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Il cristiano nel mondo - Introduzione alla teologia morale - Aristide Fumagalli, Sintesi del corso di Teologia

riassunto il cristiano nel mondo - introduzione alla teologia morale - aristide fumagalli riassunto completo, capitolo per capitolo, consigliato in aggiunta al libro.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 13/01/2016

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pippi93 🇮🇹

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Scarica Il cristiano nel mondo - Introduzione alla teologia morale - Aristide Fumagalli e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! IL CRISTIANO NEL MONDO – INTRODUZIONE ALLA TEOLOGIA MORALE – ARISTIDE FUMAGALLI INTRODUZIONE CARD. TETTAMANZI “Maestro, che cosa devo fare di buono?” (Mt 19,16) Rileggiamo l’episodio del giovane ricco nel Vangelo di Matteo, come spunto per lo studio della morale. Quando chiede a Gesù che cosa deve fare per essere buono, alla risposta di osservare i comandamenti dice che già li osserva. Alla proposta allora di vendere tutto quello che ha e dare il ricavato ai poveri, se ne va triste, perché possedeva molte ricchezze. 1. Il desiderio dell’uomo All’inizio della parabola c’è la domanda di un uomo che non è definito nel suo aspetto e nel suo ruolo. L’anonimato serve a rendere l’interlocutore un individuo qualsiasi e simbolo di ciascun uomo. Infatti egli chiede il modo per assicurarsi una vita eterna felice, per avere vissuto una vita piena: la felicità è il desiderio di ogni uomo e ogni scelta è volta alla sua conquista. C’è tuttavia una differenza tra i modi d’intendere la felicità: per la gente comune si tratta di qualche cosa di visibile, come la ricchezza, la salute. Per i sapienti si tratta invece di qualche cosa di più. Alla base della domanda c’è una convinzione universale, insita nell’uomo: per conquistare la felicità si deve fare qualche cosa, si deve agire; e quel qualche cosa è il bene. C’è pertanto nell’uomo un legame naturale tra la felicità e il fare bene: legame che possiamo chiamare coscienza. 2. La legge di Dio Gesù gli risponde dapprima interrogandolo sui motivi della domanda e poi gli fa notare che solo Uno è il ero Bene, e lo invita a rispettare i comandamenti, suddivisi nei tre della prima tavola che riguardano Dio, e nei sette della seconda tavola che riguardano il prossimo. Infatti Gesù li ha sintetizzati nei due comandamenti dell’amore. Ma il giovane risponde che già li rispetta e quindi la sua domanda rispecchia il desiderio di andare oltre. 3. La sequela di Gesù Gesù risponde proponendo di vendere tutto quello che ha e dare il ricavato ai poveri. Si potrebbe dedurre che la perfezione, l’amore, corrisponde solo alla carità verso il prossimo, a un impegno sociale. Invece il vero senso si spiega nella conclusione dell’invito di Gesù: vieni, seguimi! Perciò: l’amore verso il prossimo in funzione del Signore: questa è la morale cristiana. Come vivere nell’attualità questa morale? Il Maestro che ci insegna i comandamenti è sempre presente in mezzo a noi. Ha promesso agli apostoli lo Spirito Santo, che avrebbe ricordato loro ogni momento i comandamenti. Oggi la morale è ecclesiale: nella Chiesa si ricorda la Parola, si somministrano i Sacramenti e si testimonia la carità di Cristo, l’amore per l’uomo. È perciò una morale cristocentrica. C’è uno sviluppo verticale: la Trinità; c’è uno sviluppo orizzontale: la comunità cristiana. Epilogo Nella difficoltà del giovane a cambiare vita si può vedere la difficoltà dei giovani d’oggi a fare scelte di vita radicali. Nella difficoltà a rinunciare ai suoi beni si vede l’atteggiamento degli avari. Nell’uno e nell’altro caso, Gesù dice ai discepoli che difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli. (è più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago). Agli apostoli perplessi spiega che non intende con questo condannare all’impossibilità, perché se all’uomo la salvezza è impossibile, a Dio tutto è possibile: quindi occorre affidarsi a Dio. In ogni uomo c’è il desiderio di felicità eterna (tema iniziale) e però è difficile conquistarla rinunciando alla felicità terrena, perché i piaceri terreni possono allontanare dal desiderio di una felicità divina. È necessario non stancarsi di tenere presente al nostra guida, Gesù, per incamminarsi verso Dio, in cui trova pace il desiderio che l’uomo ha nel cuore. In vista di questa testimonianza, lo studio della teologia morale è auspicabile e prezioso. PARTE 1° - FEDE CRISTIANA E AGIRE MORALE - PADRE ARISTIDE FUMAGALLI CAP. I: I LEGAMI DELLA LIBERTÀ ‘Io sono la vite, voi i tralci’ (Giovanni, 15,15) In questa allegoria sta la morale cristiana, che consiste nel legame tra Gesù e gli uomini. 1. Morale ed etica Il vocabolo morale, usato in italiano anche come sostantivo, deriva da un aggettivo latino che significa abitudinario, legato all’usanza (mos.moris). Il sostantivo etica deriva dal greco e indica sia l’abitudine, l’usanza, sia il carattere. In italiano (e anche nel testo di Fumagalli) si usano come sinonimi, mentre il concetto di etica morale indica ciò che caratterizza l’agire umano. 2. La presunta libertà Nella civiltà classica l’etica si è sempre fatta dipendere da Dio, il comportamento dell’uomo era strettamente legato al volere divino, come un tralcio non può dare frutti se non è collegato alla vite. La filosofia moderna ha cercato di dare un valore autonomo all’etica (o morale); il massimo si è raggiunto con il filosofo Immanuel Kant: la sua etica dipende solo dalla ragione dell’uomo. Il filosofo Nietzche (pron. Nice in italiano) ha tolto di mezzo Dio e i filosofi postmoderni accentuano la liberazione da ogni dovere morale. La metafora più adatta per rappresentare l’uomo postmoderno è quella del turista, che vaga a piacimento e non prende dimora da nessuna parte, ma rimane in ogni posto fino a che ne ha voglia. Tuttavia, In questo modo la era libertà individuale sarà sempre qualche cosa di rincorso, ma mai raggiunto. Identifichiamo la libertà con il non avere nulla da fare, ma è impossibile non fare nulla. Perciò passiamo a identificarla col poter fare ciò che si ha voglia, ma anche questo è un concetto impreciso, perché spesso non coincide con ciò che si vuole che non è fatto di voglie passeggere, ma di qualche cosa di duraturo. Quindi sapere bene ciò che si vuole è importante, ma il volere non ha tregua, perché ciò che si vuole non corrisponde a ciò che si ottiene: resta sempre qualche desiderio in più. Si ha libertà di scelta, ma si sceglie comunque sempre qualche cosa da fare. Perciò la libertà, se è libertà di volere, non finisce mai. La libertà è azione. 3. La libertà legata La libertà è condizionata da tre fattori: il corpo, il mondo, gli altri. Il corpo la condiziona per le sue necessità fisiologiche e per i suoi limiti: si ha la libertà di spremere al massimo il corpo per ottenere ciò che si vuole, ma questo può portare anche a conseguenze negative. Anche la libertà di soddisfare alcuni piaceri (ad esempio il fumo, l’alcol) condiziona le reazioni del corpo. Inoltre, il corpo ha limiti biologici: la nascita, la crescita, l’età, l’invecchiamento, la morte, fenomeni dai quali la libertà è fortemente condizionata. Il mondo è il luogo dove viviamo. Siamo strettamente legati ad esso, inteso come natura. I fenomeni ecologici negativi di questi tempi ci fanno capire quanto le nostra libertà sia condizionata dal mondo. L’evoluzione sbagliata che l’uomo ha favorito in nome della libertà ha alterato un legame che l’uomo ha indissolubilmente col mondo. Gli altri sono quelli che popolano il mondo, che non è fatto solo di cose. Gli altri ci mettono al mondo e ci aiutano a crescere. Da altri dipendiamo quando siamo piccoli e in condizioni di non autosufficienza, ma gli altri condizionano la nostra libertà, che finisce dove comincia quella degli altri. La condizionano anche perché i rapporti cogli altri non sono sempre solo positivi. Limitano la nostra libertà, perché ci sono anche