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Il tesoro e la creta - Aristide Fumagalli, Sintesi del corso di Teologia II

Riassunto dell'intero libro, con le citazioni integrali contenute nel testo.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 28/02/2021

doda
doda 🇮🇹

4.5

(85)

37 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il tesoro e la creta - Aristide Fumagalli e più Sintesi del corso in PDF di Teologia II solo su Docsity! Aristide Fumagalli Il tesoro e la creta. La sfida sul matrimonio dei cristiani Introduzione Inviata ad annunciare il tesoro che Dio ha riservato all'umanità, la chiesa è da sempre preoccupata di trasmettere intatto il tesoro divino e di prendersi cura della fragilità della creta umana in cui è deposto. Nell'epoca attuale, in cui il vincolo matrimoniale e i legami familiari sono posti in discussione, la chiesa avverte con più urgenza e gravità la responsabilità di insegnare la verità del Vangelo della famiglia e di assicurare la misericordia a coloro cui è chiesto di accoglierlo e viverlo. Tra le numerose strade lungo le quali Cristo invia la chiesa affinché condivida il cammino di uomini e donne, la famiglia è la prima e la più importante. Con Papa Francesco l'attenzione verso le famiglie si è fatta più corale, con il capillare coinvolgimento di tutti i componenti del popolo di Dio nella preparazione del duplice sinodo indetto per 'affrontare le sfide pastorali nella famiglia e nel contesto dell'evangelizzazione'. Questo testo verte sulla sfida, in ambito ecclesiale, dell'indebolimento o abbandono della fede nella sacramentalità del matrimonio. Esso prevede tre momenti: 1. l'inquadratura per dirigere lo sguardo sull'odierna sfida sul matrimonio dei cristiani, nel contesto dell'evangelizzazione e nel dinamismo della tradizione; 2. messa a fuoco sulla verità del matrimonio, nella sua indissolubilità, che la fede riconosce testimoniata nella Sacra scrittura e nei vangeli; 3. indicazione di prospettive che sembrano corrispondenti alle attuali sfide pastorali, riguardanti l'accesso al matrimonio sacramentale, la verifica della sua validità, la cura dei matrimoni feriti. Lo sviluppo della fede non può aver luogo se non nella chiesa tutta intera e per quanto riguarda le realtà famigliari dipende principalmente dalle famiglie cristiane; il sensus fidei dei fedeli e dei presbiteri che accompagnano le loro vicende familiari merita attenta considerazione. I fedeli sono soggetti viventi e attivi che sanno riconoscere ciò che si accorda con il vangelo e scartare ciò che gli è contrario, ma anche di percepire ciò che Papa Francesco ha definito 'le nuove vie per il cammino della fede del popolo pellegrino tutto insieme'. “Lo ripeto spesso: camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha “fiuto”! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei”, che dicono i teologi. Che cosa c’è di più bello? E nel Sinodo ci deve essere anche che cosa lo Spirito Santo dice ai laici, al Popolo di Dio, a tutti.” (Papa Francesco) Primo momento: Inquadratura 1. La (nuova) evangelizzazione La chiesa sembra avvertire la stanchezza e il disincanto dato dalle tenebre calate, soprattutto sull'Occidente cristiano, dopo l'annuncio della 'morte di Dio' (Nietzsche, La gaia scienza) che ha dato il la all'epoca postmoderna. Le burrasche riguardano il sovvertimento dei valori morali che il cristianesimo aveva radicato della civiltà occidentale e portato in ampia parte del mondo. La chiesa è quindi chiamata a intraprendere la 'navigazione' nel tempo presente sulla parola di Gesù, affinché agli uomini e alle donne sia data l'opportunità di essere guadagnati all'amore di Cristo. Papa Francesco la esorta ad una nuova 'uscita missionaria'. Non raramente lo Spirito di Dio, che “soffia dove vuole”, suscita nell’esperienza umana universale, nonostante le molteplici contraddizioni, segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo a comprendere più profondamente il messaggio di cui sono portatori… La Chiesa riconosce che non ha solo dato, ma anche ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del genere umano” (Giovanni Paolo II) I cristiani sono tenuti a credere che la secolarità postmoderna non è meno raggiunta dall'attrazione di Cristo risorto: l'attuale epoca non è un ostacolo all'evangelizzazione ma un tempo propizio per l'annuncio del vangelo. La nuova tappa evangelizzatrice sollecitata da Papa Francesco indica le vie per il cammino della chiesa nei prossimi anni e riguarda in modo speciale la famiglia, nucleo vitale della società e della comunità ecclesiale. Francesco raccomanda generosità e coraggio, non ponendo divieti né censure e raccomandando di contare sui fratelli e specialmente nella guida dei vescovi. La sua preferenza è per una chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade piuttosto che una chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. 2. La sfida pastorale I fenomeni che attengono ai legami di coppia e di generazione evidenziano problematiche inedite e nuove situazioni che sfidano l'evangelizzazione della famiglia in ogni parte del mondo sempre più villaggio globale. Il legame di coppia è sempre più configurato nei matrimoni misti, interreligiosi, combinati, poligamici o convivenze delle coppie di fatto o unioni di persone dello stesso sesso. Anche il legame genitoriale è diversamente configurato, con la fecondazione artificiale eterologa, con le madri surrogate che offrono l'utero in affitto, l'adozione di figli da parte di single o due persone dello stesso sesso. A livello culturale il matrimonio e la famiglia sono contrastati dalla tendenza al disimpegno, che presuppone l'instabilità del vincolo, e al relativismo, che rivendica il pluralismo e la riformulazione dei concetti di famiglia. Tale cultura si avvale del potere mediatico e di proposte legislative che screditano la fedeltà e la stabilità del patto matrimoniale. 2.1 La crisi dei matrimoni cristiani Nell'ambito ecclesiale si registra una vasta e profonda crisi del matrimonio. La crescente tendenza dei battezzati a convivere, il costante incremento dei matrimoni (celebrati anche con rito religioso) che sfociano in separazioni e divorzi, le nuove unioni create dai divorziati risposati, attestano la gravità e attualità della crisi del matrimonio cristiano , così come annunciato e celebrato nella chiesa cattolica. Questo stato di crisi indica un momento di giudizio, frutto di discernimento e presupposto di una scelta, dalla quale dipende lo sviluppo successivo della realtà critica; è l'appello a progredire nel riconoscere meglio la verità dell'amore cristiano che il sacramento del matrimonio dona ed esige di essere corrisposto. L'attuale crisi si fonda sulla qualità cristiana della relazione, ovvero sull'amarsi così come Cristo, per mezzo del sacramento, consente ed esige che essi si amino. sull'indissolubilità del matrimonio, calibrando la disciplina pastorale rispetto alle situazioni matrimoniali che vengono a crearsi. L'adattamento pastorale del principio dell'indissolubilità matrimoniale conoscerà nel corso della tradizione ulteriori sviluppi; ad esempio, a partire dal tardo Medioevo il privilegio petrino attribuisce al romano pontefice la potestà di sciogliere un matrimonio rato ma non consumato. Insieme alla disciplina pastorale e nell'intreccio con essa, si sviluppa il corso della storia della chiesa la dottrina sul matrimonio. L'indissolubilità del matrimonio è inteso come duplice senso di un legame sacro e un segno sacro dell'unione tra Cristo e la chiesa, dato ai coniugi come modello da imitare e come fonte di santità. Con il riconoscimento del matrimonio quale sacramento che conferisce la grazia significata, l'unione indissolubile assurge dal piano dell'obbligo morale al piano teologale. La dottrina magisteriale circa il matrimonio troverà precisa codificazione nel Codice di diritto canonico del 1917 attorno a tre tesi: il matrimonio è un contratto; ha per oggetto il diritto all'unione sessuale in vista della procreazione; la procreazione gode del primato rispetto agli altri fini del matrimonio. 