Scarica Il comune medievale, istituzioni e conflitti politici (secoli XII-XIV)” di Lorenzo Tanzini e più Dispense in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! PARTE 1: MASSIMO VALLERANI - GLI ASSETTI ISTITUZIONALI DELLE CITTA’ COMUNALI. Nascita città comunali = 12-14° secolo Suddivisione storia comunale: 3 fasi: 1. REGIME CONSOLARE 2. PODESTA’ 3. POPOLO Si tratta di una divisione imprecisa perché crea uniformità delle varie forme di regime che non corrisponde alla realtà. Fase iniziale del comune: REGIME CONSOLARE. ● Formati da 1 elitè governo, in carica 1 anno => si tratta di un’OLIGARCHIA TEMPERATA. ● Attraversato da modelli alternativi: ○ RETTORI UNICI → questi li vediamo soprattutto con Federico Barbarossa, che nominò al posto dei consoli i potestates, ossia magistrati imperiali. ○ COLLEGIO SOVRACITTADINI di RETTORI, nominato dalla Lega lombarda per mediare le dispute interne tra le diverse città, alleate contro la minaccia di Federico Barbarossa. ○ GOVERNI UNICI ○ COORDINAMENTO INTERCITTADINO. ● 1190-1220 = SPERIMENTAZIONI → in tutte le città italiane si succedettero governi consolari, podestà cittadini e forestieri, governi misti (composti da podestà cittadini e forestieri), Seconda fase: FASE PODESTARILE. ● richiede un magistrato unico forestiero, in carica per 1 anno o 6 mesi, sottoposto al controllo del consiglio → ruolo instabile tra esigenze del governo (affidate al magistrato forestiero) e il ruolo delle famiglie cittadine → di conseguenze: spinte x limitare/ampliare l’intervento podestarile. ● Nel 1° decennio del 200 vediamo nascere dei raggruppamenti di cittadini che producono quelle che vengono chiamate societates, le quali affiancano il comune: in alcuni casi collaborano con il podestà, altre volte si alternano al comune. ● metà 200: al podestà si aggiunge il CAPITANO DEL POPOLO, governo a traduzione popolare, guidato dalle élites della società che avevano dato vità alle societates, che si erano riunite in una struttura unitaria (il POPOLO) e a un CONSIGLIO DEL POPOLO e agli ANZIANI (= organo direttivo ristretto, che si occupa della guida della politica cittadina). Terza fase: il GOVERNO DEL CAPITANO DEL POPOLO. ● Il Capitano del popolo era un magistrato parallelo al podestà → conseguenze: ○ segna successo sistema podestarile, che viene preso come modello. ○ segna la crisi interna al sistema podestarile, per via della presenza di due magistrati paralleli. ● Il comune delle volte resta separato dal Popolo ● Altre volte si creò una nuova formazione + grande, ‘IL COMUNE DEL POPOLO’, dove il Popolo modifica la natura e le funzioni del Comune. ⇩ All'interno di questo sistema così complesso (regime consolare, fase podestarile, governo al capitano del popolo) maturano le cariche dei signori monocratici. figure eminenti dell’aristocrazia cittadina. Civitas, comune, consoli Compiti consoli = poco definiti inizialmente. Sul piano sociale: qualche dato in +: erano maggiorenti, rappresentanti degli interessi economici, spesso collegati alla curia episcopale. ● Cives = corpo collettivo che approva/prende decisioni in nome della città. ● 1090-1120: 3 PRESENZE COLLETTIVE CITTADINE: ○ CIVES = insieme collettivo e indistinto in grado di ricevere privilegi dalla città. ○ ASSEMBLEA DI CIVES = si riunisce per deliberare, emettere giudizi e approvare atti del vescovo. ○ CONSULES = nucleo di maggiorenti, che approvano le decisioni per conto della città. Come funzionavano queste forme di collettività urbana? qual'era il loro legame con la città? Alla base delle istituzioni cittadine vi è un nucleo di diritti della città, che doveva essere amministrato da qualche organo cittadino, insieme al vescovo. L’insieme delle concessioni date ai cives (intesi come abitanti della città) finiva per estendersi nel tempo anche ai successivi abitanti della città, che si caratterizzano come ‘privilegiati’ o esenti, ai quali erano intestati diritti di natura patrimoniale. Il godimento di diritti, o di esenzioni fiscali, permetteva di affermare l'identità politica di una collettività di persone. Erano diritti che lo stesso vescovo non poteva usare a suo piacimento. ma doveva condividerne la gestione con l’assemblea o con tutta la cittadinanza. A questa esigenza di coinvolgimento collettivo della collettività si legano le prime attestazioni del termine “comune”. N.B: civitas = indica: insieme cose che spettavano a tutti gli abitanti, oppure l’insieme dei cittadini => i cives (i cittadini) erano quelli che condividevano i diritti su cose/beni spettanti alla civitas (insieme cittadini). 11° secolo si riscontra nei documenti il termine ‘commune’ → non si fa riferimento all’istituzione comunale, ma si fa riferimento a una sfera di pertinenza pubblica dei diritti: i diritti spettano a tutti ‘in comune’ e richiedevano l'intervento di tutti i cives riuniti in assemblea, mediante una decisione collettiva. Il termine comune infatti viene ancora usato come aggettivo e non indica nessuna istituzione comunale. Mette però in evidenza la tensione verso una dimensione pubblica degli interessi collettivi, dove i cives sono gli aventi diritto e il comune indica la natura pubblica e collettiva di questi diritti. Nel 12° secolo i cives non sono solo testimoni o destinatari passivi di diritti, diventano attori diretti nella gestione dei diritti patrimoniali infestanti nelle città. Sempre nel 12° secolo, le collettività assunsero una funzione politica: la collettività diventa in parte autore o coautore insieme ai consoli. La sottolineatura del loro ruolo attivo evidenza la maturazione istituzionale degli organi cittadini. Sono anni in cui vediamo i consoli impegnati in un’opera di trasferimento di diritti patrimoniali verso la città mediante le investiture, a volte attraverso il coinvolgimento del vescovo. Il coinvolgimento di entrambi gli enti cittadini mostra un legame stretto tra città e episcopato. Nei primi tre decenni del 12° secolo emerge un’articolazione + complessa dei soggetti politici urbani: vescovo, consoli, popolo) infatti , comune → uniti dall’interesse in comune del bene (o dei diritti su quel bene’) oggetto della transazione. Il comune inizia a indicare così l’insieme dei bene del comune e l'ente che ne è l'intestatario. Troviamo numerose attestazioni dei consoli come 'rappresentanti' della collettività. Anche se la comparsa dei consoli non segna la nascita del comune, non c’è dubbio che la stabilizzazione della carica dei consoli si presenta come il processo + rilevante per la vita politica delle città del Regno Italico. Le ragioni di questa trasformazione: a. ingresso nuovi strati nell’aristocrazia militare media b. maggiore autonomie delle rappresentanze urbane c. complicazione gestione beni in comune, che richiede la presenza di magistrati urbani d. intensificazione guerre intercittadine, che richiedevano una guida politico-militare. I consoli provengono da gruppi sociali diversi (sono quindi un insieme variegato), anche se erano privilegiati i ceti sociali di livello medio-alto. Il consolato fu occupato da un gruppo di persone a prevalenza militare, ma socialmente composito. A tenere insieme persone diverse fu la loro scelta politica, di cercare di gestire e proteggere gli interessi cittadini e le consuetudini che le città avevano accumulato. La comparsa di collegi consolari è parallela alla maturazione politica del termine comune che ora indicava un’istituzione della città: il comune diventava soggetto dell’azione politica, in grado di ricevere beni, stabilire patti ed esercitare la giustizia. Ci sono casi precoci di questo uso come sostantivo. Naturalmente non tutte le città avevano un così alto livello di coscienza politica, ma tutte negli anni centrali del 12° secolo presentano uno sviluppo evidente del significato di comune che diventa un soggetto istituzionale in grado di compiere azioni. In tutte le città del regno alla metà del 12° secolo. dopo un lungo processo di definizione istituzionale, troviamo 3 soggetti coordinati: ● COMUNE = ente in grado di agire come soggetto giuridico ● CONSOLI = magistrati eletti annualmente che agivano a nome della città, su mandato di un consiglio dei sapientes. ● POPOLO = in alcuni casi doveva convalidare le decisioni prese dal consiglio, con un giuramento collettivo. Il comune era diventato quindi un’istituzione che incorpora cose e diritti che appartengono alla civitas e non ai suoi singoli cittadini → tutti conoscevano le cose comuni ed erano interessati alla loro gestione. I comuni, ora che sembravano aver trovato una forma + stabile, entrarono i conflitti con il potere imperiale, in particolare con Federico I Barbarossa. Federico I metteva sotto accusa la legittimità del potere dei comuni lombardi. Nel 1158 si tenne la dieta di Roncaglia, nella quale venivano elencati i diritti regi. Il diritto di eleggere i governanti delle città era infatti una prerogativa che i comuni avevano esercitato senza averne il diritto, secondo Federico I. Federico I non contesta i diritti in sé che erano stati esercitati dai comuni, ma contesta il possesso di questi diritti senza un'esplicita concessione regia. Mancava quindi l’investitura. Federico cercava di ristabilire una