'significative della criminalizzazione indiretta alla presenza illegale sul territorio sono quelle che hanno previsto come reato la mancata esibizione dei documenti attestanti la regolarita'del soggiorno alle forze dell'ordine, anche se questi documenti non sono materialmente in possesso del soggetto; il reato di ingresso senza visto dopo un'espulsione; il reato di inottemperanza all'ordine di allontanarsi dal territorio entro 5 giorni. Inoltre, falsificare un documento di soggiorno o semplicemente utilizzarne uno falso è un reato punito con la reclusione sino a sei anni, pena uguale a quella prevista per lo spacciatore di droghe o per l'induzione alla prostituzione o il suo sfruttamento. Tutto ciò funge da giustificazione per negare diritti ai migrati. I migranti commettono molti reati, quindi sono criminali, quindi non è razzista escluderli dai diritti sociali; poco conta se la loro criminalita'dipende nella stragrande maggioranza dei casi dal fatto che il sistema di ingresso li costringe ad entrare clandestinamente in Italia per poi legalizzare la propria posizione attraverso la finzione della domanda di assunzione al momento della pubblicazione di un decreto flussi o con una delle periodiche sanatorie esplicite. Ora, la mancanza di impiego regolare tende a deviare la forza-lavoro verso i mercati illeciti più remunerativi, quasi a confermare la tesi che migrante=criminale. L’operazione di etichettamento dei migranti trova sostegno nei settori tradizionali della classe salariata che tendono a individuare le cause dei fenomeni negativi, quali lo spaccio di droga e la prostituzione, nell’arrivo di immigrati che, invece, ne è uno degli effetti. La condizione di illegalità dei migranti favorisce il loro impiego con una remunerazione irrisoria e consente non solo la sopravvivenza di imprese che non potrebbero permettersi di retribuire regolarmente i loro lavoratori, ma soddisfa a anche i bisogni delle famigli italiane che il welfare state non è assolutamente in grado di affrontare. Lo sfruttamento dei migranti non è un fenomeno solo italiano. La Corte Europea dei diritti umani ha avuto modo di affrontare il problema nella sentenza Siliadin vs France,discutendo degli obblighi degli Stati membri del Consiglio d'Europa derivanti dall'art.4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta'fondamentali. La Corte ha sostenuto che per schiavitù deve intendersi lo stutus di una persona sulla quale sono esercitati poteri derivanti da un vero e proprio diritto di proprietà, tali da ricondurla nella condizione di mero oggetto. Nel caso in questione la ragazza togolese, si era vista sequestrare il passaporto e negare la retribuzione; la corte ha ritenuto la condizione della ragazza togolese come una condizione di servitù e non di schiavitù, in quanto la giovane era stata privata di spazi di libertà di autonomia e di privacy, ma non era stata ridotta nella condizione di semplice oggetto. La convenzione dell’organizzazione internazionale per il lavoro sul lavoro forzato ed obbligatorio proibisce ogni forma di lavoro o servizio imposta sotto coercizione o minaccia di una punizione, e condanna abusi fisici e sessuali, rifiuto di pagare il salario, sequestro del passaporto, minaccia di denuncia all’autorità. Gran parte della letteratura sociologica e le organizzazioni internazionali per la protezione dei diritti umani, usano il termine schiavitu'in senso ampio per connotare anche situazioni di lavoro servile o forzato. Tutte queste minacce rappresentano una forma di coartazione illegittima della volonta'del migrante alla luce della convenzione OIL sul lavoro forzato ad essa spesso si aggiunge il sequestro del passaporto da parte del datore di lavoro o da parte dell'organizzazione che ha favorito l'ingresso illegale del migrante. Non è peregrina l’idea di definire schiavismo il dilagare di politiche statali e di retoriche pubbliche miranti a mantenere il lavoratore migrante in una condizione di marginalità e vulnerabilità sul piano del godimento effettivo dei diritti fondamentali. Sul neo-schiavismo l'Italia ha adottato strategie lucide che si sviluppano su due binari paralleli, quello tradizionale della criminalizzazione dei migranti, e quello che mira a creare intorno a loro un deserto sociale, in modo che a nessuno venga in mente di aiutare il migrante sfruttato. La perversa lucidità della politica italiana sta nell’aver compreso che