Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il mondo contemporaneo Sabbatucci Vidotto Ed. 2019, Dispense di Storia Contemporanea

Riassunto dal capitolo 1 al 29, con immagini geografiche

Tipologia: Dispense

2019/2020
In offerta
60 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 19/02/2020

JosipPetra
JosipPetra 🇮🇹

4.6

(155)

8 documenti

1 / 83

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Il mondo contemporaneo Sabbatucci Vidotto Ed. 2019 e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 1 Il mondo contemporaneo – Sabbatucci/Vidotto 1. Borghesia e classe operaia 1.1. I caratteri della borghesia A seguito delle rivoluzioni del 1848, gli esperimenti democratici non ressero l’onda d’urto della Restaurazione, che comportò il ritorno ai metodi assolutistici. Tuttavia, si registrò un forte mutamento della società, che aveva come principali protagonisti in primis i ceti borghesi, ma anche le classi proletarie. La borghesia si presentò come la depositaria di elementi di novità e trasformazione grazie allo sviluppo economico, al progresso scientifico, al risalto del merito individuale, alla libera iniziativa economica e alla concorrenza. Il termine borghese serve a definire un’ampia gamma di figure sociali, a loro volta poste in gerarchia, infatti, al vertice vengono posti i magnati dell’industria e della finanza, con tendenze di vita aristocratiche, in basso a loro i ceti dell’industria e del commercio emergente, quali imprenditori, dirigenti, mercanti e banchieri, e infine coloro che esercitavano le professioni di avvocato, medico e ingegnere. Vi era anche la piccola borghesia o ceto medio, nella quale rientravano i piccoli commercianti, gli insegnanti e gli impiegati. La borghesia costituiva una fascia ristretta della popolazione e tendeva ad esprimere il proprio stile di vita in maniera distinguibile nell’abbigliamento e nell’arredamento delle abitazioni. Accanto a questo segno distintivo, però, i valori dell’etica rimanevano quelli tradizionali, quindi l’austerità, la moderazione, il risparmio e il patriarcato. 1.2. La cultura del positivismo Il borghese europeo era anche animato dalla fede nel progresso generale dell’umanità, che si basava sui pilastri dello sviluppo economico e sulle conquiste della scienza. Sui progressi della scienza si sviluppò la corrente intellettuale del positivismo, che modificò il metodo generale di ricerca e di interpretazione della realtà. Infatti, questa visione si basa sul ricorso a dati positivi, cioè reali ed oggettivi, e al metodo delle scienze naturali anche per gli ambiti dell’attività umana. Comte fu il fondatore di questa dottrina e della moderna sociologia, e più tardi Spencer teorizzò che il mondo sociale e quello biologico obbedissero a leggi analoghe. Il risultato più significativo del positivismo si ebbe grazie al naturalista Darwin, che ne L’origine della specie, spiega che la natura è soggetta a un incessante processo evolutivo, guidato da un meccanismo di selezione naturale che determina: la sopravvivenza degli individui meglio attrezzati per poter resistere ai cambiamenti ambientali, e anche la scomparsa degli elementi meno adatti a questa selezione. Secondo Darwin, l’uomo è l’evoluzione degli organismi più elementari e rappresenta attualmente l’ultimo anello di una catena biologica. Il darwinismo è una visione positivista che ha contraddetto l’origine dell’uomo prevista dalle Sacre Scritture, perché tende a immergere il pensiero umano nel mondo della natura e delle scienze esatte, e quindi allontanandolo dal soprannaturale. Da questa concezione si sviluppò il darwinismo sociale, dottrina che consacra il principio della superiorità del più forte anche nei rapporti tra gli individui, e quindi fu sviluppata in relazione alle tendenze razziste. 1.3. Lo sviluppo dell’economia All’ascesa della borghesia corrispose tra il 1840 e il 1870, un forte periodo di espansione economica e ciò fu dovuto a seguito di una serie di elementi: - l’utilizzo e il miglioramento sul piano produttivo del ferro e del carbone, accompagnato dal ricorso della macchina a vapore, che contribuirono ad aumentare la forza motrice delle fabbriche e dei mezzi di trasporto; - libero scambio e liberalizzazione: furono smantellati gli ordinamenti corporativi, che regolamentavano l’esercizio dei mestieri in ostacolo dell’innovazione, vennero abrogate leggi che proibivano l’interesse sui prestiti, e furono abbattute le barriere doganali e ridotti i dazi tra i Paesi; - vi fu lo sviluppo delle organizzazioni finanziarie: nacquero le società per azione, che ridussero i rischi e aumentò la facilità di reperimento dei capitali per gli investitori, e si svilupparono le banche d’investimento che contribuirono alla distribuzione di capitali con rimborsi a lungo termine. 1.4. La rivoluzione dei trasporti e delle comunicazioni La costruzione di linee ferroviarie, prodotto della rivoluzione industriale, influenzò significativamente anche le abitudini e i modi di pensare della gente comune, oltre che lo sviluppo economico. Si fece, infatti, largo l’idea di un mondo unito e legato da rapporti interdipendenti. La diffusione della linea ferrata nella seconda metà del XIX secolo triplicò di decennio in decennio, e, a seguito dello sviluppo dell’ingegneria civile, fu anche possibile collegare territori lontani (New York-San Francisco 1869) e separati (traforo Alpi 1871). 2 Per quanto riguarda il trasporto marittimo la diffusione del vapore si ebbe a seguito del miglioramento dell’imbarcazione (scafo di ferro ed elica), prima d’allora, infatti, le navi più utilizzate erano a vela. Le navi con motore a vapore poterono sopportare migliori velocità e carichi più pesanti. Oltre ai mezzi di trasporti, radicale fu la trasformazione dei mezzi di comunicazione con l’invenzione della telegrafia. Grazie anche al passaggio di condotte telegrafiche sottomarine si riuscì a collegare il mondo ed aumentarono la diffusione delle notizie (sviluppo dei giornali), le transazioni finanziarie con paesi lontani e le direttive diplomatiche e militari remote. 1.5. Dalle campagne alle città Intorno alla metà dell’800, in tutta Europa, i lavoratori della terra costituivano la maggioranza della popolazione attiva, e in alcuni Paesi fu gradualmente abolito a questi il lavoro servile e avviato il processo di privatizzazione delle terre. Tuttavia, queste conquiste emancipatorie non andarono a vantaggio dei contadini, ma dei grandi proprietari, quindi, vivendo ancora in condizioni di vita misere, nonostante lo sviluppo economico generale, i contadini decisero di allontanarsi dal loro luogo di origine. Milioni di lavoratori, tra il 1840 e il 1870 emigrarono alla ricerca di migliori possibilità in Nord America per coltivare le sue terre vergini oppure decisero di spostarsi dalla campagna alla città per lavorare come manovali, muratori o salariati. Ebbe inizio il processo storico dell’urbanesimo, grande spostamento dalla zona rurale al centro urbano. Nell’800, infatti, si moltiplicò il numero delle città ed aumentò il numero dei loro abitanti. In Gran Bretagna, Londra alla metà del secolo dominava su tutto il mondo con due milioni e mezzo di abitanti, e a seguito dell’industrializzazione piccoli centri, come Birmingham, Liverpool, Manchester e Glasgow divennero importanti città. In Francia e in Italia, a causa della diversa intensità dell’industrializzazione e della diversa struttura organizzativa, le città a crescere furono quelle già preminenti dell’antico regime. Negli Stati Uniti venne elaborato un nuovo modello di centro urbano, caratterizzato da grattacieli e sobborghi periferici. Infatti, l’ampliamento delle città dava vita anche a nuovi centri, a causa della separazione tra i ceti popolari operai confinati in aree periferiche affollate e malsane (i sobborghi) e quelli borghesi che si addensavano nei centri storici. Lo sviluppo urbano portò a nuove esigenze derivanti dal sovrappopolamento risolte gradualmente attraverso l’installazione di nuove reti fognarie e l’erogazione di acqua potabile. Le autorità pubbliche si occuparono anche di migliorare i collegamenti all’interno della stessa area urbana, dove si diffusero nuovi centri commerciali, luoghi di svago e cultura, ma soprattutto le istituzioni preposte al controllo sociale (uffici comunali, stazioni di polizia, tribunali e carceri) per poter garantire ordine al carattere selvaggio dell’urbanizzazione. 1.6. Quattro esempi di rinnovamento urbano: Parigi, Londra, Vienna e Chicago La ristrutturazione di Parigi negli anni ’60 dell’800 fu un progetto consapevolmente studiato dal prefetto Haussmann su incarico di Napoleone III. Egli sventrò il centro medievale e i vicoli strettissimi, dando vita ai boulevard. Londra non fu guidata nel suo sviluppo dalla mano pubblica, ma dall’intervento privato dei proprietari terrieri e delle imprese edili. Vienna fu ricostruita per riorganizzare il suo nucleo centrale per le funzioni imperiali. Chicago è una metropoli nata dal nulla, simbolo del dinamismo americano, dato che nell’ultimo decennio dell’800 fu il luogo della costruzione di numerosi grattacieli, che contribuirono a farla diventare il più importante centro di affari dell’Ottocento. 1.7. La nascita del movimento operaio e la Prima Internazionale Con lo sviluppo della grande industria, il proletario di fabbrica assumeva sempre più consistenza e il suo salario era mediamente superiore a quello del lavoratore della terra, ma a livello di orari di lavoro, condizioni abitative e assistenza, la vita dell’operaio non era migliore a quella del lavoratore agricolo. Si svilupparono in ogni Paese europeo diversi movimenti operai. Il movimento operaio britannico si basava su una struttura solida, perché era concentrato nelle Trade Unions, che riuniva i delegati dei diversi sindacati operai presenti in Gran Bretagna. In Francia, la situazione era peggiore, dato che i movimenti operai sparsi su base locale erano influenzati dalle teorie di Proudhon, che si basavano sul cooperativismo su sfondo anarchico. 5 di potenza e la prima occasione in cui venne dimostrato fu durante la Guerra di Crimea del 1854, dove le truppe anglofrancesi, aiutati anche dal Piemonte, sbarcarono nella regione del Mar Nero per garantire difesa all’Impero ottomano dall’espansionismo russo. A seguito della caduta della città di Sebastopoli si concluse la guerra che previde la neutralizzazione del Mar Nero. Una seconda occasione di forza fu svolta a fianco del Piemonte contro l’Austria nel 1859, che portò alla sconfitta austriaca e aprì il periodo di unificazione dello Stato italiano, non gradito da Napoleone III. L’Impero asburgico si era riorganizzato sulla base del vecchio sistema assolutistico dopo i tentativi sovversivi del ’48, ma questo regime poteva solo contare dell’appoggio contadino e cattolico, e quindi ostile alla borghesia, gli austriaci mancarono l’appuntamento con lo sviluppo economico della metà Ottocento, per cui persero il ruolo di protagonisti. La Prussia nella metà dell’Ottocento appariva come la guida di una nazione tedesca unita, visto il suo sviluppo industriale e la forte borghesia. Le istituzioni che presentava al suo interno non erano però liberali, perché erano occupate dagli aristocratici, gli Junker. Questo conservatorismo sociale si rivelò una componente essenziale per lo sviluppo prussiano, perché guidato dall’alto e legato al potenziamento dell’esercito. La figura principale di questa politica fu Otto von Bismarck, nominato primo ministro da re Guglielmo I nel 1862, che rafforzò l’esercito per raggiungere l’obiettivo dell’unificazione tedesca, anche se si fossero messi in mezzo Austria e Francia. 3.2. Le guerre di Bismarck e l’unità tedesca La contesa tra Austria e Prussia per l’amministrazione di alcuni Ducati danesi costituì lo scoppio di una guerra nel 1866. La Prussia, garantitasi la neutralità russa e francese, e l’alleanza con l’Italia, sconfisse l’Austria in solo tre settimane in Boemia, soprattutto grazie alla grande organizzazione e potenza dell’esercito del generale von Moltke. Nella pace di Praga l’Austria dovette cedere il Veneto all’Italia e accettare di allontanare qualsiasi influenza dalla Confederazione della Germania del Nord a guida prussiana. Il nuovo equilibrio spostò l’interesse austriaco sui Balcani, e vista la divisione nazionale interna (tedeschi- slavi) nel 1867, l’Impero Asburgico si suddivise in due. L’Austria-Ungheria aveva un unico sovrano, ma due Parlamenti e governi diversi. Il cammino dell’unificazione tedesca, che si basava sulla politica di potenza di Bismarck, aveva come ultimo ostacolo la Francia di Napoleone III, e lo scontro tra di essi si ebbe a causa di una questione dinastica. Nel 1868 il trono di Spagna rimase vacante che fu offerto ad un principe prussiano. Per questo vi fu la ferma reazione francese, che temeva l’accerchiamento, e a seguito dell’incontro andato in fumo tra re Guglielmo I e l’ambasciatore francese, il 19 luglio 1870 i francesi dichiararono guerra alla Prussia. Il clima di entusiasmo francese fu subito spento da un preparatissimo esercito prussiano, che circondò a Metz e a Sedan quello francese, e presero prigioniero Napoleone III. I prussiani entrati a Parigi provocarono la caduta dell’impero e la formazione di un governo provvisorio, ma la resistenza ebbe vita breve dato che chiesero l’armistizio nel gennaio 1871. Nel frattempo, il 9 dicembre 1870 era stato proclamato il secondo Reich, l’Impero tedesco, che nasceva dalla fusione della Prussia, della Confederazione del Nord e degli Stati della Germania meridionale. Re Guglielmo I fu incoronato imperatore, kaiser, a Versailles il 18 gennaio 1871, e a seguito della pace di Francoforte la Francia fu costretta a corrispondere una pesante indennità di guerra e a cedere l’Alsazia e la Lorena. L’umiliazione subita dai francesi darà vita ad un insanabile revanscismo. 6 3.3. La Comune di Parigi Dopo la battaglia di Sedan, Parigi aveva visto la caduta dell’Impero come una nuova occasione rivoluzionaria e di riscossa, mentre nelle campagne e nei centri minori rimanevano le tendenze conservatrici. A seguito delle elezioni di una nuova Assemblea Nazionale nel 1871, il governo a tendenze moderate conservatrici che si formò fu capeggiato da Thiers. Egli si mosse subito nel trattare le condizioni di pace imposte da Bismarck, che furono durissime dato che prevedevano persino l’ingresso di truppe tedesche nella capitale. Ciò non fu accolto dal popolo parigino che nel marzo, quando il governo ordinò il ritiro delle armi, la Guardia nazionale a difesa di Parigi disobbedì e indisse le elezioni per il Consiglio della Comune. Queste elezioni videro l’astensione dei moderati conservatori, per cui il potere restò nelle mani degli estremisti di sinistra, dei giacobini, dei socialisti e degli anarchici. La Comune di Parigi fu un esperimento di radicale democrazia diretta, in cui non vi era distinzione di poteri, i funzionari erano eleggibili e revocabili, e l’esercito era sostituito dalle masse popolari. Marx e Bakunin videro nella Comune il primo esempio di società socialista. Parigi, tuttavia, non riuscì ad estendere il suo modello nel resto del Paese, e durò solo due mesi visto che Thiers con l’esercito riconquistò la capitale nella “settimana di sangue”. 3.4. L’Impero tedesco e la politica di Bismarck Il modo in cui era stata raggiunta l’unificazione tedesca aveva fatto tramontare la credibilità dei principi liberal-democratici dell’800, mentre si affermava sempre più l’ideologia della forza, del fatto compiuto e della politica di potenza fondata sul rafforzamento degli eserciti (Realpolitik). Il nuovo Stato tedesco, infatti, era la maggiore potenza continentale europea grazie a Bismarck. A livello istituzionale era una Confederazione di 25 Stati con propri governi e Parlamenti, ma la grande politica era gestita da un governo centrale, presieduto da un cancelliere responsabile solo davanti all’imperatore. Vi era un Parlamento dotato di potere legislativo diviso in due Camere, il Reichstag eletto su base nazionale e il Bundesrat composto dai rappresentanti federali. In Germania, oltre ai partiti dalle tradizioni liberali e conservatrici espressione degli Junker, nacquero diversi movimenti politici quali quello cattolico e il Partito socialdemocratico tedesco (Spd), con un’ideologia fusa tra Marx e Lassalle. Bismarck aveva iniziato una politica molto anticattolica, volta ad affermare la laicità dello Stato e un serio controllo delle attività del clero, tuttavia a causa della maggiorata presenza cattolica nelle aule assembleari, queste politiche furono affievolite. Il cancelliere fronteggiò allo stesso modo l’ascesa della socialdemocrazia, varando alcune leggi che limitavano l’azione sovversiva del movimento, destinato a semiclandestinità. Questo soffocamento del movimento operaio, però, non escluse l’intervento del governo a tutela dei salariati, dato che furono imposte assicurazioni obbligatorie per la salvaguardia degli infortuni, delle malattie e della vecchiaia. Questo assistenzialismo statale si rivelò un insuccesso politico, perché la socialdemocrazia aumentò i suoi numeri in Parlamento e nel 1890 provocò l’allontanamento del cancelliere dall’esecutivo. Bismarck si rivelò fondamentale per stabilire l’equilibrio europeo in politica estera, infatti, si deve a lui la creazione di un sistema di alleanze, che aveva come scopo il mantenimento dell’isolazionismo francese. Il sistema bismarckiano inizialmente si dotò del patto dei tre imperatori, stipulato nel 1873 fra Germania, Austria-Ungheria e Russia: un patto difensivo e solidale. Quest’alleanza trovò la sua debolezza nella rivalità tra Austria e Russia nella penisola balcanica, infatti, a seguito delle rivolte scoppiate in Bosnia, in Erzegovina e Bulgaria, gli ottomani le repressero nel sangue, allora, la Russia protettrice degli slavi, dichiarò guerra nel 1877 alla Turchia e la sconfisse. Ciò fece sì che lo zar estendesse la sua egemonia nei Balcani, allora, Austria- Ungheria e Gran Bretagna minacciarono l’intervento. Grazie alla mediazione di Bismarck, tenutasi a Berlino nel ’78, si arrivò ad un compromesso tra le parti, rendendo la Bulgaria indipendente, la Bosnia e l’Erzegovina autonome ma amministrate dall’Austria, e la Gran Bretagna ottenne Cipro. Nel 1881 quindi si poté rinnovare il patto dei tre imperatori, e nel 1882 Bismarck inserì nel suo sistema la Triplice Alleanza, tra Germania, Austria-Ungheria e Italia. 3.5. La Repubblica in Francia Dopo la sconfitta e l’esperienza della Comune di Parigi, la Francia non tardò a manifestare segni di ripresa, visto il completamento del pagamento delle indennità di guerra, disponeva di un forte esercito e si incamminava verso le conquiste coloniali. La stabilizzazione politica fu più travagliata, dato che la forma repubblicana era in forse, perché nell’Assemblea Nazionale la maggioranza era favorevole alla monarchia. Grazie all’accordo tra orleanisti e 7 repubblicani moderati, nel 1875 fu varata la Costituzione della Terza Repubblica, che prevedeva la presenza di una Camera eletta a suffragio universale maschile e un Senato composto da cariche vitalizie ed elettive (poi tutte elettive). Elemento di stabilità era il Presidente della Repubblica eletto dalle Camere. Furono proprio i repubblicani a dominare la scena politica, grazie all’appoggio del ceto medio, ma si posero in opposizione i repubblicani radicali di Clemenceau. I repubblicani consolidarono le istituzioni democratiche, e affermarono la laicità dello Stato e particolare interesse per l’istruzione. Alcuni mali della Terza Repubblica furono l’indebolimento del Presidente della Repubblica e la diffusa corruzione nelle sfere del potere, e questo disagio venne espresso da Boulanger con il suo movimento antiparlamentare e autoritario. 3.6. Il liberalismo in Gran Bretagna In Gran Bretagna, gli anni dal 1850 al 1870 videro il rafforzamento del sistema parlamentare, con una larga presenza dei liberali al governo, ed inoltre una notevole prosperità economica sancita dallo sviluppo ferroviario e delle industrie, e dall’imperialismo coloniale. Il suffragio fu al centro delle riforme sia dei liberali di Gladstone, che dei conservatori di Disraeli, i quali aumentarono la base numerica consentendo l’ingresso in base al censo. Una questione di scontro fu quella irlandese, per tradizione cattolica e nazionalista, dato che il tentativo di concedere autonomia all’Irlanda creò diverse spaccature. 3.7. La Russia tra arretratezza e modernizzazione Nella seconda metà dell’800, la Russia conservava il primato tra le grandi potenze dell’arretratezza politica e civile: alto tasso di analfabetismo, produzione quasi completamente agricola, servitù della gleba, stato autocratico dove tutto era riposto nelle mani dello zar. Nel 1855 con Alessandro II si tentò una modernizzazione dell’istruzione, della burocrazia, del sistema giudiziario e dell’esercito, ma la riforma principale fu l’abolizione della servitù della gleba. Questa in teoria doveva permettere ai servi di riscattare le terre coltivate e di divenire piccoli proprietari terrieri, ma i nobili ostacolarono la riforma e si diffuse un ampio malcontento tra i contadini anche represso dall’esercito. 4. Due nuove potenze: Stati Uniti e Giappone Quanto avvenne oltreoceano, negli Stati Uniti e in Giappone nella seconda metà dell’800, fu di grande importanza al pari delle trasformazioni europee, dato che da un lato gli Stati Uniti divennero una grande potenza sui mari, e il Giappone che ebbe una grande fase di modernizzazione. 4.1. Gli Stati Uniti a metà ‘800 Gli Stati Uniti d’America, nella seconda metà dell’800, vivevano un’esponenziale crescita demografica, causata anche dall’ininterrotto flusso migratorio, e di concerto una straordinaria espansione economica. Questa situazione era, però, caratterizzata da tre differenti fratture nella società: - gli Stati del Nord-Est, sede delle prime colonie britanniche, era l’area più ricca e industrializzata visti i commerci con l’Europa e l’influenza dai valori del capitalismo industriale; - gli Stati del Sud erano una società agricola e tradizionalista, che basavano la loro produzione sulle piantagioni di cotone curate dagli schiavi neri presenti in alto numero. I grandi proprietari terrieri rappresentavano la minoranza che dominavano la vita politica e sociale e si ispiravano ad un’etica patriarcale; - gli Stati dell’Ovest erano una società agricola dove, però, si rimaneva legati all’etica e ai valori della frontiera, quali l’iniziativa individuale, l’indipendenza e l’uguaglianza. Le differenze tra Nord e Sud si fecero sempre più profonde, vista l’enorme differenza di ideali a partire dalla schiavitù, ma a seguito del maggiore interesse donato all’industria da parte del Nord a sfavore delle piantagioni di cotone, si acuirono gli scontri. A queste divisioni si aggiunse quella di tipo politico, infatti, erano presenti i democratici, che presero le parti degli schiavisti, e dai whig fuoriuscì il Partito repubblicano, a favore della borghesia del Nord e dell’Ovest. Quando nel 1860 il repubblicano Abraham Lincoln fu eletto presidente, l’opinione pubblica del Sud comprese la vittoria degli interessi industriali. 4.2. La guerra civile americana I timori nei confronti della politica di Lincoln spinsero dieci Stati del Sud a procedere alla secessione dall’Unione e a creare una Confederazione indipendente. La reazione a quest’azione fu la guerra di secessione americana nell’aprile 1861, che nelle fasi iniziali, visto il migliore addestramento dell’esercito sudista del generale Lee, la Confederazione ebbe la meglio. La guerra perdurò per quattro anni e nell’aprile 1865 i confederati, non aiutati dalla Gran Bretagna, non resistettero all’esuberanza numerica degli unionisti e dichiararono la resa al generale Grant. Pochi giorni dopo, però, Lincoln fu ucciso in un attentato. 10 della Gran Bretagna, i boeri crearono le due Repubbliche dell’Orange e del Transvaal, luoghi colmi di giacimenti di diamante. Nella prima guerra boera (1880-81), i britannici furono sconfitti, ma il primo ministro della Colonia del Capo, Rhodes, mise in campo tutte le risorse per poter portare avanti il progetto dal Capo sino al Cairo, circondando le due Repubbliche boere. Le tensioni crebbero fino al 1899, quando il Transvaal dichiarò guerra agli inglesi, che perdurò sino al 1902, con la sconfitta dei boeri che resistettero sino alla fine. Nel 1910 nasceva l’Unione sudafricana con l’annessione dei boeri, che collaborarono con i britannici nello sfruttamento delle risorse e nella segregazione razziale. 5.4. La conquista dell’Asia A differenza di quanto accadde in Africa, gli europei avevano già messo radici profonde sul continente asiatico: la Gran Bretagna possedeva India, Ceylon (Sri Lanka), Hong Kong, Singapore; gli olandesi dominavano sull’arcipelago indonesiano; i portoghesi controllavano Macao in Cina, Goa in India e parte del Timor; la Spagna possedeva le Filippine, che passarono agli Stati Uniti; la Russia si concentrò sulla Siberia e Asia centrale; e la Francia aveva gettato le basi sull’Indocina. L’India (anche Pakistan e Bangladesh) fu amministrata a lungo dalla Compagnia delle Indie orientali, che agiva come rappresentante privato della Gran Bretagna, e offriva ampio sbocco commerciale dalla quale si importava tè e cotone. Nonostante la dominazione britannica, la società indiana era formalmente rappresentata dall’Impero Moghul e a seguito dei tentativi di modernizzazione inglesi una reazione di stampo tradizionalistico-religioso fu messa in atto nella rivolta dei Sepoys. Ciò rappresentò il pretesto per reprimere la Compagnia delle Indie ed instaurare l’amministrazione della Corona al viceré con esercito e burocrazia. Nel 1876 la regina Vittoria fu proclamata imperatrice delle Indie. Vista la concorrenza dei britannici, i francesi decisero di avanzare in Indocina, costruendo delle basi commerciali ad Annam (Vietnam), Siam (Thailandia) e Cambogia negli anni ’50. Furono anche inviate delle spedizioni missionarie, che furono perseguitate dagli autoctoni, e per questo motivo la Francia preparò l’intervento militare. Nel 1862 venne occupata la Cocincina (Annam meridionale) e creato un protettorato in Cambogia. Dopo la guerra con la Cina, i francesi ottennero tutto l’Annam, e di conseguenza per preservare l’India i britannici occuparono la Birmania, mentre i francesi in risposta acquisirono il Laos. Il Siam si decise che dovesse rimanere indipendente. La Russia ampliò la sua estensione verso la Siberia, ma anche nell’Estremo Oriente acquisì due distretti cinesi e il porto di Vladivostok, che collegò a Mosca con la linea ferroviaria più estesa al mondo della Transiberiana. Lo zar cedette l’Alaska nel 1867 agli Stati Uniti per 7 milioni di dollari, ma dal canto suo si estese nel Turchestan. Gli arcipelaghi del Pacifico furono oggetto di colonizzazione con la Gran Bretagna che dominava in Australia, Nuova Zelanda e poi sulle Fiji, le Salomone e le Marianne. La Nuova Guinea fu suddivisa tra tedeschi e britannici. Anche il Giappone e gli Stati Uniti allargarono i loro domini nelle isole pacifiche. 5.5. Gli europei in Cina L’Impero cinese, visto il suo tradizionalismo, era rimasto inaccessibile ai viaggiatori e ai commercianti occidentali, ai quali era solo consentito operare nel solo porto di Canton, ma l’apertura si registrò a seguito di uno scontro con la Gran Bretagna. Nella guerra dell’oppio, scoppiata negli anni ’30 a causa del sequestro di una nave inglese a Canton, che commercializzava droga in deroga della proibizione, i britannici l’ebbero vinta, conquistando l’accesso ai grandi porti cinesi e con il trattato di Nanchino del 1842 anche la città di Hong Kong. La debolezza dimostrata 11 dai cinesi si ripeté in un altro scontro, la rivolta dei Taiping, dove Gran Bretagna e Francia ebbero la meglio nel 1856. Da lì, la Cina dovette aprire il normale commercio con gli Stati occidentali. 5.6. Il dominio coloniale Quasi tutte le conquiste coloniali furono segnate dall’uso sistematico della violenza contro le popolazioni indigene, soprattutto nell’Africa nera. A livello economico venivano fatti solo gli interessi dei colonizzatori che sfruttavano con salari irrisori i lavoratori indigeni. Caratteristica comune fu il razzismo degli Stati europei, che dividevano le società indigene, creando zone per i bianchi e zone per i neri. Gli effetti si ebbero anche nelle culture autoctone che subirono la forte influenza europea, infatti, interi sistemi di vita, riti, credenze e costumi entrarono in crisi. Ciò che l’Europa ha esportato, però, fu la formazione del nazionalismo locale e del bisogno di autogovernarsi. 