Scarica I Disturbi Specifici dell'Apprendimento e più Dispense in PDF di Didattica Pedagogica solo su Docsity! I DSA: UNO SGUARDO D’INSIEME Sui D.S.A. si sono susseguite stime di diverso tenore, da quella americana del DSM-IV1, attestata intorno al 4% della popolazione infantile, a molteplici affermazioni epidemiologiche che spingono la rilevazione oltre il 10%. Nel corso del tempo sono stati numerosi anche i tentativi di definizione dei Disturbi Specifici di Apprendimento, ognuno diverso dall’altro a seconda dei parametri che venivano, di volta in volta, presi come riferimento. In ogni modo, anche se i motivi di divaricazione teorica in questo ambito sono ancora oggi molteplici, per lungo tempo si è condivisa la definizione data nel 1988 da Njeld, secondo cui i D.S.A. (spesso chiamati con il termine learning disabilities), “costituiscono un termine di carattere generale che si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione ed uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica. Questi disordini sono intrinseci all’individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del sistema nervoso centrale e possono essere presenti lungo l’intero arco della vita. Problemi relativi all’autoregolazione del comportamento, alla percezione e interazione sociale possono essere associati al disturbo di apprendimento, ma non costituiscono, per se stessi, dei disturbi specifici di apprendimento. Benché possano verificarsi in concomitanza con altre condizioni di handicap (per es. danno sensoriale, ritardo mentale, serio disturbo emotivo) o con influenze esterne come le differenze culturali o l’insegnamento inappropriato, i disturbi specifici di apprendimento, non sono il risultato di queste condizioni o influenze2”. Se, invece, volgiamo lo sguardo al panorama teorico che oggi fa da sfondo ai D.S.A., risulta estremamente significativa la definizione offerta da P. Crispiani che li qualifica come “disturbi qualitativi” a carico dei processi cognitivi, ossia legati all’organizzazione del pensiero e al coordinamento dell’agire di ogni sua manifestazione, che si presentano con elevata familiarità fin dai primi anni di vita e sono di natura neuro-motoria, in quanto associati alla motricità, all’integrazione sociale, a disordini del linguaggio e all’organizzazione spazio-temporale3. Tali disturbi non sembrano essere legati al malfunzionamento di una specifica area celebrale, quanto invece ad una difficoltà diffusa nel coordinare le informazioni provenienti dalle diverse aree celebrali implicate nei complessi processi di lettura, calcolo e ragionamento matematico. Bisogna 1 Manuale Diagnostico e Statistico Internazionale dei Disturbi Mentali. 2 C. Cornoldi, Le difficoltà di apprendimento a scuola, Il mulino, Bologna 1999, p.30. 3 P. Crispiani e C. Giaconi, “Hermes 2008 – Glossario pedagogico professionale”, Edizioni Junior, Bergamo 2007, p.83. dire che le persone che soffrono dei disturbi dell’apprendimento non sono né più pigre, né meno intelligenti degli altri: semplicemente elaborano le informazioni in maniera diversa. A questo proposito, la mancata conoscenza approfondita dei DSA, porta i soggetti coinvolti nell’educazione di un bambino affetto dal disturbo, genitori, insegnanti o educatori che siano, a non riconoscere il fenomeno nella sua specificità, facendo così valutazioni errate sulla diagnosi ed influendo negativamente sulla vita del fanciullo. Molto spesso agli errori valutativi si aggiungono dei comportamenti altrettanto sbagliati e purtroppo assolutamente deleteri per il soggetto affetto dal disturbo: chiedere ad esempio ad un bambino dislessico, di leggere piano e con precisione, correggendolo spesso o addirittura imputandogli svogliatezza ed incapacità, non solo non porta ad alcun risultato positivo ai fini della lettura, ma induce l’alunno a “mollare” l’attività poiché frustrato ed incompreso. I D.S.A. si manifestano tra i 6 e i 7 anni, nei primi anni di scuola, ma il più delle volte viene sottovalutato o confuso, arrivando ad essere diagnosticato solo in età adolescenziale. Il disturbo in sé non pregiudica la condotta di una vita serena e nella norma, mentre possono evidenziarsi una serie di condizioni negative, capaci di influire sulla costruzione del sé: ci si può sentire inferiore agli altri, meno capaci e dunque meno intelligenti, scegliere di non relazionarsi alla lettura come momento di piacere, nutrire sentimenti di sfiducia per se stessi. Credere invece che l’intelligenza sia incrementabile crea il desiderio di affrontare delle sfide di apprendimento, cimentandosi in compiti adeguatamente difficili, tali da massimizzare le nuove acquisizioni. Entro una tale prospettiva gli ostacoli diventano parte integrante dell’apprendimento e della padronanza a lungo termine e quindi non vengono considerati dei fallimenti, ma rappresentano uno stimolo per un impegno rinnovato. Fortunatamente, da svariate ricerche e campionamenti, sembra che negli ultimi anni, i disturbi dell’apprendimento sono più facilmente riscontrati nella popolazione e questo non perché sia in aumento il problema, ma perché è in crescita una maggiore attenzione e sensibilità da parte di educatori, pedagogisti e genitori allo sviluppo letto-scrittorio dei bambini. Affinché la relazione pedagogica sia efficacia, è necessario conoscere approfonditamente i singoli soggetti o le singole situazioni, in una visione che va oltre le apparenze. La diagnosi funzionale consente di tracciare delle linee-guida nei diversi ambiti della persona: l’area motoria, percettiva, emotiva, affettiva, intellettiva, linguistica, sociale; il grado di abilità raggiunto nella lettura, scrittura, calcolo, memorizzazione e l’adattamento scolastico del bambino. Presa visione delle diverse informazioni contenute nella diagnosi funzionale, in riferimento al Progetto Educativo, si andrà a lavorare sul disturbo specifico attraverso condotte mirate ed un controllo attivo da parte degli educatori come dei diagnostici coinvolti nell’azione.