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"Il mondo sonoro dei Bosavi" - Steven Feld, Schemi e mappe concettuali di Antropologia

Riassunto integrale del nuovo libro di Steven Feld per l'esame di ANTROPOLOGIA DELLA MUSICA presso l'Università di Torino tenuto dal Prof. Ilario Meandri

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 22/07/2022

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Myriam_96 🇮🇹

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Scarica "Il mondo sonoro dei Bosavi" - Steven Feld e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Antropologia solo su Docsity! IL MONDO SONORO DEI BOSAVI - Steven Feld - 1. GLI UOMINI DEL BOSAVI Se si viaggia verso l’interno della Papua Nuova Guinea si arriva sempre nella provincia delle Southern Highlands e se ci si addentra ancora di più si arriva al monte Bosavi (vulcano estinto) i cui abitanti di questi territori prendono il nome da quest’ultimo. Il primo contatto con gli europei avvenne nel 1937, ma fu solamente tra la fine degli anni 50 – inizio 60 che le autorità australiane imposero con la forza un regime coloniale a cui si accompagnò, poi, l’opera di missionari evangelici fondamentalisti. L’indipendenza della Nuova Papua Guinea venne istituzionalizzata nel 1975 (anno precedente al primo soggiorno in questi territori da parte di Feld). Gli uomini bosavi (“bosavi kalu”) si dividono in 4 gruppi diversi: I. Kaluli II. Ologo III.Walulu IV. Wisesi La popolazione è divisa in 20 comunità sedentarie aggregate alle tradizionali “case comunitarie”, ciascuna di queste comunità è costituita da un nucleo composto da due/tre gruppi di discendenza patrilineare i quali comprendenti circa 15 famiglie. Ampi legami di parentele per via di matrimoni esogamici (= obbligo che hanno i membri di un gruppo umano di prender per moglie una donna non appartenente al gruppo stesso). 1. I KALULI La loro è una società senza classi, non esistono livelli/stratificazioni sociali o occupazionali, non ci sono professioni né condizioni sociali acquisite che vadano a formare la base di differenziazioni tra la popolazione. Secondo uno dei principi della loro cultura: tutti i Kaluli hanno lo stesso potenziale e dotazione sociale di cui possono disporre come meglio credono. Gli adulti hanno la responsabilità di procurarsi ciò di cui hanno bisogno e/o ciò che desiderano tramite le attività quotidiane. Inoltre tutto ciò che viene fatto grazie ai rapporti e legami di amicizia o di famiglia per i Kaluli è molto importante. Questa è anche una società piuttosto egualitaria a livello economico e politico: non esistono leader scelti per nomina o per elezione, capi, padroni ecc. I kaluli cacciano, raccolgono, lavorano gli orti e si mettono al lavoro per procurarsi ciò di cui hanno bisogno prendendosi cura di loro stessi e dei loro familiari tramite un’ampia rete di cooperazione nella Identici per cultura ma diversi a livello linguistico (in modo lieve) distribuzione del cibo e nell’assistenza sul lavoro. Questo popolo caccia, pesca, coltiva patate dolci, zucche, banane, taro ecc. Il loro alimento principale è il sago ottenuto dalle palme che crescono nelle zone acquose/fangose e nei ruscelli. La vita sociale del villaggio ruota intorno alla casa comunitaria. Non tendono a fare grandi distinzioni in base al genere rispetto ad altri tipi di società senza classi che appartengono alla fascia media della complessità tecnico-economica: anche se gli uomini e le donne Kaluli hanno attività quotidiane diverse e spesso esclusive dei singoli sessi, il livello di antagonismo sessuale e di astio diffuso nella Papua Nuova Guinea qui, tra i Kaluli, non è presente. Molte attività di produzione e controllo sono basate sulla cooperazione, le negoziazione sulla dote della sposa e i vari accordi matrimoniali sono il caso più ovvio in cui gli uomini possono esercitare la loro autorità e prendere decisioni che rappresentano una forma di controllo diretto sulle donne . A causa dell’arrivo e dell’influenza dei padri evangelici e dei rappresentanti del governo papuano, i Kaluli iniziano a sentire il “peso” e la “pressione” di questa stratificazione e differenziazione che deve esserci per forza. Gli scritti che si troveranno a seguire sono stati scritti pensando ed analizzando il periodo degli ultimi anni 60 fino alle metà degli anni 70 del secolo scorso: si sono registrati dei cambiamenti radicali nel Bosavi in quell’arco di tempo. Quando Feld tornò in questi territori nel 1982 scoprii che il Cristianesimo evangelico (così solido negli anni 70) aveva perso buona parte della sua attrattiva: i Kaluli si erano stancati di aspettare la seconda venuta di Gesù Cristo dopo lunghi anni in cui era stato detto loro di prepararsi per un suo arrivo imminente, alcuni rituali sono stati potenziati ma si erano create tensioni a causa della circolazione del denaro e del desiderio di beni materiali occidentali. I cambiamenti che hanno avuto luogo hanno influenzato le varie comunità: si sono diffuse nuove forme di sfruttamento e confusione + livello di “ansia” culturale si è alzato.  In MUSICA non è solo un termine tecnico ma ha senso sia specifico che generale: in senso generico il modo è una sequenza di toni diatonici in un’ottava (modo maggiore, minore ecc.) mentre nello specifico è un tipo di organizzazione dei toni tipico della musica della Grecia classica e della Chiesa medievale (dorico, lidio, frigio ecc.). Oggi è ugualmente popolare nelle moderne improvvisazioni jazz. In kaluli la relazione dei campi semantici “acqua” e “suono” rivela dei processi linguistici di tipi (connessione con l’acqua nel modo di cantare e suonare, “cascate”). 2. ASPETTI DELLA TEORIA MUSICALE KALULI 2.1 Persone, luoghi e canzoni Reciprocità come mezzo di organizzazione della vita quotidiana = E’ al centro del popolo dei Kaluli. Questa reciprocità la troviamo soprattutto nelle cerimonie “di tutta la notte” che prevedono l’esecuzione di canti. Esistono 5 tipi di cerimonie e canti tra i Kaluli, ma loro affermano di aver dato vita solamente al ghisalo; gli altri quattro si possono trovare nei gruppi vicini. E’ il termine generico per canti o cerimonie ma è anche il termine che designa i tipi specifici di canti e cerimonie che i Kaluli considerano più importanti. E’ un tipo di canto molto complesso, tutti i principi teorici musicali espressi fino ad ora sono incastonati perfettamente a questa tipologia di canto. Viene eseguito in due contesti: - Le cerimonie tradizionali “di tutta la notte” (= i canti vengono composti nuovamente da zero ed eseguiti dagli invitati in una casa comunitaria ospitante. L’intento dei canti è quello di rendere gli ospiti nostalgici, riflessivi e sentimentali. Durante l’esecuzione la tristezza evocata sia dal pathos che dalle immagini testuali dall’esecutore conduce i membri dell’uditorio alle lacrime) - Le sedute spiritiche dei medium (= I canti ghisalo vengono eseguiti tramite la bocca del medium dagli spiriti in visita, l’uditorio considera il testo come un insieme di indicazioni sull’identità dello spirito. Chi assiste può essere portato alle lacrime da associazioni sentimentali con lo spirito o luoghi cantati. Dopo i canti, lo