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Il cristiano nel mondo o Teologia 3 Pessani - Introduzione alla teologia morale - Aristide Fumagalli, Sintesi del corso di Teologia

Riassunto Il cristiano nel mondo o Teologia 3 Pessani - Introduzione alla teologia morale - Aristide Fumagalli Riassunto completo, capitolo per capitolo Il riassunto sostituisce perfettamente il libro

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 12/02/2019

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alexpada97 🇮🇹

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Scarica Il cristiano nel mondo o Teologia 3 Pessani - Introduzione alla teologia morale - Aristide Fumagalli e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! Il cristiano nel mondo. Introduzione alla teologia morale Curatore: A. Fumagalli Editore: Ancora Collana: Teologia per laici Anno edizione: 2010 Introduzione Introduzione, "maestro, che cosa devo fare di buono...?" (Mt 19,16): Nella prima enciclica della storia interamente dedicata a question fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa, la "veritas splendor", Giovanni Paolo II proponeva il dialogo di Gesù con il giovane ricco come utile traccia per riascoltare il messaggio morale cristiano. Tale dialogo fornisce la chiave di lettura e le note essenziali della morale cristiana. "Ed ecco, un tale gli si avvicinò e gli disse: A. Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna? B. Gli rispose: perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Gli chiese: quali?. Gesù rispose: non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e e la madre e amerai il prossimo come te stesso. Il giovane gli disse: tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca? C. Gli disse Gesù: se vuoi essere perfetto, và, e vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai mi tesoro nel cielo. E vieni, seguimi! Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste. Possedeva infatti molte ricchezze." La storia è imperniata su 3 fondamentali concetti: vita eterna, comandamenti, sequela di Gesù. Seguendo questi 3 concetti potremmo apprezzare l'articolazione fondamentale della morale cristiana. La morale cristiana lunghi dall'essere un interpersonale codice di leggi, è dia-logo, ossia discorso che scorie tra due interlocutori. Commento: L'anonimato del "tale" universalizza la sua identità, rappresenta ogni uomo che si interroga sul bene e sulla felicità. La domanda non riguarda solo il fine della felicità, ma anche i mezzi per raggiungerla: "che cosa devo fare di buono". Il giovane sa già che per essere felice dovrà obbligatoriamente fare il bene. Fare il bene e non il male è una legge naturale intrinseca cioè alla natura umana. La risposta di Gesù gli fornisce le indicazioni essenziali per orientarsi nel cammino verso la felicità. Il buono "imo solo" cui si riferisce non è altri che Dio. Interrogarsi sul bene da fare è già mettersi sulle tracce di Dio. La vita buona è la condizione affinché l'uomo gode della vita stessa di Dio. Indicando l'intreccio che stringe insieme l'agire buono e il bene divino, Gesù svela al giovane che la vita pienamente felice è mente meno che una vita divina. Gesù invita il giovane a osservare i comandamenti della seconda tavola del decalogo. I comandamenti del decalogo si distinguono tra quelli contenuti nella prima tavola, riguardanti la relazione con Dio, e quelli contenuti nella seconda tavola, riguardanti il prossimo. Tutti i comandamenti si riassumono nella amare il prossimo. I comandamenti rappresentano una sorta di bordo della pista sul quale il cammino dell'amore può avanzare senza smarrirsi. Questi sono una condizione necessaria ma non sufficiente per essere felici. Cosa manca? La sequela di Gesù: "Vieni, seguimi!", imitazione dell'amore di Gesù. La strada della perfezione morale consiste nella compassione del prossimo, scegliendo di preferenza i poveri: vendere le ricchezze. Vendere ciò che si possiede dandolo ai poveri è la condizione per eliminare quei lacci che trattengono l'uomo ai suoi fragili beni e fare del legame con Gesù il bene della propria vita. Nella enciclica si dice che Gesù diventa lui stesso legge vivente e personale. Il divenire legge vivente e personale consente di riformulare i comandamenti morali raccogliendoli nell'unico comandamento di imitare il suo amore. Nella rinuncia del giovane alla sequela di Gesù si potrebbe riconoscere un sintomo dell'attuale condizione giovanile spesso irretita nel godimento immediato, e comunque incerta e rinunciataria in tema di scelte radicali e definitive di vita. Epilogo Nella difficoltà del giovane a cambiare vita si può vedere la difficoltà dei giovani d’oggi a fare scelte di vita radicali. Nella difficoltà a rinunciare ai suoi beni si vede l’atteggiamento degli avari. Nell’uno e nell’altro caso, Gesù dice ai discepoli che difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli. (è più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago). Agli apostoli perplessi spiega che non intende con questo condannare all’impossibilità, perché se all’uomo la salvezza è impossibile, a Dio tutto è possibile: quindi occorre affidarsi a Dio. In ogni uomo c’è il desiderio di felicità eterna (tema iniziale) e però è difficile conquistarla rinunciando alla felicità terrena, perché i piaceri terreni possono allontanare dal desiderio di una felicità divina. È necessario non stancarsi di tenere presente al nostra guida, Gesù, per incamminarsi verso Dio, in cui trova pace il desiderio che l’uomo ha nel cuore. In vista di questa testimonianza, lo studio della teologia morale è auspicabile e prezioso. PARTE 1° - FEDE CRISTIANA E AGIRE MORALE - PADRE ARISTIDE FUMAGALLI CAP. I: I LEGAMI DELLA LIBERTÀ ‘Io sono la vite, voi i tralci’ (Giovanni, 15,15) In questa allegoria sta la morale cristiana, che consiste nel legame tra Gesù e gli uomini. 1.Morale ed etica Il nome “etica” di derivazione greca e il nome “morale” di derivazione latina sono usati a volte con diverso significato: - ETICA indica la riflessione di taglio filosofico, lo studio fondamentale del problema; - MORALE indica la riflessione di materia religiosa, si riferisce alle norme concrete del comportamento umano. Rimane affermato l’uso sinonimo dei due termini. Potremmo definire l’etica/morale come “ciò che caratterizza” l’agire umano. In base all’accezione arcaica di dimora, l’etica/morale può essere intesa come la “dimora propria dell’uomo”. Cosa caratterizza il modo umano di comportarsi? La libertà: l’agire umano è libero. Ragione e volontà sono gli ingredienti dell’agire libero. L’etica si propone anche come riferimento per l’agire umano. Di conseguenza, l’etica/morale presenta non solo un’accezione interpretativa, ma anche normativa. 