6. Governare l’Italia unita 6.1. Demografia, economia e società Al momento dell’Unità d’Italia, la popolazione sfiorava i 25 milioni di abitanti, la quale era caratterizzata da un alto tasso di analfabeti pari al 75%. Anche la lingua non era parlata da tutti, infatti, solo il 10% degli italiani parlava italiano, mentre la restante parte comunicavano con i dialetti. Anche se nel 1860 l’Italia era tra i paesi in Europa con il maggior numero di centri urbani, la grande maggioranza degli italiani viveva nelle campagne e nei centri rurali, traendo i mezzi di sostentamento dalle attività agricole. L’agricoltura occupava il 70% della popolazione attiva, tuttavia, contrariamente a quanto tramandato, il territorio italiano non rappresentava un luogo ideale per quest’attività, vista la presenza di colline e montagne. L’agricoltura era povera, ma caratterizzata da una grande varietà di colture e tipologie di proprietà fondiaria: nella Pianura Padana vi erano aziende agricole moderne; nell’Italia centrale dominava la mezzadria; e nel Meridione vi era il latifondo con tracce di ordinamento feudale. Questo rifletteva un basso livello di vita della popolazione rurale, che vivevano ai limiti della sussistenza soprattutto nel Sud in abitazioni malsane. Queste condizioni erano sconosciute alla classe dirigente e lo stesso Cavour, che non visitò mai il Sud, a seguito di una spedizione di un luogotenente registrò il disprezzo verso il Meridione. Questo divario si misurava, oltre per le condizioni di vita, anche per la distanza culturale, la disponibilità di infrastrutture, la produttività agricola e l’istruzione. Questo divario divenne un problema nazionale che fu definito come “questione meridionale”. 6.2. La classe politica e i primi provvedimenti legislativi Tutt’altro che agevole fu governare l’Italia dopo la sua unificazione, anche a causa della morte precoce di Cavour. I suoi successori, in ogni modo, proseguirono la politica già impostata da Cavour basata sulle libertà costituzionali, accentratrice del potere, liberista in economia e laica. Il primo gruppo dirigente che governò per quindici anni era formato da moderati piemontesi, lombardi, emiliani e toscani, e nei primi Parlamenti la maggioranza si collocava a destra, la cosiddetta Destra storica, anche se in realtà era un centro moderato, rispetto ai clericali. All’opposizione sedettero gli esponenti della vecchia sinistra piemontese, i patrioti garibaldini e mazziniani, che formarono la Sinistra caratterizzata da un ampio gruppo di intellettuali, commercianti e anche operai e artigiani. Questi chiedevano suffragio universale, decentramento amministrativo e completamento dell’Unità. Destra e Sinistra rimanevano, comunque, espressione di una classe dirigente molto ristretta e la loro politica assumeva un carattere oligarchico e personale, visto anche il suffragio per censo, perché era determinata da alcuni notabili. I leader della Destra si mossero varando alcune leggi che determinarono l’assetto centralizzato dello Stato con circoscrizioni amministrative (province) sotto il controllo del rappresentante del governo, il prefetto. Importante fu anche la legge Casati che introdusse l’obbligo di istruzione elementare nazionale. 6.3. Le rivolte contro l’unità e il brigantaggio Tra i motivi che spinsero l’accentramento amministrativo vi fu quello della situazione del Mezzogiorno. Nelle province contadine liberate dal regime borbonico (Regno delle due Sicilie) si sommò una diffusa ostilità nei confronti del nuovo ordine politico a causa del malessere dei contadini, della nuova pesante fiscalità e della leva obbligatoria. Dall’estate del 1861 si diffusero nelle regioni del Mezzogiorno bande irregolari di insorti che assalivano e occupavano piccoli centri massacrando i notabili e incendiando gli archivi comunali. Il brigantaggio fu represso militarmente, ma restarono irrisolte le questioni (soprattutto fondiarie) che generavano il malcontento del Mezzogiorno, a causa dell’incapacità dei governi di Destra. 6.4. L’economia e la politica fiscale 12 Un altro problema dell’unificazione del paese fu quella economica. La Destra procedette all’adozione di una moneta unica, la lira, fu creato un unico regime fiscale e venne adottata la legislazione doganale liberista con abbassamento dei dazi a livello nazionale. Nei primi decenni queste politiche apportarono un incremento della produttività agricola nel Mezzogiorno e nella produzione della seta, grazie alle esportazioni, ma il settore industriale fu penalizzato dalla concorrenza internazionale favorita dai bassi dazi, che mise in crisi l’industria specialmente nel Meridione. Le attività industriali non erano l’obiettivo della Destra, ma l’agricoltura, e per questo si registrò dopo un ventennio di Unità una perdita di terreno nei confronti degli altri Paesi che progredivano. Durissima fu la politica fiscale, che doveva coprire i costi dell’unificazione, e furono infatti poste tasse sul patrimonio, reddito e sui consumi (tasse sul sale e tabacchi, e dazi locali). La tassazione aumentò a seguito della guerra con l’Austria nel 1868 con l’imposizione della tassa sul macinato dei cereali, che provocò agitazioni represse duramente. 6.5. La conquista del Veneto e la presa di Roma Destra e Sinistra condividevano il comune obiettivo di completare il processo di unificazione annettendo il Veneto e il Lazio con Roma, e mentre la Destra faceva affidamento alle vie diplomatiche, la Sinistra si mostrava più rivoluzionaria. La questione più complicata era rappresentata da Roma, perché sede del pontefice ostile all’Unità e difeso dalle truppe francesi. Anche Cavour mostrava cautela nella questione e tentava trattative con Pio IX al fine di ottenere la rinuncia del suo potere temporale in cambio del riconoscimento del potere spirituale sulla penisola. Di fronte a questo stallo vi furono le iniziative garibaldine. Una avvenne nel 1862 quando Garibaldi partendosi dalla Sicilia fu fermato dalle stesse truppe regie sull’Aspromonte per la paura dell’esercito francese. Intanto, nel 1864 con la Convenzione di settembre, l’Italia si impegnava con la Francia di rispettare i confini con il Lazio, in cambio del ritiro delle truppe, ma nel 1867 ciò non impedì che Napoleone III intervenisse a placare la seconda spedizione garibaldina. Nel 1866, a seguito dell’invito prussiano a partecipare in guerra contro l’Austria, l’Italia riuscì ad ottenere il Veneto e il Friuli, anche se l’esercito italiano si rivelò impreparato e fu sconfitto. Rimanevano, però, all’Austria il Trentino e la Venezia Giulia. Anche la presa di Roma avvenne indirettamente grazie alla Prussia di Bismarck, perché essendo stata sconfitta la Francia di Napoleone III, venivano meno le convenzioni stipulate cosicché le truppe italiane irruppero a Porta Pia e pochi giorni dopo un plebiscito decise l’annessione di Roma e del Lazio. Il 20 settembre 1870 l’Italia Unita otteneva la sua capitale ed inoltre la Chiesa metteva fine al suo potere temporale durato un millennio. Pio IX, tuttavia, tutelò la sua figura con la legge delle Guarentigie, che assicurarono il libero svolgimento del magistero papale, l’extraterritorialità del Vaticano, il diritto di rappresentanza diplomatica e la facoltà di tenere un corpo armato. La non partecipazione in politica dei cattolici fu espressa dal non expedit di Pio IX, che impedì la reale unificazione. 6.6. Il governo della Sinistra Nel 1876 il governo passò dalla Destra alla Sinistra, nonostante il risultato della Destra di aver raggiunto il pareggio di bilancio, le divisioni si fecero ampie a seguito della proposta di nazionalizzazione delle ferrovie. Il re chiamò a formare il governo Agostino Depretis, leader della Sinistra, quindi giungeva al potere un nuovo ceto differente per estrazione sociale, che intendeva soddisfare il desiderio della democratizzazione della vita politica e che seppe venire incontro la borghesia in crescita. La prima riforma di Depretis fu la legge Coppino, che aumentava il limite di età a 9 anni dell’obbligo di frequenza scolastica. Venne anche approvata la riforma elettorale del 1882, che allargava l’accesso alla base elettorale maschile alfabetizzata che avesse compiuto 21 anni e che fosse compatibile con il censo richiesto di 20 lire annue. A causa dell’analfabetismo, il suffragio rimase sempre ristretto, ma erano riusciti a rientrarvi anche gli operai e gli artigiani che videro l’ingresso di un deputato socialista. Le preoccupazioni dell’ampliamento della base elettorale dell’estrema Sinistra portò Depretis a convergere con la Destra in un accordo elettorale. Il cosiddetto trasformismo conduceva il modello bipartitico a sostituirsi ad un unico grande Centro, che inglobava le opposizioni moderate ed emarginava le ali estremiste, creando difficoltà nella stipulazione di un compromesso delle politiche. Questo trasformismo ebbe come conseguenza la nascita del gruppo radicale, democratici avanzati, in opposizione alla maggioranza, guidato da Felice Cavallotti. 6.7. La crisi agraria e la politica economica protezionista 15 negozi e grandi magazzini. I muri dei palazzi e le pagine dei giornali si riempirono di annunci e cartelloni pubblicitari. Ad accelerare la crescita furono i processi di meccanizzazione e razionalizzazione produttiva, infatti, nel 1913 nelle fabbriche Ford fu introdotta la catena di montaggio (metodo che frammentava il processo produttivo in una serie di piccole mansioni separate, che avrebbe aumentato la quantità di prodotto finale). Altra dottrina adottata insieme al fordismo, fu il taylorismo, progettato dall’ingegnere americano Taylor, questo si basava sullo studio sistematico del lavoro in fabbrica grazie alla rilevazione di tempi standard e venivano imposte regole e ritmi che gli operai dovevano rispettare per ottenere il risultato produttivo più efficiente. 7.3. La nazionalizzazione delle masse: scuola, esercito e suffragio universale Nella seconda metà dell’800, gli Stati intrapresero la politica di educazione ai valori nazionali della società, la cosiddetta nazionalizzazione delle masse. L’estraneità di una larga parte della popolazione ai principi e agli obiettivi politici della classe dirigente poteva essere superata grazie al ruolo della scuola, dell’esercito e del suffragio universale. Si cercò di abolire, quindi, il principio secondo il quale l’istruzione fosse un bene riservato alle élite e a partire dagli anni ’70 dell’800, tutti i governi d’Europa si impegnarono a rendere l’istruzione obbligatoria e gratuita, e portare l’insegnamento sotto il controllo dello Stato. L’effetto di questa politica fu un aumento generalizzato della frequenza scolastica e la riduzione del tasso di analfabetismo. Legato all’alfabetizzazione fu la diffusione dei periodici, favorita anche dallo sviluppo tecnologico nei primi del ‘900, che andò a giovare nei confronti di un numero di cittadini sempre più crescente. Divenne più facile accedere alle informazioni di interesse generale e farsi una propria opinione personale, influenzando anche le scelte politiche. Un contributo notevole alla nazionalizzazione della società di massa furono le riforme degli ordinamenti militari, che si fondavano sull’obbligo del servizio militare per tutta la popolazione maschile. Questo contribuì a cambiare gli eserciti, dotandoli di numerose risorse di cittadini in armi, ed inoltre il potere statale così poteva imporre anche un maggiore controllo sulla società civile. La circoscrizione obbligatoria si legava all’inevitabile estensione del suffragio, che ebbe luogo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Furono, infatti, approvate leggi che allargavano il corpo elettorale facendovi rientrare tutti i cittadini maschi maggiorenni, senza distinzioni di censo. 7.4. Partiti di massa, sindacati e riforme sociali L’allargamento del diritto di voto alle grandi masse determinò mutamenti anche nelle forme di organizzazione dei partiti, infatti, si affermò il partito di massa. Realizzato per la prima volta dai socialdemocratici tedeschi, si basava sull’inquadramento di strati della popolazione attraverso una struttura articolata in sezioni e federazioni locali, facenti capo ad un centro dirigente. La vita pubblica da allora non poteva essere più considerata riservata a solo un gruppo di notabili. Altro segno delle lotte sociali fu la nascita e la crescita delle organizzazioni sindacali, le quali erano costituite per far valere i diritti degli operai in opposizione agli imprenditori e delle classi dirigenti, dando limiti al libero gioco della contrattazione dei salari. Sotto l’esempio organizzativo delle Trade Unions si diffusero in tutto il mondo moderno, e in Italia nacque nel 1906 la Confederazione generale del lavoro (Cgl). Grazie alla pressione dei sindacati si svilupparono sempre questo in periodo le prime forme di legislazione sociale, che prevedevano sistemi di assicurazione contro gli infortuni, di previdenza, di sicurezza e igiene sul luogo di lavoro e limitazioni sull’orario giornaliero dei salariati. Anche le amministrazioni locali furono coinvolte in questo processo sociale con l’erogazione di servizi pubblici essenziali, che finanziarono con spesa pubblica coperta da imposizione fiscale adottata con principi progressivi del reddito. 7.5. Il movimento operaio e la Seconda Internazionale Alla fine dell’800, in tutti i più importanti paesi europei nacquero partiti socialisti, che al proselitismo rivoluzionario affiancarono anche un’azione legale all’interno delle istituzioni democratiche, inviando rappresentanti nei Parlamenti. Il primo e più importate fu il partito socialdemocratico tedesco, mentre in Gran Bretagna dalle Trade Unions nasceva il Partito Laburista, che si fondava non sulle idee marxiste, ma sull’azione sindacale. L’obiettivo dei socialisti era il superamento del sistema capitalistico e la gestione sociale dell’economia sulla base di ideali internazionalisti e pacifisti. Tutti questi partiti fecero capo nel 1889 alla Seconda Internazionale, in cui i movimenti marxisti si riunirono a Parigi per la discussione di problemi comuni e per il loro 16 coordinamento. Tra le proposte vi era l’ottenimento della giornata lavorativa di otto ore e la giornata mondiale di lotta operaia nel primo di maggio. La Seconda Internazionale seguiva come dottrina ufficiale il marxismo divulgato da Engels e interpretato da Kautsky, tuttavia vi fu la spaccatura tra due orientamenti differenti: l’aspetto riformistico dell’azione socialista contro l’impostazione rivoluzionaria del marxismo. La prima corrente riformista venne interpretata da Bernstein, il quale, partendo dalla constatazione che, con il capitalismo, il proletariato non si impoveriva anzi migliorava la sua condizione di crisi al contrario delle previsioni di Marx, credeva che lo Stato borghese stesse divenendo più democratico. Allora, i partiti socialisti dovevano accantonare la radicalità rivoluzionaria e collaborare per realizzare la trasformazione socialista attraverso il revisionismo delle organizzazioni sindacali. Questa nozione suscitò un acceso dibattito con gli esponenti del marxismo “ortodosso”, infatti, negli stessi anni il movimento vide emergere correnti di estrema sinistra. In Germania si ebbe un agguerrito spirito rivoluzionario attorno a Liebknecht e Rosa Luxemburg. In Russia la dissidenza si creò all’interno della socialdemocrazia con protagonista Lenin. Egli contestava il modello della socialdemocrazia tedesca, ma propendeva per un partito accentrato tutto votato alla lotta e formato da rivoluzionari di professione. Nel 1903, le tesi di Lenin produssero la spaccatura della socialdemocrazia russa, tra i bolscevichi di Lenin (la maggioranza) e i menscevichi (minoranza). In Francia la dissidenza produsse il sindacalismo rivoluzionario, grazie alle tesi di Georges Sorel. Egli esaltava la funzione liberatoria della violenza proletaria che aveva la sua massima espressione nello sciopero generale, in grado di trascinare gli operai alla lotta. 7.6. I primi movimenti femministi Negli anni fra ‘800 e ‘900 prese corpo la questione femminile. Le donne, infatti, erano ancora escluse dall’elettorato, dal poter accedere alle università, alle professioni e non potevano disporre liberamente dei propri beni. Inoltre, ricevevano un compenso lavorativo molto inferiore rispetto agli uomini, e a prosecuzione del lavoro svolto, dovevano effettuare i lavori domestici. Solo in Gran Bretagna, nacque il movimento delle suffragette guidate da Emmeline Pankhurst, che mobilitò le sue militanti a dimostrazioni di piazza, marce, scioperi della fame e anche attentati, per poter ottenere il diritto di voto (lo ottennero in Gran Bretagna nel 1918). Tutti gli altri movimenti femminili furono lasciati soli a combattere le loro battaglie senza un reale riscontro. 7.7. La Chiesa e la società di massa La Chiesa cattolica dimostrò il suo rifiuto nei confronti della società industriale, dominata dall’individualismo borghese e dalle idee socialiste, e cercò di rilanciare la sua missione offrendo rimedio alla disgregazione e alla perdita di identità che la società di massa stava vivendo con l’urbanizzazione. Questo fu condotto attraverso le parrocchie, le associazioni caritative e i movimenti di azione cattolica ispirate ai principi cristiani e incentivate dal pontificato di Leone XIII. Di pari importanza fu l’enciclica Rerum novarum, in cui veniva rinnovata la condanna al socialismo, ma per una concordia delle classi si stabilivano i doveri spettanti alle parti sociali. Se il proletario doveva offrire laboriosità e rispetto delle gerarchie, il borghese doveva offrire la giusta mercede a retribuzione e dignità. Venne anche ad emergere in Francia e in Italia la tendenza politica della democrazia cristiana, che mirava a conciliare la dottrina cattolica agli istituti democratici e si tentava di reinterpretare la tradizionale dottrina in chiave moderna (il modernismo). Questo processo di secolarizzazione della società fu proibito dal nuovo pontefice Pio X. 7.8. Nazionalismo, razzismo e antisemitismo Fra il 1815 e il 1870 il nazionalismo rappresentava quel principio ispiratore che apparteneva ai movimenti di liberazione che combattevano contro l’ordine costituito. Con la crescita dei movimenti socialisti, internazionalisti e pacifisti, vi fu un ritorno all’esaltazione dei valori nazionali per legarsi alla lotta contro il socialismo e difendere l’ordine sociale esistente. Il nazionalismo da valore democratico di sinistra divenne un valore di destra collegandosi alle teorie razziste, che prediligevano una gerarchia fra razze superiori e razze inferiori nelle teorie di Arthur de Gobineau. In Francia il nazionalismo fu innescato a seguito della sconfitta subita nella guerra contro la Germania e contava di nemici esterni, i tedeschi, ma anche di nemici interni, come i protestanti, gli immigrati e gli ebrei. Una forte componente antiebraica si sviluppò soprattutto in Germania in un nazionalismo anche anticapitalista e antiborghese, che poggiava sulle teorie razziste di Chamberlain. Il mito della razza ariana depositaria delle 17 virtù più nobili vedeva l’incarnazione più pura nel popolo tedesco, e ciò contribuì a sviluppare l’idea di pangermanesimo, cioè di ricongiungimento in unico Stato dell’intera popolazione tedesca. Anche in Russia si sviluppò il panslavismo e l’antisemitismo nelle politiche imperiali zariste. Infatti, nell’Impero erano sancite leggi discriminatorie antiebree, come le pratiche dei pogrom, ossia di violenze nei confronti dei beni e delle persone ebree. Inoltre, la polizia zarista basava i suoi pregiudizi nei confronti degli ebrei sulla base del “Protocollo dei Savi anziani di Sion”, in cui veniva pianificato un progetto di dominio mondiale ebraico. L’antisemitismo sviluppò la nascita del sionismo, fondato da Theodor Herzl, che proponeva di restituire identità agli israeliani sparsi per il mondo con la creazione dello Stato ebraico in Palestina. 7.9. La crisi del positivismo e le nuove scienze Alla fine dell’800 il positivismo apparve sempre più inadeguato non solo a spiegare i fenomeni politici, economici e sociali, anche quelli scientifici. Nacquero nuove correnti filosofiche irrazionalistiche e vitalistiche, di cui il principale interprete fu Nietzsche. In Germania la reazione al positivismo fu una ripresa della filosofia kantiana e idealistica. In Italia vi fu una rinascita idealistica, che ebbe per protagonisti Benedetto Croce e Giovanni Gentile. In Francia fu popolare la filosofia di Bergson, mentre nei paesi anglosassoni si sviluppò il pragmatismo. Anche gli sviluppi scientifici misero in crisi la cultura positivista con le teorie di Einstein e la relatività, e le idee di Freud sulla terapia mentale. Avvennero trasformazioni nelle scienze sociali, in particolare si sviluppò la scienza politica che analizzava i processi di formazione delle classi dirigenti e la crescita degli apparati burocratici (Mosca, Michels, Weber). 8. L’Europa e il mondo agli inizi del ‘900 8.1. Le contraddizioni della belle époque Negli anni che precedettero lo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914, l’Europa visse in compresenza di spinte contraddittorie tra loro: da un lato quella della spensieratezza, di pace e di benessere economico, la belle époque, e dall’altro una stagione dominata dal militarismo, dall’imperialismo e dalla più spietata logica di potenza con la grande corsa al riarmo. Tuttavia, la guerra non fu il portato inevitabile di un’epoca, di un sistema economico o di una catastrofe imprevedibile, ma il frutto del nuovo sistema di alleanze configuratosi nell’ultimo decennio del XIX. 8.2. Nuove alleanze in Europa e nuovi equilibri mondiali Dopo il 1890, con l’uscita di scena del cancelliere tedesco Bismarck, si ruppero gli equilibri internazionali e si formò un nuovo assetto basato sulla contrapposizione fra due blocchi: Germania, Impero austro-ungarico e Italia da una parte, e dall’altra Francia, Russia e Gran Bretagna. Le cause che misero in crisi il sistema precedente di Bismarck sono riconducibili alla politica aggressiva di Guglielmo II. Infatti, l’equilibrio si ruppe quando la Germania decise di non rinnovare l’alleanza con la Russia, preferendo l’Austria-Ungheria come alleato, nella convinzione che l’Impero zarista non avrebbe mai stretto alleanza con la Francia. Tuttavia, le due potenze alla ricerca di un alleato si vennero incontro e nell’1894 crearono una vera e propria alleanza militare, la Duplice franco-russa. La Germania, costretta a premunirsi dinnanzi a una guerra su due fronti, cominciò a dar via alla costruzione di una grande flotta capace di contrastare quella britannica. Ciò indusse gli inglesi a una vera e propria corsa agli armamenti e ad un processo di riavvicinamento con la Francia, con l’Intesa cordiale nel 1904, e anche con una regolazione con la Russia nel 1907, che poi fu chiamata Triplice Intesa. Questo fomentò la Germania a intraprendere una maggiore aggressività in politica estera. Alle paure del conflitto generalizzato si affiancavano le ansie suscitate dai nuovi popoli, non tanto quelli statunitensi, ma quelli dell’Estremo Oriente con la Cina e il Giappone, che oltre all’ordine politico-militare crescevano anche a livello demografico. 8.3. I focolai di crisi Nel decennio che precedette lo scoppio della prima guerra mondiale due furono i punti di frizione più pericolosi. Uno fu il Marocco, rimasto indipendente sul campo coloniale, fu poi ottenuto dalla Francia, a seguito di un pericoloso contrasto con la Germania. Ma il punto più cruento fu la questione balcanica. Lì, la situazione di precarietà fu ancor di più destabilizzata dalla rivoluzione dei “giovani turchi”, i quali riuscirono ad apportare modifiche all’assetto autocratico dell’Impero ottomano con l’ottenimento di una Costituzione e la modernizzazione dello Stato. Tuttavia, questa crisi interna all’Impero ottomano favorì le altre potenze, come l’Austria-Ungheria che procedette all’annessione della Bosnia e dell’Erzegovina, attirando 20 La rivolta non rimase senza effetti, infatti, la sconfitta del nazionalismo tradizionalista e il crescente discredito della dinastia Qing Manciù prepararono il terreno allo sviluppo di un movimento democratico e occidentalizzante, che si prefiggeva lo scopo di collegare la lotta agli stranieri e quella della modernizzazione del paese. Nel 1905 nacque il Tung Meng hui, un’organizzazione segreta fondata da Sun Yat-sen, il quale programma era basato su tre principi: l’indipendenza nazionale, la democrazia rappresentativa e il benessere del popolo. Nell’ottobre 1911 in Cina cominciarono una serie di sommosse e di ammutinamenti, che portarono nel gennaio 1912 alla dichiarazione della decadenza della dinastia Qing e dell’elezione di Sun Yat-sen alla presidenza della Repubblica. Tuttavia, la presidenza passò al generale dell’impero Yuan Shi-kai, a seguito del compromesso con il Kuomintang, il nuovo partito delle forze democratiche, per consentire la creazione della nuova forma di stato. Nel 1913, però, il nuovo presidente sciolse il Parlamento, mise fuori legge il Kuomintang di Sun Yat-sen esiliandolo, e instaurò una dittatura personale. 8.8. L’imperialismo statunitense Si andava progressivamente rafforzando il ruolo egemonico degli Stati Uniti, visto il suo sviluppo economico e industriale senza precedenti e concorrenti. Dopo l’espansione nel Pacifico, fino alla prima guerra mondiale l’imperialismo statunitense si concentrava verso l’America centrale. Negli della presidenza Theodore Roosevelt, repubblicano eletto nel 1901, fu adottata la politica della “diplomazia del dollaro” e del “grosso bastone”. Un esempio fu il caso di Panama, quando gli Stati Uniti ottennero dal governo della Colombia l’autorizzazione a costruire e gestire il canale, rifiutata, però, dal senato colombiano. Ciò scatenò la sommossa armata degli Stati Uniti che minacciarono l’intervento e così Panama, divenne come Cuba, una repubblica indipendente controllata dagli Stati Uniti, dove era stato costruito il famoso canale di collegamento tra l’Oceano Pacifico e Atlantico. Imperialista e aggressivo all’estero, Roosevelt in politica interna presentò importanza alla legislazione sociale, alla disponibilità dell’intervento pubblico in economia e alla limitazione del potere di mercato dei trust. Lasciata la presidenza del 1908, i repubblicani si spaccarono e nel 1912 fu eletto Presidente degli Stati Uniti, il democratico Woodrow Wilson. 8.9. L’America Latina e la rivoluzione messicana Nei trent’anni precedenti alla prima guerra mondiale i paesi latino-americani registrarono un notevole sviluppo economico, tuttavia non si attenuò la loro dipendenza dagli Stati europei, che importavano materie prime e vi esportavano i prodotti finiti danneggiando l’industria locale. Le campagne, inoltre, erano dominate dai latifondi e le società erano dominate dall’oligarchia terriera. I maggiori mutamenti si ebbero in Argentina con la vittoria dei radicali e la rivoluzione messicana. Quest’ultima cominciata nel 1910 contro il regime semidittatoriale di Diaz, vide la vittoria di Madero, supportato dai contadini Emiliano Zapata e Pancho Villa, ma si trasformò in una guerra civile tra le componenti in conflitto prima alleate: quella borghese e quella contadina. Si concluse dopo diversi colpi di stato nel 1921 con la vittoria dei democratici e l’elezione del progressista Obregon. 9. L’Italia giolittiana 9.1. La crisi di fine secolo Negli ultimi anni dell’800, come in Francia e in Gran Bretagna, l’Italia fu il teatro di uno scontro politico- istituzionale, dato che la posta in gioco era l’evoluzione del regime liberale verso forme di più avanzate di democrazia. Con la caduta di Crispi, le tensioni politiche furono alimentate dalla proposta dei conservatori creata da Sidney Sonnino, che prevedeva l’interruzione della prassi parlamentare, a favore di un governo responsabile solo dinnanzi al re. Le tensioni crebbero così tanto nel 1898, a seguito dell’aumento del prezzo del pane, che fece scoppiare in tutta Italia agitazioni. La risposta del governo Rudinì fu durissima con massicci interventi di polizia e a Milano l’artiglieria provocò morti e feriti. Una volta riportato l’ordine, i gruppi moderati e conservatori portarono gli scontri nelle istituzioni parlamentari, infatti, all’ordine del giorno vi erano leggi che limitavano il diritto di sciopero, le libertà di stampa e di associazione, ma tutto ciò fu impedito dall’ostruzionismo della sinistra. Il risultato sfavorevole per i conservatori nelle elezioni del 1900 portò al governo Saracco, un moderato al di sopra delle parti. Re Umberto I, in linea con la politica conservatrice, prese atto del fallimento della politica repressiva, e il 29 luglio 1900 fu vittima di un attentato che portò alla sua morte per mano di un anarchico per vendicare le vittime del ’98. 