persone negative che ci ostacolano. (P. es. tutti i furti, non abbiamo la libertà di stare in casa nostra e di proteggere le nostre cose.) 3. L’amore come legge La rivelazione di questi dinamismi dà il fondamento della teologia morale. Gesù rivela che, quando sarà salito al cielo, attirerà tutti a sé. Ciò avverrà attraverso lo Spirito santo, che infonderà (come precisa san Tommaso) la forza per seguire la legge divina non come precetti esteriori, ma come una morale fatta propria, che viene dall’interno: questa è la nuova morale prospettata e realizzata dal Cristo. Questa nuova morale, insita nell’uomo, si avvale anche di un testo scritto (le tavole) e quindi non è un tesoro sepolto nel cuore dell’uomo, ma deve essere portata all’esterno, per diventare atteggiamento di vita, agire. Sant’Agostino cita come emblema della morale cristiana il discorso della montagna (beatitudini) che è anche dimostrazione della libertà di scelta. Sempre, si tratta di una morale basata sull’amore. Il paradigma più forte e conclusivo, da Lui stesso dimostrato, è l’amore e il perdono per i nemici. La legge dell’amore è interpersonale, perché si esprime tra almeno due persone; è obbligatoria, perché è prevista anche dalla legge (non uccidere, non rubare ecc.); è universale e immutabile, perché riguarda categorie che valgono in ogni luogo e in ogni tempo; è graduale, perché non si ferma al primo gradino, ma segue un cammino continuo, un percorso che porta alla conquista dell’eternità. CAP. III: I DINAMISMI DELLA LIBERTÀ 1. Analitica dell’atto La legge morale è immessa nell’uomo dallo Spirito e presuppone libertà d’agire, altrimenti sarebbe un’imposizione violenta e non è ciò che Dio vuole dagli uomini. Come detto, seguire questa legge morale significa comportarsi secondo essa, cioè dimostrare di seguirla, con le proprie azioni e la propria vita. L’agire morale richiede una continuità e su di essa si pongono domande riferite al passato, al presente, al futuro: che cos’hai fatto, che cosa stai facendo, che cos’hai intenzione di fare. Se non si facessero queste domande, l’agire sarebbe valutato solo dopo la morte, quando sarebbe compiuto, ma in questo caso l’uomo non potrebbe valutare la sua vita e quindi verrebbe meno la sua responsabilità e anche la responsabilità morale. San Tommaso distingue tra gli atti propri del genere umano (naturali) e gli atti desiderati dall’uomo (liberi): distinzione antica. Ma l’uomo è insieme spirito e corpo, pertanto non possiamo incasellare ogni azione in una delle due categorie, ma ci sono azioni che sono intreccio di azione e passione, cioè un insieme delle due categorie. L’agire morale vede come limite inferiore l’azione ‘sfuggita’, cioè quella proprio istintiva; al limite superiore l’azione ‘differita’, cioè quella legata alla volontà, alla libertà di scelta e quindi preparata. Ogni azione differita ha perciò dei tempi: il tempo del volere, del progetto, della scelta, dell’efficienza e infine della gioia o soddisfazione. In questo tipo d’azione, la libertà è sempre presente e ogni azione richiede lunghezza di tempi diversa. All’interno di ciascuna azione ci sono un oggetto che non dev’essere solo fisico, ma collegato al bene o al male, quindi scelto; ci sono le circostanze, che rispondono al concetto già espresso di limiti della libertà, non modificano la qualità morale dell’azione, ma concorrono ad aggravarne il concetto positivo o negativo (Es..: se un povero fa l’elemosina, dona ciò che gli serve per vivere); c’è un fine, che a volte è diverso dall’oggetto: per esempio rubare ai ricchi (oggetto cattivo) per soccorrere i poveri (fine buono). 2.Metafisica dell’atto Per lungo tempo la riflessione morale si è concentrata sull’atto, l’atto preso singolarmente e in particolare l’atto negativo, cioè il peccato. Si giudicava l’atto senza giudicare il soggetto che l’aveva compiuto. La più recente teologia morale ha preso in considerazione l’agente, cioè colui ce compie l’atto. L’agente decide quale atto compiere, usufruendo della sua libertà. La scelta è pro o contro il Bene, pro o contro la Verità, pro o contro Dio. La scelta in confronto del bene fondamentale, Dio, è detta ‘opzione fondamentale’. L’opzione fondamentale non è una scelta particolare che porta a un singolo atto, ma è ancor più dell’insieme di tutte le scelte e di tutti gli atti della vita: essa va oltre ed è in continuo cammino, alla ricerca di un perfezionamento, si concreta nell’amore e non si completerà mai. Per capire e giudicare l’agire morale dell’uomo, bisogna tenere conto dell’insieme dei suoi atti e dell’opzione fondamentale, che sono strettamente intrecciati (ogni atto dell’uomo risente della sua opzione fondamentale, cioè della sua scelta di un criterio di vita). L’opzione fondamentale si attua mediante scelte consapevoli e libere: consapevolezza e libertà introducono il tema della coscienza morale. Grazie alla coscienza, l’uomo distingue il bene e il male. Per i filosofi moderni, detti maestri del sospetto, la coscienza è in generale una sovrastruttura che limita la libertà. Per la morale religiosa, la coscienza è la capacità di percepire e decidere quali relazioni intraprendere con il mondo esterno. La coscienza è una capacità percettiva, come ad es. l’udito. Come l’udito ha bisogno del suono per esercitare la sua funzione, così la coscienza ha bisogno della presenza o dello stimolo esterno, per operare la sua scelta in base ad esso, secondo la propria morale, volta al bene o al male. (Si dice ‘una scelta secondo coscienza’). Consideriamo alcune relazioni tra la coscienza e l’esterno: - relazione ambientale con la natura e la cultura - relazione interpersonale con il corpo - relazione interpersonale con il prossimo - relazione religiosa con Dio Dal Concilio vaticano II emerge che la coscienza è il sacrario dell’uomo, il nucleo più segreto dove egli si trova a stretto contatto con Dio. È un’eco della voce di Dio. In particolare, un’eco dello Spirito infuso nell’uomo. Quando l’uomo usa la coscienza, usa la propria libertà per entrare in relazione con Dio e, attraverso di Lui (sempre tenendo come riferimento i comandamenti dell’amore), in relazione con l’esterno. 3. Storia dell’atto Quando l’uomo agisce, opera pro o contro Dio. Quando fa una scelta di ordine morale, cioè compie il bene, ne entra in possesso e diventa buono. Da qui deriva la sua virtù, che può essere definita la storia buona della libertà. Se compie il male, ne deriva il vizio che è il contrario della virtù, con potere disgregante. Le virtù sono ramificazioni di uno stesso albero, il bene. Ci sono tre virtù teologali, cioè rivolte a Dio, nell’affidarci a Lui: fede (credere), speranza (nel conseguimento della meta del proprio cammino), carità (amore su cui si fondano le scelte del cammino). E tre virtù cardinali, cioè basilari: prudenza (saggezza), giustizia (da eseguire nei confronti del prossimo e da attenderci da Dio), fortezza ( coraggio della scelta verso il bene), temperanza (moderazione al momento di qualunque scelta). La virtù (come la coscienza) è inserita nell’uomo dallo Spirito, è la forma spirituale della libertà, una libertà che fa agire sempre verso il bene. Mediante le sue singole scelte, che si concretizzano nei singoli atti, l’uomo costruisce la propria coscienza morale, il proprio cammino morale, la propria storia umana. Vi è un processo graduale, che porta alla conquista della meta, come già detto, consistente nella felicità eterna, che si potrà compiere solo travalicando la vita. CAP. IV: LE SCELTE DELLA LIBERTÀ La libertà si trova continuamente di fronte a una scelta tra il bene e il peccato. Gesù è la vite e i discepoli i tralci. Il male è impedire alla linfa (Spirito) di scorrere nei tralci. Il peccato è la frattura definitiva del tralcio. Il peccato è anche il rifiuto dell’amore, il disamore. Le forme principali del disamore sono riassunte nei vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia. Il peccato non è un atto a se stante, ma anch’esso fa parte di una disposizione