2. La presunta libertà Nella civiltà classica l’etica si è sempre fatta dipendere da Dio, il comportamento dell’uomo era strettamente legato al volere divino, come un tralcio non può dare frutti se non è collegato alla vite. La filosofia moderna ha cercato di dare un valore autonomo all’etica (o morale); il massimo si è raggiunto con il filosofo Immanuel Kant: la sua etica dipende solo dalla ragione dell’uomo. Ad esso, si aggiunge il perdono ai suoi carnefici, che non si sono pentiti, ma ‘non sanno quello che fanno’; perciò Gesù trova perfino giustificazione per perdonarli. Il perdono arriva a tutta l’umanità ed è un invito ad affidarsi a Dio. Da parte dei suoi avversari invece c’è stata incredulità: Giovanni dice ‘venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto’. L’hanno crocifisso per dimostrare la falsità della sua convinzione d’essere figlio di Dio e hanno continuato a perseguitare i discepoli. Di fronte al sepolcro vuoto, anziché aprire gli occhi e credere nella resurrezione, hanno diffuso una diceria (l’hanno rubato). Il centurione che si converte, come i suoi che lo seguono in tutte le fasi della condanna (le pie donne, Maria, Giovanni) si accorgono dello splendore che Gesù emana, derivante dal suo dono della vita a favore dell’umanità. Queste vicende evidenziano i dinamismi essenziali della morale cristiana: A) Attrazione dello Spirito: a’, dono dello Spirito; a”, creazione della libertà (o ricreazione) B) Azione della libertà: b’, resistenza della libertà; b”, resa della libertà. In questi concetti sta il senso della libertà morale: Gesù emette lo Spirito a favore di tutti e ridona a tutti la possibilità di scegliere di seguirlo, la libertà non può resistere a quello Spirito e vi si arrende, per seguirlo. I racconti evangelici della pasqua di Gesù lasciano trasparire i dinamismi essenziali della morale cristiana. A. L’attrazione dello Spirito. La pasqua di Gesù è un evento trinitario: morendo sulla croce egli si consegna nelle mani del Padre che lo attrae nella comunione dello Spirito santo. • Il dono dello Spirito. Il Figlio Gesù attira tutta l’umanità nell’amore trinitario, rendendola partecipe dello Spirito che offre gratuitamente agli uomini dalla croce. • La (ri)creazione della libertà. Mediante il dono dello Spirito santo, il Padre riplasma gli uomini peccatori immagine del Figlio affinché scelgano in piena libertà di lasciarsi attirare nella comunione trinitaria. B. L’azione della libertà. Lo Spirito santo effuso da Gesù include tutti. • La resistenza della libertà. La libertà umana, che non può non agire, può però resistere all’attrazione dello Spirito santo, rifiutando di essere ricreata in Cristo e indurendosi nel peccato. • La resa della libertà. La libertà umana, obbligata all’azione, può altrimenti affidarsi all’attrazione dello Spirito, lasciandosi riconciliare con Dio. 2. L gradualità della morale cristiana Cristo attrae ogni cosa a sé e impone alla storia un movimento unitario: movimento verso l’alto, dato dalla collaborazione tra dono divino e risposta morale dell’uomo. Si tratta di un movimento graduale, in cui si possono identificare quattro stadi: - dono della creazione, narrato nella Genesi (da qui deriva la responsabilità dell’uomo nei confronti di Dio che l’ha creato a sua immagine e degli altri uomini che sono immagine di Dio e la morale religiosa è possibile solo nell’alleanza con Dio). - dono dell’alleanza con il popolo d’Israele, che culmina nel dono delle tavole sul monte Sinai (da qui deriva l’obbligo, per Israele e per tutta l’umanità, di osservare la legge, con l’idea di un cammino da compiere, come liberazione, come il cammino che il popolo sta facendo all’uscita dall’Egitto). - il per-dono della nuova alleanza in Cristo, narrato nei racconti della Pasqua, già citati (da qui deriva la nuova alleanza con Dio attraverso Cristo e la morale cristiana si trova in essa). - dono escatologico della vita eterna in Lui (è un dono non ancora compiuto, progressivo). Perciò la morale cristiana è dinamica, è rivolta alla vita eterna secondo il cammino di liberazione che ci viene proposto, un cammino che si basa sulle tavole dei comandamenti ed essenzialmente sui due comandamenti dell’amore,quindi l’amore per il prossimo è la parte evidente di questo cammino, esasperata fino al perdono che si deve donare settanta volte sette, a sostituire la vendetta. 3. L’amore come legge La legge nuova L’attrazione esercitata dallo Spirito santo sulla libertà invita ad una rinnovata interpretazione della legge morale, che trova appoggio nel trattato della Summa Theologiae dedicato da Tommaso d’Aquino alla legge e culminante nella figura di legge nuova, nuova perché della nuova alleanza. Identificando la grazia dello Spirito santo con la legge nuova, Tommaso introduce una concezione inedita di legge che, pur giungendo all’uomo dall’esterno, agisce dal suo interno. Ciò impedisce di considerarla come codice esteriore di precetti ed esige di intenderla come un dinamismo interiore. La legge nuova principalmente è una legge infusa, secondariamente è una legge scritta. La traccia scritta è rinvenibile nel Nuovo testamento, specie nei Vangeli e nel Discorso della montagna. L’intero Discorso illustra la via graduale e ascendente sulla quale la libertà è attirata dallo Spirito sino a raggiungere la piena conformazione a Cristo, amando come Lui ha amato. La gradualità ascendente della vita cristiana è scandita dalle sette beatitudini e culminanti nell’ottava che indica il vertice della morale cristiana e trova formulazione nel nuovo comandamento “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”. La legge naturale La legge nuova deve essere integrata considerando la legge naturale, quella propria della natura umana. La relazione tra le due leggi può essere stabilita rispetto alla loro intima presenza nell’uomo. La somiglianza è dovuta al fatto che entrambe sono leggi infuse. La dissomiglianza sta nel fatto che la legge nuova è infusa nell’uomo non solo come indicazione di ciò che deve essere fatto, ma anche come aiuto a compierlo. Come nel Discorso della montagna si esprime la legge nuova, la legge naturale trova espressione scritta nei comandamenti del Decalogo. Questi, pur essendo molteplici, si riassumono nell’unico comandamento dell’amore del prossimo. Quale analogia ricorre tra il comandamento di amare il prossimo e il comandamento nuovo dell’amore di Gesù? L’amore dei nemici eleva l’amore umano sino all’altezza dell’amore divino. Confrontato con questo amore, l’amore del prossimo risulta di grado inferiore. Caratteristiche della legge morale: A. Interpersonalità In quanto amore, la legge morale è essenzialmente interpersonale, cioè tra almeno due persone. Questa concezione impersonale critica e supera la concezione legalistica della morale, nella quale il legame in gioco è quello dell’individuo con un precetto impersonale; B. Obbligatorietà La forza imperativa dell’amore è l’appello di coloro che chiedono di essere amati. L’amore obbliga facendo appello alla propria responsabilità per l’altro. In un certo senso è debole; C. Universalità e immutabilità Esprimono in ogni circostanza spaziale e temporale la validità dell’amore; D. Gradualità La legge naturale traccia il limite al di sotto del quale l’amore scompare, la legge nuova ne indica il vertice supremo e insuperabile. L’estensione tra i due livelli amorosi rende l’idea di come l’amore possa essere conosciuto e vissuto a diversi gradi. CAP. III: I DINAMISMI DELLA LIBERTÀ 1. Analitica dell’atto La legge morale è immessa nell’uomo dallo Spirito e presuppone libertà d’agire, altrimenti sarebbe un’imposizione violenta e non è ciò che Dio vuole dagli uomini. Come detto, seguire questa legge morale significa comportarsi secondo essa, cioè