21 9.2. La svolta liberale Nel febbraio 1901, il governo Saracco, a causa dell’incertezza in occasione di un grande sciopero, fu sostituito dal governo della sinistra liberale con Giuseppe Zanardelli, nominato da re Vittorio Emanuele III. Zanardelli nominò come ministro dell’Interno Giovanni Giolitti, il quale intendeva mantenere dinnanzi a scontri tra operai e imprenditori il loro libero svolgimento senza il ricorso alla repressione, cioè intendeva mantenere la neutralità dello Stato liberale. Oltre a questo atteggiamento il governo Zanardelli-Giolitti condusse in porto importanti riforme sociali sulla limitazione del lavoro minorile e femminile, sulle assicurazioni per la vecchiaia e gli infortuni, e sulla municipalizzazione dei servizi pubblici. Le conseguenze del nuovo corso aumentarono il numero delle organizzazioni sindacali, operaie e contadine, che aumentarono a sua volta il numero degli scioperi e ne derivò un rialzo dei salari. 9.3. Decollo dell’industria e questione meridionale A partire dagli ultimi anni dell’800, l’Italia conobbe un autentico decollo industriale e ciò fu dovuto: ai progressi delle infrastrutture economiche e delle strutture produttive; alla scelta protezionistica; e al riordinamento del sistema bancario, che facilitò l’afflusso del risparmio verso gli investimenti industriali. I settori che fecero registrare maggiori progressi per le politiche protezionistiche furono: la siderurgia, il settore tessile e il settore agroalimentare. Anche se non coperto da tariffe doganali si svilupparono inaspettatamente l’industria della gomma con la Pirelli a Milano e l’industria meccanica automobilistica con la Fiat di Torino. L’economia italiana aveva un tasso di crescita che superava tutti gli altri paesi europei e ciò garantì un miglioramento del tenore di vita degli italiani. Le condizioni abitative restavano, però, poco adeguate, perché i servizi igienici erano presenti solo nelle grandi città. In ogni modo lo sviluppo economico non era in grado di colmare il divario che separava l’Italia dagli altri Stati europei, infatti, tra il 1900 e il 1914 si contarono 8 milioni di emigrati, che traeva la sua origine soprattutto dal Mezzogiorno. L’emigrazione, che era anche diretta oltreoceano, ebbe anche effetti positivi visto che le rimesse degli emigrati alleviarono le zone più depresse, ma ciò impoverì di risorse umane il Mezzogiorno. Il progresso industriale italiano non si era distribuito uniformemente, ma si era concentrato soprattutto nella zona del triangolo industriale Genova, Milano e Torino, e ciò accentuò ancora di più il divario Nord-Sud. I motivi del poco sviluppo meridionale ricadono nelle sfavorite condizioni climatiche e idrogeologiche, nella povertà dei terreni appenninici, ma anche dalla presenza di rapporti sociali e mentalità diffuse che ostacolavano il mutamento sociale ed economico. Da questa situazione derivavano l’analfabetismo, la disgregazione sociale, politiche clientelari e pratiche corruttive. La denuncia di questi mali del Meridione fu anche svolta dai politici meridionalisti, come Gaetano Salvemini, che si applicarono allo studio e alla soluzione dei problemi. 9.4. Giolitti e le riforme L’Italia degli inizi del ‘900 fu caratterizzata da un decennio di governo marchiato Giovanni Giolitti, che risalito al potere nel 1903, tentò in un primo momento di allargare la compagine governativa al socialista Filippo Turati, che rifiutò. Giolitti, allora, costituì un governo di destra e condusse in porto nel 1904, le prime leggi speciali per il Mezzogiorno per incentivare lo sviluppo industriale. Un altro progetto elaborato fu quello della statizzazione delle ferrovie, ma incontrò dure opposizioni, che portarono Giolitti alle dimissioni, una tattica ripetuta più volte che consisteva nel lasciare le redini del governo nei momenti difficili per poi riprenderle in condizioni favorevoli. Nel 1906 ritornato Giolitti per altri tre anni e mezzo di governo, importante per i bilanci pubblici fu la riduzione del tasso di interesse sui titoli statali. Nel 1909 si dimise nuovamente e ritornò al governo nel 1911 con un programma di sinistra, dove risaltava la nuova legge elettorale introdotta nel 1912, che prevedeva l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi trentenni e a tutti i maggiorenni che sapessero leggere e scrivere o avessero prestate servizio militare. Inoltre, istituì l’Ina, che monopolizzava le assicurazioni pensionistiche. 9.5. Il giolittismo e i suoi critici La “dittatura” di Giolitti, realizzata dalla fine dell’800 sino agli inizi del ‘900, avvenne grazie lo stretto controllo del Parlamento e l’intervento di governo nelle competizioni elettorali (soprattutto al Sud). Se da un lato Giolitti tentò di assorbire le forze rivoluzionarie nelle istituzioni, dall’altro attuò anche atteggiamenti trasformisti alla Depretis e politiche clientelari. Questo alimentò le critiche da parte di diverse forze politiche come i socialisti e i meridionalisti come Salvemini che lo identificava come il “ministro della mala vita”. 22 Ciò scatenò una forte impopolarità nei confronti di Giolitti, che segnò un distacco tra classe dirigente e opinione pubblica, sintomo di un sistema in crisi. 9.6. La guerra di Libia e il tramonto del giolittismo A partire dal 1896, anno della caduta di Crispi, la politica estera italiana cambiò rotta dalla rigida linea filotedesca, e portò al miglioramento dei rapporti con la Francia. Infatti, entrambi posero fine alla guerra doganale con un nuovo trattato e nel 1902 stipularono un accordo, dove l’Italia acconsentiva l’interesse della Francia sul Marocco, in cambio dello stesso riconoscimento sulla Libia. In quel periodo nasceva anche il movimento nazionalista a favore delle politiche imperialiste. Quando la Francia instaurò il protettorato sul Marocco, nel 1911 l’Italia inviò sulle coste libiche le truppe che dovettero scontrarsi con l’esercito ottomano e le guerriglie delle popolazioni arabe. Allora, l’Italia estese il teatro di guerra su Rodi e sul Dodecaneso, e dopo un anno di guerriglie gli ottomani firmarono la pace di Losanna. La pace del 1912 non placò le guerriglie arabe, allora l’Italia mantenne anche l’occupazione sulle isole ottomane. Dal punto di vista economico, la conquista libica non si rivelò conveniente perché gli alti costi della guerra furono maggiori rispetto agli sbocchi e alle risorse ottenute, anche se non ricercate al meglio come i grandi giacimenti di petrolio sotto la Libia. Tuttavia, questa conquista si rivelò apprezzata dall’opinione pubblica, ma non risolse il processo di consolidamento di governo, vista la crescita delle ali estreme, come i nazionalisti. 9.7. Socialisti e cattolici Nonostante Turati fosse un riformista, il Partito socialista nell’aprile 1904 al congresso di Bologna passò sotto la guida delle correnti rivoluzionarie. Questi organizzarono il primo grande sciopero nazionale nel 1904. Nel 1906 nasceva la Cgl e in seguito anche dalla parte degli industriali vi fu l’esigenza di creare un’associazione padronale, Confindustria nel 1910. Si accentuavano le fratture nel Partito socialista italiano, dove all’interno dei riformisti si staccarono i riformisti di destra guidati da Ivanoe Bonomi e crearono il Partito socialista riformista italiano, d’accordo per una collaborazione con le forze di governo liberali. I riformisti erano di nuovo in minoranza nel Psi e la guida passò agli intransigenti dove emerse la figura di Benito Mussolini, direttore dell’“Avanti”, il quale portò una propaganda che si rivolgeva alle masse e prese esempio dal sindacalismo rivoluzionario francese. In campo cattolico si sviluppò il movimento democratico-cristiano guidato da Romolo Murri, poi condannato da papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo le organizzazioni sindacali cattoliche, cosiddette leghe bianche. Sul piano politico le forze clerico-moderate stabilirono alleanze elettorali in funzione conservatrice con i liberali con il patto Gentiloni. In cambio di voti cattolici, i liberali dovevano garantire una linea politica che rispettasse le prerogative della Chiesa, e ciò ebbe risvolti nelle elezioni del 1913. 9.8. La crisi del sistema giolittiano L’allargamento del suffragio non ebbe effetti sconvolgenti sugli equilibri parlamentari, anche grazie al patto Gentiloni, perché i liberali conservarono la maggioranza. Tuttavia, la maggioranza era più eterogenea. Nel 1914 Giolitti rassegnò le dimissioni e passò il governo ad Antonio Salandra, con l’obiettivo di ritornarvi successivamente. Il clima differente fu evidenziato dalla settimana rossa nel giugno del 1914, quando la morte di tre manifestanti ad Ancona, scatenò un carattere insurrezionale sulla penisola fomentato dai socialisti, ma che si esaurì in pochi giorni. Inoltre, lo scoppio della Grande guerra fu un altro momento di divisione tra le diverse forze politiche italiane. 10. La prima guerra mondiale e la rivoluzione russa 10.1. Venti di guerra L’evoluzione politica e i progressi economici e materiali in Europa non bastavano a spegnere i conflitti sociali interni e le tensioni politiche internazionali. Vi erano forti rivalità segnati anche dai blocchi formatisi con la Triplice alleanza e la Triplice intesa, infatti, le questioni irrisolte erano tra Austria-Ungheria e Russia per il controllo balcanico, tra Francia e Germania per l’Alsazia e la Lorena, e tra Gran Bretagna e Germania per la potenza della flotta. La guerra era nell’aria, nonostante i pacifisti e i socialisti premessero contro, perché per molti avrebbe potuto rappresentare un modo per donare vitalità alla società intorpidita, ma anche un buon metodo per ottenere guadagni e successi dall’industria bellica. 10.2. Una reazione a catena Il casus belli avvenne il 28 giugno 1914, quando uno studente bosniaco Gavrilo Princip uccise con due colpi di pistola l’erede al trono d’Austria, arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie, mentre attraversavano 25 I mutamenti più evidenti si videro nell’economia e nell’industria pesante, che vide un’espansione perché chiamata a rifornire gli eserciti. Ciò impose una riorganizzazione dell’apparato produttivo e dell’intervento statale con i militari nelle industrie, come in Germania, dove la pianificazione economica raggiunse il socialismo di guerra. Il potere dei governi si rafforzò a spese degli organi rappresentativi e a sua volta fu insidiato dall’invadenza dei comandi militari. La dittatura militare in Germania esercitata dal generale Hindenburg fu simile ai governi autoritari francesi di Clemenceau e inglesi di Lloyd George. Strumento essenziale per la mobilitazione dei cittadini fu la propaganda, anche se rivelava la preoccupazione dei governi nel cercare l’appoggio dell’opinione pubblica. 10.8. 1917: l’anno della svolta Nei primi mesi del 1917 due novità mutarono il corso della guerra: all’inizio di marzo, lo zar di Russia abdicò a seguito dell’ammutinamento dell’esercito contro uno sciopero operaio a Pietrogrado contro il regime e che portò alla firma dell’armistizio; e l’ingresso in guerra degli Stati Uniti il 6 aprile contro la Germania, che aveva ripreso la guerra sottomarina indiscriminata. Gli avvenimenti russi incisero negativamente sulle truppe. In Francia e in Italia si verificarono forme di insubordinazione degli eserciti, e la stanchezza degli Imperi centrali, soprattutto dell’Austria-Ungheria che doveva fronteggiare anche internamente gli slavi del Sud, con l’imperatore Carlo I si tentò una pace segreta separata, ma respinta dall’Intesa. Non ebbe fortuna neanche il tentativo di paciere di papa Benedetto XV per porre fine all’“inutile strage”. Il 1917 per l’Italia fu l’anno più difficile, perché vista la disponibilità di truppe austro-tedesche liberatesi dal fronte russo, il 24 ottobre 1917 avvenne la cosiddetta “disfatta di Caporetto”. L’armata austriaca, numericamente superiore, attaccò le linee sull’Isonzo e sfondò a Caporetto, attraverso un’infiltrazione che permise loro di arrivare ad occupare anche il Friuli. Le truppe italiane dovettero abbandonare le posizioni in maniera precipitosa e accorciare sul Piave, dove l’esercito si trovò dimezzato perché disgregatosi. Luigi Cadorna gettò le colpe ai soldati, ma si trattò puramente di un errore strategico e ciò costituì la rimozione dell’incarico di generale. Paradossalmente questa sconfitta rappresentò uno sprono per la guerra italiana, fu, infatti, costituito un altro governo a coalizione nazionale con Vittorio Emanuele Orlando e Armando Diaz divenne il capo di stato maggiore. 10.9. La rivoluzione russa: da febbraio a ottobre Nessuno si immaginava che gli eventi in Russia nel 1917 avrebbero portato alla rivoluzione. Dopo l’abdicazione dello zar, il 17 marzo, si formò un governo provvisorio che aveva come obiettivi, la prosecuzione della guerra a fianco dell’Intesa e la modernizzazione politica. Esso era composto dalle forze liberal-moderate, dai menscevichi e dai social-rivoluzionari. Rifiutarono ogni partecipazione i bolscevichi, che si affidavano a mezzi non “legali” di rappresentanza che si affiancavano al governo provvisorio, i soviet, che erano consigli di operai e soldati favorevoli alla diffusione del potere dal basso e alla fine della guerra. Nell’aprile del ’17, il leader dei bolscevichi, Lenin ritornò in Russia partendosi dalla Svizzera dopo un viaggio attraverso l’Europa in guerra, aiutato dai tedeschi che avevano come obiettivo l’uscita della Russia dalla guerra. Arrivato a Pietrogrado, Lenin espose i dieci punti delle Tesi di aprile, dove rovesciava la teoria marxista secondo cui la rivoluzione sarebbe avvenuta prima nei paesi già sviluppati. Il suo obiettivo era quello di ottenere la maggioranza dei soviet, avviare la pace, redistribuire la terra ai contadini e favorire il controllo della produzione ai consigli operai. Nel settembre il tentativo di colpo di stato del generale Kornilov fu sventato dal governo social-rivoluzionario di Kerenskij, ma ciò contribuì a rafforzare la maggioranza nei soviet dei bolscevichi. La rivoluzione d’ottobre fu organizzata da Trotzkij, presidente del soviet di Pietrogrado, e avvenne il 7 novembre 1917 (il 25 ottobre per il calendario russo). I soldati rivoluzionari e le milizie operaie circondarono il Palazzo d’Inverno, sede del governo provvisorio, e se ne impadronirono. Lì si riunì il Congresso dei soviet, che come suo primo atto varò due decreti: il primo che faceva appello a tutti i popoli belligeranti per una pace democratica senza annessioni e indennità, e il secondo che stabiliva l’abolizione della grande proprietà terriera. Veniva, inoltre, stabilito il governo rivoluzionario presieduto da Lenin che fu chiamato Consiglio dei commissari del popolo. 10.10. La rivoluzione russa: dittatura e guerra civile Con le elezioni dell’Assemblea costituente, i risultati delle urne costituirono una delusione per i bolscevichi, che videro trionfatori i social-rivoluzionari. Ciò indusse i militari bolscevichi a sciogliere l’Assemblea nel suo 26 primo giorno di lavoro. I leader bolscevichi speravano nella creazione di un nuovo Stato in cui non vi sarebbe stato bisogno di Parlamenti, magistratura, eserciti e burocrazia, perché sarebbero state le masse stesse ad autogovernarsi secondo i principi di democrazia diretta dei soviet. Se relativamente facile fu la presa del potere per i bolscevichi, risultava invece difficile gestirlo. Il 5 dicembre 1917 dopo aver siglato l’armistizio, seguì la firma del trattato di Brest-Litovsk, il 3 marzo 1918. La Russia dovette accettare le dure imposizioni di Germania e Austria-Ungheria, che comportavano la perdita di tutti i territori non russi dove stavano nascendo Stati indipendenti. Questo trattato fu osteggiato anche dalle potenze dell’Intesa, che temendo il contagio rivoluzionario cominciarono ad appoggiare le forze antibolsceviche, inviando in Russia reparti anglo-francesi e statunitensi per rafforzare i monarchico-conservatori, che alimentarono la guerra civile in diverse zone del paese. I bianchi riuscirono ad impadronirsi del controllo della Siberia e della zona tra gli Urali e il Volga, e fu questa circostanza che spinse i bolscevichi a giustiziare lo zar Nikola e la sua famiglia reale ad Ekaterinburg. La controrivoluzione era però divisa e mal coordinata, e a seguito del ritiro delle truppe straniere, nella primavera del ’20, la guerra civile si sarebbe chiusa a favore dei bolscevichi. Il regime rivoluzionario accentuò il suo carattere autoritario, infatti, già nel dicembre del ’17 nasceva la polizia politica Ceka, e furono messi fuori legge tutti i partiti di opposizione, arrestati i leader dissidenti e fu reintrodotta la pena di morte. Nel febbraio del ’18 venne riorganizzato l’esercito che prese il nome di Armata rossa degli operai e dei contadini, costituendo un fattore decisivo che avrebbe consentito la vittoria bolscevica nella guerra civile. Nasceva uno Stato a partito unico autoritario, capace di proporsi col suo messaggio di eguaglianza sociale e di liberazione dei popoli oppressi di tutto il mondo, tralasciando i metodi spietati. 10.11. 1918: la sconfitta degli Imperi centrali Nella fase finale della guerra, per scongiurare la minaccia della rivoluzione bolscevica in Europa, gli Stati dell’Intesa accentuarono il carattere democratico della loro guerra e il suo interprete più autorevole fu il presidente americano Woodrow Wilson. Nel gennaio 1918 Wilson presentò in 14 punti il suo programma di pace che riguardava: il nuovo assetto europeo sulla base del principio di nazionalità e autodeterminazione dei popoli; l’abolizione della diplomazia segreta; la libertà di navigazione; la soppressione delle barriere doganali; il disarmo; e l’istituzione dell’organizzazione della Società delle Nazioni, per assicurare la pacifica convivenza tra i popoli. Lo scontro bellico nel 1918 appariva ancora in equilibrato tra i due schieramenti, ma grazie all’apporto statunitense nell’agosto l’Intesa contrattaccò ai tedeschi nella battaglia di Amiens, i quali cominciarono la loro ritirata. Gli Imperi centrali crollavano militarmente e si disgregavano all’interno, come la Bulgaria e l’Impero ottomano che chiesero l’armistizio. L’Austria-Ungheria, che vide al suo interno l’indipendenza cecoslovacca e degli slavi del Sud (Jugoslavia), il 24 ottobre 1918 con l’offensiva sul Piave da parte delle truppe italiane, fu sconfitta a Vittorio Veneto. Il 3 novembre a Padova presso Villa Giusti, firmarono l’armistizio con l’Italia. La Germania stava anch’essa precipitando internamente, infatti, con la creazione di un governo a coalizione nazionale guidato da un socialdemocratico, l’imperatore Guglielmo II fuggì in Olanda e veniva così proclamata la Repubblica. L’11 novembre 1918 il governo tedesco firmò l’armistizio. La Germania perdeva la guerra che avevo contribuito più di altri a far scatenare, che si chiudeva con un bilancio di 8 milioni e mezzo di caduti. 10.12. Vincitori e vinti 27 Il 18 gennaio 1919 presso la Reggia di Versailles si aprirono i lavori della conferenza di pace della prima guerra mondiale. Vi parteciparono tutti gli Stati che svolsero anche un ruolo marginale nello sforzo bellico, ma ovviamente erano esclusi dalle trattative gli sconfitti, che dovevano solo piegarsi alle decisioni imposte. Tutte le materie più importanti erano però dirette dalle quattro potenze vincitrici e dai loro capi di governo: l’americano Wilson, il francese Clemenceau, il britannico Lloyd George e l’italiano Orlando (anche se relegato ad un ruolo secondario). Il trattato di Versailles fu firmato il 28 giugno 1919, anche se costituì un’imposizione per gli sconfitti, soprattutto per la Germania. Dal punto di vista territoriale, i tedeschi dovevano cedere alla Francia l’Alsazia e la Lorena; la Polonia con anche la Posnania, l’Alta Slesia e la Pomerania, che costituiva un corridoio di separazione tra Prussia occidentale e Prussia orientale, per consentire lo sbocco sul Baltico ai polacchi accedendo a Danzica, che divenne città libera; anche tutte le colonie in Africa e Oceania furono spartite tra Francia, Gran Bretagna e Giappone. Il diktat di Versailles prevedeva anche pesanti clausole economiche e militari nei confronti della Germania che da responsabile di guerra dovette impegnarsi a elargire pesanti riparazioni di guerra, e inoltre fu sventrato l’esercito e smilitarizzata la Renania con il presidio delle truppe britanniche, francesi e belghe. Si ebbe anche la dissoluzione dell’Impero asburgico, che formò la piccola Repubblica di Austria e l’Ungheria alla quale fu sottratta la Slovacchia e la Croazia. I cechi e gli slovacchi crearono la Cecoslovacchia (che comprendevano anche la parte tedesca dei Sudeti) e gli slavi del Sud, cioè Croazia, Slovenia, Bosnia- Erzegovina, Serbia e Montenegro crearono la Jugoslavia. Il nuovo assetto balcanico fu completato dall’ingrandimento della Romania, dal ridimensionamento della Bulgaria e la dissoluzione dell’Impero ottomano. La Turchia conservò la sua sovranità sulla sola sull’Anatolia, meno Smirne che passò alla Grecia. In funzione antisovietica furono riconosciute le Repubbliche sul Baltico: la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania. Ad assicurare il rispetto dei trattati e della pace avrebbe dovuto pensarci la Società delle Nazioni, l’organismo voluto da Wilson, che prevedeva la rinuncia dell’uso della forza armata per gli Stati membri e la risoluzione pacifica delle controversie. Tuttavia, nasceva in presenza di contraddizioni come l’iniziale assenza degli sconfitti, come la Russia, la non ratifica dei trattati da parte del Senato degli Stati Uniti che ne impedì l’ingresso, e l’egemonia esercitata da Francia e Gran Bretagna. 10.13. Il mito e la memoria La prima guerra mondiale fu una grande produttrice di miti, sia per i combattenti al fronte dove svilupparono credenze irrazionali e leggende, sia per la comunità che svilupparono una visione generalizzata della guerra. Nacquero il culto dei caduti privato, familiare e anche pubblico. Si diffusero in tutti i paesi moderni i monumenti ai caduti per onorare il sacrificio dei soldati sul luogo e le celebrazioni del milite ignoto. 11. L’eredità della Grande Guerra 11.1. Le conseguenze economiche della guerra Tutti i paesi belligeranti, esclusi gli Stati Uniti, uscirono dal conflitto in condizioni di grave dissesto economico. Per affrontare le spese di guerra tutti gli Stati avevano contratto ingenti debiti, in primo luogo con 30 tutte le banche, aboliti i debiti esteri, istituiti comuni agricole volontarie per la distribuzione delle derrate, e nazionalizzati i più importanti settori industriali che venivano controllati direttamente dallo Stato o dai soviet. Questo piano di comunismo di guerra assicurò alcune funzioni essenziali, come l’esercito, ma la produzione si ridusse drasticamente, e vi furono milioni morti di fame a causa della carestia. Si alimentarono, così, le proteste e la più sanguinosa nel 1921 fu condotta dai marinai di Pietrogrado, che richiedevano maggiori libertà politiche e sindacali. Lo stesso anno prendeva avvio la parziale liberalizzazione nella produzione e negli scambi. La NEP, nuova politica economica, aveva l’obiettivo di stimolare la produzione agricola e di favorire l’afflusso alimentare nelle città, perché consentiva ai contadini di vendere le derrate in eccedenza alle quote da destinare allo Stato. La NEP fu benefica per l’economia, ma produsse il ritorno di alcune classi agricole benestanti, come i kulaki. 11.8. L’Urss da Lenin a Stalin Fra il ’20 e il ’22 vi fu il processo di unione delle Repubbliche sovietiche, infatti, alla Repubblica russa si unirono l’Ucraina, la Bielorussia, l’Azerbaigian, l’Armenia e la Georgia, e nacque l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. La nuova Costituzione dell’Urss del 1924 prevedeva una complessa struttura istituzionale al cui vertice vi era il Congresso dei soviet, ma il potere restava in mano al Partito comunista, il Pcus. Il partito, in mano ad un gruppo dirigente, era guidato da un segretario generale che era responsabile nel fornire le direttive ideologiche e politiche del governo. Il partito unico controllava anche la polizia politica che colpiva gli oppositori e proponeva la lista di candidati alle elezioni dei soviet (deteneva tutto il potere). Oltre a rivoluzionare le strutture politiche ed economiche, i comunisti sovietici intendevano modificare i valori e le tradizioni della società, e questo doveva avvenire attraverso l’alfabetizzazione e la lotta alla Chiesa ortodossa. Fu elevato l’obbligo scolastico fino a quindici anni e le materie di insegnamento erano prettamente tecniche industriali. La lotta alla Chiesa fu portata avanti con molta durezza, perché era incompatibile con i valori materialisti forniti da Marx. Il governo rivoluzionario, infatti, riconosceva solo il matrimonio civile e facilitò il divorzio e l’aborto. Proclamava, inoltre, la parità assoluta fra i sessi e i figli illegittimi furono equiparati a quelli legittimi. Le tendenze autoritarie dell’Urss andarono a consolidarsi quando nel 1922 Stalin divenne segretario del Pcus, ma soprattutto dopo la morte di Lenin nel 1924. Infatti, si aprì la lotta per la successione tra Trotzkij, sostenitore della rivoluzione permanente secondo la quale il processo rivoluzionario sovietico si dovesse estendere anche all’Occidente per internazionalizzazione, e Stalin, sostenitore del socialismo in un solo paese secondo il quale la vittoria del socialismo sul mondo capitalista poteva avvenire anche grazie soltanto all’Unione Sovietica. Una volta sconfitto Trotzkij, alcuni suoi ex avversari del partito si scontrarono con Stalin per la sua idea di mantenere la NEP, che stava provocando la nascita di nuovi ceti borghesi. Stalin si oppose a questi espellendoli dal Pcus, e lo stesso Trotzkij fu prima internato ai lavori forzati e poi espulso dall’Urss. Si apriva così la costruzione di un nuovo Stato, fondato sulla crescita del potere personale di Stalin e sulla sua volontà di far divenire l’Urss potenza industriale e militare. 12. Dopoguerra e fascismo in Italia 12.1. Le tensioni del dopoguerra Uscita vincitrice dalla guerra, l’Italia si trovava a risolvere i problemi politici e le tensioni sociali tipiche degli altri paesi europei che hanno affrontato la Grande guerra. A livello economico vi fu lo sviluppo abnorme di alcuni settori industriali con problemi di riconversione, sconvolgimento dei flussi commerciali, deficit di bilancio e inflazione galoppante. Vi fu anche a livello sociale un accelerato avvicinamento delle masse allo Stato con accentuate divisioni, che ritrovavano nella violenza e nella forza la risoluzione di qualsiasi controversia. Tensioni sociali si ebbero in molte città italiane, investite da numerosi scioperi, per l’aumento dei prezzi e per le richieste di aumento salariale. Ad agitare le masse fu anche la cattiva gestione della questione pace. L’Italia ne era uscita rafforzata territorialmente dalla guerra, perché nel rispetto del patto di Londra, ottenne Trento, Trieste, il Sud Tirolo, parte dell’Istria, ma non ottenne la Dalmazia che fu contesa dalla Jugoslavia, nonostante il patto segreto. Per rimediare Orlando e Sonnino a Versailles richiesero che la città a maggioranza italiana di Fiume tornasse all’Italia, ma Wilson si oppose. Orlando e Sonnino abbandonarono per protesta la conferenza senza ottenere nessun risultato e ciò portò alle loro dimissioni. Il nuovo governo Nitti dovette affrontare la questione della vittoria mutilata, termine coniato da Gabriele D’Annunzio, che significò quel generale malcontento diffuso tra gli italiani per l’esito della guerra. 31 L’esito della protesta nel 1919 portò alcuni reparti ribelli e truppe volontarie, sotto il comando di Gabriele D’Annunzio, ad occupare la città di Fiume, dove fu istituita una reggenza provvisoria. 