gerarchia dei poteri pubblici, ricorrendo al diritto romano e all’investitura feudale come strumento politico per costruire una rete di alleati-sudditi a cui delegare la gestione dei diritti pubblici sui territori dell'impero. In sostanza, l’imperatore voleva sottomette queste istituzioni pubbliche locali a un riconoscimento regio per ribadire che il potere esercitato da essi proveniva dal sovrano. Una volta affermato questo principio, Federico I accetta e promuove il consolato. Dopo che Federico distrusse per ben 2 volte Milano, impose un controllo regio dell’operato dei consoli: erano i consoli a eseguire gli ordini, a raccogliere le tasse e esser responsabili della città davanti all’imperatore. Lo stesso avveniva per le città alleate, ma con dei privilegi: Federico concesse dei diplomi agli alleati, lasciando ai consoli una quasi totale libertà d’azione e mantenimento di diritti. Ovviamente i consoli, oltre ad essere responsabili delle città, erano responsabili anche del contado → la pretesa delle città di coordinare un territorio politico grosso riceve negli anni federiciani una conferma importante. Federico intese la città in unione con il territorio. Sembra dunque che si venga a creare una situazione di stabilità, ma il conflitto tra comuni e imperatore inizia a inasprirsi e provoca una deviazione di questo modello imposto da Federico, in particolare dopo la seconda distruzione di Milano (1162, la prima era avvenuta nel 1158). In questi anni si decise di delegare il governo cittadino nelle mani di ufficiali regi, chiamati rettori o potestates (potestà). Questa autorità veniva nominata dall'imperatore e dunque era poco sensibile agli interessi della città. Il loro governo presto infatti divenne un ‘malgoverno’, che colpì negativamente la città. Persistevano comune privilegi concessi dall'imperatore alle città alleate, alle quali era concesso di mantenere il consolato (quindi non troviamo podestà imperiali). Queste eccezioni mostrano le diffidenze tra i modelli di governo attivi in quegli anni, che erano: 1. POTESTÀ IMPERIALI = che controllavano le città e i territori sottomessi 2. CONSOLI = eletti dalle città, ma investiti dall’imperatore e obbligati a assicurare la fedeltà delle popolazioni locali all'impero. 3. CONSOLI QUASI AUTONOMI. Fu in questa situazione che venne a crearsi la LEGA LOMBARDA = alleanza sovracittadina fra le città del nord italia, allarmate dalla politica di Federico I Barbarossa. La ribellione a questo sistema di controllo imperiale fu diffusa. La Lega Lombarda affermava l’integrità del territorio cittadino, del diritto di ogni città di esercitare la giurisdizione senza avere ingerenze dai vicini. Con la nascita della Lega L., nacque anche un collegio unitario e sovracittadino alle città, i RETTORI della Lega, che aveva il compito di risolvere le dispute territoriali e politiche tra gli alleati. I Rettori segnano un'innovazione politica importante, anche se di durata limitata. La Lega L. richiedeva agli alleati il rispetto dell'integrità territoriale di ogni città alleata, l’aiuto in caso di guerra e azioni coordinate contro nemici interni, che dovevano essere espulsi e perseguitati da tutte le città alleate. Un nemico di una città alleata diventava il nemico di tutte le altre città alleate. Questi indirizzi permisero alle città della Lega di resistere per un decennio alle pressioni imperiali e di imporre una restaurazione dei rapporti tra città e impero, questo con la tregua di Montebello del 1177 e poi con la pace di Costanza nel 1183. La pace di Costanza prevedeva una serie di concessioni alle città della Lega, tra le quali ricordiamo la concessione dei bene e dei diritti pubblici alle città. Le città dovettero ricostruire l’apparato istituzionale e politico del comune: venne I prologhi degli statuti dei comuni di Popolo esaltano la dimensione religiosa del comune, assegnano ai reggitori della città il compito di salvare il comune, il bene comune e la pace, la quale doveva essere perpetua al fine di salvare la civitas e assicurare la sua riproduzione → questo viene detto anche nello Statuto di Siena (1309), in cui viene descritto il compito dei Nove.Tra fine 200 e inzio 300 l’aspetto politico-religioso diviene preponderante, favorendo la creazione di monumenti giocati sulla contrapposizione dei regimi: - da un lato, i pericoli che minacciavano l’unità e la sopravvivenza del comune - dall'altro, il Comune che il Popolo doveva difendere e perseguire per salvare la città. Su questo impianto era costruito il grande ciclo di affreschi della sala della pace di Siena, arricchito con cartigli in volgare che illustravano a parole il senso di questa contrapposizione di modelli della città. Dietro tutto ciò emerge la consapevolezza che il governo della città era oggetto di una lotta fra il bene comune e il potere personale, fare il buon governo e la tirannia e che il Popolo si poneva come unica guida verso la salvezza. Esperimenti di potere monocratico: capitani, signori, dominati tra 200 e 300. In molte città dell’italia centro-settentrionale a regime monocratico mostrano una serie di esperimenti per assicurare una durata maggiore dei governi: 1. Un prolungamento della durata delle magistrature ordinarie (podestà e Capitano del Popolo), assegnate a un personaggio politico locale per + anni, andando contro i 2 capisaldi del sistema podestarile: a. l’origine forestiera del magistrato b. la durata dell’incarico. 2. Il 2° esperimento si ispirava a modelli di rettore monocratici e signorili, si trattava di rettori di emergenza trasformati in dominus, per assicurare una gestione accentrata del potere. 3. L’affermazione di una dominazione familiare dinastizzata. Da ciò emerge: a. il carattere emergenziale delle cariche, create spesso dopo rivolte/colpi di stato, come rimedi all’instabilità delle magistrature ordinarie. b. la coesistenza con l’apparato comunale basato sul podestà (il quale spesso veniva eletto dal dominus o estratto dai membri della propria famiglia) c. l’orizzonte temporale amplissimo che si è tentato di dare a questi regimi. Questo decennio di sperimentazioni vide l’intervento anche di altre forme di stabilizzazione politica dei governi comunali, sempre di carattere monocratico, ma di espressione sovrana: sono i casi dei rettori vicariali di Carlo d’Angiò. La dominazione angioina in Italia, 1267-77, prese le forme di un potere delegato, ma di fatto si assiste ad una destrutturazione dell’istituzione comunale, decisa dallo stesso consiglio comunale, caratterizzato da una riduzione dell’autonomia cittadina. Il comune non scomparve, ma si eclissò a favore di un potere sovrano superiore. Ciò non stravolse del tutto il comune, ma segnò un ulteriore passo verso il ricorso al regime di emergenza nelle città italiane: una sorta di dittatura concessa nei momenti di pericolo o di riequilibrio dei poteri interni. Condivisa da altri modelli monocratici, la durata perpetua delle cariche si affermò anche nei dominati signorili-dinastici, il 3° modello proposto, destinato ad aver maggior successo e durata. Questi regimi comunali dinastizzati vivevano spesso in collegamento diretto con altri domini familiari-cittadini alleati, con i quali si scambiavano podestà in circuiti chiusi. I regimi con maggiore successo erano quelli che coordinavano + città. E’ il caso degli Estensi a Modena e a Ferrara, il cui dominio fu seguito dai Visconti a Milano. In questi decenni finali del 200, accanto alla costruzione di regimi dinastici, si nota anche la diffusione di mandati pluriennali di emergenza in diverse città, sotto la copertura di titoli sempre + generici e indistinti. Le esperienze signorili cittadine lasciano trasparire una separazione fra il Come e il potere politico: il Comune era l’insieme degli uffici a cui era affidata la gestione di un programma di governo deciso altrove. Il debole equilibrio fra magistrato forestiero e il consiglio - fra un esecutore investito di ampi poteri e un’assemblea che dettava i contenuti di quei poteri - era ormai saltato. La concessione del potere a signori cittadini, re, condottieri, potenti di altre città, mette in luce quanto il Comune sia ormai lontano dal potere. (PG. 56-63 DEL LIBRO x farmi chiarezza). Il tardo comune e l’instabilità delle istituzioni. In tutte le città comunali: trasformazione del potere dovuta alle novità che minacciavano la città, il bene comune: - tendenza ad affidare le decisioni + importanti a commissioni ristrette di sapienti, autonome rispetto le assemblee cittadine. - eccezioni alle regole del sistema podestarile: es. sospendere i limiti temporali delle cariche, annullare i criteri delle maggioranze - gli Anziani e i Propri avevano un potere decisionale flessibile e adattabile ai singoli casi. Per il bene comune si potevano fare cose eccezionali, confidando sulla saggia gestione del potere da parte di una classe di eletti. Questa evoluzione centralizzatrice provocò tensioni e rivolte interne ai comuni di Popolo, che mise in crisi la natura comunale dei regimi. La successione tra le diverse forme di regime rendeva confuso il quadro degli assetti di potere. Era in atto uno scontro fra modelli politici differenti e i governi