3.3 Novità nella continuità Il rapido accenno all'evoluzione della dottrina sul matrimonio è sufficiente per mostrare come lo sviluppo dottrinale e disciplinare, oltre che di principio appartenga alla tradizione storica della chiesa. Le sfide pastorali non sono affrontabili ricercando nel passato di epoche antecedenti le soluzioni per quella presente, poiché non terrebbero conto dell'effettiva novità della storia, dovuta alle scelte libere degli esseri umani che la vivono e al fatto che tale storia incede verso il suon compimento nel regno dei cieli attratta dallo Spirito della verità, già rivelata, ma non ancora totalmente dispiegata. La 'clausola matteana' della porneia (adulterio) ne è un esempio. Joseph Ratzinger affermava: A riguardo della retta comprensione delle clausole sulla "porneia" esiste una vasta letteratura con molte ipotesi diverse, anche contrastanti. Fra gli esegeti non vi è affatto unanimità su questa questione. Molti ritengono che si tratti qui di unioni matrimoniali invalide e non di eccezioni all'indissolubilità del matrimonio. In ogni caso la Chiesa non può edificare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche incerte. Essa deve attenersi all'insegnamento chiaro di Cristo. Un altro esempio è nella letteratura patristica che attesterebbe che sebbene i Padri si attenessero chiaramente al principio dottrinale dell'indissolubilità del matrimonio, alcuni di loro hanno tollerato sul piano pastorale una certa flessibilità in riferimento a singole situazioni difficili. L'effettiva presenza di tali prassi sarebbe comprovata dal successivo e differente sviluppo della disciplina pastorale delle chiese orientali, ispirate al principio della condiscendenza benevola di talune situazioni difficili, rispetto a quella della chiesa romana, improntata sulla fedeltà alla verità del matrimonio indissolubile. Uno sguardo sintetico sulla tradizione non sembra mettere in discussione che la chiesa, nel suo magistero più ufficiale e nella disciplina più diffusa, abbia escluso le nuove nozze di un coniuge a seguito del fallimento del primo matrimonio cristiano; né sembra poter negare che ci siano state prassi pastorali che abbiano previsto le nuove nozze o l'accesso ai sacramenti da parte dei coniugi di nuova unione. La recensione della tradizione potrebbe essere compendiata osservando che dalle fonti a noi pervenute risulta che l'antica chiesa indivisa teneva nei confronti dei divorziati risposati un atteggiamento non univoco. Inequivocabile era la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio dei battezzati, dottrina fondata sulla stessa parola del Signore e conservata integra nella tradizione. Diversa invece era la prassi che le chiese locali osservano nei confronti dei divorziati che volevano accedere ad ulteriori nozze. La diversità ha cause di natura culturale ed ecclesiale. Le tradizioni e i costumi locali, il diritto romano, le diverse interpretazioni della Scrittura producevano in definitiva un vero pluralismo. Nella prassi ecclesiale attestata dalla tradizione si può riconoscere una linea più tollerante e flessibile rispetto all'adattamento pastorale. Sulla base di questi dati vale come conclusione l'affermazione del cardinal Kasper, secondo cui in linea di principio è chiaro che la chiesa ha continuato a cercare sempre una via al di là del rigorismo e del lassismo, facendo riferimento all'autorità di legare e sciogliere conferita dal Signore. La chiesa, oggi, è nuovamente sfidata ad intraprendere la via che, nella continuità della tradizione, sappia incedere pastoralmente a partire dal punto in cui lo Spirito l'ha condotta nella comprensione dottrinale della verità dell'amore matrimoniale e di lì determinare la conferma o modifica della disciplina pastorale. La chiesa contemporanea gode della grazia del Concilio Vaticano II, sul quale la prossima navigazione della chiesa può contare come su di una sicura bussola. Ratzinger osservava: il matrimonio vada molto al di là dell'aspetto puramente giuridico affondando nella profondità dell'umano e nel mistero del divino, è già in realtà sempre stato affermato con la parola "sacramento", ma certamente spesso non è stato messo in luce con la chiarezza che il Concilio ha dato a questi aspetti. 4. Il rinnovamento conciliare La dottrina cattolica su matrimonio e famiglia ha conosciuto, nel corso del Novecento, una considerevole svolta, grazie al Concilio Vaticano II che ha dischiuso un nuovo orizzonte di pensiero in cui il successivo magistero pontificio si è inoltrato. 4.1 Il magistero conciliare: Gaudium et spes L'inizio ufficiale del rinnovamento della dottrina cattolica su famiglia e matrimonio è riconosciuto nel Concilio Vaticano II (Gaudium et spes); in particolare nel primo capitolo della seconda parte, intitolato 'Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione'. L'essenza del matrimonio è colta nella intima comunità di vita e d'amore coniugale. La qualità esistenziale e amorosa di ciò che si intende per matrimonio viene evidenziata considerando il fondamento, cioè il patto coniugale. Si usa il termine 'patto' (e non più 'contratto') per superare la concezione ristrettamente giuridica del matrimonio e richiamare all'alleanza biblica, un criterio per comprendere e valutare la qualità della comunione coniugale. Tale comunione è l'atto umano con cui i coniugi mutualmente si danno e si ricevono; l'intima unione dei coniugi è mutua donazione di due persone. Un amore così totale e pervasivo trascende l'eros umano e partecipa all'agape divina. Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce. La qualità amorosa del matrimonio trova specificazione in riferimento alla sua natura sacramentale: come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. La qualità del matrimonio è specificata in riferimento al come dell'amore di Cristo per la chiesa. La singolarità dell'amore coniugale rispetto ad ogni altra relazione amorosa è dovuta al suo esprimersi fino all'intimità sessuale: Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. La rinnovata concezione del Concilio Vaticano II prospetta il matrimonio come intima comunità di vita e amore, stabilita dal patto coniugale ed espressa in modo particolare negli atti propri dei coniugi. I padri conciliari avviano la comprensione dei molteplici beni e fini, nonché delle proprietà del matrimonio che la tradizione dottrinale della chiesa aveva individuato nel corso della storia. La riconduzione degli elementi essenziali del matrimonio all'amore è il compito che il concilio dischiude. Ciò vale per per la procreazione come fine e l'incipiente visione del figlio come dono del matrimonio, che appaiono ancora solo accostate: Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. La trasmissione della vita umana è il tema che viene ripreso e approfondito nel magistero postconciliare di Paolo VI. 4.2 Il magistero di Paolo VI: Humanae vitae La riconduzione degli elementi essenziali del matrimonio è esplicitamente sistematica nell'enciclica Humanae Vitae. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l'unione di Cristo e della chiesa. Humanae vitae definisce l'amore coniugale prima di tutto amore pienamente umano, cioè sensibile e spirituale. Il significato della pienezza umana dell'amore coniugale viene precisato osservando che non è semplice trasporto di istinto e sentimento, ma anche e principalmente atto della volontà libera. L'amore totale è una forma speciale di amicizia personale, in cui gli sposi condividono ogni cosa; chi ama il coniuge non lo ama solo per ciò che riceve da lui, ma per se stesso. L'amore è inoltre amore fedele ed esclusivo fino alla morte; è fecondo perché non si esaurisce nella comunione dei coniugi, ma è destinato a suscitare nuove vite. Tale dottrina [qualsiasi atto coniugale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita], più volte esposta dal magistero della Chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Paolo VI parla dell'unione coniugale e della procreazione in termini di significati. Da questa scelta traspare il nuovo corso della dottrina matrimoniale che si orienta verso una considerazione personalistica secondo la quale negli atti del corpo si incarna lo spirito delle persone. Parlare di significato è indicare ciò che gli sposi vogliono dirsi nell'atto coniugale e ciò che l'atto coniugale dice di se stesso. La filosofia contemporanea e la rinnovata ermeneutica biblica hanno messo in luce i limiti della concezione antropologica dualistica che ha ipotecato la cultura occidentale e lo stesso cristianesimo. Su questa rinnovata concezione antropologica unificata confidava lo spirito di Paolo VI quando osava pensare che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana. Secondo momento: Messa a fuoco 1. La verità cristiana del matrimonio L'amore cristiano (cioè come Cristo ha amato)è il nuovo traguardo che la tradizione ecclesiale ha raggiunto nel suo tendere alla comprensione della verità dell'amore matrimoniale. Ma poiché la verità dell'amore è stata rivelata da Cristo, questo nuovo traguardo della tradizione consente una comprensione più profonda di ciò che il Signore ha annunciato, specialmente a riguardo della sacramentalità e indissolubilità del matrimonio. Il progresso della tradizione corrisponde ad un ingresso più profondo nella verità della rivelazione. 