12.2. I partiti e le elezioni del 1919 In questa fase di crisi, la classe dirigente si trovò sempre più contestata e isolata, mentre risultavano favorite le forze socialiste e le forze cattoliche, non responsabili della guerra. I cattolici, che abbandonarono la tradizionale linea astensionistica, diedero vita nel gennaio 1919 al Partito popolare italiano con a capo don Luigi Sturzo. Questo si presentava con un programma democratico e ispirato alla dottrina cattolica, al suo interno confluivano la democrazia cristiana, le leghe bianche e le correnti clerico- moderate. Un’altra novità nel panorama del Partito socialista fu la preponderanza della corrente massimalista, rispetto ai riformisti. I massimalisti di Menotti Serrati si ponevano come obiettivo l’instaurazione della repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato, ma avevano poco in comune con i bolscevichi, perché non intendeva organizzare la rivoluzione ma aspettarla. Si formarono, inoltre, nel Psi gruppi di estrema sinistra che si battevano per un maggiore impegno rivoluzionario sull’esempio bolscevico. Da citare sono il gruppo di Napoli di Amedeo Bordiga e quello di Torino di Antonio Gramsci. Il Partito socialista nel dopoguerra era schierato su posizioni maggiormente rivoluzionarie e ciò escludeva qualsiasi tipo di coalizione con le forze democratico-borghesi. I socialisti rifiutavano ogni logica nazionale e ferendo il patriottismo della piccola borghesia, impaurita dalla rivoluzione russa, diede appoggio alla formazione di numerosi gruppi oltranzisti nazionalisti. Fra questi vi era quello fondato a Milano il 23 marzo 1919 da Benito Mussolini, i Fasci di combattimento, che era schierato a sinistra perché chiedeva riforme sociali ed era favorevole alla repubblica, ma nel frattempo esprimeva nazionalismo e antisocialismo. A questo inizialmente fecero parte ex repubblicani, ex sindacalisti rivoluzionari ed ex Arditi di guerra. I fascisti furono protagonisti del primo grave episodio di guerra civile postbellica in Italia con lo scontro contro un corte socialista che si concluse il 15 aprile ’19 con l’incendio della sede dell’“Avanti!” a Milano. Le prime elezioni politiche del novembre 1919, che furono tenute con un proporzionale legato a liste nazionali di partito, segnarono la grave crisi dei liberal-moderati che persero la maggioranza assoluta. I socialisti riuscirono a ottenere un clamoroso successo con 156 seggi, mentre i cattolici furono la vera novità con 100 deputati eletti. Visto che i socialisti non accettavano alcuna alleanza, la coalizione di governo era caratterizzata dall’intesa fra popolari e liberal-democratici. 12.3. Il ritorno di Giolitti e l’occupazione delle fabbriche Il ministero Nitti sopravvisse sino al giugno 1920, quando a costituire il governo fu chiamato l’ottantenne Giolitti. Giolitti ottenne i risultati più importanti in politica estera, a seguito dell’accordo con la Jugoslavia per la questione territoriale sull’Adriatico. Concluse nel novembre 1920 il trattato di Rapallo con il quale l’Italia conservò Trieste, Gorizia e tutta l’Istria, ma la Jugoslavia ebbe la Dalmazia, tranne la città di Zara. Fiume fu dichiarata città libera, intanto, D’Annunzio dichiarava la resistenza ad oltranza, ma il giorno di Natale del ‘20 decise di abbandonare la partita a seguito dell’intervento delle truppe regolari. Più difficili furono le questioni da affrontare in politica interna per Giolitti, visto il periodo del biennio rosso in Italia (1919-1920). I conflitti del biennio rosso videro il loro episodio più drammatico nell’estate-autunno 1920 con l’agitazione dei metalmeccanici appartenenti al sindacato della Fiom, che a seguito della chiusura di uno stabilimento, il sindacato ordinò l’occupazione armata degli operai nelle fabbriche. Molti lavoratori videro lì l’occasione di poter portare avanti la rivoluzione operaia in tutto il paese, ma prevalse la linea della lotta sindacale della Cgl, anche grazie alla mediazione di Giolitti nella vertenza sindacato e industriali. Se sul piano sindacale gli operai vinsero la partita, vi era un senso di delusione rispetto alle attese di rivoluzione. Le polemiche di insoddisfazione degli operai si intrecciarono con le fratture provocate dalla Terza Internazionale, che dettò requisiti bolscevichi per consentire la partecipazione ai Partiti socialisti. I massimalisti, seguiti dai riformisti, si rifiutarono di adeguarsi a quanto dettato, ma nel gennaio 1921 nasceva il Partito comunista d’Italia, con Amedeo Bordiga della minoranza di estrema sinistra. 12.4. L’offensiva fascista Fino all’autunno del ’20, il fascismo aveva svolto un ruolo politico marginale, infatti alle elezioni del 1919 i Fasci non ebbero alcun deputato. Il movimento, tuttavia, subì delle mutazioni e divenne un’organizzazione paramilitare con le sue squadre d’azione che condussero una lotta spietata contro il movimento socialista. Le 32 prime vittime dello squadrismo furono le organizzazioni contadine della Val Padana, dove erano presenti in maniera diffusa le leghe rosse, le quali attraverso i loro uffici di collocamento controllavano il mercato del lavoro, contrattavano con i proprietari terrieri le ore di lavoro e il salario, disponevano di una fitta rete di cooperative e avevano buona parte delle amministrazioni comunali. Fu l’offensiva fascista ad aprire le prime brecce nel sistema delle leghe rosse. Il 21 novembre 1920 a Bologna gli squadristi si mobilitarono per impedire la cerimonia di inaugurazione dell’amministrazione comunale socialista, provocando una decina di morti tra gli scontri. I proprietari terrieri, allora, scoprirono nei Fasci lo strumento opportuno per poter abbattere il potere delle leghe, e cominciarono a sovvenzionarli generosamente, facendo sì che il movimento si espandesse nella sua composizione con reduci della Grande Guerra, piccoli borghesi e giovani pieni di spirito di azione. Il fenomeno squadrista dilagò in tutte le province del Centro-Nord e ovunque l’offensiva era caratterizzata dalle stesse tecniche: gli squadristi si spostavano con i camion nelle campagne e i centri rurali per poter colpire le amministrazioni, le leghe rosse, ma anche i socialisti in persona, che venivano sottoposti alle violenze che portavano talvolta alla loro uccisione. Molti aderenti socialisti per paura furono costretti a dimettersi e talvolta passare nel lato dei fascisti. Il successo fascista non si spiegava solo per l’efficacia militare, ma soprattutto per l’appoggio da parte dei ceti medi spaventati dal pericolo della rivoluzione socialista, che feriva i sentimenti patriottici. I Fasci erano anche sostenuti dalla classe dirigente e dagli apparati, dato che raramente la forza pubblica si opponevano alle azioni squadriste. Giolitti stesso pensò che i Fasci rappresentassero un buon espediente politico presentandoli nella sua stessa coalizione liberale alle elezioni per ridurre la maggioranza socialista in Parlamento. 12.5. Mussolini alla conquista del potere Nelle elezioni del maggio 1921 il progetto di Giolitti si concretizzò con l’ingresso dei candidati fascisti all’interno dei blocchi nazionali, liste di coalizione in cui conservatori, liberali e democratici si unirono per evitare una nuova affermazione dei partiti di massa. I risultati delle urne, tuttavia, portarono un lieve calo dei socialisti, il rafforzamento dei popolari e un miglior risultato rispetto al precedente del gruppo liberal-moderato. La maggiore novità fu costituita dall’ingresso di 35 deputati fascisti, capeggiati da Mussolini. Le nuove composizioni parlamentari misero fuori gioco l’ultimo governo di Giolitti, infatti, il ministero passò a Bonomi, che come prima azione intendeva far uscire il paese della guerra civile con il patto di pacificazione tra socialisti e fascisti. Nell’agosto del 1921 questo fu accettato dai socialisti, ma anche da Mussolini, ormai concentrato alla politica di palazzo, ma questa sua scelta vide l’opposizione degli Arditi e dei capi locali, i ras, come Italo Balbo e Farinacci, che sabotarono il patto e la figura di Mussolini. Solo dopo il congresso dei Fasci a Roma, si ebbe la ricomposizione tra i ras e Mussolini, il quale si convinse che risultava indispensabile lo squadrismo agrario come anche la nascita del nuovo Partito nazionale fascista (Pnf). Nel ’22 caduto il governo Bonomi, le redini passarono a Facta, che assistette ad un periodo in cui la violenza fascista era protagonista di operazioni sempre più clamorose, tale da annientare il movimento operaio che rimase inerme sia alla mobilitazione che alle iniziative politiche. Ciò causò un ulteriore divisione del Partito socialista, che vide l’uscita di Turati e dei suoi riformisti che nell’ottobre del ’22 fondarono il Partito socialista unitario. Sconfitto il movimento operaio, il fascismo si pose il problema della conquista dello Stato. Mussolini, allora, giocò su due tavoli: da un lato politico intrecciò le trattative con i liberali in vista della formazione di un governo con maggiore partecipazione fascista, guadagnò il favore degli industriali e rassicurò il mantenimento del regime monarchico; mentre dal lato operativo lasciò che le camicie nere si preparassero al colpo di Stato. Il 28 ottobre 1922 prese corpo la marcia su Roma, con la mobilitazione di tutte le forze fasciste alla conquista del potere centrale. Per quanto agguerrite le squadre rimanevano poco coordinate dinnanzi allo scontro con l’esercito regolare, ma decisivo fu il comportamento del re. Vittorio Emanuele III, infatti, rifiutò per evitare una guerra civile il decreto di Facta che segnalava lo stato d’assedio e quindi il passaggio dei poteri alle autorità militari. Ciò aprì la strada ai fascisti che entrarono a Roma e Mussolini, chiamato dal re, ottenne l’incarico di formare il governo il 30 ottobre 1922. Questo governo, oltre che da fascisti, era formato da liberali di centro e di destra, democratici e popolari. 12.6. Verso il regime 35 risanamento delle ipoteche, furono aumentati i sussidi di disoccupazione e fu svalutato il dollaro per rendere più competitive le esportazioni. A queste misure si aggiunsero alcuni provvedimenti innovativi sul settore agricolo come premi su riduzioni produttive, codici di condotta a limitare la concorrenza industriale, e lo sfruttamento a basso costo dell’energia idroelettrica del Tennessee. Il New Deal rappresentò un’esperienza innovativa anche se non riuscì a determinare una piena ripresa dell’economia americana. 13.6. Il nuovo ruolo dello Stato In quasi tutti i paesi la grande crisi favorì l’adozione di nuove forme di intervento dello Stato: dalle tradizionali misure di sostegno alle attività produttive all’adozione di più radicali misure di controllo. Il primo e più importante tentativo di sistemazione delle teorie del liberismo giunse nel 1936 con la “Teoria generale dell’occupazione, interesse e moneta” di John M. Keynes, il quale a seguito della crisi del ’29, ritenne che i meccanismi spontanei del capitalismo non fossero in grado di garantire la perfetta allocazione delle risorse. Dunque, secondo la teoria keynesiana lo Stato doveva aumentare la spesa pubblica, anche a costo di aumentare il proprio deficit, per garantire l’uscita da periodi di crisi. Fu quello che spinse il New Deal. 13.7. Nuovi consumi e comunicazioni di massa Negli anni ’30 si registrò un’accelerazione del processo di urbanizzazione, che comportò un boom edilizio e, grazie alle abitazioni dotate di servizi, vi fu un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione urbana del ceto medio. Aumentò anche la produzione europea di automobili, che rimasero in Europa, rispetto agli Stati Uniti, come gli elettrodomestici, beni di lusso. Grande diffusione ebbe la comunicazione di massa attraverso lo sviluppo della radio, che divenne un grande mezzo di svago. Gli stessi anni videro l’affermazione del cinema, che negli anni ’20 divenne sonoro, e costituì un formidabile modo per trasmettere messaggi e visioni del mondo ad una massa sempre più numerosa, anche per scopi politici. 13.8. La scienza e la guerra Alcune scoperte degli anni ’20 e ’30 segnarono la storia del ‘900. Infatti, grazie ad un pool guidato dall’italiano Enrico Fermi vi fu la scoperta che dalla scissione artificiale di un atomo radioattivo si riusciva a liberare un grande quantità di energia. Ciò portò alla creazione del primo reattore nucleare, che avrebbe poi costituito la base della bomba atomica. Vi furono, inoltre, grandi sviluppi nell’aeronautica civile e militare, dato che un aereo riuscì a raggiungere le velocità di 800 chilometri orari. Significativo fu il volo di Lindbergh da Parigi a New York, ma anche lo sviluppo degli aerei caccia, che furono utilizzati in guerra visto l’aumento della loro velocità e capienza nel trasporto. 13.9. La cultura della crisi Per la cultura europea degli anni ’20 e ’30 furono anni di crisi e di mutamenti profondi. Vi fu la tendenza alla rottura di forme canoniche e la ricerca esasperata di diversi moduli espressivi. In ambito artistico nacquero le avanguardie, come il surrealismo, e furono pubblicati alcuni dei capolavori narrativi accomunati dalla rappresentazione dei problemi e delle angosce dell’uomo, esprimendoli in modi molti diversi. Gli intellettuali cominciarono ad essere coinvolti nelle contrapposizioni ideologiche fra comunismo e fascismo, ed esempi di intellettuali di destra furono Gentile, Heidegger, Carl Schmitt ed Ezra Pound. Dopo l’affermazione dei regimi totalitari, molti intellettuali russi e tedeschi furono costretti alla fuga dei cervelli, per rifugiarsi all’estero e soprattutto negli Stati Uniti. 14. L’Europa degli anni ’30: totalitarismi e democrazie 14.1. L’eclissi della democrazia Negli anni ’30 del ‘900, in coincidenza col dilagare della crisi economica, la democrazia visse la sua stagione più buia. In ampi strati dell’opinione pubblica si era diffusa la convinzione che i sistemi democratici fossero troppo deboli per tutelare gli interessi nazionali e il benessere dei cittadini, allora l’unica soluzione alternativa era rappresentata dal comunismo sovietico e dai regimi autoritari di destra. Furono quest’ultimi a conoscere negli anni ’30 maggior fortuna. Il fascismo, sul piano politico, significava un accentramento del potere nelle mani di un capo, strutturazione gerarchica dello Stato, inquadramento della popolazione nelle organizzazioni di massa, rigido controllo sull’informazione e sulla cultura. Sul piano economico intendeva fornire una terza via tra capitalismo e 36 comunismo, ma consistette nella soppressione della dialettica sindacale e in un complessivo rafforzamento dell’intervento statale in economia. Il fascismo fu attraente per gli strati sociali intermedi, perché videro soddisfatte le volontà di appartenenza ad una comunità, di riconoscersi in un capo, oppure le convinzioni di appartenere a una gerarchia basata sul merito e sulla colpevolizzazione di un nemico a cui attribuire ogni problema. Il fascismo rappresentava una protezione contro l’anonimato prodotto dalla massificazione della società, anche se dalla società di massa seppe sfruttare a pieno i mezzi di propaganda, i canali di informazione e di istruzione, e le strutture associative. Quei sistemi, comunisti o fascisti, in cui regnava la pretesa di dominare in modo totale sulla società e di condizionarne i comportamenti, vennero definiti totalitari. 14.2. Totalitarismo e politiche razziali Un elemento caratterizzante dei regimi totalitari fu la tendenza a risolvere i problemi col ricorso sistematico alla forza, con la deportazione e lo sterminio di intere popolazioni. Questo fu un risultato dell’applicazione del principio di nazionalismo, che portò a problemi di convivenza fra gruppi etnici, spesso proprio risolti con il trasferimento forzato, le persecuzioni delle minoranze o le stragi di massa. L’atteggiamento diffuso vedeva nella comunità nazionale, non l’insieme di individui, ma un’entità collettiva che doveva essere difesa della sua integrità. In questo quadro si spiega l’eugenetica, teoria che sosteneva il perfezionamento della specie umana attraverso selezioni e incroci volti a far prevalere i caratteri positivi. Da ciò ne conseguirono la proibizione dei matrimoni con soggetti portatori di malattie, che venivano sterilizzati e condotti a interventi invasivi. Nella Germania nazista queste pratiche furono molto diffuse, perché inquadravano nella purezza della razza il progetto di una società dominatrice. Anche nell’Unione Sovietica Stalin portò avanti deportazioni contro i kulaki, classe ritenuta infida politicamente. 14.3. L’ascesa del nazismo Dopo il colpo di Stato tentato da Hitler a Monaco, il Partito nazionalsocialista o nazista fondava la sua forza solo su un’organizzazione minoritaria armata, le SA, allora, egli decise di dar un volto più rispettabile al suo partito. Sull’esempio di Mussolini, Hitler rinnegò le sue precedenti visioni anticapitalistiche per ottenere i favori della grande industria, ma del suo vecchio programma politico non intendeva dimenticare la denuncia del trattato di Versailles, la volontà di riunire i tedeschi nella grande Germania, l’adozione di misure discriminatorie contro gli ebrei e la fine del parlamentarismo. Questi progetti li aveva esposti all’interno del Mein Kampf scritto nei mesi del carcere, in cui al centro regnava la visione utopica nazionalista e razzista. Hitler, infatti, credeva nell’esistenza di una razza superiore e conquistatrice, quella ariana, i cui caratteri erano conservati nella purezza dei popoli nordici e in particolare nella razza tedesca. I tedeschi dovevano dominare su tutta l’Europa e il mondo, e per realizzare questo progetto era necessario prima fra tutti eliminare gli ebrei responsabili dei misfatti del bolscevismo, simbolo evidente della decadenza europea. Una volta riunitisi nel nuovo Stato, i tedeschi dovevano rifiutare Versailles e recuperare i territori perduti per poi espandersi anche a est alla ricerca dello spazio vitale. Nelle elezioni del 1928 i nazisti ottennero solo il 2,5%, ma lo scoppio della grande crisi economica produsse nei tedeschi un forte clima di sfiducia nei confronti della Repubblica e dei partiti. I nazisti poterono sfruttare la situazione e ottenere l’appoggio della grande borghesia, dei ceti medi frustrati e dei disoccupati. Quello che offriva Hitler era anche la prospettiva della riconquista del primato nazionale tedesco e l’indicazione dei capri espiatori a cui addossare la responsabilità delle disgrazie del paese. L’agonia della Repubblica di Weimar cominciò nel settembre 1930, quando furono convocate le nuove elezioni che videro l’esponenziale aumento dei consensi ai nazisti con il 18,3%. Ma al governo rimase Brüning appoggiato dal presidente Hindenburg, ma questo riuscì a tenere il potere per soli due anni, in cui vi furono due crisi di governo e tre consultazioni. La prima consultazione nel marzo 1932 era quella presidenziale e vedeva lo scontro tra Hitler e Hindenburg, e quest’ultimo ebbe la meglio perché appoggiato dai democratici. Dopo due governi fallimentari di destra conservatrice, nelle due successive elezioni politiche i nazisti si affermarono come miglior partito, e il presidente Hindenburg fu costretto a incaricare Hitler a formare il governo il 30 gennaio 1933, che però vide solo tre dicasteri nazisti. 14.4. La costruzione del regime A Hitler bastarono pochi mesi per imporre un regime totalitario. A seguito dell’incendio appiccato alla sede del Reichstag da parte di un comunista olandese, cominciò un’imponente operazione di polizia contro i comunisti, e una politica di limitazione e annullamento della libertà di stampa e di riunione. Nelle elezioni di 37 marzo i nazisti riuscirono ad ottenere una maggioranza sempre più corposa, ma Hitler non aveva quest’obiettivo nel mirino, ma l’intera abolizione del Parlamento. Infatti, riuscì con una legge a dotare il governo di pieni poteri, compresa la modifica della Costituzione, infatti, nel giugno del ’33 furono sciolti la Spd, il Partito tedesco-nazionale e il Centro cattolico. Nel luglio il Partito nazionalsocialista era l’unico partito legale in Germania. Assicuratosi il controllo istituzionale della Germania, ad Hitler non restava che far fronte a due problematiche: le SA di Röhm, ala estremista del suo partito, e il presidente Hindenburg e gli ufficiali capi della destra. Grazie alla formazione delle milizie personali SS, Hitler nella “notte dei lunghi coltelli” il 30 giugno 1934 riuscì ad assassinare Röhm e lo stato maggiore delle SA. Alla morte del maresciallo Hindenburg nell’agosto del ’34, Hitler emanò una legge con la quale ricopriva la persona del cancelliere e del capo dello Stato, ottenendo così il giuramento di fedeltà degli ufficiali fedeli al vecchio presidente. 14.5. Politica e ideologia del Terzo Reich Con l’assunzione della presidenza da parte di Hitler ha inizio il Terzo Reich. Il Fürer non era soltanto colui al quale spettavano le decisioni più importanti, ma era la fonte del diritto, e non rappresentava la sola guida del popolo, ma ne esprimeva le aspirazioni. Il rapporto tra capo e popolo avveniva attraverso la mediazione del partito e delle organizzazioni ad esso collegato, il quale compito era quello di trasformare l’insieme dei cittadini in una comunità di popolo compatta e disciplinata. Da questo venivano esclusi gli elementi antinazionali, quindi gli stranieri e soprattutto gli ebrei, capri espiatori del malcontento popolare. Gli ebrei allora in Germania erano una ristretta minoranza, circa 500mila su un totale di 60 milioni, la cui discriminazione fu ufficialmente sancita nel settembre del 1935 con le leggi di Norimberga. Queste agli ebrei tolsero la cittadinanza e i diritti politici, proibirono i matrimoni con i tedeschi, impedirono la gestione delle attività industriali e commerciali, di esercitare professioni e di ricoprire cariche statali. Queste leggi spinsero 200mila ebrei ad emigrare dalla Germania fra il ’33 e il ’39. La persecuzione antisemita si fece violenta con il pogrom organizzato, in rivalsa dell’omicidio di un ambasciatore per mano ebrea, fra il 9 e il 10 novembre del ’38, nella notte dei cristalli, quando furono distrutte vetrine di negozi, sinagoghe, abitazioni, e decine di ebrei uccisi e migliaia arrestati. Per gli ebrei la vita cominciò ad essere insostenibile quando Hitler decise durante la guerra di fornire la soluzione finale al problema con la deportazione e lo sterminio in massa. La difesa della razza comportò anche l’uccisione e la sterilizzazione forzata degli incurabili e malati di mente, nell’esecuzione del progetto dell’eutanasia razziale. La macchina nazista poté funzionare senza incontrare opposizioni, infatti, i socialdemocratici furono annientati dalla polizia segreta la Gestapo e dalle SS con repressione e internamenti. I nazisti non ottennero opposizioni dai cattolici di Centro che si adeguarono alla Chiesa di Roma, la quale stipulò un concordato con il regime che prevedeva il riconoscimento di libertà di culto in cambio della non interferenza del clero negli affari statali. Un altro fattore di consenso per Hitler furono i successi in politica estera, ma soprattutto in politica economica, con la drastica riduzione della disoccupazione che passò da 6 milioni alla piena occupazione nel ’39, grazie ai lavori pubblici e alla politica del riarmo che rafforzò l’industria. Il successo del consenso si ebbe anche attraverso l’uso della stampa, i discorsi del Fürer e i film di propaganda. I nazisti furono il primo governo ad istituire il ministero della Propaganda con a capo Joseph Goebbels, uno dei principali centri di potere del regime, che inglobò la stampa sotto il suo controllo. Oltre ai mezzi di comunicazione di massa, i momenti di adesione delle masse furono sanciti dalle feste e cerimonie pubbliche che risaltavano i movimenti più significativi del Reich e si concludevano con il discorso di Hitler. 14.6. L’Urss e l’industrializzazione forzata Negli anni della grande depressione, mentre gli Stati capitalistici si dibattevano nelle spire della grande crisi, l’Urss non era affatto toccata perché isolata economicamente, e anzi tendeva a dar avvio ad uno sforzo industriale. L’industrializzazione era un obiettivo che secondo Stalin poteva permettere all’Unione di poter diventare una forte potenza militare a livello mondiale. Dopo aver sospeso la Nep e fattosi fuori degli oppositori ex alleati, come Bucharin a favore dell’alleanza contadini-operai, Stalin per procedere alla collettivizzazione dell’intera economia doveva superare l’ostacolo dei kulaki. Le loro terre e allevamenti furono collettivizzati, mentre questi contadini venivano aspramente repressi, politica che portò milioni di vittime contadine, anche a causa dell’impoverimento della campagna tra il ’32-’33. 40 15. Il regime fascista in Italia 15.1. Lo Stato fascista Nel regime fascista l’organizzazione dello Stato e quella del partito venivano a sovrapporsi, ma fu la prima a prevalere, contrariamente ai regimi totalitari, perché Mussolini decise di controllare i consensi attraverso l’utilizzo degli organi statali come i prefetti e la Polizia di Stato. La funzione del Pnf, invece, fu principalmente quella di occupare la società attraverso le sue organizzazioni collaterali come l’Opera nazionale dopolavoro, che si occupava del tempo libero dei lavoratori, e soprattutto con le numerose organizzazioni giovanili. L’Opera nazionale Balilla inquadrava i ragazzi tra gli otto e i diciotto anni in figli della lupa, balilla e avanguardisti, mentre le ragazze in figlie della lupa, piccole italiane e giovani italiane, allo scopo di fornire un supplemento di educazione fisica e istruzione premilitare. Il fascismo cercava di occupare la società riplasmandola dalle fondamenta fascistizzandola, era infatti obbligatoria l’iscrizione al partito per chi intendesse partecipare alle cariche pubbliche. In un paese al 99% cattolico non era facile governare contro la Chiesa, allora Mussolini cercò un’intesa con il Vaticano. Le trattative fra governo e Santa Sede si conclusero l’11 febbraio 1929 con la stipula dei Patti lateranensi che si articolavano in tre parti distinte: un trattato internazionale in cui la Chiesa riconosceva lo Stato italiano e la sua capitale, in cambio della riconosciuta esistenza dello Stato della Città del Vaticano; una convenzione finanziaria con la quale lo Stato doveva versare una forte somma; e un concordato che regolava i rapporti interni tra Chiesa e Regno e che prevedevano il riconoscimento del matrimonio religioso come civile, l’insegnamento della dottrina cattolica, e un regime sui preti. Per i fascisti i Patti lateranensi costituirono una buona strategia politica che consentì l’aumento dei consensi anche da parte della popolazione prima ostile. Infatti, con le elezioni plebiscitarie del 1929 con il metodo della lista unica vi fu un’affluenza del 90%. Anche il Vaticano seppe ottenere importanti conquiste, assicurandosi un margine di autonomia nel settore delle organizzazioni giovanili per educare i giovani ai valori cattolici. La Chiesa non costituì l’unico ostacolo per le aspirazioni totalitarie del fascismo, perché anche la stessa monarchia lo fu. Il re era sempre l’autorità più alta dello Stato, e secondo lo Statuto aveva il comando sulle forze armate, il potere di nomina dei senatori e di revoca del capo del governo. 15.2. Un totalitarismo imperfetto Se osserviamo l’Italia del ventennio fascista è evidente l’emergere di un’immagine di un paese fascistizzato: dai ritratti di Mussolini all’uso del simbolo del fascio littorio, dalle adunanze fasciste ai discorsi del Duce in radio. I dati esprimono che l’Italia si sviluppò a livello economico durante il periodo fascista, in linea con gli altri paesi europei, anche se in maniera rallentata. Quello che crebbe fu la popolazione che da 38 milioni passò a 44 milioni nel 1939, l’urbanizzazione con l’aumento dei residenti nelle città, l’aumento degli occupati nelle industrie e nel settore terziario contro la diminuzione nel settore agricolo. L’Italia era un paese ancora arretrato rispetto alle maggiori potenze europee e ciò si vedeva nei redditi medi pro capite molto inferiori. Il fascismo d'altronde predicò il ritorno alla campagna ed esaltò il ruolo della famiglia e del matrimonio. Il fascismo, infatti, intendeva trarre vantaggio dall’aumento demografico e infatti tra le politiche adottate vi erano aumenti negli assegni familiari, facilitazioni all’assunzione dei padri di famiglia, premi per le coppie più prolifiche e una tassa sui celibi. Il fascismo non era però solo conservatore, ma era proiettato verso il futuro attraverso la creazione dell’uomo nuovo pronto a combattere per la grandezza nazionale. Quest’utopia fu però ostacolata dal ritardo economico e culturale del paese e dal calo dei salari nel settore industriale. I maggiori consensi non avvennero da parte della classe operaia, ma dal ceto medio e borghesia agevolati dalle scelte economiche del governo e sensibili ai valori fascisti. 