spirito conversa con i membri dell’uditorio e poi si ritira finché un nuovo spirito – introdotto da una nuova canzone – non appare) Il pianto che si sente in risposta ai canti ghisalo in entrambi i contesti riporta le seguenti note: Re – Do – La – Sol. Le persone “piangono” questa melodia mentre spargono lacrime e aggiungendo parole a volte. Questo stile di pianto si può ascoltare anche negli eventi funebri dove le donne improvvisano pianti lamentosi e canto usando questa stessa forma melodica. L’importanza di questo canto trova fondamento in un mito Kaluli: un bambino perduto e abbandonato diventa un uccello muni (colomba). Quando il bambino inizia a piangere, il suono che viene dalla sua bocca è l’acuto falsetto del canto dell’uccello muni che i Kaluli simbolizzano con le quattro note scritte poco più sopra. La voce dell’uccello – equiparata alla voce della tristezza e del pianto – aggiunge testo in un linguaggio speciale: queste “parole di uccello” diventano l’origine di una convenzione poetica I Kaluli partano da questo mito per far sì che il pianto (verso dell’uccello) e la poesia (parole dell’uccello) compongano la canzone. Quindi le voci degli uccelli non forniscono solo il materiale sonoro del pianto e del canto, ma mediano tra questi suoni e i sentimenti sociali ad essi associati perché gli uccelli sono gli spiriti dei Kaluli morti e le voci degli uccelli sono le voci di coloro che sono andati sulle cime degli alberi sotto forma di spiriti 2.2 Composizione, melodia e testo La nozione kaluli di composizione vede una distinzione tra melodia e testo. Ghisalo = “canto” / “melodia” Sa-ghisalo = “testo” cioè parole nel ghisalo La melodia è legata al verso dell’uccello muni mentre l’interno del ghisalo usa come mezzo principale il parlato del muni ovvero il parlato del bambino una colta che è divenuto un uccello (= obegonoto, “parole fatte dei suoni dell’uccello”). La composizione dei canti coinvolge l’uso di campioni sonori e linguistici che vanno a simboleggiare la comunicazione degli uccelli. Dunque vediamo che il suono è naturale in quanto dato dalla melodia dei versi degli uccelli mentre il testo è culturale in quanto è congenito all’interno del suono. La distinzione fra testo e melodia appare chiara e definita quando i Kaluli parlano della composizione per sé: Molan (“uno che canta”) viene usato in due sensi: 1. Vocalizzare sia il testo che la melodia 2. Vocalizzare solo la melodia Il Sa-molan viene usato per il canto tra sé e sé senza vocalizzare (ad esempio quando si canta nella propria testa o si prova la sensazione di avere un canto in mente ecc.) e si riferisce alla sensazione delle parole che si adattano alla melodia venendo alla mente. I Kaluli dicono che questo è “come una cascata che fluisce giù in uno specchio d’acqua” e dicono anche che ogni composizione inizia con una melodia “fuori” e si trova “nell’aria” col suono degli uccelli o realmente vocalizzata da qualcuno che canta la melodia. Altri due concetti all’interno della terminologia compositiva kaluli che vanno ad esemplificare l’idea che il suono è una sostanza data naturalmente e che il testo è una sostanza creata con la composizione: 1. Ghisalo kotogodo = melodia standard a cui si possono unire testi diversi. E’ simile ad un altro canto solo nella superficie sonora in quanto il suo “interno” è diverso, il dato creativo si ritrova solo nel testo. Unico altro contesto discorsivo per il termine kotogodo è kalu kotogodo usato per due persone che si somigliano o che sono vestite/decorate in modo identico.. come con due persone che, in superficie, sembrano la stessa ma che sono ben differente nella sostanza. 2. Ghisalo nodolo = Canto ghisalo copiato per la maggior parte del testo ma riformulato con nuovi nomi di luoghi per costruire una nuova mappa (tok). Questo meccanismo non è comune come il primo, si tratta più di un omaggio a un altro compositore che di una tecnica di apprendimento. Qui sono riutilizzati sia la melodia che una porzione di testo contenenti metafore innovative, l’unico elemento nuovo è la mappa (spesso in questi canti si citano luoghi realmente esistenti nel mondo per rievocare ricordi particolari magari legati ad una persona che non c’è più o che si vuole ricordare). 2.3 Intervalli, movimenti melodici e forma Nel mondo Kaluli gli intervalli e i profili melodici derivano metaforicamente dal termine cascata (hon sa). Gli intervalli principali per loro sono due: seconda maggiore discendente (ghese) e terza minore discendente (sa). Questi ultimi sono rintracciabili nel: • Verso dell’uccello muni • Organizzazione tonale del canto ghisalo • Pianto melodico sa-yelab Il ghese (= “rendere triste o compassionevole”) è usato in relazione all’intonazione petulante del parlato dei bambini e alla comunicazione di uno stato di tristezza, inoltre può essere prefisso del suono dei verbi parlare, cantare, piangere e fischiare. Sa – da solo – significa “cascata” ma può essere prefisso di termini che indicano parti o tipi di cascata oppure di verbi che si riferiscono alla produzione di suoni e all’organizzazione testuale. Il suo è l’intervallo più importante e basilare per i Kaluli in quanto lo troviamo nel richiamo dell’uccello muni e simboleggia autonomamente una condizione di tristezza, perdita e isolamento. Oltre a questi due intervalli, ce n’è un altro che identifica un centro tonale: il Sa-gu che è il termine onomatopeico per “cascata di suoni” (= “discesa al centro tonale”). Poi abbiamo anche sa-ga che si riferisce al diramarsi di un fiume nel momento in cui un braccio prosegue il suo corso nella parte alta del territorio e l’altro si riversa in una cascata. Infine, tutti i canti ghisalo hanno profili che discendono dal centro tonale alla terza minore per poi tornare al centro, il termine kaluli per indicare questo movimento melodico è sa-kof (piccola cascata). considerato insieme. Il canto non è un qualcosa che “SEGUE” ma qualcosa che “ALZA SOPRA” stratificando livelli di suoni che sono tra loro sopra e dentro ▪ Qualità vocali usate nei canti eseguiti: Per parlare delle caratteristiche vocali del cantante, il termine dagan (= “voce”) è sempre usato per discutere l’esecuzione. Due problemi caratterizzano le vocalizzazioni prolungate: 1. Quello che i Kaluli chiamano dagano sundab (= “aggrovigliarsi della voce”) 2. Dagano alo asubidab (= “spaccarsi della voce”) I “nodi” possono essere curati temporaneamente mangiando banane dolci (addolciscono la voce), ma una voce affaticata che “si rompe” e rende i suoni ruvidi/sfiatati, stabilisce giudizi molto negativi. Questo “scorrere che trasporta” è ciò che i Kaluli si aspettano da una voce potente. 