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I passi dell'integrazione europea - Daniele - Diritto Dell'unione Europea, Appunti di Diritto dell'Unione Europea

Diritto unione europea - Daniele

Tipologia: Appunti

2011/2012

Caricato il 28/09/2012

matmari28
matmari28 🇮🇹

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Scarica I passi dell'integrazione europea - Daniele - Diritto Dell'unione Europea e più Appunti in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! TOSATO Diritto dell’Unione Europea Luigi Daniele 2 I passi dell’integrazione europea ................................................................................................................ 5 1 | La ricostruzione economica e il Piano Marshall. L’OECE ed il COMECON ......................................... 5 2 | Il Patto Atlantico e il Consiglio d’Europa ........................................................................................... 5 3 | Il Trattato istitutivo della CECA .......................................................................................................... 6 3 | Il progetto CED ed il suo fallimento ................................................................................................... 6 4 | I Trattati di Roma (la CEE e l’EURATOM) ........................................................................................... 7 5 | Il periodo transitorio (1957-1969) ..................................................................................................... 7 6 | Il Trattato di Lussemburgo del 1970 e i nuovi poteri del Parlamento europeo. La Corte dei conti .. 8 7 | L’adesione del Regno Unito, dell’Irlanda e della Danimarca ............................................................. 8 8 | L’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo ............................................................... 9 9 | L’adesione della Grecia, della Spagna e del Portogallo ..................................................................... 9 10 | Il Libro bianco per il completamento del mercato interno ............................................................. 9 11 | L’Atto unico europeo e la creazione del mercato unico .................................................................. 9 12 | Il Trattato di Maastricht ................................................................................................................. 10 13 | L’unione monetaria e l’introduzione dell’euro .............................................................................. 10 14 | L’adesione della Finlandia, dell’Austria e della Svezia ................................................................... 11 15 | il Trattato di Amsterdam ............................................................................................................... 11 16 | il Trattato di Nizza .......................................................................................................................... 11 17 | L’adesione di nuovi Stati e l’Europa a 27 ....................................................................................... 12 18 | Il Trattato di Lisbona ...................................................................................................................... 12 19 | Sulla natura dell’Unione europea .................................................................................................. 13 Il quadro istituzionale ................................................................................................................................ 15 1 | L’Unione europea, considerazioni e principi generali ..................................................................... 15 2 | Il Parlamento europeo ..................................................................................................................... 16 3 | Il Consiglio europeo ......................................................................................................................... 19 4 | Il Consiglio ........................................................................................................................................ 20 5 | La Commissione europea ................................................................................................................. 22 6 | La Corte di giustizia dell’Unione europea ........................................................................................ 25 6 | La Banca centrale europea .............................................................................................................. 28 7 | La Corte dei conti ............................................................................................................................. 29 8 | Il Comitato economico e sociale ...................................................................................................... 29 9 | Il Comitato delle Regioni .................................................................................................................. 29 10 | La Banca europea per gli investimenti .......................................................................................... 30 Le procedure decisionali ........................................................................................................................... 31 1 | Considerazioni generali ................................................................................................................... 31 5 I passi dell’integrazione europea 1 | La ricostruzione economica e il Piano Marshall. L’OECE ed il COMECON L’ideale di un continente europeo si afferma sin dal XIX secolo. L’occasione per passare dai progetti alle realizzazioni concrete si presenta solo alla fine della WWII, le cui distruzioni e sofferenze convinsero i politici dell’epoca dell’ineluttabilità di un processo di integrazione europea come unico rimedio per evitare il ripetersi di eventi tanto luttuosi. Tale movimento di idee inizialmente prende piede soltanto tra gli Stati dell’Europa occidentale, favorito anche della nascente contrapposizione tra il blocco filo-americano e quello filo-sovietico. La ricostruzione europea costituiva, per gli Stati Uniti, una opportunità per legare alla propria sfera economica e politica almeno i paesi della parte occidentale del vecchio continente, creando un blocco alternativo a quello filo-sovietico. Fu così che gli Stati Uniti, sulla base del programma enunciato nel 1946 e noto come dottrina Truman, si adoperarono per una rapida ripresa degli Stati dell’Europa occidentale allo scopo di aprire nuovi mercati alla propria sovrapproduzione industriale. Con il discorso tenuto il 5 giugno 1947 ad Harvard, il Segretario di Stato statunitense Marshall delineava i tratti fondamentali del programma di aiuti promosso dall’amministrazione statunitense per favorire la ricostruzione degli Stati europei: il programma conosciuto come Piano Marshall. L’erogazione degli aiuti viene tuttavia subordinata alla condizione che la loro gestione avvenga in maniera coordinata fra tutti gli Stati beneficiari. Per rispondere a tale condizione, il 16 aprile 1948 si giunse, con la firma a Parigi di una apposita Convenzione, alla formazione di una Organizzazione europea per la cooperazione economica (OECE). L'organo principale è il Consiglio, composto da un rappresentante per ogni Stato membro. Le deliberazioni sono adottate all’unanimità, salvo che il consiglio stesso, all’unanimità, non disponga altrimenti, Può emanare anche decisioni vincolanti per gli Stati membri. Esauritasi la funzione originaria, l'OECE avrebbe dovuto trasformarsi in una zona di libero scambio: alcuni Stati optano per forme di integrazione ancora più spinte, nascono quindi le tre Comunità europee, mentre altri restano nell'ottica di una semplice zona di libero scambio, istituendo l'EFTA (Stati EFTA + Stati CE formano la SEE, lo spazio economico europeo). L'OECE si trasformerà in OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): con obiettivi di cooperazione economica globale e non più regionale. Gli Stati dell’Europa occidentale danno infatti vita a forme alternative di aggregazione militare (l’Organizzazione del Patto di Varsavia) ed economica (Comecon) facenti riferimento all’Unione sovietica. Solo dopo la caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’Unione sovietica (1991), tali Stati hanno cominciato a partecipare in misura sempre crescente alle forme di integrazione di matrice occidentale. 2 | Il Patto Atlantico e il Consiglio d’Europa Nel 1949, il 4 aprile, i paesi dell’Europa occidentale si organizzarono sul piano militare con l’istituzione della NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), che non è una organizzazione europea in senso geografico (ne fanno parte anche Stati Uniti e Canada) ma rappresenta la prima forma di integrazione a livello strategico-militare e, quindi, politico dell’occidente europeo. L’organo principale è il Consiglio del Nord Atlantico, composto dai rappresentati permanenti degli Stati membri o, quando si riunisce a livello ministeriale, dai Ministri degli esteri, della difesa o dai capi di Stato e di Governo. Le decisioni sono prese all’unanimità. Nello stesso anno, il 5 maggio, venne istituito il Consiglio d’Europa, con lo scopo di favorire una più stretta collaborazione tra gli Stati membri al fine di salvaguardare gli ideali politici e di libertà che costituiscono un comune patrimonio di civiltà e di democrazia. L’organo principale è costituito dal Comitato 6 dei ministri, nel quale siedono i Ministri degli esteri degli Stati membri o i loro rappresentanti permanenti. Per le decisioni più importanti, è richiesta la presenza della maggioranza semplice dei componenti e l’unanimità dei votanti. Lo strumento principale consiste nel predisporre e favorire la conclusione di convenzioni internazionali tra gli Stati membri, spesso aperte anche all’adesione di Stati terzi. Fra gli accordi più importanti promossi dal Consiglio d’Europa va segnalata la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che ha dato vita ad un vasto sistema di protezione dei diritti dell’uomo tutelati anche da un apposito organo giurisdizionale: la Corte europea dei diritto dell’uomo. 3 | Il Trattato istitutivo della CECA Il 9 maggio 1950 l’allora Ministro degli esteri francese Schuman rende una importante dichiarazione (nota come Dichiarazione Schuman). Schuman esprime la convinzione che “il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento delle relazioni pacifiche, ma che l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme […] essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto” (c.d. Europa dei piccoli passi). Come prima tappa di questo percorso verso una Federazione europea, il Governo francese “propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possano aderire gli altri paesi europei”. La scelta del settore carbo- siderurgico viene giustificata dalla circostanza che i siti di produzione si concentrano nella fascia di confine tra i due Paesi, da sempre oggetto di contesa. Il carbone e l’acciaio costituiscono, poi, i principali elementi per la produzione di armamenti. La proposta nasce come un progetto essenzialmente franco-tedesco aperto però ad altri Stati, primi fa tutti gli Stati del Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo). Quanto all’Italia, gli uomini di governo del tempo vedono nel progetto franco-tedesco l’occasione per uscire dall’isolamento politico e inserire il nostro Paese nel gioco degli affari europei ed internazionali. La proposta della Dichiarazione Schuman viene così accolta da sei stati. Sorge, così, la c.d. Piccola Europa. I sei Stati danno vita, il 18 aprile 1951 a Parigi, alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) 1. La CECA venne riconosciuta come ente sovranazionale dotato di propria personalità giuridica a livello internazionale, primo nucleo della futura federazione europea. Il Trattato è scaduto nel luglio del 2002 e le competenze della Ceca sono state assorbite dalla Comunità europea, oggi Unione europea. 3 | Il progetto CED ed il suo fallimento A Parigi il 27 maggio del 1952 viene firmato il Trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED). Esso prevede un organo indipendente, al quale spetta il comando unificato delle forze armate di tutti gli Stati membri: il Commissariato, affiancato da un Consiglio dei ministri, da un’Assemblea e da una Corte di 1 Dal punto di vista della disciplina settoriale, si prevede l’istituzione di un mercato comune del carbone e dell’acciaio, comprendente una zona di libero scambio tra gli Stati membri, il divieto di sovvenzioni alle imprese e il divieto di pratiche restrittive della concorrenza. Dal punto di vista istituzionale, il ruolo centrale è riservato all’Alta Autorità, un organo di individui, composto da un numero di persone pari a quello degli Stati membri, nominate dagli stessi Stati di comune accordo e scelti in funzione della loro competenza professionale. I membri devono agire in piena indipendenza. L’Alta autorità dispone di poteri deliberativi penetranti e può emanare, oltre ai pareri, decisioni e raccomandazioni che hanno effetti vincolanti nei confronti dei destinatari che possono essere gli Stati membri o le imprese del settore carbo-siderurgico. Il Consiglio speciale dei Ministri, composto da un rappresentante del governo di ogni Stato membro, ha funzioni consultive rispetto all’Alta Autorità. Il parere del Consiglio è tuttavia vincolante per quelle materie in cui è previsto che l’A.A. deliberi su parere conforme del Consiglio. L’Assemblea comune riunisce rappresentanti dei parlamenti nazionali e ha funzioni consultive. La Corte di giustizia esercita funzioni di controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti o dei comportamenti delle istituzioni. 7 giustizia. il Trattato CED non entrò però mai in vigore a causa del rifiuto dell’Assemblea nazionale francese di ratificarlo. Il rifiuto è legato, oltre che a motivi contingenti (l’armistizio coreano, la fine del conflitto indo- cinese in cui è coinvolta la Francia in quegli anni) anche e soprattutto per non trasferire ad un ente sovranazionale uno degli attributi essenziale della sovranità nazionale: il compito di difendere il territorio nazionale con la forza armata. Tale trasferimento avrebbe comportato, a carico degli Stati membri, una perdita radicale ed immediata di sovranità, contravvenendo alla filosofia stessa dell’Europa a piccoli passi. 4 | I Trattati di Roma (la CEE e l’EURATOM) In occasione della Conferenza di Messina (giugno 1955) si decide di rilanciare il processo di integrazione europea, costituendo un apposito comitato di studio, presieduto dal ministro degli esteri belga Spaak. Da un lato, viene avanzata l’idea di un mercato comune generale; dall’altra si prospetta la necessità di prevedere un regime speciale per alcuni settori e in particolare per quello relativo all’uso pacifico dell’energia atomica. Il progetto porta alla firma a Roma, il 25 marzo 1957, di due diversi trattati: il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (TCE/CEE) (la cui denominazione sarà mutata in Comunità Europea (CE) con il Trattato di Maastricht) e il trattato istituisce la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA/Euratom). Le comunità europee diventano così tre.2 Mentre il Trattato CECA prevedeva l’instaurazione di un’area di libero scambio limitatamente al settore del carbone e dell’acciaio, i Trattati CEE ed Euratom gettano le basi per la creazione di un’unione doganale, che implicava anche l’adozione di una tariffa doganale comune nei confronti dei paesi terzi. Nel 1968 fu fissata una tariffa doganale comune; dopo questa data tutti gli sforzi dei paesi membri furono indirizzati alla realizzazione di una unione economica, cioè di uno spazio interno in cui fosse assicurata la piena libertà di circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone, nonché il perseguimento di politiche economiche comuni. 5 | Il periodo transitorio (1957-1969) Nei Trattati di Roma si evitò di prevedere l’immediata instaurazione del mercato comune e si optò per una realizzazione graduale dello stesso. Venne previsto un periodo transitorio, suddiviso in tre tappe, ciascuna della durata di quattro anni, nel corso delle quali l’integrazione economica si sarebbe attuata progressivamente. Nell’estate del 1961 il governo inglese presentò la propria candidatura alla Comunità scontrandosi con l’opposizione del governo francese del generale De Gaulle, che vedeva nel Regno Unito un cavallo di Troia della penetrazione economica degli USA in Europa, temendo poi di perdere la propria posizione preminente sugli orientamenti relativi alla politica comunitaria. Una grave crisi scoppiò nel 1965 allorché la Commissione presentò una proposta per il finanziamento della politica agricola per gli anni successivi, interrompendo la consolidata regola dei contributi forfettari da parte dei singoli Stati membri, proponendo invece l’istituzione di un bilancio alimentato dai prelievi agricoli 2 La struttura istituzionale delle due nuove Comunità prevede quattro istituzioni: la Commissione, il Consiglio, l’Assemblea parlamentare e la Corte di giustizia. Bisogna comunque tenere conto della diversa natura dei trattati istitutivi della CECA e della CEE: il Trattato CECA viene definito come un trattato legge, in quanto stabilisce in dettaglio la disciplina del mercato carbosiderurgico; il potere dell’Alta Autorità è quindi un potere sostanzialmente amministrativo, trattandosi di gestire il settore in questione applicando strumenti e regole già definiti nel Trattato. Viceversa il TCE è detto trattato quadro in quanto la disciplina in questo contenuta si limita spesso all’enunciazione di obiettivi e principi che devono poi essere attuati attraverso l’emanazione di atti normativi; le istituzioni CE sono chiamate ad esercitare un vero e proprio potere legislativo. Nella CE, come anche nella CECA, l’organo centrale non è la Commissione, equivalente all’Alta Autorità, ma è invece il Consiglio, al quale spetta l’adozione di quasi tutti gli atti (è l’unico organo nel quale gli Stati sono direttamente rappresentati). 10 frontiere interne nel quale fosse assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Negli anni successivi, la necessità di procedere ad una completa armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri al fine di eliminare tutte le barriere (fisiche, tecniche e fiscali) che si frapponevano al processo di integrazione, ha reso necessario un lungo e paziente lavoro della Commissione. L’obiettivo è stato centrato e, a partire dal 1 gennaio 1993, tra i paesi membri della Comunità europea sono caduti tutti gli ostacoli di natura burocratica e tariffaria alla circolazione dei beni e dei servizi. Le istituzioni comunitarie avevano peraltro già da tempo ai contatti che sarebbero sfociati nella firma del Trattato di Maastricht ponendosi il più ambizioso traguardo di una completa unione economica e monetaria. 12 | Il Trattato di Maastricht Con la firma del Trattato di Maastricht, ufficialmente denominato Trattato sull’Unione europea (TUE), è stata inaugurata una nuova fase del progetto di integrazione europea, avviando la costruzione di una vera federazione.4 La struttura dell’Unione europea, così come delineata a Maastricht, era tripolare. Figurativamente, l’Unione è paragonata ad un tempio greco con un frontone sorretto da tre pilastri. Il frontone rappresenta le disposizioni comuni contenute nel TUE tra le quali l’art. 4 concernente il Consiglio europeo, mentre il basamento è costituito dalle disposizioni finali, in particolare gli artt. Sulla procedura di revisione dei trattati e su quella di adesione di nuovi Stati. I tre pilastri erano: - La dimensione comunitaria, disciplinata dalle disposizioni contenute nei trattati istitutivi delle Comunità europee (c.d. primo pilastro) - La politica estera e di sicurezza comune (PESC) (c.d. secondo pilastro) - La cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (CGAI) Benché distinti, i tre pilastri sono funzionalmente legati l’uno all’altro. Essi peraltro (diversamente da quanto previsto dall’AUE) vengono gestiti da un quadro istituzionale unico, sebbene le modalità d’azione restino molto diverse. La struttura a tempio è infatti il risultato di un compromesso che ha visto salvaguardare il potere decisionale degli Stati membri nei settori della politica estera e degli affari interni e di giustizia. La principale differenza era data dal fatto che per le politiche avviate nell’ambito del primo pilastro si applicava il c.d. metodo comunitario, espressione di sovranazionalità, con il potere di iniziativa della Commissione e la codecisione del Consiglio e del Parlamento europeo, mentre era marginalizzato il ruolo dei governi nazionali. La collaborazione nell’ambito degli altri due pilastri era, invece, di carattere tipicamente intergovernativa, attribuendosi tutto il potere decisionale agli Stati membri, mentre erano limitati i poteri della Commissione e del Parlamento europeo ed era normalmente preservata l’unanimità in sede di Consiglio. 13 | L’unione monetaria e l’introduzione dell’euro Il Trattato di Maastricht ha scandito il processo di integrazione monetaria attraverso fasi successive che sono culminate nell’adozione di una moneta unica europea, l’euro. Durante la prima fase (1990-1993) è stato completamente liberalizzato il movimento dei capitali con la conseguente necessità di un maggiore coordinamento tra le politiche monetarie degli Stati membri. Dal 1994 al 1998 gli Stati membri hanno 4 La sua portata innovativa è confermata dal travagliato processo di ratifica: in Francia è stato sottoposto a referendum ed è passato solo di stretta misura; nel Regno Unito è stato approvato solo dopo che il governo ha posto la questione di fiducia; il Parlamento tedesco ha dovuto aspettare una pronuncia della Corte costituzionale prima di poter depositare la propria ratifica; in Danimarca, dopo un primo referendum che ha bocciato il trattato, si è svolta una seconda consultazione che ha dato esito positivo. Il TUE è entrato in vigore il 1 novembre 1993. 11 cercato di far convergere le loro economie circa l’inflazione, le finanze pubbliche, i tassi d’interesse e la moneta nazionale. Il controllo del rispetto dei parametri è stato affidato ad un istituto ad hoc, l’IME, che ha pubblicato un rapporto sullo stato di convergenza dei paesi dell’Unione. Anche sulla base di questo documento, nel vertice dei Capi di Stato e di governo tenutoti a Bruxelles nel maggio 1998, sono stati scegli gli Stati che potevano adottare la moneta unica sin dall’inizio della terza fase. La terza fase dell’UEM, iniziata il 1 gennaio 1999 con la fissazione dei tassi di cambio irrevocabili tra l’euro e le valute dei partecipanti, si è conclusa sei mesi prima del 2002, quando la nuova moneta è entrata materialmente in circolazione ed ha sostituito le monete nazionali. 14 | L’adesione della Finlandia, dell’Austria e della Svezia Già nel corso del 1993 le istituzioni dell’UE hanno avviato una serie di negoziati con l’Austria, la Finlandia, la Svezia e la Norvegia che avevano da tempo fatto richiesta di adesione. L’atto di adesione è stato poi firmato nel giugno 1994 e sottoposto alla ratifica degli Stati aderenti: in Norvegia, però, la consultazione referendaria ha portato ad una nuova bocciatura (dopo quella del 1972). Dal 1 gennaio 1995 gli Stati membri sono passati da 12 a 15. 15 | il Trattato di Amsterdam Il Trattato di Amsterdam è stato firmato il 2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1° maggio 199. La più importante novità introdotta nell’ambito delle politiche comunitarie è stato l’impegno assunto per la promozione di un più alto livello occupazione. Per quel che riguarda l’assetto istituzionale, il Trattato di Amsterdam prevedeva le seguenti novità: - Il Parlamento europeo diventava un vero e proprio co-legislatore dell’Unione, dal momento che la procedura di codecisione, introdotta dal Trattato di Maastricht, trovava una generalizzata applicazione, con la sola eccezione delle questioni concernenti l’unione economica e monetaria, per la quale avrebbe continuato ad applicarsi la procedura di cooperazione; - Allo scopo di snellire il processo decisionale, erano estese anche ad altri settori le ipotesi nelle quali il Consiglio votava a maggioranza qualificata; - Il Presidente della Commissione assumeva un ruolo più incisivo come guida e impulso dell’operato dell’istituzione. Veniva poi trasformata la cooperazione in materia di giustizia e affari interni in cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale: quasi tutti i settori che rientravano nell’ambito del terzo pilastro venivano trasferiti nel primo pilastro, comunitarizzando materie che in precedenza erano trattate in ambito intergovernativo (cooperazione doganale e più in generale le questioni attinenti alla libera circolazione delle persone: visti, immigrazione..) 16 | il Trattato di Nizza Il Trattato di Nizza viene firmato il 26 febbraio 2001 ed entra in vigore il 1° febbraio 2003; esso apporta ai trattati preesistenti modifiche tecniche, indispensabili per delineare il nuovo equilibrio istituzionale dell’Unione, al fine di dotare le istituzioni di procedure decisionali più semplici ed efficaci. Tra le novità: - La nuova ripartizione del numero dei rappresentanti degli Stati membri nelle istituzioni e negli organi comunitari; - L’ampliamento dei poteri del Presidente della Commissione europea; 12 - Una drastica riduzione dei casi in cui il Consiglio deve deliberare all’unanimità; - Le modifiche all’ordinamento giudiziario comunitario; - L’introduzione di una procedura di preavviso nel caso in cui siano constatate violazioni dei diritti fondamentali da parte di uno Stato membro. 17 | L’adesione di nuovi Stati e l’Europa a 27 Successivamente alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione del blocco sovietico ben dieci paesi dell’Europa centrale e orientale avevano presentato domanda di adesione all’Unione europea, cui si aggiungevano le richieste di Malta e di Cipro. L’adesione dei nuovi Stati è stata un’operazione delicata, sia sotto il profilo politico, richiedendosi uno stabile assetto democratico, sia dal punto di vista economico, dato lo sviluppo inferiore delle economie dei paesi dell’Est, unito al timore di molti Stati membri di dover rinunciare a parte dei finanziamenti europei, stornati verso i nuovi paesi aderenti. Nonostante le difficoltà il 16 aprile 2003 ad Atene sono stati firmati i trattati di adesione con 10 nuovi Stati (Repubblica ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia, Slovenia, Solvacchia, Cipro e Malta. Successivamente è stato firmato anche il trattato di adesione con la Romania e la Bulgaria che fanno parte dell’Unione europea dal 1° gennaio 2007. 18 | Il Trattato di Lisbona La genesi del Trattato di Lisbona è legata al Trattato di Nizza, al quale è allegata una Dichiarazione relativa al futuro dell’Europa, nella quale si delinea un percorso per avviare un dibattito più approfondito e più ampio sul futuro dell’Unione europea. Il Consiglio europeo di Laeken, tenutosi nel dicembre 2001, approva un’ulteriore dichiarazione, nota come Dichiarazione di Laeken, che definisce con maggiore precisione le questioni da risolvere, articolandole in una serie di puntuali domande. Si decise inoltre di convocare una Convenzione con il compito di esaminare le questioni essenziali che il futuro dell’Unione comporta. Dopo un intenso lavoro, nel 2003 la Convenzione ha presentato il progetto completo per una Trattato che istituisce una Costituzione europea, che viene poi solennemente firmato a Roma il 29 ottobre 2004. Nonostante il ricorso al termine Costituzione, il testo firmato si presenta come un nuovo trattato di natura del tutto simile a quella dei precedenti. Nella fase di ratifica si è visto poi il “no” maggioritario dei votanti francesi ed olandesi nelle consultazioni referendarie. Dopo circa due anni di completa paralisi è stato deciso di abbandonare l’idea di sostituire ai trattati europei un unico testo di livello costituzionale e di convocare una conferenza intergovernativa per procedere invece ad una riformulazione dei trattati preesistenti. Tale CIG ha concluso i suoi lavori nell’ottobre 2007 con l’approvazione del Trattato che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, entrato in vigore il 1° dicembre 2009.5 5 La ritardata entrata in vigore Sorprendentemente in sede di ratifica si sono avuti problemi con l’Irlanda e la Repubblica ceca che avevano ratificato senza difficoltà il Trattato costituzionale. In Irlanda, in un referendum del giugno 2008 votano contro la ratifica; in un secondo referendum nell’ottobre 2009 l’esito è favorevole. In sede di Consiglio si è deciso di venire incontro alle preoccupazioni manifestate dal Governo irlandese in merito a talune materie (politica fiscale, diritto alla vita, all’istruzione e alla famiglia, politica di neutralità militare), adottando una decisione che rassicura l’Irlanda che i trattati e la Carta dei diritti fondamentali non interferiscono con le autonome scelte del Governo irlandese in materia fiscale né con le disposizione della Costituzione d’Irlanda nelle materie citate. Analogamente il consiglio ha operato con la Repubblica ceca di fronte al mancato perfezionamento della ratifica del trattato. 