il primo binario da un contributo essenziale al funzionamento del secondo. Con la legge 94 del 2009 è stata completata l’opera di criminalizzazione dei migranti: si è infatti previsto come reato che il migrante faccia ingresso o si trattenga nel territorio nazionale senza osservare le procedure amminstrative, cioè entri senza il visto di ingresso, quando questo è richiesto e si trattenga senza un permesso di soggiorno valido. Il passaggio dalla criminalizzazione indiretta alla criminalizzazione diretta del migrante irregolare era stato gia'preparato in precedenza, quando la legge n.125 aveva introdotto la presenza irregolare nel territorio nazionale come circostanza aggravante. Il reato di irregolare presenza ha introdotto una norma che mira ad intimorire non i migranti, bensi' i cittadini italiani, avvertendoli che l’aver a che fare con un migrante equivale ad aver a che fare con un criminale. L'aver istituito il nuovo reato, concretamete, impone ai pubblici ufficiali di denunciare il migrante irregolare di cui vengono a conoscenza. Questo clima facilita la riduzione in schiavitù dei lavoratori stranieri irregolari. Ma il legislatore italiano si è preoccuapato di accentuare l’isolamento anche di quelli regolari, restringendo di nuovo drasticamente le possibilità del lavoratore migrante regolare di far venire in italia i propri figli maggiorenni e i propri genitori I dati delle domande presentate per l'ultima sanatoria, quella cui potevano accedere i migranti irregolari che lavorano come badanti o come collaboratrici familiari mostrano chiaramente che i cittadini italiani hanno ampiamente recepito il messaggio inviato dal Governo; infatti, da un lato molti non hanno avuto il coraggio di aiutare gli stranieri irregolari ad acquisire lo status di lavoratore regolarmente soggiornante, complice anche il fatto che la normativa era scritta in modo molto ambiguo circa l'estinzione delle irregolarita'e dei reati commessi da chi si autodenunciava dichiarando di aver tenuto alle proprie dipendenze un migrante irregolare. Dall'altro lato,si è compreso che le nuove condizioni normative avrebbero consentito uno sfruttamento ancora piu'intenso dei migranti irrgolari, per cui non c'era alcuna ragione di regolarizzarli. La decisa propensione delle politiche italiane verso il sistema di integrazione neo-schiavistico emerge con chiarezza dalle vicende degli ultimi decreti sui flussi. Il Governo, sostenendo che la crisi economica sta producendo disoccupazione e quindi non c'è bisogno di nuova manodopera, ha deciso di consentire per il 2009 l'ingresso di soli lavoratori stagionali. Dato il valore di sostanziale sanatoria che ha assunto il decreto-flussi, la decisione di non consentire l'ingresso di nuovi migranti è invece un chiaro messaggio alle piccole imprese da parte del Governo: dato che non riesco a fare molto per aiutarvi ad uscire dalla crisi, evito di esporvi alla pressione dei vostri dipendenti che vogliono essere regolarizzati, e potete quindi continuare a sfruttarli Per illustrare in dettaglio come si sviluppano le nuove politiche di integrazione neo-schiavista occorre soffermarsi sul settore del lavoro domestico, che, come si ricorda, assieme a quelli dell'edilizia e del lavoro agricolo, è quello in cui il fenomeno sembra macroscopico. Anzi il settore del lavoro domestico è quello che coinvolge più famiglie, estendendo silenziosamente l’idea dell’inevitabilità, e quindi legittimità, del neo schiavismo.; ossia vi è la convinzione che, per risolvere i problemi derivanti dalle restrizioni del welfare-state, non c’è altra soluzione che lo sfruttamento degli immigrati. Dunque, vi è il riemergere di un fenomeno quale quello della servitù domestica, che sembrava destinato a scomparire in epoca moderna Sempre più famiglie affidano i loro figli o i loro anziani a lavoratrici immigrate Chiara Saraceno ha piu'volte richiamato che il nostro sistema di welfare, poggia su una continua famiglia-mercato del lavoro il cui asso portante è la donna. Ad essa è affidato il raccordo tra le due sfere ed il compito non solo di tradurre le risorse provenienti del welfare in risposte ai bisogni della famiglia ma anche di supplire ai bisogni di questa che non riescono ad essere soddisfatti del welfare. Le donne devono dunque far fronte a due imperativi sociali contrastanti: farsi carico di una famiglia ed avere una vita lavorativa tale da consentire loro di