2.6 La schematica ghisalo Questo canto è simile alla maggior parte dei ghisalo: ✔ Inizia con il MO (= “tronco”) il quale è composto da due parti distinte, la prima è chiamata allo stesso modo viene cantata in forma solista con accompagnamento del sob. La sottosezione si presenta così: mo/talun (= “tronco” / “versi”) dove il canto diventa dulugu molab in cui la voce del cantore si “alza sopra” il coro di accompagnamento ✔ Sezione SA-GULAB (= “discesa a cascata”) verso il centro tonale ✔ Sezione DUN (= “rami”) la quale si sviluppa come quella iniziale quindi articolata in due parti: la prima du/talun (= “rami” / “versi”) e presenta uno sviluppo testuale molto simbolico; la seconda sa-sundab (= “interno nodoso”) che collega l’immaginario e invoca la chiusura del canto in ghisalo ✔ Conclusione con il SA-GULU (= “cascata”) in cui il sonaglio sob termina quando il coro finisce 3. TEORIA COME METAFORA E METAFORA COME TEORIA 3.1 Parole e cose I Kaluli non hanno sviluppato un interesse per la fisica della musica, infatti è di poca importanza quanto questo popolo ne sanno della fisica ma piuttosto importa come possono concettualizzare strutture musicali in contesti prescrittivi o descrittivi. La posizione che la terminologia kaluli sia concepita e usata in modo abbastanza rigoroso per segnalare i contesti nei quali gli attuali principi sono invocati: 1. In situazioni di insegnamento e apprendimento i Kaluli si muovono liberamente tra il verbalizzare e il cantare in un modo che illustra ai principianti il termine e il principio 2. Nelle situazioni in cui Feld ha invitato gli uomini a sedersi insieme a lui mentre riascoltava il materiali registrato (i canti), i commenti durante e dopo l’ascolto hanno fatto capire la loro abilità sistematiche a sezionare la struttura del canto muovendosi tra verbalizzazione ed esecuzione canora 3. Gli errori, osservazione su errori e correzioni di errori hanno fornito molti dati sulla natura rigorosa del pensiero musicale kaluli 4. Se il lessico musicale non fosse una rappresentazione del pensiero sistematico sarebbe difficile ottenere il grado di consenso manifestato dagli uomini kaluli che discutono dello stesso canto in contesti ed occasioni diversi e separati 5. L’utilizzo della terminologia musicale e dei principi di forme musicali in situazioni insolite, riflette una capacità del pensiero teorico. Quando Feld ha fatto ascoltare la propria musica, i Kaluli l’hanno ascoltata e commentata come se stessero ascoltando qualche loro canto. L’esperienza musicale dei Kaluli è difficilmente traducibile in parole. Nonostante questo non si mette in dubbio il fatto che questo popolo pensi molte cose per le quali non riescono a dare un nome e descriverlo a parole in quanto le parole per farlo ce le hanno. La teoria di questo saggio non è che il linguaggio è una copia della percezione o che i modi musicali e linguistici siano interamente traducibili, alcune caratteristiche dell’esperienza musicale kaluli non sono rappresentate direttamente dal lessico. Naturalmente non tutti i Kaluli conoscono ogni dimensione di questo lessico e di questa teoria e, ancora, non tutti i Kaluli verbalizzano riguardo ai canti in termini densi. Nessun uomo Kaluli è ignorante su questi argomenti. 3.2 Teorie ed etnoteorie Gli etnomusicologi hanno accettato passivamente la “teoria musicale” come una speciale realizzazione dell’Occidente che consente a “noi” di analizzare “loro”. Alcuni studiosi insistono nel voler affermare che popolazioni non letterate (che non scrivono musica) non possono avere e discutere di teorie musicali. Nella musica primitiva non esistono scale nella mente dei musicisti nativi, quindi il musicologo deve dedurle dalle melodie: questo significa che anche la popolazione Kaluli non ha una vera e propria teoria musicale ma “facendo musica” in modo diretto è come se fossero “avanti” e potessero avere il privilegio di fare questo vivendo in modo complice con la natura e la terra madre. Le metafore in loro sono un elemento principale e caratterizzante in quanto possono essere parole o immagini pregnanti con pensieri rigorosi proprio per il loro modo di essere naturali e attraverso la natura vanno a costruire modelli di elementi che sono allo stesso tempo simili e disparati. Metafore e teorie si mescolano tra loro e scorrono tra la mente e l’ordine sociale dei Kaluli. 3. STRUTTURA SONORA COME STRUTTURA SOCIALE Qui si affronteranno due problemi: 1. In quali modi una piccola società senza classi e di carattere egalitario riflette questi suoi aspetti nella struttura del suono organizzato 2. In quali modi questi aspetti si rivelano nell’organizzazione sociale e nell’ideologia di chi produce suoni e nello stesso fare musica L’interesse di Feld a questa tipologia di problematiche nasce dalla preoccupazione per la progressiva sovrapposizione di quesiti di carattere etnomusicologico con questioni di carattere sociomusicale (= lo studio di suoni musicali dal punto di vista della struttura sociale e dell’organizzazione sociale delle risorse, dei produttori e delle occasioni). La sua ricerca degli ultimi anni (dal 1981 al 1983) ha avuto lo scopo di comprendere le lezioni più importanti sulla struttura e sul significato dei suoni kaluli e da tutto ciò che li rende inseparabili dal tessuto della vita sociale e dal loro pensiero. Inoltre si farà riferimento ad un articolo di Alan Lomax che parla del sistema cantometrico secondo cui si sarebbe in grado di fornire profili distinti per tutti i modelli musicali collettivi. Infatti vediamo come la musica, come forma di comportamento umano, dovrebbe essere vista come qualcosa di altamente rigoroso/sistematizzato e ridondante in ogni società.. un qualcosa che generi strutture stabili. Lomax è giunto a pensare che i canti identificano, rappresentano e rinforzano le 2.2 La forma = “Suoni l’uno sull’altro (“dulugu ganalan”) La maggior parte dell’espressione kaluli è di tipo vocale, dipende quindi da una forte unione di elementi poetici e melodici. Esistono 5 tipi di canto, il principale è il ghisalo mentre gli altri quattro sono stati “presi in prestito” dai vicini (heyalo, koluba, sabio, iwo). Ognuno di essi è organizzato secondo principi pentatonici. I Kaluli compongono prevalentemente in tre forme: • Ghisalo: E’ limitato ad occasioni e sedute cerimoniali e viene composto solo da uomini • Heyalo e Koluba: Sono composti per cerimonie ma sono anche cantati durante il lavoro quotidiano e il tempo libero. Solo nel caso dell’heyalo sia uomini che donne operano in uguale misura come compositori Esistono anche altri canti di tipo “trasversale”: il pianto delle donne cantato con testo già citato in precedenza (sa-yelab) e il canto festoso (uwolab), un tipo di grido degli uomini (ulab), lo scacciapensieri di bambù (uluna). A livello strumentale abbiamo altri tipi di strumento come: ➔ Il sologa costituito da un baccello colmo di semi (usato esclusivamente dalle donne) ➔ Il degegado realizzato con chele di gambero ➔ Il sob formato da gusci di telline Le preferenze sonore dei Kaluli richiedono spesso delle sovrapposizioni e alternanze, in gergo tecnico diremmo che si tratta di canone. In termini cantometrici, secondo la classificazione di Lomax dell’organizzazione sociale dei gruppi vocali, si notano tre procedimenti: 1. Intreccio: E’ il termine da lui usato per indicare l’organizzazione sociale di gruppi musicali che sono caratterizzati dall’eguaglianza fra le parti 2. Sovrapposizione: Lomax ritiene che quest’ultima sia più tipica di società più grandi dove compaiono gli animali da traino e un sistema produttivo in qualche modo più complesso 3. Alternanza: Alternanza delle parti come una caratteristica più comune nelle società con una chiara suddivisione dei ruoli e dei sistemi produttivi Durante l’ascolto dei canti Kaluli appare chiaro che nessuno di questi tre procedimenti predomina sugli altri, al contrario, ciascuno di essi compare in uguale misura. Sono tutti e tre presenti in modo uguale e divisi in modo egualitario. Lomax cita questo unisono come «la tecnica più semplice per coordinare l’azione» e che la trova adottata ovunque soprattutto nelle esecuzioni di piccole società tribali. Anche qui esiste un termine che va a racchiudere le tre aree individuate da Lomax cioè dulugu ganalan (= “suoni l’uno sull’altro) in cui le parti, i suoni devono disporsi l’uno sull’altro costantemente. I suoni prodotti dagli uomini devono disporsi a strati come i versi degli uccelli o ad arco come le cascate: tale concetto è di tipo spaziale – acustico invece di visivo in quanto i Kaluli prediligono sonorità dense, compatte e senza interruzioni, pause o silenzi. 