15 Il quadro istituzionale 1 | L’Unione europea, considerazioni e principi generali Con il Trattato di Lisbona viene a cadere la distinzione tra Comunità europea e Unione europea e si fa riferimento ad un unico ente: l’Unione europea. Alla struttura unitaria di un unico soggetto giuridico tuttavia non corrisponde l’impianto testuale disegnato a Lisbona dove i trattati continuano ad essere due, integrati e modificati: il Trattato sull’Unione europea il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostitutivo del Trattato CE.. i due trattati hanno lo stesso valore giuridico. Mentre il Trattato sull’Unione europea diventa un Trattato di base, contenente le norme essenziali che stabiliscono i valori e principi fondamentali, le competenze, l’assetto istituzionale dell’Unione, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea diventa un trattato applicativo, fissa le regole di funzionamento delle istituzioni, dei suoi organi, disciplina il mercato interno e le politiche, definendone il quadro di riferimento. Ciò che rileva nel Trattato di Lisbona è il richiamo ai valori, anteposti per la prima volta agli obiettivi dell’Unione europea: “il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Le istituzioni sono le stesse per l’intera Unione, ne discende che l’insieme del sistema è gestito da un quadro istituzionale unico. Tuttavia il ruolo e i poteri delle diverse istituzioni non sono sempre gli stessi ma mutano notevolmente spostandosi anche in funzione delle diverse procedure decisionali applicabili. Secondo l’art. 13 del TUE, “l’Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l’efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni”. Da tale disposizione si evince che le azioni svolte dalle istituzioni nell’ambito dei diversi settori di competenza dell’Unione devono essere tra di loro coordinate, secondo il c.d. principio di coerenza. Il par.2 dell’art. 13 TUE enuncia il principio dell’equilibrio istituzionale: “ciascuna istituzione agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai trattati, secondo le procedure, condizioni e finalità da essi previsti”. La violazione di tale principio trova apposita sanzione nel vizio di incompetenza e comporta l’illegittimità dell’atto adottato da una istituzione diversa da quella competente.6 L’art. prosegue enunciando il principio della leale collaborazione: “le istituzioni attuano tra di loro una leale collaborazione”. Il principio, inizialmente è stato individuato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia deducendolo dall’allora art. 10 TCE, che prevedeva un obbligo di leale collaborazione a carico degli Stati membri nei confronti della Comunità. Lo stesso principio è sancito dall’art. 4, par.3, TUE, per quanto riguarda i rapporti tra Unione e Stati membri: “in virtù del principio di leale collaborazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai 6 In seguito all’incidente provocato dall’esplosione di un reattore nucleare nella centrale di Chernobyl il Consiglio aveva adottato un regolamento per determinare il tasso massimo di residui radioattivi che poteva essere contenuto in prodotti ortofrutticoli destinati al consumo umano. Come base giuridica era stato utilizzato l’art. 31 del Trattato CEEA, che richiede soltanto la consultazione del Parlamento, e non l’art. 100 TCE (ora art. 144 TFUE) che, nella versione in vigore all’epoca, prescriveva invece la procedura di coppe razione. La Corte, nel dichiarare ricevibile il ricorso del Parlamento, dichiara che l’assenza nel TCE di strumenti azionabili direttamente dal Parlamento per contestare un atto del Consiglio o della Commissione emanato in spregio delle proprie prerogative è considerato dalla Corte alla stregua di una mera “lacuna procedurale […] che non può prevalere sull’interesse fondamentale alla conservazione ed al rispetto dell’equilibrio istituzionale voluto dai Trattati istitutivi delle Comunità europee”: 16 trattati”. Anche l’obbligo delle istituzioni di assistere lealmente gli Stati membri era stato anticipato dalla Corte di giustizia.7 Prima del Trattato di Lisbona, si riteneva che per le istituzione valesse anche il principio del rispetto dell’acquis. Il termine acquis indica comprensivamente l’insieme di quanto è stato realizzato in un determinato momento storico sul piano dell’integrazione europea: non soltanto i trattati e gli atti adottati dalle istituzioni, ma anche i principi generali e la giurisprudenza della Corte di giustizia. Gli Stati membri non avrebbero potuto modificare i trattati p.e., prevedendo la retrocessione in loro favore di competenze già attribuite all’Unione; dal punto di vista delle istituzioni, a queste non sarebbe stato permesso proporre e approvare atti regressivi. Nel Trattato di Lisbona il principio non è stato confermato, da un lato si prevedere che progetti intesi a modificare i trattati “possono, tra l’altro, essere intesi ad accrescere o a ridurre le competenze attribuite all’Unione nei trattati”; dall’altro lato, il TFUE chiarisce che “gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l’Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria”. Sarebbe quindi legittimo un atto dell’Unione che decidesse di non esercitare più una competenza di tipo concorrente. 2 | Il Parlamento europeo Ciascuno dei trattati istitutivi delle Comunità europee prevedeva l’istituzione di un’Assemblea composta di rappresentati dei popoli degli Stati membri. Al momento della firma dei Trattati di rima si preferì istituire un’Assemblea unica per l’esercizio delle competenze riconosciutele da ciascuno dei tre Trattati. La denominazione di Parlamento europeo fu adottata solo nel 1962, e legittimata formalmente con l’Atto unico. Composizione. “il parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell’Unione”. Il loro numero non può essere superiore a 750 più il presidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro. A nessuno Stato membro sono assegnati più di novantasei seggi. Il consiglio europeo adotta all’unanimità, su iniziativa del Parlamento europeo e con l’approvazione di quest’ultimo, una decisione che stabilisce la composizione del Parlamento europeo. I membri del Parlamento europeo sono eletti in ogni Stato membro tramite suffragio universale diretto, per un periodo di cinque anni; essi non possono essere vincolati da istruzioni né sottostare a mandato imperativo. Nel 2002 è stato introdotto l’obbligo di adozione del sistema elettorale proporzionale, e l’incompatibilità della carica di parlamentare europeo con quella di parlamentare nazionale. Quanto al periodo di svolgimento delle elezioni, esse si svolgono alla scadenza del mandato del Parlamento quasi contemporaneamente in tutti gli Stati membri in un giorno, nell’ambito di un unico periodo che va dal giovedì alla domenica successiva. 7 nell’ordinanza Zwartveld la Corte si occupa del rifiuto opposto dalla Commissione di cooperare con il giudice istruttore di Groningen (Paesi Bassi), in riferimento ad un procedimento penale avente ad oggetto presunte frodi nella gestione di fondi comunitari. La Corte afferma che”l’art. 5 del Trattato CEE (ora art. 4 TUE) impone anche alle istituzioni comunitarie obblighi reciproci di leale collaborazione con gli Stati membri”. In particolare, la Commissione ha l’obbligo di collaborare con il giudice istruttore comunicando documenti al giudice nazionale e autorizzando i propri dipendenti a deporre come testimoni nel procedimento nazionale, ameno che non sussistano motivi imperativi attinenti alla necessità di evitare ostacoli al funzionamento e all’indipendenza della Comunità”. 17 L’elettorato attivo è concesso a tutti i cittadini europei: in Italia sono elettori anche i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione che, a seguito di formale richiesta presentata entro il 90° giorno antecedente la data per le elezioni, abbiano ottenuto l’iscrizione nella lista elettorale del Comune italiano di residenza. L’elettorato passivo è esteso a tutti i cittadini dell’Unione. Sono eleggibili (in rappresentanza dell’Italia) anche i cittadini degli altri paesi membri dell’Unione che risultino in possesso dei requisiti di eleggibilità al Parlamento previsti dall’ordinamento italiano e che non siano decaduti dal diritto di eleggibilità nello Stato membro d’origine. Organizzazione e funzionamento. Il regolamento interno disciplina tutti gli aspetti dell’attività dell’istituzione: lo status dei deputati, lo svolgimento dei lavori, l’organizzazione interna, le relazioni con le altre istituzioni etc.8 I lavori del parlamento devono essere resi pubblici. Vanno pubblicati: il processo verbale della seduta, i testi approvati dal Parlamento, il resoconto integrale della seduta e la registrazione audiovisiva delle discussioni. La maggior parte dei lavori parlamentari viene svolta all’interno delle Commissioni specializzate, suddivise a loro volta in sottocommissioni. Le procedure di voto in seno all’Assemblea. Le deliberazioni del Parlamento europeo, salva diversa disposizione dei trattati, sono adottate a maggioranza assoluta dei suffragi espressi: le astensioni non entrano nel computo dei voti. Il quorum per la validità delle sedute è di un terzo dei membri del Parlamento, ma la validità di una votazione non può essere contestata anche se è presente un numero di deputati inferiore, a meno che previamente non sia stata richiesta la verifica del numero legale.9 Le funzioni. Il Parlamento europeo non è mai stato titolare esclusivo di poteri deliberativi, pur essendo partecipe del procedimento di formazione degli atti comunitari. Oggi esercita, congiuntamente al Consiglio, la funzione legislativa e di bilancio. Esercita funzioni di controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dai trattati. La funzione legislativa è condivisa con il Consiglio nel procedimento di formazione degli atti dell’Unione. Tale funzione si traduce in due tipi di procedure: la procedura legislativa ordinaria e quella speciale. La procedura legislativa ordinaria, che ricalca la procedura di codecisione, viene applciata nella maggior parte dei settori di intervento dell’Unione: tale proceduta di codecisione è diventata la procedura ordinaria di approvazione degli atti legislativi dell’Unione europea. Nella procedura legislativa speciale si 8 Lo svolgimento dei lavori del parlamento europeo si articola in: - Legislature, cioè la durata effettiva del mandato parlamentare (5 anni) - Sessioni, che hanno durata annuale (i parlamentari europei, per la durata delle sessioni, beneficiano sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del Parlamento dei loro paesi; sul territorio di ogni altro Stato membro, della esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario; - Tornate, vale a dire singole riunioni del parlamento, che di regola si svolgono ogni mese - Giorni di seduta, ovvero le riunioni quotidiane dell’istituzione. 9 L’attività politica nel Parlamento europeo si svolge prevalentemente attraverso i gruppi politici: raggruppamenti di parlamentari europei appartenenti a diversi Stati membri e aventi un’affinità politica. Questa cooperazione porta con sì vantaggi in merito all’influenza esercitata in seno al Parlamento, con e l’elezione del presidente o l’approvazione degli emendamenti. A ciò si devono aggiungere convenienze di tipo organizzativo; alcuni fondi sono distribuiti secondo un contributo fisso per ciascun gruppo, più una quota supplementare per ciascun membro. 20 I membri di questa istituzione si pronunciano per consenso, salvo nei casi in cui i trattati prevedono diversamente. Deliberano all’unanimità, a maggioranza qualificata per l’elezione del suo Presidente e dell’Alto rappresentante per la PESC e a maggioranza semplice in merito alle questioni procedurali. Il Presidente del Consiglio europeo La figura del Presidente risponde da un lato all’esigenza di garantire una certa continuità ed efficacia all’attività di questa istituzione e , dall’altro, di offrire sulla scena internazionale una maggiore visibilità ed autorevolezza. Quanto alla nomina, il mandato è di due anni e mezzo, rinnovabile una volta. Il Presidente non può esercitare un mandato nazionale. I suoi compiti sono di: presiedere ed animare i lavori del Consiglio europeo; assicurare la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo; adoperarsi per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo; presentare al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna riunione. Gli atti Sebbene rivestano carattere preminentemente politico, con il Trattato di Lisbona sono divenuti oggetto di controllo giurisdizionale da parte della Corte di giustizia dell’’Unione europeo. 4 | Il Consiglio Il TUE prevede che “il Consiglio esercita, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati”. Composizione Il Consiglio è un’istituzione composta di Stati: titolare è lo Stato membro che designa il proprio rappresentante. Il TUE stabilisce che “il Consiglio è composto da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello Stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto”. In realtà i componenti del Consiglio non devono necessariamente rivestire la qualifica di ministri, ma è necessario che facciano parte della compagine governativa e che siano abilitati ad impegnare il proprio governo. Il Consiglio si riunisce in varie formazioni, il cui elenco è determinato da una decisione adotta a maggioranza qualificata. Trattandosi di una istituzione composta di Stati, è lecito che il governo nazionale conferisca un mandato imperativo vincolando il mandato a precise istruzioni. Infatti, nell’equilibrio istituzionale dell’Unione, mentre la Commissione rappresenta il momento di sintesi dell’interesse dell’Unione considerato globalmente, il Consiglio è strutturato in modo tale da poter dar voce ai singoli interessi nazionali.10 La Presidenza delle formazioni del consiglio, ad eccezione della formazione Affari esteri, è esercitata dai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio secondo un sistema di rotazione paritaria. La Presidenza è esercitata da un gruppo predeterminato di tre stati, per un periodo di diciotto mesi, composti in considerazione della loro diversità e degli equilibri geografici dell’Unione, applicando un sistema di rotazione paritaria. All’interno del gruppo, ciascun membro esercita a turno la presidenza di tutte le formazioni del Consiglio per un periodo di sei mesi. 10 L’atto adottato in seno a tale istituzione non è imputabile simultaneamente ai singoli Stati perché il Consiglio è un organo dell’Unione: gli atti adottati dal Consiglio sono passibili di controllo di legittimità da parte della Corte di giustizia. Qualunque Stato membro può presentare ricorso contro un atto del Consiglio, anche se il suo rappresentante ha votato a favore della sua adozione. 21 Il paese che a turno presiede il Consiglio: rappresenta il Consiglio; convoca il Consiglio di propria iniziativa o su richiesta da parte di uno Stato membro o della Commissione; risponde alle interrogazioni del Parlamento europeo; cura le relazioni internazionali dell’Unione. Funzionamento Il Consiglio si riunisce in seduta pubblica, quando delibera e vota un progetto di atto legislativo. Ciascuna sessione del Consiglio è divisa in due parti: una dedicata alle deliberazione di atti legislativi e un’altra alle attività non legislative. L’accrescersi nel tempo della mole del lavoro comunitario e l’esigenza di un più costante contatto tra Consiglio e Commissione fanno sì che nel 1965 venisse riconosciuto giuridicamente il Comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri (COREPER). Il comitato è un organo intergovernativo costituito dalle rappresentanze diplomatiche ed “è responsabile della preparazione del lavoro del Consiglio e dell’esecuzione dei compiti che il Consiglio gli assegna”. Il COREPER si riunisce a due livelli: di ambasciatori rappresentati permanenti (COREPER II) per trattare gli affari di rilievo politico e quelli concernenti le relazioni esterne; di ministri plenipotenziari rappresentanti permanenti aggiunti (COREPER I) per trattare gli affari correnti, di procedura o essenzialmente tecnici. Esso pertanto provvede a: coordinare l’attività di una serie di gruppi di lavoro; predisporre l’agenda e l’ordine del giorno delle riunioni del Consiglio; organizzare comitati per la trattazione sistematica di problemi specifici; adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento del Consiglio. Tali compiti non potrebbero essere svolti dal Consiglio (la cui attività è discontinua), né dalla Commissione (che ha carattere d’indipendenza), mentre il COREPER è portatore degli interessi degli Stati. I sistemi di votazione sono tre: all’unanimità, a maggioranza semplice e a maggioranza qualificata. La votazione all’unanimità è prevista per alcune materie quali l’armonizzazione fiscale e il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, oltre che per la politica estera e di sicurezza comune, per la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e ad alcuni aspetti relativi alla cittadinanza europea. Per unanimità si intende assenza di voti negativi, e non convergenza di voti tutti positivi. La votazione a maggioranza semplice è riservata in ipotesi estremamente limitate, e per il computo della maggioranza non si prende in considerazione il numero dei presenti alla seduta ma quello dei membri. La votazione a maggioranza qualificata è il sistema utilizzato in generale. I voti di ciascuno Stato membro avvengono con il sistema del voto ponderato, che attribuisce un valore diverso a ciascuno Stato a seconda della sua importanza demografica e politica all’interno dell’Unione. Fino al 21 ottobre 2014 le deliberazioni per le quali è prevista la proposta della Commissione sono valide se hanno ottenuto almeno 255 voti che esprimano il voto favorevole della maggioranza dei membri; negli altri casi le deliberazioni sono valide se hanno ottenuto almeno 255 voti che esprimano il voto favorevole di almeno due terzi dei membri.11 L’astensione di uno Stato, nelle votazioni a maggioranza qualificata, equivale ad un voto contrario. Le competenze attribuite al Consiglio investono tutti i settori dell’attività dell’unione. In sintesi, le funzioni attribuite al Consiglio sono: - Adottare gli atti legislativi - Coordinare le politiche economiche generali degli Stati membri 11 La necessità di ottenere il voto favorevole della maggioranza degli Stati membri (e dei due terzi nel secondo caso) costituisce la prima delle reti di sicurezza previste con il Trattato di Nizza. Lo scopo è di evitare il verificarsi di casi in cui una minoranza di Stati disporrebbe dei voti sufficienti per adottare una decisione. La seconda rete di sicurezza è costituita dalla disposizione che impone al consiglio di adottare un atto solo quando vi è il sostegno di un numero di Stati che rappresenti una cospicua maggioranza della popolazione dell’Unione. 22 - Concludere accordi internazionali tra l’Unione europea e uno o più Stati o organizzazioni internazionali. In questo settore i negoziati sono condotti dalla Commissione (o dall’Alto rappresentante), mentre al Consiglio spetta di approvare definitivamente tali atti previa eventuale approvazione del Parlamento - Approvare il bilancio dell’Unione insieme al Parlamento europeo - Esercitare un controllo indiretto sul rispetto dei trattati e degli atti dell’Unione, promuovendo ricorsi davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. 5 | La Commissione europea La Commissione è un organo esecutivo, in quanto ha il compito di far applicare i trattati e gli atti dell’Unione e di gestire le politiche dell’Unione; organo indipendente, in quanto i commissari sono nominati a titolo individuale; organo collegiale, per cui tutte le delibere sono riferite sempre alla Commissione nel suo complesso; organo a tempo pieno, che si riunisce almeno una volta a settimana. La Commissione partecipa anche al potere legislativo, essendo investita del monopolio dell’iniziativa e, in una certa misura, anche del potere giudiziario, potendo presentare ricorsi alla Corte di Giustizia contro gli Sati membri e lo stesso Consiglio. Nomina La prima fase ha ad oggetto l’individuazione del solo candidato alla carica Presidente, effettuata dal Consiglio europeo che decide a maggioranza qualificata, tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate. La seconda fase consiste nell’elezione del candidato Presidente da parte del Parlamento europeo. Alla terza fase partecipa lo stesso Presidente eletto, e consiste in una deliberazione de Consiglio, di comune accordo con il Presidente eletto, con la quale adotta l’elenco delle altre personalità selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri, che propone di nominare membri della Commissione. La decisione del Consiglio va adottata a maggioranza qualificata. Nella quarta fase il Presidente, l’Alto rappresentate e gli altri membri della Commissione sono soggetti collettivamente ad un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo (che procede ad audizioni separate per ciascuna persona proposta come membro). La quinta fase è affidata al Consiglio europeo che, a maggioranza qualificata, nomina la Commissione. Composizione La Commissione nominata (fino al 31/10/2014) è composta da un cittadino di ciascuno Stato membro, compreso il presidente e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è uno dei vicepresidenti. In futuro i componenti saranno in numero inferiore rispetto agli Stati dell’Unione. Il Presidente della Commissione europea Egli partecipa alla scelta degli altri commissari, nomina i vicepresidenti tra i membri della Commissione, è investito di un ruolo di leadership dal momento che “i membri della Commissione esercitano le funzioni loro attribuite dal presidente, sotto la sua autorità”. Egli poi è tenuto a definire gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi compiti; decidere l’organizzazione interna della Commissione per assicurare la coerenza, l’efficacia e la collegialità della sua azione. Inoltre un membro della Commissione deve rassegnare le dimissioni se il presidente glielo chiede. Status dei membri della Commissione 25 modo diretto un buon numero di politiche e le relative risorse, al potere giudiziario, potendo presentare ricorsi alla Corte di giustizia contro gli Stati membri e lo stesso Consiglio. 6 | La Corte di giustizia dell’Unione europea Al vertice del sistema giurisdizionale europeo è posta la Corte di giustizia dell’Unione europea creata con il Trattato CECA e successivamente divenuta l’istanza giurisdizionale unica di tutte le Comunità europee. Attraverso storiche sentenze la Corte ha contribuito in maniera determinante a delineare la natura e la portata del diritto dell’Unione. Nel corso degli anni, l’attività della Corte è aumentata in maniera considerevole, tanto da richiedere la creazione, nel 1988, del Tribunale di primo grado: un organismo giurisdizionale competente ad esaminare alcune categorie di ricorsi proposte da persone fisiche e giuridiche, con riserva di impugnazione innanzi alla Corte di giustizia per motivi di diritto. Con l’adozione del Trattato di Lisbona la Corte di giustizia dell’Unione europea è concepita come un’istituzione a carattere unitario comprensiva al suo interno dei seguenti organi: la Corte di giustizia; il Tribunale; i Tribunali specializzati. Tali organi sono tutti e tre chiamati ad assolvere la funzione di “assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati”. Si differenziata altri organi giurisdizionali in primo luogo perché possono adire la Corte non soltanto gli Stati membri, ma anche le istituzioni dell’Unione, nonché le persone fisiche e giuridiche a determinate condizioni; in secondo luogo perché tutte le controversie nascono e sono risolte nell’ambito del diritto dell’Unione; in terzo luogo perché la giurisdizione della Corte è obbligatoria e le competenze sono ampie e differenziate. Il diritto di cui la Corte deve garantire il rispetto nell’applicazione e nell’interpretazione è rappresentato da quel complesso di norme che regolano l’organizzazione e lo sviluppo dell’Unione europea nonché i rapporti tra questa e gli Stati membri. A questo complesso normativo, che concorre a formare il diritto dell’Unione scritto, devono aggiungersi i principi generali di diritto mutati dai sistemi giuridici nazionali e dei principi generali propri del diritto dell’Unione. Composizione La Corte è composta da un giudice per Stato membro e 8 avvocati generali. I giudici e gli avvocati sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri, previa consultazione di uno speciale comitato costituito per fornire pareri sull’adeguatezza dei candidati. I giudici e gli avvocati debbono essere scelti fra “personalità che offrano tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano le condizioni richieste per l’esercizio, nei rispettivi paesi ,delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giureconsulti di notoria competenza”. L’indipendenza è garantita dalla previsioni di particolari facoltà ed esenzioni da obblighi (immunità di giurisdizione, incompatibilità con l’esercizio di una funzione politica, amministrativa o professionale etc.). L’avvocato generale ha il ruolo di porsi al servizio dell’interesse generale del diritto dell’Unione, fornendo nel contempo maggiori garanzie di equilibrio e di preparazione tecnica alla Corte di giustizia. gli avvocati generali, sono inseriti organicamente nella struttura della Corte. Ciascuno di essi ha “l’ufficio di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità ed in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento”.12 12 L’avvocato generale, sintetizza la discussione scritta ed orale, la depura da ogni deviazione, indirizzando in tal modo la Corte verso quelle soluzioni più consone alla tutela degli interessi delle parti nel processo. Le conclusioni dell’avvocato generale non sono vincolati anche se esercitano una notevole influenza. Esse, attraverso un’analisi della dottrina e della giurisprudenza descrivono la causa e rilevano in maniera ampia e particolareggiata, sia sul piano dei datti sia sul piano del diritto, che sono più consoni alla soluzione da adottare. 