accedere in pieno alla cittadinanza attiva. Per uscire da tale trappola le donne hanno preso a delegare i lavori domestici e l’assistenza ai soggetti più bisognosi della famiglia a donne straniere. Tale domanda di lavoratrici domestiche si è incontrata con la vasta disponibilità di manodopera a basso salario fornita da lavoratori immigrati. L’invisibilità e l’oscurita dello spazio domestico è un luogo ideale per lo sviluppo di rapporti di tipo neo-schiavistico. Sia il fatto di vivere nella casa dei padroni, sia la mancanza di un effettivo orario di lavoro impediscono al domestico la possibilita'di coltivare una propria vita privata ed una propria - la stessa struttura organizzativa penitenziaria con burocrazia rigidamente centralizzata, improntata al modello di gerarchia militare PARAGRAFO 2:CLASSIFICAZIONE DEI MESSAGGI NORMATIVI DEL CAMPO GIURIDICO DEL PENITENZIARIO. La validità sociologica dei messaggi normativi è la capacità stessa dei messaggi normativi di servire da orientamento per le scelte di azione da parte dei soggetti destinatari dei messaggi e per le scelte sanzionatorie da parte degli organi preposti a irrogare le sanzioni. Il funzionamento dei messaggi normativi avviene attraverso la resocontabilità giuridica. Con questa espressione si designa quella particolare disposizione cognitiva che porta i soggeti ad utilizzare messaggi normativi per giustificare e argomentare le ragioni delle loro scelte di azione, nonchè le sanzioni ad eventuali violazioni delle prescrizioni contenute nei messaggi stessi. Possono individuarsi dei criteri che consentono di definire la resocontabilità tipica dei messaggi normativi di tipo giuridico: - istituzionalità, ossia il riferimento al fatto che i messaggi normativi giuridici riflettono pratiche sociali consolidate e ricorrenti (ad esempio cristallizzate in precedenti giudiziari) - eteronomia, ossia il grado di interiorizzazione del messaggio normativo da parte del destinatario, intensità con cui quest’ultimo percepisce il carattere coercitivo del messaggio normativo. La resocontabilità giuridica si avvale di norma di argomenti neutri rispetto ai convincimenti etico- morali dell’attore sociale. - Sanzionabilità; dal punto di vista della resocontabilità, essa si concreta in argomentazioni tendenti a legittimare o meno l’applicazione di una sanzione di tipo giuridico al comportamento in oggetto. - Omnicomprensività, ossia l’appartenenza ad un sistema che contempla implicitamente o esplicitamente l’intera gamma delle interazioni di un gruppo sociale; qualunque azione umana è giuridicamente rilevante, o perche vietata o perche permessa o perche semplicemente non contemplata. Cio consente di attivare strategie di resocontabilità non legate esclusivamente a messaggi normativi-regole, ma anche a messaggi normativi-principi. Prendendo ad esempio la normativa che regola il servizio sanitario per le persone detenute, si hanno molteplici norme (messaggi normativi) costituite da principi e regole. Possiamo ordinare tali messaggi seguendo i criteri di giuridicità. Quanto ai principi, in base all'.art. 5 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e del Cittadino, nessun indivìduo potra'essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti; si tratta di un principio che informato di se tutta la normazione internazionale a tutela della persona detenuta, e quindi anche la tutela del suo diritto alla salute. Tale messaggio normativo è altamente eteronomo. L'eteronomia qui puo'risiedere nel fatto che i destinatari del messaggio normativo (ad esempio gli operatori penitenziari) possono percepire come piuttosto lontano un principio codificato in un periodo storico e da una fonte emittente estremamemnte distinti dal contesto quotidiano in cui il messaggio dovra'operare. Dunque il carattere dell’eteronomia rende difficoltosa l’interiorizzazione di tale principio. Il carattere altamente onnicomprensivo dell'art. 5 risiede, invece, nella capacita'del messaggio normativo sia di legittimare scelte di azione, che l'irrogazione di sanzioni. In particolare, esso potrà essere utilizzato in situazioni in cui non sono reperibili messaggi-regola da parte dal legislatore, ossia potrà colmare le lacune. Un operazione interpretativa di integrazione dell’ordinamento di questo genere amplia notevolmente la sfera di discrezionalità da parte del ricevente; infatti, se diciamo che sono vietati i trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti senza specificare quali siano le azioni che possono rientrare in tale qualifica, evidentemente toccherà all’interprete stabilire quali siano in concreto tali comportamenti. I principi che sono contenuti nelle dichiarazioni universali internazionali, o anche nelle costituzioni degli stati nazionali, hanno, tuttavia, di regola un minor grado di sanzionabilita'e di istituzionalita'. Per istituzionalita' infatti intendiamo quella propensione a definire giurdici soltanto quei modelli normativi che riflettono pratiche sociali consolidate e ricorrenti, e possiamo dire che molti messaggi normativi-principio sono senza dubbi sorti dalle pratiche sociali presenti nella comunita', ma svolgono una funzione altamente normativa e programmatica dello status quo. L'art.5 della Dichiarazione evidenzia un messaggio normativo non tanto come criterio rigido e predeterminato per orientare scelte di azione ed attivita'sanzionatorie, quanto piuttosto un criterio attraverso il quale resocontare scelte e proposte di sanzioni in situazioni altamente indeterminate,come sono tutte quelle che astrattamente possono rientrare nella definizione di trattamento inumano e degradante. Quanto alla sanzionabilitò, i principi contenuti nelle dichiarazioni internazionali possiedono una sanzionabilità ridotta, in quanto non possono essere direttamente applicati negli ordinamenti giuridici nazionali, pur svolgendo un fondamentale ruolo di indirizzo nei confronti delle legislazioni nazionali. Di fatti, buona parte della dottrina, comunque, riterebbe utile un intervento esplicito da parte del legislatore finalizzato ad introdurre una fattispecie penale a d hoc, consistente nel reato di tortura All’estremo opposto dei messaggi normativi-principio, troviamo i messaggi normativi-regole che invece hanno un livello molto spesso piu'basso di eteronomia, onnicomprensivita', e discrezionalita'da parte del ricevente, mentre presentano, altrettanto spesso,un elevato grado di istituzionalita'e sanzionabilita'. Un messaggio normativo di questo tipo è rappresentato, ad esempio, da un ordine si servizio interno emanato da un direttore di un istituto penitenziario, che abbia come obiettivo quello di orientare l’azione degli operatori penitenziari, e legittimare sanzioni di comportamenti devianti, rispetto alla collocazione del recluso nell’istituto o al suo trasferimento. Tale attività si ripercuote senza dubbio sulla salute del detenuto. L’attività di collocazione in istituto del neorecluso è stata resa funzionale, dal messaggio contenuto nell’ordinamento penitenziario della riforma penitenziaria del 1975, all’individuazione del trattamento, stabilendo che essa deve avvenire con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo comune e all’esigenza di evitare influenze nocive reciproche. Tuttavia il legislatore, con il regolamento esecutivo della riforma del 1975, ha prodotto un secondo messaggio normativo stabilendo che, i detenuto e gli internati, che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele, sono assegnati ad appositi istituti o sezioni, dove sia più agevole adottare le suddette cautele. La situazione normativa èresa ulteriormente complessa dall'art.42 dell’ordinamento penitenziario il quale inserisce espressamente i motivi di salute tra le cause che possono legittimare il trasferimento del detenuto al altro istituto. Il direttore si trova di fronte quindi ad una pluralità di messaggi normativi che hanno necessità di essere integrati tra loro per poter dar vita ad un messaggio ulteriore che dal livello dei principi deve scendere al livello delle regole. Rispetto al criterio della discrezionalità, il messaggio regola del direttore contenuto nell’ordine dovrà dare delle indicazioni specifiche per restringere il campo di scelta del destinatario del messaggio che dovrà decidere la collocazione del neorecluso nell’istituto Quanto al carattere dell’eteronomia, evidentemente tale messaggio possiede un carattere di bassa eteronomia, in quanto, evidentemente, il direttore dovrà elaborare un messaggio normativo che possieda un elevato grado di adeguamento alla situazione particolare. Dal punto di vista dell’omnicomprensività, tale messaggio dovrà essere specificon ai soggetti destinatari e al contesto in cui il messaggio dovrà essere recepito. Quanto all’istituzionalità, nella maggior parte dei casi questi tipi di messaggi