2.3 La performance = “Scorrere” (ebelan) Le esecuzioni di tutte e espressioni sonore dei Kaluli si concentrano sulla trama collettiva del discorso sonoro e sul coordinamento delle diverse parti. Durante le loro cerimonie, canti pre-composti vengono eseguiti per tutta la notte da membri di una comunità di visitatori presso la casa dei loro ospiti i quali trovano che i testi dei canti siano tristi ed evocativi perché si concentrano su luoghi e immagini dei luoghi della foresta circostante, luoghi verso i quali gli ospiti hanno un attaccamento particolare. L’esecuzione spesso li commuove fino a spingerli all’intonazione di un pianto melodico, l’intenso dolore e la tristezza provati sono l’effetto del ricordo dei defunti che hanno vissuto e condiviso molte esperienze con loro nei luoghi menzionati nel canto. L’immaginario kaluli è molto legato alla terra infatti questo rappresenta la principale metafora kaluli per l’accumulazione e il significato dei rapporti sociali i quali implicano il condividere esperienze e lo stare con gli altri nella foresta. Nel momento in cui Feld si sedeva con gli uomini dopo una cerimonia, loro parlavano dei canti e dell’esperienza vissuta in modo collettivo e non individuale mettendo in risalto le motivazioni sociali. Si percepisce sempre la presenza di un dolore collettivo a causa della teoria di base secondo cui i membri del pubblico simpatizzano chiunque sia commosso fino alle lacrime: questo deriva dal senso di un’esperienza comune esistente tra le persone che condividono una casa comunitaria e appartengono alla stessa comunità della foresta. I Kaluli si sentono profondamente collegati tra di loro e dai luoghi in cui vivono, l’attività di produzione sonora non fornisce occasioni per l’affermazione del potere, dominio o superiorità personale sugli altri. Il riconoscimento dell’abilità nella composizione ed esecuzione canora è chiara e il risultato pratico è proprio il pianto degli ospiti. Competizione = No obiettivo principale delle cerimonie. La metafora qui presente è quella con lo “scorrere” (ebelan) come una via d’acqua situata vicino a un osservatore nella foresta dove l’acqua scorre oltre l’immediatezza della percezione per continuare a muoversi in altre direzioni. Stessa cosa vale per il suono: deve avere una presenza fisica nel momento dell’esecuzione ma anche una stabilità che lo trasporti oltre quel momento in modo tale che esso scorra nella mente dell’ascoltare e rimanga con lui oltre i limiti dell’evento immediato. Esecuzione deve essere densa, a strati e collettiva. 2.4 L’ambiente = “Riflesso” (mama) Per i Kaluli l’ambiente della foresta tropicale del Bosavi assume diversi livelli di significato e astrazione. L’ambiente è visto come una sorta di diapason dal quale escono segnali noti che vanno a delimitare e coordinare la vita quotidiana. Lo spazio, il tempo e le stagioni sono scandite e interpretate dai suoni, da essi si ricavano delle informazioni sull’altezza, profondità e la distanza della foresta. L’eco che viaggia all’interno di essa è un alleato importante per loro in quanto porta lo sviluppo e la comprensione delle informazioni spaziali – temporali che questi danno. Invece di contare i mesi o le lune, i Kaluli concepiscono i cicli e le stagioni in base ai cambiamenti della vegetazione oltre che nella presenza di uccelli o di suoni (alti o bassi), nell’accumulazione dell’acqua, piogge ecc. Sono sempre a contatto con ogni tipologia di suono. La foresta è un modello di ciò che è naturale: un modello per la vita umana e una sfida per essa dal momento che le relazioni umane e la società dipendono dalla coesistenza con la foresta e dal modo in cui essa viene gestita. Per i Kaluli la foresta è un esempio di vita, morte, rinascita, rigenerazione ciclica, animali, piante ecc. Ed è da tutto questo che questo popolo razionalizzano la forma e l’esecuzione del canto e del suono umano con ideali metaforici sulle varie tipologie dei versi degli uccelli, degli insetti, scorrere delle acque ecc. I Kaluli sono il riflesso della foresta in cui vivono, sono il riflesso di ciò che vivono. I Kaluli, inoltre, credono che il mondo consista in due realtà coesistenti, una: • Visibile • Riflessa: Qui gli uomini hanno le sembianze di maiali selvaggi e le donne di casuari selvaggi in cima alle colline del Bosavi. I morti ritornano come riflessi perduti (ane mama) nel mondo visibile di solito sotto forma di uccelli sulle cime degli alberi della foresta. L’area del villaggio è, quindi, circondata dalla presenza di amici e parenti che si manifesta in forma di suoni e voci proprio perché gli uccelli cantano, fischiano, dicono il loro nome e fanno molto rumore, parlano, piangono… essi forniscono allo Dei tre tipi di sonagli usati per l’accompagnamento di cerimonie, solo il sologa è usato anche dalle donne mentre il sob – che si usa nel ghisalo – è considerato segreto e non dovrebbe essere toccato dalle donne appunto. Un’altra modalità di produzione sonora riconduce ad una complementarietà maschile- femminile di base: si tratta della coppia formata dai suoni collettivi di tipo dimostrativo e assertivo chiamati ulab (“dice u”) e uwo-lab (“dice uwo”). Ulab, per gli uomini, è un forte grido di gruppo che celebra il verso dell’aquila usulage mentre owo-lab, per le donne, è una roca acclamazione di gruppo che celebra il verso dell’uccello del paradiso superbo (uwolo). Questi due uccelli sono potenti rappresentazioni degli spiriti di uomini e donne kaluli e la produzione collettiva di suono ha luogo quando gli uomini lavorano collettivamente o si preparano per una cerimonia oppure quando le donne acclamano durante una cerimonia. Infine, per gli uomini la composizione e l’esecuzione di canti cerimoniali ha l’effetto di concentrare una grande attenzione della comunità su di loro e sui loro poteri evocativi. Il ghisalo è la più potente di queste forme ma lo heyalo e il koluba hanno lo stesso effetto per gli uomini e in tutte e tre i casi l’esecuzione può essere così commovente che una donna può innamorarsi del danzatore. In confronto a questi momenti, le pratiche del lamento della donna sono molto meno travolgenti.. però attira sicuramente l’attenzione della comunità sulle donne come esecutrici. Se esiste tra i Kaluli una metafora chiave che sintetizza la relazione maschile-femminile in generale, questa va cercata nel termine ambiguo di koli (“diverso”): parola più usata quando gli uomini parlavano delle donne e viceversa. Allo stesso tempo possiamo dire che l’ideologia maschile concepisce in modo chiaro le peculiarità femminili come un pericolo: l’avversione per il sangue mestruale e l’idea che le donne causino l’esaurimento dell’energia maschile stanno alla radice di una serie di tabù e di altre pratiche sociali che perpetuano la credenza nella contaminazione femminile e l’azione contro di essa. 3. Discussione Avendo concluso la presentazione del modello kaluli, si propongono di seguito tre quesiti posti da Feld stesso: 1. In che modo gli aspetti egualitari della società kaluli si rivelano all’interno degli schemi di organizzazione della struttura e della produzione del suono kaluli? 