26 I giudici e gli avvocati generali restano in carica sei anni, ma ogni tre anni si procede ad un rinnovo parziale; il mandato è rinnovabile. La Corte nomina ogni tre anni il Presidente, che dirige i lavori e le udienze. La procedura e le sentenze La procedura davanti alla Corte comprende una fase scritta, con scambio di memorie fra le parti, ed una fase orale, introdotta dalla relazione del giudice relatore. Nel corso della procedura la Corte può condurre attività istruttorie estese, anche negli Stati membri. Per l’espletamento di queste ultime può richiedere l’assistenza giudiziaria delle autorità nazionali degli Stati membri cui incombono precisi obblighi. Le udienze della Corte sono di regola pubbliche, mentre le deliberazioni sono segrete. Le sentenze, firmate dal Presidente e dal Cancelliere, devono essere motivate e lette in pubblica udienza. Esse sono definitive e soggette a revisione soltanto in casi eccezionali; hanno efficacia vincolante fra le parti in causa e forza esecutiva all’interno degli Stati membri. Le competenze Il compito assegnato alla Corte è quello di assicurare il rispetto del diritto dell’Unione attraverso il controllo giurisdizionale degli atti e dei comportamenti delle istituzioni nonché attraverso l’interpretazione del diritto dell’Unione. Le principali attribuzioni della Corte riguardano: - L’esame dei ricorsi in tema di inadempimento degli Stati - Il controllo sulla legittimità degli atti dell’Unione - Il controllo sul comportamento omissivo delle istituzioni - La competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione degli atti delle istituzioni - L’esame dei ricorsi per il risarcimento dei danni derivanti da responsabilità extracontrattuale dell’Unione Di grande importanza è la considerazione che alla Corte è assegnata una funzione particolare: quella di assicurare un’unità di giurisprudenza e d’interpretazione, necessario presupposto per un’integrazione effettiva. Occorre sottolineare che le attribuzioni della Corte sono tassative, nel senso che, al di fuori dei casi espressamente previsti dai Trattati, la competenza spetta ai giudici nazionali secondo le norme degli ordinamenti ai quali appartengono, anche qualora debba essere parte in giudizio l’Unione. Il Tribunale Con il Trattato di Lisbona il Tribunale appartiene a quell’istituzione a carattere unitario che è la Corte di Giustizia dell’Unione europea; è competente a conoscere in primo grado alcune categorie di ricorsi ad eccezione di quelle attribuite a un Tribunale specializzato e di quelle che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia. assieme alla Corte di giustizia ed ai tribunali specializzati è chiamato ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati. Segue: composizione e funzionamento Attualmente i giudici sono 27. I membri del Tribunale sono nominati di comune accordo dai Governi degli Stati membri, per un periodo di 6 anni. Secondo quanto stabilito dal regolamento di procedura il Tribunale siede in sezioni oppure in una grande sezione composta da 13 giudici; nei casi previsti dal regolamento di procedura può riunirsi in seduta plenaria o statuire nella persona di un giudice unico. La ragione di tale previsione è quella di snellire il carico di lavoro. Non è consentita la giurisdizione del giudice unico in situazioni riguardanti al’attuazione delle norme sulla concorrenza, gli aiuti di Stato, imprese, agricoltura e in relazione ai casi contro l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno. 27 La presenza dell’avvocato generale è prevista come continuativa e permanente solo nell’adunanza plenaria. I membri del Tribunale, per tutta la durata del loro incarico, sono soggetti alle medesime obbligazioni e beneficiano delle stesse garanzie, privilegi ed immunità dei membri della Corte. È indispensabile che essi posseggano la capacità per l’esercizio delle più alte funzioni giudiziarie. Segue: competenze Il Tribunale è competente a conoscere in primo grado: - Dei ricorsi d’annullamento - Dei ricorsi per carenza - Dei ricorsi per risarcimento dei danni derivanti da responsabilità extracontrattuale dell’Unione - Delle controversie tra l’Unione e i suoi agenti - Dei ricorsi presentati in virtù di una clausola compromissoria; Tuttavia viene riservata la competenza a un tribunale specializzato per alcuni ricorsi e facendo un rinvio allo Statuto per i ricorsi attribuiti in via esclusiva alla Corte di giustizia. Sono di competenza esclusiva della Corte di giustizia i ricorsi presentati dagli Stati membri, dalle istituzioni dell’Unione o dalla Banca centrale europea nelle ipotesi di ricorso di annullamento e ricorso in carenza. Vi è sempre la possibilità d’impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia delle decisioni del Tribunale di primo grado; il riesame è possibile per i soli motivi di diritto ed alle condizioni ed entro i limiti previsti dallo Statuto. Il tribunale, inoltre, fungendo da giudice d’appello, è competente anche per quei ricorsi diretti rientranti nell’ambito dei contenziosi speciali, vale a dire quelli attribuiti ai Tribunali specializzati. Con il Trattato di Lisbona è stata attribuita al Tribunale anche la competenza a conoscere delle questioni pregiudiziali in materie specifiche determinate allo Statuto. Al momento, comunque, lo Statuto nulla prevede in materia. Segue: procedura La procedura davanti al Tribunale comprende una fase scritta, con scambio di memorie tra le parti,e d una fase orale, che è introdotta dalla relazione del giudice relatore. Le udienze del Tribunale sono di regola pubbliche, mentre le deliberazioni sono segrete. Per la decisione della causa è necessario un quorum di tre giudici, quando è riunito in sezione, di nove in adunanza plenaria. I Tribunali specializzati I tribunali specializzati sono organismi incaricati di conoscere in primo grado di alcune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche determinate dallo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il potere di istituire Tribunali specializzati spetta al Parlamento europeo ed al Consiglio. Queste due istituzioni, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono istituire tribunali specializzati affiancati al Tribunale, e incaricati di conoscere in primo grado di talune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. Il Parlamento europeo e il Consiglio deliberano mediante regolamenti su proposta della Commissione e previa consultazione della Corte di giustizia o su richiesta della Corte di giustizia e previa consultazione della Commissione. Le decisioni possono essere oggetto di impugnazione, per i soli motivi di diritto, dinanzi al Tribunale e, qualora sia previsto dal regolamento istitutivo, anche per i motivi di fatto. Il ricorso di ultima istanza alla Corte di giustizia non è previsto, ma, ove sussistano gravi rischi che l’unità o la coerenza del diritto dell’Unione siano compromesse, i ricorsi proposti al Tribunale potrebbero essere oggetto di riesame da parte della Corte. 30 mandato imperativo ed esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e nell’interesse generale dell’Unione. Il Comitato svolge funzioni consultive che si concretizzano nell’emanazione di un parere. Questo può essere facoltativo (quando il Comitato agisce di propria iniziativa) o obbligatorio (quando ricihesto dal Parlamento, dal Consiglio o dalla Commissione), ma non è in nessun caso vincolante. Il Comitato delle Regioni ha una posizione di rilievo anche perché è l’organo consultivo di tutte le istituzioni dell’Unione. 10 | La Banca europea per gli investimenti La BEI è nello stesso tempo un organismo dell’Unione e una banca. “sono membri della Banca europea per gli investimenti gli Stati membri”, la Bei ha una propria personalità giuridica distinta da quella dell’Unione; dispone di risorse proprie, di un proprio bilancio, di organi di amministrazione e di gestione propri. Di conseguenza, la Banca si presenta come un’organizzazione autonoma, seppure funzionalmente collegata con L’unione, piuttosto che come un’istituzione vera e propria dell’Unione medesima. Il suo compito è di contribuire, facendo appello al mercato dei capitali ed alle proprie risorse, allo sviluppo equilibrato della Unione. Dispone di un proprio capitale, sottoscritto fin dall’inizio dagli Stati membri e periodicamente aumentato. Opera appoggiando quelle iniziative economiche all’interno degli Stati membri la cui realizzazione si rivela di volta in volta opportuna, al fine di attenuare gli squilibri esistenti tra regioni o fra settori produttivi all’interno della compagine europea. I prestiti diretti a finanziare i progetti possono essere concessi sia ai governi che a singole imprese, pubbliche o private, degli Stati membri. La BEI non persegue fini di lucro. Per la concessione dei prestiti si avvale di risorse proprie o di risorse ottenute facendo appello al mercato dei capitali. La BEI è stata inserita nel quadro sanzionatorio dei deficit eccessivi di bilancio: infatti il Consiglio può, nel caso in cui uno Stato membro non si conformi alla sua decisione, “invitare la Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica dei prestiti verso lo Stato membro in questione”. 31 Le procedure decisionali 1 | Considerazioni generali Per procedure decisionali si intende la sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinché la volontà dell’Unione possa manifestarsi attraverso determinati atti giuridici. Le procedure decisionali hanno prevalentemente carattere interistituzionale. Le procedure decisionali si distinguono per la loro grande varietà. La disciplina delle procedure decisionali è stabilita direttamente dai trattati ed è pertanto inderogabile dalle istituzioni. Un atto adottato da una di esse non può modificare le procedure previste o istituire procedure diverse da quelle stabilite dai trattati.13 Il TFUE riserva alla adozione degli atti legislativi alcune specifiche procedure: La procedura legislativa ordinaria, di applicazione generale, che consiste “nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione”. Le procedure legislative speciali che si applicano soltanto “nei casi specifici previsti dai trattati” e prevedono “l’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo”. Mentre la procedura legislativa ordinaria è largamente tipizzata, le procedure legislative speciali hanno in comune soltanto la partecipazione di entrambi il Parlamento europeo e il Consiglio. L’esatto svolgimento di ciascuna è definito di volta in volta dalla disposizione dei trattati che la precede. Accanto alle procedure legislative, i trattati ne prevedono altre per l’adozione di atti di natura diversa (procedure non legislative). 2 | La definizione della corretta base giuridica Per stabilire quale procedura vada seguita di volta in volta, occorre definire la base giuridica dell’atto che si intende adottare. La corretta individuazione della base giuridica dipende dall’analisi di alcuni elementi oggettivamente rilevabili, tra i quali soprattutto lo scopo e il contenuto dell’atto; secondo la Corte: “la scelta del fondamento giuridico di un atto non può dipendere solo dal convincimento di un’istituzione circa lo scopo perseguito, ma deve basarsi su elementi oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale”. Può tuttavia accadere che uno stesso atto persegua una pluralità di scopi o presenti contenuti differenziati. In casi del genere, la base giuridica va dedotta dal c.d. centro di gravità dell’atto, mentre non dovrà tenersi conto di scopi o componenti secondari o accessori. 13 La Corte si è trovata di fronte a un caso del genere nella sentenza 6 maggio 2008 Parlamento europeo c. Consiglio. Il Parlamento chiede l’annullamento di alcuni artt. della dir. Del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, che prevedono per l’adozione dell’elenco dei paesi c.d. sicuri una procedura modellata su quella di consultazione. Il Parlamento sostiene invece che l’elenco deve essere approvato secondo la procedura di codecisione. Secondo la Corte “riconoscere ad un’istituzione la facoltà di porre in essere fondamenti normativi derivati, che vadano nel senso di un aggravio ovvero di una semplificazione delle modalità d’adozione di un atto, significherebbe attribuire alla stessa un potere legislativo che eccede quanto previsto dal Trattato. Pertanto la Corte accoglie il ricorso del Parlamento. 32 Qualora non sia possibile determinare il centro di gravità dell’atto, perché i vari scopi e i vari contenuti hanno uguale importanza, l’atto dovrà eccezionalmente avere una base giuridica plurima, consistente in tutte le disposizioni dei trattati corrispondenti ai suoi vari scopi o ai vari contenuti.14 Questa soluzione eccezionale non è però ammissibile se le disposizioni che dovrebbero fungere da base giuridica plurima prevedono procedure decisionali incompatibili. In casi del genere la base giuridica non potrò che essere una sola e andrò preferita la base giuridica che non pregiudichi i poteri di partecipazione del Parlamento europeo alla procedura decisionale. Secondo la giurisprudenza, la scelta della corretta base giuridica di ciascun atto adottato dalle istituzioni “riveste un’importanza di natura costituzionale”. 3 | La procedura legislativa ordinaria “La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione”. In passato era nota come procedura di codecisione perché tramite essa le due istituzioni gestiscono insieme il potere decisionale, senza che l’una possa prevaricare sull’altra.15 La disciplina della procedure si fonda su un sistema di ripetute letture della proposta di atto legislativo da parte delle due istituzioni. L’attuale disciplina contempla fino a tre letture. In generale la procedura si apre con la proposta della Commissione. Vi sono però casi in cui l’esercizio di questo potere è indotto da una richiesta esterna alla Commissione: - Può essere determinato da una richiesta formulata dal Parlamento europeo: “a maggioranza dei membri che lo compongono, il Parlamento europeo può chiedere alla Commissione di presentare adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l’elaborazione di un atto dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati. Se la Commissione non presenta una proposta, essa ne comunica le motivazioni al Parlamento europeo”. Sebbene non sia prevista alcuna sanzione nel caso in cui la Commissione non si attivi, ciò potrebbe indurre il Parlamento ad approvare una mozione di censura. - Può essere determinato da una richiesta formulata dal Consiglio: “il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice, può chiedere alla Commissione di procedere a tutti gli studi che esso ritiene opportuni ai fini del raggiungimento degli obiettivi comuni e di sottoporgli tutte le proposte del caso. Se la Commissione non presenta una proposta, ne comunica le motivazioni”. La sua richiesta non è vincolante. - Può essere determinato da una richiesta formulata da un milione di cittadini dell’Unione: “cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo si Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’esecuzione dei trattati”. Riferendosi la norma ad un semplice invito, è da ritenersi che la Commissione non sia obbligata ad agire. 14 Il Principio è stato affermato dalla Corte nella sentenza giugno 1992 Commissione c. Consiglio sul caso del Biossido di titano. La Corte giudica che una direttiva in materia di rifiuti dell’industria del biossido di titano persegue “inscindibilmente, tanto la tutela dell’ambiente quanto l’eliminazione delle disparità nelle condizioni di concorrenza”. 15 La principale differenza tra la procedura di codecisione e quella di cooperazione, sta nel fatto che, in quest’ultima, il Consiglio può approvare all’unanimità un atto che sia stato respinto dal Parlamento europeo, mentre nella procedura di codecisione in questo caso l’atto si considera definitivamente non adottato. 35 In alcuni casi di particolare importanza, il TFUE prevede che l’atto legislativo deliberato dal Consiglio debba essere approvato dal Parlamento europeo (procedura di approvazione). Ad es., “il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa approvazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza, l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. La differenza tra la procedura legislativa ordinaria e la procedura di approvazione è che, in quest’ultima, il Parlamento si limita ad approvare o a respingere l’atto. Infine, per alcuni atti legislativi il cui contenuto è destinato a sostituirsi o a integrare la disciplina prevista dal TFUE, è prescritto che l’atto adottato con la procedura di approvazione o, più raramente, di consultazione, per entrare in vigore debba essere approvato anche dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali (es., adozione della decisione che stabilisce il regime delle risorse proprie). 5 | Le procedure legislative nel settore dello Spazio di sicurezza, libertà e giustizia In materia di Spazio di sicurezza, libertà e giustizia, la procedura legislativa ordinaria è prevista circa le misure amministrative concernenti i movimenti di capitali e i pagamenti, in materia di controlli alle frontiere, asilo e immigrazione; sulla cooperazione giudiziaria in materia civile; sulla cooperazione giudiziaria in materia penale; sulla cooperazione di polizia. Procedure legislative diverse sono richieste per l’adozione di specifiche misure. Ad es., per le misure riguardanti il diritto di famiglia è richiesta una procedura di consultazione. La procedura di approvazione è invece prevista circa l’istituzione di una Procura europea. Va comunque segnalato che qualunque sia la procedura legislativa applicabile, nel settore della cooperazione amministrativa, di polizia, giudiziaria in materia penale, il potere di proposta non spetta soltanto alla Commissione ma anche all’iniziativa di un quarto degli Stati membri. In numerosi casi sono poi previsti taluni strumenti procedurali che consentono agli Stati membri contrari a determinati atti di impedirne o ritardarne l’adozione (c.d. emergency brake). Lo Stato membro contrario interviene perché ritiene che il progetto di atto incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale. L’intervento avviene prima della deliberazione dell’atto da parte del Consiglio e comporta la sospensione della procedura legislativa ordinaria. L’esame dell’atto passa al Consiglio europeo che ha quattro mesi per approvare l’atto per consenso. Se ciò avviene, l’atto è inviato al Consiglio e la procedura legislativa riprende. In caso contrario, “se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di atto, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione” e l’autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata si considera concessa. In altre ipotesi ivnece lo strumento procedurale è associato a procedure legislative speciali che richiedono una delibera unanime da parte del Consiglio. In questi casi lo strumento consente di superare, sia pure parzialmente, la mancanza di unanimità. Si trtta delle ipotesi di istituzione di una Procura europea e della cooperazione operativa tra le autorità di polizia (art. 87 par. 3): in mancanza di una unanimità un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere che del progetto di atto sia investito il Consiglio europeo. Entro quattro mesi, il Consiglio europeo, decidendo per consenso, rinvia il progetto al Consiglio regolamento sulla quale il Parlamento si era pronunciato era infatti diversa dal testo adottato dal Consiglio. La Corte però respinge la censura constatando che il testo oggetto del parere del Parlamento è sostanzialmente identico a quello approvato dal Consiglio. La seconda consultazione non è richiesta nemmeno quando si tratta di emendamenti corrispondenti alle proposte di modifica formulate nel parere del Parlamento; mentre dovrebbe esserci nel caso in cui sia passato molto tempo o siano mutate le circostanze rispetto alla prima consultazione, ed ancora nel caso di rinnovo del Parlamento europeo. 36 perché lo adotti. Altrimenti, come nel caso precedente, almeno nove Stati membri possono notificare al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione la loro intenzione di instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di atto e la necessaria autorizzazione si considera concessa. 6 | Le procedure non legislative In molti casi i trattati prevedono l’adozione da parte delle istituzioni dell’Unione di atti non legislativi e stabiliscono di volta in volta la procedura decisionale applicabile. Il Consiglio europeo, delibera seguendo procedure diverse da caso a caso. In alcuni casi, come per l’elezione del Presidente del Consiglio europeo, il Consiglio europeo decide in piena autonomia, senza necessità di alcuna proposta e senza che sia richiesta la consultazione o l’approvazione di altre istituzioni. Vi sono poi casi in cui benché la deliberazione del Consiglio europeo non sia condizionata da una proposta proveniente da altri soggetti, è tuttavia subordinata all’approvazione di un’altra istituzione o organo: l’approvazione del Parlamento europeo è ad es. necessaria per la nomina del Presidente della Commissione, mentre per la nomina dell’Alto rappresentante, occorre l’accordo del Presidente della Commissione. In altri casi il Consiglio europeo non agisce di propria iniziativa ma ha bisogno di una proposta: per es., necessita di una proposta di un terzo degli Stati membri, o della Commissione, per constatare, con decisione all’unanimità, l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art. 2 TUE. In questo caso è anche necessaria l’approvazione del Parlamento europeo. 7 | Le procedure nel settore della PESC Il TUE precisa che la PESC è soggetta a procedure specifiche. Un primo elemento distintivo è costituito dal ruolo del Consiglio europeo che esercita un vero e proprio potere decisionale, seguendo un’apposita procedura. Un secondo elemento caratteristico è che le procedure decisionali consistono per lo più in deliberazioni assunte dal Consiglio all’unanimità, su iniziativa non della Commissione ma degli Stati membri o dell’Alto rappresentante. Infine il ruolo del Parlamento europeo è molto ridosso, essendo esso oggetto di semplice consultazione. Comunque nessuna delle procedure decisionali che saranno descritte può essere definita legislativa. Cominciando dalle procedure decisionali seguite dal Consiglio europeo, si rileva come la disciplina nel TUE sia scarna: il Consiglio europeo “individua gli interessi strategici dell’Unione, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune, ivi comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa” e “adotta le decisioni necessarie” l’unica regola di carattere procedurale indica che il Consiglio europeo delibera sempre all’unanimità, salvi i casi in cui il capo del TUE relativo alla PESC, disponga diversamente. Casi del genere non solo al momento previsti. Non è specificato su iniziativa di chi il Consiglio europeo deliberi, e questo implica la possibilità di deliberare di propria iniziativa o su proposta di altri soggetti, senza che sia però richiesta alcuna particolare formalità. Anche le procedure decisionali seguite dal Consiglio in ambito PESC sono disciplinate sommariamente. Come regola generale si segue il principio dell’unanimità.19 Si è previsto comunque che alcune deliberazioni vengano assunte dal Consiglio a maggioranza qualificata: 19 Si è cercato di indurre i membri del Consigli contrari ad una proposta di astenersi, piuttosto che a esprimere voto contrario: si è introdotto a questo scopo l’istituto dell’astensione costruttiva per cui “in caso di astensione dal voto, ciascun membro del Consiglio può motivare la propria astensione con una dichiarazione formale a norma del presente comma. In tal caso esso non è obbligato ad applicare la decisione, ma accetta che essa impegni l’Unione. In uno spirito di mutua solidarietà, lo Stato membro interessato si astiene da azioni che possano contrastare o impedire 37 - Quando adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’Unione, sulla base di una decisione del Consiglio europeo relativa agli interessi e obiettivi strategici dell’Unione di cui all’art. 22 par. 1 - Quando adotta una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’Unione in base a una proposta dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica idi sicurezza - Quando adotta decisioni relative all’attuazione di una decisione che definisce un’azione o una posizione dell’unione - Quando nomina un rappresentante speciale Peraltro, la pur limitata possibilità di assumere deliberazioni a maggioranza qualificata può essere paralizzata grazie alla clausola di salvaguardia: “se un membro del Consiglio dichiara che, per specificati e vitali motivi di politica nazionale, intende opporsi all’adozione di una decisione che richiede la maggioranza qualificata, non si procedere alla votazione. L’alto rappresentante cerca, in stretta consultazione con lo Stato membro interessato, una soluzione accettabile per quest’ultimo. In mancanza di un risultato il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può chiedere che della questione sia investito il Consiglio europeo, in vista di una decisione all’unanimità”. Non è escluso che il Consiglio europeo, una volta risolto il conflitto sorto in sede di Consiglio, possa spingersi fino all’approvazione formale dell’atto. Per quanto riguarda il potere d’iniziativa, esso spetta ad ogni Stato e all’Alto rappresentante, da solo o con l’appoggio della Commissione. Questo non esclude che il Consiglio possa agire di propria iniziativa. Quanto al Parlamento europeo, esso non svolge alcun ruolo attivo nell’elaborazione delle decisioni PESC. L’Alto rappresentante lo consulta regolarmente “sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali” della PESC e “provvede affinché le opinioni del Parlamento europeo siano debitamente prese in considerazione”. Da parte sua il Parlamento può rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio o all’Alto rappresentante. Per quanto riguarda l’Alto rappresentante va segnalato anche il potere di attuazione che gli compete in ambito PESC: “la politica estera e di sicurezza comune è attuata dall’alto rappresentante e dagli Stati membri, ricorrendo ai mezzi nazionali e a quelli dell’Unione”. 8 | La procedura di conclusione negli accordi internazionali La procedura è caratterizzata dal ruolo centrale del Consiglio che decide su tutte le fasi.20 Nel corso dell’intera procedura il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata, tranne eccezioni. La fase della conclusione segue in generale il modello della procedura di consultazione, salvo nei casi di accordi che riguardino esclusivamente la PESC, dove invece il Parlamento non viene consultato. Si segue invece la procedura di approvazione nei seguenti casi: - Accordi di associazione; - Accordo sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - Accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione; l’azione dell’Unione basata su tale decisione, e gli altri Stati membri rispettano la sua posizione”: il descritto meccanismo è inapplicabile quanto il numero degli Stati membri che vi fanno ricorso è pari al un terzo che totalizzino almeno un terzo della popolazione dell’Unione: in tal caso la decisione non è adottata. 20 In particolare, il negoziato si apre in seguito ad autorizzazione del Consiglio su raccomandazione della Commissione o dell’Alto rappresentante, se si tratta di accordi che riguardano esclusivamente o principalmente la PESC e viene svolto da un negoziatore designato, in funzione della materia, dal Consiglio. La firma è autorizzata dal Consiglio su proposta del negoziatore con decisione, che potrà disporre anche l’eventuale applicazione provvisoria dell’accordo, in attesa della sua entrata in vigore. Altrettanto vale per la decisione relativa alla conclusione e alla sospensione dell’accordo. 