tirannici circondavano le città. Nel primi 30 anni del 15° secolo sembra emergere una stabilità politica, espressa tramite ideologiche, pratiche di governo che estendono l’attività di governi al di là del momento contingente, verso un orizzonte temporale + ampio di quello pensato dal Comune: un orizzonte non limitato dalla durata annuale delle magistratura.In questa nupova dimensione politica, il governo piega il regime al raggiungimento di un obiettivo + alto. la salvezza della città o del regime che le governava. In realtà in tutto il 15° secolo perdura un'instabilità degli assetti istituzionali. Anche le città stesse vivevano in una situazione di debolezza. Si delinea una sorta di paradosso politico alla radice dell'esperienza del comune: una tensione fra la stabilizzazione del quadro politico attraverso istituzioni comuni valide per tutti e l’affermazione di interessi di gruppi sociali particolari. Risultato: equilibri politici temporanei indispensabili per assicurare l’amministrazione dei beni, degli uomini e del territorio . PARTE 2: ALBERO LUONGO - UNIRSI E DIVIDERSI: SOCIETATES, CORPORAZIONI E PARTI. L’intero corpo sociale tendeva a riunirsi in organizzazioni +/- formalizzate → esito: ● nascita comune ● uomini e donne portati a concepirsi come parte di un gruppo Uomini e donne uniti X relazioni sociali (parentela/famiglia), per l’appartenenza ad una confraternita religiosa, ad una associazione di mestiere. fino ad arrivare alla dimensione politica. Elementi importanti da notare: a. mondo del 12-13° secolo: dinamico. b. differente concezione di pubblico e privato. Dimensione pubblica e privata erano strettamente intrecciate, e ciò si esprimeva tramite il giuramento alla base della maggior parte dei legami associativi: ogni gruppo nasceva come un patto volontario giurato da individui, il quale andava ripetuto ogni volta che ci si legava a una nuova associazione. c. carattere inclusivo ed esclusivo di ogni associazione: nel momento in cui una associazione decideva di includere determinati individui al suo interno, automaticamente ne escludeva altri non dotati di certi requisiti. d. se vi era un legame di solidarietà preesistente maggiore era la possibilità di incidere sul piano politico. L’associazione dei miles. All’origine dell’aggregazione sociale tra i miles vi era il legame di parentela, il lignaggio. L'esclusione delle donne serviva a mantenere nelle mani dei maschi il patrimonio e ad evitare dispersioni. La politica matrimoniale era decisiva nell’ incrementare il prestigio e le ricchezze del singolo lignaggio. Spesso ciascun lignaggio viveva in conglomerati di abitazioni contigue nei pressi della cattedrale, dove si concentrava la maggior parte delle stirpi aristocratiche → in alcuni casi i complessi edilizi dei lignaggi costituivano dei piccoli quartieri. Non si trattava di luoghi chiusi al resto della società (spesso si trovavano botteghe e case di artigiani e famiglie di estrazione modesta). L’elemento che li caratterizzava: le torri = simbolo e mezzo dell'attività militare. Fu proprio sulle torri che si concentrò una prima forma di societates aristocratica, chiamata ‘società di torre’. Si trattava di meccanismi di ricomposizione di soggetti politici attraverso accordi paritari tra soci. La diffusione di un accordo scritto è espressione della diffusione del contratto delle societates, caratterizzato dalla formalizzazione dei diritti e dei doveri di + soggetti, aventi finalità comuni e applicato alle diverse associazioni che sorsero fra il 1170-1230. Anche i milites diedero vita a compagnie caratterizzate da scopi economici. le compagnie di milites non erano istituzioni in grado di promuovere gli interessi dell'aristocrazia del comune, in particolare tra 12-13 secolo maturò il sistema podestarile-consiliare. Se prima le istituzioni consolari spingevano alla partecipazione di individui sempre nuovi, la successiva chiusura aumentò la coscienza identitaria della militia, facendone un gruppo sociale a sé stante contrapposto a coloro che erano stati esclusi dalle istituzioni comunali. I milites si dotarono delle proprie societates militum, governate da un collegio composto da un numero variabile di persone, detti consoli/capitani/rettori/podestà. Il loro grado di rappresentatività variava da città a città e non mancano casi in cui la militia si presentava divisa al suo interno. Fino alla metà del 200 l’obiettivo delle societates militum fu di riservarsi una quota di seggi nelle istituzioni comunali, di mantenere una potenza militare/ privilegi di natura fiscale/ gestione di beni comunali. Le guerre federiciane crearono tuttavia divisioni interne tra i raggruppamenti cittadini, spingendo alla creazione di parti politiche trasversali e mettendo fine alle società. Nella fase successiva non mancarono comunque societates militum, con funzioni diverse dalle omonime di pochi decenni prima, perché controllate dalle istituzioni popolari al fine di disciplinare il comportamento dei milites. In alcune città si vide una spinta all’associazionismo dovuto alla chiusura del Popolo contro i milites rivali, identificati come magnanti. Si trattava di unioni legate da motivi economici–politici, create per gestire i rapporti con il Popolo, senza che questo escludesse alleanze. Costante delle societates militum = attaccamento dell’intero gruppo a valori della letteratura cortese-cavalleresca.Tale persistenza era tenuta in vita da un altro tipo di associazione: le societates iuvenum → avevano una finalità ludica, mirata all’apprendimento e alla disciplina dei comportamenti dei giovani miles. tale periodo formativo si concludeva con il matrimonio, ma comportamenti sfrenati, tipici dell’esperienza giovanile, vennero praticati anche da militi maturi. L’associazionismo popolare. Struttura del Popolo era costituita perlopiù dal solo nucleo di genitori e figli, legati da legami familiari e economici + forti. L’ambiente in cui cercare una prima dimensione comunitaria era dunque il vicinato. Vicini erano coloro che partecipavano insieme alla vita religiosa della parrocchia e militavano nel medesimo reparto dell’esercito, poi vi erano una serie di altri compiti. Le vicinie avevano compiti di ordine pubblico. I rappresentanti della vicinia venivano eletti nella chiesa parrocchiale. Ciascuna vicinia si occupava della manutenzione della chiesa di riferimento e dei suoi arredi, dell’assistenza materiale e spirituale dei suoi membri e della loro sicurezza. Con i contrasti con i milites, tra 1180-1230, venne naturale ai popolari trovare nei legami di vicinato un modello per la costruzione di nuove societates armate in grado di promuovere i propri programmi politici. ● Tali società erano qualcosa di diverso dalle vicinie, anche se ricalcate su di esse. ● I bacini di reclutamento delle società d’armi potevano comprendere + circoscrizioni → quindi prob. erano le società d’armi a costruirsi i propri spazi di reclutamento. ● Il modello era sempre lo stesso: dei vertici (consoli, capitani, rettori) eletti a rotazione secondo delle norme, una sede e un vessillo. ● Dentro queste società a base volontaria i popolari esercitavano la loro partecipazione politica, potendo anche iniziare percorsi di affermazione personale. ● Il Carattere aperto di queste emerge chiaramente anche dalle testimonianze che ci sono giunte e pare che alla loro origine vi fosse un criterio relazionale: ciascuna società si componeva di individui appartenenti a reti di relazioni convergenti su un piano innanzitutto politico. Confraternite e corporazioni. Le spinte associative tra 12-13° secolo generarono nuovi raggruppamenti. Nacquero le confraternite laiche, questo si deve anche al fatto che le comunità parrocchiali non riuscivano + a soddisfare i bisogni religiosi di molti cittadini. Le confraternite laiche predicavano l’assistenza e la carità, rifiutavano la conflittualità in nome della pace. L’Alleluia e i Flagellanti, ossia movimenti di religiosità popolare di ispirazione mendicante, diedero vita a una serie di esperienze; in particolare i Flagellanti fondarono numerose confraternite. Queste esperienze ebbero risvolti politici. Negli anni 50-60 del 200 nacquero confraternite sovralocali che agirono anche sul fronte politico, lottando contro l’eresia. Il modello organizzativo delle confraternite laiche era ricalcato su quello societario. Le cariche erano elette da una maggioranza di appartenenti alla vicinia. Accanto alle confraternite nacquero anche le corporazioni artigiane e professionali → costituite da soci esercitanti lo stesso mestiere o uno affine. Alcuni elementi hanno fatto ipotizzare uno stretto collegamento tra le corporazioni e le confraternite → tra questi elementi: l’assistenza economica e spirituale, il mutuo soccorso (prestazioni di assistenza e sussidi nei casi di bisogno). Questa ipotesi viene rafforzata per via della tendenza delle prime associazioni di mestiere a strutturarsi come confraternite assistenziali per far fronte alla crisi dei poteri pubblici in età precomunale. Tutto questo conferma l’intrecciarsi di + dimensioni nella vita dei cittadini: in ogni gruppo in cui entravano, portavano qualcosa degli altri di cui facevano