2. In che modo viene evidenziata la forma di disparità tra i Kaluli (cioè la prevaricazione degli uomini sulle donne) all’interno degli schemi di organizzazione e produzione del suono kaluli? 3. Come si inserisce il modello kaluli nel contesto della comparazione più generale delle società della Papua Nuova Guinea? Lo studio di Leacock sull’orticoltura, raccolta e caccia dice che nelle società egualitarie la divisione del lavoro tra i sessi ha portato alla complementarietà/integralità e non alla sottomissione femminile, inoltre mostra che – in questo tipo di società – le donne fornivano risorse di base in misura pari, se non maggiore, agli uomini. Queste ultime distribuivano il cibo a un’intera rete di consanguinei così come a singoli nuclei familiari. La nozione di Schlegel (1977) – secondo cui le teorie della stratificazione sessuale devono rendere conto delle relazioni tra persona e persona e delle ideologie di fondo così come delle relazioni tra persona e beni – è chiaramente essenziale per capire società come quella dei Kaluli le quali sono più egualitarie dal punto di vista economico e politico che da quello sessuale. Esistono delle differenze nella distribuzione dei mezzi espressivi tra uomini e donne e vediamo che le differenze riguardano gli scopi pratici cui questi mezzi sono diretti: gli uomini possono emozionare, impressionare, persuadere e persino vincere le donne, ma che cosa ottengono le donne con l’atto di piangere ai funerali e di cantare durante il lavoro oltre al piacere e alla soddisfazione personale e ad una generale solidarietà dell’intero gruppo? Le disuguaglianze tra di loro sono, quindi, evidenti nell’ambito dell’organizzazione musicale. Un ultima strategia di studio del sistema di disuguaglianze tra maschi e femmine nel modello kaluli consiste nel prendere in esame la realtà etnografica generale della Papua Nuova Guinea soffermandosi su una istituzione sociale molto diffusa dove queste disuguaglianze sono espresse sia ideologicamente sia praticamente: i riti di iniziazione maschili. Ce ne parla Roger Keesing il quale espone l’idea che: → Gli uomini e le donne sono fisicamente e psicologicamente diversi → I fluidi e gli odori femminili sono potenzialmente dannosi per l’uomo → I ragazzi devono essere sottoposti a rigorose iniziazioni per far sì che non si indeboliscano → L’attività omosessuale maschile è essenziale all’ideologia della separazione tra i sessi e per la creazione di uomini differenziati → L’uso di mantenere separate le residenze degli uomini è necessario allo scopo di evitare la contaminazione femminile Un aspetto centrale di questi riti sono gli strumenti segreti che vengono usati, come ad esempio il flauto. I Kaluli sembrano aver praticato (fino al 1964) una variante di questa prassi, senza rituali violenti e traumatici o flauti segreti: era chiamata bau a. In un saggio, Schieffelin sostiene che non si trattava di un rito di iniziazione in senso proprio ma il bau a conteneva molti elementi tipici di un programma di iniziazione maschile fra cui l’isolamento dei membri, l’attività di rito che doveva promuovere la crescita e la valorizzazione delle qualità maschili e l’insegnamento di una sapienza segreta. Questo rito poneva il suo centro sulle attività venatorie e sull’aumento della forza (anche tramite rapporti omosessuali) per stimolare la crescita. I Kaluli credono che le donne abbiano un effetto debilitante sugli uomini e se uno di essi passa troppo tempo con loro, questo perde il suo vigore, forza Ai “non partecipanti” a questo rito, questo viene presentato come un’istituzione pericolosa e dal potere occulto. Il bau a aveva luogo a distanza d’ascolto dalla casa comunitaria del villaggio così che le donne udissero i suoni degli uomini: questo era l’effetto voluto con l’obiettivo di provocarle o incuriosirle. Quindi: se da una parte abbiamo le donne che facevano finta di non conoscere nulla di questi riti, dall’altra alcune di esse erano ben informate Dunque possiamo dire che il bau a era l’espressione di ciò che agli uomini piaceva di più di sé stessi, di quello che per loro contava e di quello che desideravano essere. Attraverso questo rito, i giovani uomini escono fuori dall’isolamento con la migliore e più attraente immagine culturale. Le differenze tra il bau a e alcuni degli altri riti di separazione traumatica praticati nelle isole della Papua Nuova Guinea riflettono sempre differenze sociali: iniziazioni complesse richiedono anche vaste popolazioni, sebbene il bau a sia simbolicamente e ritualmente elaborato e complesso, esso non mostra nessuna delle complessità di quel tipo di iniziazioni a livelli successivi che sono comuni a molte altre società. I Kaluli hanno un basso regime di produzione non dovendo fronteggiare pressioni ecologiche o l’intensificazione del raccolto, non sono in competizione con altri gruppi per il cibo e il territorio quindi, di conseguenza, è del tutto assente quella competizione necessario all’organizzazione e al mantenimento di un sistema sociale fondato sul “grande uomo” in cui vengono scambiate le donne e i loro prodotti. Infine possiamo ancora dire che gli uomini kaluli sembrano essere di gran lunga più interessati a impressionare le donne piuttosto che manifestare ostilità nei loro confronti. Il canto cerimoniale, i costumi, l’esecuzione, il cacciare e il procurare merce di scambio sono le attività che gli uomini curano di più e usano per impressionare le donne e colpirle. La mancanza di strumenti segreti nel rito descritto qualche riga fa viene sostituita dal grido e dal canto durante di esso: le donne potevano ascoltare a distanza ma l’obiettivo di queste espressioni era quello di eccitare ed impressionare. In questo caso, gli uomini kaluli, mirano all’evocazione rivolgendosi sia alle donne che agli altri uomini. Per le donne l’evocazione si traduce in un potere ottenuto in virtù della differenza mentre per gli uomini una tale evocazione si traduce in solidarietà e nostalgia. 