40 dubitare che la categoria dell’autonomia potesse applicarsi ad un complesso di norme che mantenevano marcate caratteristiche di stampo intergovernativo, oggi, con la parziale abolizione della struttura a pilastri, oltre che l’esplicito riconoscimento all’Unione della personalità giuridica, la situazione pare diversa, per un ordinamento che, nel nuovo assetto, vuole essere unico e onnicomprensivo. Anche l’ordinamento dell’Unione si fonda su un sistema di fonti di produzione del diritto. l’attuale gerarchia può essere schematizzata come segue: - i trattati, i principi generali del diritto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; - le norme del diritto internazionale generale e gli accordi internazionali conclusi dall’Unione con Stati terzi; - gli atti adottati dalle istituzioni; - gli atti d’attuazione o di esecuzione adottati dalla Commissione o dal Consiglio. La distinzione fondamentale resta quella tra diritto primario e diritto secondario o derivato: la prima categoria è composta dai trattati, mentre la seconda è costituita dagli atti che le istituzioni possono adottare in attuazione dei trattari. All’interno del diritto derivato, può stabilirsi una gerarchia tra atti di base e atti d’attuazione. Gli atti di attuazione sono sempre adottati dalla Commissione su delega disposta da un atto legislativo adottato, secondo i casi, congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio ovvero dall’una o dall’altra di queste istituzioni. Gli atti d’esecuzione invece sono emessi dalla Commissione ovvero, in casi specifici, debitamente motivati, e nelle circostanze previste agli artt. 24 e 25 del TUE, dal Consiglio. Tra gli atti adottati dalle istituzioni figurano categorie di atti molto diversi quanto alla loro natura e alla loro struttura. Per quanto riguarda la loro natura, la distinzione tra atti legislativi e atti che tali non sono è stata introdotta dal Trattato di Lisbona, e si basa sulla procedura decisionale applicabile per l’adozione: soltanto “gli atti giuridici adottati mediante procedura legislativa sono atti legislativi”. In concreto, si possono avere regolamenti, direttive o decisioni legislativi e regolamenti, direttive e decisioni non legislativi a seconda della procedura decisionale mediante la quale ciascuno atto è stato adottato. Dal momento che la procedura decisionale applicabile è indicata dalla base giuridica in forza del quale l’atto è adottato, è la stessa base giuridica che determina la natura legislativa o meno degli atti adottati. Peraltro, le procedure legislative, ordinarie o speciali che siano, contemplano l’adozione di atti da parte del Parlamento europeo e del Consiglio congiuntamente o separatamente. Di conseguenza gli atti delle altre istituzioni saranno a priori non legislativi.23 Il fatto che un atto giuridico sia o meno legislativo comporta alcuni importanti conseguenze: - i lavori del Consigli per l’adozione di un atto legislativo dovranno svolgersi in seduta pubblica; - in merito agli atti legislativi saranno esercitati i poteri di controllo dei parlamenti nazionali circa il rispetto del principio di sussidiarietà - le condizioni di ricevibilità dei ricorsi d’annullamento delle persone fisiche o giuridiche saranno più severe se l’atto impugnato ha carattere legislativo di quanto lo saranno in caso di impugnazione di atti regolamentari che non comportano alcuna misura d’esecuzione Anche dal punto di vista della loro struttura gli atti delle istituzioni presentano grandi differenze. L’art. 288 TFUE contiene l’elencazione e la descrizione degli atti più frequentemente utilizzati dalle istituzioni (c.d. 23 Tra gli atti non legislativi, in realtà, figurano atti che, in un ordinamento interno come quello italiano, verrebbero qualificati come atti amministrativi, ma anche atti che hanno funzione di dare attuazione a specifiche disposizioni dei trattati e che avrebbero valenza legislativa se non addirittura costituzionale: es. la decisione con cui il Consiglio europeo stabilisce la composizione del Parlamento europeo o le de 41 atti tipici): i regolamenti; le direttive; le decisioni; i pareri; le raccomandazioni. I pareri e le raccomandazioni non sono vincolanti.24 L’art. 288 non prevede alcuna gerarchia tra gli atti vincolanti di tipo diverso. Normalmente la base giuridica specifica di volta in volta quale tipo di atti le istituzioni possono adottare. Può capitare che il tipo di atto da adottare non venga affatto precisato. In questo caso, spetta alle istituzioni competenti effettuale la scelta nel rispetto del principio di proporzionalità. La tipologia di atti contenuta nell’art. 288 non è completa né tassativa. Gli stessi trattati prevedono atti non corrispondenti ai tipi codificati nell’art. cit. (atti atipici, ad es. il bilancio della Comunità). Accanto agli atti atipici, ma pur sempre contemplati dai trattati, vanno annoverati alcuni tipi di atto affermatisi soltanto in via di prassi, soprattutto nel settore della disciplina della concorrenza e degli aiuti di Stato alle imprese. In entrambi questi settori la Commissione gode di poteri diretti di controllo e di sanzione, ma anche di un ampio margine di discrezionalità. Per orientare i comportamenti dei destinatari di tali poteri (imprese e Stati membri), la Commissione pubblica periodicamente delle comunicazioni (denominate, secondo i casi, orientamenti, codici, disciplina, linee direttrici) per rendere noto il modo in cui intende applicare le norme del Trattato con riferimento a determinate categorie di fattispecie. Pur non avendo un vero e proprio valore normativo, le comunicazioni sono considerate dalla giurisprudenza come atti attraverso cui la Commissione definisce i limiti del proprio potere discrezionale, non potendo così discostarsene nella valutazione dei casi concreti.25 Una mera prassi, anche se costante e di lunga durata, che non si sia tradotta in comunicazioni del tipo di quelle menzionate, può invece essere variata nel tempo dalla Commissione, senza che le imprese interessate possano vantare un legittimo affidamento circa il mantenimento della prassi anteriore.26 Aspetti comuni a tutti gli atti delle istituzioni sono: la motivazione (gli atti delle istituzioni sono motivati e fanno riferimento alle proposte, iniziative, raccomandazioni richieste o pareri previsti dai trattati); firma (gli atti legislativi sono firmati dal Presidente del Parlamento e/o dal Presidente del Consiglio, a seconda della procedura applicabile; gli atti non legislativi sono firmati dal Presidente dell’istituzione che li ha adottati); entrata in vigore (sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’UE gli atti legislativi e, tra gli atti non legislativi, i regolamenti, le direttive rivolte a tutti gli Stati membri, le decisioni che non designano i 24 Nella sent. 13/12/1989 Grimaldi, la Corte è chiamata dal Tribunale del lavoro di Bruxelles a pronunciarsi sull’interpretazione di alcune raccomandazioni della Commissione in materia di malattie professionali. La Corte accetta di rispondere ai quesiti ricordando che “i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie sottoposte al loro giudizio, in particolare quando esse sono di aiuto nell’interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione”. 25 Nella set. 24/03/1993 causa CIRFS la Corte conosce un ricorso d’annullamento contro una decisione con cui la Commissione aveva stabilito che un aiuto erogato dal Governo francese ad un’impresa per la creazione di un’unità di produzione di fibre sintetiche destinate ad uso industriale non era soggetto all’obbligo di notifica preventiva previsto dal TFUE. La ricorrente sostiene che la decisione viola la disciplina sugli aiuti nel settore delle fibre sintetiche contenuta in una lettera inviata dalla Commissione agli Stati membri. La disciplina, infatti, prevede l’obbligo di notifica per tutti gli aiuti del genere, senza esentare gli aiuti destinati a fabbricanti di fibre ad uso industriale. La Corte annulla la decisione impugnata, affermando che “un atto di portata generale non può essere modificato implicitamente da una decisione individuale”. 26 Il principio si desume dalla set. 28/06/2005 Dansk Rorindustri, a proposito del metodo per calcolare le ammende inflitte alle imprese responsabili di aver violato le regole comunitarie in materia di concorrenza. Il potere di infliggere ammende del genere era previsto dal reg. del Consiglio. La Commissione godeva, in proposito, di notevole discrezionalità. Soltanto con la comunicazione intitolata “orientamenti per il calcolo delle ammende […]” la Commissione aveva pubblicato i criteri in base ai quali intendeva operare. Tuttavia tali criteri si erano rivelati, per alcuni aspetti, diversi e più severi rispetto a quelli seguiti in precedenza. Nella fattispecie oggetto della sentenza, la decisione della Commissione veniva impugnata per avere applicato i nuovi criteri ad un’ipotesi di violazione commessa prima della pubblicazione degli Orientamenti cit. secondo la Corte, correttamente il Tribunale aveva “dedotto che le imprese coinvolte in un procedimento amministrativo che può dare luogo ad un’ammenda non possono riproporre un legittimo affidamento nel fatto che la Commissione non supererà il livello delle ammende praticato anteriormente”. 42 destinatari. Gli atti pubblicati nella GU entrano in vigore venti giorni dopo la pubblicazione, salvo che sia disposto diversamente. Le direttive rivolte a determinati Stati membri e le decisioni che designano destinatari hanno efficacia in virtù della notificazione). 2 | I trattati Le fonti di diritto primario dell’Unione sono in massima parte contenute nei trattati, come emendati dai trattati di revisione e modificati dai trattati di adesione che si sono succeduti nel tempo. I due trattati hanno lo stesso valore giuridico ma tra i due testi esiste un legame funzionale, nel cui ambito il TFUE è servente rispetto al TUE: natura di fonti primarie hanno anche i Protocolli e gli Allegati ai trattati. Una questione dibattuta è quella della natura giuridica dei trattati. Tradizionalmente, l’alternativa si pone tra due possibili soluzioni: i trattati vanno considerati come semplici trattati internazionali ovvero, nel loro insieme, come una carta costituzionale. A sostegno della prima soluzione può invocarsi la circostanza che i trattati sono stati conclusi nelle forme e secondo i procedimenti propri di un normale trattato internazionale. Ponendoci invece in una prospettiva interna al sistema giuridico dell’Unione, sembra invece possibile ammettere che i trattati assolvano ad una funzione di natura costituzionale. La disciplina contenuta nei trattati, peraltro, è inderogabile dalle istituzioni e dagli Stati membri, se non seguendo la procedura di revisione. Certo non si tratterebbe di una costituzione di tipo statuale. Tuttavia la tesi che il TCE sia null’altro che un trattato internazionale non soddisfa. Sta di fatto che la Corte di giustizia considera e adopera i trattati come una costituzione. Tale concezione si riflette nei criteri interpretativi seguiti dalla Corte. Le norme che consentono agli Stati membri di adottare o mantenere provvedimenti derogatori rispetto alle regole generali sono oggetto di interpretazione restrittiva, come anche le norme che mirano a consentire agli Stati membri di continuare ad utilizzare le loro competenze parallelamente a quelle comunitarie. Risulta perciò rovesciato il criterio normalmente seguito dai giudici internazionali, secondo cui le limitazione della sovranità degli Stati non si presumono. Un altro criterio interpretativo applicato alle norme del Trattato è quello dell’effetto utile. Tra le varie interpretazioni possibili, la Corte preferisce quella che consente di riconosce alla norme la maggiore effettività possibile, in maniera che gli scopi a cui la norma è rivolta possano essere raggiunti più compiutamente.27 I trattati possono essere modificati soltanto ricorrendo alle procedure previste a questo scopo dagli stessi trattati. La più importante procedura di revisione è la procedura di revisione ordinaria, che è anche la sola ad avere un campo d’applicazione generale. Sono previste poi due procedure di revisione semplificate. La procedura di revisione ordinaria si articola come segue: - presentazione al Consiglio di un progetto di modifica da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione; - decisione del Consiglio europeo, a maggioranza semplice, favorevole all’esame delle modifiche trasmesse dal Consiglio al Consiglio europeo; 27 Nella sent. 5/05/19799 Ratti, la Corte è chiamata a pronunciarsi sul se un produttore di vernici possa invocare, a giustificazione della mancata osservanza della normativa nazionale, la circostanza che tale normativa non è conforme ad una direttiva adottata in materia. Nel dare risposta affermativa al quesito, la Corte afferma: “particolarmente nei casi in cui le autorità comunitarie abbiano, mediante direttiva, imposto agli Stati membri di adottare un determinato comportamento, l’effetto utile dell’atto sarebbe attenuato se agli amministrati fosse precluso di valersene in giudizio e ai giudici nazionali di prenderlo in considerazione in quanto elemento del diritto comunitario”. 45 3 | I principi generali del diritto Tra le fonti assimilabili a quelle di diritto primario si segnalano anzitutto i principi generali del diritto, comprensivi dei principi relativi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. La tipologia dei principi generali è ampia. Una prima categoria è costituita dai principi generali del diritto dell’Unione. Tali principi trovano espressione in determinate norme dei trattati, alle quali, proprio perché considerate come corrispondenti ad un principio generale, vengono assegnati grande importanza e carattere assolutamente imperativo ed inderogabile. Un esempio è dato dal principio di non discriminazione, che all’art. 18 TFUE vieta le discriminazioni legate alla nazionalità; nell’art. 19 prevede l’adozione di provvedimenti “per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o l’orientamento sessuale”; l’art. 40 vieta le discriminazioni tra produttori e consumatori nell’ambito delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli; l’art. 157 vieta le discriminazioni in materia salariale tra lavoratrici e lavoratori. Secondo la Corte, le disposizioni citate sono specifiche applicazioni del principio generale di non discriminazione e vanno pertanto interpretate in maniera ampia. Un esempio è fornito dalla maniera in cui è stata definita la portata della nozione di discriminazione. Alle discriminazioni palesi o dirette sono state infatti assimilate le discriminazioni occulte o indirette.30 Anche il campo d’applicazione del principio di non discriminazione è stato interpretato in senso estensivo.31 Nonostante le molte sollecitazioni ricevute, invece, la Corte, non ritiene che rientrino nel campo d’applicazione del principio generale di non discriminazione, le discriminazioni alla rovescia. Si tratta di situazioni che si creano quando norme di uno Stato membro prevedono per i propri cittadini un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai cittadini di altri Stati membri.32 Tra gli altri principi generali del diritto comunitario vanno annoverati: il principio di libera circolazione e il principio della tutela giurisdizionale effettiva. Sono talvolta considerati tali anche il principio reagito a tale inadempimento”: ugualmente irrilevante viene giudicato il fatto che gli Stati membri abbiano adottato una risoluzione relativa all’applicazione del principio in questione, “rinviandone l’attuazione secondo un programma scaglionato nel tempo”. 30 Nella sent. 12/02/1974 Sotgiu, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con l’art. 45 TFUE di una normativa tedesca che subordina la concessione ali lavoratori di un’indennità di separazione alla condizione che il loro luogo di residenza, prima dell’assunzione, fosse compreso nel territorio tedesco. Di fatto, si impediva che di tale indennità potessero beneficiare i lavoratori provenienti da altri Stati membri. La Corte afferma. “il principio di parità di trattamento, vieta non soltanto le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri, pervenga al medesimo risultato.” 31 Nella sent. 2/02/1989 Cowan, la Corte affronta il caso di un cittadino britannico il quale durante un soggiorno turistico in Francia, è stato oggetto di aggressione e al quale viene negato un indennizzo previsto per casi del genere dalla legislazione francese a favore dei soli cittadini nazionali. Avendo lo Stato francese obiettato che la legislazione in causa appartiene all’ordinamento processuale penale e che tale materia non rientra nel campo d’applicazione del trattato, la Corte risponde: “se la legislazione penale e le norme di procedura penale, nel novero delle quali rientra la controversa disposizione nazionale, sono in linea di principio riservate alla competenza degli Stati membri, tuttavia dalla giurisprudenza costante della Corte risulta che il diritto comunitario pone dei limiti a tale competenza. Le norme non possono infatti porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità di trattamento, né limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario”: 32 la indifferenza dell’ordinamento dell’Unione rispetto a situazioni di discriminazione alla rovescia comporta che le stesse vanno risolte nell’ambito del sistema giuridico nazionale dello Stato membro in questione, eventualmente ricorrendo al principio costituzionale di uguaglianza dinanzi alla legge. L’indicazione proveniente dalla giurisprudenza della Corte di giustizia è stata raccolta dalla Corte costituzionale italiana, nella sent. 30/12/1997 Pastificio Volpato. La questione di costituzionalità era stata sollevata nel corso di un giudizio relativo ad una sanzione amministrativa comminata per violazione di una legge che vietava l’utilizzazione di ingredienti non autorizzati nella fabbricazione di paste alimentari secche. Ritenendo pacifico che una tale normativa non avrebbe potuto essere applicata a un produttore stabilito in un altro Stato membro, la Corte ne dichiara l’incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost. 46 d’attribuzione, il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. Trattandosi tuttavia di principi che sono espressamente previsti da una norma di trattato ed attengono ad un oggetto specifico, l’attributo generale, nel loro caso, serve a sottolineare l’importanza e l’inderogabilità, ma non significa che tali principi possano trovare applicazione in contesti diversi. Un seconda categoria è costituita dai principi generali del diritto comuni agli ordinamenti degli Stati membri. Si tratta di principi che vengono desunti non dal diritto dell’Unione, ma dall’esame parallelo dei vari ordinamenti nazionali.33 Tra questi si segnalano il principio di legalità, in base al quale ogni potere esercitato dalle istituzioni deve trovare la sua fonte legittimante in uno norma dei trattati che ne fissi le condizioni di esercizio; il principio della certezza del diritto, secondo cui chi è tenuto al rispetto di una norma giuridica deve essere messo in condizione di poterlo fare e di conoscere il comportamento che la norma gli impone; il principio del legittimo affidamento, che può essere invocato in caso di modifica normativa improvvisa e imprevedibile da parte degli operatori giuridici, senza che ciò sa giustificato da ragioni imperative di interesse generale; il principio del contraddittorio, secondo cui le istituzioni e gli organi dell’Unione, quando intendono assumere un provvedimento sfavorevole a carico di un singolo, devono consentire a quest’ultimo di far valere il proprio punto di vista prima che il provvedimento venga adottato. Particolare importanza riveste poi il principio di proporzionalità. Esso implica che gli intereventi dalla pubblica autorità limitativi della libertà o dei diritti dei singoli, per essere legittimi, a) devono essere idonei a raggiungere l’obiettivo di interesse pubblico perseguito e b) devono essere necessari a questo stesso fine, evitando di imporre ai privati sacrifici superflui. 4 | segue: la protezione dei diritti fondamentali Dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la protezione dei diritti fondamentali dell’uomo è oggetto dell’art. 6 TUE. Dal testo risulta che la protezione dei diritto umani nell’ordinamento dell’Unione trova la sua fonte e la sua disciplina in una pluralità di strumenti normativi: - la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; - la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) - i principi generali di cui fanno parte i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. La Carta dei diritti fondamentali e i principi generali sono sin d’ora vincolanti per l’Unione europea. La CEDU invece lo diverrà soltanto quando sarà perfezionata l’adesione ad essa dell’Unione secondo quanto previsto dal par. 2. I trattati istitutivi delle Comunità europee del 1957 non contenevano alcuna norma relativa alla tutela dei diritti fondamentali dell’Uomo. Il TCE conteneva però la previsione di alcuni diritti, quali la libertà di circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e il divieto di non discriminazione in base alla nazionalità e al sesso. Tuttavia, queste libertà erano strumentali alla realizzazione del mercato comune, con la conseguenza che l’individuo non veniva tutelato come persona umana ma solo come individuo lavoratore, individuo operatore economico, etc. La mancata tutela dei diritti fondamentali trova una spiegazione anche nella circostanza che la Francia non aveva ancora ratificato la CEDU e, quindi, sarebbe stato difficile ottenere un suo consenso riguardo l’inserimento nel trattato di norme a tutela delle libertà fondamentali. Inoltre, in alcuni Stati c’era il timore che l’inserimento di una Carta dei diritti fondamentali non avrebbe più posto limiti al campo d’azione degli organi comunitari. 33 Il TFUE fa uno specifico riferimento a tali principi, sulla responsabilità extracontrattuale della Comunità. La norma si limita a sancire l’obbligo dell’Unione di risarcire i danni, mentre la disciplina materiale di tale obbligo va desunta dai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 47 La Corte di giustizia, tra gli anni ’50 e ’60 aveva sottolineato la limitazione della propria competenza all’interpretazione del diritto comunitario, escludendo di poter tenere conto dei diritti appartenenti alle Costituzioni degli Stati membri. A seguito dell’atteggiamento di netta chiusura della Corte di giustizia, le Corte costituzionali italiana e tedesca si sono interrogate sulla necessità di operare un controllo di legittimità costituzionale anche sugli atti comunitari. Riveste una particolare importanza al riguardo la sentenza Frontini del 27/12/973 con la quale la Corte costituzionale italiana dichiarava che il trasferimento di competenze alla Comunità e le conseguenti limitazioni alla sovranità italiana “possono comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona. Ed è ovvio che, qualora dovesse mai darsi all’art. 189 del Trattato CEE una così aberrante interpretazione, in tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del trattato con i principi fondamentali”. Sulla scia di questa sentenza, la Corte costituzionale tedesca nel caso Solange I del 29/05/1974, affermava che qualora si verifichi un contrasto tra le norme di diritto comunitario derivato e quelle costituzionali relativi ai diritti umani verranno applicate queste ultime. Le decisioni delle Corti costituzionali italiana e tedesca hanno contribuito a portare la Corte di giustizia ad un mutamento della sua iniziale posizione. Già nella sent Stauder, la Corte affermava che i diritti umani “fanno parte dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce l’osservanza”. Secondo l’impostazione della Corte: a) i diritti fondamentali vanno tutelati nell’ordinamento comunitario in quanto rientranti nei principi generali del diritto b) al fine di definire il contenuto di tali diritti e la portata della tutela che deve essere accordata ad essi, la Corte utilizza, quale fonti di ispirazioni: le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell’uomo. La soluzione elaborata dalla giurisprudenza è stata poi recepita e consacrata dall’art. 6 TUE, nella sua versione originale. Quanto allo status attuale e futuro della CEDU, fino a quanto l’adesione non sarà perfezionata, la CEDU continuerà costituire per l’Unione una fonte non direttamente vincolante. Nonostante ciò va dato atto che la Corte ha eletto la CEDU a riferimento privilegiato e quasi inevitabile per effettuare il proprio controllo sul rispetto dei diritti fondamentali. Negli ultimi anni, la Corte si è spinta fino ad includere nelle proprie sentenze ampi e precisi riferimenti alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La mancata adesione formale della Comunità e ora dell’Unione alla CEDU solleva il problema della responsabilità degli Stati membri di fronte agli organi della Convenzione in conseguenza di attività delle istituzioni ovvero di attività poste in essere dagli Stati membri in esecuzione di atti delle istituzioni. Il problema è stato affrontato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: essa ha ribadito che gli Stati i quali abbiano trasferito a un’organizzazione sopranazionale come l’Unione taluni poteri sovrani non sono sottratti, per quanto riguarda l’esercizio dei poteri sovrani oggetto del trasferimento, all’obbligo di rispettare i diritti tutelati dalla CEDU. La Corte europea tuttavia non intende esercitare il proprio controllo riguardo ad ogni e qualsiasi attività intrapresa da uno Stato in attuazione degli obblighi derivanti dalla sua appartenenza a una tale organizzazione. In proposito la Corte europea distingue tra i casi in cui gli Stati membri si limitando ad attuare atti dell’Unione e casi in cui gli stessi godono di un certo margine di discrezionalità. Per quanto riguarda i casi in cui manca ogni discrezionalità in capo agli Stati membri, la Corte europea considera che il suo intervento non è necessario. Infatti, secondo la sentenza, l’Unione tutela i diritti fondamentali in un modo che è almeno equivalente a quello della Convenzione. Si può dunque presumere che “a State has not diparte from the requirements of the Convention when it does no more than implement legal obligation flowing from its membership of the organization”. Si tratta però di una presunzione passibile di prova 50 Perché ad uno Stato membro possa essere contestata la violazione di un principio generale o la violazione di uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, è necessario che sussista un collegamento tra il comportamento dello Stato membro e il diritto dell’Unione. Occorre che lo Stato membro abbia agito per attuare una norma dei trattati o un atto delle istituzioni o almeno che il comportamento contestato venga assunto in un settore rientrante nell’ambito di applicazione dei trattati. I comportamenti degli Stati membri configgenti con i diritti dell’uomo, anche se privi di collegamento con il campo d’applicazione dei trattati, possono nondimeno essere oggetto della procedura di controllo e sanzione prevista dall’art. 7 Tue, in caso di rischio di violazione grave o di violazione grave e persistente dei valori di cui all’art. 2 tue, tra cui figura il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. L’obbligo di rispettare i principi generali del diritto e i diritti fondamentali vale per tutto il campo delle attività dell’Unione. 7 | Il diritto internazionale generale e gli accordi internazionali È ormai pacifico che l’Unione costituisce un soggetto di diritto internazionale autonomo rispetto agli Stati che ne sono membri: “l’Unione ha personalità giuridica” (TFUE). In quanto soggetto di diritto internazionale, l’Unione è tenuta a rispettare le norme di diritto internazionale generale. Un comportamento delle istituzioni assunto in violazione di una tale norma costituirebbe pertanto un illecito internazionale. Uno Stato terzo i cui interessi siano stati lesi dal comportamento dell’Unione potrebbe farne valere il carattere illecito ai fini previsti dall’ordinamento internazionale. Ad ogni modo le norme di diritto internazionale generale vincolano l’Unione soltanto nei confronti di soggetti terzi. Gli Stati membri non possono invece invocare tali principi nei loro rapporti reciproci, quando agiscono nel campo d’applicazione dei trattati. Le norme di diritto internazionale generale applicabili all’Unione fanno parte del suo ordinamento giuridico; ne consegue che “le competenze dell’Unione devono essere esercitate nel rispetto del diritto internazionale”. Le norme di diritto internazionale svolgono anzitutto una funzione ermeneutica analoga a quella dei principi generali del diritto e vanno utilizzate per l’interpretazione delle norme dell’Unione, comprese quelle dei trattati. Inoltre il diritto internazionale costituisce un parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. In questa duplice funzione, le norme di diritto internazionale generale possono essere invocate tanto dalle istituzioni e dagli Stati membri quanto dai soggetti degli ordinamenti interni, i quali possono avvalersene nelle azioni proposte dinanzi ai giudici degli Stati membri. Gli accordi internazionali con Stati terzi che vengono in rilievo rispetto all’ordinamento dell’Unione sono di tre tipi: accordi internazionali conclusi dagli Stati membri; conclusi dalla CE/Unione; conclusi dalla CE/Unione e dagli Stati membri (c.d. accordi misti). Gli accordi internazionali conclusi da Stati membri con Stati terzi assumono rilevanza soltanto nella misura in cui un accordo del genere, a determinate condizioni, può essere invocato dallo Stato membro contraente come causa di giustificazione per il mancato rispetto di obblighi derivanti dai trattati. Tale possibilità vale anzitutto per quanto riguarda gli accordi conclusi da uno Stato membro con uno Stato terzo prima della data in cui il TCE è entrato in vigore rispetto allo Stato membro in questione. Ciò risulta dal principio di diritto internazionale generale secondo cui il trattato concluso da due Stati non può essere servizi, Omega impugna il provvedimento di divieto dinanzi al competente tribunale amministrativo, giungendo fino all’organo supremo di giustizia amministrativa. Su rinvio pregiudiziale di quest’ultimo, la Corte constata che effettivamente i provvedimento comporta una limitazione alla libera prestazione di servizi ma si domanda se si tratti di una limitazione giustificata da motivi di ordine pubblico. La corte osserva che il provvedimento mira alla protezione di un valore fondamentale sancito dalla Costituzione nazionale, ossia la dignità umana. 