15.3. Scuola, cultura, informazione Il fascismo dedicò un’attenzione particolare alla scuola, già ristrutturata dalla riforma Gentile nel ’23, assunse maggiore severità degli studi e il primato delle materie umanistiche per la formazione della classe dirigente. Si fornì anche il controllo dei libri scolastici e dei testi unici per le elementari. L’università godette di più autonomia, ma a tutti i docenti fu imposto l’obbligo di fedeltà al regime, e alcuni antifascisti non prestarono giuramento. Il fascismo nel mondo intellettuale vide l’allineamento di nomi illustri quali Gentile, Pirandello, Marconi e Mascagni. 41 Il controllo più stretto era effettuato sui mezzi di informazione e comunicazione di massa. La stampa veniva edificata con precise direttive sugli articoli e il suo controllo venne affidato al ministero della Cultura popolare, che spesso vedeva l’intervento personale di Mussolini. Oltre al regime della stampa, il controllo era effettuato sulle trasmissioni radiofoniche dell’Eiar, che in seguito divenne anche un utile mezzo di propaganda. Il cinema fu anche promosso dal fascismo e il suo controllo si limitava alla censura del politicamente antifascista. Quello che fu reso obbligatorio era la riproduzione prima delle proiezioni del cinegiornale dell’Istituto Luce, che esplicava i successi del Duce. 15.4. La politica economica e il mondo del lavoro Nel campo economico fascista regnava la formula del corporativismo. Si tratta di una gestione diretta dell’economia da parte delle corporazioni distinte per settore e per attività comprendenti sia gli imprenditori che i lavoratori dipendenti. Questo tipo di economia sarebbe dovuto rappresentare una terza via tra capitalismo e socialismo, e inoltre doveva risolvere il problema della rappresentanza individualistica. In realtà questo sistema non ebbe mai una corretta applicazione, dato che nel ’34 quando fu introdotto, si venne a creare una burocrazia parallela a quella già esistente. Non inventando un nuovo sistema il fascismo seppe comunque realizzare importanti interventi nell’economia. La linea liberista protratta sino al ’25 condusse ad un incremento produttivo, ma ad un crescente deficit della bilancia commerciale, inflazione e deterioramento della lira. Da allora venne introdotto il protezionismo basato sulla deflazione, sulla stabilizzazione monetaria e sull’intervento statale nell’economia. La prima formula introdotta fu l’aumento del dazio sui cereali con annessa battaglia del grano. L’obiettivo era quello di raggiungere l’autosufficienza nella produzione dei cereali mediante l’aumento della superficie coltivata e l’utilizzo delle tecniche più avanzate. Il grano prodotto aumentò del 50%, anche se questa concentrazione portò ad un indebolimento dell’allevamento e delle colture soggette a esportazione. La seconda battaglia fu quella della rivalutazione della lira. Nel ’26 il Duce annunciò di voler portare la moneta a quota novanta rispetto ad una sterlina. L’obiettivo fu raggiunto visto che i prezzi diminuirono e la lira aumentò il potere di acquisto, anche se i lavoratori videro calare i propri salari. Ne poterono giovare il settore industriale che videro una diminuzione dei costi salariali e un aumento delle commesse. L’economia italiana ebbe conseguenze meno drammatiche rispetto alla crisi del ’29, anche se si registrò il calo delle esportazioni e l’aumento dei disoccupati. Le misure adottate dal regime per risanare la situazione furono: lo sviluppo dei pubblici lavori per rilanciare la produzione e l’intervento diretto dello Stato. Furono realizzati nuove strade e nuovi edifici, fu risanato il centro storico di Roma e avviata una grande opera di bonifica delle terre incolte con un aumento della superficie coltivabile di 60 mila ettari. Furono costruiti villaggi rurali e fatte nascere dal nulla città come Sabaudia e Latina. Fu comunque l’industria e il credito a giovarne dell’intervento dello Stato, il quale creò particolari istituti di credito utili a sostenere le industrie al posto delle banche che stavano vivendo delle difficoltà. Per esempio, l’Iri, istituto per la ricostruzione industriale, rilevò la partecipazione industriale delle banche, assumendo il controllo di importanti industrie italiane come l’Ansaldo, l’Ilva e la Terni. Lo Stato italiano si trovò a controllare una quota altissima dell’apparato industriale e diventò uno Stato imprenditore e banchiere. A seguito delle sanzioni di guerra abissine, Mussolini incrementò la politica autarchica dell’economia, ma l’autosufficienza risultò complicata e rimase un traguardo difficile, e per questo la produzione industriale crebbe molto lentamente. 15.5. La politica estera e l’impero L’Italia mussoliniana, nonostante le delusioni subite a Versailles, era pur sempre una potenza vincitrice, ma le aspirazioni imperialistiche del fascismo portarono Mussolini a promuovere la conquista dell’Etiopia, in rivalsa della sconfitta di Adua nel 1896. L’Italia diede avvio all’invasione nell’ottobre del 1935, ma ciò destò le lamentele di Francia e Gran Bretagna che non potevano permettere che l’Etiopia, membro della SdN, scomparisse dalle cartine geografiche. Questi adottarono sanzioni economiche e blocchi commerciali sui materiali bellici, ma ciò non fece che alimentare la propaganda e il consenso dell’opinione pubblica. L’immagine era quella dell’Italia proletaria di queste nazioni plutocratiche padrone di sterminati imperi, che non impedivano la conquista di un posto al sole a Mussolini. L’impresa militare si rilevò più difficile del previsto, infatti durò sette mesi, ma culminò il 5 maggio 1936 con la vittoria di Pietro Badoglio su Addis Abeba, e quattro giorni dopo il Duce proclamò la ricostituzione 42 dell’Impero con Vittorio Emanuele III imperatore di Etiopia. A livello economico la conquista non si rivelò un successo, ma sul piano politico portò all’avvicinamento tra Italia e Germania. Nell’ottobre del ’36 fu firmato tra queste il patto di amicizia chiamato Asse Roma-Berlino, ma che però non rappresentava un’alleanza militare. Vista la collaborazione in Spagna, siglarono anche con il Giappone il Patto anti- Comintern nell’autunno del ’37, che si proponeva di creare un vero impegno contro il comunismo internazionale. Il dinamismo tedesco portò poi nel maggio del ’39 alla sottoscrizione del Patto di acciaio, che legava militarmente l’Italia alla Germania. 15.6. La stretta totalitaria e le leggi razziali Il consenso ottenuto dal regime cominciò a incrinarsi dopo l’impresa abissina. L’avvicinamento con la Germania suscitò timori e dissensi nella popolazione, ma Mussolini intendeva avviare per l’Italia altre imprese militari e quindi necessitava di un popolo duro e combattivo. Per avvicinarsi a questo obiettivo cominciò la tendenza totalitaria del fascismo con la diffusione di atteggiamenti militari e l’abolizione della Camera dei deputati. Nell’autunno del 1938 furono, inoltre, varate le leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, come quelle naziste, che li escludevano questi dagli uffici pubblici, dai lavori professionali e fu vietato loro il matrimonio misto. Gli ebrei in Italia costituivano una netta minoranza (solo 50mila) e queste leggi destarono perplessità della Chiesa. Soltanto i giovani, indottrinati dalle organizzazioni giovanili, credevano nel disegno fascista, ma ciò venne meno nel corso della guerra. 15.7. L’antifascismo italiano In Italia la maggioranza degli antifascisti rimase in una posizione di silenziosa opposizione, perché impauriti dall’esilio, dal confino o dalla condanna a morte. I comunisti, invece, si impegnarono con scarsi risultati nell’agitazione clandestina in patria, come anche il gruppo di Giustizia e Libertà di indirizzo liberal-socialista. Gli altri antifascisti quali socialisti, repubblicani, democratici in esilio all’estero si federarono nel ’27 nella Concentrazione antifascista, e svolsero un ruolo di programmazione politica che servì come piattaforma della futura Italia democratica. 16. Il declino degli imperi coloniali 16.1. La crisi dell’egemonia europea La Grande Guerra influì in modo determinante sullo sviluppo dei movimenti indipendentisti in Asia e in Africa: Gran Bretagna e Francia avevano infatti ampiamente utilizzato uomini e mezzi delle loro colonie, facendo scaturire nei popoli colonizzati la consapevolezza di nuovi diritti e la nascita di movimenti nazionalisti. Determinanti furono gli echi della rivoluzione russa, antimperialista, e la diffusione dell’ideologia wilsoniana, in particolare sul principio di autodeterminazione dei popoli. Anche per questo gli Stati Uniti spinsero le potenze vincitrici a ottenere le colonie tedesche e turche sotto forma di mandato della SdN. 16.2. Rivoluzione e modernizzazione in Turchia Il collasso dell’Impero ottomano suscitò in Turchia un movimento di riscossa nazionale promosso dalle forze armate e guidato da Mustafà Kemal, che aveva il compito di liberare la Turchia dagli stranieri. Fra il ’21 e il ’22, l’esercito turco sconfisse ripetutamente i greci e li costrinse a evacuare da Smirne, così riuscì ad estendere la sua sovranità su tutta l’Anatolia e a ottenere la Tracia orientale per il controllo degli Stretti. Contemporaneamente, si avviava la trasformazione della Turchia in uno Stato nazionale laico. Nel novembre del ’22 fu abolito il sultanato e un anno dopo fu proclamata la repubblica. Nel ’24 fu approvata una Costituzione e fu nominato come presidente Mustafà Kemal, chiamato Ataturk, padre dei turchi, che nonostante i poteri semidittatoriali si impegnò nella politica di occidentalizzazione e di laicizzazione dello Stato. Fu apportato un grande cambiamento alla società che divenne sempre più simile a quelle europee. 16.3. Nazionalismo arabo e sionismo Il Medio Oriente, abitato quasi per intero dalle popolazioni arabe di religione musulmana, prima della Grande Guerra era sotto il dominio dell’Impero ottomano, ma gli impegni creati dall’Intesa per la spartizione dei territori determinarono una situazione intrigata. (Per prima cosa non fu creato a guerra finita il Kurdistan indipendente dalla Turchia). Nel 1915 i britannici si accordarono con l’emiro della Mecca Hussein Ibn Ali della dinastia hashemita per ottenere collaborazione di guerra con i popoli arabi contro l’Impero ottomano, in cambio della creazione di un grande regno arabo indipendente comprendente l’Arabia, la Mesopotamia e la Siria. Le truppe beduine furono supportate dall’esercito britannico con l’aiuto di Lawrence d’Arabia. 45 nazionalismo e sul forte sostegno pubblico della produzione, ma anche sulla concessione di riforme sociali ai lavoratori. Questo tipo di regime, chiamato populismo, fu da modello per le politiche latino-americane come per Peron in Argentina, che però lo espresse in una forma più demagogica e radicale, il peronismo, durante e dopo la seconda guerra mondiale. 17. La seconda guerra mondiale 17.1. Le origini e lo scoppio della guerra Mentre nel marzo del 1939 Hitler dava vita al protettorato di Boemia e Moravia, annettendoli al Reich, la Gran Bretagna e la Francia illuse nella conferenza di Monaco, cominciarono una diplomazia offensiva volta a contenere l’aggressività dell’Asse. Gli anglo-francesi con i paesi minacciati militarmente dalla Germania strinsero alleanze difensive, e in particolar modo con la Polonia, dato che il Fuhrer intendeva ottenere Danzica e il corridoio che collegava la città alla Polonia. Intanto, Mussolini contrappose alle iniziative di Hitler l’occupazione del Regno di Albania nel marzo 1939, e a seguito delle pressanti richieste tedesche, l’Asse Roma-Berlino si trasformò in un vero e proprio patto militare, il patto d’acciaio, che impegnava una delle due parti a entrare in guerra a fianco dell’altra se questa avesse aggredito o fosse stata attaccata da un altro paese. La principale incognita fu però l’Urss, che non arrivò ad un compromesso con le forze franco-britanniche per reciproche diffidenze e per il diniego di consentire all’Armata rossa di varcare il territorio della Polonia. Il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri Molotov, sovietico, e Ribbentrop, tedesco, firmarono a Mosca un patto di non aggressione tra i due paesi. L’annuncio dell’accordo fu un vero e proprio colpo di scena diplomatico, perché due regimi diametralmente opposti rinunciavano a farsi la guerra, perché acciecati dalle ricompense territoriali dell’allegato protocollo segreto che stabiliva la spartizione della Polonia, e un riconoscimento delle aspirazioni sovietiche sugli Stati baltici e sulla Romania. Il 1° settembre 1939, le truppe tedesche attaccarono la Polonia. Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania, mentre l’Italia il giorno stesso dichiarò la non belligeranza vista l’inferiorità militare. Cominciava così la seconda guerra mondiale, che rispetto al primo conflitto mondiale vedeva uno scontro ideologico, la mobilitazione dei cittadini anche senza uniforme, nuove tecniche di guerra e armi, e disastrose conseguenze per la popolazione civile. 17.2. L’attacco alla Polonia Le prime settimane di guerra furono sufficienti alla Germania per sbarazzarsi della Polonia, attraverso una serie di micidiali bombardamenti e l’impiego dei carrarmati, che consentirono una possibile guerra di movimento. Fu esattamente quanto accadde nella campagna di Polonia, intanto, l’Urss si impadroniva delle Repubbliche Baltiche secondo il protocollo segreto del patto Molotov-Ribbentrop. All’inizio di ottobre la Repubblica polacca cessava di esistere, perché spartita a oriente con i sovietici, dato che nonostante l’alleanza militare gli alleati occidentali non fornirono un aiuto concreto rimanendo sulla difensiva. Mentre sul fronte occidentale tutto taceva, nell’Europa del Nord vi fu l’intervento dell’Urss contro la Finlandia che non aveva rispettato le rettifiche confinarie. Nel marzo 1940 la Finlandia dovette cedere la resistenza accettando le richieste sovietiche, ma conservando la sua indipendenza. La Germania colse tutti di sorpresa quando nell’aprile del ’40 conquistò la Danimarca, che si arrese subito, e la Norvegia, che dopo una buona resistenza non seppe sconfiggere i nazisti. Hitler controllava nella primavera del ’40 buona parte dell’Europa centro-settentrionale. 46 17.3. La disfatta della Francia e la resistenza della Gran Bretagna L’attacco tedesco alla Francia ebbe inizio il 10 maggio 1940. L’esercito francese nonostante disponesse di una forte aviazione e di forze corazzate, subì la sconfitta a causa degli errori ai comandi, perché ancora fiduciosi dell’impenetrabilità della linea Maginot. Questa, tuttavia, lasciava scoperto il confine belga, allora, ancora una volta i tedeschi cominciarono da lì la loro avanzata conquistando Belgio, Olanda e Lussemburgo, e sfondando a Sedan chiusero in una sacca i francesi, i belgi e i britannici. Questo comportò la ritirata delle forze britanniche a Dunkerque, e il 14 giugno i tedeschi entravano a Parigi. Assieme alle forze armate cadeva il governo e il posto dell’uscente lo prese il maresciallo Pétain, che dovette aprire le trattative per l’armistizio. Invano fu il sostegno morale a resistere di Charles De Gaulle da Londra. Il 22 giugno 1940 fu firmato l’armistizio, in base al quale il governo francese limitava la sua sovranità nella parte centro-meridionale del paese e le colonie, mentre le aree di Parigi finivano ai nazisti. Si pose anche fine alla Terza Repubblica, che fu sostituita dal regime di Vichy, che si ridusse al rango di Stato- satellite di Hitler e che pose fine ai rapporti con la Gran Bretagna, che per evitare che la flotta francese finisse in mano ai tedeschi la distrusse in Algeria. Dal giugno 1940 la Gran Bretagna era rimasta sola a combattere contro la Germania, ma le speranze di Hitler di porre fine alla guerra in cambio del riconoscimento delle conquiste con una pace, furono sventate dalla linea di resistenza totale del primo ministro conservatore Winston Churchill. Allora, Hitler all’inizio di luglio diede avvio all’operazione Leone marino per l’invasione della Gran Bretagna. Per la riuscita del piano era necessario che la Germania dominasse a livello aereo, infatti, la Luftwaffe mise in mostra le abilità distruttive dei mezzi aerei e dei bombardamenti alle città, tuttavia la Raf dimostrò la sua forte abilità difensiva. La Gran Bretagna non era stata piegata dall’operazione Leone marino, anzi si rivelò un grande successo a livello psicologico, dato che si segnò il primo fallimento di Hitler. 17.4. L’Italia e la “guerra parallela” Nell’estate del 1939, l’Italia colta di sorpresa si trovò a dichiarare la non belligeranza, ma di fronte al crollo della Francia nel ’40, Mussolini pensò che l’esito del conflitto fosse ormai segnato e il 10 giugno 1940 da Palazzo Venezia, il Duce annunciò alla folla che l’Italia aveva dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. L’offensiva sulle Alpi contro la Francia vide la netta superiorità numerica delle forze italiane, ma si rivelò inefficiente, dato che l’armistizio firmato subito previde una semplice rettifica di confine. Anche in Libia si tentò di attaccare l’Egitto, ma fu subito ritirata l’offensiva per l’insufficienza bellica. Nell’ottobre del ’40 l’esercito italiano dall’Albania si mosse contro la Grecia, ma l’offensiva si scontrò con una resistenza molto dura, che costrinse gli italiani a ripiegare. Nel ’40 i britannici passarono al contrattacco in Libia e riuscirono a conquistare la Cirenaica. Si determinò un senso di sfiducia nell’opinione pubblica italiana per le sorti della guerra, allora Mussolini si trovò costretto ad accettare l’aiuto tedesco, che portò alla riconquista dei territori persi in Libia grazie al generale Rommel. Il corno d’Africa, invece, nel 1941 cadde nelle mani della Gran Bretagna e l’Etiopia fu riconquistata dal negus. Nei Balcani, invece, l’aiuto di Hitler permise di poter placare i britannici e di poter occupare la Grecia e la 47 Jugoslavia. L’Italia poté annettere al Regno parte della Slovenia, della Croazia, la Dalmazia, del Montenegro e del territorio ellenico. Hitler non aveva più rivali in Europa, allora, non rimaneva che andare alla ricerca del suo spazio vitale a Est ai danni dell’Urss. 17.5. 1941: l’entrata in guerra di Urss e Stati Uniti Il 22 giugno 1941 si avviò l’offensiva tedesca dell’operazione Barbarossa che predispose l’attacco contro l’Urss inaspettato da Stalin. I sovietici furono colti impreparati e in due settimane le armate del Reich, aiutate dal corpo italiano, penetrarono nel territorio sovietico sino ad arrivare nei pressi di Mosca, soltanto però lì a una decina di chilometri furono bloccati dalla resistenza. Hitler era però riuscito ad avanzare ed a estendere il suo controllo sull’Ucraina, la Bielorussia e le regioni baltiche, ma il terribile inverno fece fermare le truppe tedesche e vi fu in dicembre il contrattacco sempre più accanito e numeroso da parte di Stalin. Allo scoppio del conflitto, gli Stati Uniti avevano scelto una linea di non intervento, ma nel novembre 1940 Roosevelt si impegnò in una politica di sostegno economico nei confronti della Gran Bretagna, sola a combattere la Germania, attraverso la legge degli affitti e prestiti, che consentiva l’erogazione di materiale bellico a condizioni più vantaggiose. Gli Stati Uniti divennero l’arsenale delle democrazie e a suggello di questo il 14 agosto del 1941 Roosevelt e Churchill firmarono la Carta atlantica, con la quale si stabiliva la condanna dei regimi fascisti e una linea di un nuovo ordine democratico da costruire a guerra finita. A trascinare gli Stati Uniti in guerra, fu però l’aggressione del Giappone. Infatti, i nipponici, che avevano stipulato un’alleanza militare del tripartito con Germania e Italia nel settembre 1940, erano già in guerra con la Cina ed espandevano le conquiste sui territori del Sud-est asiatico. Quando occuparono l’Indocina, Stati Uniti e Gran Bretagna risposero con il blocco commerciale, allora, il 7 dicembre 1941 l’aviazione giapponese attaccò senza dichiarazione di guerra, la flotta di Pearl Harbour degli Stati Uniti. Il giorno dopo gli Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone e pochi giorni dopo Germania e Italia lo fecero verso gli Usa. Intanto i nipponici riuscirono ad imporre il loro dominio nel Pacifico nelle Filippine, in Malesia, in Birmania e nell’Indonesia. L’Urss e le forze anglo-americane si ritrovarono a fare fronte comune e tra il 41-42 sottoscrissero il patto delle Nazioni Unite, con il quale di impegnavano a far fede alla Carta atlantica, a reprimere i fascismi e a concludere una pace non separata. 50 Infatti, il 12 settembre 1943 i tedeschi liberarono Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso e lo condussero in Germania. Pochi giorni dopo il Duce annunciò la nascita della Repubblica sociale italiana nell’Italia occupata dai nazisti, con sede dei ministeri a Salò. Mussolini e il nuovo Partito fascista repubblicano (Pfr) intendevano vendicare il tradimento subìto da alcuni fascisti moderati, come per esempio il genero Gaelazzo Ciano, che fu fucilato. Tuttavia, il nuovo regime non riusciva a fare presa sugli italiani, dato che era evidente l’influenza tedesca. Il governo di Salò e i tedeschi dovettero far fronte al movimento della Resistenza, che era costituito da formazioni popolari armate che provenivano dalle campagne e dalle zone montane. I partigiani, il nome con cui veniva indicata la Resistenza, agivano lontano dai centri abitati con attacchi improvvisi e sabotaggi. I nazisti rispondevano con rappresaglie, come quella delle Fosse Ardeatine dove a seguito della morte di 33 militari tedeschi, furono fucilati 335 antifascisti (in rapporto 10 a 1, più 5). Le vicende della Resistenza si collegavano con quelle dei partiti antifascisti riemersi dopo la caduta del fascismo. Infatti, tra il ’42 e il ’43 nascevano: il Partito d’azione (liberale progressista e socialista); la Democrazia Cristiana (che prendeva le redini del Partito popolare cattolico); il Partito Liberale; il Partito Repubblicano; nasceva il Partito socialista di unità proletaria; fu fondato il Partito democratico del lavoro con Ivanoe Bonomi; e i comunisti ritornati dal confino ricostituirono il loro gruppo dirigente. Fra il 9 e 10 settembre del ’43 questi sei partiti si riunirono clandestinamente a Roma sotto la presidenza di Bonomi e costituirono il Comitato di liberazione nazionale (Cln), incitando la popolazione alla lotta e alla resistenza per riconquistare l’Italia dai nazisti, ma anche dallo stesso sovrano e Badoglio, che nell’ottobre del ’43 dichiarò la cobelligeranza con gli Alleati. Il contrasto tra il Cln e il governo del Sud, che nasceva per le richieste di abolizione del sistema monarchico e di abdicazione di re Vittorio Emanuele III, si risolse nel marzo del ’44 grazie alla mediazione del comunista Togliatti, tornato dall’esilio. Egli pose fine all’accanimento verso la monarchia concentrando tutte le forze contro il fascismo. Il 24 aprile si formò un governo di coalizione nazionale presieduto da Badoglio, in cambio dell’abdicazione del re, che trasferì i suoi poteri al figlio Umberto, in attesa che dopo la fine della guerra si fosse indetto un referendum per far decidere al popolo se restare nella monarchia o creare la repubblica. Nel giugno 1944 gli Alleati riuscirono a liberare Roma e Umberto divenne luogotenente del Regno. Badoglio si dimise e lasciò il posto a Bonomi. Dopo la liberazione di Roma riprendeva l’avanzata alleata, mentre le azioni partigiane avevano consentito la liberazione di molte città come Firenze. Nell’autunno del ’44 l’offensiva alleata, appoggiata dalle forze partigiane, si bloccò sulla linea gotica, tra Pesaro e La Spezia. La Resistenza viveva il suo momento più difficile dopo aver firmato il proclama con il quale si sospendevano gli attacchi partigiani, in attesa di una spallata finale nell’anno successivo. 17.12. La fine della guerra e la bomba atomica Nell’autunno del ’44 la Germania poteva già considerarsi sconfitta, dato che il fronte dei suoi alleati era già sfaldato, infatti, i sovietici e i partigiani jugoslavi avevano già liberato Belgrado e i britannici la Grecia. Gli unici fronti aperti erano in Francia e in Italia, mentre il territorio tedesco non era ancora stato toccato, tranne che per i bombardamenti aerei che fecero numerose vittime di civili. Hitler si illuse che aveva ancora in mano la guerra perché poteva rivoluzionare la situazione con le armi segrete o per l’improvvisa rottura dell’alleanza tra le democrazie e i sovietici. Tuttavia, gli alleati erano ben coalizzati e a dimostrazione di questo erano le conferenze in cui si incontrarono per decidere le sorti dell’Europa vinta la guerra. Nella conferenza di Mosca, per esempio, Churchill e Stalin si accordarono per la divisione dei territori per sfere di 51 influenza, mentre nella conferenza di Yalta nel febbraio ’45, i tre grandi alleati decisero che la Germania sarebbe stata divisa in quattro zone e sottoposta alla denazificazione. Intanto, gli anglo-americani avevano ripreso l’offensiva sul fronte occidentale, mentre i sovietici dopo aver attraversato tutta la Polonia, cacciarono i tedeschi dall’Ungheria, dall’Austria e dalla Repubblica ceca. Il 25 aprile le avanguardie alleate congiungevano a Berlino. Sempre lo stesso giorno, in Italia gli alleati e i partigiani sfondarono la linea gotica e i nazisti abbandonarono Milano. Mussolini fu catturato dai partigiani e fucilato assieme all’amante Clara Petacci, il 28 aprile 1945. I loro corpi furono esposti, attaccati a testa in giù, presso Piazzale Loreto a Milano. Il 30 aprile, mentre i sovietici entravano a Berlino, Hitler si suicidò nel bunker sotterraneo. Il 7 maggio fu firmato a Reims l’atto di capitolazione tedesco, concludendosi così la guerra in Europa, mentre rimaneva aperto il fronte sul Pacifico. Nell’estate del ’45, liberi dagli impegni in Europa, gli Usa attaccarono pesantemente il Giappone, che però non dimostrava segni di resa. Allora, il presidente Truman decise di ricorrere alla nuova arma della bomba atomica per mettere fine alla sanguinosa guerra e dimostrare la grande potenza militare americana. Il 6 agosto 1945 a Hiroshima fu sganciata la prima, mente tre giorni dopo anche a Nagasaki. Dopo anche l’entrata in guerra dell’Urss contro il Giappone, l’imperatore Hirohito decise il 15 agosto di accettare la resa senza condizioni. Con la firma dell’armistizio il 2 settembre 1945, si concludeva il secondo conflitto mondiale. 