4. Conclusioni Secondo Charles Keil, in questi popoli rimasti primitivi che sono riusciti a conservare l’uguaglianza a livello sociale, naturale e sessuale, la musica è la parte vitale di questa conservazione. In questo tipo di società, ciò che noi chiamiamo musica-danza-rituali- religione-ecologia sembra essere fuso in un unico sistema omeostatico che simboleggia tutto o niente. I Kaluli sembrano confermare e contraddire nello stesso tempo queste affermazioni:  La disuguaglianza sociale non è il fattore determinante nel dar forma alla musica e al suo significato presso i Kaluli. 4. L’ESTETICA COME ICONICITÀ DELLO STILE 1. Groove , sound, beat, stile Stile e groove sono essenze concentrate di aspettative collaborative nel tempo. Il groove esiste da parecchio tempo e lo si ritrova in diversi generi musicali. Leonard Meyer riassume tutto il problema riguardo l’argomento di questo capitolo in quanto ci conduce verso il groove musicale quando dice che lo stile costituisce l’universo di discorso nel quale emergono i significati musicali. Ogni groove culturalmente costruito è un simile universo a prescindere dal fatto che la società: ✔ Sia caratterizzata da una tendenza verso una configurazione stilistica unica ✔ Che vi siano presenti tendenze stilistiche in conflitto e competizione ✔ Che si situi lo stile in modo più generale in altri modelli culturali di fusione, flusso, consenso e rifiuto L’espressione “entrare nel groove”: ● Rimanda ad una situazione percepita in modo istantaneo spesso accompagnata da sensazione piacevoli che variano dall’eccitazione al rilassamento e identifica il processo tramite cui nell’ascoltatore socializzato si creino attese verso i tratti caratteristici di uno stile. Nell’ambito del jazz, Charles Keil, associa il groove ai processi soggettivi di swing (impulso vitale e senso metronomico) ● Si riferisce anche ad una partecipazione piena di sentimento, un attaccamento fisico ed emotivo positivo, uno spostamento dall’essere “aperto a qualcosa” a “lasciarsi andare” e “calarcisi dentro” o “appassionarsi”. Un groove è un luogo dove si sta proprio bene. Quando Aretha Franklin nel 1967 interpretò la canzone Good Times di Sam Cooke, cambiò il primo verso da «Come on baby let the good times roll» a «Get in the groove and let the good times roll». In questi due casi il groove musicale è inteso in riferimento al suo ulteriore significato di “solco”, la traccia incisa e visibile sulle superfici dei dischi e la musica vive misteriosamente all’interno di questi solchi presenti nei vinili. Espressioni della stesa categoria includono i concetti di beat e sound Tutti i grooves e i beats hanno modi propri di attrarre l’attenzione dell’ascoltatore. Il senso intuitivo ed emotivo che si ha di un groove o di un beat deriva dal riconoscimento di uno stile in movimento. Come osserva Leonard Meyer, uno stile musicale consiste in una gamma di rapporti e processi melodici, ritmici, armonici ecc. e quando gli ascoltatori hanno appreso e interiorizzato questi elementi, questi riescono a percepire e capire una Mette in atto l’idea della massima partecipazione sociale a cui tendono tutti i Kaluli composizione in quello stile come una rete intricata di funzioni implicative/effettiva o vivono la composizione di quello stile come un complesso di possibilità interiorizzate. Secondo Meyer, da queste relazioni emergono le aspettative sulle quali si fonda il significato musicale. Quindi, scorciatoie linguistiche come i termini groove, beat, sound codificano un senso non specificabile ma ordinato di qualcosa che viene assecondato, regole e attraente che coinvolge l’ascoltatore. 2. Il DULUGU GANALAN: entrare nel groove dei Kaluli Questo saggio elabora tre dichiarazioni etnograficamente e teoreticamente intrecciate: ➔ La nozione kaluli di dulugu ganalan (= “che suona sollevato al di sopra”, è una metafora acustico-spaziale) è un’affermazione stilistica, un groove, sound, beat locale di Papua Nuova Guinea. Il sound è la sonorità dei Kaluli, una definizione locali dell’identità sociale ➔ Questo modello sonoro – che si manifesta in modo più diretto nel processo e nella forma della canzone kaluli – riecheggia anche in altre modalità espressive del popolo in questione. A livello musicale viene modellizzato nell’espressione artistica verbale, visiva e coreografica. Nei Kaluli questo modello viene collegato all’ecologia acustica della foresta pluviale ➔ Il processo in base al quale questo groove kaluli viene avvertito come “totalmente groovy” è un’intensificazione espressiva dello stile dove “il bello” e “il naturale” diventano identici e inseparabili. Il “che suona sollevato al di sopra” viene discusso e realizzato dai Kaluli in modo che un estraneo suddividerebbe in 4 dimensioni di forma e di processo musicale: I. Rapporto tra gli strati acustici all’interno di un suono strumentale e quello con gli altri suoni circostanti II. Rapporto fra suoni vocali, dal cantato al parlato III. Rapporto fra vocalizzazione e i suoni di accompagnamento di sonagli o strumenti di lavoro IV. Rapporto fra gli elementi citati e i suoni ambientali circostanti compresenti (come pioggia, tuoni, uccelli ecc.) Tutti gli esempi che si possono ascoltare nel disco fornito fanno capire quanto il materiale ascoltato derivi dalle indicazioni fornite dai Kaluli circa il come, dove e perché applicano il “che suona sollevato al di sopra”. Seguiranno 12 esempi che illustrano forme sonore che corrispondono o assomigliano a modelli descritti dai musicologici occidentali con termini come canone e antifonia: 1. Tamburi cerimoniali ilib percossi a mano : Si evidenziano diversi strati di “che suona sollevato al di sopra”, le entrate sfasate e le sovrapposizioni fra i quattro tamburi, i rapporti intrecciati fra i suoni dei costumi e dei sonagli per ciascun danzatore 2. Assolo dello scacciapensieri di bambù aluna : Due strati del “che suona sollevato al di sopra” è evidenziato dai suoni che echeggiano nella bocca e quelli dello strumento pizzicato 3. Canto koluba con versi di cicale : Il canto di Ulahi “suona sollevato al di sopra” dello stridio delle cicale nella foresta 4. Canto heyalo presso una cascata : Le voci di Ulahi e di Eyobo “suonano sollevate al di sopra” dello scrosciare di una cascata. Il riverbero che risulta dal loro cantare verso la gola della cascata amplifica la tessitura. Si sentono anche suoni di machete e di voci di bambini 5. Canto heyalo con accompagnamento di fischi e suoni prodotti mentre si produce il sago : Miseme e Fofo cantano un heyalo “che suona sollevato al di sopra” a due strati determinati dal marito di Miseme, Deina, il quale inizia a raschiare la palma di sago con una pietra e poi a fischiare imitando l’uccello menzionato nel testo del canto 6. Pianto funebre femminile sa-yelab : In questo lamento le voci di Gania e Famu entrano sfasate, si sovrappongono e “si sollevano al di sopra” l’una dell’altra e dello sfondo sonoro costituito da bambini e adulti che piangono e parlano nella casa comunitaria 7. Canto kelekeliyoba (termine che imita il verso dei maiali) eseguito dalle donne nel corso della cerimonia iwo con accompagnamento di sonagli sologa (costituiti da bacelli pieni di semi): le voci sfasate di quattro donne “suonano sollevate al di sopra” fra di loro e tutte insieme in rapporto ai sonagli agitati con le mani 8. Canto sabio a quattro voci con accompagnamento di sonagli sologa : Voci di quattro uomini si odono in coppia, le voci di ogni duo “si