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Il ruolo della comunicazione nella disabilità. Tesina finale, Tesine universitarie di TFA Sostegno

Il ruolo della comunicazione nella disabilità. tesina finale tfa sostegno

Tipologia: Tesine universitarie

2018/2019

In vendita dal 24/01/2023

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Scarica Il ruolo della comunicazione nella disabilità. Tesina finale e più Tesine universitarie in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! Dipartimento di Studi Umanistici. Lettere Beni Culturali e Scienze della Formazione CORSI DI FORMAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO Anno Accademico 2019/2020 Tesina finale in Linguaggi e tecniche comunicative non verbali Il ruolo della comunicazione nella disabilità: l’approccio della CAA Relatore: Prof.ssa Cristina Romano Corsista: Francesca Scarano Matricola: 575514 Anno Accademico 2019/2020 Il tuo testo 2 INDICE INTRODUZIONE p. 3 Obiettivo della tesi p. 3 Contesto oggetto di studio ed osservazione p. 4 CAPITOLO 1. QUADRO TEORICO p. 5 1.1 La comunicazione p. 5 1.1.1 Il linguaggio verbale e i suoi elementi p. 5 1.1.2 Il linguaggio non verbale p. 6 1.1.3 La comunicazione negli adolescenti p. 7 1.2 Cosa fare quando la comunicazione verbale è compromessa? p. 7 1.3 Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) p. 8 1.3.1 Strumenti alternativi per la comunicazione p. 9 1.4 Il mondo delle immagini p. 10 1.5 Il ruolo della scuola p. 11 1.6 Educare alla comunicazione visiva p. 11 2. ANALISI DELLE DIFFERENTI METODOLOGIE DIDATTICHE MEDIANTE L’UTILIZZO DEL MATERIALE DI CAA p. 14 2.1 Possibili attività p. 14 2.2 Competenze attivate p. 17 2.3 Risultati p. 17 CONCLUSIONI p. 19 Bibliografia p. 21 5 CAPITOLO PRIMO Quadro teorico 1.1. La comunicazione Riuscire a definire in maniera univoca cosa sia la comunicazione non è così semplice. Dalla comunicazione umana sopraggiungono diverse abilità riconducibili a differenti repertori come quello motorio, affettivo e cognitivo. Nella relazione tra le persone spesso è il linguaggio che viene fatto coincidere con l’atto comunicativo, come se esso fosse l’unico fattore che determina la presenza o assenza di comunicazione. È evidente che il linguaggio è considerato il mezzo più immediato al fine della comunicazione, ma cosa comprende l’atto comunicativo oltre alle parole? Ugo Volli, semiologo, accademico e critico teatrale, nei suoi libri riflette sull’agire dell’uomo nella sua quotidianità, affermando che è impossibile non comunicare poiché l’umanità stessa è “naturalmente comunicativa” (Volli, 2010, p. 15). In qualsiasi momento siamo circondati da una “una rete sterminata e infinitamente complessa di messaggi, codici, atti linguistici, comunicazioni che si incrociano, si sovrappongono, si determinano a vicenda”. Ecco perché ritengo fondamentale, data proprio la complessità dell’atto comunicativo, riuscire a creare due macro distinzioni sui diversi modi di comunicare, al fine di riuscire ad analizzare in maniera più approfondita i diversi comportamenti dei ragazzi in età scolare. 1.1.1 Il linguaggio verbale e i suoi elementi Marini, psicologo e laureato in neurolinguistica, definisce il linguaggio verbale umano come “una forma di comunicazione utilizzata per svolgere determinate funzioni e per mettere in relazione due o più partecipanti all’atto comunicativo, un emittente, che compie l’atto di codificare l’informazione […], ed un ricevente che a sua volta decodifica l’informazione che riceve” (Marini, 2001, p. 8). Le due figure principali dell’atto linguistico fanno riferimento al famoso schema di Roman Jakobson, in cui egli aggiunge elementi che lo stesso professore definisce “fondamentali” per l’interazione comunicativa. Questi elementi si possono ben visualizzare nella Figura 1 in cui l’emittente trasmette un’informazione al ricevente, ovvero il messaggio. L’informazione veicolata deve essere decodificata dal ricevente attraverso il codice che comprende i suoni, la lingua, la scrittura, … Inoltre, è importante tenere presente sia del contesto situazionale nel quale l’atto comunicativo si inscrive, sia del canale attraverso il quale la comunicazione si svolge (fonico-acustico nella comunicazione orale, grafico-visivo in quella scritta). 