51 emendato, né tantomeno abrogato per effetto della successiva conclusione di altro trattato tra due Stati, di cui uno soltanto sia parte anche del primo trattato. Riconoscendo l’esistenza di tale principio il TFUE contiene un’apposita clausola di compatibilità: “le disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra”. La clausola di compatibilità consente allo Stato membro interessato di sottrarsi agli obblighi derivanti dei trattati soltanto nella misura strettamente necessaria per permettergli di rispettare gli obblighi assunti nei confronti dello Stato terzo. Uno Stato membro non potrebbe invocare un accordo con uno Stato terzo per giustificare comportamenti che non sono imposti dall’accordo stesso.38 Inoltre la clausola di compatibilità incontra un limite nel rispetto dei diritti fondamentali. L’art. 351 potrebbe giustificare delle deroghe anche a norme di rango primario, ma non a “i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico comunitario, tra i quali quello della tutela dei diritti fondamentali, che include il controllo, ad opera del giudice comunitario, della legittimità degli atti comunitari quanto alla loro conformità a tali diritti fondamentali”: una soluzione particolare è stata delineata per quegli accordi con Stati terzi conclusi anteriormente alla data indicata nell’art. 351 da tutti gli Stati membri, che abbiano ad oggetto materie comprese nella competenza esclusiva dell’Unione. In casi del genere è stata ipotizzata una sorta di successione di questa nei diritti e negli obblighi che gli Stati membri contraenti traevano dagli accordi in questione. Pertanto in casi del genere, l’Unione non soltanto è tenuta a consentire agli Stati membri contraenti di continuare a rispettare l’accordo, ma è essa stessa tenuta a rispettarlo nell’esercizio della propria competenza. Quanto agli accordi conclusi dall’Unione con Stati terzi o con altre organizzazioni internazionali essi fanno senz’altro parte dell’ordinamento dell’Unione a partire dalla data della loro entrata in vigore. Molto diffusa è la prassi consistente nel concludere accordi misti a nome dell’Unione e dei suoi Stati membri, nella loro qualità di soggetti autonomi di diritto internazionale. La Corte considera che gli accordi misti hanno nell’ordinamento dell’Unione la stessa disciplina giuridica degli accordi conclusi senza la partecipazione degli Stati meri per quanto riguarda le disposizione che rientrano nella competenza della Comunità. In teoria invece non appartengono all’ordinamento dell’Unione quelle parti dell’accordo misto che hanno ad oggetto materie rientranti nella competenza dei soli Stati membri. Talvolta, all’atto della conclusione, l’Unione e gli Stati membri indicano, in un’apposita dichiarazione, le parti dell’accordo di competenza dell’una o degli altri. Tuttavia una tale dichiarazione avrebbe soltanto effetti nei confronti delle altre parti contraenti e non potrebbe certo modificare la ripartizione delle competenze come stabilita dai trattati. Va ricordato che la Corte si considera competente ad interpretare in via pregiudiziale le disposizioni di un accordo misto, senza distinguere tra quelle di competenza UE e quelle di competenza degli Stati membri. 38 Nella sent 15/01/2002 Gottardo, la sig.ra Gottardo invoca nei confronti dell’INPS le disposizioni di una convenzione italo-svizzera in materia di previdenza sociale che consentono ai lavoratori nazionali di entrambe le parti di totalizzare i periodi lavorativi compiuti nei due Stati ai fini della maturazione del diritto ad ottenere una pensione di vecchiaia. L’INPS respinge la domanda facendo notare che la sig.ra era divenuta cittadina francese in seguito al matrimonio. Il Tribunale di Roma, ritenuto che il rifiuto dell’INPS possa costituire una ipotesi di discriminazione sulla base della nazionalità, si rivolge alla Corte di giustizia, che risponde: “quanto uno Stato membro conclude con un paese terzo una convenzione internazionale bilaterale sulla previdenza sociale, il principio fondamentale della parità di trattamento impone a tale Stato membro di concedere ai cittadini degli altri Stai membri gli stessi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie alla detta convenzione, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del rifiuto”: 52 Quanto al valore giuridico degli accordi internazionali e al loro rango nel sistema delle fonti dell’ordinamento dell’Unione, occorre distinguere i rapporti di tali accordi con le fonti del diritto primario e assimilate, da un lato, e i rapporti con gli atti delle istituzioni, dall’altro. Per quanto riguarda i trattati, non c’è dubbio che gli accordi internazionali sono ad essi subordinati e devono rispettarli. In caso contrario, l’accordo internazionale o, più precisamente, l’atto delle istituzioni con cui è stata decisa la conclusione, è illegittimo e può essere annullato. Recentemente è stato chiarito che gli accordi internazionali sono subordinati ai principi generali, in particolare quelli che tutelano i diritti fondamentali. Per quanto riguarda i rapporti tra gli accordi internazionali e gli atti delle istituzioni, il TFUE stabilisce che “gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri”. Le istituzioni non possono quindi adottare atti che non rispettino un accordo concluso dall’Unione (tanto individualmente, quanto sotto forma di un accordo misto). In caso contrario l’atto configgente può essere annullato o essere dichiaro invalido. In generale pertanto gli accordi internazionali fungono da parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. Esistono però delle eccezioni. L’esempio più importante è dato dagli accordi allegati all’Accordo istitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC): la Corte considera che, a causa della loro natura flessibile, “gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie”. La Corte ammette tuttavia due eccezioni alla eccezione, in cui l’utilizzabilità degli accordi OMC come parametri di legittimità di atti comunitari viene ammessa: a) l’atto impugnato è stato adottato proprio per dare esecuzione agli obblighi derivanti da tali accordi; b) l’atto impugnato richiama espressamente specifiche disposizioni degli accordi. Un ulteriore caso di accordo internazione non utilizzabile come parametro di legittimità degli atti delle istituzioni è stato individuato nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Secondo la Corte, la convenzione “non stabilisce norme destinate ad applicarsi direttamente ed immediatamente ai singoli né a conferire a questi ultimi diritti o libertà che possano essere invocati nei confronti degli Stati, indipendentemente dal comportamento dello Stato di bandiera della nave” e che pertanto ”la natura e la struttura della convenzione di Montego Bay ostano a che la Corte possa valutare la validità di un atto comunitario alla luce di tale violazione”. 8 | I regolamenti “Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”. La caratteristica della portata generale indica che il regolamento pone norme di comportamento rivolte, non a soggetti predeterminati in funzione della situazione individuale di ciascuno di loro, ma alla generalità dei soggetti. Può anche darsi che il campo di applicazione sia talmente esiguo che si possa individuare a priori coloro ai quali il regolamento, una volta entrato in vigore, si applicherà. Non perciò potrà dirsi che il regolamento è privo di portata generale. Solo qualora il contenuto di un regolamento sia determinato in considerazione della situazione individuale in cui versa ciascuno dei soggetti ai quali il regolamento stesso sarà applicato, si dovrà parlare di un regolamento solo di nome. La seconda caratteristica è l’obbligatorietà integrale: il regolamento deve essere rispettato in tutti i suoi elementi. Questa norma si rivolge soprattutto agli Stati membri, esplicitando che essi non possono lasciare inapplicate talune disposizioni del regolamento, limitarne il campo d’applicazione dal punto di vista 55 10 | Le decisioni “La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi; se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi”. Esistono dunque le decisioni individuali, dotate di destinatari individuati nell’atto, che sono i soli soggetti alla sua portata obbligatoria; le decisioni generali, prive di destinatari individuati, che ha pertanto portata obbligatoria generale. La decisione individuale è obbligatoria in tutti i suoi elementi e deve quindi essere rispettata nella sua interezza. D’altra parte però non ha portata generale, vincolando i soli destinatari da essa designati. A differenza della direttiva la decisione può essere rivolta non solo a Stati membri, ma anche ad altri soggetti, compresi i singoli. Le decisioni individuali rivolte agli Stati membri sono nella sostanza simili alle direttive, qualora impongano un obbligo di facere. Tuttavia l’obbligo di facere imposto dalle decisioni è spesso molto più specifico dell’obbligo di attuare una direttiva e lascia dunque allo Stato membro un margine di discrezionalità molto più ristretto. Esistono anche decisioni che si limitano a prescrivere un obbligo di non facere. Le decisioni individuali rivolte ai singoli hanno natura spiccatamente amministrativa. I casi più importanti sono rappresentati dalle decisioni che la Commissione adotta nell’ambito della disciplina della concorrenza, che possono prevedere anche la comminazione di sanzioni pecuniarie a carico delle imprese. In questo ultimo caso “gli atti del Consiglio, della Commissione o della BCE che comportano, a carico di persone che non siano gli Stati, un obbligo pecuniario costituiscono titolo esecutivo”. Le decisioni generali hanno natura varia. Gli esempi più importanti sono costituite da alcune decisioni che il Consiglio europeo adotta nell’ambito delle procedure di revisione dei trattati, in particolare quelle che riguardano alcune procedure semplificate. Alcune decisioni generali sono prese dal Consiglio: es. quelle in cui constata l’esistenza di “un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art. 2”, oppure quelle con cui autorizza una cooperazione rafforzata.. 11 | Gli atti nel settore PESC Ai sensi dell’art. 35 TUE, gli atti giuridici attraverso i quali l’Unione conduce la PESC sono di due tipi: a) gli orientamenti generali; b) le decisioni. Gli orientamenti generali sono atti del Consiglio europeo, che si configurano come atti di altissima politica, che definiscono le linee guida su cui l’Unione deve muoversi nel settore PESC, “comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa”. Le decisioni sono invece atti del Consiglio. Esse possono assumere vari contenuti, potendo definire “i) le azioni che l’Unione deve intraprendere; ii) le posizioni che l’Unione deve assumere; iii) le modalità di attuazione delle decisioni di cui ai punti i) e ii)”. Le decisioni PESC possono quindi essere adottate quando una situazione internazionale richieda l’intervento operativo dell’Unione, definendone gli obiettivi, la portata e i mezzi di cui l’Unione deve disporre, ovvero quando occorra definire la posizione dell’Unione su una questione particolare di natura geografica o tematica. Gli atti che possono essere adottati nell’ambito PESC non hanno mai carattere legislativo. Le decisioni però vincolano gli Stati membri. Si ricordi che ai sensi dell’art. 24, par. 3 TUE “gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell’Unione, in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca e rispettano l’azione dell’Unione in questo settore”.43 43 Vedi sent. Gestoras pro amistia sulla natura e sulle caratteristiche delle posizioni comuni, pag. 77 56 12 | L’adattamento dell’ordinamento italiano al diritto dell’Unione europea. Introduzione I rapporti tra ordinamento italiano e l’ordinamento dell’UE sono stati impostati inizialmente in base al principio della separazione degli ordinamenti, secondo un approccio tradizionalmente dualistico.44 La stessa dinamica dell’integrazione europea ha reso evidente che l’ordinamento nazionale non poteva essere considerato totalmente distinto da quello comunitario: si pensi al potere delle istituzioni dell’UE di emanare disposizioni vincolanti per gli Stati membri nonché le sentenze della Corte di giustizia che attribuivano una efficacia diretta a molte disposizioni contenute nei trattati istitutivi. Costituzione italiana e ordinamento europeo Ai trattati istitutivi delle tre Comunità è stata data esecuzione in Italia mediante ordine di esecuzione contenuto in una legge ordinaria, con la conseguenza di attribuire lo stesso rango a tutto il diritto dell’Unione europea così introdotto nel nostro ordinamento. Questo ha determinato che norme di diritto europeo derivato ma anche le norme dei trattati istitutivi potessero prevalere solo su norme di rango inferiore o su leggi ordinarie anteriori ma avrebbero dovuto cedere il passo non solo di fronte a norme interne costituzionali ma anche a leggi ordinarie successive e con esse contrastanti. Mentre una parte della dottrina riteneva necessario che si procedesse con legge costituzionale a dare esecuzione ai trattati istitutivi delle Comunità europee, la dottrina prevalente invece era del parere che sarebbe stata sufficiente una legge ordinaria, a condizione di reperire nella Costituzione una norma che potesse dare copertura costituzionale alla legge di ratifica e di esecuzione dei trattati. Tale fondamento costituzionale è stato individuato nell’articolo 11 della Costituzione. Le limitazioni di sovranità previste dall’art. 11 della Costituzione L’art. 11 Cost. recita “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Benché il costituente avesse in mente l’Organizzazione delle nazioni Unite, la Corte costituzionale ha ritenuto che, con il riferimento alle limitazioni di sovranità, la norma si prestava ad essere invocata anche per consentire le forti limitazioni di competenza introdotte dai trattati istitutivi. La stessa Corte costituzionale, sin dalla sua prima pronuncia, ha invocato l’art. 11 come fondamento costituzionale dell’adesione alle Comunità europee. Il suo primo intervento si ebbe nel 1964 con il caso Costa c. Enel: nella parte che qui interessa, la sentenza stabilì che “è consentito stipulare trattati con cui si assumono limitazioni di sovranità ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria”. L’art. 11 ha costituito per lungo tempo l’unico ancoraggio costituzionale della partecipazione italiana all’integrazione europea, a differenza di altri Stati membri che hanno invece provveduto ad operare modifiche delle loro carte costituzionali. 44 Nel diritto internazionale l’approccio dualistico si fonda sul principio di netta separazione dell’ordinamento giuridico nazionale rispetto a quello internazionale, cosicché non si può determinare alcuna forma di gerarchia tra le norme interne e le norme internazionali. I due ordinamenti differiscono per i soggetti (avendo il solo diritto interno carattere interindividuale e il diritto internazionale carattere interstatale) e per le fonti (nel diritto interno principalmente le leggi del Parlamento e nel diritto internazionale l’accordo e la consuetudine). 57 Norme di diritto dell’Unione europea e norme statali di pari rango: orientamenti giurisprudenziali La Corte si occupò per la prima volta dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto interno nel 1964 nella sent. Costa c. ENEL. In quell’occasione aveva affermato che le norme comunitarie erano da porre sul medesimo piano della legge ordinaria, dal momento che i trattati istitutivi erano stati recepiti con legge ordinaria. Il criterio adottato per la risoluzione delle antinomine fra norme configgenti era quello cronologico (lex posterior derogat priori). In senso nettamente contrario si pronunciava la Corte di giustizia, la quale, nella stessa controversia, coglieva l’occasione per affermare il principio della superiorità della norma europea sulla norma interna posteriore con essa incompatibile. Una importante evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale si è avuta nel 1973 con la sent. Frontini. In quell’occasione la stessa Corte riconosceva il principio del primato del diritto dell’Unione europea sul diritto interno, ricorrendo all’interpretazione estensiva dell’espressione “limitazioni di sovranità” nell’art. 11 Cost.: la norma di diritto dell’UE veniva immessa nel nostro ordinamento non semplicemente mediante ordine di esecuzione, ma mediante l’art. 11 Cost. che autorizzava limitazioni di sovranità derivanti dall’adesione dell’Italia a ordinamenti che perseguono scopi di pace. Il diritto dell’Unione, assunto per il tramite dell’art. 11. Cost. di rango costituzionale, avrebbe prevalso su qualsiasi norma interna di rango ordinario, precedente o successiva e con esso contrastante. Nella stessa sent. Si prendeva anche in considerazione gli effetti del principio della diretta applicabilità dei regolamenti affermando l’illegittimità di atti statali “a carattere riproduttivo, integrativo o esecutivo” degli stessi regolamenti. Tale principio venne ribadito nel 1975 con la sent. Industrie Chimiche Italia Centrale S.p.A. c. Ministero del commercio con l’estero. In quell’occasione la Corte affermava che il contrasto fra un regolamento e una successiva legge dello stato deve essere risolto a favore del regolamento, mediante dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge interna. Tuttavia nella stessa sentenza la Corte aveva escluso che il giudice italiano potesse autonomamente disapplicare le norme interne successive incompatibili con i regolamenti comunitari, affermando che, affinché potesse essere disapplicata, la norma nazionale doveva essere abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima dall’organo costituzionale competente. Questo orientamento presentava il difetto di condizionare l’applicabilità del regolamento ad un atto interno dello Stato, cosa esclusa dall’art. 189 del Trattato di Roma (oggi 288 TFUE). Il contrasto con la Corte di giustizia riemerse dunque nel 1978 nella causa Simmenthal: la Corte di giustizia sottolineava la necessità di un controllo diffuso nel quale spettasse a ciascun giudice nazionale, in sede di applicazione delle norme europee, garantire la piena efficacia delle stesse, disapplicando la norma interna contrastante senza la necessità di sollecitare l’intervento caducatorio della Consulta. Il conflitto è stato superato soltanto con la sentenza del 1984 Granital c. Ministero delle finanze. I principali passaggi della sentenza possono essere così sintetizzati: - l’ordinamento dell’UE e quello nazionale vanno configurati come autonomi e distinti ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenze stabilita dal trattato; da questo assunto discende la prevalenza del regolamento nei confronti della legge nazionale; - il regolamento opera per forza propria con la caratteristica di immediatezza; - al giudice spetta il potere di accertare se la normativa europea regola il caso sottoposto al suo esame ed in tale ipotesi applicarla; - poiché il regolamento fissa la disciplina applicabile, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare la norma nazionale incompatibile; - la norma nazionale non risulta quindi abrogata (estinta o derogata) data la distinzione fra i due ordinamenti; 60 - trasmetta alle Camere i progetti di atti comunitari e dell’unione europea. Su questi argomenti gli organi parlamentari possono formulare osservazioni e adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo. - Assicuri alle Camere un’informazione qualificata e tempestiva sui progetti e sugli atti trasmessi, curandone il costante aggiornamento; - Prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, riferisca alle Camere, illustrando la posizione che intende assumere; - Riferisca semestralmente alle Camere illustrando i temi di maggiore interesse decisi o in discussione in ambito europeo e informi i competenti organi parlamentari sulle risultanze delle riunioni del Consiglio dei Ministri dell’Unione europea e del Consiglio europeo, entro 15 giorni dallo svolgimento delle stesse. Gli artt. 4 e 5 della legge Buttiglione prevedono la possibilità di apporre la c.d. riserva di esame: secondo quanto previsto dai citati artt. Il Governo, a seguito di una richiesta del Parlamento o della Conferenza Stato-Regioni, può apporre, in sede di Consiglio dei Ministri dell’Unione europea, una riserva di esame sul testo o su una o più parti di esso. In tale ipotesi il Governo sospende la propria votazione nell’ambito dell’istituzione europea per un periodo massimo di 20 giorni, in attesa della pronuncia dell’organo che ha richiesto l’apposizione della riserva; decorso tale termine l’esecutivo può comunque procedere alle attività dirette alla formazione dei relativi atti dell’Unione europea.45 La fase discendente del diritto dell’Unione europea I regolamenti. Quando un regolamento impone una disciplina precisa e completa, che non necessita di alcun provvedimento nazionale di integrazione (si badi: non di esecuzione) esso può pienamente esplicare i suoi effetti nell’ordinamento interno degli Stati membri. Ciò non esclude che vi possano essere dei regolamenti che necessitano dell’emanazione di atti nazionali per poter dispiegare pienamente i loro effetti e avere attuazione concreta (è il caso, ad es., di regolamenti che prevedono l’applicazione di sanzioni penali nell’ipotesi della loro inosservanza; non potendo la Comunità fissare direttamente sanzioni di tipo penale spetta ai singoli Stati membri procedere all’approvazione delle pertinenti disposizioni). Le decisioni. La decisione è un atto obbligatorio in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Tuttavia per quanto concerne l’efficacia diretta bisogna distinguere tra decisioni rivolte ai singoli e decisioni indirizzate agli Stati membri. In quest’ultimo caso solo quando l’obbligo è chiaro e preciso esso può essere fatto valere direttamente dai privati di fronte ai giudici nazionali. In caso contrario necessita di disposizioni di attuazione. Per le decisioni rivolte alle persone fisiche e giuridiche, invece, il problema dell’efficacia non si pone. La L. 11/2005 impone al Ministro per le politiche europee l’obbligo di riferire al Consiglio dei Ministri la notificazione di decisioni destinate alla Repubblica italiana che rivestono una particolare importanza per gli interessi nazionali o che comportano rilevanti oneri di esecuzione. Il Consiglio dei ministri, eventualmente integrato con la presenza di un Presidente di Regione o di provincia autonoma, 45 Accanto al Parlamento e alle Regioni la L. 11/2005 ha incluso tra i soggetti cui compete l’esame degli atti dell’Unione europea in preparazione anche gli enti locali e le parti sociali. Qualora i progetti e gli atti riguardino questioni di particolare rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali, essi sono trasmessi alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali e, per il tramite di quest’ultima, alle associazioni rappresentative degli enti locali, affinché esprimano eventuali osservazioni sul testo. Una procedura simile è prevista anche per il coinvolgimento delle parti sociali. I documenti preparatori degli atti di diritto dell’UE riguardanti materie di particolare interesse economico e sociale sono trasmessi al CNEL, che può far pervenire alle Camere e al Governo le valutazioni e i contributi che ritiene opportuni. 61 esamina il testo e può: a) deliberare l’eventuale impugnazione della decisione; b) emanare le direttive opportune per l’esecuzione della decisione. Le direttive. Per l’esecuzione delle direttive in passato si tendeva ad utilizzare lo strumento dell’attuazione diretta o della delega legislativa al Governo. La lentezza del procedimento generava un estremo ritardo nel recepimento delle direttive che spesso portava ad una sentenza di condanna per inadempimento da parte della Corte di giustizia. il primo tentativo per la razionalizzazione delle procedure di adeguamento è stato compiuto nel 1987 con la legge Fabbri che favoriva il più possibile il recepimento delle direttive in via regolamentare o amministrativa. Proseguendo su questa linea, nel 1989 è stata approvata la legge La Pergola che regolava per la prima volta in modo compiuto il processo di adeguamento dell’ordinamento italiano alle disposizioni comunitarie, introducendo lo strumento della legge comunitaria. La legge La Pergola è stata abrogata dalla L. 11/2005 nota come legge Buttiglione, che ha però conservato lo strumento della legge comunitaria. La legge comunitaria è la legge annuale con la quale si provvede alla ricognizione degli atti comunitari da recepire nell’ordinamento interno e si procede alla definizione delle opportune procedure per l’adattamento dell’ordinamento nazionale. La legge impone al Governo di presentare annualmente alle Camere un disegno di legge in grado di disciplinare le modalità di attuazione della normativa europea nell’ordinamento italiano. Con la legge comunitaria si provvede soprattutto a dare attuazione alla direttive, ma è previsto l’inserimento anche di altre disposizioni: a) disposizioni modificative o abrogative di leggi statali in contrasto con atti europei. Si tratta della c.d. normazione diretta, con la quale la stessa legge comunitaria provvede all’adeguamento dell’ordinamento. b) disposizioni modificative o abrogative di leggi statali vigenti oggetto di procedure di infrazione avviate dalla Commissione nei confronti dell’Italia; c) delega legislativa al Governo per dare attuazione ad atti di diritto dell’UE; d) delega per attuare in via regolamentare le direttive, in materie disciplinate dalla legge ma non coperte da riserva assoluta di legge; e) disposizioni per dare attuazione ai trattati internazionali conclusi dall’Unione europea nel quadro delle relazioni internazionali; f) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le Regioni possono procedere all’attuazione degli atti comunitari nelle materie concorrenti; g) delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali nelle materie di competenza legislativa residuale delle Regioni.46 h) disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo del Governo. Secondo una significativa giurisprudenza, un’altra fonte normativa direttamente applicabile sarebbe rappresentata dalle pronunce emesse dalla Corte di giustizia. La L. 11/2005 afferma che lo Stato italiano garantisce l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea che conseguono, tra l’altro, all’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario. Nel 1989 la Corte costituzionale riconosceva che “non v’è 46 L’art. 117 Cost. attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dell’ordinamento civile e penale, ragion per cui, laddove un atto dell’UE che deve essere attuato dalle Regioni preveda anche la predisposizione di sanzioni penali, dovrò essere il Governo ad integrare il provvedimento regionale di attuazione con l’approvazione di un apposito decreto legislativo che disciplini l’applicazione di sanzioni penali. 62 dubbio che la precisazione o l’integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di Giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate”. La L. 11/2005 contiene comunque una disposizione che consente di adottare misure urgenti per il recepimento di provvedimenti dell’UE laddove non sia stata ancora approvata la legge comunitaria di riferimento; si tratta di uno strumento aggiuntivo rispetto alla legge comunitaria che consente di dare maggiore flessibilità alla fase di attuazione del diritto comunitario. Qualora vi siano atti normativi e sentenze degli organi giurisdizionali europei che comportino obblighi di adeguamento immediati e non procrastinabili, e la loro scadenza cade prima del termine previsto per l’approvazione della legge comunitaria, il Consiglio dei Ministri può adottare i provvedimenti necessari a dare esecuzione a tali atti. È poi prevista una procedura semplificata per il recepimenti di atti che apportano solo modifiche tecniche ad atti cui già è stata data esecuzione nel nostro ordinamento. 