1.1 Il Vangelo di Gesù Le parole di Gesù circa il matrimonio sono reperibili in Matteo e Marco, in cui ricorre il racconto della creazione. Ma dall'inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Qui si prospetta il matrimonio come l'esito di un cammino che conduce maschio e femmina alla comunione sponsale. Dio è il soggetto che congiunge, per mezzo di Cristo e in Cristo, l'una sola carne di uomo e donna: il matrimonio è un risultato dell'agire divino. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. La conferma che l'amore coniugale trova piena realizzazione in Cristo è rinvenibile nella Lettera agli Efesini: Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. La vicenda amorosa di un uomo e una donna viene descritta con tre verbi al futuro; sembra di poter cogliere l'allusione al fatto che la comunione amorosa sia una promessa futura. Il futuro impiegato per dire che l'uomo si unirà alla donna è in forma passiva: l'unione non è l'esito dello sforzo della coppia ma è offerta alla coppia in dono. L'unione è donata da Cristo: il divenire una carne sola è l'effetto dell'unione che Cristo realizza con ciascuno dei due. Il matrimonio cristiano è il legame tra un uomo e una donna che sorge a causa dell'amore di Cristo ed è inseparabile dall'uomo. Sono quindi un uomo ed una donna che si amano in Cristo e fanno del come Cristo ha amato il loro criterio ispiratore e la forza vitale della loro relazione amorosa. 1.2 La Legge di Mosè La riconduzione di Gesù al disegno originario di Dio, che ha creato l'uomo e la donna in vista di una comunione inseparabile, contrasta con la tesi divorzista del suo tempo. Diverse scuole:  la scuola rigorista di R. Shammay, per cui il divorzio era legittimo solo in caso di un comportamento immorale della donna;  scuola lassista di R. Hillel, che ammetteva il divorzio anche solo per semplice trascuratezza, e R. Akiba, per cui il marito poteva ripudiare la moglie anche se fosse stato attratto dalla bellezza di un'altra donna. Seppur diverse, tutte le concezioni riconoscevano all'uomo l'iniziativa di divorzio e non alla donna (se non in casi come malattie, professioni del marito, l'essere sottoposta ad esigenze insopportabili o essere abbandonata). In risposta a queste interpretazioni Gesù dice: chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio. Gesù stabilisce una stretta connessione tra divorzio e adulterio: il divorzio, esponendo all'adulterio che si consuma quando il coniuge accede a nuove nozze, è da considerare adulterio, in quanto rompe il matrimonio contro la volontà originaria di Dio (è una grave trasgressione alla legge). “Ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio. E chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio”. Paolo, ai corinti, dice: Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la donna. E' una prova incontestabile della storicità delle parole di Gesù contro il divorzio. Gesù si smarca anche dalla tradizione rabbinica per il riconoscimento della donna quale soggetto del matrimonio, al pari dell'uomo. C'è stato poi un adattamento delle parole di Gesù per mitigarne la radicalità: proibite sarebbero le nuove nozze, mentre legittimo è sarebbe il divorzio. Ciò che Gesù vieta non è il permesso del divorzio concesso da Mosè ma la sua rivendicazione come diritto. La natura meta-legale del comando di Gesù lascia indeterminata la normativa sul matrimonio, affidandola alla mediazione della comunità cristiana; la stessa natura meta-legale di tale comando funge da istanza critica di ogni determinazione del diritto matrimoniale. 2. L'indissolubilità del matrimonio L'insegnamento neotestamentario colloca il matrimonio nella tensione tra essere inscritto nella naturale reciprocità dell'uomo e della donna e il suo realizzarsi grazie al legame in Cristo. Questa tensione è riconosciuta nella dottrina tradizionale quando distingue tra matrimonio naturale e matrimonio sacramentale. Nel riconoscimento ecclesiale del matrimonio naturale risuona l'eco della benedizione pronunciata da Dio all'atto della creazione dell'uomo e della donna e il riflesso del suo sguardo, che vedendo quanto aveva fatto, lo apprezza come cosa molto buona. L'apprezzamento del matrimonio naturale non coincide con il riconoscimento della sua compiutezza, dovuta all'inserimento dei coniugi in Cristo. Secondo la dottrina della chiesa cattolica questo è il matrimonio sacramentale. La teologia del matrimonio invita a comprendere la sacramentalità del matrimonio come una condensazione creativa, indeducibilmente nuova, ed una determinazione di ciò che è accennato in forma generale e indeterminata nella figura umana del matrimonio. giunge a maturazione un percorso di crescita che ha permesso alla persona di dichiarare il suo amore totale e definitivo per un'altra persona, al punto da essere per lei il segno dell'amore totale e definitivo di Dio. Tale maturazione è grazia che raggiunge il suo culmine nell'atto libero di esprimere la propria volontà di dedizione: il consenso o contratto. Questo diventa il punto nodale di un processo che si radica nella disposizione di Dio tesa a costituire di due persone un'unità indissolubile. L'atto della decisione appare pertanto, nello stesso tempo, attuazione della libertà e dono che viene da Dio (grazia). (G. Canobbio) Intesa come processo dinamico, l'indissolubilità non è solo uno stato stabile opposto all'instabilità, ma solidità particolare che la storia di un amore coniugale può raggiungere. La scansione con cui l'indissolubilità si consolida o viene stabilita e custodita è determinata dall'intreccio della progressiva attrazione esercitata dalla grazia cristiana con il graduale affidarsi ad essa della libertà della coppia, nel quadro delle variabili naturali e culturali in cui si trova inserita. Delineiamo quindi le fasi salienti della storia dell'indissolubilità matrimoniale. 2.1 L'indissolubilità come storia Nell'attuale contesto culturale la vicenda amorosa di una coppia ha spesso inizio con l'innamoramento, in senso emozionale e sentimentale. Nell'ambito del forte coinvolgimento l'ipotesi di un legame indissolubile si annuncia come una sorpresa per i due innamorati, attratti dal fascino di vivere per sempre l'amore presente. Il fascino dell'indissolubilità accende il desiderio di poterla vivere e stimola l'immaginazione dei due a rapportare il loro amore con la figura di amore indissolubile che la cultura e l'ambiente mette a disposizione. Il sentimento dell'indissolubilità viene a confrontarsi con la sua mediazione istituzionale. Tale confronto invita le coppie a considerare l'ipotesi del matrimonio indissolubile, vagliando le risorse disponibili e le concrete possibilità di riuscita. L'effettivo impegno, dal punto di vista tradizionale, è il fidanzamento. L'alternativa al fidanzamento è di evitare o differire ad oltranza il matrimonio, trattenendosi nell'attimo presente dell'innamoramento, con la segreta speranza o la dichiarata convinzione che possa durare eternamente. Il confronto svolto con la figura matrimoniale dell'amore, mediato dalla cultura sociale ed ecclesiale di appartenenza tende verso una decisione per la quale i fidanzati, riconosciuta l'indissolubilità dell'amore, la scelgono come proprietà primaria della loro unione. L'amore al tempo del fidanzamento è ancora precario e reversibile ma la scelta matrimoniale non lo è più. La storia personale di ciascuno, intrecciata nel matrimonio, sarà indisgiungibile da quella dell'altro. La scelta di separarsi o divorziare non sarà l'interruzione di una storia possibile ma il rinnegamento di una storia voluta. Il consenso all'indissolubilità impegna la libertà in modo incondizionato, non vincolato al verificarsi di certe condizioni. L'assolutezza del consenso matrimoniale si verifica per via dell'apprezzamento che i due riconoscono all'amore indissolubile. La dimensione religiosa del matrimonio induce a considerare un'ulteriore fase della storia dell'indissolubilità. La dottrina cattolica insegna che nel matrimonio cristiano l'indissolubilità consegue una peculiare stabilità, donata dal sacramento del matrimonio (la comunione in Cristo Gesù). Il matrimonio in Cristo rende disponibile il suo amore per la chiesa, cosicché i coniugi possano viverlo e testimoniarlo. La qualità indissolubile dell'amore di Cristo, in grado di amare fino al dono totale della vita,assegna all'indissolubilità coniugale un significato ed un'efficacia nuovi. La storia dell'indissolubilità si distende nella fase nuova della vita matrimoniale, affrontando la prova del tempo nella diversa qualità dei giorni segnati da gioie e dolori, salute e malattia. E' in questo tratto della storia che la grazia sacramentale può essere apprezzata nella sua capacità di dare all'indissolubilità la stabilità che distingue il matrimonio cristiano da ogni altra forma di amore coniugale. 