generale: l’indurimento del disamore, fino alla provocazione della frattura. L’indurimento comincia col peccato veniale: si tratta quindi di un processo graduale. Il peccato veniale porta gradualmente a quello mortale, che si ha quando sono presenti i tre elementi: avvertenza piena, deliberato consenso e materia grave. La materia grave consiste nella violazione di uno dei Comandamenti; l’avvertenza piena (consapevolezza di quello che si fa) e il deliberato consenso (scegliere di fare il male secondo libertà) derivano dalla coscienza (di cui si è parlato in precedenza). In sostanza, il peccato mortale è un atto contro l’amore per il prossimo. Se il peccato è l’opposizione all’attrazione dello Spirito (come già detto), il ritorno ad affidarsi a questa attrazione è il pentimento, o la conversione. In seguito alla conversione, il primo atto da compiere è evitare le occasioni di peccato, cioè le tentazioni, che sono diaboliche, ma operano attraverso le cose del mondo, con la concupiscenza, cioè l’accettazione della tentazione del demonio. Nella Genesi (peccato originale) si dimostra come la tentazione faccia vedere in modo alterato la realtà (il mondo) e sia seguita dalla concupiscenza, cioè dall’accordo dell’uomo, decisione di comportarsi secondo la tentazione: l’uomo ascolta il demonio, agendo in piena libertà. La libertà permette di scegliere tra il bene e il male. Tuttavia, può accadere che la differenza tra bene e male non sia chiara, quando ci sono valori sullo stesso piano: sono omogenei, sono entrambi urgenti, la realizzazione dell’uno significa l’esclusione o la perdita dell’altro. Quindi in questi casi è difficile capire quale sia il bene; questo accade perché l’uomo sulla terra è ancora vincolato da limiti, non si è ancora compiuto l’avvento del Regno dei Cieli. La teologia morale cerca di dare un indirizzo da seguire, cioè cerca di istruire la libertà, formando e sviluppando in ciascuno la coscienza. Anche la coscienza risente dei limiti umani e quindi indurrà l’uomo ad agire in modo diverso secondo le circostanze. Lo Spirito santo serve ad istruire l’uomo, perché sappia in ogni occasione fare la scelta giusta, pure nella sua libertà. Lo Spirito santo è dunque il propulsore del rapporto tra uomo e Dio e si manifesta in luoghi e modi diversi. In particolare, oltre a manifestarsi nella lettura delle Scritture, si rivela nei Sacramenti: ciascuno di essi serve alla formazione della coscienza. Il Papa e il Vescovo sono preposti all’insegnamento della dottrina, cioè ad aiutare la comunità cristiana a comprendere il dono dello Spirito santo. CAP. II: UN NUOVO MODO DI GENERARE? Nel 1978 nasce Louise Brown, la prima bambina generata in provetta. Vi sono reazioni diverse: alcuni sono perplessi di fronte alla manipolazione dei gameti da parte di scienziati e medici; altri esultano perché in questo modo si supera il concepimento naturale, soggetto al caso e alle emozioni: si passa dal concepire un figlio al ‘farlo’. 1. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita Ci sono due procedimenti diversi di fecondazione assistita: in vitro (o extracorporea), quando l’incontro del gamete maschile con quello femminile avviene in provetta; corporea, quando l’incontro avviene nel corpo della donna, attraverso le vie genitali femminili. Il contributo esterno alla coppia può riguardare sia gli spermatozoi (maschio), sia gli ovuli (femmina), sia entrambi (e allora come fanno a dire che quello è loro figlio?, dico io). Si è semplificata la donazione di sperma, in quanto gli spermatozoi si possono conservare congelati; si sta perfezionando la congelazione degli ovuli. Ma l’intervento di estranei può spingersi oltre, quando ad esempio (maternità surrogata) un’altra donna accoglie nel proprio utero l’ovulo fecondato di un’altra coppia, per portare avanti la gestazione. (anche qui, di chi è il figlio?). Al di là del discorso morale, c’è prima di tutto la frammentazione della figura paterna: chi è il vero padre? Va considerato che la procreazione è un procedimento complesso, che implica tutta la persona maschile e femminile, che è responsabile con tutta se stessa e non solo in parte. Tutta la persona: infatti ci sono tre fasi che portano a questo evento, la preparazione dalla pubertà all’età matura, in cui si manifestano le differenze sessuali dell’uomo e della donna, che cambieranno completamente il fisico e le reazioni; la gestazione dal concepimento al parto; la fase centrale che costituisce uno stacco e un cambiamento tra questi due momenti, cioè la fecondazione, quando le due cellule si compenetrano. Tutto questo comporta un coinvolgimento psicologico: generare un figlio significa anche generare un padre e una madre. C’è un impulso che spinge ad avere un figlio, impulso costituito da più elementi: desiderio di trasmettere i propri geni, di incarnare l’amore di coppia, di portare e nutrire un figlio nel proprio corpo, di allevare un bambino. Il legame tra il desiderare e l’agire è fondamentale. L’atto sessuale deriva da una preparazione affettiva comune e non può essere ridotto a un momento tecnico generativo. L’atto di generare ha anche forte valenza sociale (la società è formata da individui generati), tuttavia la valenza sociale è quella più trascurata in quest’epoca. Il figlio infatti è desiderato non per ‘mettere al mondo una creatura’, che avrà una sua identità a prescindere da noi, ma è visto come necessario per una realizzazione di sé, una dimostrazione di fecondità, un appagamento di proprie aspirazioni. Si trascura la valenza sociale dell’adozione o dell’affido; si vuole un figlio proprio, un figlio di proprietà, per dimostrare di averlo. In questa luce, il nato maturerà l’idea di una costrizione, perché nato per scelta altrui. Si dimentica il disegno divino in questo contesto. Come fenomeno, è da notare che si porta sempre più avanti l’età in cui si hanno figli e soprattutto quella in cui si insiste per avere figli con metodi artificiali, anche oltre i quarant’anni, quando si dovrebbe avere maturato la coscienza morale relativa a procreazione ed educazione dei figli. È anche paradossale il fatto che si insista a volere generare un figlio con mille tentativi e prove, quando ci sono tanti bambini già nati che avrebbero bisogno di un contesto familiare in cui vivere. 3. Criteri di valutazione etica Il ricorso alla tecnica in caso di sterilità è mosso dal desiderio di avere un figlio, desiderio legittimo. Ma spesso la procreazione assistita non si limita ad interventi terapeutici, spesso serve ad ottimizzare il figlio (scelte di forme, di tempi ecc.). L’intervento medico scientifico non è più terapeutico, per ovviare alla sterilità e cercare dove possibile di curarla; pertanto, per soddisfare le richieste impellenti volte a realizzare desideri che vanno oltre il normale concepimento di un figlio, i medici trascurano quella che è l’analisi e la ricerca finalizzata a vincere la sterilità. Inoltre, il bambino dev’essere concepito da una coppia che ha maturato la sua apertura alla nuova vita come dono, quindi non come ricerca ossessiva. La morale implica anche il rispetto dell’embrione, che è già portatore di vita e non deve essere manipolato a piacimento, ma rispettato nel suo ambito naturale in cui è concepito e in cui si svilupperà. Attorno a questo argomento ci sono dibattiti culturali approfonditi, che tendono a spostare nel tempo il momento in cui l’embrione, o in seguito il feto, dev’essere considerato persona, secondo le fasi di sviluppo. Infine, la coppia che genera un figlio deve tenere conto anche del contesto sociale in cui egli entrerà a fare parte, come apporto volontario della coppia; non deve privilegiare l’affermazione individuale. 