normativi seguiranno prassi operative consolidate. Quanto infine al criterio della sanzionabilità, la vicinanza tra il punto di emessione del messaggio e quello di ricezione dovrebbero rendere più probabile e diretta la sanzione dei comportamenti che sfuggono all’orientamento del messaggio stesso. Infine, sulla base dei risultati di una ricerca, si può osservare che nella pratica, quanto all’attività di collocamento dei reclusi, prevalga il criterio securitario su quello trattamentale, nonostante la gerarchia delle fonti che li prevedono. Ciò sembra da addebitare, in primo luogo, al prevalere, nell’ambito dell’attività di collocamento, di una cultura professionale di tipo paterno-cusodiale e che privilegia l’esigenza del controllo dei reclusi all’interno dell’istituto. In secondo luogo, tale prevalenza è dovuta al fatto che le scelte decisionali rispetto al collocamento vengono effettuate molto frequentemente da operatori del settore custodiale. PARAGRAFO 3:LA DINAMICA DEL CAMPO GIURIDICO DEL PENITENZIARIO:LE FINALITA'DELLA RIFORMA DELL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO DEL 1975. Per implementazione della norma giuridica, si intendo lo studio dei processi applicativi delle norme giuridiche una volta che esse sono emanate dal legislatore. Strettamente legata allo studio dell’implementazione delle norme, è la questione della loro efficacia, intesa come verifica dell’impatto sociale della norma e valutazione di come quest’ultima sia risultata adeguata rispetto alle finalità, latenti e manifeste, che la normativa si proponeva. Ricostruire la dinamica giuridica del campo giuridico del penitenziario in Italia negli ultimi 40 anni significa sostanzialmente studiare il processo di emplementazione e l'efficacia della riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975 In ambito carcerario, vi è una considerevole distanza tra gli enunciati e gli obiettivi formali delle norma e la realtà del diritto vivente carcerario. Rieducazione attraverso la partecipazione dei detenuti alla vita carceraria Per realizzare tale obiettivo si è fatto ben poco, prevedendo un maggior intervento dei soggetti detenuti nella gestione della vita interna all’istituto penitenziario. Gli strumenti di autogestione da parte dei detenuti previsti dalla riforma si sono limitati alla collaborazione di questi ultimi ad alcune attività interne, quali il servizio bibliotecario, il controllo della preparazione del vitto, e la promozione delle attività culturali, ricreative e sportive. Giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale Un altro obiettivo è quello di sottoporre ad un controllo giurisdizionale la gran parte delle attivita'che si svolgono all'interno degli istituti. Venne istituita la magistratura di sorveglianza attribuendole delle funzioni che possono essere sintetizzate in attivita'di controllo e di vigilanza su tutti gli aspetti della gestione delle istituzioni penitenziarie, nonchè in interventi, sia amministrativi che giurisdizionali, volti ad attuare le finalita'rieducative della pena. Tuttavia l’amministrazione ha continuato ad avere monopolio sulle gestione di istituti non modificati nella loro conformazione normativa e materiale. Ad esempio la materia disciplinare, ovvero dell’accertamento e sanzionamento dell’inosservanza da parte dei detenuti delle norma del regolamento interno, mal si presta ad un controllo della magistratura di sorveglianza, in quanto l’ordine e la disciplina devono essere attuati in tempo reale, e non possono attendere i tempi di un vero processo. In realtà, l’obiettivo della giurisdizionalizzazione dell’esecuzione penale ha trovato una parziale attuazione, più che nell’operato della magistrature di sorveglianza, soprattutto attraverso l’attività censoria della corte costituzionale e di altri organismo giurisdizionali di livello sovranazionale. PARAGRAFO 4:L'IMPLEMENTAZIONE DELLA RIFORMA NEL CONTESTO DELL'EVOLUZIONE DEL CAMPO GIURIDICO DEL PENITENZIARIO. Il campo giuridico del penitenziario ha subito, dall'idea detta inizialmente, ha subito delle profonde trasformazioni nel periodo storico che intercorre tra l'emanazione della riforma e la situazione odierna. Vi sono in particolare quattro fattori di mutamento dei processi di criminalizzazione cha hanno influito sulla dinamica del campo, fattori individuati dal progetto finanziato dalla comunità europea e denominato CRIMPREV Stato penale e