6 Figura 1 – Lo schema a funzioni di Roman Jakobson (Albertoni, 2001) Secondo Ugo Volli, invece, la comunicazione è qualcosa di molto più complesso e più aperto rispetto ad uno schema rigido. L’autore ritiene che per comunicare “non è sufficiente avere delle cose da dire e possedere un codice in comune con i destinatari” (Volli, 2010, p. 18), ma al fine di ottenere una comunicazione è necessario tenere conto di molti altri aspetti, come la competenza comunicativa, i modi per affrontare un atto comunicativo e i turni per chiedere la parola. Si tratta di una serie di precondizioni inesistenti nel modello sopra rappresentato, ma è di fondamentale importanza la loro presenza. Infatti, basta considerare come sia difficile per un bambino riuscire a mettersi d’accordo, accettare il pensiero altrui, attendere, dare spazio di parola all’interlocutore, etc.. Si tratta di competenze da acquisire ma che rientrano nelle basi per poter comunicare. 1.1.2 Il linguaggio non verbale La definizione di cosa sia la comunicazione non verbale ci viene fornita da Bonaiuto e Maricchiolo (2009). L’attributo “non verbale” indica “tutto ciò che non è parola”, cioè tutto ciò che non è linguaggio verbale, che è considerato il mezzo più raffinato ed evoluto per relazionarsi. La “comunicazione” è un interscambio dinamico, un invio e ricezione di informazioni, pensieri, atteggiamenti, una condivisione e costruzione di significati. La “comunicazione non verbale” si potrebbe definire, quindi, come una trasmissione di contenuti, costruzione e condivisione di significati che avviene a prescindere dall’uso delle parole. La componente non verbale della comunicazione, infatti, comprende tutti gli aspetti di messaggi diversi dalle parole. Infatti, Greene (1980) preferisce usare la distinzione fra “comunicazione che fa uso di parole” e “comunicazione che non ne fa uso”, anziché verbale e non verbale. Un'altra denominazione per questa forma di comunicazione è “linguaggio del corpo” (bodily communication), o comunicazione corporea, proprio perché molti dei segnali non verbali sono espressi mediante cenni e movimenti di parti del corpo. La comunicazione, oltre all’aspetto verbale, viene incrementata dall’integrazione di vari canali comunicativi non verbali. Infatti, se pensiamo solamente alla comunicazione insegnante-allievo, l’invio e la ricezione dei diversi 7 messaggi è fattibile se siamo in grado di decodificare correttamente i diversi significati trasmessi attraverso degli indicatori non verbali:  espressione mimica;  postura del corpo;  gestualità;  contatto visivo;  uso dello spazio (prossemica);  altri indicatori paralinguistici (velocità del parlato, tono della voce, …). Questo dimostra come, nell’atto comunicativo, infatti, bisogna fare distinzione tra il contenuto, più facilmente comunicabile attraverso il verbale, e la relazione comunicativa dove ha una funzione fondamentale il linguaggio non verbale. 1.1.3 La comunicazione negli adolescenti Possedere delle buone capacità di comunicazione interpersonale è sicuramente un prerequisito fondamentale per l’approccio con il mondo adolescenziale e per una buona integrazione sia sociale che scolastica. Come appena visto un atto comunicativo, sia negli adulti che nei ragazzi, si basa su più fattori che vanno dal linguaggio ad altre abilità comunicative che si distanziano dal parlato. Nel mondo degli adolescenti certamente il concetto di comunicazione ha subito veloci e continue evoluzioni. Per poter comunicare con gli adolescenti la comunicazione deve sempre essere circolare, cioè messaggio verbale e non verbale devono essere coerenti, altrimenti si rischia lo scontro. Inoltre, è fondamentale mostrare particolare attenzione