dimostrare di seguirla, con le proprie azioni e la propria vita. L’agire morale richiede una continuità e su di essa si pongono domande riferite al passato, al presente, al futuro: che cos’hai fatto, che cosa stai facendo, che cos’hai intenzione di fare. Se non si facessero queste domande, l’agire sarebbe valutato solo dopo la morte, quando sarebbe compiuto, ma in questo caso l’uomo non potrebbe valutare la sua vita e quindi verrebbe meno la sua responsabilità e anche la responsabilità morale. San Tommaso distingue tra gli atti propri del genere umano (naturali) e gli atti desiderati dall’uomo (liberi): distinzione antica. Ma l’uomo è insieme spirito e corpo, pertanto non possiamo incasellare ogni azione in una delle due categorie, ma ci sono azioni che sono intreccio di azione e passione, cioè un insieme delle due categorie. L’agire morale vede come limite inferiore l’azione ‘sfuggita’, cioè quella proprio istintiva; al limite superiore l’azione ‘differita’, cioè quella legata alla volontà, alla libertà di scelta e quindi preparata. Ogni azione differita ha perciò dei tempi: il tempo del volere, del progetto, della scelta, dell’efficienza e infine della gioia o soddisfazione. In questo tipo d’azione, la libertà è sempre presente e ogni azione richiede lunghezza di tempi diversa. All’interno di ciascuna azione ci sono un oggetto che non dev’essere solo fisico, ma collegato al bene o al male, quindi scelto; ci sono le circostanze, che rispondono al concetto già espresso di limiti della libertà, non modificano la qualità morale dell’azione, ma concorrono ad aggravarne il concetto positivo o negativo (Es..: se un povero fa l’elemosina, dona ciò che gli serve per vivere); c’è un fine, che a volte è diverso dall’oggetto: per esempio rubare ai ricchi (oggetto cattivo) per soccorrere i poveri (fine buono). 2.Metafisica dell’atto Reagendo all’eccessiva concentrazione sugli atti, la più recente teologia morale ha recuperato l’importanza del soggetto agente. La scelta della libertà umana rispetto al suo bene fondamentale, Dio, prende il nome di opzione fondamentale. Tale opzione, mediante la quale l’uomo decide radicalmente di sé, accogliendo o rifiutando Dio, è più che tutte le azioni morali come tali, è più profonda, le penetra e le supera. L’indissociabile intreccio tra scelte particolari e opzione fondamentale è vincolo imprescindibile per l’interpretazione dell’agire morale dell’uomo e va posto in relazione con la peculiarità del più grande e primo dei comandamenti “Amerai il Signore Dio tuo e il tuo prossimo con tutto te stesso”: l’originalità sta nella correlazione, chi non ama il proprio fratello non può amare Dio. Il darsi dell’opzione fondamentale nei singoli atti conosce diversità di grado: si distingue tra atti profondi, in cui ne va dell’opzione fondamentale, e in atti periferici, in cui rimane invariata. Il passaggio dal sì al no nei confronti di Dio costituisce il peccato, quello dal no al sì la conversione. La coscienza. Il Vaticano II definisce la coscienza come il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova da solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Nella storia, ora la si è intesa come voce di Dio (Agostino), ora come voce dell’uomo (Tommaso), nel senso per cui l’uomo, partendo dalla conoscenza dei principi del bene e del male di cui Dio lo ha dotato naturalmente, li applica mediante ragione alle sue singole azioni, giudicandole nella loro bontà o malizia. In questa seconda visione (la più influente nella dottrina morale cattolica) la coscienza morale comprende sia la stabile percezione dei principi della moralità (sinderesi), sia il giudizio concreto su atti che sono stati o non ancora compiuti (a cui nel medioevo si riservava la parola conscientia). Essa è nata dal rinnovamento sociale, culturale e scientifico che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale, da cui il pensiero comune è uscito con n’ottica più consapevole e più attenta ai bisogni dell’umanità e ai rapporti interpersonali. Tra il 1946 e il ’47 si è celebrato il Processo di Norimberga, a ventisette medici e chirurghi del Reich che avevano condotto esperimenti medici senza il consenso dei pazienti, usando prigionieri militari e civili. Da tale processo emergono fatti atroci, ma scientifici. Quei medici hanno esaltato e portato all’estremo esperimenti che la scienza potrebbe condividere. Si sente la necessità di codificare i criteri di sperimentazione sulle persone e si redige il Codice di Norimberga. Gli esperimenti sono autorizzati solo se veramente utili all’umanità, ma il codice rimane riservato all’ambito scientifico e non si apre al confronto sociale. La Chiesa – e in particolare Pio XII dopo il processo di Norimberga – si è pronunciata sulla necessità di mantenere il codice teologico-morale elaborato nei secoli, soprattutto nella sezione riservata all’ambito sessuale e procreativo. Dal Processo di Norimberga emergono concetti come ‘crimini di guerra’ (da combattere e punire) e ‘diritti dell’uomo’ (da conservare e rispettare); da quel momento ci si rende conto che la bioetica non sarà più limitata ad alcuni individui e momenti, ma sta diventando un fenomeno universale. Gli anni ’50 del XX secolo sono segnati da una serie di progressi medici: la scoperta del DNA, le tecniche di rianimazione, la pillola anticoncezionale, la fecondazione di animali ‘in vitro’ e altre terapie contro malattie fino ad allora incurabili. In America sorgono movimenti contro l’abuso di tali terapie e la sperimentazione su soggetti non d’accordo e spesso non consapevoli, attraverso l’inganno. Teologi e filosofi si sono occupati del tema. In particolare, la Chiesa ne ha parlato dopo il Concilio Vaticano II e con l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Si è stabilito che tutto nasce dalla crisi morale dell’uomo, il quale sente, a livello scientifico, la necessità di dare altre forme alla morale, più adatte al progresso dell’era moderna. Prima era solo il filosofo ad occuparsi della morale, ora ne trattano anche gli scienziati, per capire come intervenire sulla vita umana in conformità alla morale: da qui, lo scienziato Potter introduce il termine ‘bioetica’, cioè comportamento morale applicato allo sviluppo della vita. La vita è complessa e può essere letta da molti punti di vista. Con la bioetica è avvenuto un cambiamento che ha mutato gli equilibri tra i ari aspetti della vita, in particolare tra gli aspetti morale e scientifico (che si può definire tecnico); infatti si è introdotto un criterio tecnico di considerare la vita, soprattutto nella sua fase riproduttiva: ecco l’avvento dei farmaci anticoncezionali, della riproduzione eterosessuale, cosiddetta assistita, ecc. C’è quindi un intervento tecnico sulla natura, per arrivare al concepimento della vita. 2. L’identità della bioetica La natura è l’insieme delle leggi che governano l’universo. L’uomo ne risente, in quanto parte dell’universo. Per quanto riguarda la riproduzione, si parte dalla differenza sessuale, al desiderio, all’atto sessuale nella sua natura, fino alla riproduzione: questo è naturale (e la teologia richiede che sia fatto secondo il discorso morale, presente nella terza parte del libro). La teologia morale non approva che si