52 18. L’età della guerra fredda 18.1. La nascita dell’Onu La seconda guerra mondiale si concludeva con un bilancio di circa 60 milioni di vittime, di cui due terzi civili. Per rifondare il sistema delle relazioni internazionali ed evitare di dar vita a queste tragedie, vi fu la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) a seguito della conferenza di San Francisco tra aprile e giugno 1945, quando ancora la guerra era in corso. L’obiettivo delle potenze era quello di dar vita ad un’organizzazione a carattere permanente e universale, con lo scopo di sostituire la vecchia Società delle Nazioni e salvare le generazioni future dal flagello della guerra, promuovendo progresso economico e sociale per tutti i popoli. Nella redazione del suo statuto, ispirato alla Carta atlantica, vi fu la commistione dei principi wilsoniani, uguaglianza e democrazia, e rooseveltiani, basati sulla predisposizione di un direttorio delle grandi potenze. Infatti, da una parte fu creata l’Assemblea generale degli Stati membri, che riunisce annualmente tutti i membri, che possono adottare risoluzioni non vincolanti, mentre dall’altra vi è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Questo costituito da 15 membri, di cui cinque permanenti Urss, Usa, Gran Bretagna, Francia e Cina che detengono il diritto di veto, ha lo scopo di disporre decisioni vincolanti per gli Stati membri anche implicanti l’uso della forza per redimere violazioni, aggressioni e minacce della pace. Al fianco di questi organi vi è il Consiglio economico e sociale (Ecosoc), il quale gestisce le agenzie specializzate, quali la Fao, l’Unesco o l’Unicef. Organo di giurisdizione è la Corte Internazionale di Giustizia che ha lo scopo di risolvere le controversie tra gli Stati attraverso sentenze vincolanti. Dopo la guerra le potenze vincitrici decisero di apportare un cambiamento al diritto internazionale includendo nel computo delle condanne i crimini internazionali, quei crimini condotti dai privati al potere contro gli individui. Infatti, furono creati i tribunali militari per crimini internazionali a Norimberga per la condanna dei nazisti, e a Tokio, contro i dirigenti giapponesi. Questi tribunali culminarono tra il ’46 e il ’48 con numerose condanne a morte dei criminali, imponendo la giustizia dei vincitori. Anche nel campo economico internazionale vi furono cambiamenti grazie all’impulso americano. Infatti, furono stipulati nel 1944, a guerra in corso, gli accordi di Bretton Woods che crearono il Fondo monetario internazionale, che costituiva un adeguato ammontare di riserve valutarie mondiali, cui gli Stati potevano attingere, e assicurava la stabilità dei cambi ancorandoli non soltanto all’oro, ma anche al dollaro (convertibile in oro). Oltre al Fondo monetario fu creata la Banca mondiale, che concedeva prestiti a lungo termine per la ricostruzione e lo sviluppo dei paesi. Sul piano commerciale fu siglato il Gatt, accordo basato sul libero scambio e sull’abbassamento dei dazi. 18.2. I nuovi equilibri mondiali Nel secondo dopoguerra, l’Europa frantumata si doveva piegare all’egemonia di due super potenze: gli Stati Uniti, che puntavano alla ricostruzione dell’economia di mercato e della libertà degli scambi internazionali, e l’Unione Sovietica, che aveva pagato il prezzo più alto in perdite di guerra e che adesso pretendeva adeguate riparazioni economiche e territoriali. I contrasti tra le due potenze emersero chiaramente nella conferenza di Potsdam, presso Berlino, nel luglio- agosto 1945, e si acuirono con Truman presidente a sostituzione del deceduto Roosevelt. Persino Churchill che era decaduto dal suo ruolo di primo ministro profetizzò nel ’46 la cortina di ferro che Stalin calò nell’Europa orientale. Infatti, nella conferenza di pace di Parigi, cominciata nell’aprile ’46, nonostante l’assenza di un accordo generale furono fissati i nuovi confini dell’Unione Sovietica, che riuscì ad ottenere la parte della Polonia dell’Est (la Polonia intanto si risistemò ad ovest sulla Oder e Neisse), la Prussia orientale e le Repubbliche baltiche. A seguito dell’egemonia imposta nei paesi occupati dall’Armata rossa, che faceva leva sui partiti comunisti interni, venne introdotta la dottrina Truman nel marzo 1947, in cui gli Stati Uniti si dichiaravano pronti ad intervenire militarmente in sostegno dei paesi che si sentivano minacciati dall’Urss. L’equilibrio e il contenimento tra l’Usa e l’Urss diede origine al sistema bipolare imperniato su due blocchi: l’occidentale dominato dagli Usa e dai principi di democrazia e liberismo, e l’orientale dominato dall’Urss e dai principi del comunismo ed economia pianificata. Cominciava, secondo Walter Lippmann la “guerra fredda”, non culminata con una battaglia diretta con le armi tra le due superpotenze, ma combattuta a colpi di ideologia e propaganda. La guerra tra i due blocchi non avvenne in maniera diretta perché anche l’Urss si dotò dell’arma del nucleare, ma non mancarono gli appoggi militari forniti a paesi lontani, ma che il loro contrasto si basava sullo scontro tra i due blocchi ideologici. 55 1950-70 segnò un tasso di sviluppo annuo del 15%, grazie ai forti investimenti statali, alla stabilità politica e alla giusta scelta imprenditoriale che puntarono sulle nuove tecnologie. 18.7. Guerra fredda e coesistenza pacifica I cinque anni che vanno dalla crisi di Berlino del 1948 alla fine del conflitto coreano fu il periodo più buio della guerra fredda, inoltre, la minaccia nucleare gettò il mondo in un clima di ansia e pessimismo. Ciò andò anche a condizionare negativamente la politica interna delle potenze coinvolte. In Urss Stalin accentuò i caratteri autocratici e repressivi del suo regime, mentre le purghe tornavano a colpire i quadri del partito e comuni cittadini. Negli Stati Uniti, soprattutto a partire dal ’49 si scatenò la cosiddetta caccia alle streghe avviata dal senatore McCarthy, da cui l’espressione maccartismo, con la creazione di una commissione che reprimeva le attività antiamericane e filocomuniste nella pubblica amministrazione, nel mondo della cultura e dello spettacolo. La politica maccartista fu bloccata nel 1955. Nelle elezioni presidenziali americane del 1952 la vittoria andò al repubblicano Eisenhower, già comandante delle forze armate nella guerra. Nel marzo 1953 Stalin morì, ma in un primo momento non comportò la distensione tra i due blocchi e nemmeno una tregua al conflitto ideologico, ma venne maturando un atteggiamento di accettazione reciproca e di mantenimento dello status quo. La successione di Stalin fu intrapresa dalla “direzione collegiale” e alla guida dell’Urss si impose il leader del Pcus Nikita Kruscёv. Kruscёv si fece promotore di alcune significative aperture in politica estera e in politica interna. Vanno ricordati il trattato di neutralizzazione di Vienna del ’55, per il ritiro delle truppe sovietiche in Austria, la riconciliazione con gli jugoslavi di Tito e lo scioglimento del Cominform. Kruscёv non comportò un sostanziale cambiamento di assetto dell’economia, ma promosse la fine delle grandi purghe, maggiori riforme agricole e attenzioni alle condizioni di vita dei cittadini. Kruscёv fu anche colui che avviò la destalinizzazione dell’Urss. Egli infatti nel febbraio del 1956, in un rapporto al XX congresso del Pcu, pronunciò una durissima requisitoria che demolì la figura di Stalin. Egli intendeva condannare gli orrori perpetrati da Stalin, rievocando gli arresti, le deportazioni, le torture e i processi falsati ai danni di vittime innocenti. Oltre a questo, contestò il culto della personalità, l’eccessivo potere della burocrazia e le frequenti violazioni della legalità socialista attuate dal dittatore. Le conseguenze della destalinizzazione, però, non intendevano allentare il controllo effettuato dall’Urss sulle democrazie popolari, tuttavia i partiti comunisti occidentali si allinearono alla nuova linea e provocarono conseguenze particolari in Polonia e in Ungheria. In Polonia una serie di agitazioni operaie culminarono con il ritorno al potere di Gomulka leader comunista vittima delle purghe staliniane, il quale avviò un’opera di cauta liberalizzazione dell’economia. In Ungheria gli avvenimenti del ’56 provocarono anche lì agitazioni e proteste, e un’insurrezione portò al potere Imre Nagy, un espulso dal partito comunista appartenente all’ala liberale. Anche lì fu applicato l’indirizzo maggiormente liberale, ma la situazione cambiò quando Imre Nagy decise di uscire dal Patto di Varsavia e di aprire spazio alle forze antisovietiche. Il segretario del partito comunista ungherese invitò le truppe dell’Armata rossa ad occupare Budapest e pochi mesi dopo Nagy fu fucilato e Kadar assumeva il potere. Kruscёv, nonostante la destalinizzazione, non intendeva perdere l’assetto costituitosi dopo il secondo conflitto mondiale. 18.8. Le democrazie europee e l’avvio dell’integrazione economica Nei paesi della parte centro-occidentale dell’Europa, che avevano subìto maggiormente i traumi della guerra, si instaurò la voglia al mantenimento delle istituzioni democratiche, alla ricostruzione e al rilancio produttivo e si cercò anche di compiere una integrazione economica tra gli Stati. La ripresa più soddisfacente fu quella della Germania federale, dove i governi applicarono un modello di economia sociale di mercato che combinava un sistema avanzato di protezione sociale con ispirazione liberistica e produttivistica. Il prodotto nazionale tedesco crebbe negli anni ’50 al ritmo del 6% annuo, e i motivi di questa crescita risiedono principalmente alla stretta integrazione con il blocco occidentale. Gli Stati Uniti, infatti, rinunciarono alle riparazioni di guerra tedesca e consentirono alla RFT di beneficiare del piano Marshall, ma oltre a questo altro motivo di crescita fu la Costituzione del ’49 che consentì maggiore stabilità politica ai cristiani cattolici. L’ideale di un’Europa unita nel segno della pace, della democrazia e della cooperazione economica fu fatto proprio da autorevoli uomini politici europei cattolici quali De Gasperi, Adenauer e Schuman. 56 La prima tappa di questo processo di integrazione avvenne nel 1951 con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), che aveva il compito di coordinare produzione e prezzi della grande industria. Vi parteciparono Belgio, Olanda, Lussemburgo, Italia, Germania e Francia. Il progetto del 1954 della creazione di un’organizzazione militare integrata, la Ced, fallì nel 1954 a causa del veto francese. La creazione di un’aerea di libero scambio e il coordinamento delle politiche economiche avvenne nel 1957, quando i sei paesi crearono la Cee con la firma dei trattati di Roma, dando vita anche all’Euratom per lo sfruttamento pacifico dell’energia nucleare. Lo scopo primario della Cee era quello di creare un Mercato comune, mediante il graduale abbassamento delle tariffe doganali e la libera circolazione di forza-lavoro e capitali. La Cee si fornì anche di organi che gestivano i poteri dell’organizzazione, come la Commissione, il Consiglio, il Parlamento, e la Corte di giustizia. Nel complesso le democrazie europee mantennero una notevole stabilità, ad eccezione della Francia. Il sistema della Quarta Repubblica, infatti, non si differenziava molto dalla Terza, visto che era caratterizzata da frammentazione politica e instabilità dei governi. Nel pieno della crisi, in maniera anomala, venne chiamato il generale De Gaulle, da anni lontano dalla politica, per formare un nuovo governo dotato di poteri straordinari. De Gaulle passò al varo una nuova Costituzione che fu votata referendariamente nel ’58, e che segnò il passaggio alla Quinta Repubblica e al sistema semipresidenziale francese. De Gaulle fu eletto alla presidenza, ma deluse alcune aspettative coloniali con la concessione all’Algeria dell’indipendenza. Egli essendo sempre nazionalista, intendeva svincolarsi dall’influenza degli Stati Uniti e della Nato, e si oppose all’integrazione europea perché intendeva portare la Francia ad un ruolo egemonico. 18.9. Distensione e confronto: gli anni di Kennedy e Kruscёv Le speranze di porre una distensione tra i blocchi furono messe in discussione da chi allo stesso tempo intendeva renderle concrete. Protagonisti di queste contraddizioni furono Nikita Kruscёv, segretario del Pcus, e il neopresidente democratico John Fitzgerald Kennedy eletto nel novembre del ’60 a 44 anni. Kennedy si fece interprete in politica interna di uno slancio riformatore che si tradusse con il forte incremento della spesa pubblica, assorbito dai programmi sociali, volti anche all’integrazione dei neri di Martin Luther King, e dalle esplorazioni spaziali. In politica estera, i primi tentativi di distensione con i sovietici avvennero nella conferenza di Vienna del ’61 nella quale incontrò Kruscёv per discutere della questione di Berlino (ritenuta città libera dai sovietici, gli americani intendevano farla rientrare nel regime del RFT). Allora, i sovietici risposero con la costruzione del Muro di Berlino, che rese impossibili le fughe dall’Est all’Ovest. Ma il periodo più drammatico avvenne presso l’isola di Cuba, dopo che si affermò il regime socialista di Fidel Castro. La presenza di un potenziale nemico a duecento chilometri dalle coste rappresentò una minaccia per Kennedy, allora, all’inizio cercò di bloccare economicamente l’isola, ma dopo appoggiò anche gli esuli anticastristi nello sbarco alla Baia dei Porci nell’aprile ’61, per porre fine al regime socialista. Questo si rivelò un insuccesso, anzi spinse l’Urss ad offrire assistenza economica e militare a Castro, e procedette persino alla creazione di basi missilistiche nucleari sull’isola. Quando nell’ottobre 1962 queste furono scoperte da un aereo spia americano, Kennedy instaurò un blocco navale per impedire alle navi sovietiche di rifornire Cuba. La guerra nucleare sembrava vicina, ma alla fine Kruscёv ordinò di smantellare le basi, in cambio Kennedy si doveva impegnare a non attaccare Cuba e a ritirare le basi Nato in Turchia. Nell’ottobre 1964 Kruscёv veniva estromesso dalla sua carica per i suoi mancati obiettivi e si ritornò ad una direzione collegiale dell’Urss. Prima, invece, il 22 novembre del 1963 Kennedy fu ucciso a Dallas in Texas in un attentato, e la presidenza fu ottenuta da Lyndon Johnson. 18.10. Nuove tensioni nei due blocchi: guerra del Vietnam e crisi cecoslovacca Fra il 1964 e il 1975, gli Stati Uniti furono coinvolti in una guerra contro il comunismo nel lontano Vietnam. Dopo il ritiro dei francesi dall’Indocina, gli accordi di Ginevra del ’54 avevano diviso il Vietnam in due repubbliche al 17° parallelo: a Nord, vi era quella di Ho Chi-minh retta dai comunisti, mentre a Sud vi era un regime semidittatoriale appoggiato dagli Stati Uniti. Contro il governo del Sud si sviluppò un movimento di guerriglia, i Vietcong, guidato dai comunisti e sostenuto dal Vietnam del Nord. Preoccupati che l’Indocina potesse diventare comunista, gli Stati Uniti inviarono un contingente militare nel Vietnam del Sud, che con Kennedy arrivò a 30mila uomini. Nell’estate del 1964, durante la presidenza Johnson, a seguito dell’attacco subìto dagli statunitensi nel Golfo del Tonchino, vi fu l’autorizzazione del Congresso a bombardare alcuni obiettivi del Vietnam del Nord. 57 Le dimensioni della spedizione nel 1967 arrivarono a raggiungere mezzo milione di uomini, vista la continua escalation degli attacchi, ma ciò non fu sufficiente a domare la lotta dei Vietcong, né a domare la resistenza della Repubblica nordvietnamita, aiutata da Russia e Cina. Gli Stati Uniti e il suo esercito entrarono in una profonda crisi, anche a causa dei sentimenti pacifici dimostrati nelle manifestazioni di protesta alla fine degli anni ’60. All’inizio del ’68, i Vietcong lanciarono una dura offensiva nei confronti del Sud e ciò indusse Johnson a sospendere i bombardamenti. Con l’elezione del presidente repubblicano Richard Nixon furono avviati i negoziati ufficiali con il Vietnam del Nord e con i rappresentanti dei Vietcong, e fu ridotto l’impegno militare. Tuttavia, il comando americano allargò le operazioni anche agli Stati confinanti, Laos e Cambogia. Solo nel gennaio 1973 si arrivò all’armistizio di Parigi, ma dopo il ritiro americano la guerra perdurò per altri due anni fin quando il 30 aprile 1975, i Vietcong prendevano Saigon. Anche in Cambogia i khmer rossi conquistarono Phnom Penh e in Laos il potere andò nelle mani del Pathet Lao. L’Indocina divenne comunista. L’Unione Sovietica doveva ancora una volta confrontarsi con le inquietudini dei paesi satelliti dell’Europa orientale, soprattutto dopo il passaggio della segreteria del Pcus a Breznev, che accentuò la repressione di ogni dissenso. Tra le democrazie popolari quelle che ottenne una certa autonomia fu la Romania di Ceausescu. Nel gennaio 1968 in Cecoslovacchia divenne segretario del partito comunista Dubcek, leader dell’ala innovatrice. Egli mantenendo il sistema socialista introdusse forme di pluralismo sia economico che politico, ma soprattutto la libertà di stampa. Questa fu vista come una chiara minaccia per l’Urss, che preoccupata dagli effetti di un contagio, il 21 agosto 1968, inviò le truppe corazzate del Patto di Varsavia che occuparono Praga. Fu effettuata una resistenza passiva contro gli occupanti con la creazione di congresso clandestino del partito formato dai dirigenti riformisti. Ciò ebbe solo breve durata perché gli uomini della primavera di Praga furono emarginati e sostituiti. Allontanato Dubcek si avviò la fase di normalizzazione sovietica della Cecoslovacchia. 18.11. La Cina di Mao Zedong La Cina di Mao Zedong accentuò tra gli anni ’50 e ’60 i tratti radicali del suo regime e si propose, in concorrenza con l’Urss, come guida per i movimenti rivoluzionari di tutto il mondo. Nel maggio 1958, per rilanciare la produzione agricola varò una nuova strategia, il “grande balzo in avanti”, che portò alla creazione di comuni popolari, ciascuna delle quali doveva tendere all’autosufficienza economica. Mentre la popolazione veniva sottoposta ad un controllo più stretto, i risultati fallimentari di questa politica, che provocò una carestia, favorirono sul piano internazionale la definitiva rottura con l’Urss, e sul piano interno diedero spazio alle componenti meno ostili all’Unione Sovietica. Per scalzare al potere queste classi dirigenti, tra il ’65 e il ’68, Mao stimolò un movimento di protesta giovanile, la “rivoluzione culturale”, che spinsero le guardie rosse a mettere sotto accusa e internare in “campi di rieducazione” insegnanti e dirigenti politici, con almeno un milione di vittime torturate e uccise. Sul piano internazionale Mao e il primo ministro Chou En-lai, inoltre, furono avvicinati dagli Stati Uniti che nel ’72 con Nixon accettarono il loro ingresso all’Onu al posto della Cina di Formosa. 19. La decolonizzazione e il Terzo Mondo 19.1. La crisi degli imperi coloniali 60 19.5. L’Egitto di Nasser e la crisi di Suez Formalmente indipendente dal 1922, l’Egitto era retto da un regime monarchico strettamente legato alla Gran Bretagna che conservava assieme alla Francia, il controllo della Compagnia del Canale di Suez. Nel luglio 1952, la monarchia fu rovesciata da un colpo di Stato militare e il potere fu assunto da Naguib e Nasser. Nel 1954 Nasser allontanò il moderato Naguib, e diede avvio ad una dittatura personale. Il nuovo regime avviò subito una serie di riforme di segno socialista, e in politica estera dimostrò la sua volontà di intraprendere la lotta dei paesi arabi contro Israele e creare un’unione panaraba. Inoltre, si mosse per reprimere ogni influenza coloniale e ottenne così lo sgombero delle zone del Canale, anche grazie all’appoggio economico fornito dall’Urss. In risposta a quella che sembrava un’alleanza filosovietica, gli Stati Uniti bloccarono i finanziamenti per la costruzione della diga di Assuan, allora, Nasser decise di nazionalizzare Suez. Ciò creò la crisi di Suez che portò alla seconda guerra arabo-israeliana, dato che nel 1956 Londra, Parigi e Israele attaccarono l’Egitto che fu sconfitto e penetrato sino al Sinai, mentre gli anglo-francesi occupavano Suez. A far fallire l’operazione fu però il comportamento delle due superpotenze e dell’Onu che condannarono l’azione aggressiva portata avanti, così le forze occupanti dovettero ritirarsi. L’effetto più immediato di questa crisi fu quello di rafforzare la posizione di Nasser e del nasserismo, oltre che nel Medio Oriente, anche nel Maghreb. Il suo piano panarabo fu tentato nel 1958 con l’unione con la Siria nella Repubblica araba unita. 19.6. L’indipendenza del Maghreb Sia in Marocco che in Tunisia, dove la Francia aveva influenza con il protettorato, i movimenti nazionalisti e laici portarono nel 1956 all’ottenimento dell’indipendenza. Particolarmente drammatico fu il processo di emancipazione in Algeria, dove la dominazione francese molto radicata era anche caratterizzata dalla presenza di oltre un milione di coloni francesi. Dopo una lotta che fu 61 repressa in maniera crudele dai francesi, fu De Gaulle a capire che ormai era inevitabile rinunciare all’Algeria, riconoscendone l’indipendenza nel ’62 con gli accordi di Evian. In Libia, nel 1969, una rivoluzione nazionalista e islamico ortodossa, portò al potere il colonnello Gheddafi, che scalzò la monarchia instauratasi dopo il 1951, data dell’indipendenza dall’Italia. Artefice di un esperimento di socialismo islamico, Gheddafi nazionalizzò tutte le compagnie petrolifere straniere ed espulse la comunità italiana. In politica estera condusse battaglie contro l’occidente. 19.7. Le guerre arabo-israeliane Nel 1967 Nasser proclamò la chiusura del Golfo di Aquaba, unico sbocco israeliano sul Mar Rosso, e strinse un patto militare con la Giordania. Gli israeliani sferrarono un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e Siria, il 5 giugno 1967 e la terza guerra arabo-israeliana terminò solo dopo sei giorni (la guerra dei sei giorni) con la totale disfatta degli arabi. L’Egitto perse la penisola del Sinai, la Giordania perse i territori occidentali del fiume Giordano e la città di Gerusalemme orientale, mente la Siria perse le alture del Golan. Questo provocò la fuga di molti palestinesi nei campi profughi dei paesi vicini, ma determinò anche il distacco dei movimenti di resistenza palestinese, riuniti dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat. L’Olp pose le sue basi nel regno di Giordania, ma il re Hussein impaurito dagli attacchi israeliani decise di porre fine alla convivenza nel settembre nero del ’70, scacciando sanguinosamente le milizie palestinesi in Libano. Nel 1970 Nasser morì e il suo posto lo prese Sadat. Egli deciso a riprendersi il Sinai studiò al meglio il confronto con Israele e, il 6 ottobre 1973, diede avvio alla guerra del Kippur, festa ebraica. Nella quarta guerra arabo-israeliana, gli ebrei furono colti di sorpresa dagli egiziani sul Canale di Suez e sul Sinai, mentre i siriani passavano all’attacco nelle alture del Golan. Israele riuscì a respingere gli attacchi e passò alla controffensiva ripenetrando in territorio egiziano. Solo grazie al cessate il fuoco statunitense, la guerra finì senza vincitori e vinti. Le conseguenze della guerra, invece, si fecero risentire a livello internazionale, con il blocco del Canale di Suez e delle esportazioni petrolifere che fecero salire il prezzo. 19.8. Tradizionalismo e modernizzazione in Turchia e Iran Il contrasto fra tradizionalismo e modernizzazione caratterizzò la storia dei due paesi musulmani non arabi del Medio Oriente, che non avevano conosciuto dominio coloniale: Turchia e Iran. Nel dopoguerra la Turchia si alleò al sistema di alleanza della Nato, mentre in politica interna proseguì il cammino di modernizzazione e laicizzazione di Ataturk. Infatti, vi fu la tendenza democratica ad aprire la politica a più partiti, ma si alternarono anche una serie di colpi di stato militari che apportarono al paese una leggera linea islamica, senza compromettere la modernizzazione. In Iran, paese ricco di petrolio, vi era il regime autoritario dello scià Reza Pahlavi, che fallì il tentativo di democratizzazione nel 1951, tentato dal ministro Mossadeq. Nel 1953 a seguito di un colpo di Stato dei servizi segreti anglo-americani vi fu la deposizione del primo ministro che intendeva nazionalizzare le compagnie petrolifere straniere, e restituì il potere assoluto al figlio dello scià, Mohammed Reza Pahlavi. 19.9. L’indipendenza dell’Africa nera L’Africa nera, quella subsahariana, ebbe il suo processo di decolonizzazione a partire dagli anni ’60. 62 I primi a ottenere l’emancipazione furono i territori britannici con l’indipendenza del Ghana nel 1957, e poi la Guinea francese. Nel 1960 diciassette paesi ottennero l’indipendenza tra cui: Nigeria, Zaire, Senegal e Somalia. Fu poi anche la volta del Tanganica e di Zanzibar, che si unirono nella Repubblica di Tanzania. Il cammino di indipendenza più difficile fu quello nei paesi in cui era forte la presenza dei coloni europei come in Kenya, dove fu portata avanti una violenta lotta indipendentistica dai Mau-Mau, o nella Rhodesia del Sud, dove la minoranza bianca fu poi deposta al potere solo negli anni ’80 con la creazione dello Zimbabwe. Ma il nodo più difficile da sciogliere fu quello dell’Unione Sudafricana, dominion inglese. A causa della politica razziale dell’apartheid, la popolazione nera era costretta a vivere in un regime di inferiorità rispetto ai bianchi inglesi e boeri. Essi pensarono addirittura di riunirli nei Bantustan, piccoli Stati semi-indipendenti. La questione non fu pacifica e si risolse solo nell’ultimo decennio del secolo. Un altro caso di decolonizzazione drammatico fu quello del Congo, che dopo l’ottenimento dell’indipendenza dal Belgio, si avviò una sanguinosa guerra civile per la secessione della ricca regione del Katanga. Lumumba capo del governo congolese fu ucciso dai secessionisti, e l’unità del paese si affermò con il regime militare di Mobutu, dopo l’intervento dell’Onu. Le nuove istituzioni politiche, ricalcate sui modelli europei, lasciarono spesso il posto ai regimi militari, vista la frammentazione e l’eterogeneità dei diversi gruppi compresi all’interno di un unico Stato. All’instabilità politica, questi paesi furono avversi da debolezza economica e dipendenza dai paesi industrializzati neocolonialisti. Questo condizionò le decolonizzazioni, ispirate al modello socialista, come quelle che avvennero nel 1975 in Angola e in Mozambico dal dominio portoghese. 19.10. Il Terzo Mondo: non allineamento e sottosviluppo Sul piano della politica internazionale, i paesi di nuova indipendenza cercarono una piattaforma comune, a partire della conferenza di Bandung nel ’55. Parteciparono oltre all’Indonesia, l’India, il Pakistan, l’Egitto, l’Arabia Saudita, e la stessa Repubblica popolare cinese. Stato osservatore fu la Jugoslavia di Tito, che in seguito invitò gli Stati “non allineati” alla conferenza di Belgrado. Fra questi paesi in seguito vi orbitarono anche filocomunisti come Cuba e il Vietnam. Questi paesi, nonostante le differenti condizioni economiche e politiche, riconoscevano di avere interessi e aspirazioni comuni che non potevano essere contenuti nella logica della competizione dei due blocchi: facevano parte di un “Terzo Mondo” distinto sia dall’Occidente capitalistico, che dall’Oriente comunista. Sul piano economico, il Terzo Mondo era accomunato dalla realtà del sottosviluppo, ovvero dall’incapacità di risolvere i problemi di arretratezza economica resi gravi dall’aumento demografico. 19.11. Dittature e populismi in America Latina I paesi dell’America Latina godevano da tempo dell’indipendenza politica ma si trovavano in condizioni di dipendenza economica con gli Stati Uniti, che esercitavano una sorta di tutela su tutto il continente, anche tramite la creazione dell’Osa, Organizzazione degli Stati americani, nel 1948. La politica dell’America Latina fu caratterizzata dall’alternanza di governi liberali e di regimi autoritari populisti appoggiati dai ceti medi. 65 Il varo della Costituzione fu l’ultima manifestazione di collaborazione tra le diverse forze politiche. Dall’inizio del ’48 i partiti si impegnarono in una gara sempre più accanita in vista delle elezioni politiche convocate il 18 aprile. La campagna elettorale del ’48 si contraddistinse per la polarizzazione di due schieramenti: quello guidato dalla Dc e comprendente anche liberali, socialdemocratici e repubblicani, e il Fronte popolare del Psi e Pci. Nella sua campagna elettorale De Gasperi poté giovarsi dell’aiuto della Chiesa, con Pio XII anticomunista, ma anche degli Stati Uniti, perché i democristiani erano favorevoli all’aiuto del piano Marshall, non come il Fronte popolare. Socialisti e comunisti, invece, fecero appello ai lavoratori con toni democratici e populisti, ma la loro propaganda fu danneggiata dai comportamenti in politica estera dell’Urss. Le elezioni si tradussero con il travolgente successo della Dc, che ottenne il 48,5% e la maggioranza assoluta alla Camera. Mentre il Fronte popolare ottenne solo il 31%, con il netto calo dei seggi socialisti. Quando nel luglio del ’48, Togliatti fu ferito gravemente da un esponente di destra, i militanti di sinistra diedero inizio ad una serie di agitazioni, scontrandosi contro le forze dell’ordine, e solo dopo l’appello di Togliatti queste desistettero. Una conseguenza del luglio ’48 fu l’intenzione di un grande sciopero per l’attentato a Togliatti, ma a seguito del rifiuto dei cattolici vi fu la scissione delle forze unitarie all’interno della Cgil, e i cattolici diedero vita ad una nuova confederazione: la Cisl, Confederazione italiana sindacati lavoratori. Pochi mesi dopo repubblicani e socialdemocratici diedero vita alla Uil, Unione italiana del lavoro. Il governo di Alcide De Gasperi vide al Bilancio la conferma di Einaudi, il quale attuò una manovra economica che aveva come scopi principali la fine dell’inflazione, la stabilità monetaria e il risanamento del bilancio. Infatti, svalutò la lira e consentì maggiori esportazioni, restrinse il credito e ridusse la moneta in circolazione con l’utilizzo delle scorte, e utilizzò il piano Marshall per finanziare le importazioni alimentari. Abolendo il blocco dei licenziamenti aumentarono i disoccupati, ma si era raggiunta la stabilità economica che negli anni ’50 consentirono di arrivare ai livelli produttivi dell’anteguerra. L’adozione di questo modello economico basato sul liberismo, espose l’Italia a livello internazionale e nel marzo 1949 con la firma del Patto atlantico, evidenziò la collocazione italiana nel blocco occidentale. 