14 | Le Regioni e l’attuazione del diritto dell’Unione Le limitazioni di sovranità imposte dall’ordinamento europeo Ratificando i trattati istitutivi delle Comunità europee, le limitazioni a cui ha acconsentito lo Stato si impongono in modo parallelo anche alle Regioni nelle materie di loro competenza. In presenza di atti adottati in materie che sul piano interno sono di competenza regionale, nasce il problema di individuare l’organo competente a dare attuazione alle disposizioni di diritto dell’UE. La Corte di Giustizia attribuisce soltanto allo Stato la responsabilità per eventuali violazioni del diritto comunitario. Gli aspetti controversi stanno nella circostanza per cui: a) se il potere di dare attuazione alle disposizione europee non fosse attribuito alle Regioni, si assisterebbe ad una ulteriore limitazione delle loro competenze, condizionate sia dalla normativa europea che da quella statale di attuazione; b) attribuendo tale potere alle Regioni, un’eventuale violazioni delle diposizioni europee sarebbe comunque imputabile allo Stato, che si troverebbe sprovvisto di strumenti per imporre il rispetto degli obblighi europei. L’attuazione in via legislativa degli atti dell’Unione: le Regioni come legislatore La facoltà delle Regioni di dare attuazione agli atti dell’Unione europea è stata a lungo contrastata dal legislatore statale, che nei primi anni di operatività delle Regioni ha di fatto precluso loro ogni possibile azione in questo campo. Il sistema delle relazioni tra l’Italia e l’UE e, in particolare, la partecipazione delle Regioni all’attività normativa comunitaria, ha trovato una compiuta disciplina a livello costituzionale con l’approvazione della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Il comma 1 del nuovo art. 117 Cost. prevede una clausola generale di compatibilità della legislazione (nazionale e regionale) con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario; il comma 2 attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la disciplina dei rapporti con l’UE, mentre per il successivo comma 3, rientra nella potestà legislativa concorrente la disciplina dei rapporti tra le Regioni e l’UE. La disposizione più innovativa è rappresentata dal comma 5 che così recita: “le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’UE, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Sfato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza”. La norma costituzionalizza i tre principi che disciplinano il ruolo delle Regioni nella formazione e nell’attuazione del diritto derivato dell’UE, mediante la previsione di una partecipazione delle Regioni alle fasi c.d. ascendenti e discendenti del diritto dell’UE, nonché con la previsione della formazione di una legge 65 facoltà per le Regioni o le Province autonome di richiedere l’azione del Governo avverso atti considerati illegittimi, disciplinando in tal modo un istituto processuale per interposta persona. La richiesta può essere rivolta: - dalla singola Regione o da più Regioni. In questo caso l’esecutivo nazionale non è nemmeno tenuto a motivare l’eventuale rifiuto ad agire; - alla Conferenza Stato-Regioni con una votazione adottata a maggioranza assoluta. In quest’ipotesi il Governo è tenuto a presentare il ricorso, senza margine di discrezionalità. 66 Il diritto dell’Unione europea e soggetti degli ordinamenti interni 1 | Considerazioni generali Le norme facenti parte dell’ordinamento dell’Unione presentano due dimensioni distinte: una dimensione internazionale e una dimensione interna. Di tipo internazionalistico sono i rapporti giuridici che il diritto dell’Unione fa sorgere in capo agli Stati membri e all’Unione stessa. Nell’ambito di tali rapporti, lo Stato membro interessato si presenta in maniera unitaria, analogamente a quanto avviene nell’ordinamento internazionale. Appartengono ad una dimensione interna all’ordinamento di ciascuno Stato membro, i rapporti giuridici interessati dal diritto dell’Unione che coinvolgono soggetti di tali ordinamenti. Talvolta, si tratta di rapporti che vedono contrapposti un soggetto privato ad un altro (rapporti orizzontali), più spesso, essi sorgono tra un privato e un soggetto pubblico (rapporti verticali). Il diritto dell’Unione può intervenire su tali rapporti con intensità variabile. In primo luogo, può darsi che il diritto dell’Unione fornisca, in tutto o in parte, la disciplina di tali rapporti. Ciò avviene, in particolare, nel campo d’applicazione dei regolamenti, che essendo applicabili, costituiscono una fonte che assume valore normativo all’interno degli ordinamenti nazionali sostituendosi alle eventuali norme interne preesistenti (effetto di sostituzione). Un siffatto effetto può derivare anche da altre fonti di diritto dell’Unione, comprese le norme dei trattati. In secondo luogo il diritto dell’Unione può interessare la disciplina di un rapporto giuridico dettando principi generali o anche regole particolari che si limitano ad impedire l’applicazione di norme interne ad esse contrarie(effetto di opposizione). In casi del genere la disciplina del rapporto resta soggetta al diritto interno, dal quale vengono espunte soltanto le norme incompatibili con il diritto dell’Unione. Tanto nel caso di effetto di sostituzione, quanto nel caso di effetto di opposizione si suole dire che la norma comunitaria produce effetti diretti ovvero gode di efficacia diretta negli ordinamenti interni. L’efficacia diretta di una norma dell’Unione implica che il soggetto nei cui confronti la norma produce effetti favorevoli può pretenderne il rispetto da parte dell’altro soggetto del rapporto (efficacia diretta in senso sostanziale). In caso di mancato rispetto, l’efficacia diretta comporta anche l’invocabilità in giudizio: i soggetti favoriti dalla norma dell’Unione possono chiedere al giudice nazionale l’applicazione in giudizio della norma stessa, ottenendone la corrispondente tutela giurisdizionale. Occorre rilevare che, soprattutto in passato, la Corte usava indistintamente i termini efficacia diretta e applicabilità diretta. In realtà, l’applicabilità diretta in senso stretto (nel senso di non necessità di misure di attuazione da parte degli Stati membri) è riservata dall’art. 288 TFUE ai soli regolamenti. L’efficacia diretta è invece una caratteristica che può essere presente anche in altre fonti del diritto dell’Unione, comprese le direttive e le decisioni. Ad ogni modo, non sempre le norme dell’Unione presentano le caratteristiche necessarie per produrre effetti diretti. L’efficacia diretta non costituisce poi l’unica forma attraverso cui le norme dell’Unione assumono rilevanza normativa: la giurisprudenza ha individuato almeno due forme di efficacia indiretta. La prima si concreta nell’obbligo per i giudici nazionali di operare una interpretazione conforme al diritto dell’Unione, capace di ovviare a situazioni di apparente (ma non inevitabile) conflitto tra norme interne e norme dell’Unione. La seconda consiste nel riconoscere che la mancata attuazione di una norma dell’Unione anche se non direttamente efficace fa sorgere, in capo a colo che sono stati danneggiati dalla mancata attuazione, il diritto al risarcimento del danno a carico dello Stato membro responsabile. 67 2 | I presupposti dell’efficacia diretta Non essendo l’efficacia diretta una caratteristica propria di ogni norma dell’Unione, il giudice nazionale, qualora intenda trarre da una norma effetti diretti al fine di risolvere una controversia, ha l’onere di verificare d’ufficio se la norma presenti le caratteristiche necessarie, avvalendosi, se del caso, del rinvio pregiudiziale. Nell’indagine volta a stabilire se una norma dell’Unione abbia o meno efficacia diretta, la Corte mira ad individuare nella norma in questione alcune caratteristiche sostanziali che la rendono suscettibile di essere applicata dal giudice, senza che questo debba sostituirsi al legislatore. Le caratteristiche richieste dalla Corte sono espresse con formule variabili ma ruotano sempre intorno al concetto di sufficiente precisione e incondizionatezza della norma. Il presupposto della sufficiente precisione ha riguardo alla formulazione della norma: considerata alla luce del suo scopo e del contesto in cui si inserisce, la norma deve contenere un precetto sufficientemente definito perché i soggetti destinatari possano comprenderne la portata e il giudice possa applicarlo nei giudizi di propria competenza. Esso richiede che la norma comunitaria specifiche almeno tre aspetti:47 a) il titolare dell’obbligo; b) il titolare del diritto; c) il contenuto del diritto-obbligo creato dalla norma stessa. Può accadere che una stessa norma dell’Unione sia considerata sufficientemente precisa per determinati fini e non per altri. In altri termini, la diretta efficacia si determina anche in funzione del contenuto che si intende azionare.48 Il presupposto della incondizionatezza attiene all’assenza di clausole che subordinino l’applicazione della norma ad ulteriori interventi normativi da parte degli Stati membri o delle istituzioni dell’Unione, ovvero consentano agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nell’applicazione. L’esistenza di norme che consentono agli Stati membri di derogare all’applicazione di un’altra norma per determinati motivi non esclude di per sé l’efficacia diretta di quest’ultima. Si tenga infine conto che, ai fini della verifica dell’efficacia diretta, la destinatarietà formale della norma non ha alcun rilievo. In particolare la circostanza che la norma si rivolta agli Stati membri o alle istituzioni non comporta necessariamente che sia priva di efficacia diretta. In linea di massima, i presupposti dell’efficacia diretta sono gli stessi qualunque sia il tipo di norma dell’Unione rispetto alla quale il problema si pone. Nondimeno, le caratteristiche proprie di ciascuna fonte portano ad alcune differenze di approccio. Per quanto riguarda le disposizioni dei trattati, va rilevato che 47 Questo tipo di test è utilizzato quando i soggetti interessati chiedono al giudice la tutela giurisdizionale di un diritto sostanziale che la norma dell’Unione intende loro attribuire. Il test è invece più generico e meno esigente quando la norma sia rivolta ad imporre agli Stati membri determinati adempimenti procedurali e viene invocata da un soggetto soltanto per opporsi all’applicazione del provvedimento di uno Stato membro adottato senza il rispetto della prescritta procedura. 48 Ad es., una dir. Del Consiglio in materia di parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici, impone agli Stati membri di adottare nel loro ordinamento giuridico interno i provvedimenti necessari per consentire a chiunque si consideri leso da una discriminazione di far valere i propri diritti per via giudiziaria. Tale norma è stata considerata direttamente efficace nella sent. 15/05/1986 Johnston, dove veniva invocata per consentire a una donna membro della polizia nord-irlandese di contestare in giudizio un provvedimento discriminatorio, riguardo al quale l’ordinamento interno escludeva ogni possibilità di judicial review. La stessa norma non è stata giudicata direttamente efficace nella sent. 10/04/1984 causa von Colson dove veniva invocata da una donna esclusa dalla selezione per un posto di direttore di stabilimento penitenziario per ragioni legate al suo sesso, a sostegno di una domanda tendente ad ottenere l’assunzione negata. La Corte riconosce, infatti, che gli Stati membri hanno la possibilità di scegliere il tipo di rimedio da assicurare in casi del genere e possono optare per l’imposizione al soggetto responsabile della discriminazione di un obbligo di risarcimento. 70 Il rifiuto di riconoscere l’efficacia diretta orizzontale di una direttiva inattuata è oggetto di molte critiche da parte della dottrina. In realtà la giurisprudenza della Corte, postulando che una stessa norma di direttiva possa o non possa produrre effetti diretti a seconda del contesto in cui viene invocata, nega che l’efficacia diretta sia una qualità obiettiva della norma stessa ma le attribuisce un carattere variabile legato, per di più, a fattore casuali. Ad es. una direttiva in materia di lavoro potrebbe essere considerata, a parità di tutte le altre circostanze, direttamente efficace o meno a seconda che sia invocata da un dipendente pubblico o da un dipendente privato. La Corte, cosciente delle difficoltà che la sua giurisprudenza in materia solleva, cerca di limitare i casi in cui essa trova applicazione, per es., intendendo in maniera molto ampia la categoria dei soggetti pubblici nei cui confronti una direttiva inattuata può avere effetti diretti. La Corte ha poi ammesso delle eccezioni al principio giurisprudenziale che nega l’efficacia diretta orizzontale di una direttiva. Una prima eccezione riguarda situazioni che si potrebbero definire rapporti triangolari. Questi sono rapporti in cui un privato invoca l’applicazione di una direttiva inattuata nei confronti di un organo pubblico, a titolo principale, ma anche nei confronti di altri soggetti privati, la cui posizione verrebbe compromessa dall’applicazione della direttiva (contro interessati).53 Una seconda eccezione alla regola della mancanza di effetti diretti orizzontali riguarda un particolare tipo di direttive: quelle che sottopongono le misure degli stati membri ad una procedura di controllo. Tali direttive, in effetti, non sono dirette ad attribuire diritti a soggetti privati o a definire la disciplina delle loro relazioni contrattuali, ma riguardano adempimenti prescritti a carico dei soli Stati membri. In questi casi, la direttiva inattuata non influisce sulla disciplina dei rapporti interprivati, se non indirettamente, nel senso di precludere l’applicazione di una normativa o di un provvedimento emanato in violazione delle procedure di controllo. Una terza eccezione è stata prospettata (ma non accettata finora dalla Corte) per i casi di successione di norme interne, di cui la più recente, a differenza della più antica, sia incompatibile con una direttiva. Si è sostenuto che in casi del genere la direttiva non comporterebbe di per sé effetti negativi a carico di privati, dal momento che essa si limiterebbe ad impedire l’applicazione della disposizione interna più recente; sarebbe invece lo stesso ordinamento interno, attraverso la norma più antica tornata in vigore, che produrrebbe effetti del genere. La tesi è stata respinta dalla Corte nella sent. Berlusconi. Occorre tuttavia sottolineare che la sentenza è stata resa con riferimento a casi in cui il riconoscimento di effetti diretti (seppure di tipo puramente oppositivo) avrebbe comportato un aggravamento della responsabilità penale degli imputati. Non è escluso che, in un contesto che non coinvolga conseguenze di tipo penale, la Corte possa accogliere la tesi sopra descritta. Raramente la Corte è stata chiamata pronunciarsi sull’efficacia diretta delle decisioni. I dubbi riguardano soprattutto le decisioni cha hanno gli Stati membri come destinatari. Nella sent. 6/10/70 Grad, la Corte, occupandosi di una decisione del Consiglio rivolta agli Stati membri, ha riconosciuto la possibilità che aveva rilevato il servizio pubblico di distribuzione del gas e lo gestiva in regime di monopolio. La Corte ha concluso che la direttiva può essere fatta valere nei confronti della British Gas, osservando che si tratta di un organismo “incaricato, con atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone, a questo scopo, di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra i singoli”. 53 Nella sent. 22/06/89 Fratelli Costanzo, in violazione di una direttiva in materia di appalti di lavori pubblici, la normativa italiana continuava prevedere l’esclusione automatica dalle gare delle offerte che risultassero anormalmente basse. Applicando la normativa italiana, il Comune di Milano aveva escluso l’offerta dell’impresa Costanzo. La pretesa dell’impresa Costanzo che la propria offerta non venga esclusa dalla gara d’appalto, avrebbe dovuto portare alla riapertura della gara. Con eventuale rischio di perdita dell’aggiudicazione da parte dell’impresa cui l’appalto era stato originariamente assegnato. Secondo la Corte in casi del genere non può dirsi chela direttiva imponga degli obblighi ai privati contro interessati ma si tratterebbe soltanto di mere ripercussioni negative. 71 che tale decisione possa essere invocata non soltanto dalle istituzioni dell’Unione, ma anche da qualsiasi soggetto interessato al suo adempimento. La Corte non ha però mai avuto occasione di precisare se le decisioni inadempiute possono avere efficacia diretta anche orizzontale ovvero se anche a questi atti si applicano le stesse limitazioni individuate a proposito delle direttive. Essendo l’efficacia diretta delle decisioni una conseguenza del loro carattere obbligatorio nei confronti degli Stati membri cui sono rivolte, dovrebbe arguirsi che anche le decisioni sono prive di efficacia orizzontale. A qualche incertezza può dar luogo tuttavia la giurisprudenza relativa alle decisioni in materia di aiuti statali alle imprese. Molto spesso, tali decisioni prescrivono allo Stato membro destinatario l’obbligo di pretendere dalle imprese beneficiarie la restituzione degli aiuti già erogati. L’obbligo di restituzione è collegato all’art. 108, par. 3, TFUE, dal quale si evince il divieto di erogare aiuti non previamente autorizzati dalla Commissione. In situazioni del genere, lo Stato membro interessato può opporre alle imprese l’obbligo di recupero derivante dalla decisione, creando apparentemente una situazione di effetto verticale c.d. inverso, visto che le imprese ricavano uno svantaggio dalla decisione rivolta allo Stato. A ben vedere, tuttavia, l’effetto sfavorevole per le imprese non deriva dalla decisione in quanto tale, ma dai provvedimenti di attuazione che lo Stato membro è tenuto ad assumere. Per quanto riguarda gli atti delle istituzioni emanati nell’ambito di quello che, prima del Trattato di Lisbona, veniva considerato il III pilastro (Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale), si ricordi che l’art. 34, par.3, TUE escludeva espressamente che le decisioni quadro e le decisioni avessero efficacia diretta. Verosimilmente nemmeno gli atti appartenenti alle categorie di cui all’art. 34 TUE o gli atti PESC erano idonei a produrre effetti diretti. Anche dopo il Trattato di Lisbona gli effetti giuridici degli atti adottati dalle istituzioni ai sensi del TUE; cioè dei pilastri non comunitari “sono mantenuti finché tali atti non saranno abrogati, annullati o modificati in applicazione dei trattati”. È verosimile pensare che con la tale formula si sia inteso preservare anche la mancanza di effetti diretti di cui parlava l’art. 34 a proposito delle decisioni quadro e delle decisioni. 4 | L’obbligo di interpretazione conforme L’individuazione di forme di efficacia indiretta del diritto dell’Unione è stata valorizzata in particolare rispetto alle direttive, considerati i limiti temporali e soggettivi degli effetti diretti che tali atti possono conseguire. La prima forma di efficacia indiretta consiste nell’obbligo di interpretazione conforme: quando sono chiamati ad applicare norme interne, gli operatori giuridici e i giudici sono tenuti ad interpretarle, ove possibile, in conformità con il diritto dell’Unione, anche se questo non è direttamente efficace. Tale obbligo si ricollega all’obbligo di leale collaborazione, di cui costituisce un’applicazione specifica. In quanto organi dello Stato membro, i giudici sono tenuti a fare il possibile perché il risultato voluto dalla direttiva sia raggiunto. La differenza tra diretta efficacia e interpretazione conforme risiede nel fatto che, mentre nel primo caso il giudice disapplica la norma interna configgente con la norma dell’Unione, nel secondo egli applica pur sempre la norma interna ma interpretandola in modo aderente a quella dell’Unione. L’obbligo di interpretazione conforme è stato affermato anzitutto quando il giudice nazionale si trova a dover interpretare e applicare le disposizioni che uno Stato membro ha specificamente adottato per attuare una direttiva. In casi del genere, deve presumersi che lo Stato membro abbia avuto l’intenzione di adempiere pienamente agli obblighi derivanti dalla direttiva. Successivamente, l’obbligo di interpretazione conforme è stato esteso anche a disposizioni nazionali più antiche rispetto alla direttiva e pertanto prive di qualunque legame funzionale con la direttiva stessa. Da ultimo, la Corte ha chiarito che l’obbligo in questione riguarda tutto il diritto nazionale, senza distinzioni. 72 Come si ricava dalla giurisprudenza, l’obbligo di interpretazione conforme non è incondizionato ma incontra alcuni limiti. In primo luogo, l’obbligo resta subordinato all’esistenza di un margine di discrezionalità che consenta all’interprete di scegliere tra più interpretazioni possibili della norma interna. In altre parole, l’obbligo di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. La sent. 4/07/06 Adeneler è importante perché fornisce l’occasione alla Corte di precisare un secondo limite, di carattere temporale, all’obbligo di interpretazione conforme: l’obbligo non sorge prima della scadenza del termine di attuazione della direttiva in questione.54 La Corte afferma poi che, nell’adempiere al proprio obbligo di interpretazione conforme, il giudice deve osservare i principi generali del diritto: in altri termini, l’interpretazione conforme non può condurre a risultati normativi con si pongano in conflitti con i principi generali. Tra i principi generali rilevanti in questo contesto, la Corte menzione quello della certezza del diritto e dell’irretroattività. Tali principi trovano in particolare applicazione nel campo penale e si oppongono a che l’interpretazione conforme porti ad un aggravamento della responsabilità penale degli individui, creando nuove ipotesi di reato o estendendo il campo d’applicazione di quelle già previste dall’ordinamento interno. La più volte richiamata distinzione tra obbligo di interpretazione conforme ed efficacia diretta è risultata ulteriormente valorizzata dalla sent. 16/06/05 Pupino. La Corte ha affermato che tale obbligo sussiste anche riguardo alle decisioni quadro adottate nell’ambito dell’allora III pilastro.55 54 Il sig. Adeneler e diversi suoi colleghi erano stati assunti nella P.A. greca con numerosi, successivi contratti a tempo determinato. Tale prassi era palesemente contraria ad una direttiva in materia di contratto di lavoro a tempo determinato. Gli attori chiedevano quindi che l’amministrazione greca fosse condannata ad assumerli a tempo indeterminato. La direttiva, tuttavia, pur imponendo agli Strati membri di prevedere delle sanzioni in caso di abuso dei contratti a tempo determinato, non prescriveva agli Stati membri l’obbligo di riconoscere ai lavoratori interessati il diritto ad ottenere la trasformazione del contratto di questo tipo in un contratto a tempo indeterminato. La Corte ricorda allora al giudice greco l’obbligo di interpretazione conforme ma precisa: “ nel caso di tardiva attuazione di una direttiva, l’obbligo generale che incombe ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva esiste solamente a partire dalla scadenza del termine di attuazione di quest’ultima”. Sibillinamente la Corte però aggiunge che “dalla data in cui la direttiva è entrata in vigore, i giudici degli Stati membri devono astenersi, per quanto possibile, dall’interpretare il diritto interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito da questa direttiva”: 55 La sig.ra Pupino era indagata dinanzi al Tribunale di Firenze per i reati di abuso di mezzi di disciplina e lesioni personali commessi nei confronti di alcuni suoi alunni minorenni. Il pubblico ministero aveva chiesto, nell’interesse delle vittime, che l’assunzione delle loro testimonianze avvenisse anticipatamente rispetto al dibattimento, applicando le modalità dell’incidente probatorio. Il giudice delle indagini preliminari, ritenendo che tale norma avesse portata eccezionale e fosse applicabile soltanto ai reati specificamente indicati, interroga in via preliminare la Corte circa l’interpretazione della decisione quadro relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Il giudice a quo si chiede se la decisione quadro gli imponga di consentire l’assunzione anticipata della prova testimoniale in un caso come quello di specie. Secondo la Corte, la questione pregiudiziale mira ad accertare se l’obbligo che incombe alle autorità nazionali di interpretare il loro diritto nazionale per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie si applichi con gli stessi effetti e limiti qualora l’atto interessato sia una decisione quadro presa sul fondamento del titolo Vi del Trattato sull’Unione europea. La Corte dà alla questione una risposta affermativa. Essa si basa su tre argomenti. Il primo trae spunto dalla circostanza che il vecchio art. 34, par.3, lett b), riconosce alle decisioni quadro carattere vincolante negli stessi termini delle direttive. Il secondo argomento si ricollega alla previsione di una competenza pregiudiziale della Corte di giustizia analoga a quella prevista dall’art. 267 TFUE: “tale competenza sarebbe privata dell’aspetto essenziale del suo effetto utile se i singoli non avessero il diritto di far valere le decisioni quadro al fine di ottenere un’interpretazione conforme del diritto nazionale dinanzi ai giudici degli Stati membri. Il terzo ed ultimo argomento ruota intorno all’esistenza di un obbligo di leale collaborazione a carico degli Stati membri anche nell’ambito dell’allora III pilastro nonostante l’assenza di una disposizione specifica al riguardo. Secondo la Corte “SAREBBE DIFFICILE PER L’Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che del resto è interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni. 75 giurisprudenziale, esplicitato per la prima volta dalla Corte nella sent. 15/07/64 Costa c. Enel: la legge italiana di nazionalizzazione dell’energia elettrica, di cui il sig. Costa contestava la compatibilità con alcuni articoli del TCE, era infatti successiva alla legge contenente l’ordine d’esecuzione del trattato stesso. Il Governo italiano sosteneva l’inammissibilità assoluta della questione pregiudiziale del Giudice conciliatore di Milano, affermando che il giudice nazionale è comunque tenuto ad applicare la legge interna. Secondo la Corte, invece, l’integrazione del diritto dell’Unione nell’ordinamento interno di ciascuno Stato membro “ha per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordine comune. Se l’efficacia del diritto comunitario variasse da uno Stato all’altro, in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l’attuazione degli scopi del Trattato”. Un atto statale successivo al TCE ma con esso incompatibile “sarebbe del tutto privo di efficacia”. Secondo la Corte, l’ordinamento dell’unione non soltanto impone la prevalenza della norma di questo ordinamento sulla norma interna incompatibile, ma determina altresì le modalità attraverso cui tale prevalenza deve trovare applicazione e in particolare l’organo competente a farla valere. La Corte riconosce, in particolare, che “il giudice nazionale, incaricato di applicare nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale” (causa Simmenthal).59 Nemmeno è compatibile con il principio del primato la prassi giurisprudenziale sviluppatasi in uno Stato membro che, per ragioni di tutela del legittimo affidamento dei soggetti coinvolti, preveda che, nei giudizi tra privati, la disapplicazione della norma avvenga soltanto dopo che sia stato effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia “il giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, non è tenuto, ma ha la facoltà di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull’interpretazione”. La Corte è stata spesso interrogata sullo status della norma interna incompatibile con quella dell’Unione e pertanto destinata ad essere disapplicata. L’orientamento attuale della Corte è che il fenomeno della disapplicazione quale conseguenza del primato non postula che la norma interna incompatibile debba essere considerata invalida. Le eventuali conseguenze sul piano della costituzionalità della norma interna e pertanto la necessità o almeno la possibilità di farne dichiarare la incostituzionalità secondo le procedure previste da ciascun ordinamento nazionale non sono questioni disciplinate dal diritto dell’unione ma dal diritto interno applicabile. L’esigenza di assicurare la tutela giurisdizionale immediata delle norme dell’Unione produttive di effetti diretti implica altresì il potere per il giudice nazionale di emanare provvedimenti provvisori, che comportino la sospensione dell’applicazione di una norma interna, in attesa che sia definitivamente accertata (mediante rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia) l’incompatibilità della norma interna con la norma dell’Unione. 