intervenga con la tecnica, perché significherebbe dare al processo riproduttivo un aspetto esclusivamente fisico, uno strumento funzionale alla riproduzione; questo atteggiamento è riduttivo, perché trascura l’affetto e l’intimità della coppia, previsti dal disegno di Dio al momento della creazione (cioè uomo-donna come contributo alla creazione e loro atto previsto e seguito da Dio). L’uomo agisce secondo la natura e la morale, tenendo conto del bene da fare e del male da evitare (discorso già fatto); questo vale anche per gli interventi tecnici nella riproduzione, cioè nella bioetica, in quanto la tecnica ivi applicata è uno dei modi di agire dell’uomo. È Un modo nuovo di agire dell’uomo, perché supera la natura, quindi si tratta di un’etica all’interno dell’etica generale: un’etica speciale, un intreccio tra natura e tecnica, che interviene nei momenti più significativi della vita dell’uomo, quali il concepimento, la nascita, la guarigione dalla malattia, la morte. CAP. II: UN NUOVO MODO DI GENERARE? Nel 1978 nasce Louise Brown, la prima bambina generata in provetta. Vi sono reazioni diverse: alcuni sono perplessi di fronte alla manipolazione dei gameti da parte di scienziati e medici; altri esultano perché in questo modo si supera il concepimento naturale, soggetto al caso e alle emozioni: si passa dal concepire un figlio al ‘farlo’. 1. Le tecniche di procreazione medicalmente assistita Ci sono due procedimenti diversi di fecondazione assistita: in vitro (o extracorporea), quando l’incontro del gamete maschile con quello femminile avviene in provetta; corporea, quando l’incontro avviene nel corpo della donna, attraverso le vie genitali femminili. Il contributo esterno alla coppia può riguardare sia gli spermatozoi (maschio), sia gli ovuli (femmina), sia entrambi (e allora come fanno a dire che quello è loro figlio?, dico io). Si è semplificata la donazione di sperma, in quanto gli spermatozoi si possono conservare congelati; si sta perfezionando la congelazione degli ovuli. Ma l’intervento di estranei può spingersi oltre, quando ad esempio (maternità surrogata) un’altra donna accoglie nel proprio utero l’ovulo fecondato di un’altra coppia, per portare avanti la gestazione. (anche qui, di chi è il figlio?). Al di là del discorso morale, c’è prima di tutto la frammentazione della figura paterna: chi è il vero padre? Va considerato che la procreazione è un procedimento complesso, che implica tutta la persona maschile e femminile, che è responsabile con tutta se stessa e non solo in parte. Tutta la persona: infatti ci sono tre fasi che portano a questo evento, la preparazione dalla pubertà all’età matura, in cui si manifestano le differenze sessuali dell’uomo e della donna, che cambieranno completamente il fisico e le reazioni; la gestazione dal concepimento al parto; la fase centrale che costituisce uno stacco e un cambiamento tra questi due momenti, cioè la fecondazione, quando le due cellule si compenetrano. Tutto questo comporta un coinvolgimento psicologico: generare un figlio significa anche generare un padre e una madre. C’è un impulso che spinge ad avere un figlio, impulso costituito da più elementi: desiderio di trasmettere i propri geni, di incarnare l’amore di coppia, di portare e nutrire un figlio nel proprio corpo, di allevare un bambino. Il legame tra il desiderare e l’agire è fondamentale. L’atto sessuale deriva da una preparazione affettiva comune e non può essere ridotto a un momento tecnico generativo. L’atto di generare ha anche forte valenza sociale (la società è formata da individui generati), tuttavia la valenza sociale è quella più trascurata in quest’epoca. Il figlio infatti è desiderato non per ‘mettere al mondo una creatura’, che avrà una sua identità a prescindere da noi, ma è visto come necessario per una realizzazione di sé, una dimostrazione di fecondità, un appagamento di proprie aspirazioni. Si trascura la valenza sociale dell’adozione o dell’affido; si vuole un figlio proprio, un figlio di proprietà, per dimostrare di averlo. In questa luce, il nato maturerà l’idea di una costrizione, perché nato per scelta altrui. Si dimentica il disegno divino in questo contesto. Come fenomeno, è da notare che si porta sempre più avanti l’età in cui si hanno figli e soprattutto quella in cui si insiste per avere figli con metodi artificiali, anche oltre i quarant’anni, quando si dovrebbe avere maturato la coscienza morale relativa a procreazione ed educazione dei figli. È anche paradossale il fatto che si insista a volere generare un figlio con mille tentativi e prove, quando ci sono tanti bambini già nati che avrebbero bisogno di un contesto familiare in cui vivere. 3. Criteri di valutazione etica Il ricorso alla tecnica in caso di sterilità è mosso dal desiderio di avere un figlio, desiderio legittimo. Ma spesso la procreazione assistita non si limita ad interventi terapeutici, spesso serve ad ottimizzare il figlio (scelte di forme, di tempi ecc.). L’intervento medico scientifico non è più terapeutico, per ovviare alla sterilità e cercare dove possibile di curarla; pertanto, per soddisfare le richieste impellenti volte a realizzare desideri che vanno oltre il normale concepimento di un figlio, i medici trascurano quella che è l’analisi e la ricerca finalizzata a vincere la sterilità. Inoltre, il bambino dev’essere concepito da una coppia che ha maturato la sua apertura alla nuova vita come dono, quindi non come ricerca ossessiva. La morale implica anche il rispetto dell’embrione, che è già portatore di vita e non deve essere manipolato a piacimento, ma rispettato nel suo ambito naturale in cui è concepito e in cui si svilupperà. Attorno a questo argomento ci sono dibattiti culturali approfonditi, che tendono a spostare nel tempo il momento in cui l’embrione, o in seguito il feto, dev’essere considerato persona, secondo le fasi di sviluppo. Infine, la coppia che genera un figlio deve tenere conto anche del contesto sociale in cui egli entrerà a fare parte, come apporto volontario della coppia; non deve privilegiare l’affermazione individuale. 4. Ripresa sintetica In definitiva, il disordine e la confusone etica si manifestano quando non c’è il rispetto per l’embrione, quando lo si manipola, lo si trasferisce piacere e secondo la volontà della coppia. Soprattutto questo mette in luce l’assurdità delle quantità di embrioni conservati nel mondo, che non si capisce quale continuità avranno, se non saranno fatti sviluppare da coppie richiedenti. La sperimentazione scientifica non ammette che si abusi di altri esseri umani, comunque concepiti. Il rischio è che l’embrione sia considerato semplice materiale sperimentale e non essere umano concepito. Infine, è necessario che la procreazione sa compiuta con un atto di libertà, mentre la fecondazione artificiale, nelle sue tecniche differenti attualmente in vigore, è rivolta all’efficacia dell’esperimento, come qualunque intervento tecnico, senza ammettere il caso, l’eventualità, l’insuccesso. Tutto farebbe pensare a motivi solo egoistici. La procreazione con l’aiuto della tecnica può essere ammessa qualora risponda alla maturazione del desiderio di un figlio, che però non lasci spazio all’egoismo e al desiderio di affermare il possesso, la proprietà, del