funzione della pena detentiva Il primo fattore considerato è quello relativo all'interazione tra processo di criminalizzazione primaria e secondaria e politiche sociali. I presupposti economici e sociali dello Stato sociale negli anni '80 sono venuti meno andando a creare una nuova configurazione dei rapporti politici e sociali all'interno delle societa' tardo-moderne che è stata definita con il termine di Stato penale. A seguito di tale trasformazione, gran parte degli stati occidentali ha ridotto la spesa pubblica nel settore delle politiche sociali ed incrementato quella relativa a provvedimenti di repressione del crimine L'Italia è stata collocata in una posizione intermedia tra il contesto anglosassone dove questa tendenza si è manifestata in maniera più netta e i paesi della socialdemocrazia scandinava Una delle conseguenze più appariscenti del mutamento delle politiche sociali è stato l’enorme incremento dei tassi di carcerazione nella maggior parte dei paesi occidentali; tale fenomeno, ha interessato anche l’Italia. In presenza di un sistema rigido rispetto all'aumento della sua capacita' di accoglienza di nuovi flussi di detenzione, l'esito dell'ampliamento dei processi di criminalizzazione primaria e secondaria non poteva che essere quello di far emergere il problema del sovraffollamento carcerario. La Riforma del 1975 ha rappresentato per un certo punto di vista formale-simbolico, una presa di posizione da parte del legislatore in favore della funzione rieducativa e risocializzativa della pena, anche rispetto all'atteggiamento dei costituenti che invece avevano preferito una concezione plurifunzionale della pena stessa; tuttavia, rispetto a tale obiettivo prioritario, le condizioni di cronico affollamento in cui ha dovuto operara il sistema carcerario, hanno fornito le ragioni e gli alibi per far si che tale priorità non fosse pù tale. Infatti, la funzione rieducativa della pena implica ingenti risorse, che scarseggiano per una popolazione carceraria di dimensioni sempre più debordanti. Tuttociò ha comportato evidenti ripercussioni. Innanzitutto è possibile considerare il progressivo ridursi delle risorse finanziarie e di personale per le attivita' trattamentali all'interno degli istituti. In particolare le risorse del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per retribuire le attivita'di lavoro all'interno degli istituti sono progressivamente diminuite sino a che tali attivita'sono riuscite a coinvolgere poco piu'del 25 %della popolazione detenuta. Analoga riduzione delle risorse, in particolare per la spesa per i farmaci, si è verificata nell'ambito della sanita'penitenziaria. Del resto, che i risultati prodotti dalla detentiva siano tutt’altro che lusinghieri, dal punto di vista della capacità di reinserimento sociale dei condannati, lo dimostrano le ricerche che hanno analizzato i tassi di recidita in italia. La recidiva di coloro che hanno scontato la pena detentiva a distanza di 5 anni dalla scarcerazione sfiora quasi quota 70%. Se la funzione rieducativa e risocializzativa della pena di fatto non viene operata, dubbi possono essere sollevati anche su quella retributiva, considerando l’abnorme selettività del nostro sistema penale. In ogni caso non è facile calcolare il tasso di selettivita'del nostro sistema penale, ma le stime avanzate si sono calcolate e collocate intorno al 90% di notizie di reato per le quali non si giunge, per svariati motivi, alla condanna ad una pena detentiva, senza considerare ovviamente il cosiddetto numero oscuro della criminalita', ovvero quei potenziali reati che non compaiono nelle statistiche sul crimine in quanto mai denunciati o investigati dalle agenzie di controllo. Nei fatti, è innegabile che la scure del carcere si quel gruppo di cittadini che non ha sufficenti risorse sociali economiche e culturali per sfuggire alla rete della repressione criminale. La funzione che di fatto ha assunto maggior rilevanza, meno esplicitat dal legislatore e latente del sistema è la funzione incapacitativa della pena; tale funzione, da tempo riabilitata e apertamente teorizzata nel contesto statunitense, seppur in palese contrasto con il principio costituzionale della dignita'della persona,è quella che è stata praticata piu'o meno inconsapevolemnte da molti degli attori del campo giuridico del penitenziario. Essa è consistita, per un verso, in una funzione di neutralizzazione