all'assetto emozionale dimostrando di avere voglia di creare relazione sia verbale e che non verbale. L’adolescente, nel comunicare col mondo esterno diventa consapevole dei suoi pensieri, si chiarisce le idee, e spesso trova da sé le soluzioni non gradisce giudizi o insegnamenti, in quanto lo stesso vuole essere considerato alla pari. La sua comunicazione, il suo modo di condividere informazioni con il mondo esterno è spesso frenetico, veloce e mediato da strumenti tecnologici e app. Per comunicare realmente con un adolescente bisogna saper interpretare il loro mondo ma essere anche capaci di andare oltre e saper leggere i loro reali pensieri ed emozioni. 1.2 Cosa fare quando la comunicazione verbale è compromessa? La Carta dei Diritti alla Comunicazione (allegato 2), creata nel 1992 dal Comitato Nazionale congiunto per le necessità comunicative di persone con disabilità grave, sottoscrive che “ogni persona indipendentemente dal grado di disabilità ha il diritto fondamentale di influenzare, mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita.” In questa Carta vengono elencati 12 10 1.4 Il mondo delle immagini Il mondo delle immagini è diventato ormai predominante nella nostra vita in vari modi. Ogni fattore che ci circonda è costituito da immagini, basti pensare ad esempio alle insegne pubblicitarie, ai loghi dei diversi marchi, a frecce, segni, ai cartelli stradali. Le immagini hanno dunque la valenza di riuscire a comunicare qualcosa se noi siamo in grado di leggerle e interpretarle. Diverse sono le teorie psicologiche, come spiegano Pravettoni e Miglioretti nel loro libro (2002, pp. 115-116), che spiegano come ognuno di noi apprende attraverso metodi differenti. Figura 2 – Gli stili cognitivi Gardner e i suoi seguaci, invece, studiarono l’esistenza di più forme di intelligenza per cui non esiste una facoltà comune di intelligenza. Figura 3 – Le intelligenze multiple Bruner, invece, diede il suo grande contributo per quanto riguarda l’utilizzo di diversi mediatori nella didattica. Egli sosteneva che la persona deve essere messa di fronte ad esperienze efficaci per promuovere il proprio apprendimento. Le diverse discipline devono essere dunque un insieme organizzato di conoscenze e non unicamente un insieme di nozioni. 11 Le diverse teorie appena elencate hanno lo scopo di capire come, anche nell’apprendimento, ci deve essere una differenziazione poiché ogni soggetto assimila le informazioni diversamente. Questo non prende in considerazione solo il funzionamento cognitivo di ognuno, ma anche ad esempio il modo in cui ogni persona si rapporta e agisce in situazioni nuove e inconsuete. 1.5 Educare alla comunicazione visiva Nel libro “Bambini, colori, immagini” (Rispoli, 1995) l’autore pone un accento sul funzionamento della memoria per spiegare l’importanza dell’atto visivo. Egli sostiene come nella memoria i dati contenibili sono limitati, quindi la nostra mente cerca di classificare le informazioni. Basti pensare come molto spesso ci è sufficiente solo un odore, un colore, un’emozione, una forma per ricordarci di una situazione, di una storia, di una persona, ... Infatti, l’autore spiega come la memoria è fatta di segni che vengono “riorganizzati attraverso una attivazione che ha lo scopo di rievocare, di collegare.” (Ibidem, p.16) I bambini, come sostiene l’autore, utilizzano proprio l’immaginazione per ricordare dati apparentemente insignificanti ai loro occhi. Ecco che, quindi, l’attività visiva non deve basarsi esclusivamente su eventi naturali, ma la scuola può rappresentare un mezzo per stimolare il bambino a osservare, valutare, ricondurre, memorizzare. 