figlio concepito. Mia considerazione: è ben difficile stabilire dove finisce la consapevolezza matura e comincia l’egoismo. Le pratiche tecniche sono solo prove per i medici e gli scienziati, a cui non interessa niente dell’essere umano a livello sociale e tanto meno morale. “La scienza e la tecnica richiedono il rispetto dei criteri fondamentali della moralità” (enciclica Donum vitae, Il dono della vita, redatto dalla congregazione per la Dottrina della Fede.1987). L’uomo è stato invitato da Dio a procreare e deve tenere conto di questo dono e di questo incarico fondamentale, che non dev’essere distinto dalla libertà, dal desiderio, dalla responsabilità e, come abbiamo detto, dal rispetto per l’embrione come individuo concepito. Anche il modo di morire è cambiato nel tempo: da un momento solenne e sereno col prete e coi parenti, è diventato un lungo processo con rianimazioni, terapie, flebo, intubazioni e altro, perché si vuole provare tutto per protrarre la vita anche di mezza giornata, torturando il malato. È difficile e faticoso curare un malato, ma si preferisce sottoporsi a tale sacrificio pur di averlo lì in vita, in qualunque condizione. Non si accetta più la morte come condizione dell’essere umano. Le sperimentazioni sono volte a prolungare la vita, come se si potesse diventare eterni. (Ecco anche il fine dell’ingegneria genetica). La morte ha un coinvolgimento psichico in varie fasi: il rifiuto e la rabbia, che si sfoga contro tutti (perché io?), il compromesso con Dio (in quei casi ci si attacca a tutto), per prolungare almeno di un poco la vita, la depressione per l’impossibilità di ripresa (disfacimento del corpo, costo delle cure ecc., senso di perdita di tutte le cose e le persone care), rassegnazione e accoglienza del destino, serenità. Non tutte queste fasi riguardano tutti e non nello stesso ordine, ma tutti sono accomunati dalla speranza che sia un incubo, che non sia vero e ci sarà un risveglio. È necessario avere col malato una comunicazione sincera, rispondendo anche alle domande più difficili e gravi. La morte ai nostri giorni è diventata tabù, quello che un tempo era il sesso. I bambini pensavano d’essere nati sotto i cavoli, ma assistevano alla morte del nonno nella sua camera. Oggi sanno da subito come nascono, ma si nasconde loro il significato di morte; se non vedono più il nonno, si dice che è andato lontano, che è volato in cielo (nel migliore dei casi), non si fa riferimento alla morte (quello che dicevo prima, non è più accettata come dimensione umana). Anche per il discorso fatto, che un tempo si moriva nel letto col prete e i parenti; adesso si muore con una serie di tubi e maschere in ospedale, visione macabra, che a un bambino non puoi proporre. Il paziente accetta (non sempre) le terapie anche invasive, perché vede nel medico poteri enormi che lo renderanno immortale, come ciascuno pensa d’essere. Il medico è sempre apparso una figura di grande potenza, ma il suo ruolo vero è di alleviare il dolore, non di prolungare la vita dove non si può o dove davvero non ha significato. La morte implica la domanda ‘perché si muore?’. Da quanto scritto in precedenza, sappiamo che la morte è il completamento del percorso dell’uomo. Nel momento della morte è consapevole d’essere vicino a Dio, ha completato il suo agire. Da quanto scritto in precedenza, sappiamo che solo in Dio l’uomo completa il suo percorso umano: dalla promessa di Cristo, si avrà una rinascita. Quindi due cose: il distacco da tutto ciò che è uomo e la rinascita e riavvicinamento a Dio. Ha vissuto in base al disegno divino in tutta libertà: decidere di sé cogli altri, verso Dio, un cammino che si completa solo col riavvicinamento a Dio a conclusione della vita. Nessuno ha diritto di espropriare l’uomo della sua morte, neppure Dio. La morte appartiene all’uomo e deve viverla nel momento previsto. La morte dev’essere intesa come un momento del vivere, come parte integrante della natura umana. Su questa base, la libertà dell’uomo non deve spingersi a scegliere la morte, il momento, il modo. Non deve compromettere l’atto di consegnarsi a Dio, accettando spontaneamente il momento. L’intervento dell’uomo deve essere rivolto a limitare la sofferenza e accompagnare l’ultimo periodo (assistenza domiciliare e hospices specializzati), senza accanimento e senza nulla nascondere alla persona. 2. Eutanasia ed esubero terapeutico Eutanasia significa ‘morte bella’ ed era una pratica intesa rendere piacevole anche il morire. Attualmente indica il processo di accelerazione della morte, per compassione verso il malato che soffre. È attiva, quando si fa qualcosa per procurare la morte (iniezione); è passiva, quando si interrompono le terapie che mantengono in vita (ossigeno, flebo ecc.). In entrambi i casi, si trascura il valore etico. Non è intesa come eutanasia la prescrizione di analgesici nella terapia del dolore, somministrati sotto controllo medico, anche se si sa che possono abbreviare la vita, ma sono fatti per diminuire il dolore. Esiste anche il suicidio assistito, in cui il medico nona agisce, ma dà al malato le conoscenze e gli strumenti per agire da solo. Il contrario dell’eutanasia è la distanasia o esubero terapeutico, in cui si forniscono al malato supporti terapeutici superiori al moralmente lecito, per tenerlo in vita ad ogni costo, anche in condizioni gravemente compromesse. In entrambi i casi, eutanasia ed esubero terapeutico, riconosciamo la fuga dalla morte. Entrambe le procedure sono contro la morale teologica, in quanto non tengono conto della dignità della persona che muore (per esempio mia mamma che negli ultimi giorni faticava a mangiare ha rifiutato d’essere intubata, ha preferito morire serenamente; magari sarebbe sopravvissuta due giorni, quindi non voleva proprio questa tortura, ma questo non è considerato eutanasia, ma rifiuto dell’esubero terapeutico, anche vista la sua età). Anche in questi procedimenti, è difficile trovare un confine tra le procedure lecite e illecite, soprattutto in una società che culturalmente spinge verso l’adozione di uno o dell’altro metodo e non si pone il problema morale. 3. Quasi una conclusione: vivere la propria morte L’apparente contraddizione di questo titolo si spiega con la necessità di essere educati alla consapevolezza che avremo una fine e che questa non dipende da noi e non deve dipendere da altri esseri umani. Abbiamo nella Chiesa l’esempio di uomini e donne che si sono preparati con coscienza alla morte (santi p. es.). Paolo VI ha scritto pensieri sulla morte, che sono riportati nel testo pagg. 143-144, se vuoi leggerli, ma non sono indispensabili. 3° PARTE - SESSUALITÀ E MATRIMONIO - MARCO PALEARI CAP. I: GLI ENIGMI DELL’AMORE Perché ‘enigmi?’, perché l’amore sfugge a ogni definizione precisa. 