59 Simmenthal chiedeva la restituzione di alcuni diritti di visita sanitaria riscossi dall’amministrazione italiana in relazione all’importazione di carne bovine originarie dell’Unione. Da una precedente sentenza della Corte risultava che i diritti in questione costituivano delle tasse d’effetto equivalente a un dazio doganale ed erano pertanto vietati da un regolamento del Consiglio. Tuttavia, per accogliere la domanda di SImmenthal, il Pretore di Susa avrebbe dovuto preliminarmente disapplicare le disposizioni di legge italiane che prevedevano la riscossione dei diritti e che erano successive rispetto al regolamento. Considerata la giurisprudenza della Corte costituzionale, il Pretore chiede alla Corte di giustizia se la diretta applicabilità delle norme comunitarie vada intesa “nel senso che eventuali disposizioni nazionali successive con essere contrastanti vanno immediatamente disapplicate senza che si debba attendere la loro rimozione ad opera dello stesso legislatore nazionale (abrogazione) o di altri organi costituzionali (dichiarazione di incostituzionalità) 76 La circostanza che una norma interna sia incompatibile con il diritto dell’Unione e vada pertanto disapplicata dal giudice nazionale in forza del principio del primato, non esime lo Stato membro interessato dal provvedere alla abrogazione della norma incompatibile o alla sua modifica. In mancanza, la permanenza della norma nell’ordinamento dello Stato membro “mantiene gli interessati in uno stato di incertezza circa la possibilità loro garantita di fare appello al diritto comunitario”. 77 Il sistema di tutela giurisdizionale 1 | Considerazioni generali L’ordinamento dell’Unione comprende un sistema di tutela giurisdizionale che assicura la protezione delle posizioni giuridiche sorte per effetto del diritto dell’Unione. Tale sistema è ripartito su due livelli: - la Corte di giustizia dell’UE (articolata in Corte di giustizia, Tribunale e Tribunale della funzione pubblica) - gli organi giurisdizionali degli Stati membri. Al primo livello spettano in via esclusiva alcune azioni tassativamente enumerate dai trattati, che i soggetti interessati possono proporre direttamente davanti ad una delle articolazioni della Corte di giustizia (c.d. competenze dirette): a) ricorsi per infrazione, che vengono proposti nei confronti di uno Stato membro accusato di aver violato gli obblighi derivanti dai trattati b) ricorsi d’annullamento, attraverso i quali viene contestata la legittimità di atti delle istituzioni c) ricorsi in carenza, attraverso i quali si vuole far constatare l’illegittimità delle omissioni addebitabili alle istituzioni d) ricorsi per risarcimento, che hanno ad oggetto la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni Il TFUE attribuisce alla competenza diretta della Corte di giustizia anche altre azioni minoris generis: a) le controversie tra le istituzioni e i propri dipendenti; b) le controversi riguardanti la Banca europea degli investimenti; c) le controversie derivanti da contratti di diritto privato stipulati dell’Unione, qualora il contratto contenga una clausola compromissoria che preveda la competenza della Corte di giustizia; d) le controversie tra Stati membri connesse con l’oggetto dei trattati, qualora le parti concludano un compromesso che le sottoponga alla Corte di giustizia. inoltre, l’invalidità di un atto di portata generale, può essere fatta valere, non soltanto in via diretta attraverso un ricorso d’annullamento, ma anche in via d’eccezione, nell’ambito di un’altra controversia di competenza della Corte di giustizia in cui venga in rilievo l’applicazione del diritto stesso (c.d. eccezione d’invalidità). A queste competenze di tipo contenzioso, si aggiungono competenze consultive: la più importante riguarda la compatibilità con i trattati degli accordi internazionali la cui conclusione è prevista dalle istituzioni. Al di fuori di tali azioni, vige invece la competenza dei giudici nazionale. I soggetti interessati all’applicazione di una norma dell’Unione possono infatti rivolgersi ai giudici nazionali e chiedere loro di assicurare la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche loro spettanti. “gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”. Per evitare che, nell’applicare il diritto dell’Unione, i giudici degli Stati membri possano pregiudicare l’uniformità delle disposizioni di tale diritto, i trattati hanno previsto uno strumento di raccordo con la Corte di giustizia: si tratta della procedura del rinvio pregiudiziale. Attraverso di essa il giudice nazionale ha la facoltà o, in taluni casi, l’obbligo di deferire alla Corte di giustizia le questioni riguardanti il diritto dell’Unione. Secondo la Corte di giustizia, tale sistema di tutela giurisdizionale è, in linea di principio, completo. L’ordinamento dell’Unione, infatti, rispetta il principio generale del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Ne consegue, da un lato, che il titolare di una posizione soggettiva derivante da norme dell’UE 80 addurre giustificazioni tratte da eventi interni quali lo scioglimento anticipato del parlamento nazionale o una crisi di Governo, né può invocare particolari difficoltà derivanti, ad es., dalla necessità di rispettare determinati adempimenti costituzionali o la ripartizione delle competenze interne tra Stato e Regioni o altri enti territoriali. Non è nemmeno possibile trarre giustificazioni dal comportamento, anch’esso contrario al diritto dell’Unione, tenuto da altri Stati membri. Il procedimento per proporre un ricorso per infrazione varia a seconda del soggetto che ne assume l’iniziativa. L’art. 258 TFUE disciplina l’ipotesi più frequente, che sia la Commissione ad aprire il procedimento. L’art. 259 invece contempla la possibilità che ad agire sia uno Stato membro.63 In entrambi i casi sono previste due fasi: a) una fase precontenziosa preliminare; b) una fase contenziosa vera e propria, che si svolge dinanzi alla Corte. La fase precontenziosa ha due scopi. In primo luogo, favorisce la composizione amichevole della controversa riguardante il rispetto degli obblighi dei trattati. In secondo luogo, la fase ha uno scopo processuale: il suo svolgimento è condizione di ricevibilità del ricorso alla Corte. Anche l’inserimento nell’oggetto del ricorso di contestazioni diverse da quelle sollevate nella fase precontenziosa provocherebbe l’irricevibilità parziale del ricorso, salvo che si tratti della semplice continuazione di comportamenti già contestati. La fase contenziosa, invece, prevede il ricorso alla Corte di giustizia e l’emanazione di una decisione giudiziaria. Nel caso disciplinato dall’art. 258, la scelta di dare avvio al procedimento, quella di portarlo avanti con maggiore o minore celerità e persino quella di porvi un termine spettano alla Commissione.64 “la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni”. In pratica, la fase precontenziosa si articola nei seguenti momenti: a) invio allo Stato membro di un atto non formale, noto come lettera di messa in mora, con cui la Commissione, dopo aver contestato allo Stato membro determinati comportamenti, gli assegna un termine entro il quale presentare le proprie osservazioni; b) presentazione delle osservazioni da parte dello Stato membro (in mancanza la Commissione può passare alla fase successiva) c) emissione di un parere motivato, mediante il quale la Commissione espone in via definitiva gli addebiti mossi allo Stato e lo invita a conformarsi entro il termine fissato. Nel sistema del TFUE il potere di constatare l’infrazione commessa da uno Stato membro non spetta alla Commissione, ma alla Corte. Ne consegue che lo Stato membro non è obbligato a conformarsi al parere motivato, ma lo farà soltanto se preferisce evitare il ricorso alla Corte di giustizia.65 63 Non è consentito ad altri soggetti, in particolare ai singoli, aprire il procedimento e, in generale, rivolgersi direttamente alla Corte per far valere la violazione di un obbligo derivante dai trattati da parte di uno Stato membro. Essi potranno semmai denunciare la violazione alla Commissione o al proprio Stato membro per sollecitarli ad intervenire. 64 Non è dunque possibile proporre un ricorso in carenza contro l’omessa o ritardata apertura o conclusione del procedimento. “la Commissione non è tenuta ad instaurare un procedimento, ma in proposito essa dispone invece di un potere discrezionale, che esclude il diritto dei singoli di esigere dalla stessa istituzione di decidere in un senso determinato”. 65 Nella prassi, il dialogo tra lo Stato membro e la Commissione è molto più articolato e passa attraverso lo scambio di numerose lettere e la tenuta di uno o più incontri tra funzionari dello Stato e della Commissione. Una procedura speciale è prevista in materia di controllo sugli aiuti di Stato alle imprese. In tale ambito al Commissione dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, assume una vera e propria decisione, con cui obbliga lo Stato che abbia concesso un aiuto non permesso, a sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato. Se lo Stato membro non vi provvede, la Commissione può adire direttamente la Corte di giustizia. 81 Il passaggio alla fase contenziosa è possibile soltanto una volta che il termine fissato nel parre motivato sia decorso invano “qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia”. la Commissione dunque non è obbligata a ricorrere alla Corte, né a farlo entro un termine predeterminato. Una volta presentato il ricorso alla Corte, però, l’eventuale eliminazione da parte dello Stato membro della violazione contestata non comporta alcuna conseguenza sull’esito del giudizio (a meno che la stessa Commissione non accetti di rinunciare al ricorso”. Per la Corte, infatti, “pure nel caso in cui l’inosservanza sia stata sanata dopo scaduto il termine stabilito a norma del 258 TFUE, vi è interessa alla prosecuzione del giudizio onde stabilire il fondamento dell’eventuale responsabilità dello Stato membro, in conseguenza dell’inadempimento nei confronti degli altri Stati membri, della Comunità o di singoli”. La case contenziosa termina con una sentenza della Corte. In caso di accoglimento del ricorso, la Corte si limita a riconoscere che lo Stato membro ha mancato ad un obbligo derivante dai trattati. Si tratta pertanto di una sentenza di mero accertamento e non di una sentenza di accertamento costitutivo (annullamento dei provvedimenti nazionali riconosciuti come incompatibili”, né, tantomeno, di condanna. Il TFUE prevede tuttavia che lo Stato membro “è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta”. La sentenza non indica a quali adempimento lo Stato membro dovrà dar corso e neppure il termine entro cui dovrà provvedere.66 La mancata (o ritardata) adozione dei provvedimenti necessari a conformarsi alla sentenza può indurre la Commissione ad avviare nei confronti dello Stato membro un secondo procedimento di infrazione per violazione dell’art. 260. Il secondo procedimento può condurre all’emanazione, a carico dello stato membro inadempiente, di una vera e propria sentenza di condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria. Nel caso ritenga che uno Stato membro non abbia preso i provvedimenti imposti da una precedente sentenza della Corte, la Commissione, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare osservazioni, può adire la Corte precisando “l’importo della somma forfettaria o della penalità da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze”: la Corte, se riconosce che lo Stato membro non si è conformato alla precedente sentenza, “può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità”. L’art. 259 TFUE disciplina il procedimento di infrazione avviato su iniziativa di uno Stato membro. Lo Stato deve rivolgersi alla Commissione, chiedendole di agire nei confronti dell’altro Stato membro. La Commissione deve porre in condizione gli Stati interessati di presentare in contraddittorio le loro osservazioni. Successivamente la Commissione emette un parere motivato. Se però il parere non è stato formulato nel termine di tre mesi dalla domanda, lo Stato può presentare ricorso direttamente alla Corte. Nel caso in cui la Commissione scelga di prendere su di sé il caso, il procedimento proseguirà nelle forme previste dall’art. 258. In caso di inerzia dalla Commissione, invece, lo Stato membro riacquista la propria 66 Per quanto riguarda la portata dell’obbligo cui soggiace lo Stato membro in seguito alla sentenza della Corte, un interessante esempio è contenuto nella sent. 13/07/72 Commissione c. Italia. La Commissione contesta all’Italia di nono aver rispettato gli obblighi di cui all’art. 260 in relazione ad una precedente sentenza della Corte, con la quale sera stata dichiarata l’incompatibilità con l’art. 30 TFUE (divieto di tasse d’effetto equivalente a un dazio doganale) di una tassa sugli oggetti di interesse storico, artistico ed archeologico, avendo continuato a riscuotere la predetta tassa anche dopo la data della sentenza. Il Governo italiano si difende adducendo la necessità di abrogare la tassa in via legislativa. Dalla sentenza si evince che lo Stato membro deve a)cessare immediatamente di applicare i provvedimenti nazionali in cui si concreta la violazione dell’obbligo derivante dai trattati e b) adottare nel minor tempo possibile tutti i provvedimenti (ad esempio di natura abrogativa o modificativa di precedenti disposizioni) necessari per eliminare completamente la situazione che aveva dato vita all’infrazione constatata dalla sentenza della Corte. 82 libertà di agire e può adire la Corte di giustizia. In caso di accoglimento del ricorso, la sentenza della Corte avrà le stesse caratteristiche di una sentenza emanata a seguito di ricorso della Commissione.67 3 | Il ricorso d’annullamento Il ricorso d’annullamento costituisce la forma principale di controllo giurisdizionale di legittimità prevista per gli atti delle istituzioni. Esso mira ad ottenere l’annullamento degli atti che risultino viziati. Il sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione prevede altre procedure che consentono alla Corte di effettuare un controllo sulla legittimità degli atti delle istituzioni: a) l’eccezione di invalidità; b) le questioni pregiudiziali di validità. Un controllo di legittimità può essere esercitato a titolo incidentale nell’ambito di un ricorso per risarcimento dei danni extracontrattuali, dal momento che la responsabilità extracontrattuale dell’Unione presuppone l’invalidità dell’atto che ha causato il danno. La Corte ritiene di essere investita del monopolio sul controllo di legittimità del diritto derivato dell’Unione. Invece i giudici nazionali (comprese le Corti costituzionali degli stati membri), non dispongono del potere di dichiarare invalido o anche soltanto di disapplicare un atto delle istituzioni che non sia già stato dichiarato invalido dalla Corte. “la coerenza del sistema [di tutela giurisdizionale] esige che sia parimenti riservato alla Corte il potere di dichiarare l’invalidità dello stesso atto, qualora questa sia fatta valere dinanzi ad un giudice nazionale”. Il giudice nazionale che nutra dei dubbi sulla validità di un atto delle istituzioni, non ha altra scelta che sottoporre una questione pregiudiziale di validità alla Corte. In questi casi il rinvio diviene obbligatorio, anche se il giudice non è di ultima istanza. Viceversa, secondo la Corte, i giudici nazionali “possono esaminare la validità di un atto comunitario e, se ritengono infondati i motivi d’invalidità addotti dalle parti, respingerli, concludendo per la piena validità dell’atto”. Gli atti impugnabili sono definiti facendo riferimento a tre criteri: a) l’autore; b) il tipo; c) gli effetti Per quanto riguarda l’autore, possono essere impugnati gli atti di tutte le istituzioni eccetto la Corte di giustizia e la Corte dei conti, nonché gli atti degli organi o organismi dell’Unione. Tutti questi soggetti sono pertanto dotati di legittimazione passiva nell’ambito del ricorso d’annullamento. Quanto al tipo di atti impugnabili, l’art. 263 distingue gli atti legislativi dagli atti che legislativi non sono. Gli atti legislativi sono sempre impugnabili. Per gli altri l’impugnabilità dipende dal terzo criterio, quello degli effetti. L’art. 263, infatti, mira a limitare l’impugnazione agli atti non legislativi che sono atti a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Per il Consiglio, la Commissione e la BCE questo scopo è raggiunto implicitamente, escludendo l’impugnabilità di raccomandazioni o pareri e ammettendo, a contrario, l’impugnabilità di qualsiasi altro atto di tali istituzioni appartenente alle altre categorie dell’art. 288 TFUE (regolamenti, direttive e decisioni). Per le altre istituzioni (Parlamento europeo e Consiglio europeo) e per organi e organismi dell’Unione invece, considerata la natura per lo più atipica degli atti che adottano, l’art. 263 stabilisce espressamente che deve trattarsi di atti destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi.68 67 Il potere di chiedere la comminazione di una sanzione pecuniaria a carico dello Stato membro in occasione di un secondo procedimento di infrazione è tuttavia riservato alla Commissione. 68 I dubbi sul se l’atto sia destinato a produrre effetti giuridici obbligatori si pongono, in realtà, soltanto nei confronti degli atti atipici. Mancando una definizione normativa degli stessi, è necessario valutarne, di volta in volta, la natura per dare una risposta. Nel caso della set. 16/06/93 Francia c. Commissione, la Francia impugna una comunicazione della Commissione relativa al controllo degli aiuti statali alle imprese pubbliche. Secondo la Commissione, l’atto impugnato non impone alcun obbligo nuovo agli Stati membri, ma si limita ad esplicitare quanto già previsto dagli artt. 107 e 108 TFUE e da una direttiva della Commissione relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche. Avendo constatato che la comunicazione impone agli Stati membri l’obbligo di comunicare alla Commissione in modo sistematico e generalizzato taluni dati relativi alle imprese 85 La presenza di un interesse individuale è inoltre dimostrata dalla circostanza che l’atto impugnato contenga un espresso riferimento a determinati soggetti, ovvero dalla circostanza che il comportamento di determinati soggetti sia stato preso in considerazione nel corso del procedimento per l’emanazione dell’atto impugnato.71 L’interesse individuale può ancora derivare dalle caratteristiche del procedimento che conduce all’atto impugnato. Qualora, infatti, sia prescritto che il procedimento coinvolga obbligatoriamente determinati soggetti o sia garantita la partecipazione di altri soggetti interessati, si presume che tutti questi soggetti siano portatori di un interesse qualificato che consente loro l’impugnazione dell’atto finale, indipendentemente dalla sua natura.72 In maniera analoga, l’interesse individuale è provato se l’istituzione autrice dell’atto impugnato è soggetta all’obbligo di prendere in considerazione la posizione giuridica di determinati soggetti (anche se, in concreto, ciò non sia avvenuto).73 Dalla dottrina era stato evidenziato il rischio che si potessero produrre lacune nel sistema di tutela giurisdizionale in situazioni in cui i soggetti pregiudicati non dispongano di alcun rimedio giurisdizionale effettivo in alternativa al ricorso diretto ai sensi dell’art. 230, quarto comma, TCE. Lacune si sarebbero potute avere, in particolare, nel caso di regolamenti che non richiedono alcun provvedimento d’esecuzione da parte delle autorità nazionali. In casi del genere, sarebbe infatti venuta meno anche la possibilità per gli interessati di rimettere in discussione la legittimità del regolamento, impugnando il provvedimento nazionale d’esecuzione e indicendo il giudice nazionale competente a sollevare questione pregiudiziale circa la validità del regolamento cui il provvedimento nazionale dà esecuzione. Ciò avrebbe comportato una violazione del diritto fondamentale ad un rimedio giurisdizionale effettivo.74 71 Nel caso di impugnazione di regolamenti istitutivi di dazi antidumping, la Corte ammette la ricevibilità delle impugnazioni proposte dalle imprese produttrici ed esportatrici del prodotto colpito dal dazio, in quanto “i dazi antidumping possono essere istituiti soltanto in base ad accertamenti effettuati mediante indagini sui prezzi di produzione e sui prezzi d’esportazione di determinate imprese”. Di conseguenza “gli atti che istituiscono dazi antidumping possono riguardare direttamente ed individualmente le imprese produttrici ed esportatrici che possono dimostrare di essere state individuate negli atti della Commissione o del Consiglio o prese in considerazione nelle indagini preparatorie”. 72 Un esempio molto rilevante di ciò è dato dalle decisioni in materia di aiuti statali alle imprese. Il procedimento, regolato dal TFUE, prevede che, prima di rivolgere allo Stato membro interessato una decisione in materia di aiuti, la Commissione debba “intimare agli interessati di presentare le loro osservazioni”. 73 Nella sent. 26/06/90 Sofrimport, la ricorrente impugna un regolamento della Commissione che sospende il rilascio di titolo di importazione per mele da tavola originarie del Cile. Sofrimport sostiene che il regolamento le impedisce l’importazione di una partita già in corso di spedizione alla data di adozione del regolamento e per la quale er a già stato richiesto il rilascio dei relativi titolo d’importazione. La Corte constata che un articolo del regolamento di base del Consiglio impone alla Commissione di tenere conto della situazione particolare di prodotti giù avviati verso la Comunità secondo la Corte, tale articolo “conferisce una protezione specifica” agli importatori che, come Sofrimport, si trovano nella descritta situazione alla data di adozione del regolamento impugnato, “i quali, pertanto, debbono poter esigere che detta protezione sia rispettata ed essere in grado di proporre a tal fine un ricorso giurisdizionale”. 74 Facendosi carico di tali preoccupazioni, l’avv. Gen. Jacobs sostiene che, nel caso di regolamenti non richiedenti provvedimenti nazionali di esecuzione, si impone un’interpretazione meno restrittiva dei requisiti di ricevibilità previsti dall’art. 230, quarto comma TCE. Nella poco successiva sent. Jego-Quéré, il Tribunale di primo grado, occupandosi dell’impugnazione di un regolamento dello stesso tipo (nella specie il regolamento impugnato vietava l’impiego di determinate reti nella pesca al nasello), condivide la necessità evidenziata dall’avv. .gen. Jacobs di attenuare il rigore della giurisprudenza relativa alla cit. norma, e propone quanto segue: “al fine di garantire una tutela giurisdizionale effettiva dei singoli, una persona fisica o giuridica deve ritenersi individualmente interessata da una disposizione comunitaria di portata generale che la riguarda direttamente, ove la disposizione di cui trattasi incida, in maniera certa ed attuale, sulla sua sfera giuridica limitando i suoi diritti ovvero imponendole obblighi per tenere conto del diritto ad un rimedio giudiziario effettivo”. Come si vede, l’avv. gen. Jacobs suggerisce di dare rilievo all’importanza del pregiudizio subito (attualmente o potenzialmente) dal ricorrente, mentre il Tribunale propone di 86 L’appello della Corte contenuto nelle sent. Cit. a che gli Stati membri provvedano a riformare le condizioni di ricevibilità di un ricorso d’annullamento presentato da una persona fisica o giuridica contro un atto di cui non è il destinatario e, in particolare, contro un atto di portata generale, non è rimasto del tutto inascoltato. La terza ipotesi ora prevista dall’art. 263, quarto comma, TGUE, sembra infatti prendere in considerazione proprio casi del tipo di quelli oggetto delle sent. Unione de Pequeno agricultores e Jego- Quéré. La nuova frase finale del quarto comma infatti stabilisce condizioni di ricevibilità dei ricorsi individuali meno severe (basta soltanto dimostrare che l’atto riguarda il ricorrente direttamente). Tali condizioni però valgono soltanto se l’oggetto d’impugnazione sono: a) atti regolamentari b) che non comportano alcuna misura di esecuzione.75 L’art. 263, secondo comma, elenca i vizi di legittimità, che possono essere fatti valere nell’ambito di un ricorso d’annullamento: a) incompetenza; b) violazione delle forme sostanziali; c) violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione; d) sviamento di potere. L’incompetenza può essere interna o esterna. Si ha incompetenza esterna nel caso in cui l’istituzione che emette l’atto non ha il potere di farlo, perché tale potere spetta ad altra istituzione. Si ha incompetenza esterna quando nessuna istituzione ha il potere di emanare l’atto in questione, che non rientra affatto nella competenza dell’Unione ma, semmai, in quella degli stati membri. La violazione delle forme sostanziali sussiste quando non sono rispettati quei requisiti formali di tale importanza da influire sul contenuto dell’atto. Può trattarsi, anzitutto, di forme relative al procedimento da seguire per l’emanazione dell’atto, quali ad es. l’obbligo di consultazione del Parlamento o del Comitato economico e sociale o, in materia di concorrenza, l’audizione delle imprese interessate prima dell’adozione della decisione finale. Altre ipotesi di forme sostanziali attengono all’atto in quanto tale. La più importante è costituita dalla violazione dell’obbligo di motivazione, prescritto in termini generali dall’art. 286, secondo comma, TFUE. Secondo la Corte, l’obbligo di motivazione “mira, per un verso, a consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per poterne valutare la fondatezza e, per altro verso, a permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo”. L’obbligo di motivazione risulta violato quando la motivazione è del tutto assente oppure quando è insufficiente. Il vizio di violazione dei trattati e di qualsiasi regola di diritto relativa alla loro applicazione è il più frequentemente invocato, dal momento che, da un punto di vista logico, esso ingloba anche l’incompetenza e la violazione di forme stanziali. Il vizio è espressione del principio della gerarchia delle fonti dell’Unione può riguardare la violazione di qualunque norma giuridica che sia da considerare superiore rispetto all’atto impugnato, compresi i principi generali, i diritti fondamentali, i principi del diritto internazionale generale e gli accordi internazionali. focalizzare l’attenzione sul carattere certo ed attuale del pregiudizio. Nessuno di tali suggerimenti è stato accolto dalla Corte. Nella sent. 25/07/02 Union de Pequenos agricultores, la Corte rifiuta l’idea stessa che l’interpretazione dei requisiti di ricevibilità possa variare a seconda che, in ciascun caso di specie, il ricorrente disponga o meno di un rimedio giudiziario effettivo a livello nazionale. Un sistema del genere comporterebbe infatti “che, per ogni caso specifico, il giudice comunitario esamini e interpreti il diritto processuale nazionale, il che esulerebbe dalla sua competenza nell’ambito del controllo della legittimità degli atti comunitari”. In conclusione, la Corte pone sui giudici nazionali l’onere di interpretare le norme processuali del loro ordinamento, in maniera da consentire ai soggetti interessati di esperire rimedi giudiziari effetti contro atti comunitari invalidi, in attesa che siano gli Stati membri, in conformità all’art. 48 Tue, a riformare il sistema attualmente in vigore. Resta comunque il fatto che la completezza del sistema giurisdizionale apprestato per i singoli dall’ordinamento comunitario appare meno assoluta di quanto la Corte ha sempre preteso. 