4. Ripresa sintetica In definitiva, il disordine e la confusone etica si manifestano quando non c’è il rispetto per l’embrione, quando lo si manipola, lo si trasferisce piacere e secondo la volontà della coppia. Soprattutto questo mette in luce l’assurdità delle quantità di embrioni conservati nel mondo, che non si capisce quale continuità avranno, se non saranno fatti sviluppare da coppie richiedenti. La sperimentazione scientifica non ammette che si abusi di altri esseri umani, comunque concepiti. Il rischio è che l’embrione sia considerato semplice materiale sperimentale e non essere umano concepito. Infine, è necessario che la procreazione sa compiuta con un atto di libertà, mentre la fecondazione artificiale, nelle sue tecniche differenti attualmente in vigore, è rivolta all’efficacia dell’esperimento, come qualunque intervento tecnico, senza ammettere il caso, l’eventualità, l’insuccesso. Tutto farebbe pensare a motivi solo egoistici. La procreazione con l’aiuto della tecnica può essere ammessa qualora risponda alla maturazione del desiderio di un figlio, che però non lasci spazio all’egoismo e al desiderio di affermare il possesso, la proprietà, del figlio concepito. Mia considerazione: è ben difficile stabilire dove finisce la consapevolezza matura e comincia l’egoismo. Le pratiche tecniche sono solo prove per i medici e gli scienziati, a cui non interessa niente dell’essere umano a livello sociale e tanto meno morale. “La scienza e la tecnica richiedono il rispetto dei criteri fondamentali della moralità” (enciclica Donum vitae, Il dono della vita, redatto dalla congregazione per la Dottrina della Fede.1987). L’uomo è stato invitato da Dio a procreare e deve tenere conto di questo dono e di questo incarico fondamentale, che non dev’essere distinto dalla libertà, dal desiderio, dalla responsabilità e, come abbiamo detto, dal rispetto per l’embrione come individuo concepito. Perciò la Chiesa condanna le pratiche esteriori all’atto coniugale, se non sono di carattere propriamente terapeutico, cioè finalizzate a superare la condizione di sterilità per una coppia davvero desiderosa di procreare. CAP.III: UN NUOVO MODO DI CURARE? Con la formulazione del codice genetico, portato a compimento nel 2000, ciascun individuo può sapere tutto di sé grazie a una sigla. La struttura genetica è coinvolta in tutti i campi della vita: salute, ambiente, medicina, antropologia, teologia ecc. Subito si è previsto che il codice genetico e la scoperta della bioetica avrebbero influenzato tutte le scelte e le azioni della nostra vita, dal nutrirsi al vestirsi, al muoversi, allo sposarsi… 1. Alcuni dati essenziali Il nucelo di ogni cellula del nostro organismo contiene il codice che regola il tutto-individuale caratteristico della nostra specie. Tale patrimonio è contenuto in un acido chiamato DNA ( acido desossiribonucleico). (Se vuoi e se pensi che ti serva, leggiti il capitolo con la spiegazione chimica di tutto il processo del DNA. Non si può riassumere. Pagg. 117-118. 1.1 La genetica umana). Da questo complesso sistema di lettura della composizione genetica umana deriva un nuovo modo di considerare l’uomo e il suo essere, quindi la scienza e la medicina si trovano implicate in un vasto processo sociale, per l’ampliamento delle possibilità d’intervenire sull’individuo e sulla sua salute. 2. Una rivoluzione medica? Lo scopritore e compilatore del DNA parla di una rivoluzione medica, che ha permesso di capire che la vita umana non è altro che una serie di reazioni chimiche. Con lui, ci sono altri entusiasti di questa scoperta, mentre c’è chi la vede come qualche cosa di terribile e fantascientifico. Positivo o negativo, il giudizio riguarda sempre la possibilità di penetrare il nucleo del vivere: per qualcuno è la possibilità di superare i limiti fisici della vita; per altri è la paura di manipolare qualche cosa di intimo dell’uomo, forse la sua anima. Il discorso scientifico prevede comunque un aspetto di ricerca e sperimentazione, che va fatto su individui. Questo comporta la necessità del consenso del paziente, ma la perplessità è su quanto il paziente conosca, su quanto sia informato della sperimentazione che è fatta a suo carico. Inoltre, spesso la pratica non soddisfa la teoria, nel senso che i risultati delle terapie applicate in seguito alle sperimentazioni sono molto inferiori alle attese. Perciò l’efficacia delle teorie sperimentali non giustifica tante sperimentazioni a danno degli eventuali pazienti. Il medico è da sempre anche un ricercatore, perché ogni caso gli può servire come esperienza e come esperimento, ma la differenza sta tra tentare di applicare una terapia efficace e invece tentare una terapia sconosciuta per veder se sarà efficace. C’è inoltre da tener presente che ogni singolo caso clinico è diverso, perché risente dell’anamnesi generale del paziente, diversa per ciascuno. La compilazione di una casistica ha quindi una valenza relativa e la teologia morale entra nel settore, dicendo che anche la sperimentazione va fatta a favore dell’uomo e non sull’uomo. L’ingegneria genetica include anche altre implicazioni: scoprire la situazione genetica di una persona significa scoprire dati sulla sua famiglia d’origine e può incidere sulle scelte, ad esempio sposarsi e procreare. Perciò nulla è più lasciato al caso, ma tutto preordinato e progettato. La mente umana interferisce con un progetto divino generale. Inoltre, l’ingegneria genetica ha costi elevati e si rischia di permettere la terapia e perfino la sopravvivenza a un ambito sociale limitato, oppure si rischia di pesare molto sul bilancio comune (asl). Ancora, si ha un’implicazione di carattere sociale quando la terapia ha l’obiettivo di mantenere in vita una persona, perché c’è comunque in tutti il senso di attaccamento alla vita, a dimostrazione che il vivere è bello: apprezzamento del dono della vita che Dio ci ha fatto. Ma la continuità della vita dev’essere completa, non soltanto fisica-sperimentale. Questo discorso si ricollega alla necessità di uno sviluppo sociale che dev’essere completo, non solo economico e tecnologico, ma deve riguardare l’intero sviluppo della persona, quindi anche quello intellettuale e morale. Infine, l’UNESCO ha stabilito che il genoma, l’elemento del patrimonio genetico individuato e usato per terapia, non può diventare patrimonio privato ed essere brevettato da chi l’ha scoperto o messo in circolazione (scienziato, ditta farmaceutica ecc), ma dev’essere patrimonio dell’umanità intera. Quindi c’è anche un aspetto legale da considerare, nel suo utilizzo. 2. Eutanasia ed esubero terapeutico Eutanasia significa ‘morte bella’ ed era una pratica intesa rendere piacevole anche il morire. Attualmente indica il processo di accelerazione della morte, per compassione verso il malato che soffre. È attiva, quando si fa qualcosa per procurare la morte (iniezione); è passiva, quando si interrompono le terapie che mantengono in vita (ossigeno, flebo ecc.). In entrambi i casi, si trascura il valore etico. Non è intesa come eutanasia la prescrizione di analgesici nella terapia del dolore, somministrati sotto controllo medico, anche se si sa che possono abbreviare la vita, ma sono fatti per diminuire il dolore. Esiste anche il suicidio assistito, in cui il medico nona gisce, ma dà al malato le conoscenze e gli strumenti per agire da solo. Il contrario dell’eutanasia è la distanasia o esubero terapeutico, in cui si forniscono al malato supporti terapeutici superiori al moralmente lecito, per tenerlo in vita ad ogni costo, anche in condizioni gravemente compromesse. In entrambi i casi, eutanasia ed esubero terapeutico, riconosciamo la fuga dalla morte. Entrambe le procedure sono contro la morale teologica, in quanto non tengono conto della dignità della persona che muore (per esempio mia mamma che negli ultimi giorni faticava a mangiare ha rifiutato d’essere intubata, ha preferito morire serenamente; magari sarebbe sopravvissuta due giorni, quindi non voleva proprio questa tortura, ma questo non è considerato eutanasia, ma rifiuto dell’esubero terapeutico, anche vista la sua età). Anche in questi procedimenti, è difficile trovare un confine tra le procedure lecite e illecite, soprattutto in una società che culturalmente spinge verso l’adozione di uno o dell’altro metodo e non si pone il problema morale. 