parte. Corpi e collegi erano già presenti nella Roma imperiale, ma fu con il tardo impero e con il periodo giustinianeo che essi divennero emanazione del potere centrale. Fu dalla crisi dell’inquadramento imperiale che risorsero le corporazioni (dette Arti, ordini o paratici) → struttura: patti giurati tra individui che svolgono lo stesso mestiere e delega della rappresentanza a organi regolati da norme scritte raccolte in statuti. Finalità: religiose – assistenziali – economiche. Strutturarsi in corporazioni voleva anche dire trovare una forma di riconoscimento ufficiale dalle istituzioni che consentisse ● di portare avanti le proprie rivendicazioni politiche ● di influenzare il governo Presto le associazioni di mestiere assunsero carattere politico, andando ad affiancare le società d’armi. Il riconoscimento delle corporazioni fece sì che le istituzioni comunali dovettero inserirle nel sistema politico vigente. Quindi le corporazioni andarono ad affiancare le società d’armi e le istituzioni comunali nel mantenimento dell’ordine comune. Si generò, quasi ovunque, l’obbligo di iscrizione ad una certa corporazione se si voleva svolgere quel lavoro (voglio fare il muratore = devo essere iscritto alla corporazione dei muratori). In alcuni comuni le Arti vennero divise in minori e maggiori; in alcuni comuni si verificano rivolte da parte dei mestieri che erano stati esclusi dalla politica. A volte la marginalizzazione di alcuni mestieri provocò conseguenze difficili da gestire (es. rivolta macellai senesi nel 1318, a cui parteciparono anche i notai esclusi dal governo). Il moltiplicarsi dei momenti associativi disorienta i leader dello schieramento popolare. Le società di popolo erano raggruppamenti politici che si rivolgevano all'intera cittadinanza, guidate da personaggi noti, spesso con la qualifica di Podestà/Capitano del Popolo. Gli organismi del Popolo costruivano una sorta di comune alternativo, con la creazione di propri consigli e tribunali, dotati di una burocrazia specifica e di risorse economiche. La sede delle società di Popolo tendeva a staccarsi dai luoghi tradizionali del potere. Spesso dovettero dotarsi di torri e castelli per reagire ai milites che facevano pressioni. Per creare consenso-sostegno e per trasmettere valori e progetti della causa popolare vennero usate le società d’armi e le corporazioni → ma le società d’armi potevano portare elementi ostili alla politica popolare (tra cui i milites) e le corporazioni al proprio interno non erano sufficientemente unite e spesso si creavano conflittualità tra mestieri affini. Come fare? La situazione varia a seconda dei contesti. La scelta era semplice solo nei casi in cui non si era affermata nessuna corporazione. In molte città l’avanzata popolare comportò una maggiore partecipazione dei membri delle società rionali ai consigli, senza la partecipazione di organizzazioni di mestiere. In altre città invece le corporazioni riuscirono ad affiancarsi alle società d’armi nella promozione della politica popolare. Lo sviluppo politico delle corporazioni dipendeva da fattori collegati alle singole realtà, legati comunque al peso economico che esse ottennero (non in tutti i casi però la città economicamente + potente era la corporazione + forte). Spesso fra società d’armi e corporazioni vi fu un avvicendamento a favore delle seconde, a seguito di un periodo di convivenza. I collegi di giudici e notai Nel confronto tra Popolo e milites, non è chiaro a quale dei due fronti appartenessero i notai, giudici e mercanti. Difficile anche definire il loro ruolo all’interno dei percorsi politici popolari. I giudici provenivano da famiglie di milites (anche se alcune vicende del 200 hanno aperto la carriera di giudice anche a 2. a proporre nuovi sistemi di relazione tra individui e le istituzioni. Questi processi ebbero anche un risvolto istituzionale con l’istituzione della magistratura podestarile; una delle capacità richieste al podestà era proprio quella di mediare e risolvere i conflitti interni alla comunità urbana. I due ruoli giunsero a sovrapporsi durante la campagna di predicazione condotta tra il 1232-33 dai frati minori e predicatori nel Nord Italia e nota come magna devotio (o Alleluja). L’idea del primo comune come società dominata dalla violenza e dai conflitti è determinata dal fatto che numerosi intellettuali cercarono di trovare nel passato le radici delle divisioni che scuotevano la città a cavallo tra 13-14° secolo. Meno attenzione ha riscosso il fatto che la pace interna del passato sia stata un elemento spesso sottolineato dai medesimi autori fiorentini, che vedevano il primo comune come un’epoca maggiormente tranquilla e armoniosa rispetto al presente. Sulla base di ciò, alcuni storici hanno costruito una continuità tra le rivalità interfamiliari del 12° secolo e le fazioni del tardo 200. Queste interpretazioni non reggono bene ad un'analisi attenta delle fonti, le quali permettono di distinguere bene fra i dissidi che scuotevano le società nei primi anni del 200. Il caso che ci permette di dimostrare la continuità dei conflitti fra 12-13 secolo e la successiva divisione frazionaria in pars Ecclesiae e pars Imperii è quello delle città venete, dove parti cittadine cercarono l’appoggio e il coordinamento con le grandi dinastie signorili dei da Romano e degli Estense, il che portò a consolidare gli schieramenti e a dar loro una dimensione sovralocale, consolidata con la costruzione di legami vassallatici. L’interpretazione continuista ha portato a parlare di famiglie guelfe e ghibelline anche per il 12-13° secolo. in tal modo la nostra percezione finisce per esser falsata. Parte della Chiesa e parte dell’impero. negli anni 40 del 200 i conflitti interni alle città terminarono per via del conflitto tra Federico 2° - Milano e i suoi alleati, appoggiati prima da papa Gregorio 9° e poi da Innocenzo 4°. La guerra fu combattuta sul piano militare e politico, dato che le due parti costruirono dei gruppi a far pressione nei centri urbani, al fine di condizionare le scelte dei governi e indurli a schierarsi sull’uno o sull’altro fronte, definiti come pars Ecclesiae (parte della Chiesa) e pars Imperii (parte dell’Impero). In questa strategia gli imperatori e i papi agirono in maniera differente. ● Federico 2° → utilizzo l’accusa di lesa maestà per tutti coloro che si opponevano al governo. Gli ufficiali inviati a governare le città nell’italia centro-settentrionale applicarono molto tale normativa e perseguirono chiunque si opponesse al governo. In questo erano favoriti dal fatto che la normativa non definiva dettagliatamente in cosa consistesse il crimine di lesa maestà, lasciando ai magistrati grande libertà di applicazione. Federico 2° richiese alle città alleate di esprimere grande consenso alle sue scelte politiche, reprimendo non solo chi si opponeva esplicitamente, ma anche chi dissentiva da qualche decisione. In questa situazione molti cittadini presero la via dell’esilio e nacque una forte scissione tra chi era rimasto in città, dimostrandosi fedele alla pars Imperii, e chi era fuoriuscito, schierandosi con la pars Ecclesiae. ● La Chiesa → puntò la sua persuasione dal basse. La predicazione si rivelò particolarmente efficace, tant’è che Federico 2° espulse tutti i francescani dal Regno di Sicilia. Nelle città del Regno d’Italia non era possibile fare altrettanto e l'azione dei frati rese instabile il potere imperiale, tant’è che non mancarono religiosi fatti condannare a morte dalle autorità imperiali. Un’attenzione particolare veniva poi riservata alle donne. Se in alcuni casi il coinvolgimento popolare fu limitato. in altri centri le capacità di persuasione della pars Ecclesiae si dimostrarono + efficaci. Inoltre la chiesa prese provvedimenti concreti, volti a procurarsi il favore del popolo. Gli anni federiciani rappresentano un vero salto di qualità nella storia della conflittualità all’interno delle città. Se i magistrati imperiali accusavano i membri della pars Ecclesiae, questa rispondeva sostenendo che la pars Imperii e andava contro l’ortodossia, dato che Federico, scomunicato e accusato di eresia, era visto come il capo di una setta e i suoi seguaci erano trattati come eretici. I malesardi, ossia i fuoriusciti politici, furono migliaia fra le due parti e rappresentarono una grande forza anche dal punto di vista militare. La morte di Federico 2° non pose fine alla conflittualità esterna e interna alle città: benché Innocenzo 4° avesse lottato per una riconciliazione, che includesse il rientro degli esuli, le divisioni fazionali tornarono a caratterizzare il quadro politico dell’Italia centro-settentrionale. I fitti legami tra le città e le famiglie che aderivano alla stessa pars favorivano la costruzione di legami solidi sovracittadini → ambiguità della divisione fra guelfi e ghibellini: ● da un lato, la divisione promuoveva fratture nel corpo sociale ● dall’altro, agiva come elemento unificante a livello intercittadino su scala regionale e peninsulare. Il regno di Sicilia fu determinante nella vita politica dell'Italia centro-settentrionale. Il Regno influenzò la vita delle città comunali a favore dell’impero e dei