1. Tra teologia morale, diritto e teologia sistematica Il concilio Vaticano Secondo, e in particolare l’enciclica Gaudium et Spes, compilata in seguito ad esso, modifica i contenuti della dottrina morale relativamente al matrimonio. In precedenza, si rifaceva a un documento de 1930…… in cui il matrimonio era l’atto religioso e riconosciuto a termini di legge, che consentiva la procreazione, cioè l’obbedienza a un ordine divino, che però non teneva conto della sessualità, né dell’innamoramento e dell’affetto che è necessario tra uomo e donna, per arrivare appunto alla decisione del matrimonio. La purezza dell’atto coniugale e la fedeltà dei coniugi erano prescritte dai comandamenti ‘non commettere atti impuri’ e ‘non desiderare la donna d’altri’ (ora modificato in ‘non commettere adulterio’, per evitare l’aspetto maschilista, come se la donna fosse una proprietà e non potesse avere lei il desiderio di avere un altro uomo: l’abbiamo visto nell’altro libro). Il matrimonio in generale era considerato come sacramento. Si metteva in evidenza la sua funzione di fondamento della famiglia, per la procreazione e l’educazione dei figli. La morale relativa ad esso prevedeva che fosse usato come strumento per la procreazione e che il godimento che derivava dall’atto coniugale fosse considerato un premio per questa procreazione, che risultava gravosa. Il peccato derivava dal non rispetto di queste regole e si considerava il caso singolo, esaminato durante la confessione. Non si faceva un discorso generale sulla sessualità e sul matrimonio, introdotta, come anticipato, in seguito al Concilio Vaticano II. 2. Una scelta metodologica: ascoltare il contesto Nell’enciclica citata c’è l’invito deciso (come scelta di metodo) a considerare il tempo in cui si vive, le sue manifestazioni, le sue circostanze, per riuscire a interpretare la realtà del momento e dare le giuste regole alla luce del Vangelo. Giovanni Paolo II ritorna su questi dettami, precisando questo invito in merito alle vicende dell’amore tra uomo e donna, precisando che è necessario studiare in quali contesti essi si muovono, per tenere conto della loro vita complessiva ed esercitare l’opera di evangelizzazione nel modo adeguato. Per esercitare tale opera, l’evangelizzazione si serve d’altre discipline, come la pedagogia e la sociologia. Si muove tenendo presenti tematiche attualmente centrali, come la felicità, il piacere, la comunicazione; e valorizzando il linguaggio dell’uomo, scelto da Dio per comunicare con l’uomo. Dal punto di vista teologico, si tratta di accostarsi alla sessualità nella coppia con lo stesso amore di dio che l’ha voluta. Occorre accostarsi con l’amore divino all’amore dell’uomo. La Chiesa, indirizzando il credente su queste basi, farà sì che egli possa avere uno scorcio del disegno della Trinità sulla realtà coniugale e possa rispondere a tante domande, ansie e speranze dei giovani sposi e genitori d’oggi. 3. Gli odierni enigmi della sessualità e della vita di coppia Tra le domande, speranze e ansie sopravvale la dimensione sessuale. Fino agli anni Sessanta tutto ciò che riguardava il sesso era taciuto e relegato all’istituto matrimoniale, incanalato e gestito da esso, controllato dalla morale, sia religiosa sia laica; in quegli anni è avvenuta una rivoluzione che ha portato l’argomento ad essere espresso e vissuto senza regole, sfuggendo a ogni contenimento. La nostra cultura sembra allergica alle relazioni, viste come legami, come vincoli. Prima queste parole erano usate per sottolineare la necessità di rispetto e di fedeltà; adesso sono viste in senso negativo, di costrizione alla fedeltà. Ecco alcuni trend che troviamo nella fenomenologia della relazione di coppia nella cultura occidentale (italiana in particolare): a) la creatura umana è maschio o femmina e quindi, nominandola, si fa richiamo alla sua sessualità, ogni contatto tra le persone ha una forte carica sessuale e nella nostra cultura esso è visto solo nella dimensione fisica. b) se il matrimonio era il binario su cui viere rettamente la funzione attuale, attualmente l’istituzione matrimoniale e la pratica sessuale seguono vie differenti; negli ultimi anni si è abbassata l’età del rapporto sessuale, senza bisogno di istituzione. c) ogni rapporto maschio-femmina nasce da una decisione libera molto più che in altre epoche e culture, anche quando non è finalizzato al matrimonio. La convinzione che ognuno ha doveri prima di tutto verso se Per far capire interamente la necessità di questa unione completa, la Genesi parla di donna creata dalla costola dell’uomo, cioè carne della sua carne, già a priori. Tale deve tornare ad essere nel matrimonio e grazie al matrimonio, che quindi prevede un’unione totale e anche, da qui, indissolubile. L’unione scaturisce da un desiderio dell’altro che è diverso, per un incontro senza limiti. La spinta dell’eros verso l’altro essere porta alla partecipazione totale alla vita dell’altro (scambievolmente, cioè ciascuno dei due alla vita dell’altro), al suo modo di essere, alle sue abitudini, società d’appartenenza ecc. Ci si apre completamente a lui per una vita totalmente comune. La spinta dell’eros che porta a questa apertura totale comprende l’amore di Dio (dell’uomo verso Dio e di Dio verso l’uomo). I due restano distinti perché sempre sia vivo il desiderio dell’uno verso l’altro; la loro unione, con le conseguenze (famiglia, prole, società…) non è la somma dei due, ma è una novità. Nelle lettere di San Paolo, scopriamo che egli vede e riconosce nelle coppie che si muovono attorno a lui l’opera di Dio: la promessa del rinnovo di un’alleanza, fatta nella Genesi, si è concretizzata in Cristo. La Chiesa, che nasce dalla sua predicazione, diventa la sua Sposa (discorso già fatto nell’altro libro). La Pasqua è il momento supremo di questa unione, in cui lo Sposo (Cristo) dà la vita per lei (Chiesa). Anche le Persone della Trinità sono unite da una comunione analoga a quella di Cristo e della Chiesa, a quella dei coniugi: conoscenza e reciprocità, comunanza e diversità, obbedienza e rivelazione, intesa e proiezione verso l’esterno, fecondità e fedeltà. Cristo rivela la comunione col Padre e l’amore di Lui e chiama la comunità ecclesiale a farsi figlia, come Lui è figlio, attraverso lo Spirito santo. Come la Chiesa si lascia amare totalmente da Dio, così accade tra i coniugi, che si abbandonano totalmente l’uno all’altro, dando vita al disegno di Dio, basato sull’amore e teso alla procreazione, alla continuità, al futuro. 3. Il sacramento delle origini Giovanni Paolo II torna sul discorso della catechesi del matrimonio, mettendo in evidenza che questo sacramento è il primo a nascere (Genesi, unione di Adamo con la donna) e serve da prototipo a tutti gli altri. La sua esistenza è riconfermata in più occasioni da Cristo. Già nella Genesi, Dio crea un giardino in cui l’uomo si trovi bene, quindi Dio diffonde dovunque amore. Quindi annuncia l’amore tra l’uomo e la donna, finalizzato alla procreazione e al popolamento della terra, dimostrando che tutta la storia che seguirà nascerà da questo amore. Tutto ciò che viene da Dio è buono. Anche quando il Suo popolo soffrirà, egli sarà presente come uno sposo che provvede e aiuterà nella liberazione, poi sarà sempre guida, come lo sposo è guida alla sposa nel matrimonio. 