3. Quasi una conclusione: vivere la propria morte L’apparente contraddizione di questo titolo si spiega con la necessità di essere educati alla consapevolezza che avremo una fine e che questa non dipende da noi e non deve dipendere da altri esseri umani. Abbiamo nella Chiesa l’esempio di uomini e donne che si sono preparati con coscienza alla morte (santi p. es.). Paolo VI ha scritto pensieri sulla morte, che sono riportati nel testo pagg. 143-144, se vuoi leggerli, ma non sono indispensabili. 3° PARTE - SESSUALITÀ E MATRIMONIO - MARCO PALEARI CAP. I: GLI ENIGMI DELL’AMORE Perché ‘enigmi?’, perché l’amore sfugge a ogni definizione precisa. 1. Tra teologia morale, diritto e teologia sistematica Il concilio Vaticano Secondo, e in particolare l’enciclica Gaudium et Spes, compilata in seguito ad esso, modifica i contenuti della dottrina morale relativamente al matrimonio. In precedenza, si rifaceva a un documento de 1930…… in cui il matrimonio era l’atto religioso e riconosciuto a termini di legge, che consentiva la procreazione, cioè l’obbedienza a un ordine divino, che però non teneva conto della sessualità, né dell’innamoramento e dell’affetto che è necessario tra uomo e donna, per arrivare appunto alla decisione del matrimonio. La purezza dell’atto coniugale e la fedeltà dei coniugi erano prescritte dai comandamenti ‘non commettere atti impuri’ e ‘non desiderare la donna d’altri’ (ora modificato in ‘non commettere adulterio’, per evitare l’aspetto maschilista, come se la donna fosse una proprietà e non potesse avere lei il desiderio di avere un altro uomo: l’abbiamo visto nell’altro libro). Il matrimonio in generale era considerato come sacramento. Si metteva in evidenza la sua funzione di fondamento della famiglia, per la procreazione e l’educazione dei figli. La morale relativa ad esso prevedeva che fosse usato come strumento per la procreazione e che il godimento che derivava dall’atto coniugale fosse considerato un premio per questa procreazione, che risultava gravosa. Il peccato derivava dal non rispetto di queste regole e si considerava il caso singolo, esaminato durante la confessione. Non si faceva un discorso generale sulla sessualità e sul matrimonio, introdotta, come anticipato, in seguito al Concilio Vaticano II. 2. Una scelta metodologica: ascoltare il contesto Nell’enciclica citata c’è l’invito deciso (come scelta di metodo) a considerare il tempo in cui si vive, le sue manifestazioni, le sue circostanze, per riuscire a interpretare la realtà del momento e dare le giuste regole alla luce del Vangelo. Giovanni Paolo II ritorna su questi dettami, precisando questo invito in merito alle vicende dell’amore tra uomo e donna, precisando che è necessario studiare in quali contesti essi si muovono, per tenere conto della loro vita complessiva ed esercitare l’opera di evangelizzazione nel modo adeguato. Per esercitare tale opera, l’evangelizzazione si serve d’altre discipline, come la pedagogia e la sociologia. Si muove tenendo presenti tematiche attualmente centrali, come la felicità, il piacere, la comunicazione; e valorizzando il linguaggio dell’uomo, scelto da Dio per comunicare con l’uomo. Dal punto di vista teologico, si tratta di accostarsi alla sessualità nella coppia con lo stesso amore di dio che l’ha voluta. Occorre accostarsi con l’amore divino all’amore dell’uomo. La Chiesa, indirizzando il credente su queste basi, farà sì che egli possa avere uno scorcio del disegno della Trinità sulla realtà coniugale e possa rispondere a tante domande, ansie e speranze dei giovani sposi e genitori d’oggi. 3. Gli odierni enigmi della sessualità e della vita di coppia Tra le domande, speranze e ansie sopravvale la dimensione sessuale. Fino agli anni Sessanta tutto ciò che riguardava il sesso era taciuto e relegato all’istituto matrimoniale, incanalato e gestito da esso, controllato dalla morale, sia religiosa sia laica; in quegli anni è avvenuta una rivoluzione che ha portato l’argomento ad essere espresso e vissuto senza regole, sfuggendo a ogni contenimento. La nostra cultura sembra allergica alle relazioni, viste come legami, come vincoli. Prima queste parole erano usate per sottolineare la necessità di rispetto e di fedeltà; adesso sono viste in senso negativo, di costrizione alla fedeltà. Ecco alcuni trend che troviamo nella fenomenologia della relazione di coppia nella cultura occidentale (italiana in particolare): a) la creatura umana è maschio o femmina e quindi, nominandola, si fa richiamo alla sua sessualità, ogni contatto tra le persone ha una forte carica sessuale e nella nostra cultura esso è visto solo nella dimensione fisica. b) se il matrimonio era il binario su cui viere rettamente la funzione attuale, attualmente l’istituzione matrimoniale e la pratica sessuale seguono vie differenti; negli ultimi anni si è abbassata l’età del rapporto sessuale, senza bisogno di istituzione. c) ogni rapporto maschio-femmina nasce da una decisione libera molto più che in altre epoche e culture, anche quando non è finalizzato al matrimonio. La convinzione che ognuno ha doveri prima di tutto verso se stesso, porta a credere che si debba amare qualcun altro a proprio vantaggio e non per quello che è lui, non con dei doveri nei suoi confronti. d) da tutto questo deriva che la continuità di una relazione affettiva dipende molto da quello che i due sentono, senza tener conto dell’impegno preso, senza tener conto del sentire dell’altro. e) in questo modo,viene meno anche il ruolo che una persona riveste a livello sociale, in quanto non c’è più la necessità del senso di appartenenza (appartenere prima di tutto ad una famiglia e poi a gruppi più estesi). Se la decisione di amare una persona è libera e immediata, invece arrivare al matrimonio richiede un tempo di decisione molto lungo: fidanzamento, poi eventuale convivenza senza matrimonio. Quando i due decidono di sposarsi, ecco che ciascuno sa d’essere significativo per l’altro e si aspetta molto dall’altro. Inoltre, queste aspettative devono continuamente trovare conferma: nel momento in cui la conferma viene meno, quando uno dei due cambia per i motivi più diversi, ecco che il rapporto viene meno. Perciò, da una parte si ha maggiore consapevolezza della qualità che deve caratterizzare il rapporto; dall’altra, si ha il rischio che non si riesca a mantenere il rapporto sempre ad un livello elevato e pertanto si ricorre alla via legale della separazione. La possibilità di rompere un matrimonio, prospettata a priori, fa sentire meno impegnati al sacrificio, all’impegno, al cambiamento faticoso in caso di situazioni negative (perdita del lavoro, malattia ecc.). Non si tiene più conto della rilevanza sociale del matrimonio, come base di un nucleo familiare; ancora meno si considera la rilevanza religiosa; più che altro, lo si intende come una relazione privata, un contratto che interessa solo i due e spesso ciascuno dei due pensa solo a se stesso, senza rendersi conto d’avere impegnato anche un’altra persona. Il matrimonio diventa un metodo concorrenziale al singolo, per ottenere il soddisfacimento di alcune attese; è visto come un giogo difficile da portare, nonostante ci sia la possibilità di interromperlo quando si vuole. Un vincolo, anziché una risorsa. Spesso l’uomo e la donna si uniscono in una ‘relazione pura’, che dura solo per il periodo del soddisfacimento personale, senza prevedere un’unione duratura. Altrimenti, si opta per l’amore convergente, che punta al matrimonio come situazione in cui convergono gli interessi dei due soggetti: affettivo, sentimentale, economico… Secondo Chiara Mondello, che ha dedicato uno scritto all’aumento della fragilità matrimoniale, è sempre più difficile che tra i componenti della coppia si riconoscano due persone complete e indipendenti fra loro, capaci di essere innamorate, che scelgono di unire queste loro indipendenze per arrivare ad una collaborazione e unione salda e duratura. Spesso invece il legame nasce prima e da