1.6 Il ruolo della scuola nell’inclusione scolastica La storia dell’inclusione scolastica non può essere disgiunta dalla scuola italiana. È stato un percorso lungo partito dalla segregazione degli alunni disabili affidati inizialmente a Enti religiosi privati (Legge Casati 1859). La Costituzione della Repubblica italiana, nel 1947 all’art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” disegna un’eguaglianza formale, accompagnata da una eguaglianza sostanziale, che prevede il diritto ad una dignità della “persona”, che deve essere messa in grado di esplicare pienamente le proprie attitudini personali. Nel secondo comma il Costituente pone l’accento sul fatto che non basta l’enunciazione di principio, ma occorre garantire a tutti le medesime opportunità (…rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona). All’art. 34 (“La scuola è aperta a tutti…”) ha introdotto i principi di uguaglianza di opportunità educative per tutti, ma per lungo tempo questo ha significato, soltanto, percorsi scolastici separati, scuole speciali e classi differenziali (C.M. ’53) che sanciscono il periodo storico della segregazione. 12 Negli anni ’70, caratterizzati dalla contestazione, si mette sotto accusa la scelta di corsi separati e anche la scuola muove i primi passi verso un’apertura progressiva all’accoglienza. Nel 1975 il documento della commissione presieduto dalla senatrice Falcucci enuncia i principi basilari di quella che ora chiamiamo scuola inclusiva: la collegialità, il protagonismo della famiglia, la gestione integrata dei servizi, la formazione degli insegnanti. Si afferma che non basta accogliere l’alunno, occorre integrarlo, farlo diventare protagonista. La legge 517 del 4 agosto 1977 rappresenta una pietra miliare nella storia della scuola italiana, vengono abolite le scuole speciali e determinata l’integrazione nelle classi comuni degli alunni disabili. Nel 1987 la frequenza scolastica dei disabili nella scuola comune viene estesa anche alla scuola secondaria di secondo grado. Ma è con la legge 5 giugno 1992 n. 104 “Legge Quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, che si elevano a rango di norma i principi della collegialità e della interistituzionalità. La legge 104/92 rappresenta un punto di sintesi di importanza rilevante nel mondo della scuola e dell’inclusione, momento di consolidamento e di stimolo. Uno dei punti più rilevanti, in campo normativo, è senz’altro individuabile nella Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 18/2009, che impegna tutti gli stati firmatari a provvedere a forme di integrazione scolastica nelle classi comuni, condizione che è, appunto, la specificità italiana. Si presenta inoltre l’orientamento attuale nella concezione della disabilità, legato ad un “modello sociale”, che interpreta la condizione del soggetto disabile come il prodotto fra il livello di funzionamento della persona e il contesto sociale di vita, così come definito dall’ICF (International Classification of Functioning). Il modello ICF propone una classificazione di tipo bio-psico-sociale, di tipo funzionale piuttosto che meramente clinico. Dunque, la scelta italiana rispetto all’inclusione della disabilità nella scuola comune ha aperto la strada a tutte le altre forme di inclusione. Nel luglio 2011, allegate al D.M. n. 5669, applicativo della Legge 170/2010, vengono pubblicate le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e studenti con Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA). Il documento è ricchissimo di indicazioni metodologiche e didattiche, al fine di assicurare un efficace intervento nei confronti degli alunni con dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia, nelle varie fasi evolutive. Val la pena sottolineare che il rinnovamento metodologico auspicato per incontrare i bisogni “speciali” degli alunni con DSA si applica con successo a tutti gli alunni della classe. In questo senso, la trasformazione della didattica e della metodologia al fine di assicurare il successo 15 motivazionale per il bambino, agganciandolo fin da subito e portandolo a voler rileggere più volte il libro. Libri modificati: prende avvio da un libro già esistente che viene modificato per essere reso accessibile. Per esempio, alla fiaba di Cappuccetto Rosso si aggiungono pagine, si tolgono delle altre, si allunga il