ghibellini. negli anni di Federico 2°, e a favore dei guelfi durante il dominio angioino. L’affermazione politica di Manfredi di Svevia nel regno di Sicilia e l’aperta ostilità del papato nei suoi confronti, favorirono una nuova radicalizzazione degli schieramenti. In decenni di violenti scontri, le parti si radicarono in profondità nel tessuto sociale delle città italiane e crearono solidi meccanismi di collaborazione, come le cosiddette ‘taglie’, ossia gruppi di mercenari arruolati da un gruppo di città aderenti allo stesso fronte. L’effetto di tale processo si vede negli anni 80 del 200, quando si verificò un rimescolamento di schieramenti e alleanze, senza che la conflittualità diminuisse. All’inizio del 300 i guelfi e i ghibellini rimasero senza punti di riferimento politici e militari sovralocali. La rivolta del Vespro in Sicilia (1282) e l’arrivo degli Aragonesi minacciarono il peso politico di Carlo 1° d’Angiò nell’Italia centro-settentrionale. Sempre nel 1282, anche il sovrano spagnolo, che aveva precedentemente cercato di proporsi come leader ghibellino, fu estromesso dallo scambio italiano. Per quanto riguarda il papato, l’emergenza del Vespro aveva assorbito l’attenzione di Martino 4°, distogliendolo dall’italia comunale. Erano così venuti a mancare quasi contemporaneamente tutti gli interlocutori esterni. attorno ai quali si erano coordinate le alleanze delle città centro-settentrionali, dunque era venuto a meno il valore di proclamarsi guelfo o ghibellino. Questo minò le alleanze che, rimaste prive di un centro attorno cui organizzarsi, finirono per destrutturarsi in una serie di rapporti di natura locale e regionale, talvolta conservando vecchie denominazioni di ‘parti della chiesa/dell'impero', + spesso abbandonandole. Dunque le divisioni tra 13-14° secolo furono ulteriormente attizzate dall’azione di Bonifacio 8° e da Enrico 6°. A partire dalla seconda metà del 200, la maggior parte dei cronisti dell'Italia centrale cominciò a inquadrare la conflittualità nello scontro fra pars Ecclesiae e pars Imperii. Questa schematizzazione ci rende difficile percepire le ambiguità e i cambiamenti di fronte. che furono assai numerosi, Allo stesso tempo l’inquadramento delle fazioni in pars Ecclesiae e in pars Imperii rischiano di trarre in inganno il lettore, poiché omologano sotto la divisioni tra guelfi e ghibellini realtà molto diverse e articolate dal punto di vista sociale, geografico e politico. Firenze ebbe uno sviluppo assai particolare: grazie all’appoggio di Carlo d’Angiò, i nobili della pars Ecclesiae costituirono un raggruppamento, la Parte Guelfa, che si impadronì e gestì a proprio vantaggio i beni sequestrati ai ghibellini fuoriusciti. Tutti questi beni permisero alla Parte Guelfa di agire autonomamente nella vita pubblica, talvolta in antagonismo con il comune. La Parte Guelfa ottenne ampi poteri nell’individuazione e nella repressione dell’opposizione ghibellina, tali da permettere di condizionare la politica cittadina. Nell’esperienza fiorentina ebbe un peso determinante Carlo d’Angiò. Tale esperienza non venne ripetuta negli altri centri dominati dagli Angioini, dove la matrice guelfa venne emarginata dalla gestione del potere e delle pratiche di giustizia. Ancor meno fu la visibilità degli organismi di una pars nei comuni aderenti alla pars imperii. Infine, vi furono città nelle quali le fazioni non assunsero alcun ruolo politico. Una politica di convenienza e di pacificazione non era né impossibile né incompatibile con le scelte di schieramento sovracittadino. Il peso delle pars fu quindi variabile da un centro urbano ad un altro. I dirigenti comunali potevano scegliere se governare la città cercando la pacificazione e la convivenza di tutti o optare per uno schieramento di partito ed escludere dalla vita pubblica coloro che non accettavano la scelta. Schierarsi con una pars significava identificare un nemico da combattere ed escludere dalla comunità cittadina. Il fenomeno dell’esilio politico fu una costante nell’Italia di fine 200 e in molti casi divenne una componente importante dell'identità civica: le partes potevano ridisegnare l'identità di una città/ comune, che in questo modo ritrova sé stesso. Il risultato di questa politica fu che l’uso del bando politico divenne endemico nell’italia comunale. A Bologna circa 10-12000 persone hanno lasciato la città per fuggire, o perché esiliate o contattate al domicilio coatto. Grazie allo strutturarsi degli schieramenti, gli esuli potevano contare su alleanze regionali, che assicuravano loro protezione e appoggio, Rappresentarono così un importante risorsa militare e uno strumento di pressione sulle città vicine. Gli avversari politici venivano allontanati anche per interessi economici, infatti le terre dei banditi venivano lasciate incolte o devastate affinché procurassero timore a coloro che pensavano di schierarsi con la parte sbagliata. Col diffondersi dei provvedimenti di espulsione e la durata sempre + lunga degli esili, ci si rese conto che la città si privava di redditi importanti, Prevalse l’idea di limitarsi alla distruzione delle case urbane, mentre gli altri beni fondiari venicavo esoproiati dalcomine e usati a proprio vantaggio. La gestione delle terre sequestrate agli esuli pose molti problemi. Esse venivano assegnate a cittadini fedeli alla pars, tramite appalti o assegnazioni dirette. Il patrimonio poteva essere assai consistente. Si vennero a costituire degli uffici appositi, come quello dei ‘giudici dei fuoriusciti’. Gli interessi in gioco erano enormi e dunque non c’è da stupirsi se chi aveva ottenuto una quota dei beni dei fuoriusciti, considerava pericolose le iniziative di pace, che avrebbero potuto obbligarlo a restituire ciò che aveva ottenuto. Il problema dell'attribuzione dei beni sequestrati diventava particolarmente acuto in occasione delle pacificazioni o dei rientri dovuti a ribaltamenti dello schieramento politico. Infatti, la reintegrazione dei fuoriusciti poteva suscitare conflitti e tensioni. La situazione era estremamente complessa: coloro che ritornavano dovevano presentare gli atti di proprietà che attestavano i loro diritti ao presentare testimonianze degli espropri subiti. Alcuni personaggi approfittarono della situazione e si impadronirono di beni, dichiarando illecitamente che erano stati sequestrati a loro per motivi politici. Esisteva dunque una dimensione economica nella lotta tra fazioni e dei procedimenti di bando, attorno ai quali si muovevano grandi interessi. L’eliminazione delle opposizioni e la possibilità di perseguire chi contestava l'operato del governo aprivano la strada alla possibilità di approfittare delle risorse collettive e delle casse comunali. L’accusa di baratteria, ossia di malversazione nell’uso delle risorse pubbliche, divenne a. uno strumento di lotta e di polemica politica, con cui le partes si accusavano vicendevolmente b. un efficace argomento per chi intendesse polemizzare con la conflittualità che divideva le grandi famiglie. Fratture verticali: MILITES E POPULUS. pag, 132. 13° secolo → vertici della politica comunale erano occupati dalle famiglie che fornivano i cavalieri per l’esercito, ossia i nobiles/milites → pluralità sociale → le città italiane privilegiavano la funzione rispetto al ceto: combatteva a cavallo chiunque possedesse le ricchezze da poterselo permettere. Alla pluralità sociale facevano da contrappeso la cultura, lo stile di vita e un sistema di valori condiviso ed omogeneo, orientati sull’onore, sul culto degli avi e del lignaggio, sull'ostentazione della ricchezza e delle abilità militari, a cui si aggiunsero nuovi valori e modelli ispirati alla letteratura cavalleresca. Dalla metà del 13° secolo si diffuse il fenomeno del rituale cavalleresco: l’addobbamento. I milites avevano ricchi e sicuri guadagni assicurati dall’attività bellica. Essi dovevano le loro fortune alle spedizioni portate a termine nei territori nemici, grazie ai riscatti prigionieri, ma soprattutto la superiorità nell’attività bellica consentiva loro di incamerare beni e denaro provenienti dalle casse cittadine. I profitti più ingenti provenivano dalla emendatio equorum, il diritto di vedersi rimborsate le perdite subite nelle battaglie. Le richieste erano spesso manipolate dai milites a loro vantaggio. Oltre questo beneficio, ve ne erano altri (assegnazioni di proprietà collettive, esenzioni fiscali, autorizzazioni a riscuotere dazi, ecc). L’ascesa del popolo mise in discussione il ruolo della militia nella società. Il conflitto tra milites e populus divampò nel 13° secolo. spinti dalla crescita economica e demografica che si registrò nelle città e dalle tensioni che queste generavano. Iniziò così un conflitto destinato a durare più di un secolo, che contribuì a modificare l’aspetto istituzionale e sociale. La prima fase del conflitto (1200-20). Tale conflitto favorì la trasformazione dei governo dei consoli a quello dei podestà. Inoltre, i popolari iniziarono a ottenere anche dei risultati. In molte città dell’Italia centro-settentrionale si assistette a un allargamento dei consigli, fenomeno osteggiato dai milites che rispondevano creando un consiglio parallelo. Il