esso, in seguito, nascerà l’unione affettiva. Perciò il suo limite è di basarsi su un concetto di dare-avere, che viene meno quando non c’è più la parità dei conti. È anche necessario ridiscutere i ruoli che si hanno all’interno della coppia e dell’eventuale famiglia, che è continuamente chiamata a rispondere a compiti ed esigenze quotidiani: aere ed educare i figli innanzitutto, poi aere cura del lavoro esterno, della casa, dei rapporti con amici e famiglie d’origine e così via. Se prima i ruoli uomo-donna erano esattamente distinti, ora si è modificato anche il modo di condurre le decisioni più normali e necessarie. In una società che chiede molti più impegni esterni, molti più doveri per essere al passo coi tempi e rispondere a tutte le necessità di benessere, di carriera, anche le faccende d’amore si scontrano con la quotidianità, che può portare a stanchezza e rifiuto. Di fronte a questi problemi, le coppie attuali puntano a vincoli meno rigorosi, più fluttuanti, aumentano i casi di convivenza senza matrimonio, i casi di coppie che non vogliono figli. Non parliamo di crisi irreversibile, solo perché c’è la speranza di un ritorno a un modo più maturo di considerare il matrimonio, il rapporto di coppia, la serietà delle vicende amorose. CAP. II: IL SACRAMENTO DELL’AMORE Gli enigmi dell’amore non si svelano da soli: occorre un apprendistato che comincia con l’ascolto. 1) L’evidenza ecclesiale: il matrimonio celebrato La Chiesa propone si propone ai fedeli con una serie di riti; tra questi c’è anche la celebrazione del matrimonio (si dice appunto ‘sposarsi in chiesa, inteso però come luogo dove il rito si svolge e non come ambito ecclesiale che dà un valore diverso al rito’). Accanto al sacramento c’è l rito, momento di riflessione su come la forza dello Spirito santo penetra l’unione dei due sposi, la costituisce e la sostiene. Da questa riflessione la coppia deve lasciarsi plasmare e ascoltare la voce che ne deriva, per accogliere il dono dello Spirito santo come forza che spiega il valore dell’amore coniugale. Nell’enciclica Familiaris consortio, Giovanni Paolo II spiega (soprattutto per la Chiesa italiana che prevede il matrimonio concordatario, cioè il matrimonio celebrato in chiesa ha valore legale anche dal punto di vista laico), durante il rito si devono ricordare gli aspetti del senso morale del L’Eucarestia insegna che il dono della vita totale, fedele, indissolubile e feconda inizia non quando si offre, ma quando si riceve. L’amore cristiano può essere vissuto e donato nella misura in cui lo si riceve. Sacramento dell’amore totale: dal punto di vista fisico si può esprimere con l’amore sessuale; in ciascuna di tali unioni si rinnova il mistero della creazione, l’uomo e la donna riconoscono la propria diversità e unità: unione dei corpi che si penetrano e si mescolano in una nuova forma; unione degli animi, nella componente emotiva e psicologica; unione delle persone, nella propria originalità, nel desiderio di raggiungere l’unità che le convoglia verso l’avvenire. Sacramento dell’amore fedele: l’unione di coppia presuppone l’esclusività, un amore esclusivo che i coniugi si possono permettere, perché si appartengono nella conoscenza di sé per l’oggi e nella promessa di sé per il futuro. È il riflesso dell’amore esclusivo che Cristo ha per la Chiesa, come sua sposa. Se nella coppia non ci sono identità piene, libere, consapevoli, è difficile raggiungere questa caratteristica di fedeltà. Perché ciascuno dei due accolga l’altro come coniuge e faccia con consapevolezza la promessa di fedeltà, occorre che conosca l’altro in tutte le sue dimensioni, fisiche e spirituali. Perciò ciascuno dei due deve farsi accettare dall’altro. Questa fedeltà va oltre il fatto di non avere un altro, significa la riscoperta quotidiana dell’altro come fonte inesauribile di vita e felicità (come già detto). Sacramento dell’amore indissolubile: i due non diventano uno solo istantaneamente, ma nel tempo. Se i due vogliono davvero unirsi totalmente, devono mettere in gioco la loro storia sotto tutti i punti di vista, tutta la vita di cui si dispone. Raggiunto questo, l’unione non si scioglierà più. Il Diritto Canonico prevede l’unità e l’indissolubilità del matrimonio. La volontà di accettare questi principi è espressa nelle promesse sacramentali. Con queste promesse, si risponde ai dettami di Cristo, tenendo conto che la sua parola non è un codice di legge e neppure una richiesta; ma è un’esortazione vigorosa al rispetto di questa legge. Se due coniugi si muovono nella fede, danno spazio all’amore di Dio perché li incammini verso la salvezza. Per il cristiano, la rottura del vincolo matrimoniale non è solo un fatto giuridico, ma significa arrogarsi un potere che non si ha e truffare l’altro, che aveva promesso insieme e si era fidato di tali promesse; truffare anche un eventuale figlio o figli, a cui si era presentato un avvenire promettente e sereno. Donare la vita a una creatura è un gesto di partecipazione a perdere la vita: il rischio è per entrambi e mai come in quel momento la vita del bambino è fragile. Anche il figlio ha diritto d’essere voluto e accettato nella sua identità, perciò da quel momento il matrimonio che diventa famiglia non si limiterà ai due, ma le scelte devono essere fatte anche per il bene e nell’ottica del futuro del figlio. Nel momento in cui Dio sceglie due genitori per compiere il suo disegno dell’avvenire, li investe della responsabilità di diffondere il Suo amore alla nuova creatura e di garantire la serenità di quell’avvenire, così come Lui stesso ha fatto con le Sue creature. 3. Imboccato il sentiero… Alla luce di quanto è stato finora spiegato, ecco che la Grazia che lo Spirito santo diffonde e immette nei due coniugi non è un dono che viene dato in quel momento, ma è un dono che si sviluppa da quel momento in poi, che dà le basi per una vita futura che si accetta comune, con le quattro caratteristiche elencate. Il percorso non sarà fatto singolarmente dai coniugi, ma da tutta una comunità che si muove con loro, costituita da tutte le persone parenti, amiche, religiose, ecc., con cui vengono quotidianamente a contatto. Questo cammino è sviluppato nel capitolo seguente. CAP. IV: I SENTIERI DELL’AMORE Parlare di morale può far pensare a regole rigide alle quali conformare il proprio comportamento. È quindi necessario riscoprire il significato della morale cristiana, che non dev’essere confusa con il moralismo o la semplice osservanza d’una legge. Va vista come impegno della propria libertà e della propria coscienza a ricercare il bene e dargli attenzione. In questo senso le norme e le regole sono da interpretare come un dono che ci viene fatto da Dio. Per aiutarci a conoscere meglio noi stessi e agire di conseguenza, in piena libertà. 1. Sentieri che si aprono La via dell’amore comincia dal grembo materno e procede fino a farci riconoscere e accettare la persona con cui intraprendere un legame coniugale. Per arrivare a questo, occorre un coinvolgimento complesso della personalità: prima di tutto la costruzione di una solida identità personale e quindi la conoscenza della diversità dell’altro. Inoltre occorre sviluppare il desiderio di fare una scelta di fede. Bisogna cominciare lasciandosi amare da Cristo (come abbiamo visto) e il contesto adatto è quello della Chiesa. Il primo compito dei fidanzati è i prendersi cura l’uno dell’altro: questo è il passo fondamentale per considerarsi soggetti attivi del proprio matrimonio. Hanno una loro storia distinta, un cammino (o non cammino) dopo il battesimo. L’impegno della conoscenza reciproca deve partire da loro, ma è importante che abbiano anche una guida spirituale a cui affidarsi, che insegni loro come aprire il loro amore di coppia verso i più prossimi e quindi estendersi a livello sociale come testimonianza dello Spirito e dell’amore di Cristo che opera in loro. La comunità cristiana ha come compito morale di formare i credenti e anche le coppie. Durante il fidanzamento ( taciuto negli ultimi tempi) si sviluppa e cresce il rapporto affettivo, c’è una maturazione spirituale che porta a decidere se sposare o no quella persona. I fidanzati devono essere preparati alla vita di coppia, ma anche alla famiglia: preparare bene il matrimonio significa dare le fondamenta perché sia saldo e indissolubile. 