testo o al contrario lo si semplifica, si cambia la struttura della frase per renderlo maggiormente lineare, si puliscono le immagini. Il libro modificato ha il vantaggio di poter esporre il bambino a un linguaggio più ricco e strutturato, con tutti i giochi di emozioni e ripetizioni che già sono utilizzati per sostenere l’ascolto della narrazione degli altri bambini. Altri strumenti che caratterizzano l’uso della CAA sono: L’etichettatura: consiste nel posizionare i simboli all’interno di un ambiente organizzato. Essere immerso in uno spazio organizzato ed etichettato facilita il bambino poiché fornisce stabilità e controllo, permette di orientarsi nello spazio e ritrovare gli oggetti al loro posto. L’etichettatura facilita l’uso del codice rappresentazionale condiviso e del raggruppamento in categorie. Viene definita etichettatura denominativa se applicata direttamente sugli oggetti (li denomina attraverso il simbolo) o etichettatura organizzativa se posizionata all’esterno di contenitori per indicarne il contenuto. La presenza diffusa di simboli nei contesti di vita del bambino ne facilita l’uso funzionale: l’adulto può indicare più facilmente il simbolo del gioco mentre lo prende e in modo analogo, il bambino che vuole un gioco, può indicare il simbolo corrispondente posto sul contenitore che lo contiene. Le strisce delle attività: possono riguardare la scansione di un’attività, di una parte della giornata, o di una giornata intera, della settimana o di un lungo periodo. Tali strisce permettono di strutturare il tempo del bambino e in ogni momento, di sapere cosa sta succedendo, quali sono gli eventi della giornata. Le strisce hanno il vantaggio di anticipare al bambino cambiamenti e attività nuove rispetto alle abitudini così da diminuire il livello di ansia e di conseguenza aumentando la capacità di tollerare cambiamenti ed evitare comportamenti problema. Tabelle a tema: permettono di avviare il bambino ad una determinata attività ludica o linguistica. Tali tabelle devono essere create immaginando il contesto in cui verranno utilizzate, le persone che le utilizzeranno (gruppo dei pari o adulti). Devono quindi essere ricche di emozioni, di aggettivi, di parole che rispecchiano il linguaggio del momento evitando di retrocedere ad un livello denominativo. Podd: (Pragmatic Organization Dynamic Display): è una tabella cartacea, ma disponibile anche digitale, con un numero elevato di pagine e di simboli, divisi in categorie di significato diverso: verbi, nomi, aggettivi, luoghi, tempo, ecc. L’aspetto visivo, cambia a seconda delle caratteristiche del bambino, come le modalità d’accesso. È inizialmente utilizzato in entrata, 16 successivamente viene usato direttamente dal bambino in uscita ampliando la comunicazione linguistica e pragmatica. Favorisce un maggior apprendimento del linguaggio e la capacità di iniziare una conversazione; ha il vantaggio di non dover essere continuamente aggiornato come le tabelle. Tabella principale: rappresenta il nucleo essenziale del vocabolario del bambino. A differenza delle tabelle a tema, questo strumento può essere utilizzato in modo trasversale a tutte le attività, permettendo di essere generalizzato a qualsiasi contesto e situazione in cui si voglia comunicare. E’ organizzata in più facciate sulle quali sono raggruppati distintamente i simboli relativi ai soggetti, alle azioni, agli oggetti. Sulla copertina vi deve essere una presentazione del bambino che offre tutte le informazioni essenziali del suo grado di comprensione linguistica e dell’utilizzo della tabella, scritte in prima persona dal bambino. La tabella principale offre una molteplice scelta di simboli che non si limita al contesto concreto e alla sola richiesta di oggetti o azioni, ma consente anche di esprimere sentimenti, azioni, verbi, di raccontare e porre domande. Il bambino può accedere alla tabella direttamente, indicando i simboli anche con il supporto di ausili (puntatore, caschetto, etc.), o indirettamente