4. La qualità sacramentale dell’amore coniugale La coppia che ha accolto la chiamata all’amore deve tenere presente che essa le deriva da Dio-Amore: risponderà mettendo a disposizione corpo, anima e spirito. Il loro amore nasce da un disegno di Dio, che opera in loro già dal primo incontro. Perciò il loro essere coniugi è benedetto da Dio, in quanto da Lui voluto e preparato. Quindi il matrimonio ha una dimensione fisica nella storia, nello spazio e nel tempo; manifesta la partecipazione di Dio attraverso la grazia; manifesta l’essenza della Chiesa come sacramento; manifesta l’atto libero in cui questa partecipazione è accettata. CAP. III: LE CARATTERISTICHE DELL’AMORE Le caratteristiche dell’amore coniugale sono qui presentate alla luce della qualità dell’amore di Cristo, che rivela in modo completo e compiuto l’amore della Trinità. 1. Il nome proprio dell’amore:come Cristo amò la Chiesa. L’amore di Cristo è il criterio per interpretare la qualità dell’amore tra uomo e donna. Per conoscere il tipo d’amore che lega l’uomo e la donna, per sapere la qualità completa della forza che lega l’uomo e la donna, dobbiamo guardare a Lui. Il culmine dell’amore di Gesù è nell’accettazione del sacrificio della Croce, quando dà la vita per la Chiesa, la sposa. Quello dei coniugi è prima di tutto amore pienamente umano, quindi sensibile e spirituale, non semplice trasporto dei sensi. È inoltre e soprattutto atto della volontà libera, destinato a mantenersi e ad accrescersi attraverso le esperienze quotidiane, gioie e dolori. Chi ama il coniuge, lo ama per sé e non solo per ciò che ne riceve (discorso già fatto). Inoltre, dall’amore trae durevole felicità. Infine, non si esaurisce nell’amore dei coniugi, ma procura nove vite, oggetto del medesimo amore. 2. Le caratteristiche dell’amore di Cristo Come un diamante irradia luce da diverse angolazioni, Cristo irradia amore distinto in 4 tratti essenziali. - Amore totale (con tutto se stesso fino al sacrificio) - Amore fedele (non lo ha ritirato nemmeno quando i suoi l’hanno tradito: Giuda. Pietro…) - Amore indissolubile (durante tutta la Sua vita terrena e assicurando la presenza dopo la morte) - Amore fecondo (ha dato la vita perché i suoi fedeli avessero la vita). L’Eucarestia insegna che il dono della vita totale, fedele, indissolubile e feconda inizia non quando si offre, ma quando si riceve. L’amore cristiano può essere vissuto e donato nella misura in cui lo si riceve. Sacramento dell’amore totale: dal punto di vista fisico si può esprimere con l’amore sessuale; in ciascuna di tali unioni si rinnova il mistero della creazione, l’uomo e la donna riconoscono la propria diversità e unità: unione dei corpi che si penetrano e si mescolano in una nuova forma; unione degli animi, nella componente emotiva e psicologica; unione delle persone, nella propria originalità, nel desiderio di raggiungere l’unità che le convoglia verso l’avvenire. Sacramento dell’amore fedele: l’unione di coppia presuppone l’esclusività, un amore esclusivo che i coniugi si possono permettere, perché si appartengono nella conoscenza di sé per l’oggi e nella promessa di sé per il futuro. È il riflesso dell’amore esclusivo che Cristo ha per la Chiesa, come sua sposa. Se nella coppia non ci sono identità piene, libere, consapevoli, è difficile raggiungere questa caratteristica di fedeltà. Perché ciascuno dei due accolga l’altro come coniuge e faccia con consapevolezza la promessa di fedeltà, occorre che conosca l’altro in tutte le sue dimensioni, fisiche e spirituali. Perciò ciascuno dei due deve farsi accettare dall’altro. Questa fedeltà va oltre il fatto di non avere un altro, significa la riscoperta quotidiana dell’altro come fonte inesauribile di vita e felicità (come già detto). Sacramento dell’amore indissolubile: i due non diventano uno solo istantaneamente, ma nel tempo. Se i due vogliono davvero unirsi totalmente, devono mettere in gioco la loro storia sotto tutti i punti di vista, tutta la vita di cui si dispone. Raggiunto questo, l’unione non si scioglierà più. Il Diritto Canonico prevede l’unità e l’indissolubilità del matrimonio. La volontà di accettare questi principi è espressa nelle promesse sacramentali. Con queste promesse, si risponde ai dettami di Cristo, tenendo conto che la sua parola non è un codice di legge e neppure una richiesta; ma è un’esortazione vigorosa al rispetto di questa legge. Se due coniugi si muovono nella fede, danno spazio all’amore di Dio perché li incammini verso la salvezza. Per il cristiano, la rottura del vincolo matrimoniale non è solo un fatto giuridico, ma significa arrogarsi un potere che non si ha e truffare l’altro, che aveva promesso insieme e si era fidato di tali promesse; truffare anche un eventuale figlio o figli, a cui si era presentato un avvenire promettente e sereno. Donare la vita a una creatura è un gesto di partecipazione a perdere la vita: il rischio è per entrambi e mai come in quel momento la vita del bambino è fragile. Anche il figlio ha diritto d’essere voluto e accettato nella sua identità, perciò da quel momento il matrimonio che diventa famiglia non si limiterà ai due, ma le scelte devono essere fatte anche per il bene e nell’ottica del futuro del figlio. Nel momento in cui Dio sceglie due genitori per compiere il suo disegno dell’avvenire, li investe della responsabilità di diffondere il Suo amore alla nuova creatura e di garantire la serenità di quell’avvenire, così come Lui stesso ha fatto con le Sue creature. 3. Imboccato il sentiero… Alla luce di quanto è stato finora spiegato, ecco che la Grazia che lo Spirito santo diffonde e immette nei due coniugi non è un dono che viene dato in quel momento, ma è un dono che si sviluppa da quel momento in poi, che dà le basi per una vita futura che si accetta comune, con le quattro caratteristiche elencate. Il percorso non sarà fatto singolarmente dai coniugi, ma da tutta una comunità che si muove con loro, costituita da tutte le persone parenti, amiche, religiose, ecc., con cui vengono quotidianamente a contatto. Questo cammino è sviluppato nel capitolo seguente. CAP. IV: I SENTIERI DELL’AMORE Parlare di morale può far pensare a regole rigide alle quali conformare il proprio comportamento. È quindi necessario riscoprire il significato della morale cristiana, che non dev’essere confusa con il moralismo o la semplice osservanza d’una legge. Va vista come impegno della propria libertà e della propria coscienza a ricercare il bene e dargli attenzione. In questo senso le norme e le regole sono da interpretare come un dono che ci viene fatto da Dio. Per aiutarci a conoscere meglio noi stessi e agire di conseguenza, in piena libertà. 