2: Sentieri quotidiani Dopo la celebrazione delle nozze, si dà avio alla vita coniugale. Col sacramento del matrimonio si riceve il dono di amare il proprio coniuge e i seguenti figli come Gesù ha amato noi e la Chiesa. Per riuscire in questo intento, è necessario che gli sposi conducano una vita cristiana, sulla quale fondare la loro quotidianità. Su questa base si garantiscono le quattro caratteristiche dell’amore coniugale, basato su quello di Cristo. 3. La spiritualità coniugale Spiritualità qui significa presenza dello Spirito, trasmesso attraverso il sacramento. La vita cristiana non deve basarsi sulla semplice obbedienza a leggi, ma deve derivare dall’agire autonomo dello Spirito santo, attraverso il quale l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori. (Giovanni Paolo II). Proprio lo Spirito è il propulsore, perché ogni giorno accrescano la grazia che è in loro e progrediscano verso una sempre più profonda unione tra loro a tutti i livelli. Gli atti con cui si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo umano, favoriscono la reciproca donazione che arricchisce nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Dai partecipanti al Concilio Vaticano II è emersa la convinzione che il matrimonio può essere considerato alla stregua di una vocazione sacerdotale: amandosi l’un l’altro, gli sposi amano Dio. Le regole dell’etica matrimoniale (già abbiamo elencato) non sono vincoli, ma percorsi lungo i quali l’amore sessuale diviene comunione integrale; esse intendono salvaguardare i comportamenti della coppia, perché rispondano al desiderio di divenire una cosa sola; riguardano l’intimità sessuale, in quanto distintiva dell’unione matrimoniale. Ciascuno dei due deve donarsi all’altro nella propria totalità e nel contempo deve accettare l’altro, disponendosi in modo da stabilire con l’altro un’unione amorosa. La regola della castità matrimoniale esprime la necessità che si accolga l’altro in tutte le sue dimensioni, senza che l’imposizione maschile o la seduzione femminile abbiano la prevalenza. Inoltre, l’atto non deve ridursi a solo rapporto fisico, senza amore o sentimento, o alla sola ricerca del piacere erotico o della procreazione. La castità è l’arte di parlare l’amore personale attraverso il linguaggio dell’eros. La poligamia o l’adulterio (compresa la forma che va sotto il nome di procreazione assistita, in cui interviene un terzo, sconosciuto) impediscono la fedeltà, in quanto impediscono ai coniugi di appartenersi l’un l’altro in modo totale ed esclusivo. L’atto coniugale porta alla procreazione. Per una procreazione responsabile, i metodi naturali che rispettano la fecondità della donna sono accettati, in quanto mantengono l’integrità corporale dei due. I metodi contraccettivi sono invece la negazione dell’atto che permette la completa comunione interpersonale. 3. Sentieri tortuosi Ci sono possibili deviazioni, che oscurano la relazione d’amore con Cristo. La via del matrimonio è difficile da percorrere, perché sono due che devono portarla insieme. Il criterio fondamentale per riuscire è quello di rimanere fedeli a Cristo. La testimonianza di questa fedeltà si ha soprattutto dal comportamento, dai fatti e non tanto da ciò che si dice. Non è considerata trasgressiva solo l’instabilità del divorzio, ma anche la stabilità d’un matrimonio che non sia dono completo dei coniugi. Questo consente alla Chiesa di valutare la possibilità di sciogliere matrimoni non cristianamente regolari, anche se celebrati. S’intende irregolarità di tipo canonico, non di tipo morale (questa si chiamerebbe peccato). Unione irregolare è quella di persone battezzate che vivono insieme senza avere contratto matrimonio: conviventi, sposati solo civilmente, divorziati risposati; situazioni difficili sono invece quelle di separati e divorziati. Le persone in questa condizione non possono accostarsi ai sacramenti, né accompagnare chi li riceve (padrino ecc.), né far parte di istituzioni laiche della chiesa (consigli pastorali ecc.). Guidata dal profondo amore materno, la Chiesa ha il ruolo di richiamare ad una situazione regolare quelli che se ne sono allontanati. È necessaria un’azione pastorale misericordiosa, aperta verso tutti e si devono distinguere le varie forme di irregolarità coniugale, per giungere a un ravvicinamento, a una valutazione anche morale delle persone, alla proposta di concreti cammini di riconciliazione con i dettami della Chiesa. Anche queste perso ne continuano comunque ad appartenere alla Chiesa, la quale deve stare vicina a questi figli che si trovano in periodo spesso di sofferenza e difficoltà. Le situazioni sono valutate in modo diverso: c’è chi ha cercato di salare il primo matrimonio, o è stato abbandonato ingiustamente; c’è chi volutamente ha distrutto un matrimonio canonicamente valido. C’è chi ha contratto un secondo matrimonio ed è convinto che il primo non sia mai stato valido. La Chiesa non esprime un giudizio morale sulle persone, ma analizza il fatto che queste persone non possono vivere nella fedeltà e secondo gli altri criteri considerati, perché hanno un precedente che è venuto meno. Tuttavia, la Chiesa è propensa a riconoscere la possibilità di un nuovo sacramento, per chi non riesce a rimanere solo, in quanto un vincolo unico è meglio della fornicazione. L’obiettivo è che le unioni siano più possibili uniche e stabili, per essere davvero emblema dell’amore tra Cristo e la Chiesa. La Grazia dello Spirito santo è alla base di ogni unione amorosa. Affidiamoci allo Spirito per capire come la libertà d’amore può agire, perché sappiamo dal vangelo che la volontà dello Spirito si manifesta in tante forme e non tutte sempre prevedibili. Pertanto, anche le eventuali situazioni irregolari che non permettono i sacramenti non impediscono che lo Spirito santo arrivi e si compiaccia di alimentare con la sua Grazia anche queste persone. CAP. II: UN’ECONOMIA A SERVIZIO DELL’UOMO 1. Introduzione all’etica delle relazioni economiche L’economia (eco-nomos = legge della casa) riguarda le norme di condotta per coloro che coabitano. L’uomo risente di una serie di bisogni fisici, pratici e psicologici. L’economia si occupa dei bisogni che possono essere soddisfatti con l’interscambio. Per soddisfare i bisogni occorrono i beni concreti, acquistabili, oppure beni sottoforma di servizi, come l’istruzione, la sanità, la sicurezza ecc. I bisogni si presentano pressoché illimitati, mentre i beni sono di solito scarsi. Tra bisogni e beni, la mediazione è costituita dai valori, secondo lo schema: DOMANDA MEDIAZIONE OFFERTA BISOGNI VALORI BENI (Segue una descrizione puramente economica, che penso tu conosca meglio di quello che ha scritto il libro: produzione, distribuzione, consumo ecc.). L’evoluzione etica nell’economia si può leggere nel modo seguente: Nel mondo antico, era previsto il baratto, con rapporto di dominio e di forza, non di valutazione. Lo schema è merce – merce. Nel periodo di sviluppo dei mercati, subentra la mediazione della moneta, basata su una valutazione comune, con nuove implicazioni etiche (non sfruttare, non praticare l’usura). Lo schema diventa merce – denaro – merce. Nell’economia industriale, l’offerta precede la domanda, sullo schema denaro – merce – denaro. L’economia post industriale è finanziaria, informatizzata, globalizzata, sullo schema denaro – denaro. 