conflitto durante lo scontro con l’Impero (1220-50). Dal 1220 il conflitto tra milites e populus si intensificò. Il populus rivendicava una maggiore partecipazione politica. una diversa ripartizione della fiscalità, un’amministrazione della giustizia + equa, un controllo + efficace dell’ordine pubblico e del contado. Il tema della fiscalità straordinaria fu un terreno di scontro particolarmente acceso: fino a quegli anni, il calcolo della somma dovuta da ciascun individuo era avvenuto mediante l’utilizzo di soluzioni rozze e diseguali: il focaticum che stabiliva una quota uguale per tutte le famiglie, oppure la boattaria, che si basava sul possesso dei buoi. Il populus riuscì a imporre un nuovo meccanismo per calcolare la capacità contributiva: l’estimo. Quando il podestà istituiva l’estimo, tutti i capifamiglia dovevano dichiarare i loro beni immobili, a cui venivano aggiunti i crediti e sottratti i debiti. La cifra ottenuta fungeva poi da riferimento per la tassazione straordinaria, che diveniva così una tassazione progressiva, anche se alcune famiglie di milites vennero escluse. L’oggetto del conflitto divenne allora il tentativo di includere gli esenti nel pagamento delle imposte. La questione portò a degli scontri. L’abbandono delle città da parte dei milites fu una strategia di lotta → con questa tecnica, i fuoriusciti miravano alla paralisi del governo comunale e a costringere i popolari ad abbassare l’intensità dello scontro: l’assenza dei milites minacciava la cittadinanza: la cavalleria era una parte integrante e necessaria dell’esercito, il quale non poteva resistere molto senza. Se pur ramamente, capitò che la parte popolare abbandonasse la città. Entrambe le parti in lotta erano consapevoli che sarebbero dovute scendere a patti, ma non vi fu mai una trattativa diretta; tutte le ricomposizioni avvennero tramite un soggetto esterno, il vescovo/ il legato pontificio/ o un inviato dell’imperatore. Per riportare l’ordine in città scioglievano tutte le organizzazioni, con procedimenti che risultavano efficaci al momento. Non si trattava di una vittoria completa, il populus aveva però ottenuto la realizzazione dei suoi propositi: la fiscalità vedeva una ripartizione + equa, una parte delle cariche pubbliche erano destinate ai popolari, i consigli comunali si erano allargati. L’allargamento dei consigli ebbe come conseguenza una riduzione del peso dell’aristocrazia cittadina. Questa apertura stimolò l’adozione di nuovi criteri che regolassero l’accesso ai consigli: per esserne parte bisognava essere un cittadino, dunque bisognava risiedere in città, essere registrati all'estero ed essere arruolato nell’esercito. Di pari passo anche i sistemi di elezione si complicarono: bisognava scegliere i membri del consiglio secondo le diverse ripartizioni cittadine. La centralità dei consiglio come luogo di decisione e di mediazione del conflitto diede un forte impulso all’ideazione di nuove modalità di verbalizzazione delle sedute: la convocazione dell’assemblea come premessa del processo deliberativo, la questione posta dal podestà, gli interventi dei consiglieri, il conteggio dei voti. La seconda fase del conflitto (1250-80). 1230 = i conflitti interni alla nobiltà si intensificarono e si inserirono nello scontro tra Chiesa e Impero: nelle città nacquero due parti in contrapposizione tra di loro per il controllo del comune.La lotta del popolo proseguì sulla contestazione delle spese militari, a cui seguiva un ridimensionamento del peso che gli aristocratici avevano nella politica cittadina. L’inasprirsi della lotta diede il via a un processo di unificazione delle società territoriali (concluso negli anni della morte di Federico 2°): in tutte le città questi nuovi soggetti furono i nuovi interlocutori politici del comune e furono assistiti da un’assemblea collegiale che prese il nome di ‘anziani del popolo’. Nel momento in cui si realizzò l’unione, le società territoriali scomparvero dalla documentazione. La componente non nobiliare dei consigli poteva contare su una netta maggioranza e a questi si aggiungeva il fatto che molti tra i + importanti esponenti del popolo erano i cittadini + facoltosi. Il popolo ormai poteva ribaltare gli equilibri che avevano caratterizzato la scena politica e, infatti, a partire dalla metà del 200 che si assistette a un rinnovamento del gruppo cittadino. La morte di Federico 2° segnò l'inizio di una nuova stagione anche per altri motivi: durante il conflitto con l’impero gli strumenti fiscali introdotti dal popolo si erano rivelati efficaci per reperire e ottimizzare le risorse durante la guerra e per questo motivo si consolidarono, finendo per assumere un’importanza centrale. In questi anni si assistette al definitivo affermarsi delle liste: matricole della società, elenchi di idonei alle armi, di esclusi, estimi → strumenti che servivano a garantire una + equa ripartizione delle spese e che fungevano da contributo per la difesa del comune. Questi provvedimenti servivano anche ad evitare che la popolazione fosse danneggiata dalla speculazione sull'approvvigionamento cerealicolo. Queste norme colpivano tanto i milites quanto i popolani ricchi. Un problema non di poco conto, che si trovò a fronteggiare il popolo, fu quello di esercitare il potere attraverso organi che non rispondevano all’articolazione politica e agli ideali che avevano mosso il popolo. Eliminare le vecchie istituzioni non era possibile. La via che i popolari ritennero + efficace fu quella di creare nuovi consigli e uffici che si andavano a sommare a quelli esistenti. A partire dalla metà del 200 comparve il capitano del popolo, un ufficiale forestiero con compiti simili a quelli del podestà. In alcune città i consigli di popolo assunsero ampi poteri legislativi lasciando poche funzioni ai consigli comunali, che non scomparvero mai. Nella maggior parte delle realtà comunali è difficile riuscire a delimitare le funzioni del consiglio del popolo da quelle del consiglio del comune. Questa proliferazione istituzionale è stata letta come una vittoria della cultura popolare. Il principale elemento di novità del nuovo regime fu quello di garantire a numerosi cittadini maschi di far parte, almeno 1 volta, del consiglio del popolo. Questo perché l'accesso ai consigli e alle magistrature fu regolato da meccanismi elettivi e di rotazione delle cariche che prevedevano una durata limitata degli incarichi a 1 o 2 mesi. Fu in questi anni che in alcune città si superò l’aspetto podestarile e iniziarono ad operare i consigli di popolo e i collegi degli anziani, ma non si trattò di una transizione pacifica. Altrove, le magistrature di popolo sostennero un governo di tipo signorile. Il popolo delle città italiane scelse di condurre il conflitto politico attraverso alleanze con un esponente della militia favorevole alle due istanze. Tali esperienze di governo personale segnarono il superamento del modello podestarile nelle città italiane; queste prime signorie ebbero una durata breve, al contrario del conflitto che vide confrontarsi il popolo e la fazione rimasta in città. Altrove, si registrò un’alternanza di regimi di parte e di popolo. Il caso più celebre fu quello fiorentino, che ebbe un regime popolare tra il 1250-60. Nel 1266 il nuovo regime andò in crisi con le vittorie angioine, che permisero l’insediamento di una magistratura di popolo: gli anziani. L’anno successivo prese il potere la parte guelfa e gli anziani furono sostituiti dal collegio dei Dodici. Nel 1280 si posero a capo del comune i posizione di rilievo. Questo finiva per alimentare il richiamo all’intervento della porzione + numerosa-autorevole della città, ossia la sanioritas. Tra le regole che dovevano seguire i consigli troviamo anche regole sui modi ammessi i non per esprimere le proprie opinioni durante i consigli Le regole dei consigli rappresentano come vi fosse necessità di dare ordine e quindi mostrano anche come il confronto delle opinioni fosse tutto tranne che pacifico. Nei regimi cittadini del 200 il tema della disciplina/dell'ordine si rafforza e si generalizza: l’impiego di leggi per limitare i comportamenti inammissibili era quindi una caratteristica della cultura del popolo. Le regole ovviamente variavano poi di città in città. Stare in consiglio. Chi fa parte dei consigli raramente viene eletto, ovviamente viene scelto da qualcuno, ma non con votazioni. Un sistema ricorrente era quello delle elezioni ad brevia: in assemblee larghissime o nelle riunioni delle vicinie parrocchiali si estraevano a sorte rotoli di pergamena, alcuni dei quali portavano l’indicazione elector. Chi estraeva quel rotolo di pergamena era colui che decideva chi doveva far parte del consiglio. Chi è stato scelto fa parte di un consesso che rappresenta l’intera cittadinanza. Chi è stato scelto non è soggetto a mandati di alcun tipo, né limitati ne illimitati. Ma: come si fa a rappresentare la collettività se non è la collettività ad aver scelto il delegato? Possiamo rispondere a questa domanda dicendo che il consiglio + che rappresentare “è” la città, cioè ne esprime l’essenza + che le persone. Inoltre, moltissimi cittadini avevano la possibilità di sedere