2.2 La necessità della grazia La necessità della grazia trova riscontro all'interno della Scrittura nell'espressione stupita dei discepoli che al principio enunciato da Gesù circa l'indissolubilità del matrimonio rispondono: se questa è la situazione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi, sentendosi replicare dal Maestro: non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre, e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire capisca. La risposta di Gesù riguarda il matrimonio in quanto congiunzione inseparabile di uomo e donna. La 'parola' che non tutti capiscono è quella circa il matrimonio, che congiunto da Dio, non deve essere sciolto dagli uomini. La dottrina cristiana considera fermamente come principio che l'uomo, con le sue sole forze, non potrebbe accedere all'ideale del matrimonio ed alla continenza volontaria: è necessario un miracolo della grazia redentrice. Ma l'innamoramento resta labile e fragile, sottoposto alla volubilità del sentimento e alla fugacia della passione. L'indissolubilità può apparire come un evento quasi indipendente dalla libertà dei coniugi, un destino fatale o un colpo di fortuna riservato a qualcuno. L'effetto di questa idea di indissolubilità è la concezione del matrimonio naturale (un matrimonio unico e fedele, come illustrato da Benedetto XVI, si trasformi nel sicut ceteri homines, cioè come fanno tutti. E quanto fanno oggi tutti non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i ceteri homines è sposarsi con l'idea che un giorno il matrimonio possa fallire e si possa così passare ad un altro, ad un terzo e un quarto matrimonio. Questo modello 'come fanno tutti' diventa così un modello in contrasto con quanto dice la natura. Diventa così normale sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura umana o comunque si trova difficilmente uno che pensi così. Nell'attuale cultura sociale l'idea dell'amore matrimoniale non coincide con quella della dottrina canonica della chiesa, per cui l'indissolubilità non dipende dalla passione erotico-sentimentale della coppia, ma dal loro atto di stringere un legame per tutta la vita. La dottrina ecclesiale ha elevato la concezione del matrimonio come vocazione cristiana, prospettandolo come la via di santità proposta a tutti coloro che celebrano il sacramento del matrimonio. La cultura sociale dell'amore, introdotta dalla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, ha declassato l'indissolubilità da proprietà essenziale ad un0eventualità possibile ma improbabile. L'accreditamento del matrimonio come vocazione (da parte della chiesa) e il discredito del matrimonio da parte della cultura sociale, allargano la forbice tra le esigenze del matrimonio e le disposizioni morali degli uomini e delle donne, anche battezzati, ai quali è destinato. Tenendo conto di questo divario la disciplina pastorale è sfidata ad aggiornarsi, in ordine alla celebrazione valida del matrimonio, alla verifica della sua eventuale nullità, alla disciplina delle crisi e dei fallimenti matrimoniali. Terzo momento: prospettive 1. L'accesso al matrimonio cristiano Lo scarto tra la dottrina conciliare e la diffusa crisi dei matrimoni sollecita a fuoriuscire da una comprensione acritica del principio canonico secondo cui tra i battezzati non può sussistere un valido contratto matrimoniale che non sia per ciò stesso sacramento. 1.1 Fede battesimale e matrimonio sacramentale L'interpretazione critica di questo principio non è impertinente, se è vero che è stata presa in considerazione da Joseph Ratzinger, in questi termini: Ulteriori studi approfonditi esige invece la questione se cristiani non credenti - battezzati, che non hanno mai creduto o non credono più in Dio - veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è "ipso facto" un matrimonio sacramentale. Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale "valido" fra battezzati è allo stesso tempo sacramento. All'essenza del sacramento appartiene la fede; resta da chiarire la questione giuridica circa quale evidenza di "non fede" abbia come conseguenza che un sacramento non si realizzi. Anche prima del termine del suo pontificato, Benedetto XVI ha ripreso la questione del rapporto tra fede e matrimonio. Pur affermando che il patto indissolubile tra uomo e donna non richiede la fede personale dei nubendi, faceva notare che: nel caso in cui non si avverta alcuna traccia della fede in quanto tale (nel senso del termine "credenza", disposizione a credere), né alcun desiderio della grazia e della salvezza, si pone il problema di sapere, in realtà, se l’intenzione generale e veramente sacramentale di cui abbiamo parlato, è presente o no, e se il matrimonio è contratto validamente o no. Il richiamo a comprendere meglio la valenza della fede personale dei nubendi illumina l'interpretazione secondo cui il matrimonio tra battezzati sia per ciò stesso sacramento. Il presupposto implicito è che i battezzati che contraggono il matrimonio abbiano corrisposto alle condizioni richieste come necessarie per la valida celebrazione del loro battesimo. Recita il Codice di Diritto Canonico: ù Affinché un adulto possa essere battezzato è necessario che abbia manifestato la volontà di ricevere il battesimo, sia sufficientemente istruito nelle verità della fede e sui doveri cristiani e sia provato nella vita cristiana per mezzo del catecumenato, sia anche esortato a pentirsi dei propri peccati. Tali condizioni sono predisposte come criteri di discernimento per gli interessati, affinché siano abilitati ad accogliere la grazia sacramentale. La chiesa cerca in questo modo di corrispondere al discernimento evangelico, che mette in guardia circa la distanza eventuale tra l'affermazione verbale e la pratica esistenziale. Non è sufficiente che una persona dica di credere: è necessario che il vissuto testimoni l'effettivo inserimento in Cristo, considerando la prassi di vita. L'indicazione dei criteri di discernimento della fede incontra l'obiezione che contesta la possibilità di qualsiasi misurazione della fede: questa può indurre a sorvolare verso l'eccesso legalista per il quale la sola corretta espletazione delle pratiche canoniche da parte dei due battezzati comporta la validità sacramentale del loro matrimonio. Sostenere questa tesi vorrebbe dire ammettere che Dio possa unire indissolubilmente un uomo ed una donna a prescindere dalla loro libera disposizione esistenziale. Ma l'alleanza coniugale diventa sacramento solo se i futuri sposi accettano di entrare nella vita coniugale passando attraverso Cristo, al quale, mediante il battesimo, sono incorporati. Le dichiarazioni sulla fede e sull'amore da parte di chi chiede di sposarsi in chiesa sono sufficientemente consapevoli e responsabili a prescindere dalla prassi di vita cristiana? Ai giovani che vogliono intraprendere il cammino sacerdotale o la vocazione religiosa la chiesa richiede un iter assai lungo di formazione, affinché ciò che essi avvertono maturi solidamente. Una simile verifica pratica anche verso chi vuole sposarsi aiuterebbe i nubendi a distinguere, nella 'Babele amorosa', i tratti dell'autentico amore cristiano da altre forme di relazione di coppia. L'anomala condizione di adulti battezzati non credenti trova parziale spiegazione nel fatto che costoro abbiano avuto il battesimo da bambini, senza averlo responsabilmente scelto. Questa condizione non giustifica l'assenza di fede nella vita adulta, poiché il soggetto, crescendo, potrebbe corrispondere alla grazia sacramentale donatagli nell'infanzia. La norma canonica individua le garanzie necessarie e sufficienti perché ci sia fondata speranza che l'infante sia educato nella fede cristiana: 1) nella volontà di non ostacolare positivamente la fede e la pratica cristiana dei figli; 2) nella scelta di un padrino che possa educarlo con la parola e con l'esempio alla pratica cristiana; 3) nell'accettare gli aiuti offerti dalla comunità parrocchiale, per esempio, permettendo la partecipazione alla catechesi parrocchiale. Sembra ancora plausibile supporre che un bambino abbia concrete possibilità di essere educato nella fede cristiana, se non direttamente dai genitori, dalla più ampia cerchia familiare, per via della frequentazione scolastica e per i contatti con l'attività pastorale della chiesa cattolica sul territorio. Ciò che si registra tra gli operatori di pastorale matrimoniale e tra i sacerdoti è l'impressione che, in larga parte, quanti oggi chiedono di sposarsi in chiesa abbiano assai scarsamente corrisposto personalmente in età adulta ai criteri di discernimento della fede battesimale. 