2. Cenni ai fondamenti dell’agire etico in economia Nell’Antico Testamento, la ricchezza può essere indice di benedizione. Al centro del giudizio è sempre l’agire dell’uomo, la scelta tra il bene e il male. Nel Nuovo Testamento il giudizio è più severo: la ricchezza si presenta come promettente, ma finisce per possedere l’uomo e fargli perdere la coscienza etica. La salvezza proposta da Gesù nasce dal distacco dei beni terreni e perfino dalla famiglia (apostoli). Comunque la povertà non basta a fare l’ideologia: non tutti coloro che possiedono meno sono discepoli. Il criterio evangelico per la gestione delle ricchezze deve tener conto del giudizio di Dio e dei bisogni dell’altro (torniamo ai due comandamenti dell’amore che sintetizzano il decalogo). 3. Etica dell’agire economico Lo scopo dell’economia deve essere quindi quello di produrre beni per l’uomo, cioè, in particolare, per es. per un’azienda, continuare ad avere risultati positivo, adeguati alle capacità e ai bisogni dell’uomo, senza sfruttare le forze e senza produzione eccessiva. L’obiettivo dev’essere: efficienza economica per favorire lo sviluppo solidale dell’umanità, senza separare l’economia dall’etica, due forze che si devono compenetrare. La Dottrina Sociale della Chiesa prevede e prescrive una destinazione universale dei beni della terra, quindi nega l’accumulo individuale oltre misura; qualsiasi forma di possesso privato deve avere una funzione sociale. Il principio non riguarda la titolarità dei possessi: i beni sono di chi li possiede; ma riguarda il loro utilizzo, che deve essere a vantaggio di tutti. Nell’enciclica Centesimus annus, (Giovanni Paolo II 1999), si ribadisce questo concetto, mettendo in evidenza che la Chiesa non ha un modello da proporre (comunismo, capitalismo ecc.) ma affida questa responsabilità a chi si occupa, di volta in volta, a livello storico e politico, della gestione degli strumenti che regolano lo sviluppo economico. CAP. III: UNA POLITICA PER IL BENE DI TUTTI 1. Che cos’è “politica”? La politica è l’esercizio organizzato e continuato del potere nella città. Il potere dà la possibilità a persone elette di governare molti: si occupa di molti aspetti della vita (economia, istruzione, ordine pubblici ecc.) a vantaggio di molte persone; mette a contatto popoli diversi, per un percorso comune nell’ordine di idee o ideologie. La politica ha permesso all’umanità di avere notevoli progressi, ma ha provocato anche guerre e distruzioni. La politica si suddivide in policy, il livello ampio che tutti coinvolge; polity, il livello relativo alle istituzioni; politics, l’attività politica vera e propria, svolta dai suoi professionisti. Il primo ruolo è fondamentale (andamento generale dell’umanità); gli altri due devono essere messi al suo servizio; il secondo è quello che codifica, il terzo è quello che agisce. 2. La ricerca della verità nella vita politica Nell’Antico Testamento abbiamo la Legge, che è controllata dai giudici e dai re. C’è la Profezia, che ricorda l’esigenza di una giustizia sociale (nemmeno io ho capito perché). C’è la tentazione, cioè usare la politica per farsi un nome su tutta la terra (es: torre di Babele, una torre che deve raggiungere il cielo). Le Nuovo Testamento si fa avanti l’idea di politica come strumento per sottomettere gli altri al proprio vantaggio. Gesù invece ribadisce che i re e i potenti sono chiamati a servire i popoli. Nella lettera ai Romani San Paolo ammonisce che non si devono temere i potenti quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Ricorda di seguire le leggi dell’amore, perché l’amore non fa nessun male al prossimo. Così dice ai figli di obbedire ai genitori. Si tratta tuttavia di lettere in un contesto esortativo, quindi l’invito a obbedire ad ogni costo va preso proprio come esortazione, non come discorso logico generale. Se prendiamo in considerazione le parti del Nuovo Testamento riferite al potere politico in particolare, ci rendiamo conto della sua ambivalenza: va ridimensionato nella sua capacità effettiva d’essere servizio; si pone come potere sugli altri, invece deve tenere conto di partecipare al disegno salvifico di Dio e quindi dipendere da Lui. Chi esercita il potere politico deve fare una scelta precisa tra agire a proprio vantaggio e mettersi al servizio degli altri. La storia propone tanti esempi diversi nell’uno e nell’altro senso. Lo stato istituzionale attuale si presenta come - Assoluto, quando il sovrano ha tutto il potere, ritenuto necessario per la coesione dello stato - Liberale, al servizio del cittadino che ha diritti inviolabili - Totalitario, che decide tutto per il cittadino, semplice cellula del sistema - Democratico, con sovranità popolare, governanti eletti dai cittadini e tenuti a rappresentare le loro idee e necessità - Nello stato postmoderno si cerca di conseguire la giustizia con la politica: giustizia come equità, in base al principio di Rawls: cioè distribuzione in modo eguale di tutti i beni e le risorse. L’ingiustizia è semplicemente la distribuzione ineguale. Le eventuali differenze riguardano soprattutto le cariche e possono essere accettate solo se rispondono anche al vantaggio dei meno favoriti. 3. Etica e politica nell’insegnamento sociale della Chiesa Nell’enciclica Gaudium et spes (1965), Giovanni XXIII sancisce i ruoli della Chiesa nel mondo e dice che la politica e la Chiesa sono due entità separate. La Chiesa non risente di alcun pensiero politico. L’agire politico (ricordiamo l’agire del cristiano, di cui spesso si è parlato in questo lavoro) si articola su tre livelli: credente etico sociale carità servizio al bene comune finalità condivisa Non esiste la politica neutrale, ogni applicazione della politica per il cristiano comporta il livello credente, basato sulla carità (comandamenti dell’amore), che attraverso un livello etico, tenendo presente che si agisce a servizio del bene comune, raggiunge il livello sociale, dove la finalità è condivisa a vantaggio di tutti. La Chiesa insegna che il primo principio a cui attenersi per questo procedimento è la dignità della persona umana. L’uomo è il punto convergente della dottrina Sociale della Chiesa. I principi riguardano la realtà nel suo complesso e quindi hanno valore fondamentale e universale. Hanno una stretta implicazione nella vita economica e sociale e si concretizzano nelle forme già citate di solidarietà, partecipazione, sussidiarietà. (Torna il discorso della giustizia come equità). Ogni giudizio politico e sociale (che sta alla base di ogni decisione) è collegato l disegno divino, secondo il quale la città dell’uomo (il luogo dove si esercita la politica) deve svilupparsi in modo armonico e non scomposto secondo le idee personali di pochi o di uno. In una nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana si chiarisce che il politico cristiano deve tener conto sia dei contenuti della politica, sia dei metodi per applicarli. Sempre a tenuta presente la centralità della persona coi suoi bisogni e obiettivi, con occhio particolare alle fasce più deboli e riguardo all’occupazione, famiglia, istruzione,per una vita di pari dignità a tutti. L’opzione preferenziale della Chiesa è per la democrazia, che dev’essere laica, in quanto aperta a tutti, I valori proposti dalla Chiesa valgono per tutti, anche per i non credenti. È necessario che si attuino le prospettive, in un dialogo tra il cittadino e chi egli ha scelto per governarlo; e un dialogo tra chi governa da cristiano credente e eventuale cittadino che non è credente, che deve riconoscere l’equità delle scelte, se davvero sono fatte in conformità alla dottrina della Chiesa. CAP. IV: UN DIRITTO PER LA VERA GIUSTIZIA 1. Legge e giustizia nella Sacra Scrittura Nell’Antico Testamento la Legge esprime l’Alleanza tra Dio e l’Uomo. Indica un cammino da percorrere.. Intanto c’è la profezia di una nuova Legge (quella di Gesù), la profezia è fatta di fronte ad Adamo ed Eva dopo il peccato, al serpente (metterò inimicizia fra te e una donna, fra la tua discendenza e la sua: Gesù). Nei Vangeli ci sono spesso diatribe tra Gesù e il modo di intendere la giustizia all’epoca. Nel processo a Gesù vediamo che c’è la tendenza a seguire delle regole e non a mettersi in gioco per scoprire la verità. La vera giustizia è quella divina, prospettata al di sopra della condizione umana.