prima o poi nelle assemblee politiche, quindi si poteva ritenere che il consiglio fosse identico alla cittadinanza. Bisogna pur sempre ricordare che nel 200 era nata l’idea che vi erano certe persone + degne di altre, e che erano queste a dover sedere in consiglio. Le assemblee consiliari avevano funzioni molto varie: ● si stabilivano leggi e si emanavano provvedimenti → funzione deliberativa, che assunse molta importanza. ● ci si radunava per situazioni di immediata contingenza politica. ● lettura degli statuti ● entrata in servizio e il giramento di ufficiali forestieri ● la nomina di ufficiali cittadini ● emissione condanne penali gravi Per via di tutte queste funzioni, le assemblee venivano convocate continuamente. In certi casi, era una frequenza fissata da norme; ma, anche in assenza di regole, la frequenza poteva pure aumentare. Possiamo ipotizzare comunque una cadenza di 2 riunioni settimanali come media per la vita consiliare delle maggiori assemblee cittadine nel 200. La stima riguarda le assemblee di quei cittadini che non avevano avuto un ruolo pubblico se non quello di consigliere. A ciò dobbiamo aggiungere che, oltre ai consigli del comune, continuavano a riunirsi le assemblee delle varie corporazioni e società popolari → quindi la discussione collettiva è diventata un’esperienza quotidiana per un ampio n° di uomini adulti. La partecipazione al consiglio era un’opportunità ma anche un dovere: l’incarico non era retribuito, ma era considerato un obbligo dovuto alla comunità; infatti, accumulate un certe numero di assenze, l’incarico poteva essere revocato po comunque vi era una penalità in denaro. Il consiglio era una sede in cui si parla, in cui le iniziative politiche venivano esposte pubblicamente. La libertà di parole era però soggetta a restrizioni e deroghe: 1. l’ordine del giorno viene fissato dal podestà e i consiglieri non hanno la facoltà di introdurre temi da discutere per propria iniziativa. 2. numero massimo di interventi consentiti, al fine di non far degenerare la discussione. Certe volte il podestà o gli anziani formulavano la proposita generalis, prevista dagli statuti a cadenze periodiche: non si sottometteva al consiglio una proposta, ma si chiedeva all’assemblea di formulare proposte senza un tema fissato in precedenza. Qui era possibile portare istanze originali e non preordinate. Al di là delle circostanze, era molto facile che la discussione si animasse, giungendo a livelli ingovernabili. Dunque la moltiplicazione delle norme per regolare il caos durante le decisioni era un segnale della loro inefficacia. Solo chi intendeva pronunciare un discorso aveva l’autorizzazione di alzarsi per recarsi sul palco fissato per gli interventi; altre norme vietavano di contrastare apertamente quanto affermato da un altro consigliere, di usare parole ingiuriose , di interrompere o ostacolare le parti altrui. Tutte queste norme, nonostante avessero un’efficacia limitata, ci permettono di sapere come si svolgevano le sedute: i verbali delle assemblee sono standardizzati nella struttura e nel formulario. ● Il notaio doveva redigere un campionario dei diversi pareri espressi. ● Dopo aver discusso, bisognava misurare i pareri procedendo con la votazione. Il voto era l'elemento + moderno di tutta la procedura. Al momento del voto il parere di ogni consigliere valeva come quello di qualunque altro membro del consiglio. La decisione collettiva nei consigli cittadini era diversa da quella delle istituzioni regie, le quali contavano le decisioni per ‘stati’, ossia considerando ognuna delle collettività rappresentate. Per giungere al voto occorrevano alcuni passaggi preliminari: il primo era la definizione del testo su cui chiedere il parere del consiglio ed era poi necessario esprimere con chiarezza l’oggetto del voto. Nei primi tempi della storia dei verbali consiliari si usava far esprimere il voto su tutte le opinioni diverse pronunciate dai consiglieri. per conteggiare quella + gradita. Normalmente, si preferiva procedere restringendo la scelta a due alternative, in modo che il voto potesse esser espresso senza ambiguità con ‘si’ o ‘no’. Varianti significative si riscontrano a proposito della modalità di voto. a. La forma + antica di espressione del voto era quella che prevedeva che chiunque fosse stato favorevole alla proposta doveva restare seduto, chi era contrario doveva alzarsi. Nei consigli ampi questo metodo risultava incerto e per questo si invitavano i consiglieri a dividersi andato in un angolo o nell’altro della sala a seconda del parere favorevole o contrario. b. La votazione a scrutinio segreto richiedeva un cerimoniale. Ad ogni consigliere era consegnata una pallina che avrebbe inserito nel bossolo rosso per esprimere un voto favorevole, in quello verde per il voto contrario, con accorgimenti che rendevano impossibile scorgere in quale dei due bossoli fosse inserita la mano del votante. Altrove erano le palline a cambiare colore e non i bossoli. Il cerimoniale di votazione era avvolto da una particolare solennità e si faceva attenzione che i consiglieri non venissero influenzati dai pareri altrui. Quali erano i temi su cui si esercitava la vita consiliare? ● Di grande interesse era la materia fiscale e le spese militari. ● E’ però difficile definire dei temi in particolare. Nel complesso è raro poter cogliere un quadro definito: si guardavano le cose che erano necessarie e emergenziali. I consigli avevano un funzionamento complesso: i consigli si trovavano continuamente a delegare la formulazione di proposte specifiche. Di fronte alla varietà e alla complessità delle circostanze era abituale che l’assemblea individuasse un tot di cittadini in grado di decidere sulla base delle competenze. Questi vennero chiamati sapientes, termine che si riferiva all’espressione sapientes iuris, ossia i giuristi usciti dall'università, e dall’alta accennava alla sfera etica della sapienza. Questa pratica comunque non si traduce in una abdicazione dei consigli, infatti, delle volte, venivano stabilite delle commissioni stabili, con un reclutamento regolato. In altre città le commissioni di sapientes vedevano la partecipazione di figure che agivano in veste di incaricati “speciali”, ma che in altri momenti erano membri “ordinari”, ai quali le decisioni dei sapientes erano sottoposte prima di diventare operative. A Siena le commissioni delegate dal consiglio presero il nome di balie = commissioni consiliari speciali, che dovevano formulare decisioni impostate dall’assemblea. In Italia prenderanno vita consigli ristretti stabili, capaci di esprimere un orientamento politico, anche al di là della singola delega consiliare. 200= le città iniziano a dotarsi di corpora normativi, capaci di coprire tutti gli assetti della vita cittadina. Questo aggiornamento avveniva attraverso delibere del podestà e del consiglio. Nel corso del secolo divenne abituale affidare la revisione dello statuto a commissioni costituite da esperti del diritto o con la partecipazione di giuristi capaci di dare ordine alla mole di norme. Abituale era per le città comunali il riordino degli statuti da parte di commissioni tecniche, soggetti a approvazioni finali. Vi erano decisioni affidate a esperti anche esterni alle istituzioni. Fino all'inizio del 200 era comune affidare mansioni tecniche a religiosi, si trattava anche di frati e monaci cistercensi, o comunque di figure estranee alla società secolare e quindi + adatti ad essere imparziali e corretti. A coronamento di questi fenomeni, negli ultimi decenni del 200, le città governate da partiti popolari vedono l’emersione di consigli ristretti di governi, espressione di ceti dominanti. Questi collegi prendono il nome di Anziani/ Priori/ Consoli/ Conservatori. Si trattava di commissioni ristrette con incarichi a tempo ridotto. I collegi di governi, insieme ai loro consigli ristretti, avevano una posizione di privilegio rispetto ai tradizionali consigli e ampia libertà d’azione; infatti, le decisioni elaborate non venivano registrate nella forma verbale,con un resoconto dei diversi pareri, ma come disposizioni condivise e fissate. Le modalità di funzionamento dei consigli restavano le stesse, ma subirono un condizionamento molto forte da questi luoghi. le convocazioni in piazza continuavano e tale possibilità venne usata per forzare il funzionamento delle istituzioni: per costringere gli ufficiali in carica a prendere decisioni dubbie e difficili. per rovesciare il regime con la minaccia della piazza, per sancire l’assunzione di poteri da parte di ‘uomini-forti’ che venivano visti dalla piazza come 'signori'. Comunque, le convocazioni di massa avevano funzioni anche meno drammatiche. Queste diverse forme assembleari testimoniano un’incidenza della dimensione della decisione collettiva nella pratica della vita pubblica. Verso gli assetti trecenteschi. Prima metà del 300: nuovi elementi nella storia comunale. Troviamo elementi di irrigidimento e contrazione di meccanismi partecipativi messi in atto dai regimi di popolo, oppure casi di città che si orientavano verso regimi signorili, in cui il potere stava nelle mani di pochi individui e delle loro clientele. Il tema