sollevano al di sopra” l’una dell’altra e ciascun duo “si solleva al di sopra” dell’altro nei finale di frase 9. Canto heyalo a quattro voci con accompagnamento di sonagli sologa : Quattro voci si dividono facendo canone tra di loro e si “sollevano al di sopra” a vicenda 10. Canto iniziale della cerimonia iwo : Eseguito da uomini con accompagnamento di sonagli e manici d’ascia. A una prima voce fa eco un coro che accompagna la voce anche con sonagli e manici d’ascia percossi sul I bambini kaluli non vengono mai rimproverati se parlano tutti insieme in determinate situazioni, al contrario i genitori incoraggiano e insegnano in modo esplicito ai propri figli a collaborare “mettendo insieme il parlato” con l’altro parlato che c’è al momento. Questa appena citata è un’altra dimensione del “prendere parte” come indice normativo e obbligatorio di socievolezza: parlare tutti insieme, accavallarsi ed essere attivi socialmente va bene (male il contrario). Infatti la voce pacata, la riservatezza, l’atteggiamento afflitto sono segno di alienazione, solitudine ed estraneità mentre il suono stratificato è segno di “essere presente”, del sociale, del connesso e della partecipazione. Anche nelle interazioni con i bambini si ha una forma di dulugu ganalan nel momento in cui stanno appena imparando a parlare: noi occidentali la chiamiamo la “fase della lallazione” durante il quale ripetono, si alternano o collegano con il parlato genericamente circostante, la lallazione conferisce qui un ruolo immediatamente attivo nella scena sociale. L’uso della parola deve sempre creare contatto infatti i Kaluli apprezzano le interazioni che hanno una certa dose di tensione creativa in cui il risultato è imprevedibile e dipendente dall’ingegnosità e furbizia dell’individuo. Le voci si allacciano l’una con l’altra creando contatto e si modellano a vicenda, di seguito alcuni esempi: ✗ Interazione verbale in famiglia durante la preparazione e il consumo del cibo : Sentiamo più persone parlare contemporaneamente, ma nessuno si batte per il “proprio turno” e nessuno prevalica sull’altro ✗ Discussione fra adulti riguardo un pettegolezzo : Un gruppo numeroso parla insieme creando un ronzio di voci ma, anche qui, nessuno domina l’altro ✗ Heina racconta una storia a un piccolo gruppo di adulti e bambini 5. La foresta pluviale: un paesaggio sonoro ad “alta fedeltà” Feld ha raccontato che un uomo kaluli (Ghighio), una mattina, lo aveva notato mentre era seduto nella veranda mentre registrava i suoni intorno a lui ed ha subito richiamato la sua attenzione dicendogli che ciò che entrambi stavano ascoltando erano suoni di nebbie leggere, vento, corsi d’acqua, insetti, uccelli, maiali, persone, cani, tutti collocati in uno spazio indefinito ma co-presente. Ciò che Ghighio intedeva era che la foresta pluviale era come un diapason in quanto fornisce segnali familiari che marcano e coordinano lo spazio, il tempo e le stagioni. Nella foresta pluviale tropicale, l’altezza e la profondità del suono si confondono facilmente. La mancanza di indicazioni sulla profondità visiva si abbina alle ambiguità prodotte dalle diverse densità vegetative e da suoni onnipresenti facendo spesso percepire la profondità come un’altezza che si sposta verso l’esterno. La prima volta che videro Feld registrare i suoni della foresta puntando il microfono in alto o anche solo ascoltare i suoi rumori guardando su, i Kaluli risero a crepapelle. Questo perché, per loro, la foresta è anche il luogo mistico dove risiedono gli ane mama (“riflessi delle persone andate”) cioè le manifestazioni degli spiriti dei loro morti. La presenza dei suoni, quindi, indica la presenza di spiriti che si rivelano acusticamente ai Kaluli tramite le voci degli uccelli. In questo senso, ascoltare la foresta può provocare loro profondi sentimenti di nostalgia benchè i Kaluli non attribuiscano alcune potere mistico particolare alla foresta in sé. Per loro la foresta è buona sia da ascoltare che da cantarci insieme. Cantare e ascoltare sono parte integrante dei suoni della foresta stessa. Le immagini sonore sono molto più evocative di quelle visive per questo popolo. 6. Ecologia acustica: i “dentro”, i “sotto”, i “riflessi”, il “flusso”, la “durezza” Gli abitanti visibile e invisibili della foresta pluviale del Bosavi producono incessantemente il “che suona sollevato al di sopra” e i Kaluli vi si sintonizzano di continuo apprezzando e interpretando ciò che essi chiamano, appunto, i “dentro” (sa), “sotto” (hego), “riflessi” (mama), “flusso” (abalan) e “durezza” (kalaido). Tutti questi termini vanno ad amplificare il “che suona sollevato al di sopra”. La “durezza” è potenza in quanto è il raggiungimento di uno stato evocativo carico ed energizzato che coinvolge e colpisce, la capacità di questo stato “indurito” di mantenere la presa è il suo “fluire”. Il “che suona sollevato al di sopra” fluisce quando ti entra dentro e perdura rimanendo nella tua memoria e nella tua coscienza come non faceva prima. Il coinvolgimento – entrare nel groove – vuol dire percepire il “sotto” e il “dentro” delle figure sonore che si “sollevano al di sopra” e interpretare i loro “riflessi” o “ombre”. 7. Vedere e ascoltare il “che suona sollevato al di sopra” nella decorazione e nel movimento del corpo Durante le cerimonie kaluli, il loro volto viene dipinto secondo specifici stili di pittura facciale: il viso viene pitturato di rosso terra e una fuliggine lucida di resina d’albero creando una figura e uno sfondo, poi si usa dell’argilla bianca per delineare il contorno della figura e, andando a creare un rilievo, si conferisce un senso di stratificazione e densità. Quando la pittura si asciuga, la lucidità del nero e l’opacità del rosso-arancione si intensificano. Si dà molta importanza alla fronte e al naso: nascondere gli occhi equivale infatti a nascondere l’identità del cantore-danzatore. L’effetto maschera cela e al tempo stesso focalizza lo sguardo del cantore-danzatore. Questi contrasti rispecchiano il “sollevato al di sopra” sonoro in forma visiva come hanno confermato i Kaluli che hanno visto le fotografie state loro scattate. Circa i costumi indossati durante le cerimonie vediamo che sono formati da diversi materiali: • Pelliccia di opossum • Copricapo con penne bianche di cacatua • Pittura corporea su braccia, viso, pancia e gambe in rosso, nero e bianco • Collana di conchiglie che cade al centro di un incrocio di fasce avvolte intorno al collo e sotto le ascelle • Elementi sventaglianti infilati nelle fasce intorno alla vita, braccia e ginocchia • Sonaglio di chele di gambero d’acqua dolce intorno alla vita I costumi danno una sensazione di densità stratificata. Il movimento in su e in giù del danzatore fa risuonare le conchiglie e la frangia di strisce di palma, suono che viene “sollevato al di sopra” dal sonaglio e dal tamburo nella cerimonia ilib kuwo. Il costume del danzatore di ghisalo era simile a quello descritto. 