della capacità materiale di commettere reati rispetto ad alcune fasce di popolazione emarginata, espulse o mai entrate nel lavoro legale; per l’altro, nei confronti di quella stessa popolazione, in un efficace strumento di pressione per l’imposizione di un lavoro precario e sottopagato come obbligo civile per coloro che sono intrappolati nel fondo della piramide sociale. Neutralizzazione simbolica che rappresenta una risposta da parte dello stato e del sistema politico nei confronti di forme di criminalità che suscitano allarme sociale. Opinione pubblica, esperti e populismo penale Un altro degli elementi di mutamento è quello relativo ai rapporti che intercorrono tra il sistema politico, quello mediatico, e quello degli esperti professionali. Tale tema mette in risalto quella lettura dei mutamenti nel campo penale in virtù della quale alla base dell'aumento dei tassi di carcerazione vi sono delle precise scelte di politica penale e penitenziarie adottate dapprima negli Stati Uniti ed in seguito in Europa. Le famose politiche di tolleranza zero che si caratterizzano di 3 aspetti principali: - la riscoperta del valore retributivo della sanzione penale con le teorie del just desert, ovvero di quel pensiero filosofico-penalista che ha sottolineato l’importanza della punizione espressa, capace di veicolare il sentimento pubblico, di esprimere il risentimento e la rabbia delle persone - la propensione da parte del sistema politico ad utilizzare la sanzione penale come strumento di rassicurazione dell’opinione pubblica, a fronte di una crescente inquietudine sociale prodotta anche da condizioni di vita sempre più precarie a causa della crisi del welfare e dal fenomeno della globalizzazione del mercato del lavoro - il riutilizzo del carcere come principale modalita'di esecuzione della sanzione penale. Le cosiddette politiche di tolleranza zero, possono essere considerate un indicatore di un mutamento strutturale avvenuto nel campo giuridico del penitenziario nei rapporti tra alcuni attori di tale campo; tale mutamento si è verificato in particolare tra sistema politico quello mediatico e il ceto degli esperti, comprendendo in questa categoria sia i giuristi, sia criminologi, operatori penitenziari, assistenti sociali, ecc Si tratta di quel fenomeno culturale definito mediatizzazione della giustizia penale. In sintesi si può affermare che la mediatizzazione, cioè lo spazio che i media riservano al tema della criminalita', ha accresciuto nell'ambito del campo penale il potere di condizionamento del sistema politico, in quanto recettore passivo delle emozioni prevalenti nell'opinione pubblica, a danno di quello del mondo degli esperti. Diminuendo il rilievo delle opinioni degli esperti, ha potuto prendere piede con maggiore facilità quel fenomeno chiamato populismo penale, ovvero quell’atteggiamento del sistema politico che tende a dare la precedenza agli obiettivi di immediato consenso elettorale piuttosto che all’efficacia delle politiche criminali, attraverso un uso simbolico del diritto penale come strumento di rassicurazione dell’opinione pubblica e di legittimazione del potere politico. La stessa cultura giuridica interna degli operatori della giustizia penale è stata investita da quel fenomeno culturale che Alessandro Pizzorno ha definito come ampliamento delle cerchie di competenza che conferiscono il riconoscimento pubblico ai discorsi degli esperti di diritto. Tale ampliamento ha coinvolto in particolare la figura del magistrato che tradizionalmente poteva mirare al riconoscimento della sua comunita' di riferimento, quella degli altri magistrti o, al piu', della comunita'piu'ampia dei giuristi; oggi invece tale riconoscimento è conferito in via principale dal sistema mediatico. Tale ampliamento di uditorio non ha potuto che influire sulle argomentazioni dei magistrati, accogliendo quelle provenienti dal contesto mediatico delle campagne la wand order Il ritorno della vittima David Garland ha definito con il termine "il ritorno della vittima", quel fenomeno culturale sviluppatosi negli ultimi 30 anni nel mondo occidentale attraverso il quale la vittima è tornata al centro dell'attenzione delle politiche della giustizia penale. Infatti si assiste ad un ampio spazio del dibattito pubblico riguardante la giustizia penale dedicato alle vittime; le istanze delle vittime del reato sono continuamente riproposte nel circuito mediatico