1. Sentieri che si aprono La via dell’amore comincia dal grembo materno e procede fino a farci riconoscere e accettare la persona con cui intraprendere un legame coniugale. Per arrivare a questo, occorre un coinvolgimento complesso della personalità: prima di tutto la costruzione di una solida identità personale e quindi la conoscenza della diversità dell’altro. Inoltre occorre sviluppare il desiderio di fare una scelta di fede. Bisogna cominciare lasciandosi amare da Cristo (come abbiamo visto) e il contesto adatto è quello della Chiesa. Il primo compito dei fidanzati è i prendersi cura l’uno dell’altro: questo è il passo fondamentale per considerarsi soggetti attivi del proprio matrimonio. Hanno una loro storia distinta, un cammino (o non cammino) dopo il battesimo. L’impegno della conoscenza reciproca deve partire da loro, ma è importante che abbiano anche una guida spirituale a cui affidarsi, che insegni loro come aprire il loro amore di coppia verso i più prossimi e quindi estendersi a livello sociale come testimonianza dello Spirito e dell’amore di Cristo che opera in loro. La comunità cristiana ha come compito morale di formare i credenti e anche le coppie. Durante il fidanzamento ( taciuto negli ultimi tempi) si sviluppa e cresce il rapporto affettivo, c’è una maturazione spirituale che porta a decidere se sposare o no quella persona. I fidanzati devono essere internazionale i rapporti economici e di conseguenza politico-economici possono condurre a squilibri enormi, come pure se ben governati divenire strumento di solidarietà. Etica e politica nell’insegnamento sociale della Chiesa Il progetto etico-politico derivante dalla Dottrina Sociale della Chiesa non prospetta un ideale, ma un orientamento per la libertà inclusa in ogni azione politica. I tre cardini della prospettiva etica sono i principi, i valori, le virtù. Sei sono i princìpi – di cui quattro basilari – che di fatto tutelano le grandi dimensioni del rapporto sociale, in grado di disegnare la trama di fondo del progetto della Dottrina Sociale della Chiesa. Devono essere apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione e sono: 1. Principio personalista; 2. Bene comune e 3) destinazione universale dei beni, sua stretta implicazione per la vita economico- sociale; 4) sussidiarietà e 5) partecipazione, sua conseguenza per definire l’apporto della società civile a tutti i livelli; 6) solidarietà, nella sua duplice veste di principio e di virtù morale. Pur essendo un disegno unitario, il suo svolgimento deve essere elaborato a partire dai singoli principi. 1. Il primato della persona umana su ogni modalità della vita politica e sociale. Tale è il principio personalista, per il quale la persona è soggetto, fondamento e fine della vita sociale. Tutela, oltre che la dignità dell’uomo e i diritti umani, la partecipazione del cittadino alla vita sociale. 2. A riguardo della società civile e del suo primato nei confronti delle istituzioni vale il principio di sussidiarietà. Tutela alla promozione di una società articolata e differenziata in una pluralità di soggetti, al rispetto e alla promozione delle autonomie locali, al decentramento amministrativo. L’azione dei pubblici poteri deve avere carattere di orientamento, stimolo, coordinamento, supplenza e integrazione. 3. A governare la politica è preposto il principio di solidarietà, per il quale essa deve tendere alla condivisione e redistribuzione corretta di beni e oneri, al riconoscimento pratico della pari dignità e dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge e alle istituzioni. La politica si configura come corresponsabilità di tutti nei riguardi di tutti gli altri. La solidarietà assurge a virtù sociale per eccellenza. 4. Il principio del bene comune determina il fine al quale deve mirare l’intera azione politica. E’ il bene più elevato di ogni altro, in quanto perfezione della comunità e quindi superiore e più arduo del bene del singolo. Si concretizza previamente nell’insieme di quelle condizioni sociali che favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della persona ed esprime la ricerca incondizionata del bene di tutti. 5. La politica va ispirata al principio della partecipazione, affinché la cittadinanza risulti matura e attrice della vita del proprio Paese. Un progetto come quello abbozzato potrebbe trovare attuazione in una corretta realizzazione dello Stato sociale, che ne porti a pienezza le valenze positive attenuandone il più possibile i limiti imputabili alla sua realizzazione storica. Ritratto del politico cristiano “La coerenza chiesta al cristiano riguarda sia i contenuti che i metodi della politica. Egli è chiamato ad operare secondo una logica di servizio al bene comune, quindi con umiltà e mitezza, competenza e trasparenza, lealtà e rispetto verso gli avversari” (nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana). Nell’insegnamento sociale della Chiesa l’opzione preferenziale è per la democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini. La laicità (dal greco laikòs, del popolo) attiene a qualcosa che appartiene a tutti indistintamente. Correttamente intesa non implica rinuncia all’etica, anzi aiuta a cogliere che la decisione politica ha sempre a che fare con l’etica in quanto ingloba in sé elementi favorevoli o meno all’uomo. Legge e giustizia nella sacra Scrittura Nell’Antico Testamento la Legge è espressione dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, guida di un cammino di fede. In negativo il suo significato è quello di delimitare il male, favorendo la corretta percezione del bene. Nel Nuovo Testamento non è tolta la differenza tra giustizia degli uomini e giustizia di Dio, né viene vanificata la prima, anzi è raccomandato che la tensione tra le due sia avvertita e vissuta in direzione della seconda e più alta. L’autentica giustizia, annunciata nella Scrittura come prerogativa esclusiva del Dio di Gesù Cristo (il solo giusto), non può attestarsi al semplice livello dell’osservanza di procedure (Pilato) o delle tradizioni (farisei). Impone di mettersi in gioco, anche radicalmente, nei confronti della verità. In epoca romana il diritto vanta il primato e una pretesa di intrinseca eticità, in quanto apportatore di giustizia. Fondamento del diritto è la natura dell’uomo e per questo i principi generali sono applicabili a tutti. Nel Medioevo si verifica la massima vicinanza tra diritto e giustizia. La giustizia, considerata virtù, contempla tre forme: - generale o legale (si concretizza nell’osservanza delle leggi) - distributiva - commutativa L’integrazione/correzione della giustizia è realizzata tramite l’equità in quanto miglioramento qualitativo. Senza l’equità, la giustizia è rigida applicazione della legge senza pietà. L’incomprensione dell’equità fa sì invece che sia concepita come arbitrio. Il perfezionamento della giustizia è opera della carità. Nella stagione moderna l’intesa tra diritto e giustizia diviene sempre più faticosa. Diritto è ciò che è comandato dalla legittima autorità. Accanto alla legge naturale (giusnaturalismo) si afferma la legge positiva (giuspositivismo). La giustizia ne esce attenuata. Tra etica e diritto sociale ci sarà sempre maggiore estraneità. Il diritto pretenderà che le leggi siano osservate, disinteressandosi della questione del bene. L’Illuminismo è la stagione dei diritti dell’uomo e del cittadino come fondamento di tutte le altre leggi. Oggi sono presenti alcune nuove forme di giustizia sociale, in particolare la teoria della giustizia come equità prospettata da Rawls, che esige il crearsi di una parità di condizioni per tutti quale premessa necessaria al costituirsi di una nuova società, più giusta perché più equa. Le due principali regole di questa teoria sono: l’uguaglianza, per la quale i beni fondamentali in una società devono essere distribuiti in modo equivalente e la differenza, in base alla quale ogni diversità deve essere adeguatamente compensata o giustificata da una maggiore utilità. Il diritto è un linguaggio a servizio della giustizia e della verità. Non può sostenere totalmente le esigenze dell’etica, ma ad esse deve approssimarsi quanto più possibile. A livello personale è richiesta prima di tutto la lealtà nel rispetto delle leggi.