20.5. De Gasperi e il centrismo I cinque anni della prima legislatura repubblicana furono segnati dalla massima egemonia della Dc, e nonostante la maggioranza assoluta alla Camera, De Gasperi aprì l’alleanza di governo ai partiti laici minori e appoggiò la candidatura del liberale Einaudi alla presidenza della Repubblica nel 1948. La formula del centrismo della Dc aveva lo scopo di lasciare fuori la sinistra socialcomunista e la destra monarchica e neofascista. A rafforzare il consenso popolare verso la Dc furono il riformismo attuato dai governi come la riforma agraria del 1950, che espropriò grandi proprietà terriere e le frazionò a favore dei piccoli coltivatori del fondo del Mezzogiorno e del Centro-Nord. Nell’agosto del 1959, inoltre, fu varata la Cassa per il Mezzogiorno, un nuovo ente pubblico che aveva lo scopo di promuovere lo sviluppo economico delle aree depresse del Sud attraverso la costruzione delle infrastrutture e la concessione di prestiti alle industrie. Nonostante la ripresa produttiva dei primi anni del ’50, la disoccupazione rimaneva sempre elevata, così da agitare i partiti di sinistra e la Cgil in scioperi operai e manifestazioni. Costretti a fronteggiare la minaccia di sinistra e la crescita della destra, la Dc attuò strumenti repressivi come i celerini e la schedatura dei comunisti ad opera del ministro degli Interni Scelba. Ma per saldare la maggioranza parlamentare alle elezioni del ’53, venne modificata la legge elettorale per consentire alla coalizione che riusciva a raggiungere il 50%+1 dei voti, di ottenere il 65% dei seggi. Ciò fu definita dalla sinistra come legge truffa, che non portò la Dc ad ottenere il premio di maggioranza, visto che perse consensi, e la stessa legge fu abrogata. Dimessosi De Gasperi nel ’53, morì l’anno dopo, la crescita economica in Italia si consolidava, grazie alla liberalizzazione degli scambi all’estero, politica attuata da Ugo La Malfa, e anche all’adesione nel 1957 alla Comunità economica europea. Si registrarono cambiamenti importanti nei principali partiti: - nella Democrazia cristiana emergeva la generazione dell’Azione cattolica sempre più legata al cattolicesimo sociale e favorevole all’intervento statale nell’economia. Il segretario fu Amintore Fanfani, che oltre a rafforzare la struttura del partito, lo svincolò dall’industria privata per avvicinarlo alle imprese di Stato, come 66 l’Eni di Enrico Mattei. Fu inoltre creato il ministero delle Partecipazioni statali, per coordinare l’azione delle imprese partecipate dello Stato; - nel Partito socialista si fece sentire l’influenza della Dc nell’elezione del presidente della Repubblica nel 1955 Giovanni Gronchi, democristiano di sinistra, ma soprattutto a seguito della politica estera dell’Urss. Infatti, dopo gli accadimenti di Ungheria, Pietro Nenni si distaccò dall’azione sovietica e si rese disponibile per una collaborazione con la Dc e i partiti laici. 20.6. Il “miracolo economico” Il periodo tra il 1958 e il 1963 fu quello del “miracolo economico” italiano. Lo sviluppo segnò un aumento costante del prodotto interno lordo, grazie alla crescita dell’industria manifatturiera, del settore siderurgico, meccanico e chimico. La crescita industriale fu dovuta alla congiuntura favorevole dell’economia occidentale; alla politica di libero scambio che aumentò le esportazioni; al modesto carico fiscale; e soprattutto allo scarto tra aumento produttivo e livello dei salari, che favorì alti profitti e grandi tassi di investimento. La compressione salariale era il risultato di una larga disponibilità di manodopera a basso costo favorita dal flusso migratorio. A seguito del calo della disoccupazione, in conseguenza dello sviluppo industriale, accrebbe la capacità contrattuale dei sindacati, che riuscirono a ottenere notevoli miglioramenti salariali. Ciò portò ad una momentanea battuta d’arresto tra il 1963-65 del miracolo economico, che poi riprese più lentamente. Con il miracolo economico l’Italia si lasciò alle spalle le strutture e i valori della società contadina per diventare una società fondata sui consumi, ed inoltre, un fenomeno collegato fu il massiccio trasferimento delle masse dal Sud al Nord e dalle campagne alle città. Le grandi migrazioni e l’urbanizzazione ebbero anche costi sociali e umani, infatti, le forme di sviluppo delle città avvennero in forme caotiche, e notevole era la frattura tra gli immigrati meridionali e la società settentrionale anche nei modi di vivere e nella cultura. Il processo di integrazione tra questi fu legato alle comuni esperienze lavorative, alla scolarizzazione, e alla diffusione di alcuni consumi di massa come la televisione, che diffuse la lingua nazionale, e l’automobile. 20.7. Il centro-sinistra e le riforme I mutamenti economici e sociali si accompagnarono, all’inizio degli anni ’60, a una svolta politica con l’ingresso dei socialisti nell’area della maggioranza, anche se questo fu molto graduale e contrastato. Prima si ebbe il governo monocolore di Tambroni, che dopo il disaccordo con i partiti laici, ebbe l’appoggio parlamentare del Movimento sociale italiano. Ma dopo gli scontri operai per il Congresso missino da tenersi a Genova, questi portarono alla revoca della concessione per il congresso e alle dimissioni di Tambroni. Dopo questo governo si formò nell’agosto ’60, il governo monocolore di Fanfani, retto dall’astensione di fiducia socialista, ma l’esperienza durò poco dato che nel gennaio ’62 Fanfani ricreò un nuovo governo con i repubblicani e i socialdemocratici, ma in presenza di un programma concordato con i socialisti. È da questo momento che si svilupparono i governi di centro-sinistra. Questo programma prevedeva la realizzazione della scuola media unica, la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la regionalizzazione e la migliore tassazione delle azioni. Nel ’62 fu creata l’Enel e la scuola media fu unificata, mentre le altre politiche programmate non ebbero attuazione. A seguito delle elezioni del ’63, vi fu la perdita dei voti di democristiani e socialisti, e per contro si sviluppò il Pci. Allora, si diede vita ad un governo di centro-sinistra organico caratterizzato dalla presenza di socialisti congiunti ai democristiani con la presidenza del segretario democristiano Aldo Moro. Questo governo si dimostrò molto più moderato, infatti, il processo riformatore fu bloccato da insidie che venivano dalla destra economica, dalle alte gerarchie militari (pianificarono il Piano solo per un golpe), e persino dal presidente della Repubblica Antonio Segni. Questa linea moderata fu seguita da Moro anche per mantenere l’unità del suo partito. La partecipazione del Psi al governo segnò anche un’ulteriore scissione del partito, infatti, l’ala che si oppose ridiede vita al Partito socialista di unità proletaria, Psiup, anche se questa perdita fu compensata per tre anni dall’unificazione col Partito socialdemocratico. Alle difficoltà del Psi si aggiungeva la forza crescente del Pci, che aumentava i consensi anche dopo la morte di Togliatti nel ’64. Un partito che al 25% rimaneva all’opposizione, isolato anche dal contributo apportato nell’elezione nel ’64 del socialdemocratico Saragat alla presidenza della Repubblica. Il governo centro-sinistra durò per oltre un decennio nonostante le avversità. 21. La civiltà dei consumi 21.1. La crescita demografica 67 Tra il 1950 e il 1970 gli abitanti della Terra aumentarono del 50%, mentre la vita media dell’uomo salì da 65 a oltre 70 anni nelle zone più sviluppate e da 40 a 50 nei paesi più poveri. Le principali cause di questo progresso furono i miglioramenti della medicina, nuovi farmaci e vaccinazioni, e maggiore quantità e qualità dell’alimentazione. Si accentuò la forbice fra le tendenze dei paesi industrializzati e quelle dei paesi in via di sviluppo. Negli Stati del Terzo Mondo il regime demografico tipico delle società arretrate fu modificato solo per quanto riguarda la mortalità infantile, mentre i ritardi nel processo di modernizzazione contribuirono a trascurare il controllo delle nascite. I paesi industrializzati conobbero lo slancio demografico nel decennio successivo alla guerra: il periodo fu chiamato baby boom, dato che nel dopoguerra si tentò una rinascita. Dopo la metà degli anni ’50 vi fu un calo delle natalità, favorito dalle pratiche contraccettive e da una pianificazione consapevole della famiglia. 21.2. Il boom economico Negli anni ’50 e ’60 l’economia capitalistica attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti: tale che gli storici la chiamarono “età dell’oro”. I progressi riguardarono soprattutto l’industria e il settore terziario e a favorire la loro crescita furono fattori come l’esplosione demografica che aumentò la domanda, il basso costo delle materie prime, le scoperte scientifiche, le innovazioni tecnologiche, la razionalizzazione produttiva e il sostegno pubblico alla crescita. Protagonisti dell’età dell’oro furono sicuramente gli Stati Uniti che apportarono il loro sviluppo in Europa occidentale e in Giappone con gli aiuti del piano Marshall, ma anche i paesi socialisti dell’Europa orientale ebbero questo sviluppo. 21.3. Nuovi consumi e politiche sociali La conseguenza più vistosa dell’espansione economica postbellica nei paesi industriali fu il rapido miglioramento del livello di vita della popolazione, e anche delle classi operaie che non avevano vissuto miglioramenti concreti nel benessere sociale. Scese la percentuale di spesa per i prodotti alimentari, aumentò la quota destinata all’abbigliamento, alla casa e soprattutto ai beni e servizi non essenziali. Questo boom dei consumi superflui fu favorito dall’aumento dei redditi, dal calo dei prezzi di molti beni standardizzati, cioè prodotti in serie, e all’ampliamento della rete commerciale e dei messaggi pubblicitari. Di conseguenza le aree industrializzate subirono un processo di omologazione. Un impatto rilevante nel far crescere i consumi ebbe anche l’affermazione nell’apparato statale del sistema di Welfare, cioè l’insieme delle politiche sociali e assistenziali adottate da uno Stato per migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Negli anni ’70 aumentava in misura notevole la spesa pubblica per finanziare la scuola, le cure mediche, le pensioni, i sussidi di disoccupazione e di invalidità. Ogni Stato cominciò a creare il suo sistema di Welfare in base all’ampiezza di intervento e attuazione. 21.4. Le nuove frontiere della scienza e della tecnologia Nel secondo dopoguerra il nesso tra ricerca scientifica e produzione divenne strettissimo. Il mondo fu, infatti, sommerso da un’ondata di nuovi materiali e di prodotti d’ogni genere. Le maggiori novità furono legate alla diffusione delle materie plastiche, alle fibre sintetiche e ai nuovi farmaci, come gli antibiotici dopo la scoperta della penicillina di Alexander Fleming. Straordinari miglioramenti si ebbero anche nella chirurgia con i primi trapianti e l’utilizzo dei laser. 21.5. Le imprese spaziali Nel 1960 John Kennedy, nel discorso che ufficializzava la sua candidatura alla presidenza, fece cenno alla “nuova frontiera”, riferimento esplicito al rilancio dell’impresa scientifica per l’esplorazione dello spazio, in cui le due superpotenze erano anche in competizione. Le tappe da raggiungere erano molto complesse come respirare in assenza di ossigeno, muoversi in assenza di gravità e resistere alle temperature estreme. Occorreva anche una navicella attrezzata che potesse battere la forza di gravità e raggiungere le quote spaziali. Per questo ritornarono utili i missili V1 e V2 di Von Brown utilizzate dai tedeschi nella seconda guerra mondiale. Dal punto di vista economico, i voli spaziali furono resi possibili da un eccezionale impegno di risorse pubbliche nel settore e ciò ovviamente avvenne maggiormente da parte delle rivali Usa e Urss. Fu l’Unione Sovietica a ottenere il primo successo mandando in orbita, il 4 ottobre 1957, il primo satellite artificiale Sputnik, precedendo di pochi mesi gli statunitensi con il loro Explorer. Furono ancora i sovietici a sorpassare gli Stati Uniti, quando il 12 aprile 1961 mandarono in orbita sulla navicella Vostok il primo uomo a riuscire a vedere la Terra dall’esterno, Yuri Gagarin. A questi successi gli Stati Uniti risposero con la creazione di un’agenzia governativa, la Nasa, e moltiplicando l’impegno finanziario. Il 21 luglio 1969 gli americani riuscirono a mandare l’uomo sulla Luna. Buzz Aldrin e 70 Eppure, in questi anni seppe profittare della debolezza degli Stati Uniti per avvantaggiarsi nella corsa agli armamenti, dando vita intorno la fine degli anni ’70 ad una seconda guerra fredda, quando puntò i missili sull’Europa che rispose alla stessa maniera. Tuttavia, un intervento pagato a caro prezzo fu quello attuato dall’Urss in Afghanistan, alla fine del 1979, per imporvi un governo fedele alle direttive sovietiche. Vi fu lo scontro armato per quasi dieci anni contro l’accanita resistenza dei guerriglieri islamici, finanziati da Iran, Pakistan e anche dagli Usa (che poi diverranno loro nemici). Nel 1985, dopo la morte di Breznev, la segreteria del Pcus la prese Michail Gorbaciov, che si mostrò deciso a introdurre dei radicali cambiamenti alla politica sovietica. Infatti, in politica economica introdusse la perestrojka, ossia una riforma volta a introdurre nel sistema socialista elementi capitalistici. Ancora più rilevante fu l’avvio del processo di liberalizzazione condotto all’insegna della glasnost’ (trasparenza), che consentì lo sviluppo di un dibattito politico e culturale, attraverso l’apertura a pluralismo. Queste riforme se diedero un’immagine migliore all’Urss, tuttavia, si scontrarono con un sistema ormai radicato e con l’emergere di movimenti autonomisti nelle popolazioni non russe ma inglobate all’Unione. 22.6. Il dialogo Usa-Urss La conseguente apertura riformista di Gorbaciov si tradusse anche nella ripresa del dialogo con l’Occidente, capeggiato da un Reagan desideroso di concludere il suo mandato presidenziale in bellezza, nonostante la politica di forza. Dopo i primi due incontri, Reagan e Gorbaciov si incontrarono al vertice di Washington nell’87 e arrivarono a uno storico accordo sulla riduzione degli armamenti missilistici e la distruzione di armi nucleari. Nel 1988 inoltre l’Urss si impegnò a ritirare le truppe dall’Afghanistan, e a seguito di altri incontri con Bush, Gorbaciov acconsentì alla riduzione di armamenti. L’equilibrio si andò consolidando anche col patto di non aggressione e di riduzione delle armi tra Patto di Varsavia e Nato. 22.7. Mutamenti politici in Europa occidentale Negli anni ’60 e ’70, i paesi dell’Europa occidentale furono caratterizzati dall’entrata al governo dei socialisti. Nella Germania Ovest a fine anni ’60 si inaugurò la stagione dei governi socialdemocratico-liberali che si sarebbe prolungata per un quindicennio e si caratterizzò per una nuova e coraggiosa linea di politica estera, volta alla normalizzazione dei rapporti con i paesi del blocco comunista e soprattutto con la Germania Est (Ostpolitik). In Gran Bretagna, entrata nella Cee nel ’73 dopo lunghe trattative condotte dai laburisti, a fine anni ’70 dovettero cedere il posto al governo ai conservatori. Il nuovo primo ministro fu la Thatcher, che inaugurò una politica economica liberista intransigente, mettendo in discussione i fondamenti del Welfare State e privatizzando importanti settori pubblici come le ferrovie, l’elettricità e le telecomunicazioni. Questa linea politica fu premiata alle elezioni e consentirono alla lady di ferro di governare per un decennio. In Francia, dopo i successori di De Gaulle, l’Unione delle sinistre si impose nelle elezioni dell’81 e portò alla presidenza François Mitterand. Questo presentò un programma colmo di riforme sociali, nazionalizzazioni e aumenti salariali, e la rottura con i comunisti non impedì la rielezione dei socialisti. 22.8. Le nuove democrazie nell’Europa meridionale A metà anni ‘70, Portogallo, Grecia e Spagna furono protagonisti di rapidi e quasi simultanei processi di fuoriuscita da regimi autoritari. In Portogallo, dopo la morte del dittatore Salazar, un incruento colpo di Stato, nel 1974, portò al potere un gruppo di ufficiali di sinistra contrari alle guerre coloniali, che dopo due anni restituirono il paese a un regime parlamentare e pluripartitico. In Grecia, nel 1974, la dittatura dei colonnelli, che durava dalla fine del secondo conflitto mondiale, fu travolta dall’insuccesso militare contro la Turchia per il controllo dell’isola di Cipro. Fu, infatti, ristabilita la normale dialettica partitica, e attraverso un referendum popolare si sanciva la fine della monarchia. In Spagna dopo la morte del generale Franco nel 1975, a guidare il paese fu il re Juan Carlos di Borbone, insediatosi proprio dopo la morte del caudillo. Grazie al re si guidò il paese verso la monarchia parlamentare, infatti, furono legalizzati i partiti e approvata una Costituzione democratica. 22.9. L’America Latina e la fine delle dittature A partire dall’inizio degli anni ’80 in America latina la caduta delle dittature diede di nuovo spazio alle democrazie. In Argentina la dittatura dei generali cadde dopo l’occupazione delle isole Falkland, colonia inglese, che furono liberate dai britannici nel 1982. Anche in Brasile, Perù, Uruguay e Bolivia si ebbero, fra il 1984 e il 1985, le libere consultazioni con la caduta dei regimi militari. Nel 1988 fu persino sconfitto da un referendum popolare il dittatore cileno Pinochet. 71 In America centrale, la fine dei regimi dittatoriali non si tradusse con una rapida trasformazione democratica per la fragilità del sistema. Un fattore di tensione furono gli avvenimenti del Nicaragua, dove un gruppo rivoluzionario di sinistra, il movimento sandinista, prese il potere nel 1979. Ma quando il nuovo regime assunse i tratti socialisti si creò una forte tensione, sfociata nell’appoggio militare degli Usa nei confronti dei movimenti armati anti-sandinisti, i contras. Solo nel 1989 si giunse alla tregua, perché i contras in cambio di sospendere gli scontri ottennero le libere elezioni che li portarono alla vittoria. Ovunque, però, il consolidamento della democrazia trovò gravissimi ostacoli economici: i maggiori problemi erano legati all’inflazione galoppante e ai debiti con l’estero. 22.10. Nuovi conflitti nell’Asia comunista La vittoriosa guerriglia dei popoli d’Indocina nei confronti della presenza prima francese e poi americana aveva rappresentato un mito per i rivoluzionari di tutto il mondo, ma tanto amara fu la delusione che seguì con la gestione del potere comunista. Dopo la conquista di Saigon, poi chiamata Ho Chi-minh, il Vietnam del Nord annullava tutte le promesse di una riconciliazione con il Sud, anzi procedette all’annessione e alla sua politica collettivista. Numerosi cinesi presenti in Vietnam furono costretti a fuggire per l’espropriazione dei beni subita. Ancora più tragiche furono le conseguenze del regime dei khmer rossi in Cambogia con Pol Pot. Fra il ’76 e il ’78 egli mise in atto uno degli esperimenti più disastrosi e sanguinari della rivoluzione sociale, perché intendendo ripartire da zero, i comunisti cambogiani non solo eliminarono fisicamente coloro che avevano servito il regime precedente, ma portarono alla morte di un milione e mezzo di cittadini costretti a trasferirsi nelle campagne. Il comunismo agrario abolì il denaro, furono distrutti materialmente i templi, biblioteche e istituzioni. Il regime di Pol Pot costituiva un ostacolo per il Vietnam, che intendeva controllare l’Indocina, allora nel ’78 inviò le sue truppe in Cambogia e installarono un governo amico, scalzando i khmer rossi. Questi furono aiutati dalla Cina e diedero vita a guerriglie, ma la situazione si placò solo dopo l’intervento dell’Onu, che nel ’91 restaurò la monarchia e libere elezioni. 22.11. La Cina dopo Mao Dopo la morte di Mao Zedong nel 1976, la Cina comunista si aprì ad un processo di revisione interna, ed artefice principale di questa demaoizzazione ideologica, economica e politica fu Deng Xiaoping, un anziano esponente della dirigenza comunista, riabilitato dopo la rivoluzione culturale dal primo ministro Chou en-lai. Deng Xiaoping prese la guida del paese nel 1981 e avviò un capovolgimento della linea collettivista ed egualitaria di Mao. Promosse una serie di modifiche nella gestione dell’economia come differenze salariali, importazioni di tecnologia, libero mercato per i contadini e diversi elementi di economia di mercato che apportarono una stratificazione sociale, che però non si accompagnò ad una democratizzazione. Il contrasto fra modernizzazione economica e struttura burocratica autoritaria del potere fu all’origine di un movimento di contestazione animato dagli studenti dell’Università di Pechino e brutalmente represso militarmente, fino al culmine del massacro di piazza Tienanmen nel giugno 1989. 22.12. Il Giappone: successi economici e debolezza politica Il Giappone, già protagonista nel secondo dopoguerra di un “miracolo economico”, subì gli effetti della crisi petrolifera che provocò una caduta della produzione, ed inoltre uno scandalo finanziario ne danneggiò la stabilità politica. Già negli anni ’80 il tasso di sviluppo era tornato a crescere e il paese si affermava come la seconda potenza industriale e finanziaria del mondo. La ridotta spesa militare imposta nel dopoguerra dagli Usa, se da un lato avesse consentito maggiori investimenti produttivi, dall’altro non avrebbe permesso al Giappone di assumere un ruolo in campo internazionale adeguato alla sua forza economica. 23. La caduta dei comunismi in Europa 23.1. Un impero in crisi Il declino dell’Urss, manifestatosi già negli anni ’70, conobbe una brusca accelerazione nel decennio successivo. Decisivo nel determinare la crisi fu il fallimento del tentativo di Gorbaciov di avviare un processo di parziale liberalizzazione, aprendo limitati spazi di pluralismo nel sistema sovietico e nei rapporti con le democrazie popolari. La Polonia aveva già anticipato questi mutamenti all’inizio degli anni ’80, con la nascita del sindacato indipendente cattolico Solidarnosc, ma anche a seguito dell’elezione al pontificato di Karol Wojtyla, che fece da mediatore. Dopo l’avvento di Gorbaciov si mise in moto un processo che portò, nell’89, alle prime libere elezioni in uno stato satellite dell’Urss, infatti, si riunì un governo di coalizione proprio in Polonia. 72 Dalla Polonia si innescò una reazione a catena che avrebbe messo in crisi, in pochi mesi anche le altre democrazie popolari a partire dall’Ungheria, dove i nuovi dirigenti comunisti legalizzarono i partiti e rimossero i controlli polizieschi con l’Austria. Si apriva la prima breccia nella cortina di ferro. 23.2. Il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione tedesca A partire dell’estate dell’89, decine di migliaia di cittadini della Germania comunista abbandonarono il loro paese per raggiungere la Repubblica federale, mettendo in crisi il regime comunista. I nuovi dirigenti, con l’avallo di Gorbaciov, avviarono un processo di liberalizzazione degli espatri, ma la sera del 9 novembre 1989, dopo che un portavoce aveva annunciato la libera circolazione tra le due metà di Berlino, separate dal muro dal 1961, le masse scesero a smantellarlo materialmente e segnarono la caduta del muro di Berlino. Questa concise con l’apertura dei confini tra le due Germanie e immediata conseguenza fu la questione della riunificazione tedesca. Nel marzo 1990 si tennero le libere elezioni nella Germania dell’Est, che portarono alla vittoria dei cristiani democratici e alla salita al governo di Kohl che guidò un’azione efficace per la riunificazione. Nel maggio era stabilita l’unificazione economica e monetaria, mentre il 3 ottobre 1990, dopo l’assenso di Gorbaciov, entrò in vigore il trattato di unificazione politica, che prevedeva l’assorbimento della Repubblica democratica alle strutture istituzionali della Repubblica federale. La Germania tornava ad essere uno Stato unitario. 23.3. La fine delle “democrazie popolari” La caduta dei regimi comunisti dell’Europa orientale avvenne nella maggior parte dei casi in forma pacifica. Si pensi in Cecoslovacchia le manifestazioni popolari, rilanciate dagli esponenti della primavera di Praga come Dubcek, portarono alle istituzioni democratiche grazie alla rivoluzione di velluto. La democratizzazione avvenne anche in Polonia, Ungheria, Bulgaria e Albania, con l’eccezione della Romania, dove il dittatore Ceausescu tentò di reprimere l’insurrezione popolare nel dicembre ’89, ma fu catturato e giustiziato. Un caso diverso fu quello jugoslavo, dove già alla morte di Tito nell’80, si era aperta una grave crisi economico e istituzionale che si innestava nei contrasti etnici. Nelle ex “democrazie popolari”, la riconversione dell’apparato produttivo in funzione del mercato e il ritorno della democrazia non furono facili, ma non furono messe in discussione le nuove istituzioni. 23.4. La dissoluzione dell’Urss All’inizio degli anni ’90 dopo la perdita del controllo sull’Europa orientale, si disgregò anche l’Urss sotto la spinta delle rivendicazioni nazionaliste interne, dato che rappresentava la più grande compagine multietnica mondiale, che cominciarono nelle Repubbliche baltiche (Lettonia, Estonia, Lituania) per poi estendersi in tutta l’Unione Sovietica. Anche la Repubblica russa rivendicò la propria autonomia dal potere federale ed elesse alla sua presidenza il riformista Boris Eltsin. Mentre si aggravava la situazione economica, nell’agosto 1991 una parte della dirigenza sovietica tentò il colpo di Stato per poter ritornare alle fondamenta del vecchio regime e quindi bloccare il processo di rinnovamento importato da Gorbaciov, il quale fu anche sequestrato. Il fallimento del golpe che si ebbe a causa della non collaborazione militare, della mobilitazione popolare e dell’intervento di Eltsin, accelerò la dissoluzione dell’unità centrale. Dopo le tre Repubbliche baltiche, si ritennero indipendenti unilateralmente dall’Urss, anche le altre Repubbliche sovietiche quali: Georgia, Armenia, Azerbaigian, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Uzbekistan e ovviamente la Repubblica russa. Il tentativo di Gorbaciov di rilanciare l’Unione sovietica, ma con soli scopi di mantenimento del controllo della politica internazionale fu reso vano dalla creazione della Comunità degli Stati indipendenti da parte della maggior parte delle repubbliche, il 21 dicembre 1991. Ciò sancì le dimissioni di Gorbaciov il 25 dicembre e la fine dell’Unione Sovietica. 75 Per garantire il rispetto dei parametri di Maastricht, i paesi Ue furono costretti a adottare politiche di tagli della spesa pubblica e di austerità. I conseguenti effetti negativi sul piano sociale provocarono tra i cittadini reazioni di protesta e disaffezione nei confronti delle istituzioni comunitarie. Nel 1998 vennero ufficialmente istituite l’Unione monetaria europea (Ume) e la Banca centrale europea (Bce), alla quale erano delegate in maniera esclusiva i poteri delle banche centrali nazionali come l’emissione di moneta e la regolazione del tasso di interesse. L’euro entrato in vigore il primo gennaio 1999, sostituì le valute nazionali nel 2002, tranne in Gran Bretagna, Svezia e Danimarca. 24.5. La scena politica europea tra XX e XXI secolo Il dibattito sull’Unione europea (e sui vincoli che essa poneva alle politiche nazionali) si intrecciò con le vicende dei singoli paesi, che videro un’alternanza tra le forze moderate e forze progressiste. Negli anni ’90, in Germania, Francia e Spagna, le difficoltà relative al processo di integrazione penalizzarono inizialmente i partiti socialisti, ma successivamente questi ottennero un notevole successo. 