75 La nozione di atti regolamentari che non comportano alcuna misura d’esecuzione sembra alludere a una particolare categoria di atti probabilmente non legislativi ma di portata generale, non menzionata altrove nei trattati, e perciò stesso di incerta definizione. 87 L’ultimo vizio di legittimità è costituito dallo sviamento di potere, che si ha quando un’istituzione emana un atto che ha il potere di adottare, perseguendo però scopi diversi da quelli per i quali il potere le è stato attribuito. A norma dell’art. 263, quinto comma, TFUE, il temine di ricorso è di due mesi. Esso decorre: a) dalla pubblicazione sulla GU, se l’atto è stato pubblicato; b) dalla notificazione, se l’atto è stato notificato (solo per il destinatario della notificazione); c) in mancanza di pubblicazione o notifica, dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto. L’art. 264 TFUE disciplina l’efficacia delle sentenze di annullamento. “se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dichiara nullo e non avvenuto l’atto l’impugnato”. La sentenza ha quindi portata generale e retroattiva: l’atto è nullo erga omnes, e la nullità retroagisce al momento in cui l’atto è stato emanato. “tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”.76 Ai sensi dell’art. 266 TFUE “l’istituzione, l’organo o l’organismo da cui emana l’atto annullato […] sono tenuti a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione comporta”. È comunque fatto salvo il diritto degli interessati a far valere la responsabilità extracontrattuale dell’autore dell’atto annullato. il controllo sugli atti delle istituzioni esercitato dalla Corte di giustizia in base all’art. 263 è un controllo di mera legittimità. La sentenza pertanto si limita ad annullare l’atto, qualora sia riscontrata l’esistenza di un vizio di legittimità e il ricorso venga accolta. Il TFUE prevede tuttavia che regolamenti adottati congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio o dal solo Consiglio possano attribuire alla Corte di giustizia anche una competenza di merito, limitata al riesame delle sanzioni previste nel regolamento stesso. In casi del genere, la Corte dispone del potere di modificare l’ammontare della sanzione. 4 | Il ricorso in carenza Costituisce un’altra forma di controllo giurisdizionale della legittimità del comportamento delle istituzioni. L’oggetto del controllo è un comportamento omissivo che si assume illegittimo, perché tenuto in violazione di un obbligo di agire previsto dai trattati. I presupposti del ricorso sono perciò: a) l’esistenza di un obbligo di agire a carico dell’istituzione in causa; b) la violazione dell’obbligo stesso. È escluso che si possa ricorrere in carenza contro l’omissione di atti la cui adozione è affidata alla discrezionalità delle istituzioni.77 La violazione di un obbligo di agire può essere fatta valere a condizione che: a) l’istituzione, l’organo o l’organismo in causa siano stati previamente richiesti di agire e b) sia scaduto un termine di due mesi da tale richiesta senza che l’istituzione abbia preso posizione. 76 Le limitazioni stabilite dalla Corte possono avere ad oggetto la portata ratione personarum dell’annullamento. Più spesso la limitazione ha ad oggetto la portata temporale dell’annullamento. 77 Non può, ad es., esperirsi ricorso in carenza contro l’omessa emanazione di un parere motivato ai sensi dell’art. 258 TFUE. Dopo alcuni tentennamenti, la giurisprudenza ha finito invece per ammettere la possibilità di ricorrere in carenza in caso di mancato avvio del procedimento di indagine (violazione delle regole di concorrenza) ovvero di mancata adozione di una decisione definitiva di rigetto della denuncia entro un termine ragionevole (violazione delle regole relative agli aiuti di Stato). Per il caso di denuncia per violazione delle regole in materia di aiuti di stato, il Tribunale ammette la ricevibilità di un ricorso presentato da un denunciante e riconosce implicitamente l’esistenza, in casi del genere, di un obbligo di agire a carico della Commissione. 90 Il diritto al risarcimento dei danni è soggetto ad un termine di prescrizione di cinque anni, a decorrere dal momento in cui avviene il fatto che dà loro origine. Il termine si interrompe se viene rivolta istanza di risarcimento all’istituzione responsabile. In casi di rigetto dell’istanza, il ricorso assumerà le forme di un ricorso d’annullamento e andrà proposto entro due mesi. In caso di silenzio dell’istituzione, andrà presentato un ricorso in carenza. 6 | La competenza pregiudiziale: concetti generali La Corte di giustizia può, o secondo i casi, deve essere chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle questioni riguardanti il diritto dell’Unione che si pongono nell’ambito di un giudizio instaurato davanti ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri. Il giudice nazionale chiede alla Corte di pronunciarsi su determinate questioni perché “reputa necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto”. La pronuncia della Corte ha quindi natura pregiudiziale, sia in senso temporale, perché precede la sentenza del giudice nazionale, sia in senso funzionale, perché è strumentale rispetto alla emanazione di tale sentenza. La competenza di cui all’art. 267 è dunque una competenza indiretta, in quanto l’iniziativa di rivolgersi alla corte non è assunta direttamente dalle parti interessate. Essa è anche una competenza limitata, potendo la Corte esaminare soltanto le questioni di diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale, il quale rimane competente a pronunciarsi su tutti gli altri profili della controversia. Quanto allo scopo del meccanismo disciplinato dall’art. 267, la competenza pregiudiziale è finalizzata non soltanto “ad evitare divergenze nell’interpretazione del diritto comunitario che i tribunali nazionali devono applicare” ma anche e soprattutto “a garantire tale applicazione, offrendo al giudice il mezzo per sormontare le difficoltà che possono insorgere dall’imperativo di conferire al diritto comunitario piena efficacia nell’ambito degli ordinamenti giuridici degli Stati membri”. In quanto garanzia della corretta applicazione e dell’uniforme interpretazione del diritto dell’Unione, la competenza pregiudiziale ha dato un contributo di inestimabile importanza allo sviluppo di tale diritto. basti pensare che principi fondamentali quali l’efficacia diretta delle norme dei trattati, l’efficacia diretta delle direttive, il primato sulle norme interne incompatibili, la responsabilità degli Stati membri per danni conseguenti alla violazione del diritto dell’Unione hanno tutti trovato la loro affermazione e il loro progressivo sviluppo in pronunce rese dalla Corte ai sensi dell’art. 267.81 ricorso basato sull’arricchimento senza causa contro la Comunità non può essere negata al singolo per la sola ragione che il Trattato CE non prevede espressamente un mezzo di ricorso destinato a questo tipo di azione. Un’interpretazione degli artt. 268 e 240 TFUE che escludesse una tale possibilità condurrebbe ad un risultato contrario al principio di tutela giurisdizionale effettiva. 81 Per quanto riguarda il settore della PESC, a norma dei trattati la Corte non è competente per quanto riguarda le disposizioni relative alla olitica estera e di sicurezza comune e gli atti adottati in base a dette disposizioni. Tuttavia, nella sent. 20/02/07 Gestoras pro Amnistia, la Corte sembra ammettere che la competenza pregiudiziale possa essere attivata dal giudice nazionale riguardo ad una posizione comune anche se avente parzialmente base giuridica nelle diposizioni PESC, qualora si tratti di un atto che produca effetti giuridici nei confronti di terzi e che pertanto “in forza del suo contenuto abbia una portata che supera quella attribuita dal Trattato UE a questo genere di atti”. Per i settori della Cooperazione giudiziaria in materia penale e della Cooperazione di polizia, rientranti nell’ex III pilastro, in passato il TUE prevedeva la possibilità per ciascuno Stato membro di depositare una dichiarazione di accettazione della competenza pregiudiziale della Corte e di scegliere se limitare il rinvio alle sole giurisdizioni di ultima istanza o estenderlo ad ogni giurisdizione (l’Italia aveva effettuato una tale dichiarazione, scegliendo il rinvio più ampio). In forza dell’art. 10 del Protocollo n. 36 sulle disposizioni transitorie, per un periodo di cinque anni la disciplina della competenza pregiudiziale resta per i settori dell’ex III pilastro quella contenuta nel vecchio art. 35. Di conseguenza, la competenza pregiudiziale della Corte e la sua portata dipenderà dalle dichiarazioni di accettazione effettuate da ciascuno Stato membro. 91 La competenza pregiudiziale viene in rilievo anche sotto il profilo del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva. Omettendo di sollevare una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia quando invece le circostanze lo richiederebbero, il giudice, soprattutto se di ultima istanza, pregiudica il diritto dei soggetti interessati ad un rimedio giurisdizionale effettivo o addirittura li distoglie del loro giudice naturale.82 7 | Segue: ammissibilità e rilevanza della questione pregiudiziale Il meccanismo della competenza pregiudiziale costituisce uno strumento di cooperazione fra i giudici nazionali e la Corte di giustizia. non può invece dirsi che esista una gerarchia, per cui i giudici nazionali sarebbero, in qualche modo, subordinati alla Corte. L’assenza di un rapporto di tipo gerarchico spiega perché la Corte non eserciti alcun tipo di controllo sulla competenza del giudice nazionale a conoscere del giudizio nel cui ambito le questioni pregiudiziali sono state sollevate, ovvero sulla regolarità del giudizio stesso e, in particolare, del provvedimento di rinvio. Si tratta di aspetti che non sono disciplinati dal diritto dell’Unione, ma dal diritto interno del giudice nazionale e pertanto non possono essere risolti dalla Corte. La Corte ha invece posto dei requisiti riguardanti il contenuto del procedimento di rinvio. Essa richiede che, soprattutto quando le questioni si riferiscono al “settore della concorrenza, caratterizzato da situazioni di fatto e di diritto complesse”, il giudice nazionale “definisca l’ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono sollevate”. In mancanza di sufficienti indicazioni al riguardo, la Corte non potrebbe “giungere ad un’interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale” e si riserva quindi la possibilità di non rispondere alle questioni pregiudiziali. Normalmente, la Corte non verifica la necessità del rinvio e la rilevanza delle questioni di diritto dell’Unione rispetto alla soluzione del caso pendente davanti al giudice nazionale. Il giudice nazionale, infatti, si rivolge alla Corte “qualora reputi necessario per emanare la sua sentenza una decisione sul punto”. La Corte si è però riservata il potere di verificare la rilevanza delle questioni pregiudiziali al fine di controllare se essa sia competente a rispondere e se non sussista alcuna delle ipotesi patologiche individuate dalla giurisprudenza. Tali ipotesi sono: a) questioni poste nell’ambito di controversie fittizie, così definite perché le parti sono d’accordo tra di loro sull’interpretazione da dare alle norme dell’Unione e vogliono soltanto ottenere una pronuncia della Corte sul punto che, come tutte le sentenze pregiudiziali, abbia efficacia erga omnes b) questioni manifestamente irrilevanti, in cui la norma dell’Unione oggetto della questione pregiudiziale è manifestamente inapplicabile alla fattispecie oggetto del giudizio nazionale c) questioni puramente ipotetiche, così definite in ragione della loro genericità o del fatto che non rispondono ad un effettivo bisogno del giudice nazionale, in vista della soluzione della controversia. Nella fase attuale, l’atteggiamento della Corte è nuovamente orientato verso maggiore prudenza. La Corte infatti, pur ribadendo il suo potere di rifiutarsi di rispondere a questioni pregiudiziali in casi eccezionali, parte da una sorta di presunzione di rilevanza, essa considera che “qualora le questioni sollevate dal giudice nazionale vertano sull’interpretazione di una norma comunitaria, in via di principio la Corte è tenuta a statuire”. 82 Nell’ordinanza Moosbrugger c. Austria, la Corte europea dei diritti dell’uomo ricorda che “an absolute right to have a case referred to the Court of Justice cannot be derived from the provisions of the Convention”. Nondimeno “there may be certain circumstances in which such a refusal by a national court mifht infringe the principle of the fairness of judicial proceedings, as set forth in Article 6 §1 of the Convention, particularly when it appears to be arbitrary”. 92 8 | Segue: la nozione di giurisdizione La competenza pregiudiziale può essere attivata soltanto da un organo che possa essere definito come un “organo giurisdizionale di uno degli Stati membri”. La Corte si riserva il potere di verificare che l’organo autore del rinvio pregiudiziale rientri effettivamente in tale nozione, considerandola come una nozione autonoma e perciò non necessariamente coincidente con le definizioni ricavabili dagli ordinamenti degli Stati membri. Il primo requisito che un organo nazionale deve soddisfare, perché possa operare un rinvio pregiudiziale, è che svolga una funzione giurisdizionale, cioè che sia chiamato “ a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale”. Quanto agli organi italiani, la Corte ha negato che la Corte dei conti svolga una funzione giurisdizionale quando esercita il controllo a posteriori sulla regolarità dell’attività amministrativa mentre ha accolto l’opposta soluzione riguardo al Consiglio di Stato, quando agisce nell’ambito di un procedimento di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, valorizzando la considerazione che il parere del Consiglio di Stato è vincolante, salva deliberazione contraria del Consiglio dei ministri. Per quanto riguarda la Corte costituzionale, occorre distinguere le posizione della Corte di giustizia rispetto a quella della stessa Corte costituzionale. La Corte di giustizia ha risposto ad alcune questioni pregiudiziali sollevate dalla Corte costituzionale nell’ambito di un giudizio di costituzionalità in via principale. La Corte costituzionale ritiene invece di essere legittimata al rinvio pregiudiziale soltanto nell’ambito del giudizio di costituzionalità in via principale ma non in quello in via incidentale. Quanto all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è da ritenersi che non sia da considerarsi giurisdizione, mentre è ben possibile che una questione pregiudiziale venga sollevata nell’ambito del giudizio di impugnazione del provvedimenti dell’AGCM dinanzi al T.A.R. Nei casi dubbi, debbono essere inoltre verificati altri requisiti. Secondo una formula spesso ripresa dalla Corte, la possibilità che un determinato organo effettui un rinvio pregiudiziale dipende da “una serie di elementi quali l’origine legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente”. Tuttavia, l’esame della giurisprudenza rivela come l’approccio della Corte sia caratterizzato da notevole elasticità e come la presenza degli elementi menzionati nella formula di cui sopra non venga verificata in maniera sistematica e nemmeno con rigore costante. Più rigoroso è invece apparso l’atteggiamento della Corte con riferimento al requisito dell’origine legale dell’organo, con particolare riferimento al caso degli arbitri, ai quali ha costantemente negato il potere di sollevare questioni pregiudiziali. L’unica eccezione ammessa riguarda i casi di arbitrato obbligatorio, quando le parti sono tenute per legge a sottoporre ad arbitrato le proprie controversie in una determinata materia. 9 | Segue: facoltà e obbligo di rinvio Rispetto al rinvio pregiudiziale, la posizione dei giudici nazionali varia secondo che essi emettano decisioni contro le quali sia possibile proporre un ricorso giurisdizionale di diritto interno oppure no. Nel primo caso, il rinvio è oggetto di una semplice facoltà, mentre nel secondo caso, il giudice è sottoposto ad un obbligo di rinvio. La ratio della distinzione si rinviene da un lato nella circostanza che l’obbligo di rinvio da parte del giudice di ultima istanza costituisce l’estrema forma di tutela offerta ai soggetti interessati alla corretta applicazione giudiziaria del diritto dell’Unione. D’altro lato, l’erronea soluzione data da un giudice di ultima istanza a questioni di diritto dell’Unione rischia di essere accolta in numerose altre pronunce giudiziarie e dunque di consolidarsi, nonostante la sua non correttezza. 95 Le sentenze rese dalla Corte in un procedimento a norma dell’art. 267 TFUE vincolano anzitutto il giudice che aveva effettuato il rinvio. Questi non può discostarsene, ma può soltanto, qualora lo ritenga necessario, adire nuovamente la Corte per chiedere ulteriori chiarimenti. Tuttavia, tenuto conto del carattere obiettivo della competenza esercitata in questi casi, la sentenza della Corte assume un valore generale. Qualunque giudice nazionale, il quale si trovi a dover risolvere questioni in merito alle quali la Corte si è già pronunciata mediante sentenza pregiudiziale, deve adeguarsi a tale sentenza, salva la possibilità di rivolgersi nuovamente alla Corte. Il principio è stato affermato con particolare chiarezza nel caso di sentenze pregiudiziali di validità che dichiarano l’invalidità di un atto delle istituzioni.84 In linea di principio tutte le sentenze pregiudiziali hanno valore retroattivo. L’interpretazione contenuta in una sentenza pregiudiziale, infatti, “chiarisce il significato e la portata della norma quale deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore” e la norma così interpretata “può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti o costituiti prima della sentenza interpretativa se, per il resto, sono soddisfatte le condizioni che consentono di portare alla cognizione dei giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detta norma”.85 Il valore retroattivo delle sentenze della Corte rese a titolo pregiudiziale va tuttavia conciliato con il principio generale della certezza del diritto. Di conseguenza un soggetto che non abbia agito in giudizio entro il termine previsto dall’ordinamento a tale fine, non può, scaduto il termine, invocare una sentenza pregiudiziale emessa dalla Corte, a meno che il termine in questione nono sia irragionevole. Inoltre la Corte si riserva il potere di limitare nel tempo la portata delle proprie sentenze pregiudiziali tanto interpretative quanto di validità. L’esercizio di tale potere viene in genere motivato da esigenze di certezza del diritto e tutela dell’affidamento. La Corte tuttavia, anche in seguito ad alcune decise prese di posizione assunte da giudici nazionali, fa generalmente salva la possibilità di invocare la sentenza pregiudiziale da parte di coloro che abbiano proposto un’azione giudiziaria o un reclamo equivalente prima della sentenza stessa. 84 International Chemical Corporation propone azione dinanzi al Tribunale di Roma per ottenere la condanna dell’amministrazione italiana al rimborso di alcune cauzioni che erano state costituite a norma di un regolamento del Consiglio, dichiarato successivamente invalido. Il Tribunale di Roma chiede alla Corte se “la dichiarazione di invalidità di un regolamento comunitario abbia efficacia erga omnes ovvero sia vincolante solo nei confronti del giudice a quo”. La Corte risponde che “la sentenza della Corte che accerti in forza dell’art. 177 del Trattato, l’invalidità di un atto di un’istituzione, in particolare di un regolamento del Consiglio o della Commissione, sebbene abbia come diretto destinatario solo il giudice che si è rivolto alla Corte, costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione ch’esso debba emettere”. 85 Negli anni fra il 1971 e il 1974, Denkavit italiana ha versato all’amministrazione italiana vari importi a titolo di tasse sanitarie. Successivamente risulta che gli importi non erano dovuti, perché, secondo quanto nel frattempo affermato dalla Corte di giustizia, le tasse sanitarie costituiscono una tassa d’effetto equivalente a un dazio doganale. Nel 1978 Denkavit italiana propone dinanzi al Tribunale di Milano azione per ottenere il rimborso. Interrogata in proposito dal Tribunale, la Corte risponde che “l’efficacia diretta dell’art. 30 TFUE implica la possibilità di proporre alle autorità amministrative o giurisdizionali degli Stati membri, a seconda dei casi, ricorsi diretti contro tasse nazionali di effetto equivalente a dazi doganali, o domande di rimborso di dette tasse, anche per il periodo anteriore al momento in cui tale qualificazione è risultata dall’interpretazione della dalla Corte di giustizia. I termini e le altre condizioni procedurali perché Denkavit possa gire sono disciplinati dal diritto interno del giudice di fronte al quale l’azione di rimborso è stata proposta. 96 Le competenze dell’Unione europea 1 | Considerazioni generali in materia di competenza: il principio d’attribuzione Inizialmente il problema di come vanno delimitate e qualificate le competenze dell’Unione si è posto soprattutto per quanto riguarda la CE. Rispetto alle altre componenti dell’Unione, la CE infatti non soltanto ha avuto una vita molto più lunga, nel corso della quale si è assistito ad uno sviluppo ampio e articolato delle sue competenze. La CE era anche caratterizzata da un’impostazione sovranazionale, che la rendeva molto autonoma rispetto agli Stati membri, questi non sempre riuscivano a controllarne i processi decisionali, con il rischio che si verificasse una strisciante estensione delle competenze della Comunità (c.d. competence creep) senza passare attraverso la procedura di revisione e privando così gli Stati membri del loro potere individuale di veto. Il problema della delimitazione delle competenze è stato affrontato, a partire dal Trattato di Maastricht, principalmente con riferimento al TCE: in tale trattata è stato infatti inserito l’art. 5, nel quale venivano enunciati alcuni principi generali in materia: il principio di attribuzione, il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. L’esigenza di definire e (implicitamente) di contenere le competenze dell’Unione ha poi costituito uno dei temi centrali del dibattito e dei negoziati che hanno portato alla riforma del Trattato di Lisbona. È stato poi previsto uno speciale ed innovativo sistema di controllo del rispetto del principio di sussidiarietà affidato ai parlamenti nazionali disciplinato dal Protocollo n.2 sull’applicazione dei principi di proporzionalità e sussidiarietà. D’altro lato, il Trattato di Lisbona codifica e chiarisce la distinzione tra le varie categorie di competenze dell’Unione e fornisce una loro elencazione categoria per categoria. Trattando di competenze dell’Unione è necessario partire dal principio d’attribuzione (detto anche principio della competenza d’attribuzione). L’art. 5 par. 1 “la delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio d’attribuzione”; “in virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti”. In questa definizione si è posto l’accento sul carattere derivato delle competenze dell’Unione. Viene poi espressa l’idea della specialità delle competenze dell’Unione rispetto a quelle degli Stati membri: “Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”. La stessa idea è ripresa nell’art. 4, par. 1, TUE: “in conformità all’art. 5, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”. Il principio di attribuzione esige che per ciascun atto dell’Unione venga indicata la base giuridica su cui l’atto è fondato. Secondo la Corte “l’indicazione del detto fondamento giuridico s’impone anche alla luce del principio delle competenze di attribuzione”. La portata del principio di attribuzione risulta tuttavia ameno rigida di quello che potrebbe sembrare. Da un lato la Corte di giustizia ha ammesso che, pur in mancanza di un’espressa attribuzione di poteri, l’Unione possa essere considerata competente quando l’esercizio di un certo potere risulti indispensabile per l’esercizio di un potere espressamente previsto ovvero per il raggiungimento degli obiettivi dell’ente (teoria dei poteri impliciti).86 86 Tra i casi più celebri vi è l’affermazione della competenza comunitaria a stipulare accordi internazionali in materia di trasporti, pur la mancanza di un’esplicita previsione al riguardo, in forza del c.d. principio del parallelismo dei poteri interni ed esterni (l’Unione può concludere accordi internazionali in tutte le materie per le quali disponga del potere di adottare atti sul piano interno). 97 D’altro lato, i trattati stessi prevedono una sia pur parziale deroga al principio della competenza d’attribuzione, attraverso l’art. 352 TFUE. Tale norma è nota come clausola di flessibilità e dispone: “se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tale fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo”. Gli Stati membri, coscienti dell’impossibilità di definire in anticipo e con esattezza i poteri di cui l’Unione potrebbe avere bisogno per raggiungere i suoi fini, hanno consentito entro limiti molto ristretti e con il rispetto di una procedura rigorosa, l’assunzione autonoma di nuovi poteri. Da un punto di vista sostanziale, occorre che siano soddisfatte numerose e complesse condizioni: - la nuova azione deve apparire “necessaria nel quadro delle politiche definite dai trattati per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati” - “senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine” - La nuova azione non può “comportare un’armonizzazione delle disposizione legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati lo escludono” - E non può servire per il conseguimento di obiettivi riguardanti la PESC La prima condizione (necessità dell’azione) comporta un notevole margine di discrezionalità in favore delle istituzioni. La vastità degli scopi previsti è infatti tale che qualsiasi azione potrebbe essere agevolmente collegata con essi, qualora ce ne fosse la volontà politica Quanto alla seconda condizione (mancata previsione di adeguati poteri) la Corte sottolinea il carattere residuale della norma in esame escludendone l’utilizzabilità ogni volta che il TCE prevedeva un base giuridica alternativa. La terza condizione (esclusione di misure d’armonizzazione dei settori in cui non sono previste) mira ad impedire che le istituzioni possano aggirare un limite alla loro competenza espressamente voluto dai trattati. L’art. 353 affida alle istituzioni la scelta del tipo di atto da adottare, riferendosi genericamente a “le disposizioni appropriate”. Nella prassi sono stati fondati sulla norma in esame direttive, regolamenti e anche accordi internazionali. Ci si è domandati se, al di là delle esclusioni espressamente previste dal testo della norma, esistano dei limiti intrinseci alla possibilità di ricorrere a questa norma, che è evidentemente un minus rispetto alla procedura di revisione. Secondo la Corte, il vecchio art. 308 TCE non poteva “essere in ogni caso utilizzato quale base per l’adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica del Trattato che sfugga alla procedura prevista nel trattato medesimo” è perciò da ritenersi, in primo luogo, che la norma in esame consenta nuove azioni, ma non deviazioni o deroghe rispetto alla disciplina materiale fissata dai trattati. La stessa soluzione negativa vale per il caso in cui le disposizioni che si vorrebbero fondare sull’art. 352 siano tali da modificare, sia pure indirettamente, la struttura istituzionale dell’Unione, come delineata dai trattati. È invece possibile riconoscere all’Unione nuovi poteri, nel senso di consentirle di intervenire in settori non menzionati espressamente dai trattati.87 Una limitazione al ricorso all’art. 352 è determinata dal principio di sussidiarietà, il quale è applicabile ogniqualvolta la sola base giuridica disponibile per l’azione dell’Unione è 87 Nella prassi, l’art. 308 TCE è stato utilizzato per prendere possibile l’adozione di interventi nel campo monetario ed economico, in quello della protezione dell’ambiente, della politica regionale, della ricerca e dello sviluppo tecnologico, della politica industriale, della politica energetica e della tutela dei consumatori.