ricorrendo all’uso della scansione o della codifica. Le tabelle possono essere usate in entrata per migliorare la comprensione e in uscita dal bambino stesso per avere una maggior autonomia comunicativa. In entrata la tabella principale aumenta la comprensione linguistica e offre la possibilità di apprendere un vocabolario sempre più ricco e non più legato al contesto, poiché permette di esprimere anche bisogni, emozioni e pensieri. Se usata in uscita, la tabella principale è lo strumento che permette al bambino di interagire con l’adulto e di “dire la sua” e rappresenta di fatto il suo primo sistema comunicativo. Lo strumento presenta alcuni limiti, dei quali il più tangibile è la necessità di continuo aggiornamento. Diventa determinante nella costruzione delle tabelle trovare un compromesso tra spazio a disposizione, numero dei simboli necessari e dimensione dei simboli in relazione ai bisogni del soggetto. Tabelle didattiche: sono delle particolari tabelle a tema da utilizzare in ambito scolastico a fine didattico. È necessario selezionare l’argomento didattico della classe per il quale costruire una tabella e soprattutto, poi, selezionare il vocabolario necessario e pertinente a livello del bambino, alle sue necessità e alle interazioni “più probabili” nel corso delle attività. Successivamente si sceglierà lo strumento, o combinazioni di strumenti idonei all’interazione con il bambino e alla gestione dell’unità didattica: I sistemi di supporto e i prodotti per CAA sono solo un mezzo o una condizione necessaria per la persona con disturbo del linguaggio espressivo per essere in grado di comunicare, sviluppare le 17 sue capacità e partecipare al mondo che lo circonda. Ciò che è veramente importante è il processo di istruzione, di emancipazione e di valutazione che dovrebbe accompagnarla. Il processo di intervento deve iniziare con una valutazione delle capacità, abilità, necessità e dei desideri della persona, così come delle caratteristiche, dei supporti, delle richieste e delle restrizioni del suo ambiente per definire i componenti che avrà il sistema o i sistemi che risulteranno più adeguati. Si dovranno scegliere attentamente i prodotti di supporto così come le strategie di accesso e, per quegli utenti CAA che non possono leggere, si dovrà effettuare una adeguata selezione del vocabolario segnato o pittografico che verrà insegnato. Questo processo di valutazione non deve essere occasionale ma continuo per tutta la vita. L’empowerment e l’insegnamento dovrebbero essere indirizzati sia alla persona che al suo ambiente, compresi tutti i contesti in cui partecipa o intende partecipare, così come tutte le persone significative in questi contesti, tra cui professionisti e, soprattutto, familiari, colleghi e amici. Questa istruzione deve essere fornita in ambienti educativi e terapeutici ma anche in contesti naturali, come un approccio di 24 ore che garantisce che la persona sarà immersa in un buon ambiente linguistico, circondati da interlocutori sensibili e competenti e coinvolti in attività interessanti e arricchenti. 2.2 Competenze principali attivate Per incoraggiare il successo dell’intervento con la CAA, la cosa più importante è ottenere che la persona con disturbo del linguaggio espressivo abbia cose interessanti da comunicare, sappia come farlo e abbia interlocutori disposti ad ascoltare e capaci di capirlo. Questo obiettivo non dovrebbe essere lasciato al caso. Esso deve invece essere raggiunto attraverso gli sforzi e i risultati di professionisti competenti, sostenuto da una società sempre più consapevole di questo e priva di pregiudizi. Il ruolo della docente potrebbe essere quello di non rendere un materiale didattico “diverso” dagli altri, ma di offrirlo al gruppo in modo da creare così nuovi stimoli e nuove situazioni su cui agire. 