1.2 La maturazione della fede battesimale Considerando l'insufficiente vita di fede dei battezzati nubendi e la scarsa cultura del matrimonio in cui vivono, risalta la serietà dell'interrogativo circa la (non) fede dei battezzati non credenti che vogliono sposarsi in chiesa. Appare plausibile l'ipotesi che l'evidenza di non fede sia rilevabile attingendo ai criteri del Codice di Diritto Canonico per ricevere il battesimo. A conforto di questa tesi, vale la norma canonica secondo cui il matrimonio naturale di due coniugi non battezzati, a seguito del loro battesimo, diviene sacramentale, senza che essi debbano celebrare il sacramento del matrimonio. Un criterio per discernere la sufficiente vitalità della fede battesimale, necessaria per la celebrazione sacramentale, del matrimonio potrebbe essere quello di una verifica della prassi di vita degli aspiranti sposi cristiani lungo il corso di un itinerario disteso e graduale, ispirati a momenti del catecumenato battesimale. Una tale ipotesi è un'autorevole direttiva del magistero pastorale. Già dopo il Concilio Vaticano II i vescovi italiani immaginavano la preparazione al matrimonio come una forma di catecumenato. L'indicazione potrebbe già avvalersi di talune esperienze in atto come pure contributi di carattere teologico, che propongono di strutturare il cammino di fede verso il matrimonio sulla falsariga degli itinerari catecumenali per l'iniziazione cristiana. Al di la della varietà ed opportunità dei termini coniati (corsi prematrimoniali, itinerari educativi, percorsi per fidanzati) ciò che è andato maturando è che la forma più rispondente alla realtà del matrimonio alle esigenze attuali è quella degli itinerari di fede. Gli elementi di una rinnovata pastorale prematrimoniale sono essenzialmente due: la scansione temporale e la specificità cristiana. Il termine itinerario evoca il distendersi della preparazione nel tempo; la specificazione di fede lo qualifica in senso cristiano. La maturazione della fede prevede tempi distesi e non sempre facilmente programmabili, oggi più che in passato; essi non coincidono normalmente con quelli della maturazione sessuale e sentimentale dei giovani, oggi più che in passato. Nella misura in cui si immagina la preparazione del matrimonio come un cammino di fede, non si potrà mettere tra parentesi il fatto che quando le coppie manifestano la richiesta di sposarsi, la loro storia amorosa ha già assunto tratti tipicamente coniugali: il dato lampante è l'incremento delle coppie che si presentano al corso di preparazione già convivendo, talvolta con figli. Se si considerassero anche le coppie che senza coabitare intrattengono una relazione di tipo Vi è chi auspica la creazione di un nuovo organismo ecclesiale, interdisciplinare, che permetta ai fedeli di giungere alla certezza morale che attiene alla realtà interpersonale e religiosa del matrimonio cristiano. Anche Ratzinger, seppur senza precisarne la modalità, ha ipotizzato un'evoluzione pastorale delle procedure di nullità di un matrimonio: in futuro si potrebbe arrivare ad una constatazione extragiudiziale della nullità del primo matrimonio. Questa potrebbe essere constatata anche da chi ha la responsabilità pastorale del luogo. Tali sviluppi nel campo del diritto che possono semplificare le cose, sono pensabili. Anche per la verifica dell'eventuale nullità del matrimonio si prospettano come opportuni criteri di discernimento le condizioni che sono sembrate adeguate per l'accesso al sacramento del matrimonio, cioè le condizioni poste dalla chiesa per verificare la presenza della fede battesimale nei catecumeni. 3. La cura dei matrimoni feriti Concepito come forma specifica della vocazione cristiana, il matrimonio comporta la sequela Christi e assume figura cruciforme. L'esigente e difficile sequela prospettata ai discepoli non è al riparo da esperienze fallimentari, che invece incombono sul discepolato. Su una vicenda di mancata fedeltà coniugale Gesù disse chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra. La chiesa è quindi invitata a prendere il considerazione la 'drammatica matrimoniale', cioè il fatto che il matrimonio sia un mistero di salvezza posto nella realtà umana, un tesoro in vasi di creta, non al riparo dal fallimento. Infatti, anche la migliore preparazione non assicura dall'eventualità del fallimento; se così non fosse il matrimonio cesserebbe di essere dono di grazia e storia di due libertà umane. La storia matrimoniale di due coniugi può divenire difficile, fino alla irreversibile separazione dei coniugi, ai quali risulta impossibile continuare o ricostruire la prima unione. La reciproca indisposizione dei coniugi può giungere ad un punto di irreversibilità quando le ferite subite nel matrimonio sconsigliano la ripresa della vita coniugale, che finirebbe per innescare insanabili conflitti oppure quando, a causa della sofferenza, sia esaurita ogni capacità di investire nuove energie per ricucire la relazione spezzata con l'altro, senza che vi sia odio nei suoi confronti. La fallibilità di uomini e donne può giungere sino a costringerli a fare i conti con il fallimento definitivo della loro convivenza coniugale, nella cui riuscita avevano sperato. Il crollo della speranza di riuscita provoca, a livello personale, un senso di colpa per il mancato adempimento della promessa d'amore data e ricevuta e provoca, a livello sociale e soprattutto ecclesiale, un senso di esclusione e proscrizione per aver deluso le aspettative della comunità di appartenenza. A fronte di questo doloroso vissuto, la chiesa è chiamata ad annunciare che il fallimento è un'esperienza decisiva della fede, in cui uomini e donne sperimentano, la misericordia sconfinata di Dio che riapre un nuovo orizzonte di vita. Il peccato di Davide, adultero ed omicida, nell'Antico Testamento, e il rinnegamento di Pietro, supponente e infedele, nel Nuovo Testamento, raccontano di come il fallimento del rapporto con il Signore sia il momento dell'esperienza più intensa della misericordia di Dio, che perdona e rinnova il suo credito. In effetti l'intera storia della salvezza attestata nella Bibbia rivela il fallimento umano quale luogo della potenza divina: la Pasqua di Gesù è intreccio di morte e resurrezione; morte che dichiara il fallimento della vita umana e resurrezione, per la quale la morte diviene passaggio alla vita nuova. La morte di Cristo rivela l'assunzione del fallimento della vita umana. A resurrezione rivela come Dio doni nuova vita all'essere umano, specie quando fallisce le sue attese e i suoi progetti di vita. L'amore vivificante di Dio predilige l'uomo e la donna a causa e nei loro fallimenti. L'opportunità di una teologia del fallimento è dovuta alla necessita di annunciare la misericordia nelle situazioni di mortificazione della vita, quale quella della rottura irreversibile della convivenza matrimoniale. 3.1 L'annuncio ecclesiale della misericordia L'annuncio della misericordia rispetto al fallimento ispira la disciplina della chiesa, che non esige convivenza conflittuale dei coniugi ad ogni costo e ammette, come estremo rimedio, non solo la separazione ma anche il divorzio. 3.1.1 L'offerta del perdono La misericordia della chiesa riguarda il fallimento del matrimonio dovuto ai limiti oggettivi della condizione umana ma anche quello dovuto alla volontà colpevole. Anche i coniugi possono peccare contro l'amore, giungendo sino a rinnegare la promessa di essere reciprocamente fedeli nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarsi e onorarsi ogni giorno della loro vita. L'eventualità del peccato non è misconosciuta dalla chiesa, che dalla sua fondazione ha ricevuto la possibilità, mediante il dono del perdono del peccato, dell'accesso al regno dei cieli. La chiesa non rifiuta il perdono anche a chi ha colpevolmente distrutto un matrimonio valido, nella misura in cui si pente sinceramente e ripara concretamente al male compiuto. La chiesa annuncia il perdono dei peccati esigendo il pentimento del peccatore. L'applicazione di questa logica ai matrimoni falliti ammette al perdono dei peccati i fedeli divorziati risposati a condizione che rinuncino alla loro unione, interrompendo la convivenza coniugale nuovamente intrapresa e tornino a vivere soli o, quantomeno, astenendosi dall'intimità sessuale e coabitando come fratello e sorella. A meno che non si rinunci alla nuova convivenza coniugale non si danno, secondo la disciplina tradizionale della chiesa, le condizioni affinché la misericordia possa raggiungere gli interessati, perché sarebbero perseveranti nel peccato di convivere coniugalmente a fronte del precedente matrimonio sacramentale. Una nuova convivenza matrimoniale si configura come un adulterio continuato, trasgressivo dei propri doveri di coniugi e lesivo dei diritti concessi all'altro coniuge. Una diversa valutazione della nuova convivenza potrebbe derivare dalla concezione del matrimonio che inserisce la logica dei diritti/doveri assunti dai coniugi in quella del patto personale, cioè nel dono reciproco di sé all'altro. Questo cambio di paradigma è stato portato dal Concilio Vaticano II. La chiesa è invitata a considerare la sua disciplina nei confronti delle situazioni matrimoniali irregolari, corrispondenti allo stato di vita battezzati conviventi ma senza il sacramento del matrimonio: semplici conviventi, sposati solo civilmente, divorziati e risposati civilmente dopo un primo matrimonio sacramentale. L'ultima categoria sfida la pastorale familiare dato che a differenza delle altre due non ammette di essere regolarizzata mediante la celebrazione sacramentale del matrimonio. 