8. Uno sguardo dall’alto: l’estetica come iconicità di stile L’estetica causa uno scarto nella percezione dello stile quando: • Il groove è completamente groovy • I livelli delle parti e i livelli dell’insieme confluiscono nell’indice o attirano la loro reciproca attenzione Nelson Goodman ha provato a riassumere questa esperienza artistica o grooviness come l’interazione di quattro sintomi: 1) Densità sintattica e semantica 2) Saturazione (pluralità dei rapporti significanti) 3) Esemplificazione 4) Riferimento multiplo e complesso (i simboli da soli sono più importanti dei loro referenti) Nel caso dei Kaluli, il “naturale” quale focus della natura e della natura umana diventa il “bello” così come dovrebbe essere. Quando quelle che chiamiamo metafore vengono percepite come reali, complete e perfette esse diventano iconiche cioè diventano simboli a sé stanti e vengono vissute come emotivamente sinonime da un ambito o livello di immagine ed esperienza a un altro. La “semiotica della somiglianza” di Charles Peirce (1955) individua 3 tipi di icone: immagini, diagrammi e metafore. Usando i suoi termini si può dire che il “che suona Il fatto di unire il dulugu ganalan con lo stile contemporaneo di string band è il segnale di quanto essi considerano la stabilità come sinonimo di vitalità. 11. «Voce bosavi!» “Voce bosavi” è un modo per chiamare la sonorità kaluli, il groove di dulugu ganalan nella Papua Nuova Guinea contemporanea. E’ il gusto locale dell’espressione kaluli la quale trova il suo posto (ples), la sua identità locale all’interno dell’universo più ampio della provincia delle Southern Highlands di Papua Nuova Guinea. Si è arrivati a questa consapevolezza grazie al racconto di un aneddoto che fa capire proprio come la sonorità dulugu ganalan si adatta allo stile popular papuane: nel 1976 Honowo Degili stava imparando il mestiere di falegname in una scuola in cui era stato mandato dal missionario già citato Keith Briggs il quale aveva notato le sue particolari abilità linguistiche e tecniche. Quando Honowo ritorna al Bosavi per le vacanze di Natale portò con sé degli da lavoro, degli occhiali da sole e un ukulele: segni della sua integrazione nel mondo moderno papuano “della città”. Una sera andò a casa di Feld a cantare canzoni in kaluli e quando cantava c’era un chiaro “che suona sollevato al di sopra” kaluli: voci in sincrono ma sfasate che si sovrapponevano, cambi d’ottava ecc. 12. Tornando al terreno: lezioni di stile nell’ascoltare “al di sopra” Un estensione di dulugu ganalan vede come i Kaluli ascoltavano Feld ascoltare e come ascoltavano con Feld la musica che gli apparteneva, gli esempi che vedremo fanno capire quanto per loro il “che suona sollevato al di sopra” sia naturale e come essi invocano lo stile come ponte fra mondi estetici diversi. Ogni volta che Feld andava nel Bosavi portava con sé molte audiocassette della “sua musica” cioè quello che gli piaceva ascoltare immaginando che sarebbe stato un buon antidoto per lo shock culturale nonché un qualcosa che lo facesse collegare ad un suo mondo familiare. Indossare le cuffie per lui era il modo migliore con cui poteva “esserci” senza esserci, quando aveva il bisogno di ascoltare le sue canzoni i Kaluli erano disposti a concedergli un po’ di spazio: erano a loro agio quando ricordavo loro questa sua necessità e non avevano alcune difficoltà ad immaginare che avesse nostalgia “di casa” e della sua musica. I Kaluli consideravano le cuffie come un segnale tipizzato e non aggressivo del desiderio di isolarsi dalle interruzioni esterne e dalle interazioni con gli altri, però per loro l’isolamento portato dalle cuffie e le lunghe ore passate seduti o sdraiati da soli ascoltando musica per sé erano una parte ovvia del mondo “molto diverso”. Per loro l’ascoltare musica era un qualcosa di collettivo, si faceva insieme e mai da soli. Voglio ascoltare insieme agli altri e vogliono parlare con gli altri. Questo conferma alla loro abitudine a “suonare sollevato al di sopra” il suono – ambientale, verbale e musicale – nella densità multipla e costante. Se da un lato capivano la volontà di Feld di voler stare da solo, dall’altro non riuscivano ad immaginare perché non poteva farlo nella sua testa senza le cuffie come protesi. Per loro il processo dell’ascolto non prevede che si debba eliminare un elemento per ascoltarne un altro. Le uniche cuffie che i Kaluli riuscivano ad indossare e sopportare erano quelle più leggere e meno aderenti in quanto li rendeva molto più produttivi e le portavano non centrate sull’orecchio ma un po’ spostate. L’ascolto delle audiocassette non era rimasto privato, i Kaluli erano desiderosi di ascoltare insieme. 13. Più in profondità nel terreno: fra le cime degli alberi la genesi del groove kaluli La sonorità del “che suona sollevato al di sopra” dei Kaluli si sviluppa da una doppia dialettica: da un lato fra i suoni e ambiente (vede un processo di adattamento) e dall’altro fra sonorità e relazioni sociali (prevede un processo di razionalizzazione). Il groove kaluli può essere rappresentato come segue: 14. Estetica emotiva: ovvero guardano nuovamente dall’alto Robert Plant Armstrong in una trilogia sull’estetica antropologica ha gettato le basi per un’antropologia umanistica che vedrebbe la cultura come un modello esperienziale. Il tentativo che lo studioso citato fa è quello di rivelare le condizioni che determinano le forze evocative di un’opera d’arte sottointende una critica agli approcci che equiparano ingenuamente l’arte e la bellezza all’eccellenza dell’esecuzione. E’ interessato ad esaminare le opere di presenza affettiva come forze e sensibilità dirette attraverso le quali si possa cogliere la coscienza stessa di un popolo. La fenomenologia di Armstrong ci allontana dal mondo reale delle persone, dei lavori concreti ecc ma è riuscito a portare la metafora e l’emozione al centro dell’etno-estetica e ad elaborare una critica della cripto-estetica antropologica. Secondo lui l’emozione dello spettatore non è mai causata dalle sensibilità dell’artista che si manifestano nella sua opera, semmai sono intrise di comprensione delle sensibilità che vivono nell’opera. 15. Coda: stile e groove riconsiderati Il dulugu ganalan come ci può aiutare a considerare la teoria estetica canonica in una prospettiva critica? Charles Keil ha inviato a Feld una risposta: Entrare nel groove ci fa stare così bene perché ci libera da molte astrazioni e logiche, dalla “cultura” e dalla “conoscenza”, dall’estetica, dalle iconicità ecc. Il groove è piacevole perché mette in atto l’idea della massima partecipazione sociale a cui tendono tutti i Kaluli. Il dulugu ganalan ha a che fare con il gioco, il controllo e il lasciarsi andare, l’essere sciolti e l’essere organizzati. Esplora forme ed espressioni mentre le crea iintensificando le nozione del “sintonizzarsi”. Lo stile è già di per sé un esito positivo in quanto è la cristallizzazione della partecipazione personale e sociale, è il modo in cui la performance e la partecipazione conferiscono un lineamento umanamente significativo alla forma sonora. E’ un emergenza, è il mezzo con cui la nuova conoscenza creativa si sviluppa a partire dall’esperienza partecipatoria ludica, meccanica o ordinaria. La solidarietà kaluli si integra cognitivamente ed emotivamente in modo profondo, quindi non solo a livello di metafora ma come una totalità iconica definita.