centrale di questa fase è il consolidamento: lo sperimentalismo dei secoli centrali si era consolidato in forme standard. Il problema di prendere decisioni all'interno di una complessa collettività è messo bene in luce da Marsilio da Padova, il quale scrisse il Defensor pacis, in cui Marsilio dice che il potere di fare leggi è della collettività di cittadini. Questa collettività si esprime nelle istituzioni e in una dinamica tra gruppi di sapienti e una platea di cittadini in assemblea. Marsilio dice: è utile che i cittadini affidino a saggi la scoperta e l’esame delle norme. Dopo che queste norme, future leggi, sono state trovate ed esaminate, devono essere proposte ai cittadini riuniti in assemblea, i cittadini meno saggi talvolta capiscono che in una proposta di legge si debba modificare qualcosa, anche se non sono in grado di scoprire la legge stessa. E, poiché le leggi che sono promulgate con l’ascolto e il consenso di tutti i cittadini, vengono apprese meglio e quindi nessuno dovrebbe reclamare contro esse → ciò riproduce cosa accadeva nell’italia del tempo. Era questo lo schema a cui, intorno al 1324, si stavano orientando i regimi popolari, guidati da collegi di governo. Nel corso del 13° sec. i consigli erano sede di decisioni e delega a circuiti ristretti. I collegi di governo popolari avevano assunto un ruolo simbolico. I regimi in cui il popolo prevalse tendono a presentare quest’ultimo come espressione della collettività. Il popolo aveva 2 accezioni: 1) comunità di fedeli; 2) senatus populusque romanus. Di conseguenza Anziani, Priori, Consoli dei collegi di governo popolare rivendicavano il primato di dignità rispetto tutte le altre forme di decisione collettiva da parte di consigli e collegi vari. Dal momento che la partecipazione era segno di identità di popolo, sarebbe stato inaccettabile venire meno al metodo della decisione collettiva. L’iniziativa di provvedimenti o di imprese legislative più ambiziose partiva dai collegi di governo ristretti, assistiti dai consigli di sapientes o da collegi competenti, per poi arrivare alla discussione nelle sedi più allargate, i consigli ordinari. Uno degli aspetti interessanti in questo sistema di delibera è che il passaggio da una sede di decisione all’altra poteva andare nei due sensi. Capitava che i medesimi consigli decidessero di affidare a collegi ristretti la decisione. Questa dislocazione andava e tornava dai collegi di governo popolare, ma la decisione era caricata da un significato di condivisione e autorevolezza. La dinamica consiliare è complessa, ma è comune che la decisione fosse formulata in una successione di riunioni diverse a composizione variabile. Una parte consistente di uomini adulti potevano partecipare alla decisione anche perché gli schemi di delibera venivano letti in volgare. Ad accentuare la dinamica della partecipazione diffusa contribuiva anche un altro fattore. Le strutture comunali si erano tradotte in una grande varietà di uffici a carattere amministrativo. Qualora vi fosse l’esigenza di deliberare su materie molto specifiche, succedeva che i collegi di ufficiali più vicini per competenza venissero coinvolti, o che agissero in prima persona sottoponendo ai consigli una petizione. Nei registri di deliberazioni di consiglio si riscontra una stabilizzazione anche degli esiti documentari. I registri di Riformagioni, Provvisioni, Riformanze si conservano in un numero significativo, Su tratta non di resoconti disordinati di riunioni, ma di delibere di consigli diventate norme vigenti nel sistema del diritto cittadino. Sul piano del diritto, il ruolo delle sedi di partecipazione era accresciuto. Anche gli statuti si trovarono a svolgere funzioni diverse. Esaminando i contenuti delle grandi compilazioni statutarie si può riscontrare che le rubriche erano delibere consiliari recenti, rielaborate e ordinate. La struttura delle delibere consiliari nel 300 esprimono le ambiguità e le contraddizioni della vita consiliare del tempo. Le riformanze erano chiare poiché la loro stesura era operata da collegi ristretti di sapientes o da consigli di anziani: alle convocazioni allargate era proposta una delibera già predisposta, alla quale ci si limitava a dire 'sì' o ‘no’. Quando l’assemblea rigettava la proposta questa veniva segnata in maniera approssimativa. Tutto ciò aveva delle conseguenze sulla vita delle assemblee perché da sede di discussione, il consiglio tendeva a diventare una cassa di risonanza delle decisioni prese all’esterno, rispetto alle quali poteva rispondere solo 'sì' o ‘no’. Nella documentazione del 300 le assemblee allargate vengono viste come luoghi di molta retorica e di poco potere reale. Allo stesso tempo, nelle fonti del periodo, vi è una certa retorica delle decisioni in sedi ristrette. I grandi numeri nei consigli avevano senso perché erano rappresentativi della collettività, ma, siccome spesso questi creavano confusioni, si preferivano i consigli più ristretti. Ma soprattutto le grandi assemblee non erano adatte a situazioni di emergenza politica: affollate e difficili da convocare e governare. Per questo il 300 è il periodo dei consigli ristretti. Ciò comportava la diffusione di limiti alla discussione e all’intervento dei consiglieri. Già nel 200 l’intento di salvare il regime in carica aveva indotti precisi divieti, volti a evitare discussioni sui punti ostili. Argomenti di natura urbana erano esclusi dai consigli. Quando il governo della città era assunto da un signore, queste limitazioni diventavano ancora + severe, e numerosi furono i consiglieri puniti. Nel 15° secolo troviamo diverse evoluzioni, esaminando i registri delle deliberazioni dei consigli: ● i registri vengono redatti su pergamena, con l’esclusione di proposte non giunte ad approvazione finale e con una forte semplificazione del dibattito. Anche l’intervento dei consiglieri viene riportato in maniera simbolica. ● i lavori consiliari perdono la vitalità che avevano nei secoli precedenti. ● In alcuni comuni compaiono ufficiali incaricati di intervenire in consiglio contro la proposta, in modo che i consiglieri potessero votare contro il governo → questo ci fa pensare che probabilmente il dissenso fosse quasi impossibile e che non avrebbe potuto esprimersi perché ingabbiato dalle regole e dagli equilibri di potere. La riduzione numerica dei membri di consiglio era dovuto: 1. alla diminuzione della popolazione 2. alla volontà di voler filtrare l’accesso ai luoghi di presa di decisioni; per questo motivo si diffusero sistemi + rigidi. In molti casi i consigli erano eletti da magistrature di Popolo; altrove si manteneva il sistema di estrazione a sorte, ma questo meccanismo veniva utilizzato partendo da liste di qualificati. Se guardiamo nel dettaglio alla storia comunale del 300 non diminuisce affatto la presenza di assemblee allargate, anche con una partecipazione vasta. Una conclusione. a. Le magistrature non venivano create fissando le relative attribuzioni. Ciò che contava nella delibera erano le procedure, cioè l’ordine e il modo in cui la decisione veniva presa. Questo modo di intendere le istituzioni aveva delle conseguenze: ● crebbero i luoghi di delibera → i consigli larghi o ristretti hanno composizioni mutevoli. forme di reclutamento non chiare ● dislocarsi delle funzioni e dei rapporti tra i vari uffici Una situazione del genere, anche se rendeva complicato il quadro della situazione, favoriva il senso di appartenenza dei cittadini e alimentava la coesione tra di essi. b. Tra 200 e 300 si assistette alla definizione di un modello ‘gerarchico’ dei modi di presa di decisioni → si sostituisce ad un sistema costituito da tante forme di delibera con tante assemblee, un sistema non meno articolato, che lascia le decisioni a un collegio di governo, rispetto al quale le altre assemblee sono complementari. c. Troviamo anche una centralizzazione del priorato, che rappresentava l'intera città e incarnava i suoi valori politici. d. In una situazione in cui la partecipazione e l’identità popolare era attribuita ad un ufficio centrale, meno forte era l’esigenza di riprodurre la varietà sociale nelle istituzioni. Per i regimi popolari maturi ciò che conta non è riprodurre la società, ma definire il luogo in cui viene elaborata la politica della comunità in quanto tale. e. Da un lato vediamo ridursi il numero di partecipati per la presa di decisioni, dall’altro accresce la dignità del consiglio come sede di identità cittadina. PARTE 5: LORENZO TANZINI - UNO SGUARDO AL 300. 300 = secolo del cambiamento: a. diffusione governo signorile b. emersione di leader (individui o famiglie) in grado di assumere il controllo +/- stabile del governo cittadino. c. costruzione di un dominio territoriale da parte delle città: non troviamo una tendenza comune a tutti i centri urbani, perché restano città senza territorio o con una scarsa capacità di espansione fuori dalle mura. Il fenomeno rispondeva anche a dinamiche delle società, tra le quali le competizioni per le risorse in centri abitati o la necessità operatori economici fuori dalle mura cittadine. La nascita di stati territoriali nella metà del 400 sarebbe stata la conseguenza di questo fenomeno.