3.1.2 L'attuale disciplina della chiesa e le sue difficoltà La disciplina attuale verso i divorziati risposati esclude la possibilità di nuove nozze sacramentali a seguito del fallimento di un precedente matrimonio valido e non ammette alla ricezione degli altri sacramenti, in particolare all'assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica. Nemmeno permette loro di assumere compiti ecclesiali che presuppongono una testimonianza di vita cristiana particolare: servizi liturgici, servizi educativi, servizi pastorali. Viene anche sconsigliato che i fedeli divorziati risposati fungano da testimoni di nozze. Con il pontificato di Francesco e la sua indizione di due sinodi sulla famiglia, si è riaperta la questione, sempre presente nella storia della chiesa. Diviene doveroso prestare rinnovato ascolto alle istanze che invitano a considerare se l'attuale disciplina sia sufficientemente equilibrata o non possa arrivare a migliori determinazioni. La condizione essenziale prevista dall'attuale disciplina affinché un coniuge separato possa accedere ai sacramenti, è che non viva un'altra relazione di tipo coniugale (accettazione della solitudine o vivere con il partner tamquam frater et soror). A riguardo di queste due scelte occorre sottolineare l'innegabile valore di testimonianza rispetto all'indissolubilità del matrimonio cristiano: il restare soli di fronte all'abbandono è una forma dolorosa ma luminosa della qualità dell'amore di Dio. La chiesa riconosce valore di testimonianza eccellente ai coniugi che, pagando un caro prezzo, accettano la solitudine come forma di riconoscimento dell'indissolubilità del matrimonio cristiano. Nella stessa logica si può comprendere la scelta di chi convive in una nuova unione astenendosi dagli atti propriamente coniugali. Le due scelte non sono alla portata di tutti i coniugi separati e divorziati, data la difficoltà di vivere in solitudine, tanto più dopo aver sperimentato la vita coniugale; difficoltà che spingono le persone all'eroismo, a causa dell'irreversibilità del fallimento del loro matrimonio. a) Coniugi separati e preti sposati L'eccessiva difficoltà a vivere in solitudine è motivo da giustificare la prassi canonica della dispensa dal celibato ecclesiastico per i ministri ordinati della chiesa che non riuscissero più a viverlo. La dimissione dal ministero celibe per intraprendere una vita matrimoniale contraddice la solenne promessa liberamente assunta e autorevolmente accolta dalla chiesa il giorno della consacrazione con il sacramento dell'ordine. La contro-testimonianza di un sacerdote che lascia il ministero sembrerebbe maggiore rispetto a quella di un fedele divorziato risposato civilmente. Nel corpo ecclesiale, al sacerdote si attribuisce la rappresentazione simbolica di Cristo (agisce in nome di Cristo). La coerenza della disciplina ecclesiale che ammette la dispensa dal celibato per i ministri ordinati ma non permette ad un coniuge irreversibilmente separato di essere dispensato dalla solitudine intraprendendo una vita coniugale, è spiegata in base al fatto che il nesso del sacramento dell'ordine con la condizione di celibe non è diritto divino, ma solo diritto ecclesiastico. Il celibato non è essenziale al sacerdozio ministeriale, come nella chiesa d'Oriente ortodossa e cattolica; esso è conveniente ragione per cui la chiesa d'Occidente ammette al sacerdozio solo chi accetta di vivere da celibe. Per quanto il diritto canonico della chiesa cattolica latina ammetta all'ordinazione solo uomini celibi, la dottrina sacramentaria non esclude che nella stessa persona possano coesistere il sacramento dell'ordine e il sacramento del matrimonio. La medesima dottrina non ammette che nella stessa persona coesistano due sacramenti del matrimonio: nuove nozze sacramentali sono ammesse solo se un coniuge resta vedovo; solo la morte scioglie il vincolo matrimoniale. La disciplina ecclesiale che dispensa il sacerdote dalla condizione di celibe, liberamente scelta, e non il coniuge separato dalla condizione celibe, salvaguarda l'oggettività sacramentale e impone al coniuge separato ciò che non esige dal sacerdote celibe. L'obbligo di accettare la condizione celibe viene motivata rinviando al dato dogmatico secondo cui Dio non pone prove che non possano essere sopportate. La disparità appare eccessiva a chi non riesce ad intendere la disciplina della chiesa se non come un privilegio concesso ai sacerdoti e negato ai coniugi. La scelta di rimanere soli dopo la fine irreversibile del matrimonio è una forma eroica di testimonianza dell'indissolubilità del matrimonio cristiano. La dottrina sacramentaria ammette la compresenza nella stessa persona del sacramento dell'ordine e quello del matrimonio, ma non quella di due matrimoni che contraddicono l'indissolubilità propria del matrimonio cristiano. La storia di una persona che celebrasse un altro matrimonio, vivente il primo coniuge, non potrebbe significare efficacemente il tratto dell'amore di Cristo. Qualora le prime nozze, irreversibilmente concluse, fossero valide, di quella validità sostanziale corrispondente al discernimento della fede, la nuova unione non potrebbe assurgere alla dignità di sacramento. b) Conviventi non coniugi L'esclusione di un ulteriore matrimonio, a seguito di un matrimonio sacramentale, sembrerebbe privare la nuova convivenza coniugale di ogni legittimità morale. Ai fedeli risposati non resterebbe scelta che lasciarsi e, nell'eventualità di non tornare con il precedente coniuge, restare soli. La disciplina della chiesa non esige incondizionatamente tale scelta, riconoscendo seri motivi (età avanzata di un coniuge o ambedue, figli bisognosi di aiuto o motivi analoghi) a causa di cui i fedeli moglie? Poiché tutti l'hanno avuta in moglie». E Gesù rispose loro: «Vi ingannate, perché non conoscete le Scritture e neppure la potenza di Dio. Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. La riconfigurazione escatologica dei legami di base alla carità effettivamente vissuta rimanda al giudizio di Dio la composizione dei legami vissuti sulla terra. E come spetta a Dio comporre o scomporre i legami matrimoniali dei vedovi risposati, così gli è riservata la composizione o scomposizione dei legami che i fedeli divorziati risposati hanno vissuto nel matrimonio sacramentale e nella nuova unione. Alla chiesa compete di disciplinare l'ammissione o meno al matrimonio sacramentale, in modo che non venga meno l'annuncio e la testimonianza credibile dell'indissolubilità del matrimonio cristiano, ciò che l'esclusione di un altro sacramento del matrimonio sembrerebbe sufficiente per salvaguardarle. 3.3 L'esclusione di nuove nozze sacramentali L'incompetenza sull'azione congiuntiva di Cristo nel sacramento del matrimonio è a fondamento della consapevolezza della chiesa per cui il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte. Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli. In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. L'esclusione di ogni potestà sui matrimoni impedisce alla chiesa di sciogliere un matrimonio sacramentale e di ammettere i coniugi alla celebrazione di nuove nozze sacramentali con altra persona. Poiché la chiesa non si riconosce il potere di sciogliere un matrimonio rato e consumato, sorge la domanda circa la compatibilità di tale vincolo con il legame dovuto alla nuova unione che i coniugi separati vivessero a seguito del fallimento della loro precedente convivenza matrimoniale. Né si è in presenza di due matrimoni sacramentali, dato che la nuova unione non ha carattere di sacramento, né si danno due convivenze matrimoniali, dato che la prima è irreversibilmente conclusa. Non sembra quindi esserci incompatibilità né sulla significanza sacramentale né sul versante della vita morale dei fedeli divorziati risposati. L'esclusione di nuove nozze sacramentali è la condizione necessaria affinché la chiesa possa annunciare il matrimonio cristiano indissolubile. Oltre che necessaria, l'esclusione del matrimonio per i fedeli divorziati risposati, è una condizione sufficiente per l'annuncio della chiesa. 