2.3 Risultati Oltre alle competenze disciplinari, il soggetto deve poter sviluppare competenze utili per il suo sviluppo globale, ovvero quelle che vengono definite competenze trasversali. Quest’ultime si suddividono in 6 ambiti nei quali sono racchiuse diverse capacità che il soggetto deve poter sviluppare al termine del percorso di crescita. 20 poiché anche a me, come docente, ha permesso di considerare maggiormente i bisogni di tutti, di scoprire delle difficoltà e di cercare di capire il motivo dell’instaurarsi di alcune dinamiche. Il ruolo del docente è quello di vedere in tutti i bambini una risorsa per l’intera classe e di poter far vivere, senza paura, esperienze diverse agli allievi osservando e valutando attentamente i riscontri ottenuti. Costatare che in alcuni casi la CAA può essere una strategia di apprendimento per alcuni soggetti, mi ha fatto riflettere su ciò che Ianes (2006) nel suo libro esprime, ovvero come la normalità della didattica andrebbe potenziata con strategie derivanti dalla pedagogia speciale. Il docente ha quindi un ruolo importante nell’includere dei materiali didattici speciali all’interno delle sue attività educative. Un limite di questo lavoro sussiste in primo luogo nell’osservazione in sé, poiché non sempre dalle osservazioni scaturiscono elementi significativi e non sempre questi vengono captati. A priori sarebbe utile compiere delle interviste ai bambini in modo da valutare se anche dal loro punto di vista vi siano stati dei cambiamenti rilevanti nell’utilizzo delle immagini. Un altro limite della ricerca è il tempo. Sarebbe stato più appropriato a mio avviso avere a disposizione più tempo per l’osservazione in tutte le situazioni didattiche presentate, in modo da ottenere maggiori informazioni sul comportamento della classe. Uno sviluppo che questa ricerca può avere è la continuità nel tempo. Sarebbe curioso poter proporre nuove esperienze e continuare l’osservazione sui comportamenti dei ragazzi. Un elemento arricchente e da sfruttare sono le educatrici che, con grande professionalità, collaborano per rendere il proprio materiale e le loro conoscenze disponibili per tutti. Come espresso nelle motivazioni che mi hanno spinta a intraprendere questa esperienza, si chiude per me un percorso formativo nuovo e ricco di forti emozioni. Questo lavoro mi ha permesso di vivere tale opportunità con occhi diversi e di guardare la diversità oltre alla sua immagine comune, ovvero come elemento di unione e che ci rende speciali. 21 Bibliografia - Albertoni, P. (2001). Dimmelo come puoi. Itinerario didattico per promuovere la riflessione e l’utilizzo di una Comunicazione Aumentativa Alternativa. Lavoro di diploma ASP, Locarno: Scuola speciale. - Beukelman, D.R., & Mirenda, P. (2014). Manuale di comunicazione aumentativa alternativa. Interventi per bambini e adulti con complessi bisogni comunicativi. Trento: Edizioni Erickson. - Bonaiuto, M., & Maricchiolo, F. (2009). La comunicazione non verbale. Roma: Carocci. - Costantino, M.A. (2011). Costruire libri e storie con la CAA. Gli INs-book per l’intervento precoce e l’inclusione. Trento: Edizioni Erickson. - Greene, G. (1980). Il dottor Fischer a Ginevra. Milano: Arnoldo Mondadori Editore. - Ianes, D. (2006). La speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i Bisogni Educativi Speciali. Trento: Edizioni Erickson. - Marini, A. (2001). Elementi di psicolinguistica generale. Milano: Springer–Verlag. - Pravettoni, G., & Miglioretti, M. (2002). Processi cognitivi e personalità. Introduzione alla psicologia, Milano: FrancoAngeli. - Rispoli, G. (1995). Bambini, colori, immagini. Percorsi di espressione grafica, pittorica e iconica. Bologna: Nicola Milano Editore. - Rivarola, A. (2009). Comunicazione Aumentativa Alternativa (http://www.benedettadintino.it/sites/default/files/allegati/artcolo-dssa-rivarola-sulla-caa2.pdf) - Sarti, P. (2012). Le prime facilitazioni al bambino con difficoltà di comunicazione: indicazioni agli insegnanti. Modena: Auxilia. - Volli, U. (2010). Il nuovo libro della comunicazione. Che cosa significa comunicare: idee, tecnologie, strumenti, modelli. Milano: Il Saggiatore.