24.6. L’allargamento dell’Unione tra progressi e resistenze All’inizio del nuovo secolo, l’Unione accolse le richieste di adesione di quasi tutti i paesi ex comunisti dell’Europa orientale, cancellando la frattura della guerra fredda. Nel 2007 con l’ingresso di Bulgaria e Romania, i paesi membri arrivarono a 27, mentre nel 2013 con la Croazia a 28. Il tentativo di potenziare l’Ue rispetto all’azione dei governi nazionali fu avviato nel 2001 con la Convenzione di Nizza, che ebbe il compito di redigere una Carta costituzionale che doveva contenere i principi generali alla base dell’Unione e una riforma delle istituzioni comunitarie. Questa, tuttavia, non venne approvata dai referendum indetti in Francia e in Olanda nel 2005, in protesta di una carta costituzionale calata dall’alto e dalla presa di potere economico dell’Ue. Nel 2007, in occasione del vertice europeo di Lisbona, fu approvato un trattato di riforma che, oltre a modificare e inglobare alcuni principi della Convenzione di Nizza, allargava le competenze dell’Unione europea nelle materie di energia e sviluppo, immigrazione e lotta alla criminalità. L’integrazione europea fu però ancora una volta avversa per le particolari condizioni di crisi durante la depressione del 2008. Presero forza movimenti no euro, come in Gran Bretagna, che ne decretarono la Brexit approvata con referendum nel 2016. 25. Il mondo del Medio Oriente 25.1. Un’area contesa I principali fattori di tensione nel mondo arabo-islamico furono dettati, negli ultimi decenni del ‘900, dalla competizione per il petrolio, dalla ripresa del conflitto arabo-israeliano in Palestina, e dalla rinascita in forme nuove e più aggressive del fondamentalismo islamico, quale elemento fondante dell’identità collettiva. Questa corrente, basata sulla reinterpretazione rigida delle norme del Corano, mirava a una reislamizzazione della società e chiamava i musulmani alla guerra santa (jihad) contro gli infedeli e l’Occidente eretico. Il rilancio dell’islam fondamentalista si accompagnò al riacutizzarsi delle antiche divisioni religiose interne al mondo musulmano, a cominciare da quella tra sunniti e sciiti (nata dalla frattura dei successori di Maometto, ad oggi i sunniti rappresentano la maggioranza nel mondo, mente gli sciiti sono presenti in Iran, Iraq, Siria, Libano) 25.2. La pace fra Egitto e Israele Dopo la guerra del Kippur, il presidente egiziano Sadat si impegnò a trovare una soluzione pacifica al conflitto con Israele, grazie anche alla mediazione degli Stati Uniti e rinnegando l’alleanza con i sovietici. Nel settembre 1978, il primo ministro israeliano Begin e Sadat si incontrarono a Camp David, grazie a Carter, e sottoscrissero un accordo che prevedeva un trattato di pace fra i due paesi: l’Egitto ottenne la restituzione della penisola del Sinai. La maggioranza degli Stati arabi condannò la scelta di Sadat e nell’ottobre 1981 fu ucciso al Cairo in un attentato organizzato da un gruppo fondamentalista islamico. 25.3. La rivoluzione iraniana Il fondamentalismo islamico prese le mosse nel 1979 a seguito della rivoluzione scoppiata in Iran per mano dell’ala intransigente musulmana del credo sciita. Governato con metodi autoritari dallo scià Reza Pahlavi, a seguito di una modernizzazione accelerata per trasformare il paese in una grande potenza militare, si alimentò una crescente opposizione da parte del clero tradizionalista guidata da un movimento popolare. Lo scià tentò di reprimere le insurrezioni, ma nel gennaio fu costretto alla fuga, perché prese il suo posto l’ayatollah Khomeini, massima autorità dei musulmani sciiti, costretta all’esilio durante il regime di Pahlavi. In Iran si instaurò una Repubblica islamica di stampo teocratica, guidata dal clero sciita e basata sui dettami del Corano. 76 Divenne tradizionalista e oscurantista in materia di consumi e vita privata, ma al centro della politica vi era l’antioccidentalismo e la sua avversione contro gli Stati Uniti. Infatti, per oltre un anno dal ’79 all’81, il personale dell’ambasciata americana fu sequestrato da militanti islamici appoggiati dalle autorità. Isolato internazionalmente e dissestato nell’economia, l’Iran fu attaccato dall’Iraq, che era appoggiato dagli Usa, nel settembre del 1980, ma la guerra durò otto anni e non produsse cambiamenti, anzi oltre un milione di morti. 25.4. La guerra del Golfo Nell’agosto del 1990 Saddam Hussein, dittatore dell’Iraq che aveva proceduto alla guerra contro l’Iran, decise di invadere l’Emirato del Kuwait, affacciato sul Golfo Persico. L’invasione del Kuwait, che segna l’inizio della guerra del Golfo, era originata da rivendicazioni territoriali e mirava al controllo delle risorse petrolifere. Quest’azione che fu subito condannata dalle Nazioni Unite, che decretò l’embargo, provocò anche la reazione degli Stati Uniti, ai quali si unirono anche gli Stati europei, che inviarono un corpo di spedizione in Arabia Saudita per difendere gli Stati arabi e costringere Saddam al ritiro. Alla fine di novembre il CdS approvò a maggioranza la risoluzione che obbligava l’Iraq a lasciare il Kuwait entro il 15 gennaio 1991, ma fu costretto a rimediare con la forza multinazionale, dato che Saddam attaccò l’Arabia Saudita e l’Israele con operazioni missilistiche. Alla fine di febbraio l’operazione di terra fece cedere l’esercito iracheno, ma non proseguì oltre la controffensiva. Saddam Hussein nonostante la sconfitta rimase al potere. 25.5. La questione palestinese All’indomani degli accordi di Camp David del 1978, a partire della metà degli anni ’80 la dirigenza dell’Olp, dopo la denuncia del comportamento egiziano, assunse una posizione più morbida nei confronti di Israele e si dimostrò disposta a trattare. Arafat intendeva riconoscere Israele in cambio di Gaza e della Cisgiordania, ma Israele rifiutò in quell’occasione. La tensione crebbe notevolmente quando nel 1987 scoppiò la prima intifada, una rivolta popolare dei palestinesi avvenuta nei territori occupati da Israele, che represse duramente. Le tensioni create dal nodo palestinese si fecero risentire anche in Libano, Stato pluriconfessionale, che aveva accolto le truppe dell’Olp cacciate nel settembre nero del ’70. Lì la fragilità su cui si reggeva la convivenza tra cristiani, mussulmani sunniti e sciiti si fece sentire nel 1975 quando scoppiò una cruenta guerra civile, in cui tutte le fazioni si fronteggiavano a viso aperto. La situazione degenerò ulteriormente dopo che anche Israele nel ’82 partecipò alla guerra spingendosi a Beirut per allontanare le milizie dell’Olp. Neanche l’intervento delle forze multinazionali e l’evacuazione dell’Olp portarono alla fine della guerra perché vi si inserì anche la Siria, che impose un protettorato sul Libano. Dopo le prime conferenze che riunirono tutti i paesi del Medio Oriente e la vittoria del Partito laburista israeliano con Rabin primo ministro, nel 1993 si profilò una svolta storica con gli accordi segreti di Oslo che portarono al reciproco riconoscimento tra Arafat e Rabin. Dopo la solenne sottoscrizione degli accordi a Washington, grazie a Clinton, nel 1994 si concretizzò anche l’autonomia amministrativa dei territori palestinesi con la creazione dell’Anp. Ancora sul tavolo delle trattative rimanevano questioni irrisolte come gli insediamenti palestinesi occupati dagli ebrei, la sorte di Gerusalemme e la minaccia dell’integralismo islamico. Dopo l’accordo, infatti, si verificarono sempre più attentati terroristici che colpirono i civili e anche il primo ministro Rabin. Le elezioni del 1996 portarono alla vittoria del Likud con Benjamin Netanyahu, che segnò un rallentamento del processo di pace, che riprese dopo l’elezione nel ‘99 di Barak e della coalizione di centro-sinistra. Clinton tentando un’operazione di pace invitò le parti a Camp David negli anni 2000, ma l’accordo di pace saltò a causa della questione di Gerusalemme (città santa per entrambe le parti). Poco dopo nel settembre del 2000, si innescò di nuovo lo scontro, quando il generale israeliano Sharon visitò la moschea di Gerusalemme. Ciò fu visto come una provocazione da parte della popolazione palestinese, che diede inizio alla seconda intifada, sta volta con effetti più ampi e cruenti, perché condotti da organizzazioni estremistiche come Hamas. 25.6. La diffusione dell’integralismo islamico Alla fine del ‘900 aumentò la diffusione delle correnti fondamentaliste nell’intero mondo islamico sunnita e sciita. Questa tendenza fu rafforzata dalla rivoluzione in Iran nel ’79 e dall’occupazione occidentale durante la guerra del Golfo. Nel ’96-97, le tendenze fondamentaliste trovarono base in Afghanistan sotto il regime dei talebani che approfittarono del ritiro sovietico per assumere il controllo del paese e imporvi un regime oscurantista. In Algeria, la reazione dei gruppi fondamentalisti all’annullamento delle elezioni che avevano vinto portò a una serie di sanguinosi scontri. 77 In Turchia, che dalla sua fondazione con Ataturk regnava la laicità dello Stato, nel 2002 si affermò il partito islamico moderato di Erdogan. Il suo governo fu caratterizzato da politiche autoritarie e repressive contro le minoranze come i curdi. Intanto, le manifestazioni di islamismo violento si ebbero anche in Somalia, in Sudan, in Pakistan e nell’Africa subsahariana, ma coinvolsero anche l’occidente con l’aumento degli attentati internazionali. La metà degli anni ’90 fu caratterizzata da uno scontro di civiltà. 26. Declino e crisi della Prima Repubblica 26.1. Contestazione e riforme La fine degli anni ’60 fu caratterizzata in Italia da una radicalizzazione dello scontro sociale che ebbe come protagonisti gli studenti universitari, che occuparono numerose facoltà. La contestazione giovanile pur ripresentando l’antiimperialismo, la protesta contro la guerra in Vietnam, in Italia assunse la critica dell’autoritarismo accademico e del principio di selezione scolastica insieme alla critica del sistema capitalistico e della cultura borghese. Il movimento studentesco del ’68 individuò come interlocutore la classe operaia e si stabilì un collegamento diretto col proletariato con la creazione di gruppi politici operaisti extraparlamentari come Avanguardia operaia o Potere operaio. La riscoperta delle posizioni operaiste sfociò in un’intensa stagione delle lotte nell’industria portate avanti nell’“autunno caldo” nel ’69. Il protagonista delle proteste fu l’operaio di massa, il più emarginato della società, e per questo le tre maggiori organizzazioni sindacali riuscirono a prendere in mano la direzione delle lotte ed a ottenere la firma di contratti nazionali con vantaggi salariali. L’impegno comune di Cgil, Cisl e Uil nell’autunno caldo, contribuì a portare attenzione oltre che sui rapporti di lavoro, anche su questioni sociali come le pensioni, la sanità e il fisco. Il nuovo peso assunto dai sindacati portò nel 1970 alla creazione da parte del Parlamento dello Statuto dei lavoratori, che garantiva libertà sindacali e diritti ai salariati. Nel complesso, però, le lotte studentesche non ebbero particolari sbocchi politici, dato la Dc mantenne il centro della politica e si consolidò l’opposizione del Pci nelle elezioni del 1968. Vi fu però un moderato riformismo nel ‘70 con la liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie, con l’istituzionalizzazione delle regioni e con l’introduzione dell’istituto del divorzio. 26.2. Violenza politica e crisi economica Dopo la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, si aprì per l’Italia una lunga stagione di violenze e di attentati, riconducibili alla destra eversiva e finalizzati a incrinare le basi dello Stato democratico. L’impotenza dimostrata dai poteri pubblici rifletteva profonde divisioni all’interno dello schieramento di governo, che era caratterizzato dalla moderazione della Dc e del Psdi e dal tentativo fallito nel 1972 di una formula centrista con il governo di Andreotti. Intanto la situazione economica ritornava preoccupante per gli effetti della crisi petrolifera, come la situazione politica nel 1974 coinvolta in scandali finanziari e tangenti. Gli equilibri politici cominciarono a modificarsi dopo il referendum sul divorzio nel 1974, indetto da Dc e Msi sostenitori dell’abolizione, ma che vide la conferma della legge, anche grazie al sostegno del Partito Radicale di Pannella, segnando profondi cambiamenti della società in contrasto con le posizioni della Chiesa e della Dc. Infatti, si segnarono altre tappe di riforme come la legalizzazione dell’aborto nel ’78. A cogliere i frutti del cambiamento fu la nuova politica del “compromesso storico”, annunciata dal segretario della Pci Berlinguer, il quale disconobbe le azioni dell’Urss e si aprì al compromesso con socialisti e cattolici. Da questo distacco dalle vecchie politiche si favorirono i successi elettorali dei comunisti nel 1976, elezioni a cui poterono partecipare anche i diciottenni. Il Pci arrivò al 34,4%, la Dc al 38,7%, mentre solo 10% dei voti fu a favore del Psi, il quale decretò la crisi del gruppo dirigente e favorì l’ascesa di Bettino Craxi. 26.3. Terrorismo e “solidarietà nazionale” L’esito delle elezioni del giugno 1976 portò in agosto alla creazione di un governo monocolore democristiano da parte di Andreotti, in seguito all’astensione dei comunisti e dei socialisti, ma con il voto favorevole di Msi e dei radicali. Si aprì la stagione dei governi di “solidarietà nazionale”, basati su maggioranze allargate in risposta alla preoccupante situazione politica e al fenomeno terrorista di destra e di sinistra. Il terrorismo di destra era caratterizzato dal ricorso ad attentati dinamitardi in luoghi pubblici per favorire la svolta autoritaria. Il terrorismo di sinistra nacque a seguito di uno Stato debole e corrotto, e per contrastare il terrorismo di destra. Per i terroristi l’azione armata rappresentava un modo per rovesciare il sistema capitalistico e lo Stato borghese, infatti, agirono all’inizio con attentati presso fabbriche e sedi partito, ma in 80 favorevole del Pds, Ppi e Lega. Nell’imminenza delle nuove elezioni nel dicembre ’95, i due schieramenti si riorganizzarono, con alcune varianti: - nel 1995 nacque L’Ulivo, partito di centro-sinistra che raccoglieva Pds, Ppi e ruotava attorno alla candidatura di Romano Prodi; - nel centro-destra fu costituito il Polo delle libertà che riuniva Forza Italia, Alleanza nazionale e altri gruppi guidati da Berlusconi, mentre la Lega Nord rimase isolata. Il 21 aprile 1996 le elezioni portarono alla vittoria dell’Ulivo che si impose con la maggioranza assoluta in Senato e relativa nella Camera, dove determinante fu l’appoggio di Rifondazione comunista. 26.8. Il centro-sinistra e la scelta europea Il nuovo governo presieduto da Romano Prodi nel 1996 schierava nelle sue file esponenti illustri: Veltroni vicepresidente del Consiglio, Napolitano agli Interni, Ciampi alle Finanze, Dini agli esteri e Di Pietro ai Lavori pubblici. Il primo obiettivo perseguito dal governo fu quello di ridurre il deficit di bilancio al 3% per poter consentire all’Italia di rientrare nei parametri di Maastricht ed essere ammessa nel sistema della moneta unica europea, che entrò il 1° gennaio 2002 a sostituzione della lira. Per rendere stabili i risultati raggiunti occorreva anche agire sul fronte del Welfare, ma la spesa previdenziale creata da molti pensionati anticipati risultò un carico da sopportare per le generazioni future. Allora, si tentò di calcolare la pensione non a seconda il sistema retributivo, ma con il sistema contributivo. Questo provocò agitazioni sindacali e l’opposizione di Rifondazione comunista che provocò nell’ottobre 1998 il ritiro della fiducia. Si formò il governo D’Alema, esponente dei Democratici di sinistra (Ds) nuovo nome del Pds, e primo ex comunista a divenire presidente del Consiglio. I primi ampi consensi di questa nuova maggioranza si ebbero con l’elezione a presidente della Repubblica di Ciampi nel 1999, ma la coalizione non resse per la sconfitta nelle elezioni regionali della sinistra. D’Alema si dimise e nel 2000 fu richiamato un nuovo governo di centro- sinistra con Amato. Importante di questo governo fu la riforma del Titolo V della Costituzione che determinò le modifiche ai poteri degli enti locali. 27. La terza rivoluzione industriale e la globalizzazione 27.1. La rivoluzione informatica Gli ultimi decenni del ‘900 hanno segnato nuove trasformazioni nell’economia, tale da parlare di terza rivoluzione industriale, che hanno avuto il loro centro propulsore nelle crescenti applicazioni dell’elettronica ai settori delle telecomunicazioni e dell’informatica. Alla metà degli anni ’70 per iniziativa di alcuni giovani imprenditori, sorsero aziende destinate a dar un contributo al successo mondiale del computer, una grande macchina di calcolo che consente di elaborare in maniera complessa rispetto all’uomo. L’industria informatica con l’avvento della microelettronica (microprocessori, schede di transistor al silicio) si è riversata in tutti i principali impianti produttivi e ha contribuito a trasformare le forme di comunicazione e le relazioni sociali. La digitalizzazione ha consentito di unificare i linguaggi e di far circolare informazioni di diversa natura sugli stessi canali di comunicazione. 27.2. La Rete Una delle più importanti novità dell’ultimo decennio del ‘900 fu lo sviluppo di Internet. Creato inizialmente per collegare i computer militari americani, fu poi diffuso nelle università, ma l’espansione si ebbe quando al Cern di Ginevra fu inventato il server World Wide Web. La Rete ha contribuito a modificare i modi di espressione e gli orizzonti culturali di milioni di persone sempre più connesse tra loro. Alla rapidissima espansione della Rete su scala planetaria sono legate innovazioni come la posta elettronica e i social networks. 27.3. Economia globale e finanza internazionale L’accresciuta velocità delle comunicazioni e la maggiore facilità di spostamento sono all’origine di una sempre maggiore integrazione economica e finanziaria a livello planetario, la cosiddetta “globalizzazione”. Al processo di mondializzazione della finanza ha contribuito anche la decisione degli Stati di ridurre o eliminare i vincoli alla circolazione dei capitali. L’integrazione dei mercati, in una economia più incentrata sulla compravendita di titoli finanziari, ha permesso nuove possibilità di investimento a grandi e piccoli risparmiatori, ma anche la crescita fittizia di patrimoni che vanno contro ai rischi delle oscillazione del mercato. 27.4. Il governo dell’economia mondiale e la tutela dell’ambiente A partire dagli anni ’70, gli Stati più industrializzati promossero vertici annuali per coordinare le loro politiche soprattutto in materia economica. Tra questi vi è la nascita del G8, mentre nel 1995 vi è l’istituzione del Wto, organismo internazionale per la tutela e il coordinamento delle politiche commerciali a livello mondiale. 81 Anche per quanto riguarda l’emergenza ambientale le potenze hanno avviato una serie di vertici internazionali, volti a incentivare le pratiche di sviluppo sostenibile: con gli accordi di Parigi del 2015, 196 paesi si impegnavano a combattere le emissioni di gas inquinanti. Contro gli effetti della globalizzazione si è diffuso un moto di protesta mondiale, i no global, in difesa dei paesi in via di sviluppo e per un’equa redistribuzione delle ricchezze. 27.5. Le trasformazioni nel mondo del lavoro e dell’industria Gli sviluppi dell’elettronica e dell’informatica hanno accelerato la transizione verso una società “postindustriale”, caratterizzata dalla delocalizzazione verso paesi con manodopera a basso costo, dalla prevalenza del terziario, dalla fine della centralità della fabbrica e del modello produttivo della catena di montaggio (postfordismo). Un’altra caratteristica della nuova organizzazione del lavoro è la flessibilità, cioè l’occupazione stabile, con contratti a tempo indeterminato, è stata spesso sostituita con forme di assunzione temporanea. 27.6. Mutamenti demografici e migrazioni Il nuovo mondo globalizzato del XXI secolo vede non solo lo spostamento di merci e denaro, ma anche di uomini e popolazioni. Rispetto all’inizio del secolo precedente gli spostamenti interessano anche la forza- lavoro qualificata, mentre è rilevante il peso delle migrazioni clandestine. Lo sviluppo di una società multietnica ha dato luogo a reazioni di diverso segno. Da un lato si è manifestata la tendenza a cogliere gli aspetti positivi dell’immigrazione, dall’altro ci sono state reazioni di ansia e repulsa. Nell’ultimo trentennio del ‘900 la popolazione mondiale ha continuato ad aumentare, ma il ritmo di crescita si sta riducendo. In Europa e negli Usa la crescita zero e il calo della popolazione attiva, leggermente compensata dall’immigrazione, ha reso difficile la sostenibilità dei sistemi pensionistici e hanno contribuito ad accentuare la crisi del Welfare State. 27.7. Questioni di genere Nonostante i progressi compiuti nel campo dei diritti civili e delle pari opportunità nel mondo del lavoro, permane, anche nei paesi più avanzati, una serie di ostacoli all’affermazione dei diritti delle donne. Negli anni recenti è cresciuta, a livello internazionale, l’attenzione versi i numerosi episodi di violenza sulle donne (stupri e femminicidi). Negli ultimi decenni del ‘900 è cambiata anche la percezione generale dell’omosessualità, considerata ora una delle molteplici varianti dell’espressione dell’affettività e della sessualità umana, mentre in molti paesi sono state disciplinate legislativamente le unioni omosessuali e in alcuni casi si è raggiunta la completa equiparazione giuridica al matrimonio civile. 27.8. Le religioni nel mondo contemporaneo All’inizio del XXI secolo la religione resta ancora il riferimento culturale fondamentale per buona parte dei popoli del pianeta. Un ruolo importante nel rilancio planetario del cattolicesimo è stato svolto dal papa polacco Karol Wojtyla, salito al soglio pontificio nel 1978 col nome di Giovanni Paolo II. Un altro fenomeno caratteristico di questo periodo è l’espansione della religione musulmana al di là delle sue aree tradizionali di insediamento. Il rilancio dell’islam ha spesso preso le forme dell’integralismo, ossia di quella tendenza che si batte per un’applicazione integrale dei precetti religiosi e per la subordinazione del potere civile all’autorità spirituale. 27.9. Medicina e bioetica L’aumento della durata media della vita dell’uomo, che, all’inizio del terzo millennio, risultava più che raddoppiata rispetto a un secolo prima, è dovuto innanzitutto ai continui progressi realizzati dalla scienza medica e allo sviluppo delle conoscenze e delle tecnologie biomediche. Molto rilevanti, per esempio, i risultati ottenuti nella diagnostica per immagini e nella cura delle malattie cardiovascolari e tumorali grazie all’applicazione dell’ingegneria genetica. A questi progressi, però, ha fatto riscontro negli ultimi decenni la comparsa di nuove malattie, come l’Aids. Gli sviluppi della medicina e della genetica hanno aperto nuovi problemi nei rapporti fra scienza ed etica. I limiti degli interventi sulla natura e sulla vita costituisco il campo di riflessione della bioetica. 28. Sviluppo e disuguaglianza 28.1. Le economie emergenti I processi di globalizzazione hanno ridisegnato la geografia della ricchezza, modificando i rapporti tra aree prospere e industrializzate e aree povere e arretrate. Non solo i paesi produttori di petrolio hanno visto aumentare la loro ricchezza, ma anche le nazioni dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa. In particolare, 82 Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, il Brics, hanno raggiunto alti tassi di crescita e rapida industrializzazione. A una crescita dei consumi fa però riscontro l’aumento di sacche di arretratezza. 28.2. La Cina potenza mondiale Il caso più rilevante di decollo economico fu quello cinese, con un tasso di crescita del Pil medio al 10% annuo. Nel 2011 la Cina divenne la seconda potenza mondiale dopo gli Usa. Alla crescente integrazione con i mercati internazionali con l’ingresso alla Wto furono liberalizzati gli istituti bancari, fu riordinato il sistema fiscale e tutelata la proprietà privata. Nel ’97 la Cina riottenne la sovranità su Hong Kong, colonia inglese, ma attraverso alla convivenza di due sistemi autonomi, mentre nel ’99 dal Portogallo riottenne Macao. Il quadro politico fornito da Deng Xiaoping e basato sull’autoritarismo del partito unico e sulla parziale liberalizzazione portò ad un aumento della urbanizzazione e del benessere di alcuni strati sociali, anche perché si accentuò la disuguaglianza e le violazioni dei diritti politici erano sempre evidenti, anche nel recente periodo con Xi Jinping. 28.3. Il Giappone e le “tigri asiatiche” Sia il Giappone sia le “tigri asiatiche” (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong) dovettero affrontare la grave crisi finanziaria del ’97-’98, originata da un eccesso di produzione e da un’incontrollata euforia speculativa. L’intervento delle autorità monetarie internazionali tamponò gli effetti immediati della crisi. La ripresa fu lenta, soprattutto per il Giappone che entrò in stagnazione per le difficoltà politiche. Le “tigre asiatiche”, invece, uscirono velocemente dalla crisi grazie all’integrazione tra iniziativa privata e intervento dello Stato a sostegno delle imprese. Questi paesi conquistarono posizione nelle tecnologie informatiche e nel settore della finanza. In seguito sulle stesse linee anche i paesi dell’Indocina si comportarono come le “tigri asiatiche”. 28.4. Lo sviluppo dell’India All’inizio del nuovo millennio anche l’India divenne protagonista della scena economica mondiale, con un ritmo di crescita, a partire dagli anni ’80, inferiore a quello cinese ma elevato. Nel 2012 l’India figurava al decimo posto nel mondo per il Pil, e quinto nel 2017. Grazie all’azione dei governi succedutesi a partire dagli anni ’80, che rafforzarono l’azione privata, numerose imprese informatiche e dei servizi poterono prendere le posizioni internazionali del mercato. Permanevano comunque vaste sacche di arretratezza dovuti alle questioni etniche e alle caste. 28.5. L’America Latina: dalle crisi allo sviluppo In America Latina, negli anni ’80, si assisté alla caduta delle dittature militari e al conseguente ritorno a una precaria vita democratica. Questo processo di democratizzazione, però, incontrò ostacoli di natura economica, politica e sociale. Quasi tutti i paesi furono travagliati dall’inflazione e da un pesantissimo carico di debiti con l’estero. Gli inizi degli anni ’90 segnarono l’avvio di una ripresa e la tendenza alla creazione di aree economicamente integrate come la Nafta (Messico, Canada, Stati Uniti) e il Mercosur (paesi latinoamericani). Per i maggiori paesi del Sud America una nuova crisi si profilò a partire dal 1998: il Brasile riuscì a superare il momento difficile, mentre l’Argentina precipitò in una crisi finanziaria che portò al suo default. Negli anni successivi in alcuni paesi dell’America latina si instaurano regimi autoritari populisti come in Venezuela, prima con Chavez e poi Maduro, che portarono a una grande crisi economica e violente proteste. Negli altri paesi i paesi dell’America latina nel nuovo secolo conobbero un’intensa crescita produttiva e tecnologica grazie all’apertura del mercato internazionale. 28.6. Il nuovo Sudafrica Tra i paesi che hanno intrapreso, negli ultimi decenni, la strada dello sviluppo, c’è anche il Sudafrica, che si liberò nel ’90 del regime di discriminazione razziale (apartheid) e portò alle elezioni a suffragio universale, nel maggio ’94, la vittoria del movimento non segregazionista e del suo leader Nelson Mandela. Il nuovo Sudafrica riuscì a superare i difficili problemi di convivenza e a mantenere la sua unità e le istituzioni rappresentative. Il ritiro di Mandela nel ’99, portò conflittualità politica, ma sul piano economico lo sviluppo fu avviato grazie alle risorse del paese e all’integrazione dei mercati internazionali che portarono il paese nel gruppo Brics. 28.7. La geografia della povertà: l’Africa subsahariana Nonostante i grandi mutamenti verificatisi in alcune aree del Terzo Mondo alla fine del ‘900, rimaneva irrisolto il divario tra i paesi ricchi e poveri. La povertà si raggiunse con punti critici nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana, dove il Pil annuo era molto inferiore, regnava l’analfabetismo, alti tassi di mortalità e fame, epidemie e debito estero diventavano problemi sempre più pressanti.