3.4 L'appartenenza alla chiesa La nuova unione dei fedeli divorziati risposati può significare altri tratti dell'amore di Cristo che appartengono al matrimonio cristiano. La testimonianza di unità, feconda e fedele, di alcune coppie in situazione irregolare risulta, secondo il giudizio pastorale di sacerdoti e operatori, più vivida e credibile che non quella di tanti coniugi regolarmente sposati. L'impossibilità di corrispondere all'indissolubilità se da un verso impedisce di riconoscere come sacramento la nuova unione, non esclude che le si possa riconoscere la qualità, anche cristiana e quindi ecclesiale, della loro unione. Rilevante è l'evoluzione nel riconoscimento dell'appartenenza ecclesiale al corpo di Cristo dei fedeli divorziati risposati. Nel Codice di Diritto canonico del 1917 i fedeli divorziati e risposati con rito civile erano definiti bigami o ipso facto infami, e potevano essere colpiti da scomunica o interdizione personale. Nel Codice di Diritto canonico del 1983 cadono tali gravi punizioni. J. Ratzinger, a proposito dei fedeli divorziati risposati: I fedeli divorziati risposati rimangono membri del popolo di Dio e devono sperimentare l'amore di Cristo e la vicinanza materna della chiesa. Sebbene questi fedeli vivano in una situazione che contraddice il messaggio del Vangelo, essi non sono esclusi dalla comunione ecclesiale. Essi sono e restano sue membra, perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana. Per questo motivo i documenti magisteriali parlano normalmente di fedeli divorziati risposati e non semplicemente di divorziati risposati. La considerazione dei fedeli divorziati risposati si spinge fino a sollecitare la loro partecipazione attiva: Siano esortati ad ascoltare la parola di Dio, a frequentare il sacrificio della messa, a perseverare nella preghiera, a dar incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. Le molteplici forme di partecipazione, pur non essendo sacramentali, permettono ai divorziati risposati l'essenziale contatto con la grazia di Dio. Si ritiene necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della ricezione dell'eucaristia. Il Cardinale Tettamanzi: Non dimentichiamolo mai: la messa comporta sempre per sua natura una comunione spirituale che ci unisce al Signore e, in lui, ci unisce ai nostri fratelli e sorelle che si stanno accostando alla sua mensa. L'attuale disciplina della chiesa ammette e auspica il contatto vivo della grazia divina con la vicenda umana dei divorziati risposati; non solo di quelli che vivono senza avere intimità sessuale ma anche quelli che non si astengono, pur a seguito di un matrimonio sacramentale valido. Giovanni Paolo II infatti sosteneva: Con ferma fiducia la chiesa crede che, anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità. Questa dichiarazione è di grande conforto per i fedeli divorziati risposati che si sentono rifiutati dalla chiesa e minacciati del castigo divino: anche per loro è aperta una via per corrispondere alla vocazione cristiana su questa terra ed essere giudicati degni del regno dei cieli al termine della vita. 3.5 L'ammissione ai sacramenti La fede della chiesa nel possibile stato di grazia dei fedeli divorziati risposati è implicitamente espressa nella richiesta di partecipare alla vita della comunità cristiana, suscitata e sostenuta dalla grazia dello Spirito. Perché la chiesa impedisce di ammettere in forma sacramentale ai divorziati risposati? 3.5.1 Le ragioni dell'attuale esclusione Ci sono due ragioni: 1. di tipo dottrinale, il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono a quell'unione di amore tra Cristo e la chiesa, significata e attuata dall'eucaristia; 2. di ordine pastorale, se si ammettessero queste persone all'eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della chiesa sull'indissolubilità del matrimonio. La ragione pastorale è anticipata da una breve riflessione. L'attuale ricezione dell'eucaristia da parte dei divorziati risposati comporta per loro l'obbligo di evitare lo scandalo agli altri fedeli. La ragione più importante per non ammettere i divorziati risposati alla comunione sacramentale è la contraddizione oggettiva (peccato grave manifesto) tra l'amore umano che essi vivono e l'amore cristiano, significato e attuato nell'eucaristia. Giovanni Paolo II, nella distinzione teologica dei peccati afferma che il peccato grave si identifica, nella dottrina e nell'azione pastorale della chiesa, come peccato mortale: ciò che ha per oggetto una materia grave e che viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso. Questo concetto rappresenta il concetto interpretativo di quella oggettiva contraddittorietà che costituisce la ragione dottrinale dell'esclusione dei divorziati risposati alla ricezione dei sacramenti. Tale oggettività non può essere pensata a prescindere da elementi soggettivi. Che i divorziati risposati si possano trovare in stato di peccato mortale non è impossibile; che lo siano necessariamente sembra però una deduzione indebita. Ciò non può essere stabilito per l'incapacità della chiesa sull'intimità della coscienza personale e per via del riconoscimento da parte del magistero di talune situazioni in cui né il ripristino della situazione precedente né il porre fine alla successiva convivenza si presentano come soluzioni possibili. L'irreversibilità della prima separazione e la consistenza assunta dalla seconda unione impediscono altre scelte. Il principio classico della dottrina morale cattolica è sufficiente per escludere che la permanenza dello stato di divorziato risposato corrisponda a quello di ostinazione in peccato grave. Che la nuova unione non possa essere identificata con il loro stato di peccato grave risulta dalla ragione per cui essi non sono ammessi all'eucaristia, ragione che non dipende dalla loro responsabilità morale. Come afferma Giovanni Paolo II: Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido. L'attuale disciplina non è motivata dall'attribuzione della medesima responsabilità morale a quanti vivono in situazione matrimoniale irregolare. Il magistero della chiesa per giungere a tanto dovrebbe almeno conoscere la situazione di ciascuno e riconoscere che tutti sono egualmente responsabili dal punto di vista morale; il che contrasta con la dichiarata volontà di ben discernere le varie situazioni. Ciò su cui fa leva l'attuale disciplina è il rilievo pubblico della loro situazione: la chiesa non ha la pretesa di giudicare l'interiorità delle persone, ma si limita a constatare l'esteriorità della situazione in cui vivono, guarda quindi a ciò che appare, senza la pretesa di sostituire il giudizio del Signore. La storia dei divorziati risposati contravviene al tratto indissolubile dell'amore di Cristo. La loro vicenda matrimoniale non è oggettivamente in grado di rappresentare l'indissolubilità dell'amore di Cristo. Sono ragioni di tipo oggettivo che presiedono alle regole canoniche della chiesa, motivo per cui l'applicazione della disciplina non è un giudizio sulla soggettiva indegnità o la dichiarazione che il divorziato risposato si trovi in una situazione di peccato grave. Non c'è un giudizio sulle persone e il loro vissuto, ma una norma necessaria a motivo del fatto che queste nuove unioni non possono esprimere il segno dell'amore unico, fedele, indiviso di Gesù per la chiesa. La distinzione tra responsabilità soggettiva e situazione oggettiva impedisce di interpretare la disciplina attuale come una dichiarazione di condanna morale nei confronti dei fedeli divorziati risposati. La severità della disciplina dipende dalla preoccupazione di testimoniare l'indissolubilità del matrimonio cristiano nella concretezza delle vicende amorose umane.  Si deve esaminare se l'adesione al secondo vincolo è diventata un nuovo obbligo morale di fronte al partner e ai figli;  Si deve sufficientemente essere sicuri che i partner si sforzano veramente di vivere in modo cristiano e con motivazioni trasparenti, cioè vogliono partecipare anche alla vita sacramentale della chiesa mossi da ragioni puramente religiose. La stessa cosa vale per l'educazione dei figli. Sulla base dei criteri prospettati, i fedeli divorziati avrebbero modo di verificare l'effettiva responsabilità assunta nei confronti del primo matrimonio e della seconda unione e la chiesa potrebbe distinguere tra chi chiede al Signore il perdono e la grazia di una nuova unione e chi abbia posto fine al matrimonio e vivesse la nuova unione a prescindere dal comandamento del Signore. 3.6 Il riconoscimento ecclesiale delle nuove unioni La prospettazione di un riconoscimento ecclesiale circa la partecipazione sacramentale dei fedeli divorziati risposati alla vita della chiesa apre la possibilità del riconoscimento della loro unione che prescinde da un nuovo sacramento del matrimonio. Tale riconoscimento ecclesiale è già implicito nell'esortazione ai fedeli divorziati risposati a partecipare attivamente alla vita della chiesa, anche alla celebrazione della messa. Tuttavia, ogni riconoscimento della nuova unione viene esplicitamente escluso, al fine di evitare l'impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide: ai pastori è vietato di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Questa proibizione si basa sulla dottrina dell'identità tra contratto matrimoniale e sacramento del matrimonio. Ogni riconoscimento di un nuovo contratto matrimoniale risulterebbe incompatibile con il precedente sacramento del matrimonio. 3.6.1 La dottrina dell'identità tra contratto e sacramento La dottrina dell'identità tra contratto e sacramento e della loro inseparabilità si è potuta sviluppare a seguito del riconoscimento della natura propria del sacramento di matrimonio, operato dalla teologia medioevale e confermato definitivamente dal concilio di Trento. Tale dottrina ha prevalso in base a motivi disciplinari e giuridici, più che teologici e dogmatici. Il suo sviluppo è funzionale alla rivendicazione del matrimonio come istituzione ecclesiale. La giurisdizione della chiesa sul matrimonio viene difesa mediante l'introduzione della forma canonica che vincola la validità del consenso matrimoniale alla presenza di un parroco e almeno due testimoni. In tal modo la chiesa intende garantire ai nubendi indebite pressioni familiari o contrastare il fenomeno dei matrimoni clandestini. L'imporsi della dottrina dell'identità tra contratto e sacramento avviene in concomitanza con la secolarizzazione moderna e della rivendicazione da parte degli stati moderni sulla giurisdizione sui contratti matrimoniali. Questa dottrina sembrerebbe non riconoscere l'unione tra due battezzati che non sia sacramento. Occorre però chiedersi se l'identità tra contratto e sacramento non abbia finito per impedire il riconoscimento della loro possibile distinzione, almeno nei casi in cui due battezzati, i fedeli divorziati risposati, pur non potendo più significare l'indissolubilità dell'amore matrimoniale mostrino, con la loro storia di vita, la bontà insita nella loro nuova unione. Anche se questa non può assurgere a sacramento, essa può presentare tratti autentici di amore coniugale, analoghi a quelli che la chiesa riconosce ai matrimoni naturali, anche se questi non giungono alla stabilità tipica dei matrimoni sacramentali. La ragione di salvaguardare la proprietà indissolubile del matrimonio non sembrerebbe escludere, almeno in teoria, qualsiasi riconoscimento ecclesiale delle nuove unioni dei fedeli divorziati risposati. Del resto tale riconoscimento è già implicito nell'attuale prassi disciplinare. 3.6.2 L'affidamento al Signore della nuova unione Il sacramento del matrimonio nella chiesa cattolica è univocamente determinato, cosicché non si dà la possibilità di riconoscere la nuova unione ad un grado inferiore di quello del primo matrimonio. Nella teologia ortodossa invece, seconde e terze nozze sono concepite come matrimoni sacramentali insufficienti. L'ipotetica elaborazione di una teologia dei gradi del sacramento del matrimonio potrebbe far leva sul fatto che negare la pienezza del valore sacramentale delle seconde nozze non vuol dire che esse non abbiano alcun valore sacramentale. Le seconde nozze infatti partecipano in certa misura della pienezza del valore sacramentale, in quanto un vincolo unico e stabile è considerato migliore della fornicazione. In una relazione unica e stabile, che ha luogo dopo la fine del precedente matrimonio, non scompare ogni aspetto del mistero soprannaturale, di cui il vincolo matrimoniale è immagine, per cui non può essere semplicemente equiparata al peccato di fornicazione. Rimane in piedi 'quel tanto', costruito appunto dalla unicità e dalla stabilità, sufficiente perché la chiesa possa riconoscere un vero matrimonio cristiano nell'unione matrimoniale di chi non riesce a rimanere solo. Perchè l'unione unica e stabile possa in qualche modo diventare immagine del mistero soprannaturale, la chiesa va incontro alla debolezza dell'uomo. La sacramentalità di una nuova unione potrebbe essere intesa nel senso di una sacramentalità naturale che Dio ha impresso nell'unione tra un uomo e una donna, creandoli a sua immagine e somiglianza. Già oggi la grammatica liturgica della chiesa conosce varie forme di riconoscimento diverso da quello del sacramento. Prospettando la benedizione della nuova unione non s'intende riconoscere come buono il fallimento della precedente convivenza matrimoniale ma affidare alla misericordia del Signore la storia di un uomo e una donna ben disposti a corrispondere nella loro vocazione cristiana. Sembra opportuno prevedere una forma di riconoscimento ecclesiale che esprima l'affidamento a Dio, ricco di misericordia, della vicenda coniugale e familiare dei fedeli divorziati risposati. La responsabilità nei confronti del precedente matrimonio e serietà nell'attuale convivenza, verificata dalla chiesa, attesta che essi rimangono fedeli a Cristo e appartenenti alla chiesa. La chiesa mantiene fede alla dottrina dell'indissolubilità del matrimonio cristiano, che non ammette un altro sacramento del matrimonio; affidando la nuova unione alla misericordia e benevolenza di Dio, ovvia all'ambiguità dell'attuale disciplina, che da un lato sollecita la cura pastorale delle nuove unioni affinché sperimentino l'amore di Cristo e la vicinanza materna della chiesa, e dall'altro continua a definirle situazioni matrimoniali irregolari. Epilogo Al termine della sua opera dedicata alle nuove unioni di coniugi in precedenza già sposati, Agostino dichiara che: anche dopo aver esaminato e discusso a fondo di questi problemi secondo le mie capacità, riconosco tuttavia che la questione del matrimonio è oscurissima e intricatissima. Né oso sostenere di avere fino ad ora spiegato tutti i suoi risvolti in questa o in altra opera, o di poterli da questo momento spiegare, se ne venissi sollecitato. Questo testo non ha pretesa conclusiva; si intendeva raccogliere e dare voce ai fedeli direttamente coinvolti nella vita di famiglia e degli operatori pastorali che ne accompagnano il cammino. E' opportuno precisare che il giudizio di autenticità non compete ai fedeli né ai teologi che cercano di interpretarlo, ma al magistero. Nella ricerca, da parte di tutta la chiesa, di corrispondere al mandato di annunciare e testimoniare il vangelo della famiglia tenendo conto delle fragilità umane di chi lo accoglie, sembra opportuno che le parti che compongono la chiesa non sospettino le une delle altre. Chi è preoccupato di mantenere intatta la verità del vangelo non sia accusato di non tenere conto della misericordia di Cristo e chi fosse attento di rimediare misericordiosamente alla fragilità dei matrimoni non sia condannato come trasgressore della verità insegnata da Cristo: il sospetto contrappone il dottrinarismo degli uni e il pastoralismo degli altri. L'atteggiamento dei primi pare simile al vaso di creta troppo rigido, alla cui forma il tesoro deve adattarsi; quello dei secondi appare come un vaso di creta troppo molle, il cui sfaldarsi impedisce il trasporto del tesoro: ad entrambi è chiesto di non fissarsi sulle ragioni e pregi della loro concezione dottrinale e disciplinare e sui difetti e pericoli di quella altrui. Nella ricerca del migliore incontro tra verità e misericordia è opportuno che entrambe non dimentichino 'l'esercizio di Geremia', che il Signore ingiunse al profeta, chiedendogli di scendere nella bottega del vasaio: «Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola». Scesi nella bottega del vasaio ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto. La rinnovata disposizione all'ascolto corale della parola del Signore è ancora oggi, come ieri e sempre, il presupposto imprescindibile e la condizione favorevole per affrontare l'odierna sfida sul matrimonio dei cristiani.